Poesia da fare

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La distrazione è il secondo libro, dopo Inventari, di Andrea Inglese. Raccoglie e
riconosce un percorso di cinque anni puntellato da pubblicazioni parziali e provvisorie
ma già coaguli e segni di direzioni. Se di Inventari mi rimane come il retrogusto di
uno sguardo metallico quanto freddo sulle cose, di questo secondo libro mi resta come
la sensazione di una resa dialogica, di uno stare nelle cose e trovare un qualche modo
per starci, rinunciando all’inventario, rinunciando a guardare da fuori per
l’intollerabilità del dentro.
E di una sorta di resa coraggiosa e di sfida si tratta perché si tratta di riconoscere sin
dall’inizio che l’autobiografia è una calamità necessaria, come recita un suo verso
iniziale, e che la biografia è un’invenzione che presuppone la finzione di un ‘centro’
da cui partire. Dove il carattere di finzione è anche ipotesi ragionevole e non per forza
evasione o compensatoria affabulazione.
La sfida sta nel fatto che questo libro deve giocare le sue carte sul tavolo della lirica
dell’io sovvertendone sistematicamente le regole per non far torto all’intelligenza del
linguaggio, alla consapevolezza della sua arbitrarietà, ma neanche alle necessità della
vita, a ciò che semplicemente si vede e su cui non c’è sofisma o nominalismo che
tenga, perché è il corpo, quello personale ma anche quello planetario, ad esserne
martoriato. La biografia è l’enigma non il punto di partenza.
Si tratta allora di ‘mostrare la faccia violenta della lirica’. Stare nello spazio della
biografia solo per mostrare meglio quanti oggetti, quanta oggettività, quanto non-io vi
possa essere in una presunta autobiografia che invece di diventare autoreferenziale si
rovescia nel suo opposto: cercavamo la storia di un io e ci ritroviamo con i paesaggi e
le situazioni che sono comuni, comuni ma non partecipati, non detti o non detti
abbastanza, con questo mondo che è di tutti, anche se a tutti, in diverso modo, a
diverso titolo, viene negato. E’ la poesia della metropoli in questo caso a farsi
tradizione (e penso, per i poeti più vicini a noi, a Pagliarani e a Majorino, ma i
riferimenti andrebbero giù giù fino a Baudelaire…)
La faccia violenta della lirica è il quotidiano come sopravvivenza, la fatica, l’allegoria.
Ad un certo punto Inglese lo formula dicendo ‘il massacro è la mia storia in allegoria’.
Eppure con questo mondo c’è legame, fosse pure il paradosso di invertire i ruoli alle
cose: l’inorganico sembra vivere di vita propria, le macchine domestiche respirano
nella notte, mentre il vivo si interroga sulle sue percezioni ossificate, sulla sua
biografia che è già un mistero, una sorta di archeologia fossile, la cui vitalità
resterebbe come traccia e passato semisepolto.
Il tema dell’impermanenza ha un suo rilievo. Se non altro perché al divenire cieco
delle cose, alla consumazione, usura, non c’è né risposta metafisico-religiosa né
umanistica. E non c’è neanche l’esaltazione dionisiaca per il divenire, non c’è spirito
tragico: c’è la ricognizione secca o dolente di chi legge la suola delle sue scarpe per
28-03-2009 12:40
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risalire al suo andare, così come di scarpe si trattava da Van Gogh all’Heidegger dei
Sentieri Interrotti.
Il detrito, il taglio, la consunzione dei bordi, l’abrasione dell’attrito: queste cose
parlano della vita quando la vita di per sé è imparlabile.
L’oggettività di Inventari si scioglie un poco e si umanizza in un soggetto che
interroga la prossimità degli oggetti e le sue stesse passioni. E’ il collasso del soggetto
inventariante con la sua logica classificatoria (definire è già contenere) a vantaggio
dell’esposizione al pericolo dell’elegia e della consolazione. Rischio da correre, il
maggiore: quello dei passeri che spiccano il volo da una pagina all’ora del tramonto. E
qui del metallico neanche l’ombra. Ma neanche l’ombra vi è della logica accumulante
o combinatoria che pretenderebbe salvare solo in virtù di una presunta superiorità
dell’intelletto, una sorta di stoicismo cerebrale.
La calamità dell’autobiografia è proprio questo dover attraversare i terreni minati del
lirismo e riuscire a scansare le mine, o anche, a mettere nel conto che qualcuna possa
esplodere e intanto attrezzarsi perché non risulti letale.
E l’attrezzarsi è visibile in una poesia dove protagonisti sono gli asfalti e si capisce
che passeri e asfalti fanno parte dello stesso mondo la cui violenza sfigura e sforma e
che se c’è ancora da dire è proprio configurare insieme passeri e asfalti. Senza fare del
manierismo (nella versione nichilista della sestina incatenata o nella versione trash e
neo-pop della celebrazione apologetica del degrado naturalizzato).
Inglese esce dall’impasse di molta poesia sperimentale degli anni ’80 e ’90 proprio
perché si tiene lontano da questo manierismo e perché cerca nell’esperienza diretta il
rinnovarsi degli strumenti per una funzione intellettuale che non si vuole arrendere
allo stato delle cose, né tanto meno trarne profitto.
Lirica di ciò che resta dell’io (io è ciò che resta dell’espropriazione sistematica e
corporale compiuta dal mondo) e senza centro, oggetti imbevuti di pathos e poi
raccolta e provvisoria collocazione in testi, in sequenze di parole, in poesia.
Inglese ci parla di una vita, la sua, dove l’accadere è sotto traccia, è sempre sfondo e
dettaglio, è sempre al di sotto dell’occhio o al di sopra, o di fianco, dove l’orrore può
anche essere allucinatorio movimento di oggetti, dove il tempo non ha svolgimento
ma salti di traiettoria, indeterminati.
La sua non è una storia è una genealogia delle tracce: in controluce la violenza del
mondo si staglia come per inferenza e deduzione.
Dal punto di vista formale Inglese per dar corpo a questa relazione e a quest’alleanza
impossibile tra io e mondo deve rinunciare all’armatura paratattica e accumulante fino
al parossismo di Inventari. Non scruta più l’oggetto per passare subito a richiamarne
un altro, ma crea un discorso, si distende in frasi che descrivono, lega, collega, riflette
nello spazio creato, si allontana dal clima sperimentante dell’inizio, dove la
saturazione del campo è stilema distintivo.
E dunque se decide di interessarsi alla sua biografia è perché non c’è apporto
conoscitivo al di fuori dell’esperienza. Ma la biografia invece di essere punto di
partenza come nella poesia lirica tradizionale diventa il punto di arrivo.
Gli strumenti della poesia a servizio di un’intenzione veritativa, non ornamentale: era
questo l’approccio più generale e condiviso della rivista Baldus che vede Inglese tra i
redattori alla metà degli anni ’90. Era questo orientamento che teneva distanti dal
manierismo alto o basso e spingeva all’invenzione formale solo perché necessaria a
configurare realismi percepibili come contemporanei. Oggi il suo lavoro intenso sul
blog collettivo Nazione Indiana continua ed esplicita tale dimensione propria alla
funzione intellettuale: affrontare questioni scottanti di pubblico interesse ma con il
respiro largo della cultura e della lentezza.
Con questo libro di poesia l’intenzione veritativa e realistica assume il carattere
concreto di un raccontare di sé attraverso e insieme al proprio venir meno, al proprio
essere feriti, collezione di tracce, cataclismi, attraverso e insieme all’utilizzo di sé
come di una lente per rivelare la ‘segreta lotta dei viventi’. E la distensione, la non
contrazione, di questo secondo libro forse si spiega anche con il parallelo lavoro di
critico della cultura, lavoro che assorbe appunto parte di quel risentimento etico che in
Inventari irrigidiva a tratti il dettato e ne raffreddava l’andamento.
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28-03-2009 12:40
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Anche per l’attività sul blog Nazione Indiana si tratta di rapporto tra io e mondo,
anche lì si tratta di configurarlo…
Mi sono chiesto che tipo di legame intrecci questa forma di io con il mondo
configurato da questi versi e da quel lavoro critico.
Mi sono chiesto che tipo di alleanza sia ravvisabile. E la risposta che mi sono dato è la
sostanziale quanto impossibile corrispondenza tra la violenza che anima e sfregia il
mondo e la violenza che anima e sfregia questa biografia. Un teatro doppio in cui si
recita lo stesso soggetto.
postato da: cepo alle ore 17:40 | Permalink | commenti
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categoria:poesia, lettura, cepollaro
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