Foglio - Sonzogno

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Foglio - Sonzogno
ANNO XXI NUMERO 22 - PAG 2
A
nche
Marie
Kondo avrà la
sua serie tv, ci mancherebbe. Una vera
sitcom, già commissionata dalla Nbc a
LE SERIE TV SPIEGATE A GIULIANO
Erica Oyama e Greg Malins: episodio dopo
episodio, la protagonista cercherà di mettere
in ordine la propria vita. Chi ha vissuto l’anno scorso su un altro pianeta, quindi si è lasciato sfuggire i best-seller dell’estate, sappia
che Marie Kondo è diventata miliardaria insegnando a mettere ordine nei cassetti. “Il magico potere del riordino” (Vallardi) è il titolo del
suo manuale, che naturalmente promette benefici irraggiungibili con il Prozac, lo yoga, le
tisane, la meditazione, la dieta senza glutine,
la cura dell’acqua pura (l’altro best-seller era
“L’intestino felice”, da Sonzogno).
Una serie con la protagonista che mette ordine nei cassetti (già esistono i video del riordino su internet, esilaranti: non si capisce cosa possano aggiungere gli sceneggiatori per
quanto bravi siano) fa tornare in mente l’annuncio estivo di John Landgraf, amministatore delegato della tv via cavo Fx. In sintesi:
“Nel 2015 erano a disposizione dello spettatore 370 serie, nel 2016 saranno quasi 400. Troppe, dobbiamo cominciare a pensare che la seconda Golden Age televisiva americana abbia
raggiunto il suo picco”. E che quindi comincerà il declino, magari non nel 2016, ma dobbiamo aspettarlo, più prima che poi.
Troppa tv. E troppa tv interessante, come
già aveva capito lo spettatore che si trova a dover scegliere tra un binge watching e l’altro
(pochi hanno la pazienza di rispettare le scadenze settimanali quando ci sono, sulle nuove piattaforme non esistono più). Come aveva
intuito il fan che delle serie ama chiacchierare, e non trova più nessuno per farlo. Ognuno
guarda la sua serie preferita, con scarsissimo
interesse per quel che appassiona gli altri. Le
visioni collettive con crostata di ciliegie quando andava in onda “Twin Peaks” sono ormai
lontanissime. Come appare ormai remoto “Lost”: se uno non l’aveva mai vista si incuriosiva. Alla macchinetta del caffè se ne parlava,
si facevano ipotesi e si cercava di capire se
l’incidente aereo fosse vero o un limbo.
A Fx dobbiamo “Louie” con Luis C. K.,
“Fargo” (due stagioni finora, altrettante variazioni sul film dei fratelli Coen) e “Baskets”,
con Zack Galifianakis che fa il clown, e solo all’idea scatta l’applauso. Dopo le prime critiche, Mr Profeta di Sventura ha rincarato la dose: “E’ come giocare al gioco dei quattro cantoni, e qualcuno sta portando via le sedie”. Il
tempo a disposizione degli spettatori è una risorsa limitata, non estendibile a piacimento.
Bisogna aggiungere la preoccupazione per la
qualità dei prodotti: neanche il talento è
estendibile a piacimento, nessuno sceneggiatore bravo lavora più al cinema, i romanzieri
non puntano più al grande schermo ma allo
schermo piccolo (finora non si registrano casi di manifesta incompatibilità, come accadde quando William Faulkner andò a Hollywood). Non bastasse, farsi notare tra decine
e decine di proposte è sempre più difficile
(Marie Kondo proporrebbe un sacco nero e la
domanda “ti rende felice?”: se il calzino spaiato non ti dà gioia, buttalo nella spazzatura).
Nel caso la funesta previsione di Jack
Landgraf si avverasse – speriamo di no, ma
certo tenere questi ritmi produttivi sarà difficile – il critico del New Yorker Emily Nussbaum ha già pronta l’etichetta: “Età del caramello”. Dal metallo prezioso dei “Soprano”
allo zucchero cristallizzato di “Transparent”.
Mariarosa Mancuso
IL RIEMPITIVO
di Pietrangelo Buttafuoco
Sono in via Ottaviano, a Roma.
Ho appena comprato alla libreria Mondadori di Piazza Cola di Rienzo “Mio padre
era fascista” di Pierluigi Battista. Ho letto
il risguardo, le prime pagine, sfogliando ho
ritrovato nomi, luoghi, odori a me familiari. Mi ritrovo in questa strada e al numero
8 spalancata la porta della sezione Ottaviano. E’ la tana che ha custodito, nel sacrario,
tutte le eresie. Mi fermo a guardare un manifesto. E’ un tuffo nel passato. Leggo la didascalia: “Nel buio della politica, noi ci
siamo”. Controllo la data: 2016. Osservo
l’emblema ed è proprio la fiamma del Movimento sociale di Giorgio Romualdi, Pino
Romualdi, Vittorio Battista, Saro Buttafuoco (mio padre, un altro fascista).
TUTTA COLPA DEL LIBERISMO
I vandali dei pianoforti
Danneggiati i pianoforti delle
stazioni di Milano, Napoli, Cagliari.
Erano stati messi per far vedere che siamo un
popolo che ama la musica; il risultato, dicono
i media, è stato mostrare che siamo un popolo di vandali. Ma non è vero. Il problema non
è il popolo: il problema sono i vandali. Nel senso che l’Italia da troppo tempo è stata drogata di buonismo e perdonismo, che in sostanza
significano sdoganamento della corruzione e
dell’arroganza (cose che fanno comodo ai ricchi e ai potenti) e della maleducazione e del
menefreghismo (premi di consolazione per i
poveracci). Qualsiasi paese in cui i crimini restassero altrettanto impuniti si troverebbe nelle nostre condizioni, se non peggiori.
Il governo attuale non ha alcuna intenzione di risolvere il problema: ai liberisti l’unica
legge che fa comodo è quella della giungla, che
fa vincere i più forti. E’ la sinistra autentica
che deve farsi carico di un ritorno al rigore morale, a una seria educazione civica e a una
giustizia fondata sull’eguaglianza ma anche
sull’intransigenza.
Francesco Erspamer
Professore di Lingue e letterature
romanze e responsabile degli Italian Studies alla Harvard University
MERCOLEDÌ 27 GENNAIO 2016
COSA NON DICIAMO MAI DEL SUICIDIO DEMOGRAFICO. CONTRO-IDEE
L’arte del riordino
Ci sono troppi prodotti televisivi
in produzione e l’età dell’oro sta
per finire (con Marie Kondo)
IL FOGLIO QUOTIDIANO
Ma chi farebbe quattro figli per avere “una società meno depressa”?
I
l calo demografico “non è forse un rifiuto
di ogni responsabilità per il futuro, una
chiusura esclusiva nell’oggi?”. Se è giunto a
chiederselo persino Gustavo Zagrebelsky, nel
suo recente “Senza adulti”, la risposta deve
per forza essere affermativa. Anche un banchiere umanista come Ettore Gotti Tedeschi,
intervistato dal Foglio, riprendendo alcune
sue tipiche tesi in tema di demografia, ha sottolineato che le implicazioni del problema
non soltanto socio-economiche, ma culturali.
Di “suicidio demografico” europeo – rimediabile ormai solo attraverso l’immigrazione –
aveva parlato in una sede ufficiale anche il
vicepresidente della Bce, Vítor Constâncio.
Con ciò chiudendo idealmente il circolo vizioso tra crisi demografica, economia, immigrazione e collasso identitario occidentale.
Tutto evidente, tutto si tiene. Se non che, rigirandosi tra le mani i dati e le idee, a un certo punto ci si può domandare: sarà vero? Per
esempio. Gotti Tedeschi argomenta che “al
tasso di crescita del 1975 ci sarebbero 7-8 milioni di italiani in più”, e invece con quelli attuali siamo costretti a compensare “le perdite con 7-8 milioni di immigrati”. Ora, io c’ero
nel 1975, iniziavo un liceo affollato, da bravo
figlio del boom: non tornerei indietro manco
se mi pagassero l’Erasmus. Ma tolta l’aneddotica generazionale (che però è una componente non trascurabile della psicologia sociale, chiedete ai babyboomer perché hanno fatto meno figli) manca la controprova: anche al
tasso demografico del 1975, quei 7-8 milioni
di invasori premerebbero alle frontiere lo
stesso. La nostra crisi demografica in questo
non c’entra. Certo, resta il tema della “diluizione rapidissima di culture”, e da Bernard
Lewis a Sua Beatitudine Boutros Raï l’opinione che l’islam prenderà il sopravvento per
via demografica è diffusa. Quel che non tiene è la saldatura tra allarme e azione. Qualcuno farà più figli solo perché vuole evitare
una “diluizione di culture”? Nessuno, negli
ultimi vent’anni, l’ha fatto. C’è qualcuno in
età fertile, diciamo entro il mitico orologio
biologico dei quarant’anni per le primipare e
del primo Suv in garage per il paparino, che
BORDIN LINE
di Massimo Bordin
Non è, come promette nel sottotitolo, “la storia inedita del terrorismo” ma “Tutti gli uomini del generale” di
Fabiola Paterniti, nel raccogliere le testimonianze dei carabinieri che collaborarono
con Carlo Alberto Dalla Chiesa nel primo
nucleo di contrasto al terrorismo brigatista,
spiega bene almeno un paio di cose. Attraverso i ricordi molto minuziosi e analitici –
sono carabinieri non per caso – dei protagonisti, si vede in controluce un metodo di lavoro poco burocratico e teso alla qualità investigativa e al risultato ottenuto con un forte lavoro di squadra. La logica della taskforce abbinata all’astuzia dell’intelligence.
Trovarono magistrati che li lasciarono lavorare ma le basi dei futuri contenziosi si in-
farebbe quattro figli per arginare l’islam? A
Falconara Marittima? A Colonia?
Il suicidio demografico è uno specchio fedele delle nostra società. Ma non è la campana dell’allarme né il volano per riattivare la
crescita. L’unico reale problema che produce
è l’insostenibilità dei sistemi di welfare, ma
per quelli della generazione dei babyboomer
che hanno smesso di riprodursi. I diciottenni di oggi troveranno altre noci per far provvista nel bosco. Al di là di questo, l’allarme
è ingiustificato.
Nessuno fa figli per assicurarsi il welfare.
tuiscono da quei racconti. La seconda cosa
che si capisce merita una citazione. Parla
un generale, Alessandro Ruffino, che fu a
fianco di Dalla Chiesa per diverso tempo in
momenti cruciali e che a proposito del terrorismo racconta “Nessuno a quei tempi voleva ammettere che le Brigate Rosse erano
formate da ragazzi italiani, usciti dalle nostre scuole, persone come tante altre. Molti
analisti volevano trovare dei collegamenti
con servizi stranieri, ma non era così. Dietro
le Br c’erano solo le Br. Abbiamo avuto i
pentiti, i dissociati, gli irriducibili e tutti
hanno confermato questa tesi. Nessuno che
abbia mai raccontato una storia diversa.”
Semplice, no? Infatti è un concetto, questo
sì, “indicibile”. Anche perché altrimenti
che ne sarebbe della ennesima commissione Moro e del suo indotto ?
Il tempo in cui la prole era ricchezza è finito.
Oggi un figlio è un costo. Secondo i dati di Federconsumatori del 2014, dal primo pannolino alla laurea siamo sui 170 mila euro. Secondo le associazioni che calcolano gli assegni di
mantenimento per i divorzi, si sale a 230 mila. C’è di che sistemarsi un rustico in Val di
Mello, o in alta Sabina, dopo aver chiuso una
vantaggiosa polizza vita. Vale la pena un figlio, o è uno spreco di ricchezza spalmata su
un futuro che non interessa? Secondo uno studio della Voce.info, per una donna allontanare di un anno l’età della prima nascita aumenta la probabilità di partecipare al mercato del
lavoro dell’1,2 per cento. Fare figli non è un
investimento culturale né civile, né economico, non c’è ritorno. Se una grande maggioranza degli individui nati in occidente dopo il
1970 non fa figli, un motivo ci deve essere: è
che funziona meglio. O sono tutti stupidi? I figli “non sono un diritto”, è la cosa più azzeccata detta lunedì dal cardinal Bagnasco alla
Cei. Per contro, i figli non aiutano a vivere, come i sogni di Marzullo. Non c’è un motivo pratico per farli o, se esiste, bisogna trovarlo altrove che in un ipotetico doverismo della filiazione. La crisi demografica non è la causa della nostra infelicità, né l’arma di un possibile
riscatto. Per Papa Francesco “una società che
non ama circondarsi di figli, che li considera
soprattutto una preoccupazione, un peso, un
rischio, è una società depressa”. Ma chi farebbe un figlio per avere una società meno depressa?
Maurizio Crippa
LA “SHITSTORM” PER CRISPR, L’EUGENETICA E IL “GENIO DEL MALE” OBAMIANO
Sulla scoperta scientifica del secolo c’è una gran battaglia poco scientifica
Roma. La teoria della relatività di Einstein, la scoperta della struttura del Dna di
Watson e Crick, la leva di Archimede: le
grandi scoperte scientifiche della storia
dell’uomo sono sempre legate al nome di
uno scienziato. Gli storici avvertono che è
sbagliato, che la conoscenza non si sviluppa
così, è più simile a tanti falò che ardono tutti insieme, ma è inevitabile, per semplificazione o per ingiustizia: solo un nome è tramandato alla storia, nessuno ricorda i collaboratori, i sodali, i rivali di un grande scienziato. La più grande scoperta scientifica del
secolo, almeno finora, è una tecnica di ingegneria genetica che si chiama Crispr-Cas9 e
che consente di tagliare e incollare il Dna
di qualsiasi organismo, dai topi di laboratorio agli embrioni umani, con una precisione e una facilità infinitamente superiore a
qualunque tecnica mai usata prima.
La rivista Wired, con un’espressione perfetta, l’ha definita “il motore della Genesi”,
perché le capacità di Crispr unite alla sua facilità d’uso possono teoricamente consentire
a qualunque dottorando di giocare a fare
Dio, tanto che l’anno scorso alcuni scienziati coinvolti nel suo sviluppo hanno chiesto
una moratoria all’utilizzo sull’uomo, temendo derive eugenetiche. Crispr vale miliardi
di dollari e fama imperitura per il suo scopritore. Ma il grande scienziato ancora non
c’è. Ce ne sono molti, che a colpi di paper,
brevetti e avvocati si litigano la paternità, la
gloria e i miliardi della scoperta. La faida va
avanti da anni tra l’Università di Berkeley, in
California, e il Broad Institute di Cambridge,
Massachusetts, sostenuto dal Mit e da Har-
vard. Sono i più grandi centri di ricerca d’America, forse del mondo, che stanno riproponendo una gran battaglia scientifica e legale come non si vedeva dai tempi della disfida tra Bell e Meucci per l’invenzione del telefono. Le due scienziate di Berkeley Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna sono
state le prime a pubblicare nel 2012 sulla rivista Science un articolo rivoluzionario su
Crispr, ma Feng Zhang del Broad Institute è
PICCOLA POSTA
di Adriano Sofri
E’ tutto un azzardo. Sull’Iran,
per esempio. Si confrontano i pro e i contro: la verità è che è solo azzardo. Si punta tutto sul rosso o sul nero: Santità, preghi per noi. Ci sono bensì, oltre alle previsioni, più o meno condizionate dal senso degli affari, fatti compiuti. Nessuno
tocchi Caino ricorda le cifre e le modalità
mostruose delle esecuzioni capitali in
Iran, che eclissano quelle del resto del
mondo. Con la dirigenza attuale, sono
spaventosamente cresciute. Ieri la Corte
Suprema americana, che nel 2012 aveva
decretato che l’ergastolo non potesse essere comminato ai minorenni, ha stabilito che la decisione debba valere anche
per un minore che fu condannato all’ergastolo prima della nuova norma. Fa orrore che si condanni all’ergastolo – quello senza scampo – un minorenne. In Iran
le esecuzioni capitali di minorenni sono
frequenti. Amnesty International calcola
riuscito a far approvare per primo il brevetto della tecnica ed è stato il primo, pare, a dimostrare che Crispr poteva essere usato anche sul genoma umano.
Con i mesi la polemica ha assunto livelli
aspri, ci sono stati scontri legali, spesso gli
stessi scienziati si sono accusati a vicenda di
cercare di manipolare la storia. Uno dei protagonisti di questa battaglia si chiama Eric
Lander, cofondatore del Broad Institute, tra
che nelle prigioni iraniane ci siano almeno 160 minori in attesa d’essere uccisi. Secondo l’organizzazione, “almeno” 73 minori di 18 anni sono stati uccisi fra il 2005
e il 2015. Le statue del Campidoglio hanno preferito non vedere. Patiboli, cioè gru
prodotte da un’azienda americana e
smerciate senza difficoltà di embargo, lapidazioni e persecuzioni di dissidenti e
diversi sono lo sfondo su cui si gioca con
il nucleare militare. Tutto azzardo: prendete il signore che ha fatto evacuare la
stazione Termini perché aveva comprato
un fucilino giocattolo al suo bambino. Ci
si rallegra prima di tutto perché se l’è cavata. Una polizia più efficiente, non so,
quella di Chicago, l’avrebbe fatto secco.
Quel signore ci ha dormito sopra, senza
nemmeno immaginare di aver suscitato
un simile allarme. L’Europa intera sta
dormendo sopra eserciti di adulti e bambini che giocano coi fucili veri, con le gru
e il nucleare. Bisogna fare piano, che non
si svegli.
gli scienziati più importanti d’America, inserito da Time nella lista dei 100 uomini più influenti dei nostri tempi e copresidente del
consiglio di esperti scientifici dell’Amministrazione Obama. Un megascienziato con
molti addentellati politici, che dieci giorni fa
ha scritto sulla rivista Cell un saggio intitolato “Gli eroi di Crispr”, in cui elenca tutti i
passi che hanno portato alla scoperta della
tecnica, enfatizzando il ruolo di Zhang e del
Broad Institute. Da Berkeley hanno risposto
inferociti e nell’ambiente è iniziata una
“shitstorm”, una “tempesta di merda”. Su
Twitter ha cominciato a circolare l’hashtag
#landergate, il sito femminista Jezebel ha attaccato Lander per il suo tentativo di escludere dalla storia le due scienziate donne di
Berkeley, Charpentier e Doudna. Il biologo
di Berkeley Michael Eisen sul suo blog ha
definito il rivale “un genio del male al culmine delle sue capacità”, che cerca di usare la
sua influenza per cambiare i fatti.
In gioco in questa gran battaglia tra studiosi ci sono la possibilità di entrare nel
pantheon della scienza universale e un
inimmaginabile ritorno economico, e non
c’è da stupirsi se anche compassati uomini
di laboratorio si assestano qualche destro.
Per ora gli scienziati di Berkeley hanno ricevuto più premi internazionali, e dunque
sono in vantaggio in quanto a legacy, quelli
di Harvard e del Mit più riconoscimenti in
termini di brevetti e di possibilità di lucro.
E poi c’è il Nobel. Un premio è assicurato,
ma il problema è: a chi deciderà di attribuirlo l’Accademia di Stoccolma?
Eugenio Cau
I TASSISTI BLOCCANO PARIGI, NASCE IL COLLETTIVO DEI DISRUPTOR
Anche la gauche vuole un pensatoio liberale. Ecco il think tank pro Macron
Parigi. Quando a rue de Solférino, sede
del Partito socialista francese, si parla di
think tank, il nome che esce è sempre lo
stesso: Terranova, il laboratorio di idee che
si vuole “progressista e indipendente”, ma
che in realtà lavora a braccetto con il Ps.
Ora, però, c’è chi non ha più intenzione di
lasciare il monopolio delle proposte a un
pensatoio che alla luce dei fatti rispecchia
la minoranza del Ps, e si sta adoperando
per modernizzare la sinistra francese sul
piano delle idee, in sintonia con il “riformismo sorridente” del ministro dell’Economia Emmanuel Macron. Si chiama La Gauche Libre il nuovo think thank francese destinato a sfornare misure di “centrosinistra” che siano all’altezza delle sfide lanciate dalla nostra epoca, e a lanciarlo è il
collettivo Jeunes avec Macron (Jam), nato
la scorsa estate con l’obiettivo di valorizzare la politica del ministro. L’imperativo del
laboratorio di idee appena creato è “bouger les lignes”, e cioè sbloccare, scuotere la
vita politica francese, accantonare il setta-
rismo di una certa sinistra, e sdoganare le
idee macroniane anche nella base del Ps.
“Vogliamo essere una forza propositiva e
non un fan club”, dicono i fondatori, “il nostro obiettivo è quello di fungere da sostegno a Emmanuel Macron nelle sue prospettive elettorali, 2017 o 2022”. I quattro “macroniste” all’origine di Jam e ora della fornace di idee che ha l’ambizione di poter influenzare il programma del Ps nel futuro
prossimo hanno tutti meno di trent’anni e
si definiscono con tre aggettivi: “moderni”,
“liberi” e “responsabili”. Alle redini dei
due progetti c’è Pierre Person, 26 anni, giovane consulente pubblico, aiutato da Sacha
Houlié, avvocato di 27 anni, da Florian H.,
analista finanziario che di anni ne ha 23, e
da Jean Gaborit, 21. Si riconoscono nel dinamismo dell’inquilino di Bercy, nella sua
impazienza di trascinare la Francia nella
modernità, nel suo agire di rupture, anche
a costo di diventare il nemico numero uno
della vecchia guardia socialista. Amano la
“sua visione” del mondo, il “carattere di-
struttivo” di Macron, il suo “differenziarsi
dalla sinistra del Ps attaccata ai suoi dogmi”, e come la maggioranza dei francesi, secondo gli ultimi sondaggi, lo considerano il
miglior candidato di sinistra già all’orizzonte 2017.
L’idea di fondare un collettivo e in seguito un think tank che rappresentasse tra i
giovani la corrente riformista del Ps è nata quest’estate, dopo alcuni rendez-vous
nei caffè della capitale, durante i quali
“non si faceva altro che parlare di politica”
ed “eravamo tutti affascinati dalle idee di
Macron e dalla sua personalità”, dicono ai
media. I fondatori di La Gauche Libre non
hanno paura di dirsi di sinistra e amare le
liberalizzazioni, e contano entro il prossimo semestre di raddoppiare le tremila adesioni al loro collettivo. Macron non è direttamente implicato nella gestione dei due
progetti, non pilota da Bercy i suoi giovani
discepoli, “il suo entourage ci ha dato carta bianca” ma il ministro “è al corrente delle nostre attività e ci segue da lontano”, as-
sicura al Figaro Pierre Person. “La nostra
ambizione è quella di creare uno strumento per generare delle idee al di là delle
strutture dei partiti, sperando che possa
servire prossimamente a una candidatura
di Emmanuel Macron”, ha specificato il
giovane fondatore di Jam. Sul sito ufficiale di La Gauche Libre il lavorìo dei giovani think tanker si concentrerà nei prossimi
mesi sulla sezione “Publications”. Sono sei
i grandi poli di lavoro: il primo e il più importante riguarda l’economia, le finanze e
la politica fiscale, il secondo la giustizia e
il diritto, il terzo le questioni di società, il
quarto la politica internazionale e l’Europa, il quinto e il sesto i temi del rinnovamento in politica e del ruolo dello stato.
Nel giorno in cui la Francia rimane paralizzata dallo sciopero neoluddista dei tassisti contro Uber – che ieri hanno bloccato le
strade e gli aeroporti di Parigi e provocato
scontri con la polizia – la sinistra macroniana lancia il think tank dei disruptor.
Mauro Zanon
Vergini di Dio
E’ possibile ancora incontrare
una delle virtù più sbandierate,
vilipese ed equivocate della storia?
L
a chiesa, davvero
misericordiosa, tutti accoglie e indirizza.
Unioni tra maschi, matrimoni, adozioni… alla
luce di un’antica magi-
SUL LETTINO - PSICANALISI DELLA POLITICA
strale sapienza la chiesa sconsiglia tutto ciò,
non perché i gay sono gay ma perché sono
uomini e, salvo alcune eccezioni, noi uomini di qualsiasi specie, religione e sesso, siamo ancor più pericolosi quando lasciati a
noi stessi, senza che la mano di una donna
accarezzi i nostri sogni. Osservate un gruppetto di etero-amiconi in un solitario pomeriggio domenicale o in una notte tribale e vedrete di quali imbecillità sono capaci. Le
donne sono indispensabili, non innamorarsene perdutamente è un delitto. Dio le crea
affinché il loro luminoso sorriso – anche il
pianto, la smorfia, la lingua, il delizioso dentino e tutto quanto – ci distolgano da un’innata ferocia che tanto male ha fatto e continua
a fare. Dalla maschia arrogante stirpe si discostano i preti, la cui eleganza resta superiore. Sono esseri a sé; nelle estive vacanze
li vedevo aggirarsi per i boschi e mi affascinava la loro misteriosa natura.
Detto questo, mi soffermo su una delle
virtù più sbandierate, vilipese ed equivocate:
la verginità. Una fanciulla che per la prima
volta si abbandona sulla riva del fiume a un
amplesso con un ragazzo, perde la virginità o
l’acquista? Dipende, non dalla fisiologia
quanto dal desiderio. Se una donna o un uomo si congiungono per un secondo fine, per
esempio per attaccare l’Aids all’altro o per
carpirgli denaro o per sposarlo a tradimento
o per fare come tutti, certo non si può parlare di verginità quanto di sadismo, perversione, calcolo, nichilismo. Se invece gli amanti
si abbandonano al desiderio e all’amore, allora sì la verginità, la verginità della parola e
dello sguardo quando incontrano Altro, in
una sorpresa incessante. Non è questione di
astinenza ma di esistenza. Vi sono uomini che
hanno fatto l’amore con centinaia di donne
senza mai abdicare alla verginità, mentre vi
sono individui totalmente esenti dai rapporti
sessuali che per timore della verginità si rifugiano nel già detto e nel già visto, nel luogo
comune che rassicura il nulla. E tuttavia, per
quanto cerchiamo di umiliarla e di abolirla,
la verginità risulta indistruttibile. Les demivierges che praticano rapporti alternativi per
non intaccare l’imene in modo da arrivare intatte al matrimonio, sono puttane? Un po’ sì,
ma non esageriamo, in ciascuna di loro c’è
una scintilla, un malizioso ammicco che le
consegna al verde purgatorio. Ho appena letto che la gioventù iraniana fa la parodia della verginità con il lapai, una pratichetta erotica che a ciascuno lascio immaginare. Stupidate! Altro che lapai, il mio pensiero va alle
ragazze persiane che vidi prima di Khomeini, incantevoli le universitarie come le lavandaie, una celeste nube la fronte, vergini gli occhi, vergini i capelli. Ancora lo sono, il dolore le ha preservate dal male. Anche la verginità del Papa, così come quella di Cristo, non
è frutto d’una rinuncia ai sensi quanto, al contrario, di un’incessante sensualità, d’un violento impegno intellettuale e amoroso. Garante della virginità non è la vecchia del villaggio
ma la parola, quando si espone alla gioia dell’inaudito. Dopo mari di sciocchezze e oceani
di perdizione si può ancora incontrare la verginità, ma non sotto il bisturi del chirurgo plastico quanto nell’accoglimento del desiderio,
qualcosa di forte che è in noi ma che fatica a
emergere, imprigionato da mille scemenze
quotidiane. Cedere sul desiderio – l’acerrimo
nemico della miserabile voglia – è un peccato mortale, una viltà che si paga cara.
Infine, davvero c’è tutto questo bisogno d’insistere a spettegolare che la Vergine Maria è
stata posseduta da un uomo e non da Dio?
Quale disgustoso accanimento ginecologico!
Che patetico tentativo di ridurLa a una qualsiasi, laddove Essa fu ed è la geniale madre
del più grande uomo-Dio partorito nei secoli.
Leonardo, Bach e tutti i sommi, sono cretini
perché nei secoli dipingono e scolpiscano e
cantano Maria Vergine? Già, ma la chiesa intanto ne combinava di porcate! Davvero pensate che il cardinale Bellarmino, uno degli uomini più colti e generosi del suo tempo, credeva che il Sole girasse intorno alla Terra? Sapeva benissimo come stavano le cose, ma aveva il buon gusto di non dirlo in giro. E siete così sicuri che Dante non sia sceso all’inferno,
quello vero, quello col fuoco? Certo che c’è stato, coglioni!
Umberto Silva
PREGHIERA
DOPO AUSCHWITZ LA MUSICA E LA POESIA SONO ANCORA POSSIBILI
Nemica dei regimi, l’arte accade anche nei campi di concentramento
Roma. “Dopo Auschwitz, nessuna poesia,
nessuna forma d’arte, nessuna affermazione
creatrice è più possibile. Il rapporto delle cose non può stabilirsi che in un terreno vago,
in una specie di no man’s land filosofica”.
(Theodor Adorno, “Dialettica negativa”, Einaudi, Torino 2004, p. 326). Sarà vero? A Terezin l’arte è di casa. Musicisti, pittori, ballerini.
Anche la musica, della buona musica. Un regno “del bello” cinto da filo spinato. Così il
Terzo Reich testimonia al mondo la sua “apertura” alla cultura di ogni tipo e compone la
macabra colonna sonora della morte che si
consuma anche nel vicino campo di concentramento di Auschwitz. Benvenuti in “Germania, terra della musica” recita un agghiacciante manifesto di propaganda di quegli anni.
Perché insieme al folle sogno di una razza pura, il nazismo ne ha un altro: una musica pura. Controllare l’arte, gli artisti, i programmi,
i temi è per Hitler e i suoi collaboratori un
punto fondamentale del progetto politico. Non
si tratta soltanto di escludere gli ebrei da tutti gli ambiti musicali, da orchestre e cori,
quanto di un controllo sul repertorio (si pensi a tutta quella musica considerata “degene-
rata”) che non risparmia niente e nessuno. Eccezion fatta per Bach, Haendel, Beethoven e
poi Wagner e Bruckner. “Le opere d’arte che
richiedono una quantità esagerata di spiegazioni non capiteranno più tra le mani dei tedeschi”. Come Hitler, Stalin perseguita Dmitrij
Sostakovic e Sergej Prokof’ev, vittime della
censura e del controllo della polizia; odia Sergej Rachmaninov perché anticomunista.
Ma senza andare troppo indietro nel tempo,
sono nei nostri occhi le immagini degli uomini dello Stato islamico che distruggono Palmira o bruciano strumenti musicali. Anche così
l’ideologia mostra il suo odio verso ogni forma
di espressione individuale e di libertà. La mu-
INNAMORATO FISSO
di Maurizio Milani
Non capisco perché l’Unesco non
fa tutto in un colpo la Terra intera patrimonio Unesco. Invece con 7-8 designazioni l’anno ci mette nove milioni di anni. Forse lo fanno perché se decidono
tutto in una volta restano disoccupati?
sica, in particolare, va controllata perché è il
modo più intuitivo e immediato di trasmettere emozioni. Il più “eversivo”. Ne è ben cosciente Lenin: “E’ venuta l’ora in cui non dobbiamo più ascoltare la musica, perché la musica fa venir voglia di accarezzare la testa ai
bambini, e adesso invece è venuta l’ora di tagliargliela”. La bellezza allarga gli orizzonti e
rende l’uomo più cosciente di sé. “Lo affaccia
sull’abisso dell’Infinito”, direbbe Joseph Ratzinger, e del suo infinito desiderio. Controllare l’arte significa evitare il ridestarsi dell’umano, mortificare l’anelito al buono, al bello e al
vero. Eppure l’arte accade. Ovunque, anche all’inferno. Il bello accade e quindi l’arte si è fatta e si farà dentro tutte le Auschwitz della storia perché fa parte della tensione al destino.
Non la terra del no man di cui parla Adorno.
La terra dell’uomo. L’io che di fronte a una richiesta del cuore può scegliere se aprirsi alla
realtà o chiudere ogni aspirazione. Per questo l’arte è accaduta anche durante il nazismo.
E’ accaduta nei campi di concentramento con
le numerose composizioni scritte proprio nei
campi di lavoro. E’ accaduta durante le purghe staliniane e accadrà sempre. I primi testi-
moni sono proprio gli stessi carnefici. Hitler
ama il direttore Wilhelm Furtwängler, il quale (contrariamente a quanto afferma una storiografia falsa) non si schiera con il regime e
riesce ad arginare alcune ingerenze musicali.
A Furtwängler non viene mai torto un capello.
Ancora più eclatante il caso della pianista
Marija Judina. Nel 1943 Stalin ascolta in radio
il concerto K 488 per pianoforte e orchestra di
W. A. Mozart con la Judina al pianoforte. Vuole assolutamente il disco con quell’interprete.
Quel disco però non esiste. La Judina è convocata d’urgenza. La registrazione avviene durante una lunga notte di lavoro. Il disco è prodotto in poche copie ben custodite dal dittatore che fa recapitare alla Judina ventimila rubli, cifra folle per quei tempi. Marija Judina,
donna dal carattere forte e penetrante, risponde così: “La ringrazio, ho però dato i soldi alla mia chiesa e pregherò per Lei perché il
buon Dio La perdoni per tutte le atrocità che
ha commesso verso il popolo”. A Marjia Judina non verrà mai fatto nulla di male mentre
Stalin custodirà, sino alla sua morte, quel disco sul grammofono vicino al suo letto.
Mario Leone
di Camillo Langone
Compro un alimentatore per computer su Amazon e mi arriva prima del giorno previsto,
ossia all’indomani dell’ordine. Costa la
metà di quanto mi sarebbe costato se l’avessi comprato in un negozio qui intorno,
e funziona uguale. Colpito da tale strapotenza commerciale e logistica mi viene in
mente Emanuele Severino: “La destinazione della tecnica al dominio è la destinazione al tramonto della morale e dell’umanesimo cristiano o laico, della politica e di tutte le forze che oggi intendono
servirsi della tecnica”. Amazon in America sta facendo chiudere 269 supermercati Walmart, poco male se contemporaneamente aprissero 269 botteghe, ma purtroppo non è così. Grande, media e piccola distribuzione si rimpiccioliscono
per cedere spazio alla distribuzione
grandissima che prevede il tramonto dell’umanesimo e quindi del contante: l’alimentatore l’ho pagato con carta di credito e sulla carta di credito c’è un numero,
quel numero a cui la tecnica mi sta riducendo. “Chi ha intelligenza calcoli il numero” dice l’Apocalisse di San Giovanni.
Che non sia ciò che temo, ossia il numero della bestia.