Poesia da fare
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Poesia da fare http://www.cepollaro.splinder.com/post/19913572 ultimi post | tag | utenti online | foto | video | audio Poesia Da Fare Corso Di Poesia Integrata Www.cepollaro.it\corso\Corso Di Poesia Integrata.htm A Partire Dal Novembre 2008 Il Corso È Strutturato Con Moduli Da 20 Ore. Il Primo Modulo Ruota Intorno Al Tema Della Lettura, Il Secondo Della Scrittura, Il Terzo Della Critica. Può Essere Rivolto A Piccoli Gruppi (Tre-sei Persone) O « post precedente | Home | post successivo » Individuale. Per L’iscrizione Ai Moduli E Informazioni: Biagio Cepollaro [email protected] Cell. Chi Sono 3394200299 Domenica, Febbraio 22, 2009 Biagio Cepollaro, Su Andrea Inglese, La distrazione, Sossella Ed., 2008 Biagio Cepollaro www.cepollaro.it La faccia violenta della lirica Commenti Recenti Archivio oggi marzo 2009 febbraio 2009 gennaio 2009 --- 2008 ----- 2007 ----- 2006 ----- 2005 ----- 2004 ----- 2003 --- Categorie arti visive cepollaro lettura poesia poesia integrata Links ARTI VISIVE Biagio Cepollaro e la Critica (1984-2005) CORSO DI POESIA INTEGRATA. Fabrica (poesia) I Quaderni semestrali di Poesia da fare in pdf Il blog dell'arte visiva di Biagio Cepollaro Il sito di Lavoro da fare Intervista su Poesia Integrata La notte dei botti (romanzo) La poesia di Biagio Cepollaro La poesia, Vale! (poesia) La rivista in pdf Poesia da fare Lavoro da fare, il nuovo libro Le parole di Eliodora (poesia) Luna persciente (poesia) Note per una Critica futura Per una Critica futura Perchè i poeti? Poesia Italiana E-book Scribeide (poesia) Versi Nuovi (poesia) Video di Paolo Rassatti su Trigrammi di B.Cepollaro 1 di 3 La distrazione è il secondo libro, dopo Inventari, di Andrea Inglese. Raccoglie e riconosce un percorso di cinque anni puntellato da pubblicazioni parziali e provvisorie ma già coaguli e segni di direzioni. Se di Inventari mi rimane come il retrogusto di uno sguardo metallico quanto freddo sulle cose, di questo secondo libro mi resta come la sensazione di una resa dialogica, di uno stare nelle cose e trovare un qualche modo per starci, rinunciando all’inventario, rinunciando a guardare da fuori per l’intollerabilità del dentro. E di una sorta di resa coraggiosa e di sfida si tratta perché si tratta di riconoscere sin dall’inizio che l’autobiografia è una calamità necessaria, come recita un suo verso iniziale, e che la biografia è un’invenzione che presuppone la finzione di un ‘centro’ da cui partire. Dove il carattere di finzione è anche ipotesi ragionevole e non per forza evasione o compensatoria affabulazione. La sfida sta nel fatto che questo libro deve giocare le sue carte sul tavolo della lirica dell’io sovvertendone sistematicamente le regole per non far torto all’intelligenza del linguaggio, alla consapevolezza della sua arbitrarietà, ma neanche alle necessità della vita, a ciò che semplicemente si vede e su cui non c’è sofisma o nominalismo che tenga, perché è il corpo, quello personale ma anche quello planetario, ad esserne martoriato. La biografia è l’enigma non il punto di partenza. Si tratta allora di ‘mostrare la faccia violenta della lirica’. Stare nello spazio della biografia solo per mostrare meglio quanti oggetti, quanta oggettività, quanto non-io vi possa essere in una presunta autobiografia che invece di diventare autoreferenziale si rovescia nel suo opposto: cercavamo la storia di un io e ci ritroviamo con i paesaggi e le situazioni che sono comuni, comuni ma non partecipati, non detti o non detti abbastanza, con questo mondo che è di tutti, anche se a tutti, in diverso modo, a diverso titolo, viene negato. E’ la poesia della metropoli in questo caso a farsi tradizione (e penso, per i poeti più vicini a noi, a Pagliarani e a Majorino, ma i riferimenti andrebbero giù giù fino a Baudelaire…) La faccia violenta della lirica è il quotidiano come sopravvivenza, la fatica, l’allegoria. Ad un certo punto Inglese lo formula dicendo ‘il massacro è la mia storia in allegoria’. Eppure con questo mondo c’è legame, fosse pure il paradosso di invertire i ruoli alle cose: l’inorganico sembra vivere di vita propria, le macchine domestiche respirano nella notte, mentre il vivo si interroga sulle sue percezioni ossificate, sulla sua biografia che è già un mistero, una sorta di archeologia fossile, la cui vitalità resterebbe come traccia e passato semisepolto. Il tema dell’impermanenza ha un suo rilievo. Se non altro perché al divenire cieco delle cose, alla consumazione, usura, non c’è né risposta metafisico-religiosa né umanistica. E non c’è neanche l’esaltazione dionisiaca per il divenire, non c’è spirito tragico: c’è la ricognizione secca o dolente di chi legge la suola delle sue scarpe per 28-03-2009 12:40 Poesia da fare http://www.cepollaro.splinder.com/post/19913572 Partecipano Foto Recenti Bottoni Counter visitato 47235 volte risalire al suo andare, così come di scarpe si trattava da Van Gogh all’Heidegger dei Sentieri Interrotti. Il detrito, il taglio, la consunzione dei bordi, l’abrasione dell’attrito: queste cose parlano della vita quando la vita di per sé è imparlabile. L’oggettività di Inventari si scioglie un poco e si umanizza in un soggetto che interroga la prossimità degli oggetti e le sue stesse passioni. E’ il collasso del soggetto inventariante con la sua logica classificatoria (definire è già contenere) a vantaggio dell’esposizione al pericolo dell’elegia e della consolazione. Rischio da correre, il maggiore: quello dei passeri che spiccano il volo da una pagina all’ora del tramonto. E qui del metallico neanche l’ombra. Ma neanche l’ombra vi è della logica accumulante o combinatoria che pretenderebbe salvare solo in virtù di una presunta superiorità dell’intelletto, una sorta di stoicismo cerebrale. La calamità dell’autobiografia è proprio questo dover attraversare i terreni minati del lirismo e riuscire a scansare le mine, o anche, a mettere nel conto che qualcuna possa esplodere e intanto attrezzarsi perché non risulti letale. E l’attrezzarsi è visibile in una poesia dove protagonisti sono gli asfalti e si capisce che passeri e asfalti fanno parte dello stesso mondo la cui violenza sfigura e sforma e che se c’è ancora da dire è proprio configurare insieme passeri e asfalti. Senza fare del manierismo (nella versione nichilista della sestina incatenata o nella versione trash e neo-pop della celebrazione apologetica del degrado naturalizzato). Inglese esce dall’impasse di molta poesia sperimentale degli anni ’80 e ’90 proprio perché si tiene lontano da questo manierismo e perché cerca nell’esperienza diretta il rinnovarsi degli strumenti per una funzione intellettuale che non si vuole arrendere allo stato delle cose, né tanto meno trarne profitto. Lirica di ciò che resta dell’io (io è ciò che resta dell’espropriazione sistematica e corporale compiuta dal mondo) e senza centro, oggetti imbevuti di pathos e poi raccolta e provvisoria collocazione in testi, in sequenze di parole, in poesia. Inglese ci parla di una vita, la sua, dove l’accadere è sotto traccia, è sempre sfondo e dettaglio, è sempre al di sotto dell’occhio o al di sopra, o di fianco, dove l’orrore può anche essere allucinatorio movimento di oggetti, dove il tempo non ha svolgimento ma salti di traiettoria, indeterminati. La sua non è una storia è una genealogia delle tracce: in controluce la violenza del mondo si staglia come per inferenza e deduzione. Dal punto di vista formale Inglese per dar corpo a questa relazione e a quest’alleanza impossibile tra io e mondo deve rinunciare all’armatura paratattica e accumulante fino al parossismo di Inventari. Non scruta più l’oggetto per passare subito a richiamarne un altro, ma crea un discorso, si distende in frasi che descrivono, lega, collega, riflette nello spazio creato, si allontana dal clima sperimentante dell’inizio, dove la saturazione del campo è stilema distintivo. E dunque se decide di interessarsi alla sua biografia è perché non c’è apporto conoscitivo al di fuori dell’esperienza. Ma la biografia invece di essere punto di partenza come nella poesia lirica tradizionale diventa il punto di arrivo. Gli strumenti della poesia a servizio di un’intenzione veritativa, non ornamentale: era questo l’approccio più generale e condiviso della rivista Baldus che vede Inglese tra i redattori alla metà degli anni ’90. Era questo orientamento che teneva distanti dal manierismo alto o basso e spingeva all’invenzione formale solo perché necessaria a configurare realismi percepibili come contemporanei. Oggi il suo lavoro intenso sul blog collettivo Nazione Indiana continua ed esplicita tale dimensione propria alla funzione intellettuale: affrontare questioni scottanti di pubblico interesse ma con il respiro largo della cultura e della lentezza. Con questo libro di poesia l’intenzione veritativa e realistica assume il carattere concreto di un raccontare di sé attraverso e insieme al proprio venir meno, al proprio essere feriti, collezione di tracce, cataclismi, attraverso e insieme all’utilizzo di sé come di una lente per rivelare la ‘segreta lotta dei viventi’. E la distensione, la non contrazione, di questo secondo libro forse si spiega anche con il parallelo lavoro di critico della cultura, lavoro che assorbe appunto parte di quel risentimento etico che in Inventari irrigidiva a tratti il dettato e ne raffreddava l’andamento. 2 di 3 28-03-2009 12:40 Poesia da fare http://www.cepollaro.splinder.com/post/19913572 Anche per l’attività sul blog Nazione Indiana si tratta di rapporto tra io e mondo, anche lì si tratta di configurarlo… Mi sono chiesto che tipo di legame intrecci questa forma di io con il mondo configurato da questi versi e da quel lavoro critico. Mi sono chiesto che tipo di alleanza sia ravvisabile. E la risposta che mi sono dato è la sostanziale quanto impossibile corrispondenza tra la violenza che anima e sfregia il mondo e la violenza che anima e sfregia questa biografia. Un teatro doppio in cui si recita lo stesso soggetto. postato da: cepo alle ore 17:40 | Permalink | commenti Commenti categoria:poesia, lettura, cepollaro template by Splinder 3 di 3 28-03-2009 12:40