Untitled - Fulvio Bongiorno
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Untitled - Fulvio Bongiorno
PREFAZIONE Spot di luce colorati distribuiti nel buio, rumori immanenti o cenni di tintinni lontani, profumi, sapori, sensazioni tattili o comunque differenti percezioni oltre i sensi, ricostruiscono luoghi consueti per una persona senza tuttavia contenuti di precisa memoria. «Mi sarà sembrato», qualcuno conclude pigramente. Ma queste percezioni, spersonalizzate simiglianze di ricordi, possono venire da assai lontano ed avere con la persona legami assai stretti. In questo romanzo la visione di una luna rossa suggerisce a Donato sensazioni che lo mettono in contatto con Diego, il gorgo della follia di Pachira, la loro antichissima suggestione di una luna rossa e le vicende del loro amore. Nello scenario di questi eventi la luna rossa è l’astrazione della soglia di un passaggio attraverso il tempo. Ma, verisimilmente, La Natura non conosce il tempo. È tutta nei siti dell’universo, contemporanea a sé stessa, aggrovigliata con la vita. E a noi sono stabilite, una alla volta, pagine a sorpresa. (*) Un travaso attraverso quella soglia – un viaggio nel tempo – sposta le memorie di Diego e Pachira e le consegna a Donato e Cristina come simiglianze di ricordi della loro stessa vita. (*) Da Ali d’angelo, in Astronavi, Aracne Editrice, Roma, 1998 Note alla lettura Il romanzo Luna rossa si sviluppa sulle basi della teoria dello spazio-tempo e della relatività, ma non solo: questo libro suggerisce spessori e prospettive inedite, che indicano quanto si sia arricchita nel tempo la ricerca dell’autore. Un particolare merita d’essere evidenziato fin dall’inizio: ossia la rappresentazione narrativa, tramite allegoria, del buco nero, la cui esistenza necessariamente presuppone, dall’altra parte, l’esistenza della fontana bianca. L’annichilimento, suggerisce l’autore, fa nascere una vita nuova, o meglio una realtà nuova, che è “di più”. La filosofia è consapevole del nichilismo che imbeve dalle fondamenta lo sviluppo della civiltà contemporanea: la fatale domanda “dove andiamo e da dove veniamo” si svela senza risposte, proibite dalla perdita diffusa di qualsiasi ancoraggio religioso, o anche solo ideologico. Per l’umanità è l’era della disperazione esistenziale, dell’ agnosticismo, ancor più angosciante di qualunque fideistico materialismo o ateismo. La bella metafora letteraria raccontata in questo romanzo allude a una soluzione, offre una risposta che consola la solitudine dell’ agnostico, perché presenta indici di tangibilità e credibilità scientifiche. Affascina la tensione dell’autore a spiegare razionalmente la morte in termini di rinascita: o meglio il suo intento di dimostrare con una favola i termini scientifici della questione. Al di là del passo oscuro dell’annichilimento verso cui ineluttabilmente l’uomo corre - sostiene Bongiorno - si può riprodurre qualcosa di completamente nuovo e diverso. Non si tratta di reincarnazione, di metempsicosi. Ma della certezza matematica che l’uomo sia destinato non a scomparire in un niente eterno, ma a riprodursi in nuova sconosciuta energia. Come nella realtà fisico-cosmologica del buco nero e della fontana bianca. Al di là del niente, ossia della catastrofe del buco nero, c’è una dinamica di trasformazione che magari toglie fisionomia e individualità, ma dà vita a qualche cosa di nuovo, forse di ancora più bello. E dunque con questa metafora apprendiamo che la bellezza è scritta nel DNA dell’universo. E’ magnifico! Se non è un dio che ci aiuta, è la natura stessa che provvede – natura intesa non nel senso delle risorse della terra, ma di quelle incredibili che devono essere presenti nell’universo – a rinnovarsi con forme che ancora sono incomprensibili al nostro pensiero. L’importante è che l’uomo abbia il tempo di poterle comprendere: dopo, per fortuna, si potranno riprodurre. Si disegnano così in questo libro i confini di una nuova religione laica: per attingere al sovrannaturale ci sono la poesia, la scienza, l’arte, ma anche la fede delle persone nella propria vita, nella propria esistenza, o nella propria contraddizione. L’ essere umano, come già accennato in un precedente romanzo di Bongiorno, Vasi di Pandora, non dovrà aspettarsi un castigo, una punizione, un premio, perché tutto è già scritto nelle dinamiche della materia e dell’energia, ossia dell’universo. Io penso che sia notevole l’aver messo in chiaro in maniera così trasparente il fatto che ciò che può sembrare un’orrida meta, l’annientamento dell’essere, è invece l’inizio di una rigenerazione. Dunque possiamo affermare che quand’anche tutto ci dovesse venire a mancare il futuro ci appartiene, anche se non ci saremo più: qui il discrimine di una potenzialità che non può non generare ottimismo. D’altronde gli uomini si sono sempre rinnovati, hanno sempre, continuato a vivere, a riprodursi, a rifarsi, oltre che a distruggersi. È importante che di questa ipotesi ci sia la testimonianza in un romanzo, come lo sarebbe in una poesia, in una canzone, o in un quadro: è l’arte che permette all’uomo di sapere – meglio di qualunque formula matematica – che non può venir meno il suo mestiere di vivere e sopravvivere, in ultima analisi di progettare per gli altri. In fondo ogni uomo è un altruista senza averne cognizione, perché fa ciò che fa sapendo che, dopo, lui stesso non ci sarà più: nel contempo sa che ciò che fa ha valore di consegna, gli sopravviverà, e sarà veicolato nel circuito dell’esperienza umana a lui successiva. La circolazione di questa energia di pensiero è la più democratica forma dell’essere, perché ognuno la possiede, e viene data gratuitamente dalla natura stessa. Gli uomini si possono pure accanire per il potere, i soldi o altro, ma ogni essere umano, e qualsiasi cosa, qualsiasi elemento costitutivo di questa realtà, sono partecipi di questa dinamica transeunte. Dunque non esiste una realtà pietrificata nell’immutabilità della fine. Spesso l’uomo prova, per esempio nelle malattie, l’angoscia di questo pensiero. E giustamente può sentirsene tormentato. Invece occorre ripensare il mondo nella sua reale prospettiva di bellezza: l’orrido, il dolore altro non sono che il passaggio verso il rinnovamento, ossia verso il più bello. La visione in un evento del bello o del brutto dipende da come stiamo: staremo stabilmente meglio se acquisiremo la capacità di intuire, di sapere che ogni volta che ci troviamo di fronte alla tragedia, siamo di fronte anche al suo ossimoro, una realtà completamente diversa, che automaticamente le farà seguito. Sta a noi non inventarla, non si tratta d’inventare, ma semplicemente scoprirla. Un’immagine che mi è rimasta in mente, di questo libro, è quella della bambina che si fa un panino con la cozza. Più in generale, la situazione della grotta. L’autore ci dimostra la sua straordinaria leggerezza sintetizzando il portento in quadretto. Della bambina rimane impressa la capacità di rendere poetica una situazione concreta, come quella di mangiare, di conservare il cibo o di prepararsi un panino in maniera diversa. All’interno di un contesto in cui s’impone l’essenzialità quasi scheletrica della realtà, spicca la ricchezza di queste sensazioni, la magia dei piccoli particolari. Non a caso è una bambina che , magari istintivamente, fa le cose in maniera quasi perfetta. Attira l’attenzione l’evidenza poetica della quotidianità, vissuta consapevolmente: la bambina sa come noi mangiamo normalmente, cioè con la distrazione dell’abitudine che ci fa perdere di vista l’importanza delle cose. E si propone candidamente come richiamo a una sapienza perduta, capace di dare ritualità e magia alle cose più banali, e di renderle preziose e uniche. Così dovremmo noi manipolare la vita: con l’innocenza e la serietà del gioco di una bambina. Nel romanzo, i personaggi, i luoghi, le sensazioni, contribuiscono a formare le atmosfere. Pertanto è l’insieme che diventa il contenuto – personaggio – delle storie… E questa non è un’ipotesi, ma è già una teoria, una tesi, che l’autore semplicemente rappresenta senza volerla dimostrare. Senza alcuna ricerca di effetti e sconfinamenti retorici, Bongiorno si limita a raccontare, a descrivere gli aspetti del reale o delle invenzioni che ne fanno parte, la cui scelta determina – come per una comunicazione diretta, una sorta di metalinguaggio – le emozioni che egli vuole trasferire al lettore. Una persona che fa questo esercita una forma di democrazia del sapere invece di imporne, come viene fatto da molti, l’ aristocrazia . La vera forma di democrazia consiste proprio, a mio avviso, nel presentare la cultura senza volerla imporre. Antonio d’Augenti