Sono - DAWN Study

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a cura di
Pierpaolo De Feo
Chiara Di Loreto
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Premessa
I dati dell’OMS (Organizzazione Mondiale della
Sanità) evidenziano come lo stile di vita sedentario può
rientrare tra le prime dieci cause di mortalità e inabilità
nel mondo. Numerose evidenze scientifiche oggi dimostrano in maniera chiara gli effetti benefici sulla salute
prodotti da un’attività fisica moderata purché svolta regolarmente.
Complessivamente, l’OMS stima che gli stili di vita
non salutari spiegano quasi il 50% delle malattie negli
uomini e quasi il 25% nelle donne, nei paesi europei più
sviluppati.
A livello mondiale, l’OMS stima che circa il 58% del
diabete mellito, il 21% della malattie coronariche e
quote comprese tra l’8 ed il 42% di certi tipi di cancro
sono attribuibili all’obesità.
E’ dimostrato che l’esercizio fisico riveste un ruolo rilevante nei confronti delle patologie cardiovascolari (infarto cardiaco e cerebrale, ipertensione arteriosa), delle
malattie endocrino-metaboliche (obesità, diabete,
osteoporosi) e rischio di cancro del colon e della mammella.
Sempre l’OMS stima che l’inattività fisica causa 1,9
milioni di decessi nel mondo. Essa è responsabile del 1016% dei casi di tumore del seno, del colon-retto e del
diabete mellito di tipo 2, e circa il 22% delle malattie
ischemiche.
Soprattutto l’esercizio fisico è il primo presidio terapeutico nella lotta all’obesità, vera pandemia moderna.
Per avere benefici,tuttavia, non è necessaria una pratica intensa dell’esercizio fisico, infatti si riscontra un miglioramento del proprio stato di salute anche solo facendo, nel corso della giornata, attività fisica moderata per
brevi periodi e ricercando occasioni per combattere la
sedentarietà.
Il semplice camminare ad andatura spedita per 30-60
minuti al giorno almeno 3 volte a settimana si associa
in maniera evidente alla riduzione dell’incidenza di mortalità per malattie cardiovascolari.
L’attività fisica, inoltre, aiuta a controllare il peso e riduce stress, ansia e senso di depressione, promuovendo
un concetto moderno di wellness.
Negli Stati Uniti, dove l’obesità sta diventando una vera piaga sociale ed economica, il Piano Sanitario
Nazionale “Healthy People 2010” individua l’incremento
dell’attività fisica come uno dei principali obiettivi di salute per il Paese, e definisce in maniera chiara i programmi per incentivarne la pratica in tutte le fasi della vita (solo il 25% degli adulti pratica attività fisica secondo i livelli minimi raccomandati, cioè 30 minuti di attività modera-
ta almeno 5 giorni alla settimana oppure 20 minuti di attività intensa 3 o più volte alla settimana).
Il diabete è tra le patologie per le quali si ha a disposizione la maggiore quantità di evidenza in termini di
dati politici, economici e clinici sui benefici dell’attività
motoria nella lotta contro la “diabesità”, neologismo
che sintettizza in modo efficace la patologia combinata
obesità/diabete.
I dati italiani del Progetto DAWN (Diabetes Attitudes
Wishes e Needs), individuando le aree critiche nel percorso di cura della persona con diabete, in particolare
quelle dovute all’impatto psicosociale della malattia,
fanno emergere le carenze del processo assistenziale alle quali va rivolta grande attenzione sia a livello nazionale che globale. Tali risultati, riferiti alla popolazione
diabetica adulta che include una piccola popolazione di
immigrati, evidenziano l’esistenza di barriere comunicative tra operatori sanitari e tra operatori sanitari e persone con diabete, di interruzioni nella continuità assistenziale, di scarsa adesione alla terapia farmacologica e
non farmacologica (dieta e attività fisica) da parte dei
pazienti, con ricadute sullo stato psicologico e sulla vita
personale e familiare della persone con diabete.
L’enunciazione delle “Call to action”, permette alle
Amministrazioni e ad altre Istituzioni pubbliche o private di formulare strategie che riguardino non solo i bisogni sanitari, ma anche quelli psicosociali delle persone
con il diabete.
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Le “Call to action” dello studio italiano individuano la
necessità che le Istituzioni utilizzino adeguati modelli di
gestione della cronicità e individuino strategie per migliorare l’adesione alla terapia farmacologica e non farmacologica, e il vissuto psicologico e l’impatto sociale
della malattia, rinforzando il ruolo della famiglia e di un
Associazionismo responsabile. Il progetto si inserisce
correttamente nel contesto internazionale secondo
quanto delineato dalle Direttive Europee del 2006, dalla
Risoluzione ONU del Dicembre 2006, dalle conclusioni
del Forum di New York del marzo 2007 e dai lavori della
Commissione Europea su “Information to patient”.
Queste iniziative, infatti, ponendo l’accento sulla necessità di sviluppare politiche nazionali per la prevenzione, il trattamento e la cura del diabete in linea con lo sviluppo sostenibile dei vari sistemi di assistenza sanitaria,
evidenziano l’importanza di individuare e adottare strumenti utili per valutare e interpretare la domanda di salute, al fine di formulare risposte adeguate.
È necessario che nella gestione di persone con patologie cronice come il diabete si attui un cambiamento
culturale in modo che termine “curare” assuma il significato di “prendersi cura”, tenendo presente che la “salute” è un bene alla cui “produzione” concorre
l’impegno del mondo della Sanità, di altri settori e della
persona con patologia.
Questo “Barometro su Diabete e stile di vita”, sviluppato dal gruppo Wellness Metabolico, vuole essere la
prima delle risposte alle “call to action” del progetto
DAWN mediante l’individuazione, nella promozione dell’attività motoria e del corretto stile di vita, lo strumento
primario nella prevenzione e nel miglioramento della
qualità di vita della persona con diabete.
L’enunciazione dell’OMS nell’atto costitutivo del
1948 secondo cui “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattie e di infermità” appare quanto mai attuale
e diventa oggi un obiettivo sul quale impegnarsi concretamente per individuare le opportune strategie politiche,
sociali e sanitarie.
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La salute è uno stato di completo benessere fisico,
mentale e sociale e non la semplice
assenza di malattie e di infermità
World Health Organization Constitution
Geneva, 1948
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INDICE
Prefazione - Sen. Livia Turco,
Ministro della Salute
Prefazione - On. Giovanna Melandri,
Ministro per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive
Prefazione - Prof. Antonio Gaglione
Sottosegretario di Stato al Ministero della Salute
Prefazione - Prof. Luciano Modica
Sottosegretario all’Università e alla Ricerca
Prefazione - Prof. Massimo Massi Benedetti
Vice President of International Diabetes Federation
Prefazione - Prof. Riccardo Vigneri
Presidente di Diabete Italia e della SID
(Società Italiana di Diabetologia) - Prof. Pierpaolo De Feo
Coordinatore del Gruppo Attività Fisica di Diabete Italia
e del Gruppo Wellness Metabolico del Progetto Dawn Italia
Prefazione - Dott. Adolfo Arcangeli Presidente AMD
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IL RUOLO DELL’ATTIVITÀ FISICA
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10. E’ possibile prevenire il diabete mellito di tipo 2?
L’esperienza statunitense (Chiara Di Loreto)
11. E’ possibile prevenire il diabete mellito di tipo 2?
L’esperienza finlandese (Chiara Di Loreto)
12. Gli effetti benefici dell’attività motoria
sullo stato di salute (Pierpaolo De Feo)
13. Attività fisica e qualità della vita nella persona
con diabete (Giulio Marchesini)
14. Perché l’attività fisica è così efficace? Born to Run (Pierpaolo De Feo)
15. I risultati italiani degli studi di intervento con attività fisica nel DM2:
L’esperienza di Perugia (Chiara Di Loreto)
16. I risultati italiani degli effetti dell’attività fisica nel diabete mellito di DM2:
Lo studio MIND-IT (Gruppo di studio diabete ed aterosclerosi della SID)
17. I risultati italiani degli effetti dell’attività fisica nel diabete mellito di tipo 2:
Lo studio IDES (Stefano Balducci)
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LE STRATEGIE
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LA PANDEMIA SILENTE
1. Il peso del mondo
2. Pandemia del diabete: dati mondiali (Riccardo Vigneri)
3. Pandemia del diabete: dati italiani attuali
e prospettive future (Adolfo Arcangeli)
4. Obesità e diabete tipo 2 nel bambino:
dati nazionali ed internazionali (Claudia Brufani, Marco Cappa)
5. Livelli di attività motoria nella popolazione italiana:
Dati ISTAT 2006 (Chiara Di Loreto)
6. Livelli di attività motoria nelle persone con diabete in Italia:
rapporto del progetto Dawn Italia (Marco Comaschi)
7. Livelli di attività motoria nelle persone con diabete in Italia:
indagine conoscitiva sulla promozione dell’attività fisica
negli ambulatori diabetologici italiani (Gerardo Corigliano)
8. Il costo economico del diabete
9. Il risparmio di spesa (Pierpaolo De Feo)
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18. Strategie europee - Documento estratto dalla Conferenza Ministeriale
dell’OMS
19. Le strategie del Ministero della Salute per incrementare la pratica
dell’attività motoria (Paola Pisanti)
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20. Il Programma “guadagnare salute” (Donato Greco)
21. Protocollo d’intesa tra il Ministro della Salute e il Ministro
delle Politiche Giovanili e le Attività Sportive (Chiara Di Loreto)
22. Da un punto di vista politico: Costruire una spinta politica
al cambiamento - barriere e forze motrici (Vincenzo Scotti)
23. Strategie per migliorare lo stile di vita dei bambini italiani:
il Progetto Educagiocando (Simona Frontoni)
24. Strategie per migliorare lo stile di vita della popolazione adulta italiana:
il Progetto “Io Muovo la Mia Vita” (Pierpaolo De Feo)
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IL RUOLO GLI OPERATORI
31. Diabete e Attività Fisica:
il ruolo del medico dello sport (Maurizio Casasco)
32. Diabete e Attività Fisica:
il ruolo del laureato in Scienze Motorie (Vilberto Stocchi)
33. Diabete e Attività Fisica: Il ruolo dell’infermiere (Mariangela Ghidelli )
34. Diabete e Attività Fisica: il ruolo delle associazioni
persone con diabete - l’ANIAD (Gerardo Corigliano)
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IL DIABETE E IL MONDO DELLO SPORT
37. Federazione Italiana Hockey su Prato (Luca Di Mauro)
38. Un campione dello sport impegnato nel promuovere
l’attività motoria (Maurizio Damilano)
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LE ESPERIENZE DELLE PERSONE CON DIABETE
LA MOTIVAZIONE ALL’ATTIVITÀ FISICA
25. Diabete e Attività Fisica: il ruolo
dell’Educazione Terapeutica (Aldo Maldonato)
26. Il counseling individuale (Chiara Di Loreto)
27. Diabete e Attività fisica: il ruolo del counseling
di gruppo (Marina Trento)
28. Uso dell’autobiografia narrativa per la motivazione
all’autocontrollo del diabete e all’attività fisica (Natalia Piana)
29. Fare costa, non fare costa di più (Dario Laruffa)
30. Questione di peso (Maria Rita Montebelli)
35. Diabete e Attività Fisica: il ruolo dei centri multidisciplinari Il Centro Studi e Ricerche di Catania (Maurizio Di Mauro)
36. Diabete e Attività Fisica: il ruolo dei centri multidisciplinari:
il Centro C.U.R.I.A.MO. (Pierpaolo De Feo)
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49.
La persona con diabete come esempio (Sergio Galbiati)
Nicolas Amodio
Simone Donadello
Diego Franceschini
David Panichi
Marco Peruffo
Pippo Pipitone
Monica Priore
Mauro Sormani
Mauro Talini
Mattia Tanza
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LE CONCLUSIONI
50. Diabete e attività fisica: quale tipo,
intensità e quantità? (Pierpaolo De Feo)
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51. Proposta di intervento integrato multidisciplinare: implementazione in Italia
delle linee guida internazionali (Pierpaolo De Feo, Chiara Di Loreto )
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52. Il nostro punto di Vista: Tante Parole, Ora Agiamo
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Sen. Livia Turco
Ministro della Salute
Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito, in particolare nel mondo occidentale, ad un progressivo cambiamento del quadro socio-sanitario soprattutto per le
aumentate aspettative di vita e per il supporto che a
questa aspettativa si deve offrire.
I Sistemi Sanitari Nazionali infatti tendono, molto di
più che nel passato, a programmare azioni di prevenzione che favoriscano un processo coordinato di cura e di
attenzione alla salute dei cittadini.
Il “Barometro” inteso come sistema di misurazione
del fenomeno diabete, non solo in termini di patologia
ma anche di prevenzione, si inquadra senz’altro in questo nuovo approccio culturale ed operativo che anche il
Piano Sanitario Nazionale 2006/2008 ha adeguatamente sancito.
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Inoltre, il fatto che il progetto “Barometro” sia nato a
seguito delle raccomandazioni espresse a tutti i Paesi
nella Risoluzione delle Nazioni Unite sul diabete del dicembre 2006 e che sia stato presentato nel primo
“Changing Diabetes Leadership Forum” tenutosi a New
York nel marzo 2007 alla presenza di 20 delegazioni di
altrettanti Paesi, ne aumenta il valore soprattutto in termini di impegno “del fare” piuttosto che “del dire”.
Il “Barometro” quindi si pone come catalizzatore di
conoscenze ma anche come promotore di soluzioni per
arginare la pandemia del diabete sia dal punto di vista
dei cittadini generando informazione sui corretti stili di
vita, sia dal punto di vista delle istituzioni, sollecitando
la collaborazione di più attori.
Tale iniziativa si inquadra perfettamente nel progetto “Guadagnare Salute”, promosso dal Ministero della
Salute, che ha come obiettivo la maggiore diffusione
possibile di scelte di vita salutari, incentivando soprattutto l’attività motoria e la sana alimentazione.
Si tratta di un intervento intersettoriale teso a coinvolgere tutti i “protagonisti” di quella filiera complessa
che è il “sistema salute” per raggiungere obiettivi ambiziosi: migliorare la qualità della vita, diminuire il numero
delle cronicità e trasferire il conseguente risparmio dei
costi dalla cura alla prevenzione.
Mi compiaccio dunque per questa iniziativa, il
“Barometro”, che ben si inquadra in questa nuova filosofia pienamente condivisa dal Ministero della Salute,
vale a dire di privilegiare quei progetti che mettono in
primo piano non più la persona con diabete ma la persona, con le sue aspettative e le sue necessità.
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Giovanna Melandri
Ministro per le Politiche Giovanili
e le Attività Sportive
Migliorare la salute dei cittadini è un obiettivo da perseguire con grande impegno ed attenzione. Un intervento efficace e concreto sui principali fattori di rischio consente infatti di migliorare la qualità della vita dei malati,
riducendo l’impatto di alcune patologie. Per rendere
possibile questo intendimento risulta necessario che le
istituzioni mettano in campo scelte tese a promuovere la
cultura della prevenzione.
È dunque fondamentale che coloro che rivestono incarichi nelle amministrazioni dello Stato considerino strategico l’investimento per promuovere tra le diverse fasce
di cittadini - giovani e anziani, uomini e donne - stili di vita corretti e salutari. In tal senso, per ciò che concerne le
specifiche competenze del POGAS (Ministro per le
Politiche Giovanili e le Attività Sportive), abbiamo ritenu-
to necessario portare avanti azioni che rafforzino la combinazione tra pratica sportiva e benessere. Indirizzare i
cittadini allo sport, infatti, vuol dire prevenire l’insulinoresistenza e il diabete mellito.
Mentre in passato vi era la tendenza a vietare
l’attività fisica alle persone con diabete, studi recenti dimostrano come un’attiva motoria svolta con accortezza
produca un miglioramento complessivo dello stato di salute di una persona con diabete. Lo sport, inoltre, aiuta
ad aumentare l’autostima, favorisce la socialità ed è, soprattutto, un piacevolissimo momento di svago e di divertimento.
Il Governo Prodi, con la ratifica del programma quadro “Guadagnare salute”, ha gettato le basi di un grande mutamento culturale. Una politica efficace per la promozione di stili di vita salutari non deve limitarsi a contemplare i successi conseguiti ma mettere a punto nuove strategie. In tal senso, l’obiettivo del prossimo futuro
è quello di moltiplicare gli interventi tesi a promuovere
l’attività motoria sul territorio coinvolgendo un numero
sempre maggiore di cittadini.
Costruire “buone pratiche” e promuovere la dimensione sociale dello sport, dunque, è tra i nostri obiettivi
principali e stiamo già lavorando in questa direzione.
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Prof. Antonio Gaglione
Sottosegretario di Stato al Ministero
della Salute
II risultati di un importante studio dell’Oms sui fattori di rischio suggeriscono che lo stile di vita sedentario
(sedentary lifestyle) è una delle dieci cause di morte e
inabilità nel mondo. L’inattività fisica aumenta la mortalità per tutte cause, raddoppia il rischio di malattia cardiovascolare, di diabete di tipo 2 e di obesità. Inoltre,
espone maggiormente ai rischi di cancro al seno e al
colon, aumenta l’alta pressione sanguigna e i livelli di
colesterolo nel sangue, non difende la persona dall’osteoporosi, non favorisce la circolazione capillare in
grado di limitare la mortalità per eventi cardiaci; e per
di più l’inattività favorisce depressione e ansia.
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Le diete non sane, l’eccesso calorico, la sedentarietà,
l’obesità e le altre malattie croniche (spesso associate in
un unico individuo) sono il più grande problema di sanità pubblica nella maggior parte dei paesi del mondo
industrializzato.
Più di un miliardo di adulti nel pianeta presentano un
sovraccarico ponderale. Questa condizione minaccia in
modo particolare le fasce giovanili e l’infanzia, e comporta trasformazioni metaboliche che si riflettono sulla
tensione arteriosa, sui livelli di colesterolo e trigliceridi,
sulla resistenza all’azione dell’insulina: il sovrappesso,
se non adeguatamente limitato con dieta e attività fisica, sconfina irreparabilmente nell’obesità.
La pratica sportiva da proporre a tutti per ottenere
effetti benefici sulla salute deve essere di tipo aerobico.
Questa pratica necessita di un modesto impegno cardio-circolatorio e consente di protrarre lo sforzo più a
lungo. In questo modo è possibile, sostenendo l’attività
per almeno mezz’ora, abbassare i livelli di zucchero nel
sangue, perdere modeste quantità di grassi, migliorare
la circolazione capillare, e accelerare il metabolismo
nelle ore successive all’attività.
Di minore impatto sulla salute sono gli effetti della
pratica anaerobica che se non correttamente eseguita
con l’ausilio di istruttori molto qualificati, può al contrario ingenerare traumi e problemi muscolari.
Per tutte queste ragioni è necessario proporre alla
popolazione una costante attività fisica da svolgere a
tutte le età e senza fare ricorso a pratiche particolarmente impegnative: bastano lunghe camminate, una
moderata attività di jogging o una sana pedalata per
fornire al nostro organismo i preziosi effetti della pratica aerobica.
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Prof. Luciano Modica
Sottosegretario all’Università
e alla Ricerca
Ho avuto modo di esaminare il primo lavoro del
gruppo di studio Wellness Metabolico del Progetto
DAWN Italia ed ho constatato la portata dell’opportunità offerta da questo strumento.
Si tratta, come gli stessi componenti del gruppo lo
definiscono, di un “barometro” che ha lo scopo di
misurare e documentare lo stato della pratica dell’attività motoria, i risultati degli studi completati ed in
corso al fine di proporre ed implementare le strategie
per aumentare i livelli di attività fisica nella popolazione con diabete.
In effetti questa patologia ha assunto proporzioni tali
da farla ritenere a ragione una malattia sociale, tanto
più perniciosa quanto meno conosciuta nella sua silenziosa gravità.
Le cifre sono rilevanti ed in costante ascesa. Alcune
fonti dichiarano che vi sono oltre 5 milioni di persone
con diabete soltanto in Italia e si dice che i numeri del
“sommerso”, cioè di chi non sa di esserne affetto,
potrebbero essere ben superiori.
E’ un fenomeno di cui è giusto prendere coscienza a
livello multidisciplinare soprattutto per creare un fronte
comune in grado di programmare un’azione di difesa e
prevenzione.
La ricerca scientifica è una parte importante della
futura possibilità disporre di soluzioni che possano
migliorare la qualità di vita della persone con diabete, e
in questo i ricercatori italiani sono certamente tra i più
attivi in questo campo. Non bisogna dimenticare che un
presidio importante e oggettivamente salutare è costituito dall’informazione sui benefici dell’attività fisica
soprattutto quando diventa una terapia per affrontare
questa patologia.
Non si può che concordare con quanto affermato più
volte dal gruppo Wellness Metabolico nel corso di questo lavoro sulla necessità di migliorare le conoscenze
del grande pubblico sulla necessità di curare il corpo
attraverso l’attività fisica e sportiva.
A questa domanda il sistema universitario italiano ha
risposto fin dal 1998 istituendo il Corso di Laurea in
Scienze Motorie con l’obiettivo di formare professionisti
accreditati su cui poter contare per la diffusione della
cultura del benessere.
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Prof. Massimo Massi Benedetti
Vice President
of International Diabetes Federation
E’ con grande soddisfazione che la IDF (International
Diabetes Federation) accoglie il presente documento che
ha l’obiettivo di censire lo stato dell’attività fisica delle
persone con diabete in Italia. La promozione di un corretto stile di vita è una fondamentale mission del cammino iniziato dall’IDF nell’ormai lontano 1989 con la
promulgazione, in collaborazione con l’Organizzazione
Mondiale della Sanità, della Dichiarazione di St. Vincent
e proseguito con la dichiarazione di Vienna sulle EU
Policy Recommendations on Diabetes degli europarlamentari e con la risoluzione del dicembre 2006
dell’ONU che ha riconusciuto il 14 novembre - l’attuale
Giornata Mondiale del Diabete - quale giornata delle
Nazioni Unite.
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Nell’esprimere l’orgoglio di avere originato e sostenuto il movimento che ha prodotto tale importante risultato, si deve sottolineare come questo non sarebbe stato possibile senza la collaborazione e la sinergia fra le
associazioni professionali e di volontariato, le istituzioni
pubbliche e private nazionali ed internazionali alle quali, a nome dei cittadini europei con diabete, deve andare un grande ringraziamento per il sostegno morale e
materiale profuso.
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Prof. Riccardo Vigneri
Presidente di Diabete Italia e della SID
(Società Italiana di Diabetologia)
Prof. Pierpaolo De Feo
Coordinatore del Gruppo Attività Fisica
di Diabete Italia e del Gruppo Wellness
Metabolico del Progetto Dawn Italia
Diabete Italia e la Società Italiana di Diabetologia
sono seriamente impegnati per aumentare i livelli di
attività fisica della nostra popolazione e, in particolare,
dei soggetti con diabete mellito di tipo 2 o a rischio di
sviluppare il diabete.
Il Gruppo Attività Fisica di Diabete Italia promuove
una serie di iniziative volte a diffondere tra la popolazione italiana la consapevolezza dei benefici della rego-
lare attività motoria (vedasi progetto Io Muovo la Mia
Vita) e sostiene la ricerca scientifica e corsi di formazione per operatori sanitari sul ruolo terapeutico dell’attività fisica nelle persone con diabete. In questa ottica la
Società Italiana di Diabetologia ha di recente siglato un
accordo con la Società Italiana di Medicina Sportiva per
organizzare dei corsi di formazione rivolti sia ai medici
diabetologi che ai medici dello sport al fine di implementare ed ottimizzare l’uso dell’attività motoria per la
prevenzione e la cura del diabete mellito di tipo 2.
Il primo Barometro Italiano su diabete e attività fisica in Italia, curato dal gruppo Wellness Metabolico del
progetto Dawn Italia e accreditato dal Ministero della
Salute, ha l’obiettivo di fornire un agile ed utile strumento per gli operatori del settore socio-sanitario. Il
Barometro riassume lo stato dell’arte sulla ricerca scientifica nel settore, le evidenze prodotte in letteratura sui
benefici dell’attività fisica nelle persone con diabete sia
in termini di salute che di risparmio della spesa sanitaria, le ricerche epidemiologiche e gli studi di intervento
eseguiti o in corso nel nostro Paese, il ruolo che possono svolgere le varie figure professionali e, infine, le proposte di modelli organizzativi per implementare
l’attività motoria nel diabete. Si tratta di una prima fotografia dello stato dell’arte dell’attività fisica nel diabete;
gli aggiornamenti periodici costituiranno uno strumento di valutazione sull’efficacia degli interventi tesi a
migliorare i livelli di attività fisica della popolazione italiana.
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Dott. Adolfo Arcangeli
Presidente AMD
Obesità e diabete rappresentano, in Italia e in Europa,
un problema di salute particolarmente preoccupante per
la rapidità della progressione del fenomeno che, nell’arco di due decadi, si è triplicato.
Definire obesità e diabete (la Diabesità) una pandemia globale non costituisce un’esagerazione.
I dati oggi in nostro possesso ci indicano che in Italia
4-5 abitanti su 10 soffrono di sovrappeso o sono obesi,
con tassi più elevati nelle regioni meridionali e con una
tendenza all’aumento negli ultimi anni. Questo fenomeno, che non risparmia i bambini, avrà una incidenza considerevole sul numero di persone, adulti e bambini, che
nei prossimi anni svilupperanno il diabete di tipo 2.
Le conseguenze per gli individui e la società sono serie in termini di riduzione sia dell’aspettativa sia della
qualità della vita, con notevoli ricadute anche economiche, questo soprattutto a causa delle complicanze che la
persona con diabete può sviluppare.
Questi sono dati di fatto che devono fare riflettere e,
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soprattutto, agire con urgenza.
Un altro aspetto sul quale soffermarsi è caratterizzato da due equilibri fondamentali. Il primo è quello
tra un’alimentazione sana e livelli adeguati di attività
fisica. Il secondo concerne la responsabilità individuale nei confronti della salute, le scelte dettate da
informazione ed educazione corrette e basate sull’evidenza scientifica, nel rispetto, ove possibile, dei
contesti culturali delle varie entità regionali, e responsabilità dei governi e delle istituzioni nazionali,
regionali e locali nel creare e promuovere ambienti e
contesti favorevoli a scelte salutari.
In questo un compito fondamentale è assolto dalla
comunità scientifica che deve poter adottare strategie
mirate basate su linee guida condivise e percorsi cognitivi e formativi valicati.
In campo nutrizionale è necessario diffondere informazioni chiare e corrette, per raggiungere un livello di
piena consapevolezza e responsabilità del consumatore,
evitando confusione e disorientamento nella popolazione. L’adozione di un corretto stile di vita non può essere
imposta per legge. L’educazione alimentare e
l’autoregolamentazione da parte dell’industria alimentare in accordo con le istituzioni governative sulla base
di stringenti codici etici di comportamento, restano gli
strumenti di gran lunga più efficaci.
Una precisa fotografia del diabete in Italia non può
prescindere da una analisi delle complicanze croniche
tardive della malattia che, in un epoca in cui è ormai raro il decesso per cause acute, ne rappresentano il vero,
principale, costo umano ed economico.
In Italia la cura per il diabete assorbe il 6,65% della
spesa sanitaria complessiva, con un costo per persona
con diabete che è più del doppio della media nazionale.
E allora è necessario lavorare su indicatori che misurino la qualità dell’assistenza diabetologica e i risultati
anno dopo anno raggiunti.
L’Associazione Medici Diabetologi (AMD) ha realizzato
un database nazionale, pubblicato con il titolo di “Annali”,
che include i dati clinici completi di oltre 135.000 assistiti
che hanno usufruito della assistenza diabetologica dal
2004 ad oggi, in 75 Centri di diabetologia distribuiti sul territorio Italiano. Da questo enorme database è stato possibile desumere importanti informazioni riguardo la realtà assistenziale per il diabete nel nostro Paese.
Questo fa parte della mission dell’AMD, che storicamente ha individuato nell’educazione terapeutica l’elemento “fondamentale” del Percorso Assistenziale incentrato sulla persona con
diabete.
Lavorare su indicatori relativi allo stile di vita appare
necessario e importante. Per questo, il Barometro sullo
stile di vita è uno strumento significativo nei percorsi di
prevenzione che l’intera comunità scientifica e i decisori
politici devono adottare.
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LA PANDEMIA SILENTE
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1. Il peso del mondo
Weight of the World Report
I
l report “Weight of the World” sottolinea la necessità
di agire subito nel combattere l’aumento di peso nel
diabete
Un report che intende stimolare medici e persone con
diabete a non accettare più l’aumento di peso come
prezzo inevitabile da pagare a fronte del controllo glicemico
Il report “Weight of the World”, scritto da alcuni fra i
massimi esperti mondiali nel campo del diabete, affronta ed esplora gli effetti deleteri che l’aumento di peso
(causato sia dallo stile di vita che dai trattamenti) provoca alle persone con diabete a livello sia fisiologico che
psicologico.
20
L’aumento considerevole di sovrappeso ed obesità a
livello mondiale ha portato il numero di persone affette da diabete di tipo 2 a livelli epidemici: questi due
elementi combinati sono in procinto di superare il fumo
quale fattore nei tassi di mortalità a livello mondiale.
Sir George Alberti, Professore Emerito di Medicina
presso la University of Newcastle, autore della prefazione
del report, commenta così: “Questo report viene al momento opportuno, dato che siamo quasi giunti al punto di
non ritorno in termini di aumento rapido ed esponenziale
del diabete di tipo 2. Se il numero di persone con diabete,
sovrappeso ed obesità continua ad aumentare di questo
passo, la nostra generazione e quelle future saranno totalmente gravate dalle patologie, dai costi e dalla mortalità
associata al diabete.”
“Fermo restando che il controllo glicemico è
l’obiettivo principale, occorre considerare ed inquadrare
l’aumento di peso quale parte fondamentale della gestione diabetica”, afferma il Dr. Vivian Fonseca,
Professore di Medicina e primario della Sezione di
Endocrinologia presso la Tulane University Medical
Center a New Orleans, Louisiana (USA). “Una scelta attenta fra le terapie disponibili, e la gestione dell’alimentazione e dello stile di vita possono contribuire a ridurre
al minimo l’aumento di peso nelle persone con diabete.”
Il report evidenzia e sostiene che anche una relativamente modesta perdita di peso è in grado di produrre un
miglioramento del controllo glicemico e di ridurre il rischio di malattie cardiache, e può inoltre prolungare la
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sopravvivenza alle persone con diabete.
E’ stato riscontrato come sia il diabete che l’obesità
stiano aumentando a ritmo rapido. Nel 1994 fu calcolato che il numero di persone affette da diabete sarebbe
arrivato a 239 milioni entro il 2010. Oggi, a tre anni dai
quella data, questo numero ha già raggiunto e superato
tale previsione, con circa 246 milioni di persone che in
tutto il mondo convivono con il diabete. Una buona percentuale di questo numero è causata dall’epidemia di
obesità. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
ha calcolato che oggi vi sono 1,6 miliardi di adulti (di età
superiore a 15 anni) sono sovrappeso ed almeno 400
milioni di adulti che sono clinicamente obesi – il doppio
della previsione di 200 milioni del 1995 [OMS, 2006]
Un dilemma per il medico: la scelta difficile fra
controllo glicemico ed aumento di peso
Un buon controllo glicemico nelle persone con diabete riduce al minimo l’insorgenza e la progressione di
complicanze; questi benefici sono indubbi e pertanto negli ultimi decenni il controllo glicemico ha rappresentato
l’obiettivo clinico nei diabetici.
Tuttavia, il diabete di tipo 2 è una malattia progressiva, e nel corso del tempo la funzione delle cellule beta
del pancreas si deteriora e provoca una ridotta produzione di insulina e livelli glicemici sempre più elevati nel
corso della giornata. Di conseguenza, con il progredire
della malattia, gli agenti antidiabetici orali rischiano di
diventare sempre meno in grado di controllare in manie-
ra efficace i livelli glicemici ed è altrettanto probabile che
aumenti la necessità di iniziare precocemente il trattamento con insulina. Si stima che oltre il 50% delle persone con diabete di tipo 2 richiederà il trattamento insulinico per un efficace controllo glicemico entro 6 anni
dalla diagnosi [Wright, 200]
Nel trattare il diabete di tipo 2, il medico si trova ad
affrontare un dilemma dato che il controllo glicemico
può essere associato all’aumento di peso. Si ritiene
spesso che con la terapia insulinica l’aumento di peso
sia inevitabile, soprattutto perché i medici si prefiggono
un controllo glicemico rigoroso e fanno ricorso a regimi
intensivi di aggiustamento della dose di insulina
[Hermansen, 2007]. Questo approccio è sicuramente
corretto; le linee guida internazionali attuali per la gestione delle persone con diabete di tipo 2 raccomandano l’aggiunta in fase precoce di insulina nelle persone
con diabete che non riescono ad ottenere buoni livelli
glicemici [Nathan, 2003]. L’insulina deve essere considerata non come ‘ultima risorsa” ma come un elemento
fondamentale del trattamento del diabete per aiutare, il
più precocemente possibile, a rallentare la progressione
delle condizioni [Palumbo]. Ma l’aumento di peso è davvero un effetto collaterale inevitabile della terapia insulinica? Dal momento in cui si avvia la terapia con insulina, le persone con diabete aumentano in media di 4-5
kg [UKPDS 33, 1998]. E’ chiaro come la gestione del peso sia essenziale per un esito ottimale del trattamento
delle persone affette da diabete e dovrebbe costituire un
elemento cruciale nel corso della progressione della patologia.
Per questi motivi, e grazie all’associazione di interventi sullo stile di vita al trattamento con insuline di nuova generazione, l’aumento di peso che è tradizionalmente associato all’insulina non deve più essere considerato
come inevitabile.
Conclusioni Chiave
Sia il diabete che l’obesità hanno raggiunto livelli di
epidemia, sono in rapido aumento e rischiano di sfuggire al controllo.
La combinazione di diabete ed obesità rappresenta
una delle principali sfide sanitarie del 21° secolo – la
“diabesità”.
L’aumento di peso rappresenta un problema comune
con le tradizionali terapie insuliniche, ed il timore di aumentare di peso costituisce uno dei principali ostacoli all’avvio oppure all’intensificare la terapia insulinica, e
può in maniera notevole influenzare la aderenza rispetto al trattamento.
Il ritardare l’avvio oppure l’intensificazione della terapia con insulina può provocare conseguenze serie; per la
sua capacità di ridurre i livelli glicemici e ridurre le complicanze associate al diabete, l’insulina non deve essere
considerata come “ultima risorsa”.
Fermo restando che il controllo glicemico rimane
l’obiettivo chiave, è importante evitare l’aumento di peso, soprattutto nel momento in cui le persone con diabe21
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te vengono convertite all’insulina. Una attenta scelta
delle terapie disponibili e la gestione della alimentazione e dello stile di vita possono contribuire a ridurre al minimo l’aumento di peso nelle persone con diabete.
Necessità di agire
La diabesità rappresenta una delle problematiche più
significative e sfide che l’uomo dovrà affrontare nel 21°
secolo. E’ necessario che operatori sanitari,medici e persone con diabete mettano in atto una azione immediata
e congiunta per evitare che questa epidemia sfugga al
nostro controllo.
1. Raccomandazioni per i medici che trattano
persone con diabete:
Evitare di procrastinare fino a che sia troppo tardi: le
persone con diabete il cui controllo glicemico è insoddisfacente con la terapia antidiabetica orale devono essere convertiti ad un regime insulinico per contribuire a migliorare la gestione del diabete
Impegnarsi al massimo per promuovere un perfetto
stile di vita.
Non accettare la percezione che l’aumento di peso
sia un prezzo inevitabile da pagare per il migliore controllo glicemico offerto dall’insulina
Continuare a confrontarsi e a lavorare insieme alle
persone con diabete per affrontare e sottolineare
l’importanza della gestione del peso
22
2. Raccomandazioni per le persone con diabete
Il peso va gestito con lo stesso rigore dei livelli glicemici: anche una modesta riduzione di peso può portare
a benefici significativi per la salute.
E’ importante insistere sul proprio diritto a ricevere un
trattamento per il diabete che porti un aumento di peso
inferiore.
Informazioni relative al Report
Weight of the World
Il report “Weight of the World“è una analisi di ricerca clinica, studi ed indagini relativi all’aumento di peso
nel diabete ed all’impatto causato a livello fisico che
psicologico sia sulle persone con diabete che sui medici
stessi. Esplora il simultaneo aumento dell’epidemia di
diabete ed obesità, ed il legame inestricabile che li unisce.
Il report è stato redatto dal Dr Vivian Fonseca,
Dr Frank Snoek, Dr Andreas Liebl, mentre la prefazione
è stata scritta dal Professor Sir George Alberti. E’ stato
realizzato grazie ad un grant educativo di Novo
Nordisk.
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Riccardo Vigneri
Presidente di
Diabete Italia e della SID
(Società Italiana di Diabetologia)
2. Pandemia del diabete
dati mondiali
L’
Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) è
seriamente preoccupata per la crescita di tipo
pandemico dell’obesità e del diabete sia nei Paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo. Al giorno
d’oggi più di 1,1 miliardi di adulti sono in sovrappeso, e
di questi 312 milioni sono obesi. Si stima che il numero
delle persone con diabete aumenterà dai 171 milioni
attuali a 366 milioni entro 2030, quello delle persone
con ipertensione arteriosa da 1 miliardo a 1,56 miliardi
entro il 2025. L’incidenza e la prevalenza di obesità e
diabete tra i bambini sta crescendo con conseguenze
allarmanti. Negli USA si stima che, a meno che non si
modifichino le condizioni ambientali, la probalità di sviluppare il diabete da adulti per i nati nel 2000 sarà pari
24
al 30 % se di razza caucasica e al 50% se di razza ispanica. Ancora più preoccupante è la situazione nei paesi
poveri che stanno attualmente vivendo la fase di industrializzazione e modernizzazione. Si stima che nel 2030
in India si passerà da 31 a 79 milioni di persone con diabete ed in America Latina da 13 a 33 milioni con tassi
di crescita di ben il 150%.
La pandemia obesità/diabete è causata dalla combinazione di una crescente diffusione di erronee abitudini
alimentari (favorite dal fatto che il cibo più economico è
quello pre-confezionato, più ricco in grassi e calorie) e
del drastico calo dei livelli di attività fisica. La società è
diventata molto più sedentaria rispetto al secolo scorso
e i crescenti livelli di inattività, associati ad una dieta
inadeguata, portano un numero sempre maggiore di
persone a sviluppare condizioni come obesità, insulinoresistenza e diabete mellito di tipo 2.
In un recente documento, l’OMS afferma: “L’inattività
fisica è causa di 2 milioni di morti all’anno nel mondo,
circa il 10-16% di casi di cancro del colon, mammella e
diabete di tipo 2, e circa il 22% dei casi di cardiopatia
ischemica”. E’ ora ben documentato nella letteratura
che crescenti livelli di attività fisica giocano un ruolo critico nella prevenzione e gestione di queste condizioni.
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Adolfo Arcangeli
Presidente AMD
(Associazione Medici Diabetologi)
3. Pandemia del diabete
dati italiani attuali
e prospettive future
P
iù di 170 milioni di persone nel mondo sono affette
da diabete. Questo numero è destinato a crescere
in modo esponenziale nei prossimi anni soprattutto nei
Paesi industrializzati, in conseguenza non solo dell’aumento della popolazione e della durata media di vita,
ma anche della mancanza di esercizio fisico e dell’alimentazione poco corretta. Nel 2025 ci saranno 300 milioni di diabetici.
Più di 3 milioni di italiani soffrono di diabete ed 1 milione non lo sa: oltre i 40 anni, un italiano su tre è a rischio di diabete e quasi uno su cinque ha già alterazioni
della glicemia a digiuno (IFG).
Vi è una stretta connessione fra l’incremento del sovrappeso e dell’obesità e l’incremento dei casi di diabete. Infatti, alcune delle alterazioni metaboliche e com-
portamentali che sono alla base dell’aumento di peso
sono anche causa del diabete di tipo 2.
Negli ultimi anni si assiste ad un progressivo aumento dei casi di obesità nei bambini, che porta all’insorgenza del diabete di tipo 2 in età giovanile e conseguentemente ad un elevato rischio di complicanze, in particolare di quelle cardiovascolari, in una fascia di età nella
quale, fino a pochi anni fa, esse erano eccezionali.
Il diabete mellito, con le sue complicanze, è uno dei
maggiori problemi sanitari dei paesi economicamente
evoluti e, allo stesso tempo, una delle prime voci di spesa sanitaria.
Dall’analisi di dati internazionali, accreditati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, emerge un aumento ubiquitario della malattia, tale da indurre a parlare di epidemia mondiale di diabete. Un indicatore
indiretto di tale fenomeno è rilevabile anche in Italia,
dove il consumo di farmaci per la cura del diabete è in
sensibile aumento.
Il consumo di insulina nel periodo 1993-1999 è aumentato del 6 per cento e quello dei farmaci ipoglicemizzanti orali del 6,9 %. Tale fenomeno è spiegabile sia
con un aumento reale della patologia, dovuto alle modificazioni dello stile di vita e all’invecchiamento medio
della popolazione negli ultimi anni, sia con una maggiore intensità di trattamento derivante dalle nuove acquisizioni scientifiche.
La prevalenza del diabete di tipo 1 in Italia risulta essere tra lo 0,4 e l’1 per mille. L’incidenza è compresa tra
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i 6 e i 10 casi per 100.000 per anno nella fascia di età da
0 a 14 anni, dato confermato dai rilievi di vari registri regionali, mentre è stimata in 6,72 casi per 100.000 per
anno nella fascia di età da 15 a 29 anni.
Fa assoluta eccezione a tale tendenza la Sardegna,
che ha un’incidenza e una prevalenza di diabete giovanile tra le più alte del mondo, in Europa seconda soltanto alla Finlandia.
In Sardegna l’incidenza del diabete di tipo 1 nella fascia di età tra 0 e 14 è di 34 casi per 100.000 per anno.
La prevalenza di diabete di tipo 2 pone problemi di rilevazione più complessi. La malattia nei primi anni è
spesso asintomatica e non di rado la diagnosi viene posta nel corso di accertamenti per altre patologie o in occasione di ricoveri per complicanze già in atto, soprattutto eventi coronarici o altre vasculopatie. Da ciò discende
che la prevalenza della malattia nota, desumibile da rilievi incrociati sul consumo di siringhe e farmaci, dimissioni ospedaliere e Centri Specialistici di Diabetologia è
stimata intorno al 2,7-3 per cento (dati anno 2000),
mentre indagini di popolazione su ampia scala basate su
data base regionali o aziendali o sulla curva da carico di
glucosio forniscono percentuali sensibilmente più elevate, tra il 6 e l’11 per cento.
La prevalenza del diabete è stata stimata anche attraverso un’indagine multiscopo sulle condizioni di salute
svolta dall’ISTAT nel 1999-2000. Su 100 intervistati 3,7
dichiaravano di essere affetti da questa patologia cronica. I tassi negli uomini sono leggermente inferiori a
quelli delle donne, mentre nella popolazione con età superiore ai 65 anni si raggiungono tassi di prevalenza superiori al 13%.
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Ed., Lucca, 2007
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Claudia Brufani,
Marco Cappa
U.O. di Endocrinologia e Diabetologia
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma
4. Obesità e diabete tipo 2
nel bambino
dati nazionali ed internazionali
L
a crescente prevalenza dell’obesità in età pediatrica è
un fenomeno allarmante che le società moderne si trovano oggi a dovere affrontare.
Secondo un’indagine condotta negli Stati Uniti nel 19992000, il 14-15% di tutti i soggetti con 15 anni di età è obeso
(Ogden, 2002). In Europa, una revisione di indagini condotte in
vari paesi europei, indica una più alta incidenza di sovrappeso/obesità nei paesi occidentali e del sud Europa. I paesi dell’area del Mediterraneo presentano una prevalenza di sovrappeso fra i bambini del 20-40%, mentre nei paesi del Nord la
prevalenza è del 10-20% (Lobstein 2003).
In Italia uno studio recente mostra come il problema obesità pediatrica sia in rapida espansione nel nostro Paese: già
dalla prima infanzia bambini con un’età compresa fra 2 e 6
anni, presentano un eccesso ponderale nel 32% dei casi, con
una maggior prevalenza al sud rispetto al nord Italia (Maffeis,
2006).
L’eccesso ponderale fin dall’età pediatrica si associa ad
una serie di comorbidità e soprattutto costituisce un fattore di
rischio precoce per morbilità e mortalità nella vita adulta.
Molte delle complicanze metaboliche e cardiovascolari dell’obesità sono già presenti nell’infanzia e sono strettamente
correlate all’iperinsulinemia/insulino-resistenza, l’alterazione
più comunemente presente nell’obesità.
Le comorbidità legate all’obesità, presenti fin dall’età pediatrica, sono alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico,
ipertensione arteriosa, infiltrazione grassa del fegato (non-alcoholic fatty liver disease), colecistopatie, sindrome metabolica, iperandrogenismo nelle adolescenti, apnea ostruttiva nel
sonno, problemi di natura ortopedica (Weiss, 2005; Speiser
2005).
Il diabete mellito tipo 2 (DM2) in passato definito diabete
dell’età adulta perché riguardante soltanto questa fascia
d’età, è diventato una realtà comune fra i bambini e gli adolescenti obesi, appartenenti ad etnie ad alto rischio.
La prevalenza delle alterazioni del metabolismo glucidico
- intolleranza ai carboidrati (IGT), DM2 - nei bambini obesi,
varia nelle diverse etnie. Così come negli adulti, anche nei
bambini, Afro-Americani, Ispanici, Indiani Pima, sono a maggior rischio per lo sviluppo di IGT e DM2.
In uno studio condotto negli Stati Uniti su bambini ed
adolescenti obesi di qualunque etnia afferenti all’Università di
Yale, l’IGT è stata riscontrata rispettivamente nel 25% e nel
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21% dei bambini degli adolescenti obesi; il DM2 nel 4% di
adolescenti obesi (Shina, 2002). Una più alta incidenza di IGT
è stata riportata in bambini obesi della Tailandia e delle
Filippine ed in bambini Ispanici che vivono negli Stati Uniti
(Goran, 2004).
In Europa la prevalenza di alterazioni del metabolismo
glucidico in bambini/adolescenti obesi è più bassa rispetto a
quanto riportato negli U.S.A. e il DM2 pediatrico in soggetti di
etnia Caucasica rimane un’entità rara.
Nel Regno Unito nel 2000 è stata condotta un’indagine,
tramite questionari distribuiti a tutti i pediatri coinvolti nella
cura del diabete infantile, con il fine di identificare i soggetti
con età inferiore ai 16 anni con DM2. Sono stati identificati 25
soggetti, prevalentemente in età puberale, affetti da DM2. Di
questi la maggior parte (56%) apparteneva ad un etnia diversa da quella Caucasica. In soggetti bianchi di origine Europea
il DM2 pediatrico è pertanto una patologia infrequente (prevalenza stimata in bambini bianchi del Regno Unito
0,10/100000) (Ehtisham 2004).
L’IGT, considerata nell’adulto l’anticamera del DM2, è invece un’entità di comune riscontro anche fra i bambini obesi
Europei. In Italia studi condotti in bambini e adolescenti obesi
volti ad identificare la prevalenza di alterazioni del metabolismo glucidico, tramite curva da carico orale di glucosio
(OGTT), evidenziano una prevalenza di IGT del 4-12% e di
DM2 <1%. (Invitti 2003, Brufani 2006).
Il problema obesità pediatrica pertanto, nelle sue varianti
ad “alto impatto metabolico” nelle etnie a rischio negli Stati
Uniti e “a prevalenza di IGT” nelle etnie a basso rischio, come
in Europa, rimane per le problematiche sopra esposte e per le
temute conseguenze nella vita adulta uno dei problemi più allarmanti che il Sistema Sanitario si trova oggi a dover affrontare.
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Chiara Di Loreto
Università degli Studi
di Perugia
Dipartimento di Medicina Interna a Scienze Endocrine e Metaboliche
5. Livelli di attività motoria
nella popolazione italiana
Dati ISTAT 2006
N
ell’ambito dell’indagine “I cittadini e il tempo libero” svolta a maggio 2006 dall’ISTAT e pubblicata
nel 2007 è stato dedicato ampio spazio alla rilevazione
della pratica sportiva della popolazione italiana nel tempo libero. L’indagine fornisce indicazioni su caratteristiche socio-demografiche, tipo di sport praticato, modalità di pratica, motivazioni per cui si pratica o non si pratica una qualche attività fisica, con particolare attenzione
ai fattori che spingono i più giovani all’interruzione dello sport, con potenziali gravi ripercussioni sullo stato di
salute attuale e futuro.
Vengono indagate anche le caratteristiche dei soggetti che, pur non dedicandosi ad un’attività fisica strutturata nel tempo libero, praticano una seppur minima
forma di esercizio fisico, a sottolineare, in accordo con
30
recenti dati della letteratura internazionale, che anche
modesti livelli di attività motoria riducono il rischio di
mortalità da tutte le cause. Vengono, infine, presentati i
dati anche dei sedentari.
L’indagine è stata svolta su un campione di 24.000
famiglie per un totale di 54.000 soggetti di età superiore ai tre anni.
Risultati
Nel 2006 gli italiani che dichiarano di praticare uno o
più sport sono 17 milioni 170 mila (30,2% del totale). Il
20,1% lo fa con continuità, il 10,1% saltuariamente. Il
28,4% della popolazione pari a 16 milioni 120 mila soggetti pratica una qualche forma, seppur non strutturata,
di attività fisica nel tempo libero (passeggiate, nuoto, bici). Le persone del tutto sedentarie sono 23 milioni 300
mila (41% della popolazione). Mentre tra il 1995 e il
2000 si era assistito ad un lieve incremento (3,4 punti
percentuali) delle persone che praticavano attività motoria nel tempo libero, tra il 2000 e il 2006 si assiste ad
una sostanziale stabilità, con una riduzione, anzi, degli
italiani che, pur non praticando sport, svolgono una
qualche forma di esercizio fisico nel tempo libero.
Emerge, quindi, un quadro della pratica sportiva sostanzialmente ferma, a cui corrisponde un decremento piuttosto rilevante dell’attività fisica e un incremento della
sedentarietà che, come nel lustro precedente, riguarda
soprattutto i soggetti over 45 anni: è a partire da questaetà che diventa più alta l’incidenza di malattie meta-
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boliche (es. diabete mellito) e cardio-cerebrovascolari
connesse al sovrappeso.
La maggior propensione alla pratica sportiva spetta
agli uomini, anche se la distanza tra uomini e donne dal
2000 al 2006 diminuisce, grazie al forte incremento della pratica sportiva femminile contro ritmi di crescita più
contenuti per i maschi.
Dal punto di vista della suddivisione territoriale, il
Nord-Est è la ripartizione geografica con la quota più alta di pratica dell’attività motoria (36,5%), seguito dal
Nord-Ovest (33,7%) e dal Centro (31,7%). Decisamente
più bassa è la percentuale di soggetti dediti alla pratica
sportiva nel Meridione (< 25%).
I livelli della pratica sportiva sono influenzati dal titolo di studio e dalla condizione professionale: il 45,8%
dei laureati pratica una forma di attività fisica. Questa
percentuale decresce progressivamente, man mano che
si abbassa il livello di scolarizzazione per attestarsi al
20,9% dei soggetti con licenza elementare o senza alcun titolo di studio. Questo andamento riguarda anche il
tipo di professione, essendo maggiore l’adesione alla
pratica sportiva tra gli occupati e scendendo al 12% tra
le casalinghe e i disoccupati.
Rispetto alla dimensione motivazionale, l’attività
motoria è praticata soprattutto per passione o piacere
(63,8%) e per mantenersi in forma (53,6%). Tuttavia
molti praticano per ridurre lo stress, per interagire con
altre persone, per stare in contatto con la natura, per i
valori che lo sport trasmette e nell’11,7% dei casi per le
potenzialità terapeutiche che la pratica l’attività fisica
offre.
Focalizzando l’attenzione sui sedentari, il motivo
principale per cui non praticano alcun tipo di attività fisica è rappresentato dalla mancanza di tempo (40,2%),
seguita da mancanza di interesse, stanchezza/pigrizia,
motivi di salute, motivi familiari, problemi economici,
mancanza di impianti o difficoltà a raggiungerli, orari
scomodi. In particolare la mancanza di tempo è lamentata soprattutto nella decade 45-54 anni, mentre i problemi di salute sono il maggior responsabile di sedentarietà oltre i 75 anni. Altro aspetto interessante è che il
61,7% dei bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni non
pratica attività motoria a causa dell’ostacolo da parte
dei genitori alla pratica sportiva dei propri figli.
In particolare tra il 2000 e il 2006 la sedentarietà aumenta tra i ragazzi di 11-14 anni e gli adulti di 25-34 anni, soprattutto per la diminuzione, in queste fasce di età,
di coloro che praticano anche una minima attività motoria e/o per l’interruzione (soprattutto per mancanza di
tempo) di sport praticati in precedenza.
Per una più dettagliata illustrazione dei risultati dell’indagine si rimanda all’indirizzo www.istat.it. Da questi dati emerge la necessità di promuovere la pratica di
attività fisica in tutte le fasce di età, fra la popolazione
meno istruita, e in tutta la Penisola, ma soprattutto al
Meridione facendo capire agli italiani che il tempo dedicato al movimento è tempo investito in salute futura,
non sprecato. Chiunque, dietro consiglio di personale
qualificato (medico, laureato in scienze motorie, ecc.)
può praticare secondo le proprie inclinazioni, i propri
orari e le proprie disponibilità economiche un qualche tipo di attività motoria (anche la semplice camminata) e
trarne tutti i benefici più volte dimostrati e ribaditi nella
letteratura scientifica nazionale ed internazionale, primo
fra tutti la riduzione della mortalità da tutte le cause.
Una particolare attenzione va rivolta ai bambini e ai
giovani: essere sedentario per un bambino oggi, significa essere un potenziale obeso/persona con diabete di
domani.
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Marco Comaschi
Chairman dello
Studio DAWN Italia
6. Livelli di attività motoria
nelle persone con diabete
in Italia
rapporto del progetto
Dawn Italia
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Il Rapporto D.A.W.N. che prende il nome dall’oggetto dello studio – Diabetes Attitudes Wishes and Needs
– è il risultato della ricerca avviata in Italia nel 2006 per conoscere ed approfondire le dinamiche psico-sociali dei diabetici.
Per la prima volta sono affrontati in maniera sistematica i temi legati ai desideri, al modo di essere, alle
esigenze delle persone con diabete. La loro testimonianza fa emergere, tra gli altri, due interessanti aspetti
apparentemente contraddittori.
Si avverte la necessità di un cambiamento culturale all’interno del Sistema Sanitario Nazionale visto nella
sua globalità, cioè non solo come strumento di cura ma anche come sistema di prevenzione.
Lo stesso Piano Sanitario Nazionale 2006/2008 auspica tale cambiamento e lo dimostra negli obiettivi e
nei programmi di prevenzione tra cui si annovera anche la lotta contro il diabete.
Tale previsione del Piano è stata il trait d’union che ha reso possibile l’accordo di programma tra il
Ministero della Salute ed i promotori dello Studio DAWN al fine di acquisire anche in Italia dati utili a questo
approccio psico-sociale della prevenzione.
Il Progetto DAWN nasce a livello internazionale già nel 2000 su iniziativa dell’IDF (International Diabetes
Federation) e di Novo Nordisk.
In Italia lo Studio DAWN, la cui indagine è stata condotta dall’Istituto di Ricerca Makno, si è avvalso, oltre della collaborazione di IDF, anche della collaborazione di Diabete Italia – consorzio scientifico costituito
dalla Società Italiana di Diabetologia (SID) e l’Associazione Nazionale Medici Diabetologi (AMD) – delle
Associazioni nazionali di Persone con diabete, dell’Associazione Operatori Sanitari di Diabetologia Italiani,
dei maggiori stakeholders nazionali nel campo del diabete, sempre con il supporto di Novo Nordisk.
Lo studio DAWN Italiano, al pari dello studio internazionale, ha lo scopo di conoscere, attraverso un’indagine rigorosa, le condizioni della qualità di vita delle persone affette da Diabete Mellito, i loro desideri, i
loro bisogni, il grado di assistenza erogata e le potenziali aree di miglioramento.
Le peculiarità del sistema italiano hanno portato a rivolgere lo studio sulla popolazione di persone diabetiche seguite dai Servizi Specialistici. Allo studio di base si sono poi aggiunte alcune indagini originali, condotte sui famigliari delle persone con diabete, sui manager locali della sanità pubblica ed una limitata ma significativa sulla popolazione degli immigrati.
Lo studio è in via di completamento con una sezione dedicata alla gravidanza della donna diabetica, una
al ruolo dell’attività fisica, e un grande studio sul Diabete nell’età evolutiva (DAWN YOUTH).
Lo studio DAWN riunisce in sé alcuni grandi ed originali pregi: la finalità innanzitutto, caratterizzata dalla ricerca di quegli elementi non sempre valutabili ed identificabili nelle ricerche cliniche o epidemiologiche,
che possono consentire di valutare e misurare la qualità della vita delle persone affette da diabete, il loro impatto quotidiano con le problematiche, piccole e grandi, che la malattia cronica pone loro.
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I DATI
C
oinvolgimento e corresponsabilità nelle cure e aderenza a stili di vita salutari con particolare attenzione all’attività fisica
Lo Studio DAWN Italia ha indagato la corresponsabilità della persona diabetica a partire dal momento della
diagnosi di diabete.
A tale proposito gli intervistati hanno dovuto rispondere al quesito su quali erano stati gli interventi che i teams sanitari avevano intrapreso al momento della diagnosi.
Le risposte sono molto interessanti: è evidente, da un
lato, che la memoria degli intervistati si è focalizzata di
più su quanto poteva maggiormente modificare le loro
abitudini di vita, e quindi la percentuale più elevata di risposte ha citato la prescrizione dietetica, seguita dall’assunzione di farmaci ed ancor prima dalla regolarità di
controlli laboratoristici , e l’attività fisica e la camminata
hanno un ruolo importante. (fig.1)
La “compliance” auto dichiarata dalle persone
con diabete
Per quanto riguarda la “compliance” auto dichiarata
dalle persone con diabete (fig. 2), in linea di massima,
c’è una buona concordanza tra la valutazione dei diretti
interessati sullo stato di controllo del proprio diabete e
la valutazione che essi ne attribuiscono ai propri medici:
la maggioranza assoluta ritiene il diabete perfettamente
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sotto controllo, mentre il 35%-39% lo ritiene parzialmente sotto controllo.
Solo una minoranza non è sicura che il diabete sia
sotto controllo o crede che non lo sia (complessivamente intorno al 6%). Prendere le medicine e sottoporsi alle analisi sono consigli medici ottemperati dalla
quasi totalità degli intervistati. Seguire una dieta e rispettare l’organizzazione giornaliera sono, invece, indicazioni già più difficili da praticare: ci riesce regolarmente il 45%-50% degli intervistati (mentre oltre il
40% ci riesce solo in parte). Fare esercizio fisico è un
consiglio a cui solo 1 intervistato su 4 riesce ad attenersi regolarmente (mentre un altro 33% dichiara di
farlo “in parte”).
La pratica sportiva
Regolare
10,1%
Non regolare
16,4%
No sport
73,5%
Fig. 3. - Esercizio della pratica sportiva nelle persone con diabete
1
Un Suggerimento Operativo
Aderenza alla pratica sportiva regolare, nelle
persone diabetiche
Per quanto riguarda l’esercizio fisico regolare si può
affermare che esso è funzione dell’età: nel senso che è
più diffuso tra i diabetici più giovani e diminuisce al crescere dell’età. Inoltre, gli uomini sono più propensi all’esercizio fisico delle donne (che, plausibilmente, sono
anche mediamente più anziane). Appare, tuttavia, confortante osservare che la percentuale delle persone con
diabete praticanti attività fisica regolarmente (27%) è
superiore alla quota degli italiani auto-definitisi “sani”
che svolgono attività fisica tutti i giorni (fig. 3-4).
34
L’ESERCIZIO FISICO
RAPPRESENTA IL CONSIGLIO
MEDICO MENO SEGUITO
LA RICERCA INDIVIDUA NEI 55-64ENNI
LA CLASSE D’ETA’ SULLA QUALE
INSISTERE PARTICOLARMENTE
(= 30% DEI DIABETICI; ESERCIZIO
FISICO: 25% DEI COMPONENTI)
DEFICIT INFORMATIVO
SUL FATTO DI
COSTITUIRE UNA POSSIBILE
CATEGORIA A RISCHIO
INFORMAZIONE SISTEMATICA AI
PARENTI PER SOLLECITARE
L’ASSUNZIONE DI STILI DI VITA ATTI
ALLA PREVENZIONE
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Da questo scaturisce l’osservazione che l’attività motoria seppur consigliata al momento della diagnosi non trova attuazione
nella persona con diabete ed è importante attivare programmi specifici modulati in base alle potenzialità individuali. Questo viene
espresso nelle “Call to Action” dello studio italiano.
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Gerardo Corigliano
Presidente ANIAD
(Associazione Italiana Atleti Diabetici)
7. Livelli di attività motoria nelle
persone con diabete in Italia
indagine conoscitiva sulla promozione
dell’attività fisica negli ambulatori
diabetologici italiani
L’
attività fisica (AF) terapeutica che potremmo
definire come una AF sufficiente ad avere una
valenza metabolica (per es. cammino o nuoto,
ballo, bicicletta continuativi della durata di almeno 30
min almeno 3 volte alla settimana) è assai poco praticata, benché sia considerata elemento fondamentale nel
piano di cura del diabete tipo 2. La scarsa letteratura esistente sottolinea il peso dei fattori socio-psicologici,
correlando positivamente al grado di AF l’età giovanile,
il livello culturale elevato, l’assenza di barriere motivazionali e una buona autovalutazione in termini di salute
percepita e di prestazioni attese.
L’indagine conoscitiva sulla promozione del-
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l’attività fisica negli ambulatori diabetologici
italiani è uno studio clinico randomizzato, osservazionale mediante questionario autocompilato che ha coinvolto 3673 persone con diabete tipo 2 in 70 Centri Anti
Diabetici (CAD) su tutto il territorio nazionale con
l’obiettivo di:
Individuare gli impedimenti allo svolgimento
dell’AF;
Conoscere il punto di vista delle persone con diabete di tipo 2 (DM2) sul valore terapeutico dell’AF;
Indagare su gradimento e opportunità
dell’Operatore Fitness Metabolica (OFM) nel team diabetologico;
Ricercare soluzioni pratiche anche di tipo “politico”
per favorire l’AF.
RISULTATI: la stragrande maggioranza (89,8%) ritiene che un’attività fisica regolare possa veramente migliorare il proprio diabete, ma solo il 52,6 la
pratica regolarmente. La bassa scolarità correla significativamente con la scarsa AF. Il 77,1% ritiene utile
il laureato in scienze motorie nel team diabetologico ed
il 56,3% userebbe strumenti per l’AF se il CAD ne disponesse.
I pazienti con comorbilità cardiovascolare, respiratoria, con neuropatia ed obesi sono quelli che maggiormente lo ritengono utile (bisogno di protezione).
Le comorbilità rappresentano gli impedimenti mag-
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giori riferiti alla AF. Da notare come circa 8,0% attribuisce la mancanza di AF a “colpa del medico” (mancata
prescrizione/counseling). La mancanza di palestre/spazi
verdi è sentita dal 38% dei pazienti. I suggerimenti/proposte piu’ “votati” sono: educazione/informazione
35,2%, maggiore impegno del medico 10,9%, favorire
iniziative di gruppo10,0% e maggiore impegno delle
istituzioni 8,2%.
CONCLUSIONI
Area informativa sul paziente
• La stragrande maggioranza delle persone con diabete mellito di tipo 2 (89,8%) crede possibile migliorare la propria salute con la AF;
• Correla con la AF percepita come mezzo per migliorare la salute il sesso maschile, la giovane età e una elevata scolarità;
• Una percezione positiva della AF correla con una minore emoglobina glicata;
• La AF praticata ≥3/sett. è più frequente nei soggetti
che la ritengono utile per la salute (52,8% vs
24,9%);
• Le barriere percepite alla pratica della AF 3/sett. sono
attività sconsigliata, non sentirsi fisicamente all’altezza, mancanza di tempo, pigrizia e problemi respiratori
Area informativa sul CAD
• La maggior parte dei dei soggetti con DM2 (77,1%)
ritiene utile la figura del OFM nel CAD;
• Il 93,8% dei soggetti con DM2 userebbe strumenti
per la AF se il CAD ne fosse provvisto;
• La maggior frequenza di automonitoraggio glicemico
correla con una maggiore considerazione dell’utilità
dell’AF e con una maggior frequenza di pratica.
Da questa elaborazione preliminare si coglie una notevole attitudine al cambiamento dei pazienti con DM2
italiani che però richiedono “assistenza” (disponibilità
di strumenti, OFM, spazi verdi e strutture come palestre,
piste ciclabili ecc.). Gli interventi sanitari educativo-assistenziali e le azioni politiche dovranno tenere conto di
quanto è emerso, per essere efficaci.
BIBLIOGRAFIA
1. Rapporto Sociale Diabete 2003 pagg. 14-16
2. Hays LM, Clark DO. Correlates of physical activity in a sample of older adults
with type 2 diabetes. Diabetes Care 1999;22:706-12
Ricerca progettata e realizzata dal dott. Gerardo Corigliano su mandato
del Gruppo di Studio Diabete ed Attività Fisica di Diabete Italia
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8. Il Costo economico
del diabete
La ricerca dell’Economist Intelligence Unit mette
in evidenza il costo economico causato dal diabete nei paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo
S
econdo questo rapporto dell’Economist Intelligence
Unit, redatto con il supporto di Novo Nordisk, un
forte aumento della diffusione del diabete comporta un
pesante fardello economico sia per i paesi sviluppati che
per quelli in via di sviluppo.
Tra i cinque paesi coinvolti nella ricerca (Cina,
Danimarca, India, Regno Unito e Stati Uniti) è stato rilevato che mentre l’India sostiene attualmente i costi
maggiori (1), pari al 2,1% del PIL, gli Stati Uniti fanno
fronte all’onere maggiore, con un costo equivalente
all’1,3% del PIL; il Regno Unito sostiene costi pari allo
0,4% del PIL, la Danimarca pari allo 0,6% del PIL, men-
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tre i costi per la perdita di produttività ammontano allo
0,6% del PIL per la Cina (2).
Contestualizzando queste cifre, nel 2006 il Regno
Unito ha speso circa lo 0,35% del PIL per gli aiuti economici esteri, e lo 0,76% del PIL per l’istruzione pubblica
universitaria.
Questi risultati fanno parte di The Silent Epidemic: An
economic study of diabetes in developed and developing
countries, il rapporto dell’Economist Intelligence Unit pubblicato nel giugno del 2007.
Questo rapporto, oltre ad analizzare il costo economico del diabete, mette in evidenza alcuni degli ostacoli
che impediscono di affrontare efficacemente questa
pandemia e prende in esame alcuni approcci innovativi
adottati per combatterla.
“I decisori politici che provvedono a stanziare le risorse già scarse nel modo più efficiente possibile devono avere una piena comprensione del vero costo economico del diabete” ha dichiarato Rob Mitchell, editore
della relazione. “La nostra ricerca dimostra che il diabete rappresenta un pesante onere economico sia per i
paesi sviluppati sia per quelli in via di sviluppo, e questo
non può che aumentare man mano che il tasso di diffusione di questa pandemia continua a crescere in tutto il
mondo.”
Riassumendo i risultati del rapporto, si può affermare
che la pandemia del diabete si diffonde rapidamente in
tutto il mondo.
È necessario che tutti affrontino il forte impatto socia-
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le ed economico di questa devastante pandemia.
Questo rapporto sottolinea, inoltre, la necessità di individuare criteri di valutazioni trasparenti che consentano di calcolare in modo più dettagliato il reale onere
economico della spesa sanitaria causata dal diabete in
termini di costi diretti ed indiretti.
È fondamentale che i decisori politici, gli addetti del sistema sanitario e l’industria lavorino assieme per sviluppare un’educazione sanitaria
più efficiente, programmi di sensibilizzazione, e
politiche adeguate sul diabete.
Grazie ad una migliore prevenzione, ad una diagnosi
tempestiva e all’efficace gestione del diabete, potremmo
così evitare molte delle complicanze associate alla malattia che rappresentano la
maggior parte dell’onere economico.”
Lo sviluppo economico sta causando conseguenze non previste.
Un elevato numero di fattori sta contribuendo alla
crescente diffusione del diabete nei paesi in via di sviluppo: il regime alimentare e lo stile di vita rappresentano
le cause maggiori, nel caso del diabete di Tipo 2, ma anche l’incidenza genetica ha un ruolo importante.
L’ironia della situazione è che i positivi sviluppi economici conseguiti, come ad esempio una migliore condizione di salute, un migliore sistema sanitario,
l’invecchiamento della popolazione e la riduzione dell’agricoltura di sussistenza stanno portando ad una
maggiore diffusione della patologia.
Per queste ragioni, e secondo le stime, la pandemia
del diabete nei prossimi decenni colpirà soprattutto i
paesi in via di sviluppo.
Molte barriere stanno impedendo il cambiamento.
Il diabete di Tipo 2 può essere prevenuto e trattato.
Tuttavia, ci sono alcuni fattori rilevanti che concorrono a
far sì che il problema non venga affrontato efficacemente.
Tra i vincoli principali vi è la resistenza culturale ad un
regime alimentare e ad uno stile di vita più sano, una
scarsa attenzione rivolta alle malattie croniche dalle organizzazioni per la salute a livello nazionale ed internazionale, l’attenzione posta sui costi a breve termine piuttosto che sulle implicazioni a lungo termine, e la carenza in molti paesi di una copertura sanitaria universale. Il
successo nel superare tali barriere richiede un cambiamento a livello di sistema e la collaborazione anche con
gli stakeholder.
Un problema complesso richiede soluzioni innovative.
Mentre non c’è in questo momento una soluzione immediata al problema del diabete, esistono tuttavia vari
approcci innovativi sia nei paesi sviluppati che in quelli
in via di sviluppo che stanno aiutando ad affrontare questa pandemia in modo più efficace.
Il costo del trattamento è alto, ma il costo del
non fare nulla è di gran lunga maggiore.
I cinque paesi presi in esame dal rapporto spendono
ingenti somme di denaro ogni anno per il trattamento del
diabete e delle sue complicanze. Ad esempio, gli Stati
Uniti spendono 134,8 miliardi di dollari US ogni anno,
pari al 6% della propria spesa sanitaria. Tagliare sul trattamento, tuttavia, non rappresenta una soluzione.
Se i Paesi non investono in prevenzione, ed in
diagnosi e trattamento precoci, i costi in futuro
aumenteranno in maniera esponenziale.
Le persone con diabete non diagnosticate e trattatenello stadio iniziale della malattia hanno maggiori probabilità di soffrire di gravi complicanze, come ad esempio la cardiopatia, che sono ben più costose da trattare
rispetto al diabete in fase iniziale.
1. Ai fini della presente ricerca, i costi economici sono composti dai costi sanitari diretti (incluso il trattamento delle complicanze del diabete) e i costi
di produttività (derivanti dalla mortalità, morbilità e inabilità). Una terza
categoria di costi riguarda la cure informali (le cure da parte dei parenti e
di altri prestatori di cure, oltre alle cure nelle cliniche private). Quest’ultima
categoria non è stata presa in esame all’interno di questa ricerca a causa
dell’assenza di dati disponibili.
2. A causa dell’assenza di dati, la nostra ricerca sulla Cina si concentra sulla
perdita di produttività e non prende in esame i costi sanitari.
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Il rapporto: The Silent Epidemic: An economic study of diabetes in developed and developing countries
è un rapporto dell’Economist Intelligence Unit, finanziato da NovoNordisk.
Il personale di redazione dell’Economist Intelligence
Unit ha svolto la ricerca sul costo economico del diabete, ha condotto le interviste ed ha redatto il rapporto.
L’Economist Intelligence Unit: L’Economist
Intelligence Unit è leader mondiale nella business intelligence globale. È la divisione del business-to-business del The Economist Group, che pubblica la rivista
The Economist. L’Economist Intelligence Unit fornisce
analisi geopolitiche, economiche e di business su oltre 200 paesi, oltre ad una intelligence strategica sulle principali industrie e procedure di gestione. Con oltre 300 professionisti full–time in 40 uffici in tutto il
mondo, supportati da una rete globale di oltre 700
analisti, l’Economist Intelligence Unit è nota per la
sua copertura dei principali mercati e di quelli emergenti. Maggiori informazioni sull’Economist
Intelligence Unit sono reperibili sul sito web
www.eiu.com.
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Pierpaolo De Feo
Direttore Centro CURIAMO
(Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria)
Università degli Studi di Perugia
9. Il risparmio di spesa
G
li studi di farmacoeconomia dimostrano che
l’applicazione di programmi per aumentare i livelli di attività fisica nelle persone con diabete mellito di tipo 2 o a rischio di sviluppare il diabete è una strategia
economicamente vantaggiosa per il sistema sanitario.
Riguardo agli studi di prevenzione del diabete, la valutazione più accurata riguarda il Diabetes Prevention
Programme (DPP), lo studio statunitense già riportato in
dettaglio in questo libro. L’analisi costo-utilità del DPP
ha dimostrato che un programma strutturato per indurre la modifica dello stile di vita è cost-saving, fa addirittura risparmiare, se applicato a soggetti di età inferiore
a 45 anni, costa 781 $ e 3409 $ per anno di qualità di
vita guadagnato (QALY) per coloro che hanno rispettivamente tra 45 e 54 e tra 55 e 64 anni. Il paragone con altri interventi terapeutici rivolti alla popolazione diabetica e ritenuti economicamente vantaggiosi come il controllo glicemico intensivo (41000 $ per QALY) o la tera-
pia con statine (52000 $ per QALY) dimostra che l’uso di
programmi anche costosi come quello del DPP per la
modifica dello stile di vita al fine di prevenire il diabete
nella popolazione a rischio è un sicuro investimento economico per la società.
Risultati ancora superiori da un punto di vista economico si ottengono se la modifica dello stile di vita con
l’attività fisica viene proposta a persone già affette da
diabete mellito di tipo 2. Uno studio eseguito dal nostro
gruppo dell’Università di Perugia ha determinato
l’impatto di diversi livelli di dispendio energetico sui costi socio-sanitari per diabete mellito di tipo 2 sulla popolazione italiana. E’ stata eseguita una post-hoc analysis degli effetti a 2 anni di diversi livelli di intensità di
attività fisica (espressi in METs-ora/settimana), in un
gruppo di 179 diabetici di tipo 2 (età media: 62 anni)
che sono stati motivati ad incrementare il proprio livello di attività fisica volontaria. I soggetti sono stati suddivisi in 6 gruppi in base all’incremento del dispendio
energetico in METs-ora/sett.: Gruppo 0 (sedentarietà,
n=28), Gruppo 1-10 (n=27), Gruppo 11-20 (n=31),
Gruppo 21-30 (n=27), Gruppo 31-40 (n=32) e
Gruppo>40 (n=34). All’inizio dello studio i sei Gruppi
non differivano per intensità di attività fisica praticata,
età, sesso, durata di malattia, né per i classici parametri
della sindrome metabolica. Dopo 2 anni, la spesa pro capite annua per farmaci aumentava (p<0,001) di 393 euro in G 0, non mostrava differenze significative in G 1-10
(206 euro, p=0,068), diminuiva in G 11-20 (-196 euro,
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p=0,014), in G 21-30 (-593 euro, p<0,0001), G 31-40
(-660 euro, p<0,0001) e G>40 (-579 euro, p<0,0001).
Il risparmio sui costi è risultato significativamente correlato (p<0,0001) all’incremento del dispendio energetico. I METs-ora/sett. sono risultati inversamente correlati
ai costi per farmaci prescritti (r-0,51, -18 euro) e per altre spese sanitarie (r-0,33, -23 euro), ai costi sociali indiretti (r-0,40, -36 euro) e ai costi totali (r-0,60, -66 euro)
e positivamente correlati ai costi sociali diretti (r=0,44,
13 euro). E’ stato stimato che, in due anni, camminare
4 km al giorno riduce i costi per farmaci di 550 euro, i
costi per altre spese sanitarie di 700 euro, i costi sociali
indiretti di 110 euro, i costi totali di 2000 euro, con un
incremento dei costi sociali diretti di 400 euro. In pratica
un dispendio energetico >10 METs-ora/sett. ottenuto
attraverso la pratica regolare di attività fisica aerobica,
consente già un importante risparmio economico.
Tuttavia i benefici maggiori, in termini di spesa complessiva, si ottengono quando il dispendio energetico
supera i 20 METs-ora/settimana, con un relazione lineare dose/risposta; in altre parole maggiore è il dispendio
energetico maggiore è il risparmio di spesa.
I vantaggi economici del nostro studio sono largamente sottostimati perché non considerano la riduzione
del rischio di malattia cardiovascolare che si associa alla
pratica regolare dell’attività fisica e che, inevitabilmente,
si traduce a lungo termine in una minore morbilità e
mortalità delle persone con diabete mellito e perché si
riferiscono ai costi della terapia del diabete nel 2000-
2001. L’osservatorio Arno Diabete nel rapporto del
2007, volume XI, riporta i dati di spesa farmaceutica del
diabete in 7 regioni italiane con incrementi nell’ultimo
decennio vicini al 50%.
In conclusione, investire in risorse umane ed in programmi mirati ad aumentare il dispendio energetico delle persone con diabete mellito di tipo 2 rappresenta un
sicuro guadagno per il Servizio Sanitario Nazionale. Le
conclusioni derivate dallo studio di Perugia sono condivise dalle analisi degli studi prodotti da esperti e ricercatori di diversi paesi europei e degli USA e stanno portando a significativi interventi legislativi volti a favorire la
pratica dell’attività fisica della popolazione in generale e
delle persone con diabete in particolare.
BIBLIOGRAFIA
1. Di Loreto C, Fanelli C, Lucidi P, Murdolo G, De Cicco A, Parlanti N,
Ranchelli A, Fatone C, Taglioni C, Santeusanio F, De Feo P. Make your diabetic patients walk: long-term impact of different amounts of physical
activity on type 2 diabetes. Diabetes Care 2005; 28: 1524-25.
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metabolic syndrome Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases
2007; 17: 327-331.
3. Kirk A, De Feo P. Strategies to enhance compliance to physical activity for
patients with insulin resistance. Appl Physiol Nutr Metab. 2007; 32: 54956.
4. Osservatorio ARNO Diabete: Analisi di 10 anni di prescrizioni. CINECA
Rapporto 2007, volume XI.
45
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IL RUOLO DELL’ATTIVITÀ FISICA
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Chiara Di Loreto
Università degli Studi
di Perugia
Dipartimento di Medicina Interna a Scienze Endocrine e Metaboliche
10. E’ possibile prevenire
il diabete mellito di tipo 2?
L’esperienza statunitense
48
L’
obesità è diventata una patologia dilagante che
espone ad un alto rischio di sviluppo del Diabete
Mellito di tipo 2. Inoltre le persone con obesità viscerale facilmente vanno incontro alla Sindrome Metabolica
che associa il diabete all’ipertensione arteriosa e alla
dislipidemia con conseguente aumentato rischio di
malattie cardio-vascolari. Risulta, pertanto, di estrema
urgenza cercare di evitare che i milioni di obesi di oggi,
diventino i diabetici di domani.
In questa ottica è stato disegnato da un gruppo di
ricercatori dell’Università di Washington lo studio
Diabetes Prevention Program (DPP) pubblicato nel
2002 su una prestigiosa rivista scientifica. La ricerca ha
dimostrato che, grazie ad una modesta modifica dello
stile di vita, si può prevenire l’insorgenza del diabete nel
58% dei soggetti che presentano Intolleranza ai
Carboidrati, una condizione, cioè, di pre-diabete, generalmente causata dall’eccesso ponderale.
Nel DPP è stata valutata la capacità della terapia
farmacologica ipoglicemizzante orale (metfomina) e di
un corretto stile di vita (almeno 150’ di attività fisica
moderata alla settimana e sane abitudini alimentari) nel
ridurre il rischio di sviluppare il diabete in soggetti predisposti a tale patologia di età media di 51 anni, appartenenti a varie etnie e a 27 centri medici specializzati
degli Stati Uniti. Gli oltre 3000 partecipanti sono stati
assegnati a tre tipi di intervento (metformina-corretto
stile di vita-placebo). Dopo circa 4 anni il 58% dei sog-
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getti assegnati al gruppo stile di vita è riuscito a prevenire il diabete contro il 31% di quelli assegnati al gruppo metformina. L’incremento di dispendio energetico
medio di 700 kcal settimanali ottenuto con l’attività fisica, insieme alle modifiche apportate all’alimentazione,
ha comportato una riduzione del peso corporeo di
almeno il 7% rispetto a quello di partenza dopo il primo
anno ed il mantenimento dello stesso nel tempo.
Questi risultati sono stati ottenuti grazie all’utilizzo
di metodologie strutturate e standardizzate che prevedevano:
che, malgrado lo sforzo economico e organizzativo,
l’intervento sullo stile di vita è risultato cost-effective
(economicamente vantaggioso) anche a distanza dalla
conclusione dello studio.
BIBLIOGRAFIA
The Diabetes Prevention Program Research Group: The Diabetes Prevention
Program: description of lifestyle intervention. Diabetes Care 25: 21652171, 2002
The Diabetes Prevention Program Research Group: Reduction in the incidence of type 2 diabetes with lifestyle intervention or metformin. N Engl J
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The Diabetes Prevention Program Research Group: The Diabetes Prevention
Program: design and methods for a clinical trial in the prevention of type
2 diabetes. Diabetes Care 22: 623–634, 1999
1) l’individuazione dei “lifestyle coaches”, personale
specializzato che ha seguito individualmente i partecipanti allo studio;
2) frequenti incontri da parte del gruppo di studio con i
partecipanti;
3) intervento motivazionale strutturato per garantire
l’adesione al programma di attività fisica e di variazioni dell’alimentazione;
4) sessioni di attività fisica supervisionate da esperti;
5) strategie di rinforzo per il mantenimento a lungo termine del programma sullo stile di vita (incontri individuali e/o di gruppo).
Il successo del DPP è dipeso dall’investimento in risorse impiegate e dall’integrazione di varie competenze
(nutrizionale, diabatologica, psicologica, attività motoria) fra loro integrate in un team. Le stime economiche
del rapporto beneficio/costo del DPP hanno confermato
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Chiara Di Loreto
Università degli Studi
di Perugia
Dipartimento di Medicina Interna a Scienze Endocrine e Metaboliche
11. E’ possibile prevenire
il diabete mellito di
tipo 2?
L’esperienza
finlandese
50
U
n corretto stile di vita che preveda un programma
strutturato di attività fisica può prevenire
l’insorgenza del diabete mellito di tipo 2. Il Finnish
Diabetes Prevention Study (FPS) è uno studio - condotto da ricercatori finlandesi e pubblicato nel 2001 sul
New England Journal Medicine - che, analogamente al
DPP, aveva già dimostrato come un intervento che prevede sane abitudini alimentari ed esercizio fisico è in
grado di ridurre del 58% il rischio relativo di progressione della ridotta tolleranza ai carboidrati verso il diabete
di tipo 2. Tale riduzione continua a mantenersi almeno
finché dura l’intervento. Nel follow-up esteso del FPS,
gli Autori hanno voluto verificare se la modifica dello
stile di vita indotta dall’intervento e la riduzione del
rischio di diabete persistono anche dopo l’interruzione
del couselling strutturato.
Soggetti di ambo i sessi (172 maschi e 350 femmine), età media 55 anni, in sovrappeso (BMI= 31,1
kg/m2) con ridotta tolleranza ai carboidrati, sono stati
randomizzati in un gruppo di intervento, che riceveva il
counselling sulle modifiche dello stile di vita, e un gruppo di controllo. Dopo 4 anni circa dall’intervento attivo,
i partecipanti che erano ancora liberi da diabete sono
stati seguiti per un periodo ulteriore di 3 anni. Nel complesso la durata del follow-up è stata di circa 7 anni. Nei
soggetti dello studio è stato valutato: incidenza di diabete, peso corporeo, livello di attività fisica, introito alimentare in grassi saturi e fibre.
Durante tutto il periodo di follow-up l’incidenza di
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diabete tipo 2 è risultata essere di 4,3 per 100 persone
all’anno nel gruppo di intervento e di 7,4 nel gruppo di
controllo. Ciò equivale a dire che si è mantenuta, anche
dopo 7 anni, una riduzione del rischio relativo di sviluppare il diabete del 43% nei soggetti che avevano ricevuto l’intervento. Tale riduzione si correlava strettamente al raggiungimento degli obiettivi prefissati riguardo
al peso corporeo, riduzione dell’introito di grassi saturi,
incremento del contenuto di fibre nella dieta, oltre che
all’aumento dei livelli di attività fisica. Nei soli tre anni
di follow up dopo la sospensione del counselling, la
comparsa di diabete era di 4,6 nell’intervento e di 7,2
nei controlli, con una riduzione del rischio relativo del
36%.
Pertanto, l’intervento sullo stile di vita in soggetti ad
alto rischio di sviluppare diabete mellito 2 risulta in una
modifica definitiva dello stile di vita e in una riduzione
dell’incidenza di malattia. Questi benefici persistono
anche dopo la sospensione dell’intervento.
Il dato del FPS è importante per due motivi: 1) sottolinea come la modifica di un comportamento può
mantenersi anche a distanza di un intervento di counselling senza la necessità di visite di rinforzo; 2) questo
risultato va tenuto presente nelle analisi di costo-beneficio sugli interventi per la promozione dell’attività
motoria e di una sana nutrizione. L’investimento iniziale, soprattutto nelle risorse umane rappresentato dal
personale specializzato, viene negli anni ampiamente
ammortizzato dal risparmio sui costi legati alla diagno-
si e alla terapia della malattia diabetica e delle sue
temibili complicanze acute e croniche (eventi cerebrocardiovascolari, micro- e macroangiopatia, retinopatia,
neuropatia, nefropatia).
BIBLIOGRAFIA
J. Lindströn et al., Lancet 2006; 368: 1673-79.
51
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Pierpaolo De Feo
Direttore Centro CURIAMO
(Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria) Università degli Studi di Perugia
12. Gli effetti benefici
dell’attività motoria
sullo stato di salute
S
ono numerosi gli studi in letteratura sugli effetti fisiologici a lungo termine dell’esercizio fisico aerobico; i principali sistemi che vengono modificati sono il
cardiovascolare, il muscolo-scheletrico, l’endocrino-metabolico e l’immunitario e la sfera psichica.
I benefici a carico dell’apparato cardiovascolare riguardano miocardio, circolo coronarico e periferico. A livello coronarico è stato dimostrato: 1) un aumento del
diametro interno delle arterie coronarie maggiori, 2)
l’incremento del flusso coronarico massimale, 3) la neoformazione di arteriole e capillari, 4) la riduzione della
reattività vascolare coronarica e 5) un’aumentata efficienza del trasporto di ossigeno. Nel miocardio di soggetti allenati si verifica una riduzione del consumo car-
52
diaco di ossigeno che è soprattutto conseguente al minore post-carico per la riduzione delle resistenze periferiche. La riduzione delle resistenze periferiche è, a sua
volta, legata alla diminuzione del tono simpatico con
prevalenza del tono vagale e spiega il calo della pressione arteriosa sia sistolica che diastolica, stimabile tra i 25 mmHg nei normotesi e 5-15 mmHg nei soggetti affetti da ipertensione arteriosa essenziale.
Nel muscolo scheletrico la pratica regolare dell’esercizio fisico aerobico porta ad una modificazione della
composizione in fibre del muscolo striato e di alcuni
componenti dei miociti. E’ stato dimostrato l’aumento
selettivo delle fibre muscolari lente (rosse), del loro contenuto in mitocondri, lo sviluppo di nuovi capillari muscolari e l’aumento dell’espressione in superficie dei
GLUT-4, trasportatori del glucosio insulino-sensibili.
L’incremento della massa muscolare associato alla parallela riduzione della massa grassa cambia sostanzialmente la composizione corporea; la massa magra rappresenta più del 90% del peso di un soggetto ben allenato rispetto al 75-80% riscontrabile nei soggetti sedentari a parità di peso.
Diversi studi epidemiologici dimostrano chiaramente
la relazione inversa tra stato di forma fisica (VO2max) e
sindrome metabolica. La VO2max dipende da una efficiente funzione mitocondriale; nella obesità associata al diabete vi sono multiple alterazioni della funzione mitocondriale correggibili mediante l’attività fisica aerobica che
può migliorare anche del 30 % la VO2max, soprattutto, nei
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soggetti sedentari e poco allenati. Il miglioramento della composizione corporea e della sensibilità insulinica si
associa ad un assetto lipidico meno aterogeno (HDL aumentato, Trigliceridemia e LDL piccole e dense ridotte)
con diminuzione di oltre il 50% della mortalità per eventi cardiovascolari.
Sul sistema immunitario l’attività fisica moderata ha
effetti positivi in quanto migliora le risposte umorali e
cellulari (linfociti T). Tra gli altri effetti benefici riportati in
letteratura va segnalata la riduzione statisticamente significativa dell’incidenza di cancro del colon e della
mammella, di fratture ossee ed il miglioramento della
sensazione di benessere con una chiara azione antidepressiva, più evidente nelle ore successive all’allenamento.
BIBLIOGRAFIA
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metabolic syndrome Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases
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Piccioni F, De Feo P. Diabetes and exercise. J Endocrinol Invest 26: 937940, 2003.
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F, Santeusanio F. Fuel for physical activity. J Endocrinol Invest 26: 851854, 2003.
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Pagina 54
Giulio Marchesini
Università Studi Bologna
13. Attività fisica e qualità
della vita nella
persona con diabete
V
iviamo in un’era nella quale i livelli di assistenza
sanitaria verranno sempre più valutati dal punto di
vista della persona con diabete. I benefici di trattamenti
specifici ed, in generale, dell’intero sistema di erogazione dell’assistenza sanitaria saranno giudicati in base a
quanto i cambiamenti nello stato della persona con diabete corrisponderanno alle sue aspettative. Questa affermazione introduce il concetto di qualità di vita, definita come la percezione soggettiva che un individuo ha
della propria posizione nella vita, nel contesto di una
cultura e di un insieme di valori nei quali egli vive, anche
in relazione ai propri obiettivi, aspettative e preoccupazioni. Si tratta quindi un concetto ad ampio spettro, modificabile in maniera complessa dalla percezione della
propria salute fisica e psicologico-emotiva, dal livello di
54
indipendenza, dalle relazioni sociali e dalla interazione
con il proprio specifico contesto ambientale. Si devono
quindi considerare aspetti della vita della persona con
diabete e della salute fisica, psicologica e mentale che
vanno al di là dei tradizionali outcome, basati su parametri fisio-patologici, misure di severità di malattia, stime di mortalità/morbilità/sopravvivenza. In questo contesto si inserisce la valutazione dell’attività fisica come
fattore essenziale nella prevenzione di molteplici malattie metaboliche, i cui effetti benefici non si limitano alle
malattie somatiche, ma si estendono a componenti psicologiche e mentali. L’attività fisica migliora la percezione di salute e la qualità di vita salute-correlata, attraverso un miglioramento dell’autostima, dell’umore, dell’immagine corporea, dell’ansia e della depressione (1-3).
Anche la sola motivazione all’attività fisica è associata ad un migliore stato di salute percepito (4). Le persone che praticano attività fisica a livelli raccomandati riferiscono un minor numero di giorni caratterizzati da poca
salute quando paragonati a persone inattive o insufficientemente attive (5). Pur con qualche risultato contrastante (6, 7), la maggior parte degli studi indica che i benefici di una regolare attività fisica sono particolarmente evidenti nel diabete (8), così come in altre malattie
croniche (9). Le persone con diabete, sia di tipo 1, sia di
tipo 2, si caratterizzano per una scadente qualità di vita,
peggiorata dalle comorbidità frequentemente presenti;
in un ampio studio condotto negli Stati Uniti, bassi livelli di attività fisica si associavano proprio ad una povera
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qualità di vita, e l’analisi di regressione documentava
che l’intensità dell’esercizio era l’unica variabile comportamentale associata alla percezione di salute (10).
Anche nei soggetti con complicanze, la sedentarietà rimane un fattore indipendente di bassa qualità di vita
(11). In un’analisi completa dei fattori che determinano
la qualità di vita nella popolazione diabetica, oltre a fattori socio-economici e le comorbidità, che agiscono in
senso negativo, l’attività fisica rimane una sorgente importante di eterogeneità e ogni attività fisica anche lieve
o moderata si associa a livelli di qualità di vita migliori di
quelli riportati da soggetti sedentari (12). Tutti questi dati sono a favore dell’ipotesi che la partecipazione a programmi di attività fisica sia fondamentale nei soggetti
con diabete, sia per facilitare la perdita di peso ed evitare la ripresa del peso dopo un programma di dietoterapia, sia per mantenere un miglior controllo metabolico e
ridurre il consumo di farmaci ed il costo della terapia
(13), e possa essere estremamente costo-efficace (14).
Purtroppo la maggior parte dei soggetti si trova in una
fase di non accettazione dell’attività fisica come farmaco (15) e questo limita il successo delle terapie. Nel diabete tipo 1 un regolare esercizio fisico è parte di ogni
programma strutturato di “empowerment” per aiutare
le persone con diabete a raggiungere una normale condizione di vita (16). I benefici sullo stato psicologico e
mentale si sommano alle migliorate condizioni cardiocircolatorie ed fanno dell’attività fisica un cardine fondamentale dei programmi di trattamento.
BIBLOGRAFIA
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405-412
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Pierpaolo De Feo
Direttore Centro CURIAMO
(Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria) Università degli Studi di Perugia
14. Perché l’attività fisica
è così efficace?
Born to Run
N
egli ultimi due decenni sono state prodotte
numerose evidenze scientifiche sugli effetti protettivi dell’attività fisica aerobica sullo sviluppo del diabete mellito di tipo 2. Le conclusioni degli studi clinici
sono supportate dai risultati degli sugli effetti fisiologici dell’esercizio fisico aerobico sulla utilizzazione dei
substrati energetici, sulla sensibilità insulinica e sulla
composizione corporea. Le evidenze prodotte dalla
ricerca mediante studi epidemiologici, di intervento
non-controllati e controllati hanno raggiunto simili conclusioni. Si dimostra che la modifica dello stile di vita
che include una attività fisica aerobica di moderata
intensità e della durata di almeno circa 20-30 minuti al
giorno o 150 minuti alla settimana riduce di circa il
56
60% l’incidenza del diabete mellito di tipo 2 (evidenza
di tipo A, EBM). Abbiamo, pertanto, a disposizione
un’arma preventiva e terapeutica particolarmente efficace per arrestare o rallentare l’epidemia diabete prevista per i prossimi decenni.
Un’importante evidenza dei benefici dell’esercizio fisico è stata ottenuta su persone con diabete di tipo 2.
Tali soggetti sono stati sottoposti ad adeguati programmi di attività fisica che hanno rappresentato parte essenziale della terapia, comportando una riduzione dell’utilizzo di farmaci con conseguente diminuzione delle
spese farmaceutiche e socio-sanitarie. L’applicazione di
tali programmi di attività fisica in Italia hanno dimostrato che è possibile convincere le persone sedentarie a
praticare regolarmente l’attività fisica e che camminare
4-5 km al giorno, tutti i giorni, determina la diminuzione
della pressione arteriosa di 7-9 mmHg, della circonferenza vita di 4-5 cm e del peso di 3 kg, della glicemia del
20%, dei lipidi ematici del 30%. Conseguentemente, il
rischio d’infarto nei successivi 10 anni viene ridotto del
20%.
Dinanzi a questi risultati nasce spontanea la domanda Perché l’attività fisica è così efficace? La risposta è
nel nostro DNA. L’attività fisica era indispensabile per la
sopravvivenza dei nostri progenitori ed il patrimonio genetico della specie umana si è selezionato di conseguenza. In un articolo pubblicato sulla rivista Nature ed intitolato “Born to Run” (Nato per correrre) vengono paragonate le caratteristiche metaboliche, fisiologiche e bio-
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NATO PER CORRERE
Endurance running and the evolution of Homo
meccaniche dell’uomo con quelle di altre specie animali. Dal confronto emerge che l’uomo ha grandi doti di resistenza alla corsa paragonabili e, talvolta, superiori a
quelle di quadrupedi specializzati come ad esempio il
cavallo. Durante la corsa i tendini achillei allungati e
l’arco plantare ricurvo servono a restituire energia elastica, i muscoli grandi glutei e la dissociazione testa tronco
a stabilizzarci, la povertà di rivestimento pilifero, la ricchezza di ghiandole sudoripare e la respirazione con la
bocca a disperdere il calore. Questa capacità di correre
per lunghe distanze con grande efficienza metabolica
(all’aumentare della velocità di corsa si riduce il consumo energetico al km) era indispensabile per cacciare e
trovare il cibo nell’ambiente della savana in assenza di
armi per colpire a distanza. Alla fine è stata proprio questa predisposizione alla corsa e a coprire lunghe distanze che ha consentito ai nostri progenitori di nutrirsi con
cibo ricco in proteine ed ha favorito lo sviluppo del sistema nervoso centrale con i vantaggi evolutivi che abbiamo maturato nel corso di milioni di anni rispetto alle altre specie animali.
Un’altra caratteristica ambientale che ha comportato
una selezione genetica del metabolismo è stata la frequente esposizione delle popolazioni a periodiche carestie. Si è selezionato ed è stato trasmesso il patrimonio
genetico degli individui non solo fisicamente più abili
ma anche “risparmiatori”. Il genotipo del risparmio e caratterizzato dalla capacità di immagazzinare con grande
efficienza le calorie fornite dai pochi substrati ingeriti e
BIBLIOGRAFIA
•
•
•
•
Muscolo-scheletro
Stabilizzazione
Termoregolazione
Respirazione
DM Bramble, DE Lieberman. Nature 432:345, 2004
di ridurre al massimo il dispendio energetico dovuto all’attività fisica obbligatoria per la sopravvivenza. Ciò
consentiva di avere le riserve necessarie per superare i
lunghi digiuni ed aumentava le possibilità di nutrirsi e
cacciare, dato che al bisogno erano disponibili preziose
scorte energetiche. Nella situazione ambientale attuale
in cui abbiamo grande disponibilità di cibo e non è più
necessaria l’attività fisica per lavorare o nutrirsi il genotipo del risparmio aumenta il rischio di obesità, di diabete e di sindrome metabolica. Ne deriva che la pratica regolare dell’attività fisica nel tempo libero diventa obbligatoria ai nostri giorni per consentire all’organismo di
tornare alle origini e valorizzare al meglio il nostro patrimonio genetico attraverso la fisiologica attivazione del
metabolismo.
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Chiara Di Loreto
Università degli Studi
di Perugia
Dipartimento di Medicina Interna a Scienze Endocrine e Metaboliche
15. I risultati italiani degli studi
di intervento con attività fisica
nel DM2
L’esperienza di Perugia
ti ambulatorialmente a cadenza trimestrale per un periodo di due anni. Il primo colloquio motivazionale avveniva
nel rispetto rigoroso di punti riassunti in una check-list
che può essere utlizzata dai medici per promuovere
l’attività fisica delle proprie persone con diabete. I risultati sui parametri laboratoristici e antropometrici della sindrome metabolica ottenuta in questo gruppo sono stati
confrontati con quelli del gruppo di controllo (158 persone con diabete) che per tutta la durata dello studio ha ricevuto un trattamento standard che includeva anche
RISULTATI (2 anni)
I
Figura 1. All’inizio dello studio i soggetti del gruppo intensivo e di controllo non differivano per età, peso corporeo (BMI), durata di malattia, controllo glicemico (HbA1c~ 8%),
dispendio energetico (praticamente sedentari).
58
l nostro gruppo ha valutato l’efficacia a due anni di
un intervento di tipo cognitivo-comportamentale su
un gruppo di persone con diabete mellito di tipo 2 afferenti all’ambulatorio diabetologico. I risultati dello studio, pubblicati nel 2003 su Diabetes Care, hanno confermato che due anni di regolare attività fisica aerobica su
una popolazione diabetica comportano benefici sui vari
aspetti della sindrome metabolica (Figg. 1 e 2).
Dei 340 partecipanti 182 sono stati assegnati al gruppo intensivo che veniva trattato con un primo colloquio
motivazionale della durata di almeno 30 minuti per indurre la modifica dello stile di vita (passaggio dalla sedentarietà ad un programma di attività fisico strutturato),
seguito a distanza di un mese da un breve contatto (telefonico o ambulatoriale) in cui ci si accertava dell’adesione al programma concordato e si rinforzava la motivazione. Successivamente le persone con diabete erano visita-
Intervento
80
30
60
20
40
10
20
0
% >10 MET-h/week
32
0
MET-h/week
8
30
7
28
26
Controllo p<0.01
BMI
6
HBA1c
Figura 2. Alla fine dello studio il 70% degli appartenenti al gruppo intensivo aveva raggiunto l’obiettivo, raggiungendo un dispendio energetico medio (27 METS-h/sett.) che
andava ben oltre quello prefissato (10 METS-h/sett.). Ciò ha comportato una riduzione del
peso corporeo (BMI) e del controllo glicemico/HbA1c che nell’intervento è sceso a 7%.
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consigli e materiale informativo generici sui benefici dell’attività fisica. Obiettivo dell’intervento era il raggiungimento di un dispendio energetico aggiuntivo rispetto a
quello di partenza di 10 METS-h/sett. (corrispondente ad
una camminata di almeno 30 minuti al giorno, tutti i giorni della settimana, oltre all’attività fisica già praticata all’inizio dello studio).
L’intervento è risultato efficace dal momento che nel
gruppo di intervento è stato raggiunto l’obiettivo nel
70% circa dei soggetti. Il dispendio energetico medio è
risultato di 27 METS-h/sett., di gran lunga superiore all’obiettivo prefissato. L’incremento dei livelli di attività fisica volontaria si è tradotto in notevoli benefici sui parametri antropometrici (es. peso e circonferenza vita), metabolici (emoglobina glicata, assetto lipidico), clinici (valori pressori) e sulla qualità della vita e i benefici erano
tanto più evidenti, quanto maggiore era l’intensità dell’attività fisica praticata. Questi miglioramenti si ottenevano con un sostanziale risparmio della spesa farmaceutica che si riduceva di circa 1000 euro/anno/persona
grazie ad una minore necessità di farmaci antidiabetici,
antiipetensivi ed ipolipemizzanti.
I risultati di questo studio consentono, pertanto, di
concludere che l’attività fisica aerobica regolare è efficace ed economicamente vantaggiosa. L’ostacolo al suo
impiego come strumento terapeutico e preventivo sta
nella difficoltà di convincere le persone con diabete ad
utilizzarla, non essendo l’esercizio fisico semplicemente
prescrivibile come si fa con i farmaci. E’ necessaria una
radicale modifica dello stile di vita precedentemente se-
BIBLIOGRAFIA
Di Loreto et al, Diabetes Care 26: 404-408, 2003
Di Loreto et al, Diabetes Care 28: 1524-1525, 2005
Figura 3. Nel gruppo di intervento si è realizzato un miglioramento dei parametri antropometrici (peso, circonferenza vita), laboratoristici (HbA1c, colesterolo HDL e trigliceridi), clinici (valori pressori e frequenza cardiaca a riposo), una
riduzione del rischio di presentare eventi cardiaci a 10 anni (CHD%), una riduzione delle unità di insulina/die/persona e del costo per farmaci ipoglicemizzanti, anti-ipertensivi ed ipolipemizzanti/persona/anno. Questi benefici sono tanto
maggiori quanto maggiore è l’intensità di esercizio fisico raggiunta.
dentario, la qual cosa è percepita da diverse persone con
diabete come un sacrificio maggiore della stessa dieta.
Tuttavia i dati della letteratura medico-scientifica ci insegnano che è possibile modificare lo stile di vita della
maggior parte delle persone con diabete con o a rischio
di diabete, ma è essenziale che le strategie utili a motivare e a garantire l’adesione a lungo termine all’attività fisica siano utilizzate con accuratezza ed entusiasmo dai
diabetologi hanno, pertanto, bisogno di PIU’ TEMPO da
dedicare ai propri assistiti.
Le prove degli studi clinici riguardo a gli indiscutibili
benefici economici e sulla salute dell’intervento sullo stile di vita devono promuovere una politica sanitaria che
investa sugli operatori che si adoperano in questo ambito, dato che l’apparente maggiore spesa iniziale (maggiore tempo/persona) si traduce alla lunga in una riduzione del costo della spesa per farmaci. Il maggior tempo iniziale è tempo investito e non perso.
59
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Gruppo di studio
diabete ed aterosclerosi
della SID
16. I risultati italiani degli effetti dell’attività
fisica nel diabete mellito di tipo 2
Lo studio MIND-IT
Studio di intervento multifattoriale, multicentrico, randomizzato con applicazione delle
linee guida della Società Italiana di Diabetologia (SID) per la prevenzione delle malattie
cardiovascolari nel diabete tipo 2 elaborate dal Gruppo di Studio Diabete e Aterosclerosi
I
l rischio di comparsa di un evento cardiovascolare
maggiore è 4 volte superiore nelle persone con diabete rispetto ai non diabetici. In parte, ciò è dovuto alla
frequente coesistenza nel diabete di altre condizioni di
rischio quali dislipidemia, ipertensione, obesità, microalbuminuria. Dal momento che la presenza di molteplici
fattori di rischio esercita un effetto sinergico sulla comparsa degli eventi cardiovascolari, si ritiene che la strategia ideale per prevenirli sia rappresentata da un
approccio multifattoriale mirato alla loro correzione
contemporanea.
Per questo il Gruppo di Studio Diabete e Aterosclerosi
della SID si è fatto promotore dello studio italiano
MIND-IT come acronimo di Multifactorial Intervention in
Type 2 Diabetes-Italy.
60
Le persone con diabete di entrambi i sessi arruolate
rispondevano ad una serie di criteri di inclusione: età 5070 anni, diagnosi di diabete da almeno due anni, assenza di angina/infarto/ictus/TIA/arteriopatia obliterante
arti inferiori, epatopatia cronica, insufficienza renale,
malattie neoplastiche. Presentavano, oltre al diabete, almeno 2 fra le seguenti condizioni: ipertensione arteriosa, aumento dei trigliceridi o riduzione del colesterolo
“buono” HDL, aumento del colesterolo “cattivo” LDL,
fumo di sigaretta (>10 sig./die).
I Centri diabetologici partecipanti sono stati assegnati a due bracci paralleli: trattamento convenzionale
(usual) che continuavano a seguire le proprie persone
con diabete secondo le modalità e le procedure abituali
e trattamento intensivo (intensive) in cui le persone con
diabete hanno ricevuto da sperimentatori preventivamente ed opportunamente formati un intervento intensivo e multifattoriale sui principali fattori di rischio cardiovascolare al fine di raggiungere specifici obiettivi sul
controllo glicemico, pressorio, sull’assetto lipidico. I soggetti del gruppo intensive venivano visti a cadenza trimestrale ed il trattamento, oltre all’approccio farmacologico, prevedeva anche la modifica dello stile di vita. Nei
soggetti in terapia intensiva sono state messe a punto
procedure di intervento atte a modificare/migliorare la
dieta e ad incentivare la pratica dell’attività fisica come
strumento terapeutico. Nello specifico, si richiedeva il
raggiungimento di un dispendio energetico giornaliero
di 200-300 calorie in più rispetto al basale.
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Lo studio, la cui fase di arruolamento si è chiusa in alcuni centri nel 2004, è ancora in corso, pertanto non è
ancora possibile fornire dati riguardo alla eventuale differenza di comparsa di eventi cardiovascolari maggiori
nei due bracci. Tuttavia si è da poco conclusa la raccolta
dei dati relativi alla valutazione ad interim a due anni di
follow-up. Dall’analisi preliminare dei dati ottenuti si
evince che un trattamento intensivo multifattoriale è fattibile nella realtà diabetologica italiana, purchè ci sia
personale formato ad hoc, ed è in grado di modificare la
storia naturale della malattia diabetica migliorando il
controllo glicemico (nei Centri Intensive si è assistito ad
una riduzione dell’HbA1c dello 0,6%, mentre in quelli
Usual è inesorabilmente salita). Lo stesso andamento
(miglioramento per gli intensive e peggioramento per gli
usual) si è registrato anche per indice di massa corporea,
assetto lipidico, valori pressori, ecc.).
Nonostante la FATTIBILTA’ di questo tipo di intervento, il raggiungimento degli obiettivi prefissati non è ottimale neppure nel braccio intensivo a dimostrazione della difficoltà di condurre con successo un intervento multifattoriale di prevenzione cardiovascolare nel diabete tipo 2. La differenza nel raggiungimento degli obiettivi nei
due gruppi è giustificata almeno in parte dalla implementazione della terapia farmacologia, mentre molti
sforzi devono ancora essere compiuti per implementare
gli interventi educazionali sulla dieta e sull’attività fisica.
Dall’attività di monitoraggio presso i centri è emerso
che l’impedimento maggiore alla terapia educazionale è
rappresentata dallo scarso tempo che il diabetologo riesce a dedicare a ciascuna persona con diabete.
Il dato incoraggiante resta comunque che, quando lapersona con diabete riceve, oltre alla terapia farmacologia, anche un’adeguata educazione ad un corretto stile
di vita, i risultati risultano migliori se paragonati ad un
usual care.
BIBLIOGRAFIA
Il Diabete, vol. 19, n.3, Settembre 2007, pagg. 157-163
Rivellese A et al., European J Clin Nutr 2007 Apr 11
Vaccaro O. et al., Atherosclerosis (in revisione)
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Stefano Balducci
Progetto IDES
17. I risultati italiani degli studi
di intervento con attività fisica
nel DM2
Lo Studio IDES
L’IDES è uno studio controllato e randomizzato che si
propone quindi di verificare, su un ampio campione di
persone con diabete di tipo 2 e sindrome metabolica,
l’ipotesi che un intervento intensivo sullo stile di vita
basato sull’esercizio fisico misto (aerobico e di resistenza), prescritto e supervisionato, in aggiunta al trattamento convenzionale, migliora in maniera dose-dipendente, rispetto al solo trattamento convenzionale, i
seguenti parametri:
– il controllo glicemico (HbA1c), obiettivo primario;
– i fattori di rischio cardiovascolare, tradizionali e non
– il rischio cardiovascolare globale;
– il benessere psico-fisico delle persone con diabete;
L’
esercizio fisico, che esercita un impatto favorevole
sul metabolismo, soprattutto attraverso un miglioramento della sensibilità insulinica a livello muscolare, è
risultato efficace sia nel ridurre l’incidenza del diabete di
tipo 2 nei soggetti a rischio sia nel migliorare il compenso glicemico, gli altri fattori di rischio cardiovascolare e
la mortalità totale e cardiovascolare nelle persone con
diabete. Di recente, in persone con diabete di tipo 2, è
stata altresì suggerita l’efficacia in termini di controllo
glicemico sia di interventi strutturati sull’attività fisica
sia dell’allenamento di resistenza, di cui è altresì emersa
l’assoluta sicurezza, contrariamente a quanto ritenuto in
passato.
62
– i costi economici per il SSN e la persona stessa.
Sono state studiate 606 persone con diabete di tipo
2 con sindrome metabolica, definita in base ai criteri
IDF, consecutive, reclutate in 23 centri e successivamente suddivise con modalità randomizzata stratificata a
blocchi permutati in due bracci:
1. esercizio fisico misto, prescritto e supervisionato
(EXE; n=303);
2. trattamento convenzionale (CON; n=303).
I criteri di inclusione sono stati durata del diabete ≥
1 anno; età 40 -75 anni al momento dello screening;
sedentarietà da almeno 6 mesi; capacità di cammino
prolungato senza assistenza; BMI ≥27 ≤40; trattamento con dieta, ipoglicemizzanti orali o insulina. I criteri di
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esclusione saranno una storia clinica o evidenza all’esame obiettivo di condizioni che limitino o controindichino l’esercizio, ovvero disfunzioni del sistema nervoso
centrale; disfunzione vestibolare; deformità muscoloscheletriche significative; artropatia o dolore agli arti
inferiori; ulcere plantari; retinopatia pre-proliferante o
proliferante; malattia cardiovascolare grave, con particolare riferimento ad angina ed ipotensione posturale.
Il reclutamento e la randomizzazione sono durati 3
mesi, mentre il follow-up è stato di 12 mesi, al termine dei quali sono stati rivalutati i parametri suindicati.
Il significato di questo studio risiede nelle importanti
implicazioni cliniche derivanti dall’eventuale dimostrazione della superiorità dell’esercizio fisico misto (aerobico e di resistenza), prescritto e supervisionato rispetto al
trattamento convenzionale nel migliorare il controllo
glicemico e ridurre il rischio cardiovascolare nelle persone con diabete di tipo 2.
Metodologia
1. Esercizio fisico misto, prescritto
e supervisionato (gruppo EXE)
Questo intervento intensivo prevede 2 sedute iniziali
di esercitazioni pratiche supervisionate e controllate
dall’operatore di fitness metabolica e dal diabetologo
finalizzate a:
– conoscere i vantaggi e gli svantaggi dell’esercizio
fisico sulle proprie condizioni di salute e apprendere
quando è sconsigliabile praticare l’attività fisica;
– saper distinguere tra esercizio fisico abituale e occasionale, conoscere lo stretching, riconoscere le attività sportive di tipo aerobico e anaerobico e valutare
l’intensità dello sforzo;
– saper effettuare correttamente l’auto-monitoraggio
della glicemia ed eventualmente della chetonuria, e
la misurazione di parametri vitali quali pressione
arteriosa e frequenza cardiaca, prima, durante e
dopo l’esercizio, interpretarne il significato e prendere iniziative le opportune terapeutiche.
Seguiranno 2 sedute settimanali della durata di 70
min ciascuna, presso il Centro di Fitness Metabolica,
sempre supervisionate e controllate dall’operatore di fitness metabolica. Nel corso di tali sedute verranno effettuati esercizi aerobici e di resistenza che consentano un
dispendio calorico per singola seduta di 200 Kcal per le
prime 2 settimane, con un incremento di 100 Kcal per
ogni ulteriore settimana fino ad un massimo di 500
Kcal.
Prima e dopo la seduta verranno valutati i seguenti
parametri:
– pressione arteriosa;
– glicemia capillare;
– frequenza cardiaca media lavoro;
– lavoro % VO2 max;
– durata/Intensità lavoro aerobico;
– durata/Intensità lavoro di resistenza;
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– Mets;
– consumo calorico.
Counseling
Si tratta di un intervento terapeutico di tipo educazionale somministrato dal diabetologo grazie al quale la
persona con diabete verrà messa in condizioni di attivare un percorso di attività fisica del tempo libero.
Esso si compone di una sessione iniziale (30 min),
seguita da successive sessioni trimestrali (15 min)
Il counseling si propone di analizzare in successione:
2. Trattamento convenzionale (gruppo CON)
Le persone con diabete in trattamento convenzionale verranno chiamati telefonicamente dal diabetologo a
cadenza mensile per raccogliere informazioni riguardo
all’attività fisica praticata.
% di Pazienti con HbA1c <6.5 prima e dopo lo studio
in entrambi i gruppi
Emoglobina Glicosilata - HbA1c
7.12
HbA1c %
7,0
7.04
6,9
6,8
6,7
6,70
6,6
6,5
6,4
T0
T1
CON
64
T0
EXE
T1
% di pazienti in Target per l'HbA1c
7,1
p< 0.006
60
p< 0.003
7,2
7.15
Motivazione, Auto-efficacia, Piacere, Supporto, Consapevolezza, Assenza di Impedimenti, Diario.
Lo studio IDES ha dimostrato che sia nel gruppo di
controllo trattato con il counselling che nel gruppo tarttato con counselling piu esercizio fisico aerobico e di
forza supervisionato e controllato l’HbA1c diminuisce
anche se solo nel gruppo EXE in modo statisticamente
significativo. All’inizio dello studio nel gruppo EXE su
50
54.5
40
40.9
40.1
42.8
30
20
10
0
T0
T1
CON
T0
T1
EXE
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100 diabetici 43 erano a target per l’HbA1c < 6,5% alla fine dello studio numero saliva a 55 con un incremento del 12%.
Questo risultato è da considerarsi piu che soddisfacente se si pensa che nello STENO 2 uno studio Danese
di intervento intensivo (farmacologico + attività fisica)
poco piu del 10% dei soggetti raggiungeva il target per
l’ HbA1c. Nello studio NHANES III, 1988–1994 e NHANES 1999-2000 (Third National Health and Nutrition
Examination Study) le persone con diabete a target per
HbA1c in questo caso (<7%) si è ridotta tra il periodo
1988–1994 e 1999–2000 dal 44 al 37%.
HbA1c
< 6.5 %
< 6.5 %
T0
T1
n
%
T0
T1
n
%
p<
CON
114
112
-2
-1,8
165
167
2
1,2
ns
EXE
127
162
-35
27,6
170
135
-35
-20,6
0.006
Fisher’s Exact Test
65
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LE STRATEGIE
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Documento estratto
dalla Conferenza
Ministeriale dell’OMS
18. Strategie europee nella lotta
all’obesità
P
er affrontare l’epidemia di obesità, che rappresenta
una minaccia per la salute, l’economia e lo sviluppo, noi Ministri e delegati partecipanti alla Conferenza
Ministeriale della Regione Europea dell’OMS sull’azione
di Contrasto all’Obesità (Istanbul, Turchia, 15-17
Novembre 2006), in presenza del Commissario Europeo
per la Salute e la protezione del Consumatore, adottiamo, come policy di riferimento, la seguente Carta
Europea sull’Azione di Contrasto all’Obesità. Il processo
di preparazione della presente dichiarazione ha coinvolto diversi settori dei governi, organizzazioni internazionali, esperti, rappresentanti della società civile e del settore privato con consultazioni e discussioni.
Noi affermiamo il nostro impegno a rafforzare l’azione
di contrasto all’obesità in linea con questa dichiarazione
68
ed a fare di questo problema una priorità dell’agenda
politica dei nostri governi. Noi sollecitiamo inoltre i nostri partner e tutti i soggetti che hanno interessi in questa materia a intraprendere una più forte azione contro
l’obesità e riconosciamo la leadership dell‘Ufficio
Regionale Europeo dell‘OMS su questo argomento.
Esistono prove scientifiche sufficienti per poter agire
subito; allo stesso tempo, la ricerca di soluzioni innovative, di adattamenti delle raccomandazioni ai contesti locali e nuove ricerche su aspetti particolaripossono migliorare l’efficacia pratica delle politiche.
L’obesità è un problema della salute pubblica in tutto
il globo; noi riconosciamo l’importanza del ruolo dell’azione congiunta dell’Europa che costituirà un esempio capace di mobilitare gli sforzi della comunità a
livello globale.
1. LA SFIDA.
Noi riconosciamo che:
1.1 L’epidemia di obesità crea uno dei più seri problemi per la salute pubblica nella Regione Europea
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La prevalenza di obesità è aumentata di tre volte nelle ultime due
decadi. Nella Regione Europea dell’OMS, metà di tutti
gli adulti e un bambino su cinque sono sovrappeso. Di
questi, un terzo sono francamente obesi e il loro numero si sta accrescendo rapidamente. Sovrappeso e obesità contribuiscono a una notevole proporzione delle ma-
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lattie non trasmissibili, abbreviando l’aspettativa di vita
e influenzando in modo negativo la qualità della vita.
Ogni anno, nella Regione, più di un milione di morti è
dovuto a malattie associate all’eccesso di peso corporeo.
1.2 La tendenza è particolarmente allarmante nei
bambini e negli adolescenti, poiché in questo modo
l’epidemia si sposta nell’età adulta e genera un progressivo peggioramento delle salute per le generazioni future. La prevalenza di obesità giovanile aumenta di anno
in anno e questa tendenza cresce continuamente ed è
attualmente dieci volte maggiore che negli anni ’70.
1.3 L’obesità influenza pesantemente anche lo sviluppo economico e sociale. L’obesità e il sovrappeso
negli adulti sono responsabili della spesa per sanitaria
nella Regione Europea, per una quota che arriva fino
all’8%; per di più, comportano costi indiretti, conseguenti alla perdita di vite umane, di produttività e guadagni correlati, che sono almeno il doppio dei costi diretti. Sovrappeso ed obesità affliggono principalmente
le persone di classe socioeconomica bassa e questo
contribuisce ad aumentare le disuguaglianze nello stato di salute.
1.4 L’epidemia si è ampliata negli ultimi decenni a
causa dei cambiamenti dell’ambiente culturale, sociale, economico e fisico. Uno squilibrio energetico nella
popolazione è stato innescato da una drammatica riduzione dell’attività fisica e dai mutamenti negli schemi
dietetici, incluso l’incremento nel consumo di cibi e bevande ad alta densità energetica e poveri di nutrienti
(contenenti alte proporzioni di grassi sia saturi sia totali,
sale e zuccheri) in combinazione con un basso consumo
di frutta e vegetali. Secondo i dati disponibili, due terzi
della popolazione nella maggioranza dei Paesi nella
Regione Europea dell’OMS non svolgono un’attività fisica sufficiente ad assicurare e mantenere vantaggi per la
salute e solo in pochi Paesi il consumo di frutta e verdura raggiunge i livelli raccomandati. La predisposizione
genetica da sola non spiega l’epidemia di obesità, senza
i cambiamenti dell’ambiente culturale, sociale, economico e fisico.
2. COSA SI PUÒ FARE:
gli obiettivi, i principi e le strutture per l’azione
1.5 Un’azione internazionale è essenziale per supportare le politiche nazionali. L’obesità non è più una sindrome delle società ricche; sta diventando altrettanto
diffusa nei Paesi in via di sviluppo così come in quelli con
economie in transizione, particolarmente nel contesto
determinato dalla globalizzazione. L’avvio di azioni intersettoriali resta una sfida e nessun Paese finora è stato effettivamente in grado di tenere l’epidemia sotto
controllo. Stabilire forti azioni internazionali coordinate
per contrastare l’obesità è una sfida e un’opportunità,
visto che molte misure chiave sono transfrontaliere sia
nel carattere che nelle conseguenze.
2.2 Limitare l’epidemia ed invertirne l’andamento è
l’obiettivo fondamentale dell’azione nella Regione
Europea. Progressi visibili, specialmente per quel che riguarda bambini e adolescenti, dovrebbero essere raggiungibili nella maggioranza dei Paesi nei prossimi 4-5
anni e dovrebbe essere possibile invertire l’andamento
al più tardi entro il 2015.
2.1 L’epidemia di obesità è reversibile. E’ possibile invertire l’andamento e tener l’epidemia sotto controllo.
Questo può essere ottenuto solo attraverso azioni complessive, dato che la radice del problema risiede nel rapido cambiamento dei determinanti sociali, economici ed
ambientali degli stili di vita della gente. Bisogna creare
una società in cui gli stili di vita salutari, per dieta e attività fisica, siano la norma e dove gli obiettivi culturali,
sociali, di salute ed economici siano allineati e le scelte
salutari siano facilitate e rese più accessibili per gli individui.
2.3 I seguenti principi devono guidare l’azione nella
Regione Europea dell’OMS:
2.3.1 Si richiedono volontà politica e leadership ad alto
livello ed un mandato completo dei governi per l’OMS –
al fine di ottenere la mobilitazione e sinergie nei differenti settori.
2.3.2 L’azione contro l’obesità dovrebbe essere connes69
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sa alle strategie complessive sulle malattie non-trasmissibili e sulle attività di promozione della salute.
Migliorare la diete e l’attività fisica avrà un sostanziale e
spesso rapido impatto sulla salute pubblica, a seguito
dei benefici derivanti dalla riduzione di sovrappeso e
obesità.
2.3.3 Bisogna trovare un punto di equilibrio tra le responsabilità degli individui e quelle dei governi e della
società. Non è accettabile lasciare che gli individui siano
i soli responsabili per la loro obesità.
2.3.4 È essenziale che l’azione intrapresa sia ben inserita all’interno del contesto culturale di ciascun Paese o
Regione, così come è essenziale che sia riconosciuto il
piacere offerto da una dieta sana e dall’attività fisica.
2.3.5 Sarà essenziale costruire collaborazioni a tutti i livelli (nazionale, sub-nazionale e locale) tra i portatori di
interessi (stakeholder), quali i governi, la società civile, il
settore privato, le reti di professionisti, i media e le organizzazioni internazionali,
2.3.6 Le misure politiche dovrebbero essere coordinate
tra le differenti parti della Regione, per evitare in particolare che la pressione del mercato su cibi e bevande ad alta densità energetica si sposti verso Paesi con ambienti
meno regolamentati. L’OMS può giocare un ruolo nel facilitare e supportare il coordinamento inter-governativo.
2.3.7 Speciale attenzione bisogna dedicare ai gruppi di
popolazione più vulnerabili, quali bambini e adolescen70
ti, la cui inesperienza e credulità non dovrebbero essere
sfruttate dalle attività commerciali.
re preventive e l’offerta di diagnosi, screening e trattamento.
2.3.8 Costituisce una priorità anche il supporto ai gruppi di popolazione svantaggiati, sotto il profilo socio-economico, i quali affrontano maggiori costrizioni e limitazioni nell’esercitare scelte salutari. Aumentare
l’accessibilità e la disponibilità delle scelte salutari dovrebbe, quindi, costituire un obiettivo chiave.
- I Ministeri e le Agenzie come quelli che si occupano di
agricoltura, alimenti, finanza, commercio ed economia,
affari dei consumatori, sviluppo, trasporti, pianificazione
urbana, istruzione e ricerca, affari sociali, lavoro, sport,
cultura e turismo giocano un ruolo essenziale nello sviluppo di politiche ed azioni di promozione della salute.
Questo porterà dei benefici anche nei loro specifici campi.
2.3.9 La valutazione dell’impatto sugli obiettivi di salute
pubblica dovrebbe essere considerata una priorità,
quando si sviluppano politiche economiche, commerciali, agricole, dei trasporti e urbanistiche.
2.4 Per trasformare questi principi in azioni è necessaria una struttura che connetta i principali attori con gli
strumenti e gli scenari politici.
2.4.1 Tutti i settori di governo rilevanti dovrebbero
giocare un ruolo. Per attivare questa collaborazione è
necessario che vengano messi in atto meccanismi istituzionali adeguati.
- I Ministeri della Salute dovrebbero giocare un ruolo
guida propugnando, ispirando e conducendo azioni
multisettoriali. Dovrebbero essere di esempio facilitando
le scelte salutari dei dipendenti del settore sanitario e
degli utenti dei servizi sanitari. Il ruolo del Sistema
Sanitario è importante anche nel rapporto con le persone ad alto rischio e con chi è già sovrappeso o obeso,
passando attraverso il disegno e la promozione di misu-
- Le autorità locali hanno un grande potenziale ed un
ruolo principale nel creare ambienti ed opportunità per
l’attività fisica, una vita attiva ed una dieta sana e dovrebbero essere supportate nella loro azione.
2.4.2 La società civile può sostenere la risposta politica. Il coinvolgimento attivo della società civile è importante per incoraggiare la consapevolezza del pubblico e
la domanda di azione e come fonte di approcci innovativi. Le organizzazioni non-governative possono supportare le strategie di contrasto all’obesità. Le associazioni
e i sindacati dei datori di lavoro, dei consumatori, dei genitori, dei giovani e dello sport possono giocare ciascuno un ruolo specifico. Le organizzazioni dei professionisti della salute dovrebbero assicurare che i propri membri siano pienamente impegnati nell’azione di prevenzione.
2.4.3 Il settore privato dovrebbe giocare un ruolo importante ed avere la responsabilità nella costruzione
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di un ambiente sano, così come nella promozione delle scelte salutari nel proprio luogo di lavoro. Ciò include le imprese di tutta la catena alimentare, dai produttori primari ai rivenditori. L’azione si dovrebbe concentrare
sul loro principale campo di attività, come la trasformazione, la commercializzazione e l’informazione sul prodotto, mentre potrebbe giocare un ruolo anche
l’educazione del consumatore all’interno di un quadro
stabilito dalle autorità di sanità pubblica. C’è anche un
ruolo importante per settori economici come quelli dello
sport e del tempo libero, i costruttori, i pubblicitari, i trasporti pubblici, il turismo attivo, ecc. Il settore privato potrebbe essere coinvolto con strategie win-win sottolineando le opportunità economiche derivanti dall’investire
nelle opzioni salutari.
2.4.4 I media hanno un’importante responsabilità nel
fornire informazione ed educazione, aumentare la consapevolezza e supportare le politiche di sanità pubblica
in questo campo.
Development) possono creare collaborazioni efficaci e
stimolare così collaborazioni multisettoriali a livello nazionale ed internazionale. L’Unione Europea gioca un
ruolo primario attraverso la propria legislazione, le politiche e i programmi di sanità pubblica, la ricerca e le attività quali la Piattaforma Europea per l’Azione su Dieta,
attività Fisica e Salute.
Gli impegni internazionali esistenti come la Strategia
Globale su Dieta, Attività Fisica e Salute, il Piano
d’Azione Europeo su Alimenti e Nutrizione e la Strategia
Europea per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie
Non-Trasmissibili dovrebbero essere utilizzati come guida e per creare sinergie. Inoltre, impegni politici come il
CEHAPE (Children’s Environment and Health Action
Programme for Europe), il THE PEP (Transport, Health
and Environment Pan-European Programme) ed il Codex
Alimentarius posono essere utili per ottenere coerenza e
consistenza nelle azioni internazionali e per ottimizzare
l’utilizzo delle risorse.
2.4.5 La collaborazione intersettoriale è essenziale
non solo a livello nazionale ma anche internazionale.
L’OMS dovrebbe ispirare, coordinare e guidare l’azione
internazionale. Le organizzazioni internazionali come la
FAO (United Nations Food and Agriculture
Organization), l’UNICEF (United Nations Children's
Fund), la Banca Mondiale, il Consiglio d’Europa, l’ILO
(International Labour Organization) e l’OECD
(Organisation for Economic Co-operation and
2.4.6 Gli strumenti politici vanno dall’azione legislativa allo sviluppo di collaborazioni pubblico/privato,
con particolare attenzione per le misure regolatorie. Il
governo dovrebbe assicurare consistenza e sostenibilità
attraverso azioni regolatorie, incluso misure legislative.
Altri importanti strumenti includono la riformulazione
delle politiche, le politiche fiscali e di investimento pubblico, la valutazione di impatto sulla salute, le campagne
mirate ad aumentare la consapevolezza e fornire infor-
mazioni ai consumatori, la costruzione di competenze e
di collaborazioni, la ricerca, la pianificazione e il monitoraggio. Dovrebbero essere incoraggiate le collaborazioni
pubblico/privato con un razionale ed obiettivi di sanità
pubblica condivisi e specificati. Misure specifiche dovrebbero includere: l’adozione di regolamenti per ridurre sostanzialmente l’estensione e l’impatto della promozione commerciale di cibi e bevande ad alto contenuto
energetico, particolarmente se rivolta ai bambini, e lo
sviluppo di approcci internazionali, come un codice sul
marketing rivolto ai bambini in questo campo e
l’adozione di regolamenti per strade più sicure al fine di
promuovere il camminare e l’uso della bicicletta.
2.4.7 L’azione dovrebbe essere intrapresa a livello sia
micro sia macro ed in diversi scenari. Particolare importanza è collegata a scenari come la casa e la famiglia, le comunità, gli asili nido, la scuole, i luoghi di lavoro, i mezzi di trasporto, l’ambiente urbano, gli alloggi,
i servizi socio-sanitari e le attrezzature per il tempo libero. L’azione dovrebbe coprire anche il livello locale, nazionale ed internazionale. In questo modo gli individui
dovrebbero essere supportati ed incoraggiati a sentirsi
responsabili nel far uso attivamente delle possibilità offerte.
2.4.8 L’azione dovrebbe essere mirata ad assicurare
un bilancio energetico ottimale, esercitando stimoli a
favore di una sana alimentazione e dell’attività fisica.
Sebbene informazione ed educazione rimangano impor71
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tanti, l’attenzione dovrebbe spostarsi su un insieme di
interventi finalizzati a mutare l’ambiente sociale, economico e fisico.
l’alimentazione e quelle per l’attività fisica; modificazione dei comportamenti individuali nei confronti della
salute.
l’Europa offrirà ai decisori esempi di buone pratiche e
case studies.
2.4.9 Un pacchetto di azioni preventive essenziali
dovrebbe essere promosso come misure chiave; i
Paesi potrebbero ulteriormente definire le priorità
tra gli interventi di questo pacchetto, in relazione alla loro situazione nazionale ed al livello di sviluppo
delle proprie politiche. Il pacchetto di azioni essenziali includerebbe: riduzione della pressione del marketing, particolarmente sui bambini; promozione dell’allattamento al seno; miglioramento della disponibilità
di cibi sani, compresi frutta e vegetali; misure economiche per facilitare scelte alimentari più sane; offerte di
strutture ricreazionali e per l’esercizio fisico accessibili,
compreso il supporto ai gruppi socialmente svantaggiati; riduzione di grassi, zuccheri (soprattutto se aggiunti) e sale nei prodotti lavorati adeguate etichettature nutrizionali; promozione dell’uso della bicicletta e
del camminare attraverso migliori disegni urbani e politiche dei trasporti; creazione di facilitazioni negli ambienti locali che motivino le persone a svolgere attività
fisica nel tempo libero; disponibilità di cibi salutari, facilitazioni allo svolgimento di attività fisica giornaliera
ed educazione nutrizionale e fisica nelle scuole; facilitare e motivare le persone ad adottare abitudini dietetiche migliori ed a svolgere attività fisica sul posto di
lavoro; sviluppare/migliorare linee guida nazionali per
2.4.10 Si dovrebbe continuare a porre attenzione sulla prevenzione dell’obesità nelle persone già in sovrappeso (e perciò ad alto rischio) ed in trattamento
per l’obesità. Azioni specifiche in questo campo includerebbero: identificazione tempestiva e gestione del sovrappeso e dell’obesità in ambito dell’assistenza primaria; offrire formazione per i professionisti della salute
nella prevenzione dell’obesità; emettere raccomandazioni cliniche per lo screening e il trattamento. Qualsiasi
stigmatizzazione o sovra-valutazione dell’obesità dovrà
essere evitata a tutte le età.
3. PROGRESSI E MONITORAGGIO
72
2.4.11 Nel disegnare ed implementare le politiche, devono essere utilizzati gli interventi di comprovata efficacia. Questi includono progetti con documentato impatto sul consumo di cibi sani e sui livelli di attività fisica, come: piani per offrire alla gente frutta gratuita a
scuola; prezzi abbordabili per i cibi più sani; aumentata
accessibilità ai cibi sani nei luoghi di lavoro e nelle aree
di deprivazione socio-economica; costruire piste ciclabili; incoraggiare i bambini ad andare a scuola a piedi; migliorare l’illuminazione stradale; promuovere l’uso delle
scale; ridurre l’uso della televisione. Ci sono anche evidenze che molti interventi contro l’obesità, come programmi scolastici e trasporto attivo, hanno un alto rapporto costi-efficacia. L’Ufficio Regionale dell’OMS per
3.1 Questa dichiarazione mira a rafforzare l’azione contro l’obesità in tutta la Regione Europea dell’OMS. Essa
stimolerà e influenzerà le politiche dei Paesi, le azioni regolatorie incluso la legislazione e i piani d’azione. Un
piano d’azione europeo, che riguarderà nutrizione e attività fisica, tradurrà i principi della dichiarazione in specifiche linee operative e meccanismi di monitoraggio.
3.2 È necessario mettere insieme un processo che porti
allo sviluppo di un nucleo di indicatori, da includere nei
sistemi di sorveglianza sulla salute, che consentano il
confronto internazionale. Questi dati potrebbero essere
utilizzati per l’advocacy, le decisioni sulle strategie e il
monitoraggio. Ciò potrebbe favorire la regolare valutazione e la revisione delle politiche e delle attività, oltre la
diffusione dei risultati ad un uditorio ampio.
3.3 Il monitoraggio, a lungo termine, dei progressi è essenziale, perchè i risultati, in termini di riduzione dell’obesità e di malattie correlate, richiederanno tempo
per manifestarsi. L’Ufficio Europeo dell’OMS dovrebbe
preparare rapporti triennali, a partire dal 2010.
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L’obesità in Europa ha raggiunto proporzioni epidemiche. La prevalenza è triplicata negli ultimi venti anni e si prevede che nel 2010 gli obesi nella Regione Europea dell’Oms saranno 150 milioni di adulti e 15 milioni di bambini e adolescenti (rispettivamente il 20%
e il 10% della popolazione mondiale). Oggi, in molti Paesi è in sovrappeso tra il 30 e l’80% degli
adulti. I dati disponibili indicano un range negli uomini variabile tra il 28% dell’Uzbekistan e il
66% dell’Irlanda. Riguardo all’obesità, i livelli variano tra il 13% del Portogallo e il 23% della
Finlandia. Esistono differenze significative non solo tra i vari Paesi, ma anche all’interno della
stesso Stato, tra le diverse regioni, gruppi sociali, tra uomini e donne e fasce d’età differenti. Non
si può negare, comunque, che i tassi stiano aumentando praticamente ovunque nella Regione
europea dell’Oms.
2
I bambini sono particolarmente a rischio di obesità. Il sovrappeso è il disturbo infantile più
comune nella Regione europea dell’Oms, se si considera che circa il 20% dei bambini è in
sovrappeso e, di questi, un terzo è obeso. Entro il 2010 un bambino su dieci sarà obeso e quindi
più a rischio di sviluppare diabete di tipo 2, ipertensione e insonnia, disagi psicologici e sociali.
L’aspetto più preoccupante è che questi bambini rimangano obesi anche da adulti, sviluppando
così malattie più gravi che porteranno a una riduzione di lunghezza e qualità di vita. Secondo proiezioni del ministero della Salute del Regno Unito, si può prevedere che in media l’aspettativa
di vita per gli uomini diminuirà di cinque anni entro il 2050 se persisteranno gli attuali
livelli di obesità. Le abitudini acquisite nell’infanzia per quanto riguarda dieta e attività fisica,
infatti, non cambiano facilmente lungo il corso della vita.
3
L’obesità è il risultato di un eccessivo aumento di peso che si verifica quando una persona mangia più di quanto non riesca a bruciare con l’attività fisica. Gli obesi hanno un
rischio maggiore di sviluppare malattie gravi, come il diabete di tipo 2, cardiopatie e ictus,
malattie della cistifellea, tumori a carico di diversi organi (endometrio, ovaio, mammella,
collo dell’utero, prostata, colon retto, cistifellea, pancreas, fegato e reni), oltre che problemi psicosociali. L’obesità si misura attraverso l’indice di massa corporea (in inglese Body
Mass Index, Bmi), calcolato dividendo il peso in chilogrammi di una persona per la sua
altezza in centimetri al quadrato. Negli adulti un BMI tra 18,5 e 24,9 è nella norma, un
valore di 25 e oltre indica sovrappeso, mentre se supera il valore di 30 si parla di obesità. Ogni anno il sovrappeso causa un milione di decessi nella Regione.
4
Il costo sociale dell’obesità è enorme: fino al 6% delle spese sanitarie nella Regione
europea dell’Oms è legato all’obesità tra gli adulti. C’è anche un altro costo indiretto,
quasi il doppio, dovuto alla perdita di vite, produttività e reddito. In Spagna, per esempio,
si stima che il costo attribuibile all’obesità sia di 2,5 miliardi l’anno. Negli Stati Uniti le
spese sanitarie annuali per una persona obesa sono superiori del 36% rispetto a quelle il
cui Bmi rientra nella norma. Inoltre è molto più probabile che una persona obesa si debba
assentare dal lavoro per motivi di salute. Infine è necessario prendere in considerazione
altri costi, tra cui lo scarso rendimento scolastico e la discriminazione sul luogo di lavoro.
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In quasi tutti i paesi della Regione, l’obesità è più diffusa tra le categorie sociali svantaggiate che hanno minor reddito e istruzione, oltre che maggiori difficoltà di accesso alle cure.
L’obesità riflette e si accompagna dunque alle diseguaglianze, favorendo un vero e proprio
circolo vizioso. Gli individui che vivono in condizioni disagiate devono far fronte a limitazioni
strutturali, sociali, organizzative, finanziarie e di altro genere che rendono difficile compiere
scelte adeguate sulla propria dieta e attività fisica. Per esempio, in Francia una porzione da
100 calorie di frutta e verdura, che contiene una quantità di elementi nutritivi superiore di cinque volte (dal punto di vista energetico) rispetto ad altri alimenti, può costare anche cinque
volte di più. I gruppi a basso reddito, di solito, hanno meno accesso a palestre e centri benessere, oltre a vivere in zone che tendenzialmente incoraggiano meno l’attività fisica. A livello
nazionale, gli studi indicano che nei Paesi più poveri ma con uno sviluppo rapido si riscontra
un veloce aumento dell’obesità, mentre nei Paesi più avanzati con le maggiori disparità di reddito tra ricchi e poveri si misurano in genere livelli più alti di obesità.
7
Le abitudini alimentari delle persone sono molto cambiate negli ultimi decenni e la
quantità di cibo a disposizione è globamente aumentata. In media, una donna ha bisogno di
2000 calorie al giorno per mantenere il proprio peso, mentre per gli uomini il valore è di 2500
calorie. Nel 1961, la quantità giornaliera di calorie disponibile era di 2300 a persona. Valore
che è salito a 2800 nel 1998 e che potrebbe superare 3000 entro il 2015. Inoltre i prezzi degli
alimenti sono diminuiti nel tempo: il prezzo reale di riso, grano, mais, grasso e zucchero è sceso
di circa il 60% tra il 1960 e il 2000. All’inizio del ventesimo secolo il consumo pro capite annuale di zucchero era inferiore a cinque chili, cifra che è salita ad almeno quaranta chili. Il consumo di frutta e verdura è insufficiente: secondo l’Oms, solo il 30% dei ragazzi e il 37% delle
ragazze tra i 13 e i 15 anni mangia frutta ogni giorno. Essendoci più cibo a disposizione, però,
i consumi alimentari sono in aumento.
8
6
Le cause dell’epidemia di obesità sono complesse. La struttura della società moderna, le politiche e lo sviluppo socioeconomico (sempre più persone vivono in grandi città, si spostano in
macchina, lavorano sedute al computer, acquistano cibi e bevande confezionati, ecc) hanno
contribuito a creare un “ambiente obesogenico”, che incoraggia cioè comportamenti a
rischio di condurre all’obesità. Due terzi della popolazione nella Regione europea dell’Oms
vivono in grandi paesi e città, e la percentuale sta aumentando. Di conseguenza, non è utile
né corretto biasimare i singoli individui obesi o sovrappeso.
74
In Europa occidentale almeno due terzi degli adulti non svolgono sufficiente attività fisica e la
situazione continua a peggiorare. Secondo l’Oms, un adulto dovrebbe fare almeno trenta minuti al giorno di attività fisica moderata: passeggiare, andare in bicicletta, gioco, lavori domestici,
giardinaggio, ballo o anche fare le scale a piedi, se non attività sportive vere e proprie. I bambini dovrebbero fare ogni giorno almeno sessanta minuti di attività fisica. L’ambiente in cui le
persone vivono (casa, scuola, lavoro) spesso scoraggia l’attività fisica, se si considera che, in
Europa, il 50% degli spostamenti in macchina copre distanze inferiori ai cinque chilometri.
Distanze che potrebbero essere coperte in bicicletta in 15-20 minuti o di buon passo in 30-50
minuti. Secondo recenti ricerche fatte in Danimarca e Regno Unito, una regolare attività fisica
moderata può allungare la vita di una persona di 3-5 anni.
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Le strategie per contrastare questa epidemia dovrebbero incoraggiare abitudini alimentari corrette, attraverso la
riduzione del consumo di grassi e zuccheri, incentivando le persone a mangiare più frutta e verdura, oltre che
mirare a un aumento dei livelli di attività fisica. Dovrebbero essere incentivate sane abitudini alimentari, anche
rendendole più economiche, in negozi, luoghi di lavoro e mense scolastiche, evitando invece di promuovere alimenti e bevande ipercalorici. Questi ultimi dovrebbero essere resi meno facilmente reperibili e sostituiti da prodotti nuovi
o con migliori caratteristiche nutrizionali. Le opportunità di svolgere quotidianamente attività fisica, come il trasporto attivo, dovrebbero essere rese accessibili e disponibili per tutta la popolazione mediante programmi a livello scolastico e lavorativo. È quindi essenziale coinvolgere tutti i gruppi sociali e avere il sostegno degli enti locali, fino a
raggiungere governi e organizzazioni internazionali. Per cambiare le abitudini delle persone c’è bisogno della partecipazione attiva di imprese private: dai produttori di generi alimentari ai supermercati, dai ministeri (responsabili di
attività commerciali, agricole, sanitarie, trasporti, lavoro, pianificazione urbana, istruzione e sport) agli stessi enti locali e comunità. I mass media possono contribuire molto alla promozione di stili di vita sani, sottolineando che dieta
equilibrata e attività fisica portano considerevoli vantaggi non solo per la salute, ma anche a livello economico e di
sviluppo.
10
L’Oms sostiene gli sforzi per affrontare il problema dell’obesità. Nel 2004 gli Stati membri hanno approvato la
Strategia globale su dieta, attività fisica e salute, il cui scopo consiste nel promuovere la salute pubblica
mediante abitudini alimentari sane e attività fisica. Le tematiche affrontate comprendono il ruolo dei sistemi sanitari, le politiche alimentari e agricole, misure fiscali e regolamenti, i sistemi di indagine e monitoraggio, l’educazione e
la comunicazione per il consumatore (compresi marketing, reclami sanitari e etichettatura), oltre a scuola, trasporti e
politiche urbane che possono aiutare a compiere scelte migliori a livello nutrizionale e di attività fisica. La Regione
europea dell’Oms è all’avanguardia da questo punto di vista, facilitando il dialogo tra i responsabili dell’elaborazione di politiche, esperti nel settore sanitario, il settore privato, le organizzazioni non governative, internazionali e i mass
media. In particolare, vale la pena ricordare la Conferenza ministeriale Oms sulla lotta all’obesità, organizzata a Istanbul dal 15 al 17 novembre 2006, sotto l’egida del governo turco
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Paola Pisanti
Presidente Commissione
Nazionale diabete
Direzione Generale della Programmazione Ministero della Salute
19. Le strategie del Ministero della
Salute per incrementare
la pratica dell’attività motoria
G
ià da qualche anno la Direzione Generale della
Programmazione del Ministero della Salute
Italiano è impegnata in un programma di lavoro volto a
migliorare le attività di tutela assistenziale delle persone
con diabete e a favorire percorsi che garantiscano uniformità di risposte e continuità di tutela alla persona
diabetica, in riferimento alle indicazioni dell’OMS, alla
Dichiarazione di Saint Vincent, alle Direttive europee e
dell’ONU, in campo internazionale e alla legge 115/87,
agli ultimi Piani Sanitari 1998-2000, 2003-2005, 20062008, nel contesto nazionale.
Nel contesto internazionale, rappresentato in
particolar modo dalle indicazioni definite a livello europeo nel Consiglio EPSCO del giugno 2006, dai contenuti della Risoluzione ONU del Dicembre 2006, dalle con-
76
clusioni del Forum di New York del marzo 2007 e dai lavori della Commissione europea su “Information to patient” si evidenzia la necessità di sviluppare politiche
nazionali per la prevenzione, trattamento e cura del diabete, in linea con lo sviluppo sostenibile dei vari sistemi
di assistenza sanitaria nonchè di elaborare strumenti
adeguati per il raggiungimento di livelli di assistenza appropriati che abbiano l’obiettivo di stabilizzare la situazione patologica e migliorare la qualità di vita della persona con diabete.
I provvedimenti internazionali pongono l’accento sullo sviluppo di un programma nazionale per il diabete
mellito e sull’importanza dell’intervento pubblico di
Governi e Amministrazioni per assicurare la prevenzione
e la cura della patologia diabetica. Le strategie europee
rafforzano la necessità di avviare urgentemente un’azione mirata di lotta contro il diabete al fine di far fronte alla crescente incidenza e prevalenza di questa malattia
nonché all’aumento dei costi diretti e indiretti che ne derivano, valorizzando le azioni tese ad un approccio globale, dando particolare risalto ad una politica coerente e
universale in materia di stile di vita e attività fisica.
I provvedimenti nazionali pongono la necessità
di soddisfare una domanda crescente di assistenza di
natura diversa caratterizzata da nuove modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria basate sulla integrazione tra prestazioni sanitarie e sociali e sulla continuità delle cure per periodi di lunga durata, esaltando al
tempo stesso il ruolo del cittadino e della società civile
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nelle scelte e nella gestione del Servizio Sanitario
Nazionale
I Piani Sanitari Nazionali, tenendo conto di alcune
considerazioni importanti quali: 1) il diabete è una malattia cronica; 2) il diabete è una patologia cui va riconosciuto carattere di particolare rilievo sociale e che incide
significativamente sulla spesa sanitaria; 3) migliorare
l’assistenza la persona con diabete significa determinare un aumento dell’aspettativa di vita e un miglioramento della qualità della stessa, evidenziano l’importanza
dell’adozione di uno stile di vita adeguato e dell’attività fisica.
Pertanto, presso la Direzione Generale della
Programmazione sono stati attivati differenti interventi
per rispondere a una domanda di assistenza nuova caratterizzata da continuità delle cure per lunghi periodi e
dalla necessità di migliorare la qualità della vita delle
persone con diabete, tra le quali la istituzione di una
Commissione Nazionale sulla malattia diabetica con
l’obiettivo generale di migliorare la tutela delle persone
a rischio di diabete e con diabete e di favorire percorsi
che garantiscano uniformità di risposte e continuità assistenziale.
Obiettivi specifici iniziali sono stati l’analisi della situazione esistente e delle sue criticità, la definizione delle possibilità di miglioramento, il riesame dell’atto di intesa Stato-Regione e degli allegati tecnici del 1991 e, infine, la definizione di una proposta di Piano Nazionale
per il Diabete.
Direzione Generale della Programmazione
In un ottica di miglioramento della tutela della
persona con diabete, l’individuazione di punti di criticità negli attuali modelli assistenziali diventa uno
strumento necessario per programmare interventi
utili per indurre opportuni cambiamenti o per mi77
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gliorare alcune attività fondamentali nell’assistenza
diabetologica.
Con una indagine conoscitiva attuata in collaborazione con le Associazioni dei malati, si erano rilevate alcune criticità nel percorso assistenziale del soggetto con
diabete, tra cui la scarsa attività fisica. Tale criticità è
stata poi riscontrata anche in due studi successivi: lo studio Quadri e il progetto DAWN.
La proposta di Piano Nazionale Diabete, in fase avanzata di elaborazione, tenendo conto sia delle indicazioni
tecnico scientifiche che assistenziali attuali, individua
soluzioni migliorative nel rispetto delle diverse modalità
organizzative regionali, prevedendo la definizione di
obiettivi ampi, di linee strategiche per specifici interventi e di modelli di miglioramento della efficacia dell’assistenza diabetologia, prendendo in considerazione diversi aspetti tra i quali l’attività fisica.
Sappiamo che evidenze epidemiologiche dimostrano
come l’adozione di uno stile di vita più sano e dell’esercizio fisico (con valutazione dell’intensità, quantità e frequenza) siano importanti nel prevenire la malattia o ritardare il sorgere delle complicanze, consentendo al
Servizio Sanitario Nazionale vantaggi da un punto di vista economico (rispetto ai costi del trattamento del diabete e delle sue complicanze), e alla persona a rischio e
con diabete di usufruire di un trattamento con scarsi o
assenti effetti collaterali, ma rilevante rispetto alla promozione della salute e del benessere in generale (riduce
l’obesità, i lipidi sierici, la pressione arteriosa, ecc.).
78
Direzione Generale della Programmazione
Naturalmente è necessario che la ricerca continui in
questo campo con l’approfondimento della conoscenza
degli aspetti fisiopatologici e genetici che insieme all’ambiente agiscono sui risultati, attraverso
l’implementazione di studi che possano ancora di più
evidenziare il ruolo fondamentale dell’esercizio fisico nel
miglioramento dei parametri biometrici, endocrinometabolici e clinici e che diano ulteriori risposte sui vantaggi
sia in termini di prevenzione che di riduzione delle complicanze micro-macrovascolari del diabete. Al tempo
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terventi strutturati, volti a implementare l’esercizio fisico, tenendo conto della struttura del nostro Sistema
Sanitario, l’urbanistica delle nostre città, la storia e le
abitudini della nostra popolazione.
Direzione Generale della Programmazione
stesso potrà essere utile valutare meglio il ruolo dei polimorfismi genetici e la loro associazione nella persona
dismetabolica, evidenziando al tempo stesso l’eventuale
loro importanza nella risposta all’esercizio fisico e nella
adozione delle terapie farmacologiche intercorrenti.
Attualmente gli interventi indirizzati a favorire
l’esercizio fisico rimangono ancora, a livello locale, inadeguati o completamente assenti. Pertanto nella definizione dei modelli assistenziali di tutela della persona a
rischio di diabete o con diabete, sarebbe utile inserire in79
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Donato Greco
Capo del Dipartimento
Prevenzione e Comunicazione del Ministero della Salute
20. Il Programma
“guadagnare salute”
I
l programma Guadagnare salute approvato dal
Consiglio dei Ministri e dalla Conferenza unificata,
nasce dall’esigenza di promuovere e facilitare
l’assunzione di comportamenti che influiscono positivamente sullo stato di salute della popolazione, modificando quei fattori di rischio che causano un gran numero di morti premature per malattie cardiovascolari,
tumori, malattie respiratorie, diabete e che, comunque,
determinano una cattiva qualità della vita ed un notevole aumento delle spese sanitarie e sociali nel nostro
Paese.
Secondo i dati dell’OMS, infatti, l’86% delle morti, il
75% delle spese sanitarie in Europa e in Italia, sono
determinate da patologie croniche che hanno come
minimo comune denominatore 4 principali fattori di
rischio: fumo, abuso di alcol, scorretta alimentazione e
inattività fisica.
80
“Guadagnare salute” rappresenta, dunque, il primo
documento programmatico finalizzato alla realizzazione
di interventi per la tutela e la promozione della salute
pubblica, concordati fra livelli istituzionali e di governo.
Obiettivo primario è agire su questi 4 principali fattori di
rischio, al fine di migliorare la salute dei cittadini, eliminare disuguaglianze sociali e, al tempo stesso, continuare a garantire la sostenibilità del Sistema sanitario, in
termini economici e di efficacia.
Per raggiungere questi obiettivi, tuttavia, è necessario diffondere una nuova cultura della salute, a partire
dagli individui, che devono diventare protagonisti e
responsabili della propria qualità di vita. Ma è altrettanto indispensabile che il Governo, nella sua globalità,
metta in campo ed attui delle strategie che sostengano
e favoriscano le scelte di vita salutari di ogni persona.
Una delle novità del Programma intersettoriale è,
appunto, la sinergia di vari Ministeri, per dare maggior
credibilità ai messaggi da veicolare, consolidare il rapporto tra cittadini e istituzioni, assicurare un’informazione univoca e completa e favorire la conoscenza dei progetti di diversi Ministeri ed Enti interessati, realizzando
una vera e propria Piattaforma nazionale della salute.
E’ necessario, però, anche il coinvolgimento delle
Amministrazioni Regionali e locali, del Servizio sanitario,
del mondo della scuola, del mondo imprenditoriale e
associativo: bisogna arrivare ad un’intersettorialità che
abbia come fine quello di garantire a tutti una miglior
qualità della vita, ossia permetta di “guadagnare salute”.
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Tale programma si realizzerà concretamente anche
attraverso campagne informative, a cui si darà la più
ampia risonanza con tutti mezzi di comunicazione. La
comunicazione sarà basata sulla trasmissione di concetti e messaggi semplici ma incisivi, in grado, con il tempo,
di creare una “assuefazione” positiva e duratura. Si
attueranno iniziative all’interno delle scuole, coinvolgendo innanzi tutto i docenti e i ragazzi, al fine di conoscerne gli stili di vita e di agire correggendo i comportamenti ritenuti sbagliati. Partendo dalla scuola si potranno
raggiungere anche i genitori, diffondendo così anche in
famiglia abitudini salutari. Se si riuscirà a fare un buon
lavoro fin dalla scuola primaria, in quanto i bambini
sono in grado fin da piccoli di acquisire conoscenze e
recepire concetti, si avranno maggiori possibilità di avere
domani adulti che hanno appreso comportamenti e stili
di vita adeguati, in grado di trasferirli nel proprio
ambiente familiare, lavorativo e di relazioni sociali.
Anche i luoghi di lavoro saranno coinvolti nel Piano,
attivando nuovi modelli e soluzioni che avranno influenze positive non solo in ambito lavorativo, ma in generale sulle abitudini di vita.
Bisogna, in conclusione, cambiare tutti mentalità,
riconoscendo che un corretto stile di vita determina una
buona qualità della vita. Facilitare le scelte salutari è,
quindi, la sfida per il prossimo futuro. Occorre investire
nella prevenzione, ma è necessario, soprattutto, far
maturare nel paese un approccio rivoluzionario alla
“salute”, che diventa così responsabilità di tutti e non
solo del mondo sanitario.
Un primo segno di questa volontà di concretezza è
stato, il 3 maggio 2007, alla presenza del Presidente del
Consiglio Romano Prodi, la firma di protocolli d’intesa
tra il Ministro della Salute Livia Turco ed i rappresentanti di 22 organizzazioni appartenenti al mondo delle
imprese, del sindacato e dell’associazionismo. Questi
impegni formali rappresentano il primo passo nella giusta direzione e sono il segno evidente di una volontà
comune.
Tutti i rappresentanti delle organizzazioni coinvolte,
infatti, si sono impegnati, nei loro rispettivi ambiti, a
realizzare alcune iniziative specifiche quali, ad esempio,
la sorveglianza sulla qualità e il controllo dei cibi nelle
mense scolastiche, aziendali e ospedaliere; la ricerca di
dinamiche dell’offerta volta alla diffusione di alimenti in
linea con i comportamenti salutari, la progressiva eliminazione di messaggi pubblicitari ingannevoli e distorti
in modo da garantire la tutela dei consumatori, in particolare dei bambini.
Il percorso è stato avviato, ma abbiamo bisogno di
grande determinazione per conseguire i risultati auspicati e per condividere con i cittadini gli obiettivi del
Piano. E’ bene, quindi, metterne in luce la fattibilità,
attraverso la presentazione di esperienze positive già in
corso, per stimolare sempre più, tra gli attori dei diversi
settori coinvolti, il percorso della programmazione condivisa e della collaborazione fra istituzioni, amministrazioni, comunità territoriali.
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Chiara Di Loreto
Università degli Studi
di Perugia
Dipartimento di Medicina Interna a Scienze Endocrine e Metaboliche
21. Protocollo d’intesa
tra il Ministro della Salute
e il Ministro delle Politiche
Giovanili e le Attività Sportive
O
besità, sindrome metabolica e diabete mellito di
tipo 2 sono condizioni patologiche in crescente
aumento e non solo nelle fasce di età classicamente a rischio (over 50), ma anche in età adolescenziale.
Considerato che a questo incremento contribuisce soprattutto la diffusione nella popolazione italiana di uno
stile di vita sedentario e l’impatto economico attuale e
futuro del diabete, nell’ottobre 2007 è stato stilato un
protocollo d’intesa tra il Ministero della Salute e il
Dipartimento per le Politiche giovanili e le attività sportive, al fine di promuovere interventi per migliorare stile e
qualità di vita degli italiani, in linea con il documento
programmatico “Guadagnare Salute: rendere facili le
scelte salutari”.
82
Con particolare riferimento all’incentivazione della
pratica sportiva nella popolazione generale, nel documento i due Ministeri si impegnano a:
– promuovere iniziative di formazione e comunicazione
volte a sensibilizzare la popolazione ed in particolare i
giovani sulla rilevanza di uno stile di vita attivo, quale
efficace strumento per la prevenzione dei rischi per la
salute;
– favorire la diffusione e la qualità dell’attività motoria,
anche a livello amatoriale, attraverso azioni concordate con i professionisti della salute miranti all’orientamento nell’attività fisica e alla prevenzione dei rischio,
nonché attraverso l’individuazione di azioni, anche a
carattere sperimentale, per la verifica periodica delle
condizioni di salute necessarie per l’esercizio in sicurezza dell’attività motoria;
– favorire la condivisione di conoscenze ed esperienze a
livello locale, regionale, nazionale ed europeo, al fine
di promuovere lo sviluppo delle buone prassi;
– favorire a livello regionale la costituzione di una rete
integrata di referenti del settore sanitario e dello
sport, per sviluppare una programmazione congiunta
e la diffusione delle buone prassi.
Per rendere operativi questi propositi i due Ministeri
prevedono le seguenti azioni:
– progetti sperimentali tesi a promuovere e migliorare
l’attività motoria nelle diverse fasi dello sviluppo del
bambino e dell’adolescente, d’intesa con l’organizza-
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zione scolastica, con gli enti territoriali e con i soggetti dell’organizzazione sportiva;
– iniziative di informazione e comunicazione sulle finalità del Programma “Guadagnare salute” da realizzare
nell’ambito di eventi sportivi d’intesa con i soggetti
preposti all’organizzazione degli eventi stessi;
– progetti sperimentali di certificazione e di monitoraggio della salute della popolazione dedita all’attività
sportiva amatoriale e dilettantistica, d’intesa con gli
enti territoriali e con i soggetti dell’organizzazione
sportiva, anche attraverso il sostegno dell’attività di ricerca specialistica;
– eventi a carattere nazionale, d’intesa con gli enti territoriali e con gli altri soggetti interessati, volti a richiamare l’attenzione sulla realizzazione dei cosiddetti “percorsi di salute” in ogni ambiente di vita e di
lavoro;
– monitoraggio dei messaggi pubblicitari e mediatici
che veicolano modelli di identità e comportamenti socio-culturali in contrasto con i principi e gli obiettivi
del presente protocollo d’intesa
E’ stato istituito un Comitato paritetico costituito da
4 membri del Ministero della Salute e 4 membri del
Dipartimento per le Politiche giovanili e le attività sportive per predisporre il programma annuale delle attività
da realizzare, verificare, integrare e correggere le azioni
intraprese, valutare i risultati conseguiti e curare la diffusione degli stessi.
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Prof. Vincenzo Scotti
Presidente della
Link University di Malta
22. Da un punto di vista politico
Costruire una spinta politica
al cambiamento
L’insorgere di nuove sfide globali per la salute
L’
economia mondiale sta cambiando e i paesi
dell’Unione Europea sanno che devono anch’essi
cambiare. E’ iniziata la ricerca di un nuovo modello
“sociale” che non rinneghi l’importante principio della
solidarietà ma che sia compatibile con i cambiamenti
economici, finanziari, politici e istituzionali nell’insieme
noti come globalizzazione.
In Europa non c’è crescita demografica; l’aspettativa
di vita è in rapido aumento mentre il tasso di crescita
economica è in diminuzione. Cresce il costo delle pensioni, della salute e dei servizi sociali ma non la ricchezza e di conseguenza le filosofie di vita e le soluzioni del
84
secolo scorso non sono adatte alle sfide odierne. Per
usare una metafora, gli attuali governi sono come marinai che devono cambiare la struttura della loro nave in
mezzo all’oceano in tempesta. Non possono portare la
nave in cantiere sulla terra ferma. Mentre monta la tempesta, devono rimodellare la loro nave usando materiali vecchi e nuovi. La strada più semplice da intraprendere è ridurre la spesa pubblica destinata al welfare mentre quella più impegnativa è cambiare il tipo e i contenuti del welfare per renderlo compatibile con le condizioni dell’attuale sviluppo globale.
La questione delle CNCD
La questione delle Malattie Non Infettive (CNCD)
richiede i suddetti cambiamenti radicali nella programmazione e distribuzione dei fondi, come l’ex Primo
Ministro inglese Tony Blair ha indicato nel suo rappporto all’Esecutivo Europeo durante la sua presidenza. Le
malattie croniche stanno cambiando e con esse sta
cambiando ad un tasso sorprendentemente veloce il
profilo mondiale delle patologie, soprattutto nei paesi a
medio ed alto reddito. Le idee a lungo sostenute sulla
natura delle malattie croniche non sono più valide.
Anche se permane il rischio che malattie contagiose
come la tubercolosi possano dilagare, le epidemie del
futuro non somiglieranno a quelle del passato Una
Malattia Non Infettiva come il diabete potrebbe certamente diventare la peggiore pandemia del ventunesimo
secolo.
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Effective prevention at all levels
Non possiamo separare gli aspetti economici da
quelli dello sviluppo sociale e della salute; dobbiamo
affrontare la sfida con una strategia coerente. La politica deve valutare costi e benefici della spesa globale
attingendo a tutto ciò che lega la produzione e distribuzione della ricchezza e viceversa; il destino delle generazioni future con le attuali, e il destino dei ricchi e dei
poveri, sia in termini di popoli che di nazioni. Le politiche pubbliche devono prevenire il più possibile le CNCD
e così facendo, promuovere un invecchiamento in salute ed evitare morti premature.
La sfida del diabete
Si potrebbe pensare che sia meglio vivere con il diabete che morire di tubercolosi, ma il diabete riduce
l’aspettativa di vita e provoca numerose invalidità
come cecità e perdita degli arti. Inoltre il diabete ha un
enorme impatto sulla salute e sui sistemi di welfare
poiché ne soffre in maniera significativa la popolazione
economicamente attiva. Comunque, attualmente le
misure di prevenzione occupano una minima parte nel
bilancio del sistema sanitario poiché i servizi sanitari
sono orientati alla cura. I governi hanno il dovere di
aiutare i loro cittadini nel perseguire longevità e salute
ed un’azione comprensiva sulle principali cause e condizioni del diabete può diminuire il peso delle morti
premature, della malattia e dell’invalidità. Investire
nella prevenzione e nel miglioramento del controllo
migliorerebbe la qualità della vita e il benessere della
gente e delle società. Il costo della cura è alto ma
sarebbe maggiore se non si agisse! Coloro che oggi
detengono il potere non saranno perdonati se non
cambieranno il corso della storia.
Recommendations of international bodies
National diabetes agencies
Local level
Gli aspetti sociali richiedono attenzione
I governi nazionali e locali, i medici e la società
civile devono assegnare risorse per l’informazione sul
diabete, per l’addestramento preventivo in vista di
una potenziale pandemia e per promuovere e sostenere uno stile di vita sano e la cultura del benessere.
La Conferenza dell’Unione Europea sulla Prevenzione
del Diabete di Tipo 2 tenutasi a Vienna nel Febbraio
2006 ha fornito ai paesi membri una strategia in
quattro punti, ovvero sviluppare e realizzare dei Piani
Nazionali per il Diabete, identificare e rendere minimo
l’impatto economico del diabete sulla popolazione
economicamente attiva, promuovere uno stile di vita
sano, un corretto regime alimentare e l’attività fisica,
e prepararsi alla pressione che i sistemi sanitari subiranno a causa dell’espansione della malattia. La stessa Conferenza ha sottolineato la necessità di due elementi fondamentali affinché tutto questo accada,
cioè la costituzione di un Forum permanente
dell’Unione Europea per lo scambio delle migliori pra85
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Effective strategic approach:
six key messages to guide action
tiche, e l’avvio di una strategia inter-settoriale per la
prevenzione della malattia. Il Diabete non è solo una
questione di ambito sanitario ma interessa agricoltura, istruzione e trasporti.
Un approccio concentrato di collaborazione
inter-settoriale
I politici devono tenere a mente che quello del governo è un ruolo critico e una vasta classe di stakeholder
deve essere coinvolta a tutti i livelli in un processo decisionale chiaro. Inoltre, la più grande conquista della
salute sta nel ridurre le disparità sociali e i paesi devono costruire su ciò che già possiedono. Una strategia di
carattere politico sul diabete dà l’opportunità di creare
una struttura aggregante o un “ombrello” che congiunga i singoli componenti verso un traguardo comune. I
governi hanno bisogno di un approccio politico concentrato e nessun gruppo o singola organizzazione può
affrontare una problematica di salute pubblica così
complessa. Pertanto, c’è una forte motivazione a creare
un’agenzia governativa chiaramente definita che si
occupi del diabete, che fornisca una gestione inter-ministeriale della lotta al diabete e che lavori con le organizzazioni internazionali, con la società civile e col settore
privato. Un nuovo accordo globale sul diabete è un
investimento a lungo termine per il nostro futuro e per
quello dei nostri figli.
86
Prevention throughout life
¬ effective
¬ investment in health
Society
¬ create health-supporting
environments
Health and medical
services
People
¬ promote their own health
¬ interact with health services
¬ respond to disease burden
¬ increase health promotion
Equity in health
Governments
¬ access to heath promotion,
disease prevention, and health
service
¬ build healthy public policies
¬ ensure action across all
sectors
Cross-sector partnerships model
KOLs
¬Education
¬ Research
¬ Guidelines
¬ Professional Training
¬ Ethical issues
CULTURAL SECTOR
PUBLIC SECTOR
Public Institutions
University
y
Scientific
Community
Lay Society
Non profit
For Profit
COMPANIES
¬ Business performance
¬ Customer service
¬ Medical & Regulatory affairs
¬ New markets
¬ Corporate social responsibility
HEALTH CARE AUTORITY
¬ Governance
¬ Responsibility
¬ Accountability
¬ Healthcare programme
PRIVATE SECTOR
SOCIAL SECTOR
PATIENT ASSOCIATION & NGOs
¬ Services
¬ Advocacy
¬ Witnessing
¬ Patients rights
Global Changing Diabetes Forum New York. Executive Summary. 2007
Il Professor Scotti
Il Professor Vincenzo Scotti è Presidente della Link
Campus University di Malta. Dal 1969, per 26 anni ha tenuto corsi di Sviluppo Economico presso la L.U.I.S.S. di Roma,
dopodiché è stato professore in visita presso l’Università di
Malta, organizzazione per la quale ha fondato la filiale
Italiana.
La sua illustre carriera politica è cominciata nel 1968 con
l’elezione quale membro del Parlamento Italiano per la
Democrazia Cristiana. I suoi incarichi ministeriali sono stati
quelli di Sottosegretario di Stato al Ministero delle Finanze,
Ministro del Lavoro, Ministro per le Politiche Comunitarie
dell’Unione Europea, Ministro dei Beni Culturali e
Ambientali, Ministro della Protezione Civile, Ministro degli
Interni, e infine Ministro degli Esteri nel 1992, quando ha
partecipato a Monaco al G-7 dedicato alla crisi Yugoslava.
Nel 1984, è stato nominato segretario della Democrazia
Cristiana e nel 1989 portavoce del Gruppo Parlamentare
della Democrazia Cristiana alla Camera dei Deputati. E’stato
anche Sindaco di Napoli, sua città natale.
In qualità di Ministro degli Interni ha attivamente
sostenuto nuove leggi per la lotta alla criminalità organizzata. Insieme con il Ministro della Giustizia degli Stati Uniti
Rudolph Giuliani e con il defunto giudice Giovanni Falcone
ha fondato la D.I.A. (Direzione Investigativa Antimafia), una
forza di polizia specializzata anti-mafia. Attualmente, il
Professor Scotti non si occupa di politica. Ha invece messo la
sua esperienza al servizio del mondo accademico, in particolare nell’ambito delle Relazioni Internazionali. Le sue esperienze politiche e professionali sono state caratterizzate da
capacità di mediazione, comprensione delle problematiche
politiche e sociali e da una costante attività di ricerca.
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Simona Frontoni
Università Studi Roma 2
23. Strategie per migliorare
lo stile di vita
dei bambini italiani
il Progetto Educagiocando
I
l progetto Educagiocando, frutto dell’impegno di
Diabete Italia in ambito preventivo/educativo, è nato
con la finalità di offrire agli allievi ed ai docenti di istituzioni scolastiche di varie fasce (dalla scuola primaria alla secondaria di primo grado di tre regioni pilota: Lazio,
Umbria, Emilia Romagna) un percorso informativo (con
5 livelli di complessità) sulle tematiche del consumo consapevole e degli stili di vita tutto gestito attraverso una
piattaforma on-line. Un percorso pedagogico strutturato
come un questionario a risposte chiuse con
l’attribuzione di punteggi per le risposte date e
l’apertura di schede di recupero a fronte di performance
88
non idonee per passare di livello. Al termine del gioco,
con premi intermedi tra un livello e l’altro, viene offerto
un profilo che tenga conto dei dati antropometrici riferiti al momento della registrazione e dei risultati ottenuti
in ogni livello. L’architettura dell’intero progetto è volta
a promuovere nei docenti un modus operandi che si integri con la propria didattica favorendo così
l’acquisizione di dati su un ampio spettro di ambiti del
sapere, potendo gestire un feedback didattico appropriato rispetto ai pregiudizi o misconception degli allievi
sulle tematiche del consumo consapevole e dell’educazione al movimento.
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Al progetto Educagiocando hanno aderito 92 docenti, registrati come tutor, e 60 classi, di cui solo 52 hanno
terminato l’intero percorso (per un totale di 1040 bambini) e 8 che si sono bloccate durante il suo svolgimento
(per un totale di 174 bambini).
- forte motivazione all’alternanza di aspetto ludico e
impegnato nella gestione del percorso;
- raccolta di dati importante sulle conoscenze e sugli
stili di vita in una fascia di età cruciale;
didattici-educativi;
- forte interesse delle famiglie che desiderano un coinvolgimento maggiore.
- partnership attiva con i docenti che hanno sfruttato
appieno il sistema con conseguente ritorno in termini
Elementi di sviluppo per una continuità
La sperimentazione di Educagiocando apre la strada
Criticità del sistema
Durante il percorso sperimentale sono state rilevate
le seguenti difficoltà operative (grazie al questionario di
Customer satisfaction) che sono la base per attività di
miglioramento:
- livelli di alfabetizzazione informatica dei docenti non
sempre adeguata e diffusa;
- livelli di accesso scolastico alla rete non sempre garantito ed affidabile;
- difficoltà a svolgere una rilevazione antropometrica
efficiente (burocratica e tecnica);
- sistema in fase sperimentale oneroso per i docenti
che, a garanzia della privacy, dovevano gestire la classe virtuale con opportuni accorgimenti (più tempo dedicato);
- sotto utilizzo delle opportunità didattiche di feedback
nella visualizzazione dei report della classe sotto forma di tabelle excel (poca dimestichezza con dati).
Aspetti positivi
Tra gli aspetti positivi rilevati:
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ad una serie di miglioramenti strutturali e all’introduzione di novità che rendano il percorso ancora più significativo e facilmente accessibile. A questo proposito si vanno a delineare le seguenti implementazioni del progetto:
attivazione di tre sezioni: bambini, genitori, docenti sezione bambini caratterizzata da:
Le tre sezioni potranno essere attivate direttamente con
una registrazione da fare direttamente alla piattaforma
con un modulo elettronico ed attribuzione diretta di
username e pw. Il sistema dovrà permettere una tracciabilità dei percorsi svolti e dei dati significativi per ogni
accesso. Anche in questo caso l’interesse è quello di poter offrire agli utenti uno spazio di confronto e di supporto permettendo loro di interagire e di far emergere pregiudizi.
- scheda personale di autodescrizione (io sono così)
percorso 1: Il mio Mondo (dove vivo e cosa faccio)
percorso 2: Le domande della Sfinge (cosa so e cosa non
so, con richiamo al progetto sperimentale) e giochi
premio
percorso 3: Giochiamo a: Come aiutare un alieno a diventare un essere umano in forma (gioco di ruolo in
cui decido di essere di volta in volta un medico, un allenatore, ecc. e fornisco i consigli giusti all’alieno per
essere un umano in forma)
tà motoria
spazio Joiness just in time (il trainer personalizzato con
tabelle di allenamento e strategie per adulti che escono o non escono di casa)
sezione docenti caratterizzata da:
percorso 4: Joiness (il trainer personalizzato con tabelle
di allenamento e strategie per chi esce e per chi non
esce di casa)
aggiornamento professionale con: materiale didattico,
corsi di informazione, schede operative
sezione genitori caratterizzata:
news di aggiornamento su tematiche di educazione al
consumo consapevole, attività fisica e salute
news di aggiornamento su tematiche di educazione al
consumo consapevole e salute
corso di informazione su: acquisti, ricette, igiene alimentare, psicologia del consumo, attività motoria
spazio di consulenza l’Esperto risponde: nutrizione, industria alimentare, psico-pedagogia, medicina, attivi90
forum per la condivisione di esperienze
classe virtuale per esercitazioni on-line con gli allievi (vedi sperimentazione) e report statistico
chat con esperti
Fitness for teachers (il trainer personalizzato con tabelle
di allenamento e strategie per docenti che vivono il
cambiamento come sfida)
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Pierpaolo De Feo
Direttore Centro CURIAMO
(Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria)
Università degli Studi di Perugia
24. Strategie per migliorare
lo stile di vita della popolazione
adulta italiana
il Progetto “Io Muovo la Mia Vita”
I
l progetto sperimentale “Io Muovo la Mia Vita”
(www.iomuovolamiavita.diabeteitalia.it) è promosso
dal Gruppo Attività Fisica di Diabete Italia con il Centro
Marathon di Brescia del Dott. Gabriele Rosa.
L’obiettivo del progetto è sensibilizzare l’opinione
pubblica sull’efficacia dell’attività fisica aerobica per
curare obesità e diabete mellito di tipo 2 (DM2). Grazie
al supporto dei media (giornali, TV, sito web di Diabete
Italia) viene raccontata una sfida che dura 1 anno: un
gruppo di persone con solo obesità, o con obesità e
DM2 ed i loro medici partendo da zero comincia sotto
la guida di uno dei più grandi esperti al mondo di maratona (Dott. Gabriele Rosa di Brescia) un programma che
li porterà attraverso tappe intermedie (10 km a marzo,
92
21 km a giugno, 32 km ad Ottobre) a tentare di completare la maratona di Milano (2 dicembre 2007).
L’impresa maratona viene proposta per attirare
l’interesse dell’opinione pubblica e con il fine di far passare il messaggio che tutti possono ritenere fattibile :
“Una moderata attività fisica come camminare 4-5 km
al giorno, tutti i giorni, serve a curare obesità e diabete”. Quindi la maratona è solo una scusa per promuovere nella popolazione sedentaria ed obesa un’attività
fisica compatibile con la condizione di obesità e/o DM2.
La sfida maratona serve a rinforzare da un punto di
vista emotivo la convinzione che chi si impegna grazie
alla costanza può ottenere risultati impensabili. Nella
sfida i medici non sono spettatori passivi ma si mettono
in gioco al pari delle loro persone con diabete per testimoniare al meglio che credono nella validità del messaggio. Sono coinvolti 18 Centri Diabetologici universitari, ospedalieri e territoriali distribuiti in modo omogeneo in tutta Italia. Ogni centro partecipa con 3 persone:
1 medico, 1 soggetto con obesità viscerale ed 1 con
DM2 (di durata 1-5 anni), in più partecipano come testimonials Dario Laruffa, giornalista conduttore TG2 RAI
nazionale e lo scrittore Giannermete Romani che sta
curando la stesura di un libro su tutta la storia.
L’età dei partecipanti è compresa tra 20 e 65 anni.
Abbiano iniziato il progetto ad Ottobre 2006 con 56
persone seguite per la preparazione atletica dal Centro
Marathon di Brescia con test da sforzo e curva acido lattico. A inizio e fine esperienza sono determinati la com-
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posizione corporea, i principali fattori di rischio cardiovascolare e la dott.ssa Natalia Piana coinvolge i partecipanti con le tecniche dell’autobiografia narrativa.
Da un punto di vista del counseling per l’attività fisica, la novità delle strategie per indurre la modifica del
comportamento, sperimentate per la prima volta con il
progetto Io Muovo la Mia Vita, sono l’uso dell’autobiografia narrativa, finora utilizzata per favorire
l’accettazione di una condizione patologica, e la visibilità data ai singoli partecipanti, ciascuno dei quali è
testimonial del progetto nella sua area geografica. La
responsabilizzazione dei partecipanti con una valenza
non solo personale ma pubblica aumenta fortemente
l’adesione all’attività fisica ed al gruppo che si muove
compatto verso l’obiettivo maratona. È prevedibile che
non tutti ce la faranno a completare i 42 km della maratona ma è sicuro che tutti proveranno a cambiare la loro
vita di sedentari, in quanto si sentono al centro della
gestione della loro patologia (obesità o diabete). Per
approfondire questi aspetti è utile la lettura delle
impressioni dei partecipanti riportate con
l’autobiografia narrativa nel sito web del progetto:
www.iomuovolamiavita.diabeteitalia.it.
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LA MOTIVAZIONE
ALL’ATTIVITÀ FISICA
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Aldo Maldonato
DESG
Gruppo di Studio per l’Educazione Terapeutica
25. Diabete e Attività Fisica
il ruolo dell’Educazione
Terapeutica
L’
Educazione Terapeutica delle persone con diabete
(ETP) costituisce l’anello centrale della catena che,
dalla ricerca scientifica e dalle conseguenti linee-guida
mediche, conduce ai necessari cambiamenti di comportamento delle persone con diabete. Nel campo dell’attività fisica, la scienza medica ci presenta scenari diversi
per i due tipi di diabete: nel caso del diabete tipo 2
l’attività fisica è un elemento centrale della terapia, raccomandata a tutti per la sua capacità di ridurre la resistenza all’insulina e aiutare il dimagrimento; nel caso
del diabete tipo 1, invece, può rappresentare una “complicazione” della terapia insulinica, una variabile in più
da un giorno all’altro di cui dover tenere conto, ma è
ugualmente consigliata a tutti per i suoi effetti benefici
96
sulla salute e sulla prevenzione del rischio cardio-vascolare, anche quando le caratteristiche dell’attività prescelta rispondano più a esigenze di piacere e migliore qualità di vita della persona con diabete che non di salute
biologica intesa in senso stretto.
La sfida dell’ETP sul fronte dell’attività fisica è dunque articolata e molteplice, e negli ultimi anni il concetto stesso di ETP è evoluto grazie a un approccio sempre
più attento alle reali esigenze delle persone con diabete
e all’adozione di un nuovo sapere pedagogico, aperto al
paradigma della complessità e capace di farvi fronte (1).
Questa rinnovata ETP non è più direttiva e non è solo
istruttiva come in passato, ma mira ad accrescere nelle
persone con diabete auto-consapevolezza, capacità decisionale e motivazione, stimolando e generando cambiamento.
In Italia si sono realizzate numerose iniziative educative volte a promuovere l’attività fisica nel diabete tipo
2, descritte in dettaglio in altre parti del Barometro. Fra
le più significative, ricordiamo la ricerca del gruppo diretto dal prof. De Feo che ha dimostrato un aumento dell’attività abituale perdurante per due anni. Un altro progetto molto interessante è “Io Muovo la Mia Vita” che
coinvolge medici diabetologi e persone con diabete obesi e diabetici abitualmente sedentari con l’obiettivo di
arrivare a correre insieme una maratona. Il significato
educativo di questo progetto è l’auspicato effetto trainante sulla persone con diabete tipo 2, indotto dalla
provocazione rappresentata dall’impresa e dalle testi-
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monianze dei partecipanti che verranno raccolte in un libro. Altri esempi sono il progetto IDES, basato sul raggiungimento della Fitness Metabolica grazie a uno specifico allenamento progressivo, e il progetto Romeo, basato sul counseling in gruppo.
Nel caso del diabete tipo 1, un risultato ormai acquisito è stato l’abbattimento delle barriere burocraticoamministrative che ancora pochi anni fa ostacolavano la
pratica sportiva dei giovani. Rimangono sacche di pregiudizi e ignoranza, spesso causa di sofferenza e frustrazione. Contrastarle è uno degli obiettivi delle grandi imprese sportive compiute da giovani con diabete. Se
Marco Peruffo sale a 8000 metri in totale autonomia, se
Monica Priore compie a nuoto la traversata dello stretto
di Messina, se Mauro Talini percorre in bici i 5300 Km da
Lucca a Capo Nord (per citare solo alcuni degli exploit
più recenti), uno dei loro obiettivi è dimostrare quanto è
sbagliato considerare il diabete una condizione limitante. Un altro obiettivo è testimoniare l’importanza del
buon controllo per vivere al meglio, e provare con il loro
esempio che l’autocontrollo è realizzabile anche in circostanze avverse. Questo messaggio, amplificato dalla risonanza dell’impresa, ha più chance di essere ascoltato
dai giovani, e anche dalle persone con diabete tipo 2. Un
altro ritorno educativo delle grandi imprese sportive è
l’effetto trainante – non certo verso l’impresa estrema –
ma verso la pratica regolare di uno sport, specialmente
se aerobico come l’escursionismo, il nuoto o il ciclismo
degli esempi citati.
Una ETP modernamente intesa ha come obiettivo, oltre a diffondere conoscenza, favorire la motivazione al
cambiamento. Questa sfida non è semplice e viene affrontata opportunamente adottando strategie convergenti. Un ruolo importante è svolto dalle associazioni di
persone con diabete, particolarmente da quelle finalizzate all’attività fisica che, insieme alle pubblicazioni e ai
siti web dedicati, consentono quello scambio di esperienze fra pari, che è considerata una spinta motivazionale molto efficace. In quest’ottica sono orientati anche
i setting residenziali dell’ETP, cioè i campi-scuola o i week-end lunghi, sia per giovani che per adulti. In queste
occasioni formative, oltre allo scambio fra le persone con
diabete, le leve più efficaci sono risultate il “fare insieme” – grande test di credibilità per gli operatori sanitari
– e l’approccio autobiografico (descritto in altra parte
del Barometro).
BIBLIOGRAFIA
1. Golay A, Bloise D, Maldonato A: The education of people with
diabetes. In Pickup J, Williams G: Textbook of diabetes mellitus.
Blackwell Science, Oxford, 2003. pp 38.1-38.13
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Chiara Di Loreto
Università degli Studi
di Perugia
Dipartimento di Medicina Interna a Scienze Endocrine e Metaboliche
26. Il counseling
individuale
C
ounseling è un termine inglese che significa “consiglio, parere, terapia”. Esso rappresenta nell’educazione terapeutica un importante strumento relazionale, un processo di dialogo e reciprocità tra due persone
mediante il quale un “consulente” aiuta chi lo consulta
a prendere delle decisioni, ad agire in rapporto a queste
e fornisce un’attenta informazione e un adeguato sostegno tecnico-psicologico. Non c’è, pertanto, strumento
più appropriato da utilizzare quando si vuole indurre
una modifica del comportamento. In questo ambito
counseling e colloquio motivazionale diventano sinonimi. Originariamente proposto per il trattamento delle dipendenze, il colloquio motivazionale è descritto come
“una strategia centrata sulla persona con diabete che
viene consigliato ad esaminare e a risolvere le incertez-
ze nei confronti della modifica del suo comportamento”.
Durante il colloquio motivazionale vengono esplorati i
sentimenti di conflitto relativi a un comportamento sbagliato. Attraverso un ascolto riflessivo e domande aperte il soggetto viene incoraggiato ad esprimere le proprie
motivazioni, la soluzione dei problemi ai propri limiti, per
cambiare e formulare nuovi traguardi.
Dai contributi di questo volume risulta ormai chiaro
quanto importante sia incrementare i livelli di attività
fisica se si vogliono prevenire e/o curare le malattie
metaboliche. Tuttavia la sedentarietà continua ad
aumentare e diventa fondamentale trovare le chiavi di
lettura che inducano ad uscire da questa condizione,
soprattutto soggetti ad alto rischio come le persone con
diabete.
Nel counseling l’approccio è incentrato sull’individuo
ed è semi-strutturato con delle variabili che dipendono
dalle caratteristiche dell’individuo. Il counseling per
l’attività fisica è costituito da una discussione vis a vis
con la persona con diabete che ingloba una serie di
strategie per promuovere e mantenere l’attività fisica.
Lo stile di vita del consulente è importantissimo, dal
momento che il consiglio sulle abitudini di vita da parte
di medici che hanno un corretto stile di vita ha più efficacia rispetto al consiglio che parte da medici con un
cattivo stile di vita.
Nel 2003 il nostro gruppo ha pubblicato e validato
una strategia di counseling individuale di tipo cognitivocomportamentale che garantisse l’adesione e il mante-
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nimento a lungo termine ad un programma strutturato
di attività fisica in soggetti con diabete mellito di tipo 2.
I partecipanti del gruppo di intervento ricevevano un colloquio motivazionale iniziale della durata di almeno 30’
in cui venivano seguiti i punti riportati nella allegata
check list. Seguivano un contatto telefonico a un mese di
distanza e successive visite ambulatoriali a cadenza trimestrale per garantire l’adesione a lungo termine. Il
gruppo di controllo riceveva l’abituale trattamento in
forma di consigli educativi generici. Dopo due anni il
gruppo di intervento documentava un incremento di sette volte nei livelli di attività fisica, oltre ad una significativa riduzione del peso e del controllo glicemico. L’analisi
post-hoc dell’intervento dimostrava che maggiori erano
i livelli di attvità fisica praticati nel tempo libero, maggiori erano i benefici in termini di salute e di risparmio di
spesa per farmaci.
Per cambiare comportamento una persona dovrebbe
percepire un incentivo, così il counseling dovrebbe essere individualizzato in modo da convincere la persona
con diabete che un’attività fisica regolare rappresenta la
giusta strategia per raggiungere i propri traguardi (calo
ponderale, miglioramento delle glicemia, guarigione dal
diabete).
Nel diabete di tipo 2 la maggior parte delle consulenze per l’attività fisica è stata realizzata dal diabetologo.
Questo intervento richiede sicuramente molto più tempo
di una generica visita diabetologica e ci si interroga su
quale figura professionale possa svolgerlo nella maniera
più idonea. Il nostro parere è che il diabetologo esperto di tecniche cognitivo-comportamentali è in grado di
gestire il counseling nella maggior parte dei casi in
maniera efficace, soprattutto perché è la prima figura
professionale cui la persona con diabete chiede la risoluzione del suo problema. L’attenzione del diabetologo, d’altro canto, deve essere massima nell’individuare disturbi della personalità che richiedono l’intervento
di altre figure specialistiche (psicologo e/o psichiatra).
BIBLIOGRAFIA
Di Loreto et al, Diabetes Care 26: 404-408, 2003
Di Loreto et al, Diabetes Care 28: 1524-1525, 2005
D. Battistini, N. Piana, P.De Feo, G It Diabet Metab 2007, 27
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Marina Trento
Laboratorio di Pedagogia
Clinica Applicata e Sperimentale,
Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino.
27. Diabete e Attività fisica
il ruolo del counseling
di gruppo
Premessa
L’educazione terapeutica della persona con diabete
ha in un certo senso un carattere rivoluzionario, in
quanto basa la sua metodologia sulla concezione di un
modello relazionale del tutto innovativo rispetto a
quello tradizionale: la persona con diabete infatti, non
è più colui che accetta passivamente una serie di prescrizioni, ma è elemento attivo e centrale di ogni tipo
di intervento, che da esso trae origine e ad esso è finalizzato.
100
La Group Care
U
n’esperienza pilota, iniziata nel gennaio del
1996 e condotta a Torino (1-3), ha ideato,
costruito e sperimentato un modello assistenziale ritenendo che la persona cronica abbia principalmente
bisogno di partecipare ad un progetto di apprendimento permanente per migliorare le proprie condotte di
salute, piuttosto che di colloqui spesso ripetitivi con
l’operatore sanitario.
Le persone con diabete tipo 2 non insulino trattato
erano state inserite in un programma di visite di gruppo progettate con approccio sistemico finalizzate
esclusivamente all’educazione terapeutica.
Programma e metodologie erano state sviluppate
appositamente, prescindendo quanto più possibile
dalla didattica formale. Le visite individuali sono esguite solo quando un intervento medico è reso necessario
da problemi clinici emergenti o quando la persona con
diabete lo richiede, oppure infine in occasione del
check-up annuale per le complicanze.
Randomizzando parte delle persone con diabete a
gruppo di controllo, seguito con l’approccio medicopersona con diabete tradizionale, è stato possibile
dimostrare su un periodo di 5 anni che la Group Care
ha indotto un calo ponderale modesto ma sostenuto,
insieme all’aumento del colesterolo HDL e alla stabilizzazione dell’emoglobina glicata, che è invece andata
peggiorando nei controlli, in accordo con quanto osser-
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vato nell’UKPDS (4). É’ stato possibile raggiungere
questi risultati nonostante una diminuzione di dosaggio dei farmaci ipoglicemizzanti. Poiché il rischio cardiovascolare, calcolato secondo la formula di
Framingham, era calato sia nelle persone con diabete
seguite mediante group care che nei controlli, soprattutto in seguito a un controllo più stretto dei valori
pressori, e poiché i livelli medi iniziali di HbA1c erano
intorno a 7%, risulta evidente che l’assistenza educativa di gruppo aggiunge qualcosa di importante all’approccio ottimizzato multifattoriale attuato con i soli
mezzi farmacologici.
La valutazione degli aspetti educativi
e psicologici
La valutazione degli aspetti educativi e psicologici
ha permesso di documentare dopo 5 anni di follow-up
il progressivo miglioramento delle conoscenze delle
persone con diabete sul diabete e della loro capacità di
discernere situazioni di rischio e adottare in conseguenza atteggiamenti corretti con maggiore consapevolezza (3,5). L’educazione delle persone con diabete
affette da malattie di tipo cronico necessita di adeguati modelli e processi clinico-pedagogici al fine di favorire l’apprendimento. Acquisire nuove condotte di salute ed un miglior stile di vita rappresenta un utile strumento per mantenere un soddisfacente controllo metabolico nel breve-medio termine e migliorare la qualità
della vita.
Il modello assistenziale della Group Care utilizza le
attuali teorie pedagogiche nell’ambito dell’educazione
dell’adulto e sperimenta continuamente modalità di
interazione e di didattica per migliorare e favorire
l’apprendimento delle persone adulte affette da malattie croniche.
BIBLIOGRAFIA
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Molinatti GM. Porta M. Group visits improve metabolic control in type 2
diabetes. a two-year follow-up. Diabetes Care, 24, (6), 995-1000, 2001.
Trento M, Passera P, Bajardi M, Tomalino M, Grassi G, Borgo E, Donnola C,
Cavallo F, Bondonio PV, Porta M. Lifestyle intervention by group care prevents deterioration of type 2 diabetes: a 4-year randomized controlled
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M Trento, P Passera, E Borgo, M Tomalino, M Bajardi, F Cavallo, M Porta. A
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Trento M, P Passera, V Miselli , M Bajardi , E Borgo, M Tomelini, M Tomalino,
F Cavallo, M Porta, Evaluation of the Locus of Control in Patients with
Type 2 Diabetes after Long-Term Management by Group Care. Diabetes
& Metabolism, 32, 77-81, 2006
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Natalia Piana
Dottore in Pedagogia
Università degli Studi di Milano
28. Uso dell’autobiografia
narrativa per la motivazione
all’autocontrollo del diabete
e all’attività fisica
Un passo dopo l’altro, basta mettere un piede
dopo l’altro, partire, mettersi in moto
e si scopre un mondo di possibilità inaspettate,
di potenzialità inespresse
G.R.
L’
introduzione dell’approccio narrativo-autobiografico nell’educazione terapeutica delle persone
affette da patologie croniche e, in particolare, da diabete mellito, ha significato in questi ultimi anni una svolta
importante nel modo di pensare e agire l’educazione e
la cura delle persone con diabete. Si è passati infatti da
una concezione prettamente “istruttiva e tecnicistica”
102
della cura – che insegna, trasmette conoscenze e tecniche istruendo la persona con diabete alla giusta condotta – a un approccio pedagogico più globale e complesso alla persona e alla relazione di cura che interpreta e gestisce la malattia anche nelle sue componenti più
soggettive, nonché nelle sue ricadute “esistenziali”. La
malattia cronica, infatti, come è il diabete, rappresenta
una vera e propria rottura biografica che obbliga la persona non solo a ripensarsi nella propria percezione e
identità, ma anche a intraprendere un percorso di accettazione e di presa in carico di sé nella malattia. Un percorso, dunque, di educazione alla cura di sé (e non più
solo della malattia) che passa anche e prima di tutto
attraverso il riconoscimento e la condivisione dei propri
sentimenti e vissuti legati al diabete, delle rappresentazioni, paure, difficoltà che esso comporta. In quest’ottica, narrare e ancora di più, scrivere la propria storia di
malattia – esigenze, necessità, sentimenti ed emozioni
legate al diabete – diventa una strategia operativa di
cura di sé che consente alla persona con diabete di
acquisire consapevolezza sulla nuova condizione (ricollocando la propria storia di malattia dentro una nuova
immagine e percezione di sé) e di intraprendere cambiamenti importanti nelle pratiche di gestione e cura del
diabete, quali, per esempio, l’autocontrollo e l’attività
fisica. A questo proposito, l’esperienza autobiografica
volta a educare le persone con diabete al cambiamento
e alla cura di sé ha trovato recentemente realizzazione
nel progetto Io Muovo la Mia Vita che ha coinvolto per un
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anno un gruppo di persone con diabete con obesità e/o
diabete mellito tipo 2 (e i loro medici di riferimento) in
un percorso di educazione all’attività fisica culminante
nella corsa della maratona di Milano. In questo progetto, l’approccio autobiografico ha rappresentato per tutti
i partecipanti un’occasione di riflessione, di elaborazione di pensieri e vissuti, di racconto e scrittura dell’esperienza di malattia legata all’attività fisica e al conseguente raggiungimento dell’obiettivo Maratona. Uno
sguardo dunque specificamente pedagogico, a integrazione di quello medico, volto a valorizzare l’esperienza
interiore, i vissuti e le testimonianze legate al movimento, all’allenamento, al cambiamento fisico ma anche
psichico: una voce – orale e scritta, individuale e corale
– da ascoltare e leggere insieme per fissare le tappe, le
evoluzioni, le percezioni, le trasformazioni rispetto a sé,
agli altri, alla malattia, alla cura.
Per un anno, a cadenza mensile, abbiamo coinvolto i
partecipanti in proposte di scrittura e di racconto di sé,
lavorando sulle rappresentazioni e le percezioni legate
alla malattia e al rapporto personale con l’attività fisica.
Attraverso la scrittura autobiografica, e grazie alla
disponibilità dei partecipanti a raccontarsi, è emersa
l’importanza dell’attività fisica non soltanto quale strategia terapeutica per la cura del diabete, ma come vera
e propria opportunità per dare una “svolta” alla propria
storia, “per ritornare a vivere”, “ricominciare da capo”,
“tornare a piacere alla gente” migliorare la qualità della
propria vita. Il movimento, infatti, “aumenta l’autostima”,
PERCHÉ IO MUOVO LA MIA VITA?
IL RAPPORTO CON IL MIO CORPO
• Per una sfida con sé stessi e per mettersi in
gioco
• Per una sfida contro la malattia
• Per salvaguardare la salute
• Per sensibilizzare altre persone “malate”
all’attività fisica
• Per curare diabete e obesità
• Per dare una svolta alla propria vita, cambiare, tornare a vivere
• Per cambiare in modo decisivo il rapporto con
il corpo e quindi con le emozioni e i desideri
• Per i miei figli che meritano un babbo in
forma e presente
• Disattento
• Indifferenza e accettazione
• Mi sono servito dell’obesità per non affrontare
delle situazioni
• Mi sento un bradipo stanco
• Difficile, contrastato, fatto di alti e bassi fisici ed
emotivi
• Di sopportazione e convivenza, ossia non mi
piaccio, non riesco a vedermi bene in nessun
abito
• Ho un cattivo rapporto con il mio corpo, non mi
piace muovermi
• Convivo con il mio corpo da 35 anni e da più
della metà in sovrappeso, la convivenza è pacifica e cerchiamo di non darci troppo fastidio reciprocamente
“la sicurezza in sé stessi”, rende le persone “più serene,
disponibili, sorridenti”. Grazie al movimento, dalle rappresentazioni iniziali legate a un rapporto con il proprio
corpo di “indifferenza”,“disattenzione”, “contrasti” tali da
sentirsi quasi come un “bradipo stanco”, dove il corpo
viene vissuto come “un fardello estetico e psicologico”,
“una gabbia per il corpo e la mente”, si sono progressivamente generati sentimenti di stupore, sorpresa, scoperta, “un’ottica e una mentalità nuova” di cura di sé, del proprio corpo e della propria salute: “Mi sento una forza e
un’energia che non credevo di avere. Le mie ultime analisi
sono come non le avevo da anni. L’attività fisica mi ha cambiato la vita di tutti i giorni. Non parlo solo dei momenti di
attività ma anche dell’ordinario. Ho energia e voglia per uscire di più, sto più tempo con i miei bambini e ci sto meglio,
con maggiore disponibilità, non ho più timore di bere un bicchiere di Sangiovese e restare “inchiodato” alla mia gotta.
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Sto benone e ho voglia di raccontarlo in giro. Anzi, già lo faccio. E
racconto della mia esperienza a tutti quelli che, forse senza saperlo, avrebbero bisogno di muovere la propria vita. A volte mi guardano come un UFO, altre volte sono riuscito a convincerne qualcuno a muoversi. Con intelligenza. Per sé. Per i propri cari. Per la propria vita”.
IL MOVIMENTO
• Allenarsi aiuta a guardarsi dentro. Aiuta a
ridisegnare una scala di priorità esistenziali e a
togliere un po’ di polvere dai propri pensieri
• A me piace il movimento, lo penso come vita, amo
profondamente scoprire il mondo camminando, le
nostre gambe possono portarci dappertutto,
ovunque c’è qualcosa da conoscere e il mondo sa
darsi al meglio a chi lo attraversa sui propri piedi. E
poi camminare è ritmo, divenire, cambiamento,
messa in discussione, disfarsi, rigenerarsi...
• Un giorno mettendomi a correre, superando una
soglia che avevo temuto per quarant’anni, ho
scoperto, sorprendendomi, che basta partire e
appena passa il primo fiato strozzato, la prima
palpitazione forte e che fa paura, il primo dolore
che sembra assoluto, si è già diventati leggeri, le
gambe vanno da sole, il sudore scioglie le
emozioni, le libera e ci libera.
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IL CAMBIAMENTO, LA CURA
• Anche solo sei mesi fa non avrei mai pensato di arrivare
fino a qui. E la cosa più sorprendente è che da quando
questa estate mi sono trovato ad essere persona con
diabete, a oggi, il diabete è sotto controllo, per non dire
sparito, anche in assenza di farmaci.
• A volte rimpiango il tempo sprecato, dove sarei se avessi
cominciato prima … Io sono cambiata. Io ho un progetto,
io faccio qualcosa che mi piace, non qualcosa che devo
ma qualcosa che voglio!
• Il più è fatto. Sono entrato in un’ottica e mentalità nuove.
Ho svoltato. Adesso quando non riesco ad allenarmi sto
male, mi manca la corsa. La mia preoccupazione più
grossa è di non riuscire ad allenarmi come sto facendo
finora.
• Ho perso 16 kg e sono contentissimo di questo.
• Negli ultimi esami è diminuita l’emoglobina glicosilata e
questo è un ulteriore stimolo a continuare negli
allenamenti.
• Ho scoperto che in realtà della maratona mi interessa fino
a un certo punto, quello che mi interessa è il percorso che
sto compiendo. Io non ho mai fatto un'attività fisica
importante, sono sempre stata una persona che lavorava
con il pensiero, il mio corpo è sempre stato in secondo
piano, forse per questo si è vendicato accumulando 20 kg
in più. Ora al centro del mio interesse c'è lui e ho scoperto
che corpo e mente convivono benissimo, anzi...
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Dario Laruffa
Giornalista RAI
29. Fare costa,
non fare costa di più
Q
uante volte l’abbiamo odiata, detestata. Quella
montagnola che ci limita (a volte ci impedisce) la
vista della punta dei nostri piedi. Quando ti alzi e chini la
testa all’giù. La pancia.
La trattiamo da problema individuale, da privato fardello. E sbagliamo.
I chili di troppo sono in realtà un problema sociale.
Anzi, di più, un problema economico mondiale.
Lo confermano i dati di una ricerca condotta
dall’Economist Intelligence Unit, centro studi che fa capo al prestigioso settimanale economico britannico, ricerca finanziata dalla multinazionale farmaceutica danese Novo Nordisk.
L’epidemia silenziosa. La ricerca definisce così
l’impatto del diabete a livello planetario.
106
Un male che ha motivi genetici nel caso del diabete di
Tipo 1, ma radici legate al sovrappeso e allo stile di vita
nel caso del diabete di Tipo 2.
Il paradosso è che la situazione economica mondiale
migliora, migliorano i sistemi sanitari, si allunga la vita
media ma, in parallelo, aumentano i diabetici.
La ricerca dell’Economist ricorda che nel 2007, al
mondo, 246 milioni di persone hanno il diabete: il 5,9%
della popolazione fra i 20 e i 79 anni d’età. Ma soprattutto ci mette in guardia. In assenza di interventi, nel
2025 ci saranno 380 milioni di diabetici, il 7,1% della
popolazione.
Questa “epidemia” è silenziosa perché meno “clamorosa” di altre malattie molto diffuse, ma non per questo è meno pericolosa. E costosa.
Quanto ci costa. La ricerca ha studiato cinque
Paesi: Cina, Danimarca, India, Gran Bretagna e Stati
Uniti. E regala subito sorprese.
Il diabete è una “malattia del benessere”, legata ai
chili di troppo e a una vita sedentaria.
Francine Kaufman, pediatra endocrinologa molto
quotata in America ha coniato il termine “diabesity”,
diabesità per descrivere il mix di diabete e obesità che
colpisce sempre più bambini.
Fenomeni tipici della parte ricca del mondo. Questo
pensavamo e questo è senza dubbio vero.
Ma in realtà questa malattia si diffonde anche nei
Paesi in via di sviluppo e appesantisce le economie an-
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che dei Paesi in rapida crescita.
Fra le 5 nazioni studiate è infatti l’India quella che sostiene i costi economici maggiori dovuti alla diffusione
del diabete, che pesano per l’equivalente del 2,1% del
Pil, il reddito nazionale; in India il 6,2% della popolazione fra 20 e 79 anni ha il diabete .
Per la Cina (4,3% di diabetici) è stata invece calcolata una perdita di produttività del sistema economico che
tocca lo 0,6% del Pil.
I costi diretti e indiretti del diabete bruciano l’1,3%
del Pil negli Stati Uniti, che è la nazione analizzata nel
rapporto col più alto tasso di diabetici, 9,2%.
La cifra scende allo 0,6% in Danimarca (6% di diabetici), allo 0,4% in Gran Bretagna che ha anche un livello
inferiore di diabetici: 5,2% della popolazione adulta.
Il diabete dei poveri. La globalizzazione significa
anche questo. Lo studio dell’Economist rivela che indiani, cinesi e arabi hanno una predisposizione al diabete
superiore a quella degli europei.
Nei paesi poveri, come la Tanzania, ad esempio, o nelle zone rurali dell’India, mamme che sono malnutrite durante la gravidanza danno alla luce bimbi “allenati” a vivere con poco. E così, paradossalmente, se le loro condizioni di vita migliorano, questi bimbi, cresciuti, si ammalano di diabete, perché un’alimentazione che è normale
per altri diventa eccessiva per loro. In India, si ammalano di diabete individui con percentuali corporee di massa grassa considerate normali in Europa. Come emerge
chiaramente dai dati, l’India ha una percentuale di diabetici ancora inferiore a quella degli Stati Uniti, ma, a
causa della malattia, sopporta già costi economici superiori.
Potenti barriere. Quelle che si frappongono alla
prevenzione del diabete. Resistenze culturali a un regime alimentare e a uno stile di vita più salutari; la miope
attenzione ai costi a breve termine rispetto alle implicazioni a lungo termine; l’assenza in molti Paesi (come gli
Usa) di una copertura sanitaria universale. Per cambiare la mentalità della gente ci vorranno decenni, ma nel
frattempo non si può rimanere con le mani in mano. E
qui entra in ballo la politica, che deve sostenere campagne di sensibilizzazione fra persone con diabete e personale medico, e la ricerca scientifica nel campo dei farmaci.
Fare, non fare. Fare costa, non far nulla costa di
più. Gli Stati Uniti spendono molto, il 6% del proprio
budget sanitario, per trattare il diabete e le sue complicanze. Ma i diabetici non diagnosticati e trattati nelle
fasi iniziali della malattia hanno maggiori possibilità di
soffrire di complicazioni gravi come ad esempio le cardiopatie. Che sono ben più pericolose. E ben più care
da curare.
No, quella montagnola all’altezza della cintura non
è solo un nostro problema individuale. Decisamente
no.
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Maria Rita Montebelli
Giornalista
30. Questione di peso
108
S
e la matematica non è opinione – e di certo non lo
è – da molti anni ormai non tornano più i conti
della classica equazione ‘energetica’ che auspica le pari
opportunità tra calorie ingerite e calorie consumate.
Tuttavia, continuare a ripetere come un disco rotto a
persone con diabete, amici e famigliari che bisogna
tagliare le porzioni e muoversi di più, per quanto sacrosanto, rischia di generare l’effetto opposto. Per questo è
necessario trovare un nuovo linguaggio per trasmettere
lo stesso messaggio di sempre - l’attività fisica fa bene!
ma in modo da risvegliare l’attenzione di coloro ai quali
è diretto. E in questo la stampa americana è veramente
maestra. A cominciare dalle copertine. ‘Storica’ e proiettata a tutti i congressi di diabetologia quella
dell’Economist che riscrive l’evoluzione dell’uomo dalla
scimmia all’homo informaticus ingobbito e ingrassato di
fronte al computer, ma di grande efficacia anche quella
di Time che invita tutti a liberarsi dei chili di troppo (e
quelli di cui dovrebbero liberarsi negli Stati Uniti sono
veramente molti…) utilizzando la metafora del perdere
la ‘ruota di scorta’ (così gli americani chiamano pancetta e maniglie dell’amore). Il 6 giugno 2005 Time ha
dedicato l’apertura e uno speciale di 21 pagine proprio
al problema dilagante dell’obesità a stelle e strisce, che
sta poi diventando un problema planetario. L’idea che
ha ispirato questo servizio, spiega Claudia Wallis nell’introduzione, viene da una considerazione di Tim Church,
direttore medico del Cooper Institute di Dallas, un cen-
tro di ricerca sulla fitness. “L’America – riflette Church sta vivendo due epidemie, l’obesità e l’inattività fisica.
Ma mentre la prima è oggetto di conversazione ai party
e di libri bestseller, la seconda è bellamente ignorata”.
Eppure sono in molti a ritenere che i benefici dell’attività fisica siano addirittura superiori a quelli della dieta. E non solo per le persone con diabete o per i cardiopatici, ma anche per le persone con diabete affette da
neoplasie e naturalmente per quelle obese. Ma allora
perché tutto questo sbilanciamento di attenzione e di interventi sul fronte dell’obesità? Per un motivo molto
semplice: l’obesità è facile da vedere e da misurare (basta un metro e una bilancia). Il livello di attività fisica e di
fitness a questa correlata, no. Perché ‘fitness’ non significa tanto essere magri, ma essere in buona salute. E gli
esperti elencano almeno 7 componenti della fitness:
composizione corporea, funzionalità cardio-respiratoria,
flessibilità e range di movimento, forza muscolare, resistenza, equilibrio, agilità e coordinazione. Misurarli significa spendere un sacco di tempo e di soldi. Altro che
salire su una bilancia! Ma naturalmente questo non rappresenta un’attenuante. Anche perché si può essere ‘in
forma’ anche da obesi. Nel 2005 per la prima volta nella storia,di fronte a questa epidemia di sedentarietà
rampante e a questo esercito di ‘sacchi di patate’, gli autori delle Guidelines Dietetiche per gli Americani hanno
incluso nelle raccomandazioni dai 30 ai 90 minuti di attività fisica al giorno, la maggior parte dei giorni della
settimana. E questo non significa spendere fortune per
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iscriversi in palestra e dotarsi di completi sportivi all’ultima moda. Basta una camminata a passo veloce. Anche
se, onestamente, la maggior parte delle città americane
e delle grandi metropoli europee sono costruite più a misura di macchina che di bipedi! Esistono naturalmente le
eccezioni, anche in Paese come gli Stati Uniti. Qualcuno
ad esempio si è preso la briga di calcolare che il tipico
maschio americano Amish fa in media 18.425 passi al
giorno, contro gli appena 5.000 dell’Americano medio.
Ma gli Amish sono una setta che disdegna il ricorso alle
macchine e ad altre comodità della vita moderna.
Difficile proporli come modello ai giovani d’oggi. Così,
sempre alla ricerca di nuovi argomenti capaci di titillare
la voglia di attività fisica, Newsweek è uscito a Marzo
con un articolo che introduce il concetto che l’attività fisica è in grado non solo di allenare i muscoli, ma anche
il cervello. In una sorta di revival del vecchio adagio
‘mens sana in corpore sano’, Mary Carmichael, autrice
dell’articolo, cita una serie di recentissimi lavori scientifici che dimostrano come l’allenamento renderebbe più
intelligenti, favorendo la crescita di nuovi neuroni e la
formazione di sinapsi. Una scuola di pensiero che porta
acqua al mulino degli ‘studenti-atleti’ che popolano i
campus universitari americani, ma che per la verità era
stata intuita millenni fa dalla cultura dell’antica Grecia
che considerava l’attività fisica importante almeno
quanto l’apprendimento stesso. E non solo perché manda più ossigeno al cervello. I moderni strumenti diagnostici hanno permesso infatti di scoprire che tutte le volte
che un bicipite o un quadricipite si contrae e si rilascia, i
muscoli riversano nel torrente sanguigno una serie di sostanze, tra le quali l’IGF-1 che attraversa la barriera
emato-encefalica e arrivano al cervello. Qui l’IGF-1 provoca il rilascio di una serie di neurotrasmettitori, tra i
quali il BDNF (brain-derived neurotrophic factor), una sorta di combustibile per tutte le attività cognitive superiori. Uno studio pubblicato quest’anno sulla prestigiosa rivista scientifica Proceedings of the National Academy of
Sciences e citato da Newsweek, ha dimostrato per la pri-
ma volta che, quanto già osservato da tempo sugli animali, accade anche nell’uomo. L’esercizio fisico fa aumentare i livelli di questo super combustibile dell’intelligenza e, cosa ancora più importante, li fa aumentare anche nelle persone ormai avanti con gli anni, che in genere presentano bassi livelli di BDNF. Ma ancora più incredibile è che questa crescita quasi miracolosa di neuroni
e di sinapsi viene osservata dopo appena tre mesi di regolare attività aerobica. La zona più interessata da questa ‘fioritura’ di nuove cellule nervose è stata individuata nel giro dentato dell’ipocampo, un’area deputata all’apprendimento e alla memoria. In altre parole l’attività
fisica non si limiterebbe a rallentare i processi di invecchiamento, ma sarebbe addirittura in grado di invertirli.
Un altro studio ha dimostrato che l’esercizio fisico provoca un aumento di volume dei lobi frontali, il centro del
funzionamento esecutivo, ovvero delle capacità decisionali e di pianificazione). Ma i benefici di una regolare attività aerobica non riguardano solo la terza età, anzi
sembrano anche più evidenti nell’età evolutiva. E gli studi al riguardo sono così convincenti che la Senatrice
Katie Stine dello Stato del Kentucky ha di recente proposto l’introduzione di una mezz’ora di attività fisica giornaliera obbligatoria a scuola. Un esempio certamente da
seguire. Test di intelligenza alla mano.
Fonti: Time, 6 giugno 2005 (“Lose that spare tire!”)
Newsweek, 26 marzo 2007 (“Stronger, faster, smarter”)
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IL RUOLO DEGLI OPERATORI
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Maurizio Casasco
Presidente FMSI
(Federazione Medico Sportiva Italiana)
31. Diabete e Attività Fisica
il ruolo del medico dello sport
L
a Federazione Medico Sportiva Italiana, tra le
Federazioni Sportive del CONI, rappresenta la
Società Scientifica di Medicina dello Sport, riconosciuta
dagli organismi e dalle istituzioni pubbliche e sportive
italiane ed internazionali.
Essa ha tra i suoi obiettivi prioritari il benessere della popolazione in generale e di quella sportiva in particolare.
Questo obiettivo viene perseguito sia teoricamente,
attraverso la diffusione della cultura di un corretto stile
di vita, sia praticamente, attraverso una continua attività di valutazione clinico-funzionale e di prescrizione dell’esercizio fisico.
L’esigenza di tali interventi è pienamente giustificata
se si considera che, nonostante negli ultimi 10 anni si sia
112
registrato un significativo aumento della pratica sportiva, sono anche aumentate, in particolare tra i giovani,
patologie metaboliche quali l’obesità ed il sovrappeso.
Le indagini condotte per chiarire questa apparente
discrepanza indicano che la causa fondamentale è da ricercarsi in un’alimentazione qualitativamente scorretta
e nell’incremento del tempo che, nelle ore libere, viene
speso dai giovani in attività sedentarie (anche 5 volte in
più rispetto al passato) che vanno a sommarsi al tempo
passato a scuola. In altri termini i giovani, complessivamente, non osservano un corretto stile di vita.
Tale realtà è preoccupante perché l’ipocinesi e
l’obesità che ne può conseguire sono causa di molte patologie. E’ noto che il BMI* è strettamente correlato al
rischio di insorgenza nel tempo di patologie di diversa
natura (malattie cardiovascolari, ipertensione, artrosi
*Il Body Mass Index (BMI) o Indice di Massa Corporea, è il risultato del rapporto tra peso ed altezza al quadrato del soggetto (BMI=[Massa corporea
(kg)]/[Altezza al quadrato(m2)] ovvero BMI=kg/m2), ed è molto usato in
ambito clinico per determinare se il soggetto cade entro un peso normale; esso rappresenta un’elementare espressione della composizione corporea ed è
un indice utile ad una semplice valutazione della quantità di massa grassa:
tanto più è elevato il suo valore tanto maggiore è la percentuale di massa
grassa (Tab. 1).
Tabella 1 - Indice di massa corporea (BMI): intervalli numerici definenti un
soggetto sottopeso, normopeso o sovrappeso.
emaciazione
magrezza grave
magrezza moderata
magrezza lieve
< 14,9
15-15,9
16-16,9
17-18,4
normopeso
sovrappeso
obesità
obesità grave
18,5-24,9
25-29,9
30-39,9
40
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per eccesso di carico sulle articolazioni), dove il rischio
massimo si ha per BMI > 40.
Tra queste una delle più importanti, anche dal punto
di vista sociale, è rappresentata dal diabete mellito tipo
2. A conferma esistono numerose statistiche che correlano l’insorgenza del diabete alle ore di sedentarietà e che
dimostrano come l’ipocinesi riduca la sensibilità all’insulina.
Da quanto detto appare pertanto evidente che
l’esercizio fisico, continuo ed adeguato, associato ad
una corretta alimentazione ed ad un appropriato stile di
vita, è un mezzo insostituibile ed assolutamente efficace
di prevenzione ed anche di terapia tanto dell’obesità,
quanto del diabete mellito tipo 2.
In proposito va sottolineato che anche la pratica dello sport agonistico risulta compatibile con la patologia
diabetica e capace di permettere un controllo migliore
della malattia.
La prescrizione e la somministrazione alla persona
con diabete dell’esercizio fisico, dunque, assumono la
valenza di una vera e propria terapia e l’attività motoria
ne rappresenta il farmaco.
Come ogni farmaco, peraltro, l’esercizio fisico deve
essere somministrato alla “giusta dose”.
Tale concetto basilare era stato già espresso 2500 anni fa da Ippocrate. Ciò nonostante, troppo spesso si osserva che la prescrizione dell’esercizio fisico non tiene conto
dei parametri che regolano l’allenamento: quantità, intensità, progressività e continuità dei carichi imposti.
Nello specifico tenere nel debito conto tali parametri è fondamentale non tanto perché l’allenamento sia
efficace (per un sedentario anche salire le scale di casa
tutti i giorni è produttivo), ma perchè si ottenga il massimo del risultato evitando errori e danni conseguenti.
La giusta dose di esercizio fisico da prescrivere dipende da molteplici fattori: lo stato di salute, il tipo
dell’eventuale patologia, lo stile di vita,
l’alimentazione, le caratteristiche funzionali del soggetto, il tipo di attività fisica ecc.
Come si vede, poiché alcuni di questi fattori sono di
tipo clinico ed altri di tipo fisiologico, essi nell’insieme
richiedono la capacità di una preventiva ed adeguata
una valutazione clinico-funzionale.
Dal punto di vista clinico, con riferimento alla patologia diabetica, si segnala la necessità che il soggetto
affronti l’esercizio fisico, relativamente all’assetto glicemico, sempre in condizioni di compenso metabolico.
Tale compenso deve essere presente non solo a riposo
ma deve essere previsto e mantenuto sotto sforzo. La
dose di esercizio, infatti, va sempre “pesata” congiuntamente al regime alimentare ed alla eventuale terapia
farmacologica, onde evitare sotto sforzo possibili danni derivanti dall’insorgenza di crisi iperglicemiche o
dalla necessità di dover ricorrere in eccesso ai fini energetici ai substrati lipidici.
Dal punto di vista funzionale, per poter prescrivere
l’esercizio fisico come mezzo di riabilitazione (inteso,
in senso lato, come uno strumento per riacquisire ca-
pacità fisiche ed abilità motorie perdute o deteriorate)
bisogna conoscerlo. In particolare è necessario conoscere il costo (energetico e meccanico) delle singole attività sportive; ciò, che è equivalente alla necessità di
conoscere gli effetti di uno specifico farmaco prima di
deciderne la somministrazione, significa conoscere le risposte acute e croniche che la sua pratica determina
nell’organismo.
Inoltre è necessario, ai fini di definirne la “giusta dose”, conoscere e implementare tali informazioni con la
conoscenza del livello di efficienza fisica del soggetto,
elementi che si ottengono sottoponendo il soggetto a
test di valutazione delle capacità funzionali (resistenza,
forza, velocità). Infatti, così come per la somministrazione di un farmaco vanno valutati il tipo e la gravità della
patologia, nonché le caratteristiche del soggetto (per
esempio il sesso, il peso, lo stato fisico), così il “farmaco
sport” va somministrato in funzione del livello di efficienza fisica di base del soggetto.
In altri termini l’esercizio fisico da prescrivere va sempre, in termini di carico di lavoro, individualizzato.
La prescrizione dell’esercizio fisico, o dell’attività
sportiva, richiedono dunque una specifica competenza
delle caratteristiche dell’attività da selezionare, delle
qualità funzionali dell’individuo e della interrelazioni tra
le due, sia acute sia croniche.
Il medico specialista in medicina dello Sport possiede,
per formazione accademica ed esperienza professionale,
anche mutuata dalla pratica con gli atleti di alto livello,
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Per la maggioranza delle popolazione (sedentaria) si possono registrare significativi incrementi del V’O2max, purché l’intensità
dell’esercizio di allenamento ricada intorno all’80% del V’O2max
del soggetto. Ciò implica, necessariamente, che tale ultimo valore venga misurato preventivamente in modo da permettere
l’individualizzazione del carico allenante. In caso contrario si corre il rischio di applicare un carico troppo elevato o troppo basso
con effetti non ottimali (da Wilmore e Costill, 1994, modificata)
114
le competenze per assolvere in modo specialistico al
compito di prescrivere l’esercizio fisico al soggetto patologico.
Evidentemente la particolare popolazione sottoposta
al “trattamento”, la persona con diabete, comporta, come detto, anche un’adeguata valutazione clinica preventiva a livello specialistico diabetologico. Ciò suggerisce che il trattamento delle persone con diabete sia condotto a livello multidisciplinare, così che sia adeguatamente inquadrato il dato fisico-patologico e conseguentemente prescritta in modo opportuno la terapia “esercizio fisico”.
Per tali motivi la Federazione Medico Sportiva Italiana
e la Società Italiana di Diabetologia hanno deliberato di
stipulare una convenzione, che avvii e regoli un programma di collaborazione clinica e scientifica finalizzata
alla diffusione della pratica sportiva e del corretto stile di
vita tra le persone con diabete.
L’accordo convenzionale prevede l’attivazione di iniziative comuni nel settore della formazione e dell’informazione, nonché la realizzazione di gruppi di lavoro misti, medico dello sport/diabetologo, distribuiti a livello
periferico provinciale, che costituiscano presidi operativi per la corretta prescrizione dell’esercizio fisico e sportivo a persone con diabete mellito.
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Vilberto Stocchi
Preside Facoltà di
Scienze Motorie
Università degli Studi di Urbino
32. Diabete e Attività Fisica
il ruolo del laureato
in Scienze Motorie
116
L
a laurea triennale in Scienze della Attività Motorie
e Sportive permette di preparare un laureato in
grado di condurre, gestire e valutare le attività motorie
individuali e di gruppo a carattere compensativo, adattativo, educativo, ludico-ricreativo, sportivo finalizzate
al mantenimento del benessere psico-fisico mediante la
promozione di stili di vita attivi.
Queste competenze derivano da una conoscenza delle basi biologiche del movimento e dell’adattamento all’esercizio fisico in funzione del tipo, intensità e durata
dell’esercizio, dell’età e del genere del praticante e delle
condizioni ambientali in cui l’esercizio è svolto.
Il laureato triennale acquisisce la conoscenza delle tecniche e delle metodologie di misurazione e valutazione
dell’esercizio fisico ed è in grado di valutarne gli effetti.
Inoltre, possiede le conoscenze e gli strumenti culturali e
metodologici necessari per condurre programmi di attività motorie e sportive a livello individuale e di gruppo,
oltre alle conoscenze psicologiche e sociologiche di base per poter interagire con efficacia con i diversi soggetti praticanti. La conoscenza delle basi pedagogiche, psicologiche e didattiche gli permette di trasmettere, oltre
alle conoscenze tecniche, valori etici e motivazioni adeguate per promuovere uno stile di vita attivo e una pratica dello sport leale e esente dall’uso di pratiche e sostanze potenzialmente nocive alla salute.
Il laureato specialistico in SCIENZE E TECNICHE DELLE ATTIVITA MOTORIE PREVENTIVE E ADATTATE è in
grado di :
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• progettare ed attuare programmi di attività motorie
finalizzati al raggiungimento, al recupero e al mantenimento delle migliori condizioni di benessere psicofisico per soggetti in varie fasce d’età e in diverse
condizioni fisiche, con attenzione alle specificità di
genere;
• organizzare e pianificare particolari attività e stili di
vita utili per la prevenzione delle malattie ed il miglioramento della qualità della vita mediante l’esercizio
fisico;
• programmare, coordinare e valutare attività motorie
adattate a persone diversamente abili o ad individui
in condizioni di salute clinicamente controllate e stabilizzate.
Le competenze specifiche e caratterizzanti di un laureato specialistico di questa classe riguardano primariamente, i benefici e i rischi della pratica delle attività
motorie in soggetti di diversa età, genere, condizione
psico-fisica, abilità psico-motorie, e il livello di rischio
legato a esiti cronici di varie malattie.
Inoltre, possiede le conoscenze relative agli adattamenti delle funzioni vitali dell’organismo umano in
risposta alle pratiche di attività fisica, in relazione al
genere, età, stato di salute o condizione clinica di ciascun soggetto ed è in grado di eseguire test di valutazione dell’esercizio fisico post-riabilitativo, in termini di
modalità, protocolli, misurazioni fisiologiche e risultati
attesi, specifici per differenti popolazioni, inclusi soggetti con patologie cardiovascolari, polmonari, metaboliche
e di altra natura in fase stabilizzata dal punto di vista
clinico e riabilitativo, in bambini e anziani.
Possiede, infine, le conoscenze relative alle modificazioni funzionali e alle controindicazioni assolute e relative ai test di esercizio, e il riconoscimento di soggetti
che necessitano della supervisione sanitaria durante
test di esercizio sottomassimale e massimale, nonché di
soggetti che richiedono una valutazione sanitaria prima
di impegnarsi in un programma motorio. Possiede la
conoscenza dei fattori di rischio per soggetti con patologie cardiovascolari, polmonari, metaboliche e d’altra
natura, e la comprensione degli indicatori prognostici
per soggetti ad alto rischio; nonché la conoscenza degli
effetti di tali malattie sulla prestazione fisica e la salute
del soggetto durante i test e la pratica dell’esercizio fisico e le condizioni tecniche e i sintomi clinici che impongono l’arresto di un test di esercizio.
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Mariangela Ghidelli
Infermiere Coordinatore
Capo Sala U.O.S. di Diabetologia ed Endocrinologia
Azienda Ospedaliera S. Anna Como, Presidio di Mariano Comense
33. Diabete e Attività Fisica
Il ruolo dell’infermiere
“…C
ambiare “stile di vita”… facile a dirsi ma
non a farsi… parole molto stimolanti, ma
che non riescono a trovare spazio nella mia vita. Come faccio a cambiare le mie abitudini, il mio modo di vivere, il mio
modo di sentire?! Non ho più 20 anni, mi hanno detto che
ho il diabete… ed il mio corpo non è più quello di un tempo. Ora è un po’ “tondetto”, qualche chilo in più… chili che
non riesco a smaltire. Come faccio a cambiare!?...”
E’ difficile rispondere a queste domande, ma è importante individuare le giuste strategie per poter ottenere il coinvolgimento della persona con diabete e far si che raggiunga
la totale autonomia e l’accettazione delle proprie responsabilità.
E’ necessario promuovere la motivazione, la voglia di volersi bene ed allontanare l’auto-commiserazione e per raggiungere questo obbiettivo esistono tante strade, basta trovare quella giusta. Accettare gli errori commessi ma evitare
che si debbano ripetere …conoscendoli. Per questo deve
nascere un nuovo rapporto sinergico tra medico-persona
con diabete-infermiere. Ascoltare, sostenere la persona che
abbiamo davanti, negoziare, se necessario, per ottenere un
piccolo, ma costante cambiamento dello stile di vita, questo
è l’atteggiamento che l’infermiere deve promuovere per far
si che la persona con diabete mantenga nel tempo il cam118
biamento. Gli interventi educativi sono più efficaci se strutturati in un sistema integrato di interventi diversificati di formazione degli operatori sanitari e dell’organizzazione .
Coinvolgere la persona con diabete come “partner” nell’intervento educativo può migliorarne l’efficacia. E’ quindi necessario renderlo “curioso” ed “attivo” nei confronti della
terapia, dell’alimentazione, dell’attività fisica.
Non esistono studi che forniscano chiare indicazioni relative al rapporto costo/beneficio rispetto all’intervento educativo nel lungo termine, ma le persone affette da diabete
spesso “pagano” di prima persona: nell’equilibrio psicologico, nel fisico, negli affetti, nel tempo libero, nella socializzazione, nell’attività motoria e sul lavoro; questi sono i problemi che dobbiamo tener presenti nell’approccio con la nostra
persona con diabete.
Quando la persona capisce dove vuole arrivare, si è fatto
il primo passo verso un cambiamento, verso un nuovo stile di
vita. L’educazione terapeutica aiuta a modificare i comportamenti ed è stata dimostrata l’efficacia a breve termine mentre studi a medio-lungo termine hanno dato risultati variabili ma che sembrano indicare risultati positivi quando gli interventi sono basati su una strategia di “counseling”. Anche
un miglioramento della qualità della vita è stato registrato
dopo un intervento educativo intensivo prolungato, sia nei
confronti della dieta che per l’attività fisica basato sul
“counseling”. Star bene con se stessi significa anche star bene con gli altri, e questo avviene quando si comprende che
curare il diabete non significa solo assumere farmaci, ma anche alimentarsi correttamente, attuare una giusta attività fisica e migliorare di conseguenza il benessere psicofisico.
E’ una continua sfida: il diabete mette a dura prova il corpo, la mente ed anche lo spirito. Per questo il team deve accompagnare la persona, cercando di trovare insieme un giu-
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BIBLIOGRAFIA
sto equilibrio e poterlo mantenere. Attraverso incontri regolari possiamo individuare cosa fare per raggiungere una
nuova rappresentazione di sé più idonea rispetto agli obiettivi che ci siamo prefissati e l’individuo diventa “soggetto
attivo” e stipula con sé stesso e con il team un contratto terapeutico. Questo è l’obiettivo primario sia per la persona
con diabete sia per il team.
E’ un obiettivo che diventa Cura e Prevenzione
La cura della malattia cronica dovrà tener conto anche
delle condizioni socio-economiche, culturali, ambientali del
cittadino e dovrà saper soddisfare i suoi bisogni di salute; la
prevenzione dovrà tener presente che già oggi tre bambini
su dieci sono obesi, che la malattia diabetica si triplicherà e
che tre persone su cento sono affette da malattie cardivascolari e da diabete.
L’attività fisica è un mezzo che possiamo attivare per migliorare lo stato psicofisico e che può diventare uno strumento di equilibrio tra corpo e mente ed incidere positivamente sullo stile di vita.
Attività fisica non è sinonimo di attività sportiva ma
comprende anche il ballo, il giardinaggio, le passeggiate, il
nuoto la ginnastica aerobica ed altre attività. Tutto ciò permette alla persona con diabete di sconfiggere la sedentarietà, migliorare l’umore e la socializzazione.
Molto spesso si associa l’attività fisica al miglioramento
del tono muscolare, alla forza fisica, alla resistenza ma difficilmente si pensa ai benefici che si possono ottenere sull’umore e sulla positività mentale. Sono misurazioni che
non si ottengono con strumenti o test, ma che vengono
percepiti e valutati dal nostro organismo e si trasmette ai
nostri sensi. I primi ad accorgersi di questi benefici a livello
psicologico sono state le persone che hanno praticato
l’attività fisica ed hanno trasmesso questi modi di sentire
agli studiosi. Sono persone che avevano abitudini sportive
diverse, ma anche persone sedentarie che hanno iniziato a
diventare attive.
Ricerche hanno dimostrato che praticare sport aerobico
riduce l’ansia, riduce la tensione, riduce la depressione, produce un adattamento allo stress.
Camminare è un gesto motorio semplice che non impone alla mente concentrazione, permette evasione mentale,
rilassa e dona tranquillità. Questo è sostenuto dall’American
Diabetes Association che ogni anno presenta aggiornamenti e raccomandazioni relative all’attività fisica.
Il team diabetologico deve approfondire le conoscenze in
questo campo per poter prescrivere e monitorare l’attività fisica. Per certi casi, prima di prescrivere l’esercizio fisico il
medico diabetologo informerà la persona con diabete sulla
necessità di sottoporsi ad una visita specialistica per individuare l’esercizio fisico più idoneo in relazione allo stato delle sue complicanze.
Ci sono però aspetti che non possono essere modificati
come l’età, il sesso, l’ereditarietà ed altri invece modificabili
come l’ipertensione, il colesterolo, il fumo, il sedentarismo e
l’obesità. In questi casi possiamo agire con loro utilizzando
leve personalizzate. Dobbiamo dare risposte, dobbiamo
ascoltare, dobbiamo trovare con loro soluzioni semplici, piccole ma raggiungibili nel tempo ma permanenti.
In conclusione… “ come faccio a cambiare stile di vita?”… “accettando di buon grado la mia malattia, discutendo con l’infermiere/dietista le ricette per una corretta
alimentazione, andando ogni tre giorni a ballare il liscio,
parlare con il team dei problemi e bisogni quotidiani legati
alla vita…Ecco, queste sono le cose che quest’anno inizierò a fare…
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Gerardo Corigliano
Presidente ANIAD
(Associazione Italiana Atleti Diabetici)
34. Diabete e Attività Fisica
il ruolo delle associazioni
l’ANIAD
L’
A
N
120
I
A
D
L’
Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici
(www.aniad.org) è una ONLUS, che si propone
la diffusione dell’attività fisica e dello sport fra le persone con diabete, al fine di migliorare il livello di consapevolezza e di educazione terapeutica, di contribuire al pieno inserimento sociale, al buon compenso metabolico e al miglioramento della qualità della vita.
A tale scopo l’A.N.I.A.D. promuove iniziative, convegni e campi scuola; organizza e partecipa a livello
nazionale ed internazionale a manifestazioni sportive
fra diabetici e non, fornendo ai primi, se necessario assistenza specialistica, coopera con le Associazioni, con le
Società scientifiche, con il Ministero della salute e con le
Federazioni sportive. A.N.I.A.D. ha in corso protocolli di
intesa con l’Università Parthenope , facoltà di Scienze
Motorie e con l’Associazione Ucraina del Diabete.
MISSION
1) Educare i diabetici e coloro che si occupano della loro cura sul ruolo dell’esercizio fisico nel migliorare la
salute.
2) Creare opportunità alla partecipazione ad attività ricreative ed amatoriali sportive.
3) Migliorare la capacità di autocontrollo ed autogestione fra i diabetici attivi.
4) Migliorare le conoscenze cliniche negli operatori sanitari che curano diabetici sportivi.
5) Promuovere e supportare lo sviluppo di uno scambio
di informazioni fra atleti diabetici.
6) Favorire la nascita di diabetici-guida nel campo dello
sport il cui modello di vita sia di esempio a tutti gli altri e di gruppi attivi in diverse discipline sportive.
Il presidente è il dott. Gerardo Corigliano, il presidente onorario è il prof. Andrea D’Agostino, uno dei padri
fondatori della diabetologia. L’A.N.I.A.D. è il rappresentante italiano dell’IDAA – DESA (International Diabetic
Athletes Association – Diabetes Exercise Sport
Association). ANIAD conta 8 sedi regionali e 961 soci.
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ATTIVITA’ DELL’ANIAD
L’A.N.I.A.D. opera dal 1991 ed ha partecipato a livello regionale e nazionale a numerosissime attività di informazione, formazione, educazione e cultura scientifica
per diabetici di tipo 1 e tipo 2 sull’importanza dell’attività fisica nella cura del diabete. Fra le attività più rilevanti che hanno avuto un’eco sulla stampa nazionale e nella comunità diabetologica effettuate anche per rendere
testimonianza della possibilità delle persone con diabete di tipo 1 di poter vivere una vita regolare vi sono:
1. La manifestazione “Corri contro il diabete”, staffetta
attraverso i comuni della Campania della durata di 4
giorni (2001).
2. Il progetto DISK 2002 (DiabeticiIitaliani Sul
Kilimangiaro), la prima escursione di trekking di altissima montagna che ha portato 11 diabetici a quota 6000mt testimoniando la loro grande consapevolezza, educazione terapeutica e l’ottimo livello di salute raggiunto. Tale manifestazione ha avuto un’eco
a livello nazionale ed internazionale.
3. Alcuni atleti dell’A.N.I.A.D sono stati premiati come
migliore atleta con diabete dell’anno da una giuria
internazionale. Marco Peruffo nel 2004 per la spedizione sul Cho-yhou, (Hymalaia) che ha portato per la
prima volta un atleta con diabete, senza l’ausilio di
portatori e senza bombole, a superare la quota di
8000mt (la vetta è 8201mt) e Mauro Sormani nel
2007 per l’Artic Circle Expedition. Nel luglio di quest’anno la nuotatrice Monica Priore ha attraversato
lo Stretto di Messina (prima volta per una donna con
diabete tipo 1).
4. l’Aniad ha partecipato con una rappresentativa italiana ai Meeting internazionali biennali DESA su
Diabete e Attività fisica di Budginton (Usa),
Barcellona, Phoenix (Arizona), Atene, Vancouver,
Davos e Arnhem. L’Aniad ha inoltre organizzato direttamente due Meeting internazionali nel 1994 a
Paestum, e nel 2004 a Montecatini.
5. negli ultimi anni l’Aniad ha incentrato il suo interesse sulla promozione della salute e la prevenzione
cardiovascolare presso i diabetici di tipo 2. In questo
senso collabora allo sviluppo di programmi di attività motoria con associazioni diabetologiche, e con alcuni corsi di laurea in scienze motorie per la formazione dell’operatore di fitness metabolica.
6. In seno ad ANIAD si sono sviluppati gruppi come
Ciclismo & Diabete, Podismo & Diabete, Schiacciamo
il Diabete nel Canestro che testimoniano la vitalità e
maturità degli atleti con diabete. Questo obiettivo
raggiunto da ANIAD ha una rilevanza notevole se solo si pensa che fino a 15-20 anni fa la maggior parte
dei giovani nascondevano il loro diabete.
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Maurizio Di Mauro
Centro Studi e Ricerche
per l’Attività Motoria - Università degli Studi di Catania
35. Diabete e Attività Fisica
il ruolo dei centri multidisciplinari
Il Centro Studi e Ricerche di Catania
I
l Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel
Diabete, istituito nel 2002 a Catania in collaborazione con il Corso di Laurea in Scienze Motorie, si pone come obiettivo l’avvio all’attività motoria di tutte le persone con diabete mellito. Il Centro è stato istituito per far
convergere le competenze professionali e scientifiche
presenti nell’Università di Catania su un progetto di collaborazione che serva a documentare e mettere in pratica i benefici dell’attività motoria per le persone con diabete mellito. Il vantaggio di una struttura multidisciplinare sta nell’ottimizzazione dei percorsi diagnostici, assistenziali e di ricerca. In particolare, il Centro promuove
programmi di studio e di ricerca nel campo del diabete,
del metabolismo e delle scienze motorie e la formazione
di figure mediche e tecnico-sportive nell’ambito dei programmi dell’Università di Catania. Inoltre, identifica percorsi idonei per la tutela del soggetto con diabete che
pratica attività sportiva fornendo il know-how tecnico
sportivo per i diabetici, per team diabetologici e per i
tecnici dopo opportuna e specifica preparazione.
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Il Centro Studi collabora con le Scuole di Specializzazione in Endocrinologia ed in Medicina dello
Sport dell’Università di Catania, con la Federazione
Medico Sportiva Italiana, il CONI e, nell’ambito delle
molteplici attività progettuali, anche con Società
Scientifiche come AMD e SID.
Il Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel
Diabete opera inoltre in collaborazione con il CUS
Catania dove, negli impianti sportivi, oltre trecento diabetici sia di tipo 1 che di tipo 2 curano quotidianamente
il wellness metabolico con sedute di allenamento sotto
la supervisione di Specialisti in Diabetologia e Medicina
dello Sport, Psicologi e Dottori in Scienze Motorie.
Il Centro ha organizzato ed organizza corsi di formazione sull’attività motoria nazionali ed internazionali, attività sportive pratiche con corsi di educazione terapeutica ed attività residenziali, presso le strutture del CUS
Catania, rivolte alle persone con diabete con programmi
di counseling e di avviamento alla attività motoria.
Infine, il Centro ha stabilito delle collaborazioni con
strutture universitarie internazionali.
STAFF
Diabetologi: Maurizio Di Mauro, Rosario Battiato,
Antonella Morabito, Vincenzo Messina.
Psicologi: Liliana Indelicato.
Dottori in Scienze Motorie: Amato Alessandra,
Amore Jessica, Daniela Cilano, Carmelo D’Urso, Maria
Carmela Leonforte, Brunella Politino.
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Pierpaolo De Feo
Direttore Centro CURIAMO
(Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria)
Università degli Studi di Perugia
36. Diabete e Attività Fisica
il ruolo dei centri multidisciplinari:
il Centro C.U.R.I.A.MO.
I
l Centro UNIVERSITARIO RICERCA INTERDIPARTIMENTALE ATTIVITÀ MOTORIA C.U.R.I.A.MO è stato
istituito nel 2007 dall’Università di Perugia sulla base
delle chiare evidenze cliniche (Livelli EBM A,B) sull’efficacia della pratica regolare dell’attività fisica nella prevenzione e trattamento del diabete mellito, obesità,
ipertensione, vasculopatie arteriosclerotiche, osteoporosi e dei processi associati all’invecchiamento.
Il Corso di Laurea Interfacoltà Intercorso in Scienze
Motorie e Sportive di Perugia ha deciso con le Facoltà di
Medicina e Chirurgia, di Fisica e del Dipartimento di
Scienze Umane e della Formazione di impegnare risorse
umane e strutturali per svolgere attività di ricerca in
questa area di crescente e rilevante interesse sociosanitario con l’obiettivo di dimostrare i vantaggi dell’in-
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tervento con la regolare pratica dell’attività fisica in termini di salute e di risparmio di spesa sanitaria nelle
varie patologie croniche.
Il C.U.R.I.A.MO. utilizza le strutture del Corso di
Laurea Interfacoltà Intercorso in Scienze Motorie e
Sportive e le competenze cliniche e di ricerca di Docenti
dell’Università di Perugia, afferenti a diversi
Dipartimenti.
I medici specialisti utilizzano gli ambulatori di
C.U.R.I.A.MO. per selezionare le persone con diabete
che possono beneficiare di un corso intensivo di attività
motoria e di educazione ad un corretto stile di vita. La
visita e la valutazione dello stato di forma fisica sono
gratuite. Le persone con diabete che accettano il programma di attività fisica concordato per il raggiungimento dei personali obiettivi di salute seguiono dei
corsi semestrale utilizzando le strutture del Corso di
Laurea Interfacoltà Intercorso in Scienze Motorie e
Sportive. I corsi sono a pagamento per far fronte alle
spese dell’attività di ricerca di C.U.R.I.A.MO. ma si prevede di stipulare una convenzione con la Regione
dell’Umbria.
Il C.U.R.I.A.MO. non ha finalità di lucro e tutti i proventi sono destinati per la manutenzione ordinaria ed i
progetti di ricerca del centro. Le aree attuali di ricerca
del centro sono la valutazione degli effetti della pratica
regolare dell’attività fisica per la prevenzione ed il trattamento del diabete mellito, obesità, ipertensione,
vasculopatie arteriosclerotiche, osteoporosi e dei pro-
Grazie al tuo impegno noi ti...
C.U.R.I.A.MO.
Centro Universitario Ricerca Interdipartimentale Attività MOtoria
Obesità, Diabete, Ipertensione, Arteriosclerosi, Osteoporosi, Invecchiamento
Università di Perugia
cessi associati all’invecchiamento. L’obiettivo è dimostrare i vantaggi di questo intervento in termini di salute e di risparmio in spesa sanitaria nelle varie patologie
e promuovere l’informazione dell’opinione pubblica sui
vantaggi di uno stile di vita corretto.
Per il conseguimento delle proprie finalità istituzionali il Centro considera essenziale lo sviluppo di relazioni con altre Università e istituzioni di cultura, di ricerca
e di cura, acquisizione di documentazione nazionale ed
internazionale; favorisce i rapporti con le istituzioni pubbliche e private, in quanto strumenti di diffusione e
valorizzazione dei risultati della ricerca.
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IL DIABETE
E IL MONDO DELLO SPORT
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Luca Di Mauro
Presidente Federazione Italiana Hockey su Prato
37. Federazione Italiana Hockey su Prato
D
opo il protocollo d’intesa sottoscritto nel
2004 con l’UNICEF, nel 2006 proseguendo
nell’intento di rivolgere un’attenzione particolare
verso il sociale, la Federazione Italiana Hockey ha
avviato una collaborazione con l’Associazione
Italiana Diabetici e gli altri enti che la sostengono
a favore della diffusione a livello nazionale ed
internazionale della pratica sportiva fra presone
con diabete.
Rilevo con grande piacere la sensibilità con la
quale il mondo dell’hockey ha accolto questa problematica e l’entusiasmo con cui ha sposato la
campagna di sensibilizzazione “Changing
Diabetes” che ha visto e, continuerà a vedere, i
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nostri atleti delle nazionali maggiori vestire con
orgoglio la maglia azzurra recante tale messaggio
nella consapevolezza di portare avanti, non già un
messaggio commerciale bensì un messaggio sociale che arricchisce di nuovi valori il nostro sport.
Non è certo un caso il fatto che l’ANIAD abbia
chiesto alla Federazione Italiana Hockey piuttosto
che ad altre che godono di una maggiore visibilità
di promuovere il messaggio “Changing Diabets”.
Ritengo sia dipeso dal particolare ed esclusivo target dell’hockey italiano che è sport olimpico di
squadra, estremamente popolare e diffuso a livello
internazionale e praticato da noi solo a livello dilettantistico. Uno sport forse di “nicchia”, giocato da
veri appassionati che vi dedicano gran parte del
proprio tempo sacrificando senza alcun profitto
interessi familiari e personali. Uno sport dove il
doping di fatto non esiste (fatta eccezione di rarissimi casi di positività ai cannabinoidi che nulla
hanno a che fare col tentativo di ottenere un risultato fisico in modo artefatto, ovvero i rari casi
dovuti a errate procedure di esenzione farmacologia a fini terapeutici degli atleti).
In conclusione uno sport che, pur essendo coinvolgente come il calcio, di cui peraltro ricorda molto
gli schemi di gioco, si è mantenuto in questi anni
“pulito” proprio perché intorno ad esso non vi è
alcun “business”.
Avremmo potuto ottenere, per la nostra maglia
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azzurra, sponsorizzazioni di tipo commerciale che
avrebbero di certo portato alla Federazione, che
vive prevalentemente del sussidio del CONI, provvidenziali risorse economiche aggiuntive per l’attività
dei nostri atleti. Ma forse anche perché proprio a
causa della scarsa visibilità che i mass media riservano all’hockey italiano, sentiamo troppo spesso
parlare con orrore di “Sport Maggiori e Sport
Minori” come se il valore atletico e sociale degli
stessi possa essere qualitativamente diversificato e
misurato, siamo orgogliosi che i nostri azzurri siano
testimonial del “Changing Diabetes” e contribuiscano a fare in modo che agli atleti con diabete
venga riconosciuta pari dignità rispetto agli altri
sportivi.
La diversità nello sport così come nelle altre attività dell’uomo, non significa inferiorità; al contrario
essa può costituire quel valore aggiunto che permette di ottenere nuovi e più importanti traguardi
e far crescere e migliorare la collettività.
L’hockey è uno sport in cui siamo abituati a giocare di squadra; in cui si vince e si perde tutti insieme
e, noi, questa “partita” a favore del “Changing
Diabetes”, intendiamo giocarla e vincerla uniti agli
atleti diabetici affinché si dissolvano finalmente le
ultime barriere ancora esistenti verso la possibilità
di assicurare a tutti una vita normale.
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Maurizio Damilano
Campione Olimpico
38. Un campione dello sport
impegnato nel promuovere
l’attività motoria
L
a nostra attività con persone affette da obesità e/o
diabete si svolge principalmente nell’ambito della
promozione del fitwalking e del cammino.
In questi anni abbiamo sviluppato iniziative in diversi
settori coinvolgendo sia persone in salute sia persone
affette da patologie come il diabete e malattie a carico
dell’apparato cardio-circolatorio, e proponendo le nostre attività come strumento integrativo della strategia
alimentare per le persone obese.
A nostro avviso, un aspetto cruciale è costituito dalla
modalità con cui l’attività fisica viene proposta. Spesso,
quando si propone a queste persone di avviarsi alla pratica di uno sport, loro reagiscono pensando immediatamente alle grandi prestazioni, ai grandi campioni, alla
necessità di una condizione fisica ottimale. Di conseguenza si impauriscono e non mettono in pratica né i
consigli e i suggerimenti che vengono dati loro, né le
proprie convinzioni. Sono ancora pochi coloro i quali trovano immediatamente la motivazione e lo stimolo per
dimostrare che non vi sono limiti (seppure entro i livelli
ottenibili) a fare ciò che fanno le persone in salute.
Detto ciò, nella nostra esperienza di lavoro con le associazioni o con le singole persone con diabete abbiamo
sempre ottenuto riscontri molto positivi.
Innanzitutto, il camminare – seppure in modo dinamico e “sportivo” – è sempre un’attività cui è semplice
avvicinarsi, perché la si identifica come qualcosa che tutti possono praticare. Inoltre, la modularità che il cammino offre (ossia la possibilità di adattamento alle reali
condizioni del singolo) è molto superiore ad altre discipline aerobiche. Questo è evidente se si confronta la disciplina del cammino così proposta con quella, simile,
del cammino sportivo, ossia la corsa. L’approccio alla
corsa è certamente più difficile. Lo abbiamo constatato
in diverse occasioni con soggetti che avevano già avuto
esperienze di avvicinamento all’attività motoria mediante la corsa: poiché per quanto si parta lentamente la velocità è spesso superiore alla qualità del soggetto in quel
momento, lo sconforto e la paura di non farcela risultano molto superiori (oltretutto, da un punto di vista meccanico, correre molto piano è alquanto difficile, e il costo
energetico alle basse velocità è sfavorevole rispetto alla
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camminata veloce).
Il problema principale – non solo per le persone con
diabete in cura ma in generale un po’ di tutti coloro che
non hanno una mentalità sportiva già sviluppata, ovvero per chiunque non abbia mai praticato sport – consiste
sostanzialmente nel trovare sufficienti stimoli a fare movimento con costanza. Per andare incontro a questo tipo
di esigenza, noi abbiamo creato corsi periodici durante i
quali si è incoraggiati a muoversi in compagnia, cosicché
il lavoro quotidiano o periodico sembri meno pesante.
L'esecuzione di test di misurazione dell'efficienza cardio-circolatoria ripetuti nel tempo offrono poi un quadro
immediato dei progressi compiuti (oppure dei regressi
quando si abbandoni, anche solo temporaneamente, la
pratica) aiutando le persone a “non mollare”.
Un altro aspetto che meriterebbe particolare attenzione consiste nello sviluppo di un sistema per contattare direttamente un gran numero di persone e promuovere più efficacemente l’importanza dell’attività motoria
sia nella prevenzione salutistica sia a sostegno delle cure, in particolare nel caso di patologie che traggono significativi vantaggi dal movimento. Lavorando a vasto
raggio con associazioni, medici e persone con diabete, si
potrebbe offrire un servizio diretto e, allo stesso tempo,
sfruttare l'occasione per raccogliere una grande quantità di dati e risultati misurabili.
Nei prossimi mesi, la Scuola del Cammino avvierà un
progetto più specifico, legato al mondo della salute e al-
la creazione di un Centro specializzato nell’attività motoria come strumento di lavoro comune con il mondo
della sanità, sia sul piano preventivo che di supporto alle cure. Da questa esperienza si potranno trarre dati più
significativi. Proprio il mondo della diabetologia e della
cardiologia rappresentano i primi referenti con i quali
vorremmo collaborare.
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LE ESPERIENZE
DELLE PERSONE CON DIABETE
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Sergio Galbiati
39. La persona con diabete
come esempio
S
ergio Galbiati, manager di un’importante industria, ha affrrontato
con intelligenza la diagnosi di diabete mellito tipo 2 ritagliando
nella sua affollata agenda uno spazio quotidiano per l’attività fisica. I
risultati gli hanno dato ragione: ha interrotto la terapia ipoglicemizzante orale ed ora i valori glicemici sono rientrati nella normalità. In pratica E’ GUARITO con le proprie forze (distinguendosi nel progetto IO
MUOVO LA MIA VITA che verrà descritto successivamente).
...Esco di mattina alle 6.30. E’ l’unico momento della giornata che
posso ancora togliere alla famiglia oltre a quello che già faccio con il
mio lavoro. E’ un momento solo per me. Amo correre da solo nella nebbia e nel freddo adesso, e veder sorgere il sole: una cosa che prima facevo molto di rado e solo in vacanza. Questo mi sta dando una dimensione del tempo tutta nuova, così come la corsa mi sta dando una dimensione nuova degli spazi.
E’ molto particolare, infatti, ripensare dopo la corsa al dettaglio di ciò
che c’è in dieci chilometri di strada: quella particolare pianta sul ciglio
della strada, quella particolare forma dell’asfalto rifatto, quel casolare e
l’attenzione da mettere al cancello chiuso dietro al quale ti abbaia quel
pastore abruzzese, tutte le volte... chissà, prima o poi imparerà a conoscermi. Vincenzo, il mio medico, non mi fa più prendere la pillola di controllo della glicemia. In cambio mi misuro la situazione un paio di volte
al giorno, cosa che prima non facevo. Il sono un fisico ed ho la tendenza a fare delle cose che succedono una opportunità di indagine, per cui
una misurazione è a tempo fisso, tipo l’inizio della giornata, mentre
l’altra la muovo in vari momenti e riesco così a capire che cosa succede
al mio fisico: è molto interessante.
E’ così che ho scoperto che dopo le ripetute veloci la mia glicemia
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sale a livelli che mi hanno inizialmente preoccupato,
mentre questa cosa non succede nel lento. Vincenzo mi
ha spiegato che è fisiologico e mi ha raccontato il perché, per cui ho imparato una cosa nuova. So che me ne
aspettano tante altre.
Questo è il bello di questa avventura: usare se stessi per imparare qualcosa della vita che va al di là di se
stessi.
Non mi interessa competere con qualcuno, ma la mia
naturale voglia di cercare il mio limite mi dà la curiosità
tutte le mattine di provare a capire se qualcosa è cambiato e come.
Fa impressione pensare che c’è un gruppo sparso per
l’Italia che individualmente (alla fine è una cosa che
riguarda ciascuno come individuo) si confronta con se
stesso, ma con il conforto di sapere che c’è un team che
condivide le stesse sensazioni. Chissà se alla fine troveremo un filo conduttore di gruppo, le sensazioni, i cambiamenti fisici, le difficoltà e le soddisfazioni comuni.
Nel piccolo questo è un esempio di come devrebbe funzionare una società sana: ogni inviduo cerca di migliorare se stesso non perdendo di vista il risultato di squadra, qualunque essa sia.
Sono ansioso di incontrarvi settimana prossima per i
10.000. Finora non ho mai fatto una corsa “competitiva”, o comunque tale da confrontarmi con qualcun altro. Per me correre è sempre stato il momento per me, e
per me solo: il premio che mi do per tutto il resto di ciò
che faccio.
Sono molto contento di come sta andando questa avventura: sono molto dimagrito e sono molto più veloce
e resistente, anche se, alla fine di una corsa di 10 o 15
chilometri mi chiedo come accidenti potrò mai correrne
42. La cosa però, più che demoralizzarmi mi incuriosisce.
Anche solo sei mesi fa non avrei mai pensato di arrivare
fino a qui. E la cosa più sorprendente è che da quando
questa estate mi sono trovato persona con diabete, ad
oggi, il diabete è sotto controllo, per non dire sparito,
anche in assenza di farmaci. Per di più mi sto dando delle limitazioni molto piccole su ciò che mangio, e malgrado questo, con l’allenamento costante tendo a dimagrire ulteriormente. Mi sono convinto che ciò in cui ci siamo messi è molto di più di una avventura sportiva: noi
stiamo diventando l’esempio eclatante che gente normale può essere felice di uno stile di vita diverso che, oltre ad essere un tremendo vantaggio per sé, è anche un
esempio di come si potrebbe contribuire da cittadini, al
risanamento dei costi della sanità. Ciò che stiamo facendo è una cosa molto seria, ma divertentissima!!
A presto.
Sergio.
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Nicolas Amodio
Calciatore
40.
S
ono Nicolas Amodio, gioco da professionista nel Napoli Calcio ed
ho il diabete. Il calcio è la mia passione, lo è stata fin da piccolo, e
già a sette anni frequentavo la scuola calcio in Uruguay. Allenarmi con
i miei compagni, inseguire il pallone e calciare mi hanno sempre dato
forti emozioni. Ogni volta che entro in campo mi sento ripagato di tutti
gli sforzi ed i sacrifici fatti per giungere a giocare a livello professionistico.
Il diabete mi è stato diagnosticato all’età di nove anni: non mi sentivo bene, andavo spesso in bagno e bevevo molta acqua. Dopo le analisi, sono stato ricoverato una settimana in ospedale, dove i medici mi
hanno regolato la glicemia.
Questo “incidente di percorso” mi ha costretto a non allenarmi per
quasi un mese. Ma il diabete non ha mai costituito una limitazione alla
mia passione per il calcio. Infatti, dopo due/tre settimane dal ricovero,
ho ricominciato la mia solita vita ed i miei soliti allenamenti. Certo, i
primi giorni con molta più cautela, ma poi tutto è diventato naturale.
Sono stato molto fortunato: sin da piccolo sono stato seguito da dottori che hanno ritenuto l’attività fisica una pratica consigliabile, addirittura importante, e che mi hanno sempre sostenuto nel mio percorso
sportivo.
Praticare sport è importantissimo e, nel caso di persone con diabete
come me, è anche terapeutico: l’attività fisica consente di avere una vita
più sana ed equilibrata e di diminuire la quantità di insulina. Praticare
sport, poi, è utile non solo per il fisico ma anche per la mente: aiuta a
socializzare ed insegna ad avere rispetto per se stessi e per gli altri. La
tensione che provo poco prima di entrare in campo con la mia squadra,
la complicità e l’affiatamento in campo, la soddisfazione di vincere una
partita e di vivere un successo individuale come successo collettivo, sono
sensazioni ed emozioni impareggiabili che valgono qualsiasi sacrificio.
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PROFILO
Per seguire il mio sogno, diventare calciatore professionista, non ho mai dovuto affrontare ostacoli o “lottare” più degli altri giocatori, né in Uruguay né in Italia.
Ad essere sinceri, l’unica differenza tra me e gli altri calciatori dovuta al diabete consiste nel numero di certificati da ottenere e nei controlli da effettuare per poter
giocare: il mio numero è “leggermente” superiore. Ma
ci si abitua e, ben presto, anche il doversi sottoporre ad
analisi e controlli è diventata una pratica di routine. Del
resto, affrontare qualche piccola noia è sopportabile pur
di entrare in campo.
Ed il calcio mi ha premiato donandomi innumerevoli
gioie: il passaggio dalla scuola calcio al settore giovanile della Defensor Sporting, squadra uruguaiana nella
quale ho giocato fino al 2004; il contratto con la
Sambenedettese, squadra della serie C1, ed il mio relativo trasferimento in Italia; il passaggio al Napoli, società con la quale ho vinto nel 2006 il campionato C1 e nel
2007 anche quello di B, raggiungendo la agognata
serie A”. Poi, all’inizio di questa stagione calcistica, il 14
ottobre 2006, sono stato premiato dall’Associazione
Italiana Medici Diabetologi come atleta diabetico dell’anno.
La mia storia e la mia esperienza sono la dimostrazione di come le persone con diabete possono e debbono praticare sport; di come si può vivere una vita normale, felice e ricca di soddisfazioni.
Camminando per Napoli, mi capita spesso, soprattutto da quando ho dichiarato pubblicamente di avere il
diabete, di incontrare persone che si complimentano
con me per come gioco e, soprattutto, per il coraggio e
la determinazione di giocare nonostante il diabete.
Ma io non sono eccezionale rispetto agli altri, non
compio sforzi sovraumani; ho assecondato la mia passione, cercando di migliorare costantemente me stesso
ed il mio livello di prestazione atletica, ed ho raggiunto
così il mio sogno di bambino.
Nicolas Amodio, 24 anni.
Calciatore centrocampista uruguayano,
caratterizzato da una notevole
versatilità sul campo.
Inizia la sua carriera nel Defensor
Sportinng, squadra Uruguayana.
Nel 2004 si trasferisce in Italia
per giocare da professionista prima
nella Sanbenedettese, squadra
di Serie C1, e poi nella Società Calcio
Napoli, squadra con la quale ha vinto,
nel 2006 il campionato di Serie C
e nel 2007 il campionato di Serie B.
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Simone Donadello
Ciclista
41.
S
ono Simone Donadello, ho 19 anni e fin da bambino lo sport ha occupato una parte significativa del mio tempo libero. Mi sono cimentato in
varie discipline, quali il calcio, la pallavolo l’atletica. Tuttavia, è stato osservando le gesta del grande Marco Pantani, che all’età di 14-15 anni mi sono
avvicinato al mondo della bici e ho cominciato a praticare il ciclismo a livello agonistico. Nel 2004 però, sono stato messo alla prova da una grande
delusione: la morte di Pantani.
Questo mi ha indotto ad abbandonare il ciclismo agonistico, anche se
ho continuato a praticarlo come amatore. Contemporaneamente mi sono
avvicinato ad una nuova disciplina: il triathlon. In quello stesso anno, però,
mi ha colpito come un macigno la diagnosi del diabete di tipo 1. All’inizio
certamente non è stato facile, soprattutto per il senso di confusione e di
dubbio che la mia nuova condizione comportava. Ma proprio quando mi è
stato prospettato di non poter più praticare sport ad alti livelli, come in una
sfida con me stesso, ho deciso di riprendere con impegno le mie uscite in
bicicletta, all’inizio con un po’ di titubanza, ma ben presto con l’intenzione
di allenarmi nuovamente come un tempo.
Il diabete certamente ha rappresentato una complicazione, che tuttavia
ho voluto affrontare con determinazione. Questo mi ha permesso di comprendere approfonditamente i meccanismi della mia nuova condizione fisica e gli effetti che essa aveva sul mio corpo. Grazie all’esperienza così
acquisita e al contributo di persone esperte, ho acquisito una completa e
serena accettazione della malattia. Inoltre mi sono reso conto, contrariamente all’opinione comune, che il diabete non costituiva un limite insuperabile al raggiungimento dei miei obiettivi, anche se si trattava comunque
di una strada in salita.
Ed infatti, nel 2005, ho ottenuto una importante vittoria con me stesso:
partecipare alla mia prima gara agonistica di triathlon dall’esordio del diabete, concluderla con un buon risultato sportivo e, soprattutto, senza alcun
problema fisico. La mia gara, non è stata solo quella contro gli altri atleti: il
mio vero avversario era dentro di me, era il diabete. Un avversario che ho
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PROFILO
battuto con il coraggio e la voglia di partecipare che mi
hanno condotto a tagliare il traguardo, con l’emozione e
l’entusiasmo di concludere un gara tanto difficile.
Lo sport rappresenta per me una vera e propria terapia
da affiancare all’insulina e svolge un’eccezionale azione
sul controllo metabolico. Infatti, praticando sport, le mie
glicemie si sono stabilizzate e ciò mi ha consentito di
seguire una terapia insulinica ed un’alimentazione più
flessibili.
Sono state molte le iniziative cui ho aderito. Nel giugno
del 2005, l’ANIAD (Associazione Nazionale Italiana Atleti
Diabetici), di cui faccio parte, mi ha proposto di attraversare l’Italia in bici, dal Mar Tirreno al Mar Adriatico, in una
sola giornata, per un totale di 310km. Quell’estate, ho
incontrato per la prima volta alcuni compagni sportivi con
diabete e con loro, sotto la guida del prof. Pierpaolo De
Feo di Diabete Italia, ho compiuto la “grande impresa”. La
traversata non ha rappresentato solo un grande successo
sportivo ma anche un importante risultato medico-scientifico grazie alla raccolta di numerosi dati sul metabolismo
dei diabetici sotto sforzo.
Questa esperienza ha segnato l’inizio di una grande
amicizia all’interno del gruppo di ciclisti che ha poi condotto alla fondazione della prima squadra di ciclisti con
diabete: C&D, cioè Ciclismo e Diabete. Oltre alla grande
passione per le “due ruote”, ad unirci molto è stato il
senso di appartenenza ad una stessa condizione di difficoltà, la voglia di fare esperienza e trasmettere la propria per aiutare gli altri, la volontà di far conoscere alla
gente la verità sul diabete, il comune sforzo nel superare e vincere i propri limiti. In pochi mesi al gruppo fon-
datore si sono iscritti oltre 120 ciclisti con diabete da
tutta Italia.
L’anno successivo ho partecipato ad una nuova impresa sportiva: l’attraversamento in bici dell’Europa continentale e delle sue sedi istituzionali: con l’obiettivo di sensibilizzare l’Unione Europea sulla nostra malattia, 7 temerari
ciclisti con diabete, sempre accompagnati dal prof. De Feo,
sono partiti dall’Italia ed in soli 7 giorni sono arrivati in
Olanda, coprendo circa 1200km e attraversando 7 diverse
nazioni europee tra cui la sede del Parlamento Europeo a
Strasburgo. Questo è stato un importante successo per
noi, ma anche una grande vittoria contro il diabete. Infatti
abbiamo dimostrato che l’attività fisica e uno stile di vita
sano sono la migliore prevenzione della malattia e abbiamo attirato l’attenzione delle istituzioni su questo grande
problema sociale.
Lo sport ha continuato a donarmi grandi soddisfazioni.
Questa primavera ho conquistato il titolo di Campione
Italiano dei ciclisti con diabete per la categoria master
sport, alla seconda edizione del Campionato Italiano per
ciclisti diabetici organizzata dalla C&D.
Questa gara, oltre ad un successo personale, è stata un
grande successo per il gruppo C&D, per tutti i diabetici e
per le persone che lottano per superare i propri limiti.
Ho sempre cercato di fare del mio meglio per superare
le difficoltà presentate dalla vita, ho messo tutto il mio
impegno per raggiungere i miei sogni e lo sport mi ha aiutato molto. È stato un ottimo strumento per migliorare me
stesso e mi ha offerto l’opportunità di fare esperienze
costruttive e dal grande valore umano, di incontrare molte
persone importanti ed amici eccezionali.
Simone Donadello, 19 anni.
Studente Iscritto
alla facoltà di Fisica dell’Università di Trento.
Nel 2003 e 2004 pratica il ciclismo su strada agonistico
nelle categorie allievi e juniores.
Dal 2004 ad oggi pratica ciclismo
amatoriale-agonistico e triathlon agonistico (nuotobici-corsa), raggiungendo
diversi piazzamenti.
È parte attiva dei progetti nazionali
ed internazionali promossi dalle associazioni
per i diabetici, tra queste l’ANIAD a cui
è iscritto, ed la C&D (Ciclismo e Diabete),
prima squadra di ciclisti con diabete.
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Diego Franceschini
Ciclista
OLTRE IL MURO
42.
S
ono sempre andato in bicicletta, fin da quando ho memoria e ad 11
anni ho cominciato a partecipare a gare di ciclismo. Gara dopo gara,
è nato in me lo stimolo a migliorare sempre di più le mie prestazioni, ad
ogni costo, fino a raggiungere per primo il traguardo.
Ho scoperto di avere il diabete nel 1984, all’età di 14 anni, ed allora
le conoscenze scientifiche erano inferiori ad adesso, i medicinali molto
meno efficaci e le tecniche di cura molto diverse.
Ma gli ostacoli che ho dovuto affrontare per poter continuare a praticare sport non sono stati i “limiti” della tecnologia scientifica. I tabù riguardo lo svolgimento dell’attività fisica a livello agonistico per un paziente diabetico insulino-trattato hanno rappresentato gli ostacoli più
grandi.
Dopo la diagnosi, da un giorno all’altro ho dovuto lasciare tutti gli
amici, i compagni di squadra con cui mi allenavo e tutto il mondo che si
era creato intorno a me da quando avevo iniziato ad andare in bicicletta.
E’ stata una pugnalata e ho avuto bisogno di tempo per assorbire
l’impatto e reagire, ma reagire era l’unica cosa fare per raggiungere il mio
obiettivo: “tagliare il traguardo per primo”.
Da quel momento ho iniziato ad allenarmi seriamente, a fare tanti
test, a provare con impegno, costanza e determinazione, a far convivere
sport e diabete, per migliorare ogni giorno il mio controllo metabolico e
la mia performance atletica.
E grazie alla determinazione, alla forza di volontà che devi avere per
superare i momenti difficili, alla mia famiglia che mi ha sempre supportato, assistito ed incoraggiato, al gruppo sportivo, agli amici, oltre che al
mio attuale diabetologo, il Prof. Pierpaolo De Feo, sono riuscito a superare molte difficoltà, molti momenti difficili.
I primi anni sono stati i più duri e difficili da superare perchè ho dovu-
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PROFILO
to accettare la mia nuova condizione e, allo stesso tempo, ho dovuto accettare anche di adottare le precauzioni
necessarie per praticare sport a livello agonistico.
Ma non ho ‘mollato’, ho tentato sempre di migliorarmi, non mi sono mai accontentato di ‘prendere ciò che
viene’, dovevo “tagliare il traguardo per primo, a tutti i
costi”.
E, dopo tanti allenamenti, tanti test e tanti momenti
difficili, il sogno si è finalmente avverato: sono riuscito a
tagliare per primo il traguardo ad una gara di mountainbike disputata, tra l’altro, a 2 km da casa. Ho vinto per distacco e ricordo ancora gli ultimi 200 metri percorsi tra
gli applausi e le ovazioni delle persone che accoglievano
la mia prima vittoria assoluta.
È stata un’emozione fortissima che ha annullato immediatamente tutti gli sforzi fatti per arrivare fino lì.
La vita simile a quella gara: tanti sforzi, tanti sacrifici,
tante sofferenze, poi un giorno, quando meno te lo
aspetti, ti regala piacevoli sorprese e tu puoi finalmente
sollevare le braccia al cielo.
E’ da circa sei anni ormai che pratico attività fisica a livello agonistico, mi alleno con costanza e, spaziando nelle varie discipline, partecipo a più di quaranta gare per
stagione.
Ogni fine settimana mi confronto con persone non affette da patologie, ho raccolto varie vittorie, raggiunto
traguardi importanti come ad esempio aver vestito negli
ultimi due anni la maglia azzurra della nazionale Master
in occasione dei campionati del mondo disputati a St.
Johann in Tirol – Austria.
Presentarsi ai nastri di partenza del campionato del
mondo con la maglia azzurra è un’emozione unica.
Indossare la maglia azzurra ti trasmette una carica fortissima, straordinaria, sai che in quel momento rappresenti
la tua nazione e sei stato scelto per tenere alti i suoi colori, quindi non puoi fallire.
Conservo gelosamente nella mia camera da letto un
poster autografato regalatomi dalla campionessa olimpionica Paola Pezzo in occasione di una gara che porta il
suo nome. Lei ha scritto: “Io sono fatta così, mi metto in
testa un obiettivo e lavoro per raggiungerlo. È incredibile
quanti sacrifici si possono fare con la forza di volontà”.
Ho fatto subito tesoro di queste parole e anch’io ho sempre lavorato per raggiungere un obiettivo, facendo sacrifici e non perdendo mai la determinazione. Così facendo
è tutto meno gravoso e difficile.
Il ciclismo si sposa perfettamente con il diabete: entrambi hanno bisogno ogni giorno di ricerca, costanza ed
impegno per poter migliorare.
Ognuno di noi con la forza di volontà ed un buon autocontrollo può acquistare autostima, e raggiungere
grandi risultati nello sport e, soprattutto, nella vita.
Io, nel mio piccolo, ho fatto e continuo a fare questo.
Ho migliorato molto il mio tenore di vita e sono soddisfatto di essere riuscito a raggiungere traguardi che credevo non fossero mai alla mia portata. La mia esperienza è una chiara testimonianza che tutte le persone con
diabete, tutti coloro che si trovano ad affrontare situazioni difficili, possono raggiungere i propri sogni reagendo
alle avversità.
Diego Franceschini, 37 anni.
Disegnatore tecnico in una azienda
meccanica. Gareggia su strada
e in mountain bike a livello agonistico
dal 2000. In cinque anni ha disputato
più di 200 gare raggiungendo spesso
i vertici delle classifiche.
Nell’agosto 2005 arriva a concorrere
con la Nazionale Italiana Amatori
per i Campionati del Mondo su Strada
a St. Johann in Tirol (Austria).
E’ stato riconvocato anche per
l’edizione 2006 che si è svolta dal 24
al 27 agosto sempre a St. Johann.
Fa parte dell’Associazione C&D
(Ciclismo e Diabete) prima squadra
di ciclisti con diabete fondata nel 2005.
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David Panichi
Ciclista
43.
M
i chiamo David Panichi e sono nato a Perugia da un parto
gemellare. La mia vita è stata ricca di belle esperienze, vissute
con la mia famiglia soprattutto attraverso il ciclismo. Infatti, anche i
miei due fratelli, Umberto e Luca, sono appassionati di ciclismo ed
hanno praticato questo sport per molto tempo, giungendo fino alla
categoria dei dilettanti e riportando ottimi risultati.
Nel 1997 mi è stato diagnosticato il “diabete” e la mia vita ha preso
una direzione diversa. Questa patologia non mi era del tutto sconosciuta, l’avevo già “incontrata” prima. Una mia zia era diabetica. Ma non
avrei mai immaginato che il diabete potesse far parte della mia vita.
Sono sempre stato amante dello sport e ho continuato a praticarlo
anche dopo la diagnosi. Inizialmente mi sono limitato a delle belle passeggiate, in compagnia di amici e nelle pause dal lavoro. Poi, progressivamente, ho capito che tramite una buona attività fisica, ero in grado
di migliorare gli “sbalzi” della glicemia e prevedere una parziale diminuzione della quantità di insulina da inglobare nel corpo. Tre uscite settimanali sono state il mio ritmo per diversi anni.
Il ciclismo è uno sport difficile, impegnativo, ma affascinante, dove la
carica emotiva è enorme e la passione ti coinvolge e ti permette di portare lo sguardo al di là delle colline e dei passi dolomitici, donandoti la
volontà e la forza di superare gli ostacoli, permettendoti di reagire al
meglio a qualsiasi evento o situazione.
Il sacrificio e l’impegno nel raggiungere un obiettivo ti portano ad
aumentare la voglia di fare, di andare avanti, di auto-stimolarti per poi
godere della consapevolezza di sentire il tuo fisico reagire e stare bene,
accettandoti così come sei e pensando che si può sempre migliorare.
L’energia che applichi sui pedali è la stessa con cui affronti la vita di
tutti i giorni, proprio perché senti e sei convinto di stare bene con te
stesso nonostante le difficoltà.
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PROFILO
Sulla scia dell’entusiasmo, ben presto ho partecipato
a diverse gare, limitandomi sempre a percorrere i tragitti meno impegnativi, dove ho sempre privilegiato non i
risultati ma l’esigenza di portare una testimonianza
della mia esperienza “dentro” lo sport, soprattutto
insieme ai miei amici con diabete. Lo sport aggrega e
crea complicità e sprona ad un miglioramento costante.
Nel corso delle gare, può accadere di vedere ciclisti in
difficoltà in salita ed avere la forza di aiutarli a “scollinare” e può accadere anche di condividere con gli altri
la propria esperienza soprattutto quando ti guardano
con perplessità mentre ti controlli la glicemia, ed eventualmente devi fare iniezione di correzione in corsa.
Ho partecipato a molte iniziative con l’obiettivo di
contribuire a far si che persone con diabete si avvicinino allo sport e al ciclismo con l’intento di migliorare la
propria qualità di vita.
Nel 2005 ho partecipato alla “Tirreno-Adriatico” per
ciclisti con diabete, una traversata di oltre 300 km in un
solo giorno coordinata dal Professor Pierpaolo De Feo,
di Diabete Italia, e dall’ANIAD (Associazione Nazionale
Italiana Atleti Diabetici). L’anno successivo ho affrontato nuovamente la stessa traversata che, però, si è svolta in tre giorni. Il maggior tempo di percorrenza ha consentito la partecipazione di più atleti con diabete e di
professionisti del mondo ciclistico, come Simone
Masciarelli, e di altri sport, come il calciatore Fabrizio
Ravanelli. Queste esperienze sono state un forte stimolo a portare avanti il messaggio che fare sport, soprat-
tutto il ciclismo, consente di stare bene, di migliorare la
propria condizione fisica e psicologica.
Sempre nel 2006 ho partecipato ad un tour europeo,
organizzato da Diabete Italia e da Novo Nordisk, in cui
7 atleti con diabete, me compreso, insieme a Pierpaolo
De Feo, coordinatore del Gruppo Attività Fisica Diabete
Italia, hanno attraversato in bici 7 nazioni europee in 7
giorni per promuovere lo sport come strumento per
migliorare la qualità della vita e la cura del diabete.
Sulla nostra maglietta era scritto “Changing Diabetes”,
il nome della la campagna promossa da Novo Nordisk
al fine di modificare la percezione del diabete.
Questo tour è stato il primo importante passo per
determinare una sorta di monitoraggio scientifico della
prestazione fisica di atleti colpiti da diabete. Credo
molto nel potere terapeutico dello sport tanto che con
l’associazione C&D (Ciclismo e Diabete), sto organizzando l’”Insuline bike tour” in Sardegna un’iniziativa
che coinvolge i bambini ed i giovani con diabete.
Lo sport è fondamentale per me, è uno strumento di
socializzazione e di aggregazione e aiuta a convivere
con il diabete spronandoti a migliorare e a superare i
limiti. Vorrei poter dire a tutte le persone con diabete
che “praticare sport” significa star bene con se stessi e
con il mondo. E per sentirsi bene non occorre essere
campioni.
David Panichi, 38 anni.
Impiegato nel settore manutenzione
di una nota azienda dolciaria,
si dedica con passione al disegno,
alla lettura ed alla bicicletta.
Fin da bambino ha praticato diversi
sport ma la sua vera passione
è il ciclismo.
Ha partecipato a numerose
“Gran Fondo” ed iniziative sportive
come ad esempio la "Tirreno-Adriatico"
per ciclisti con diabete.
Fa parte dell’Associazione C&D
(Ciclismo e Diabete) prima squadra
di ciclisti con diabete fondata nel 2005.
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Marco Peruffo
Alpinista
ALPINISMO:
TRA GIOCO E PASSIONE
44.
I
ncrocio lo sguardo compiaciuto ed orgoglioso di Giacomino, dieci
anni appena compiuti, ma già molti di tenera vita alle spalle condivisa con il diabete, mentre racconta, concitato, alla sua mamma e ai suoi
fratelli, l’impresa compiuta il giorno precedente: è un profluvio di parole
e di emozioni che sgorgano con l’irruenza di un fiume in piena. Racconta
dei crateri, dei fumi di zolfo, della sabbia vulcanica, della discesa a rotta
di collo giù per canaloni di finissima ghiaia e ancora della neve che, per
la prima volta, ha calpestato vicino alla bocca dell’Etna.
In poche ed incisive frasi condensa le fasi salienti della scalata: la
stanchezza, i momenti di difficoltà così come la gioia della cima, forse
per lui la prima di una serie di giornate intense da custodire a lungo tra
i propri ricordi.
La Montagna, quella vissuta in piccole e grandi fatiche quotidiane, è
stato l’elemento che ha accomunato per qualche tempo la mia passione
di alpinista errabondo ad un manipolo di coraggiosi ragazzi diabetici siciliani nella salita all’Etna, ciascuno portando con se il proprio modo di
essere, le proprie origini, le proprie emozioni ed il proprio modo di percepire il diabete.
Frammenti di vita e di luce, di scoperta, unici ed irripetibili. E’ la
magia che si rigenera ogni qualvolta si va per monti e si sale verso
l’alto: la rivelazione di una realtà separata, un nuovo e diverso mondo
dove poter esprimere se stessi. È la magia insita in quell’intrinseco piacere di godere la pace con noi stessi e l’armonia con il “tutto” rappresentato dalla natura, regalata a chi è disposto a mettersi in discussione, misurandosi con la fatica non solo di salire, ma forse ancor di più,
con la fatica di capire e di capirsi.
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PROFILO
Ecco allora che l’alpinismo e con esso la Montagna,
appaiono come un’occasione preziosa per crescere, alle
volte anche in modo assai efficace e dove l’andar per
monti raffigura solo l’aspetto fisico, esteriore, di un
cammino che inizia dal sentiero dell’anima.
Grazie all’alpinismo sono riuscito ad accettare il diabete, prendendo atto di una alterazione del mio stato di
salute che mi ha consentito di guardare la vita da
un’altra prospettiva. Ogni traguardo raggiunto è stato e
sarà un qualcosa in più rispetto alla vita stessa. Una
cima raggiunta ha un sapore del tutto particolare, perché la vera partita si gioca altrove, su di un altro piano:
non mi è possibile infatti realizzare un grande progetto
alpinistico senza considerare attentamente il diabete,
inseparabile compagno di viaggio e di cordata.
Desiderare dunque di migliorarsi e alle volte anche di
superarsi, significa assumersi la responsabilità di
ampliare i propri orizzonti e le proprie conoscenze, con
impegno e tenacia, cercando di tirar fuori il meglio di sé
in un instancabile lavoro di approfondimento sulle
variabili che incidono sulla vita e, soprattutto, capendo
le dinamiche sottese al diabete.
Una scalata non vale certamente la vita ed in questo
senso l’alpinismo è stato un buon mentore insegnandomi a valutare le difficoltà e a parametrarle alle capacità.
Una scalata ad 8000 metri, come ho avuto la fortuna di
compiere, non giovano alla salute di nessuno, figurarsi
ad una persona con diabete. Ma il bagaglio di esercizi
necessari per centrare un simile obiettivo, anche in ter-
mini educativi, hanno comportato in me radicali cambiamenti nello stile di vita e nell’approcciarmi ad essa.
In quest’ottica, il diabete complica la sfida con la
ricerca di equilibri sottili e fragili, quasi effimeri. Proprio
perché sottoposti a queste difficoltà, si perde paradossalmente l’esigenza del risultato ad ogni costo e ci si
concede il lusso di lasciare più spazio al “come” piuttosto che al “dove”: l’azione per il gusto di agire, il viaggiare per viaggiare.
Questa consapevolezza mi aiuta ad uscire dagli schemi e dai pregiudizi. Mi consente di vivere la montagna
in grande libertà e leggerezza, senza nulla togliere alla
determinazione e alla voglia di arrivare il più in alto possibile. In questo senso la mia normalità passa attraverso la diversità vista dagli altri. Non è importante poi
scoprire se quello che si è riusciti ad ottenere non è così
lontano dalle prestazioni dei cosiddetti “normali”; questo poco importa.
Questa concezione della pratica alpinistica mi ha
condotto ad una posizione diametralmente opposta al
concetto del “no limits”: la montagna è il campo di
gioco ed i limiti individuali di ciascuno ne costituiscono
le regole da accettare se si vogliono consapevolmente
ridurre al minimo i potenziali rischi. Ogni volta che
parto, ogni volta che lego la corda in vita, prima di staccare i piedi da terra, rammento queste regole in una
prassi oramai rituale e quasi propiziatoria. E sono indipendente nella fantasia e felice come un bambino con
il suo gioco.
Marco Peruffo, 38 anni, diabetico
di tipo 1 (insulino trattato) dall’età
di 10 anni, è laureato in
giurisprudenza e funzionario nella
pubblica amministrazione dal 1998.
Da circa venti anni coltiva la passione
per l’alpinismo: è stato il primo
diabetico italiano e secondo al mondo
a scalare una montagna di 8000 metri
senza l’utilizzo di ossigeno
supplementare né l’aiuto di portatori
d’alta quota. È fondatore e presidente
dell’associazione di promozione
sportiva A.D.I.Q. (Alpinisti Diabetici
In Quota) che dal 2001 promuove
l’attività fisica in montagna
tra i giovani con diabete.
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Pippo Pipitone
Podista
45.
I
l 17 gennaio1996, il mio medico di base mi ha telefonato dicendomi:
“Pippo, stai calmo, prepara l’occorrente per il ricovero in ospedale.
Hai 525 di glicemia, sei diabetico a tutti gli effetti”. Potrà sembrare strano, ma in quel momento ho sentito qualcosa dentro di me che diceva, “È
arrivato il momento di pensare veramente a te stesso”.
Ed è stato realmente così! Da allora sono più forte, ho scoperto in me
molta grinta e tanta forza di volontà. La parola “Diabete” ha avuto il potere di cambiare le vecchie abitudini e nello stesso tempo di migliorarmi.
Fin dall’infanzia, la mia passione e la mia “maestra di vita” è stata la
pratica sportiva.
Lo sport mi ha insegnato ad avere rispetto ed autostima, mi ha aiutato a socializzare e ad affrontare e superare tante situazioni difficili che si
sono presentate nel corso della vita, come la famosa telefonata del 17
gennaio 1996.
Lo sport è per me così importante che, appena ho saputo di essere
diabetico, ho temuto di non poterlo più praticare.
Infatti, poter praticare sport è stata una sfida impegnativa: non solo
ho dovuto comprendere come gestire la patologia, ma ho dovuto affrontare anche molti ostacoli, tra cui i pregiudizi legati all’associazione
“sport” e “diabete”.
Con il trascorrere degli anni, ho superato anche questi; il mio amico
diabete ha voluto premiarmi. Siamo entrati in sintonia, e la consapevolezza di poter correre senza “controindicazioni” mi ha donato molta sicurezza. Una sicurezza che ho costruito e alimentato con attenzione e
costanza.
Si, la mia passione è la corsa o il cosiddetto “running”: una disciplina
nobile ed antica, che aiuta il corpo e libera la mente, che richiede sacrificio, fatica, perseveranza e costanza. Elementi fondamentali che sono
necessari anche per poter convivere con il diabete.
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PROFILO
Ero felice! Lo sono tutt’oggi, felice di avere trovato
l’esatto connubio tra sport e diabete.
Così, con il trascorrere degli anni sono arrivati i primi
risultati.
Ho corso la mia prima Maratona, con un tempo cronometrico straordinario. Ricordo che già al 40° chilometro, in pieno centro storico di Palermo, ho cominciato a
piangere pensando alle ore di allenamento massacranti,
vedendo le postazioni di bottiglie d’acqua lungo il percorso, pensando che ero giunto alla fine e che tutti i sacrifici fatti stavano per essere premiati con l’arrivo al traguardo.
La maratona è la regina della corsa su strada.
L’emozione di correre per la prima volta una maratona è
fortissima e ti lascia il segno. Bisogna essere esperti, attenti a sapere distribuire nel modo giusto tutti gli elementi necessari per poter avere successo. Correre una
maratona è simile a gestire il “Diabete”.
Dopo questa prima esperienza ho partecipato a molte gare ed ho corso ben 10 Maratone, numerose mezze
maratone da 21 chilometri ed altre gare di distanze più
brevi.
Ho ottenuto molte soddisfazioni, come ad esempio
abbattere il muro delle 3 ore, risultato che ho raggiunto
nel 2003 alla Maratona di Roma. Durante l’anno disputo circa 20 gare ufficiali della F.I.D.A.L. (Federazione
Italiana di Atletica Leggera), e mi alleno 4/5 volte a settimana, con una media di circa 15 chilometri a seduta,
solo quando preparo una maratona i chilometri aumen-
tano e l’allenamento viene programmato in maniera più
selettiva. Il mio completo da corsa è ormai diventato il
“vestito della domenica”, le gare sono molto frequenti e
quasi ogni fine settimana si ci può cimentare in una
competizione ed assaporare il gusto di stare insieme agli
altri e condividere pensieri e tecniche di corsa.
Il mio amore per la corsa, il mio impegno in questo
sport, ha dato meravigliosi frutti. Sono stato premiato,
nel settembre 2006, presso il salone d’onore del Coni di
Roma come uno degli undici migliori atleti diabetici italiani. Sono campione italiano atleti diabetici sulla mezza
maratona 2006, e campione italiano atleti diabetici sui
10 chilometri 2007.
Sono fiero di aver raggiunto questi risultati e vorrei
che tutte le persone con diabete potessero fare le mie
stesse esperienze. Vorrei poter dire ai “miei amici diabetici” che non fanno sport, magari per paure o pregiudizi, “io non sono superman, queste cose le potete fare
anche voi e anche voi potete dire liberamente, ‘io corro
insieme al diabete’”.
Lo sport ormai fa parte di me, come il diabete, come
mia moglie e come le mie figlie; lo pratico per divertimento, per rilassarmi e riesco a renderlo agonistico
quando voglio.
“...non corro per dimostrare qualcosa, ma correndo
dimostro qualcosa”.
Giuseppe Pipitone, 40 anni.
Lavora alla Provincia di Trapani.
Fin dall’infanzia ha la passione
per la corsa podistica.
Si allena costantemente con l’intento
di divulgare il messaggio
“Corri insieme al Diabete”.
Ha corso numerose maratone
con tempi ragguardevoli.
È campione italiano Atleti Diabetici
di mezza maratona 2006
e campione italiano Atleti Diabetici
sui 10.000 metri 2007.
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Monica Priore
Nuotatrice
46.
S
ono Monica Priore, ho 31 anni ed il diabete mi è stato diagnosticato all’età di 5 anni. Non è stato semplice accettarlo e conviverci. Per
diversi anni ho nutrito molta rabbia verso il mondo intorno a me e mi
sentivo diversa ed inferiore agli altri.
A 12 anni mi sono avvicinata per la prima volta al mondo dello sport,
entrando a far parte di una squadra di pallavolo. Quando ho intrapreso
questo cammino le paure dei miei genitori e dei medici sono state
molte, ma scoprire lo sport è stata una rinascita. Pian piano è cresciuta
in me la voglia di reagire alla malattia. Ricordo che durante gli allenamenti con la squadra di pallavolo guardavo le mie compagne e mi sentivo inferiore. Credevo di non potercela fare, avevo un problema che loro
non avevano, spesso stavo male e mi sentivo debole, però mi piaceva giocare. Lo sport è stato ciò che mi ha aiutato a superare il senso di inferiorità e di diversità. In ogni allenamento non solo svolgevo gli stessi esercizi delle mie compagne ma, a volte, ne facevo anche di più e ciò mi dava
una carica positiva.
A 19 anni ho cambiato disciplina e mi sono dedicata al nuoto, uno
sport che mi ha appassionato da subito. Praticando il nuoto è aumentata in me la consapevolezza che il diabete non doveva più gestire la
mia vita, ma dovevo essere io a gestire lui.
Sono state innumerevoli le difficoltà affrontate per ottenere il certificato per praticare il nuoto a livello agonistico, ma non sufficienti a fermarmi. Infatti sono entrata a far parte della squadra master della A.S.D.
Sottosopra Brindisi, ed ho gareggiato con atlete con la mia stessa passione per lo sport, ma non con il mio “problema”. Questa è stata la mia
più grande vittoria.
Ho partecipato a diversi campionati Regionali e Nazionali. Qualche
medaglia l’ho vinta e la cosa mi ha reso felice.
Sono state molte le soddisfazioni ottenute. L’11 settembre 2006,
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PROFILO
presso la sala d’onore del CONI di Roma, ho ricevuto il
premio Changing Diabetes. Questa premiazione, organizzata dall’ANIAD – associazione della quale faccio
parte dal 2004 – con la collaborazione della casa farmaceutica Novo Nordisk, ha significato molto per me
perché è stata realizzata con lo scopo di dimostrare
come il modo di percepire le persone con diabete possa
cambiare attraverso lo sport.
Inoltre, il 23 Aprile 2007, durante la cerimonia delle
“Stelle al merito sportivo e medaglie al valore atletico”,
ho ricevuto un premio dal CONI della provincia di
Brindisi. La targa che mi è stata consegnata ha come
titolo “la Forza dello Sport”, a testimonianza del fatto
che grazie allo sport chiunque può trovare la forza per
reagire.
Ma la soddisfazione più grande, la realizzazione di
un sogno, l’ho ottenuta il 21 luglio 2007 quando ho
raggiunto il mio più grande obiettivo: attraversare a
nuoto lo stretto di Messina e gridare al mondo intero:
“sono DIABETICA ma ci provo, basta volerlo!!!!”. Sono
molto soddisfatta della riuscita di questa impresa, tutti
i sacrifici fatti sono stati premiati. Ho percorso circa 4,5
km in un ora e quaranta minuti, è difficile descrivere le
emozioni provate, l’accoglienza riservatami dalle altre
persone con diabete è stata fantastica. Ho visto nei loro
occhi la gioia: la mia impresa è stata la loro impresa.
C’è poco da fare, per me lo sport è vita, mi dà la
forza di andare avanti nonostante le difficoltà della
quotidianità e le difficoltà impartite dalla malattia.
Posso dire con certezza che il diabete non è un limite,
ma una marcia in più.
La vita probabilmente la si guarda da un’altra prospettiva, ma è pur sempre vita, nulla ci è precluso basta
solo volersi bene ed andare avanti.
Mi auguro di cuore di aver dato, nel corso della mia
esistenza e con la mia esperienza, un piccolo contributo a vivere diversamente il diabete. Spero che tutte le
persone incontrate sin ora e quelle che incontrerò nei
prossimi anni, si ricordino di me come una ragazza che
ha tanta voglia di vivere e che ha fatto del diabete la
sua forza!!!
Monica Priore, 31 anni.
All’età di 11 anni comincia
ad avvicinarsi al mondo sportivo
entrando a far parte di una squadra
di pallavolo. La sua militanza nella
squadra cessa quando nessun medico
vuole prendersi la responsabilità
di rilasciarle il certificato di idoneità
medica di cui necessita.
Decide allora di cambiare sport
ed inizia a praticare nuoto.
Nel febbraio 2004 partecipa al suo
primo campionato regionale
aggiudicandosi una medaglia
di bronzo. Il 23 Aprile 2007
ha ricevuto la targa del CONI
di Brindisi la “Forza dello Sport”.
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Mauro Sormani
Alpinista
47.
S
ono Mauro Sormani ed il diabete mi è stato diagnosticato all’età di 9 anni. Lo sport ha sempre fatto parte della mia vita ed il diabete non ha mai
limitato la mia passione. Ho sempre praticato molta attività fisica individualmente o in compagnia di amici, ma l’idea di partecipare a gare, manifestazioni e progetti di alto livello agonistico è nata leggendo. Ora vi racconto come.
Da ragazzo su una rivista a cui ero abbonato, lessi di un concorso per partecipare ad una spedizione alpinistica fino al campo base dell’Everest. Gli interessati avrebbero dovuto compilare un questionario e spiegare le motivazioni per le quali gli organizzatori avrebbero dovuto finanziare il loro sogno.
Ero diabetico da più di otto anni ed ero ben allenato. Lo sport non era mai
stato un problema, lo praticavo tutti i giorni spronato sia da mio padre che dal
mio diabetologo.
Al questionario avrei dovuto rispondere: sono diabetico e vorrei dimostrare che con un’adeguata preparazione e volendolo davvero tutto è possibile,
persino arrivare al campo base dell’Everest.
Quella lettera non la scrissi mai e dopo qualche mese dimenticai tutto.
Qualche anno dopo sullo stesso mensile lessi un articolo riguardante un
triatleta italiano che, nonostante il diabete, prendeva parte regolarmente a
gare di triathlon e mirava a partecipare all’Ironmen, ovvero il percorso “standard” più impegnativo del triathlon (3,8 km a nuoto, 180 km in bici e 42 km
di corsa). In fondo vi era riportato il nome e l’indirizzo dell’associazione che lo
sosteneva: l’ ANIAD (Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici). Fu semplice reperire un recapito telefonico dell’associazione ed iscrivermi.
L’associazione proponeva diverse iniziative, molte di mio gradimento; fra le
tante proposte decisi di aderire ad un campionato sociale sulla mezza maratona a Venezia.
In quella occasione conobbi persone con le quali avevo in comune, non solo il diabete, ma anche la passione dello sport.
Successivamente partecipai ad altre entusiasmanti iniziative come ‘Il Lazio
corre per vincere il diabete’ e ‘Corri attraverso la Campania’ ed aderii ad una
serie di competizioni dedicate ai pazienti diabetici.
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PROFILO
Contemporaneamente continuai ad allenarmi nello sci di
fondo, sport che pratico fin da ragazzino, puntando alle competizioni invernali.
Il miglioramento della mia capacità aerobica mi stimolò
ad inseguire risultati sempre più prestigiosi e a partecipare
alle più quotate gare di categoria. Conseguii la qualificazione ai Campionati Nazionali Juniores e vi partecipai ottenendo onorevoli risultati. Presi parte alle prime maratone sugli
sci, maturando la capacità gestionale sia della resistenza sia
della terapia insulinica. Partecipai poi all’innovativo progetto
‘DISK’, Diabetici Italiani sul Kilimanjaro, dove ebbi modo di
confrontarmi per la prima volta con l’alta quota e le asperità
delle montagne.
L’amicizia formatasi durante il viaggio con gli altri atleti
coinvolti nel progetto incrementò la mia passione e migliorò,
con una serie di escursioni impegnative sulle Alpi, la mia
esperienza alpinistica.
Partecipai anche alla spedizione ‘Ascensia Cho-Oyu
2002’, nella tanto sognata Himalaya, dove raggiunsi la quota di 7.560m. senza ossigeno e senza portatori, ovvero le
persone che provvedono ad installare le tende, fornelli, sacchi a pelo ed alimenti necessari al bivacco degli alpinisti.
Insomma, realizzai quanto sognato da ragazzo con una
serie di fortunate coincidenze nate dalla sola ricerca spontanea dell’attività fisica e del divertimento.
Dopo la spedizione sull’ Himalaya, mi occupai della preparazione di tre giovani atleti di Sormano, la città dove vivo,
portandoli alla vittoria del campionato mondiale a squadre
della categoria juniores nella disciplina dello ski roll e venni
coinvolto di conseguenza ad assumere il ruolo di tecnico nella squadra nazionale.
Durante gli inverni successivi mi preparai ad affrontare le
numerose ultramaratone di sci organizzate in diverse parti
del mondo. Partecipai e conclusi sempre nelle prime posizioni alcune delle competizioni più faticose e prestigiose, come
la Vasaloppet di 90km e la Marcialonga di 75km, e sviluppai relazioni dettagliate che presentai in seguito al
Congresso Internazionale di Montecatini su diabete e attività fisica nel 2004.
L’anno successivo, tornai nuovamente in montagna con
la spedizione internazionale ‘ISLET’ (International Snow
Leopard Type 1) nell’altopiano del Pamir, sul monte Peak
Lenin di 7.134m, dove salii e scesi con gli sci dalla quota di
6.800m.
Nell’aprile del 2006 partii con mia sorella per la
Groenlandia con l’obiettivo di concludere l’Arctic Circle
Race, una competizione di sci di fondo di 160km suddivisa
in tre tappe consecutive. Raggiunsi la terza posizione in
classifica generale.
Ed ora…, non so quale potrebbe essere la mia prossima
meta, le idee sono talmente tante che occorre obbligatoriamente scegliere, le passioni sono diventate innumerevoli e
per realizzare qualcosa serve grande motivazione e impegno.
Se tornassi indietro di dieci anni per fantasticare sul mio
futuro, non avrei pensato nemmeno lontanamente a tutto
questo. Sono state tutte esperienze inattese, imprevedibili e
proprio per questo entusiasmanti. Coltivare sogni, viverli e
crederci fino in fondo porta grandi emozioni che rimangono
per sempre nel cuore.
Mauro Sormani, 29 anni.
Inizia l’attività agonistica all’età
di 8 anni.
Nei periodi estivi acquisisce esperienze
nello ski roll che lo porteranno
ad occuparsi della preparazione
di tre juniores conquistando
la vittoria del titolo mondiale
a squadre nel 2002.
Grazie a questo viene convocato
come tecnico allenatore della squadra
nazionale Italiana di Ski Roll,
carica che riveste attualmente.
Ottimo fondista di sci, ha partecipato
a numerose gare come la Vasaloppet.Nazionali
Juniores e vi partecipai ottenendo onorevoli
risultati. Presi parte alle prime maratone sugli sci,
maturando la capacità gestionale
sia della resistenza sia della terapia insulinica.
Partecipai poi all’innovativo progetto “DISK”,
Diabetici Italiani sul Kilimanjaro, dove ebbi modo
di confrontarmi per la prima volta con l’alta
quota e le asperità delle montagne.
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Mauro Talini
Ciclista
“Il diabete non è un limite anzi
lo considero una scuola di vita”
48.
S
ono Mauro Talini, ho 34 anni e dal 1984 mi è stato diagnosticato il
diabete. Una sentenza molto difficile da ascoltare; tante parole tecniche, una di fila all’altra, alle quali non sapevo dare un significato concreto.
Nei primi anni di convivenza con il diabete ho cercato, per quanto
possibile, di ignorarlo. Non l’accettavo, lo rifiutavo, lo vedevo come un
limite, un elemento a me estraneo che portava disagio e scompiglio nel
mio quotidiano.
Malgrado il dottore e la famiglia mi sollecitassero ad effettuare i controlli, nei primi dieci anni non li ho ascoltati. Poi con il passare del
tempo, grazie all’esperienza e alla maturità che arriva, ho capito che era
importante fermarsi un attimo. Accettare e vivere la malattia per quella
che è, non sentirla più come un limite, ma piuttosto come uno stimolo
per migliorarsi e condurre una vita regolare.
Questa consapevolezza è stato il mio nuovo punto di partenza, la
bicicletta ha fatto il resto. Sì, perché grazie allo sport, ho intravisto quello spiraglio che mi avrebbe dato sostegno emotivo e supporto fisico per
affrontare questo inaspettato capitolo della mia vita.
La mia passione per l’attività fisica risale all’adolescenza, quando ho
cominciato a giocare a calcio e a praticare il ciclismo a livello agonistico. Il lavoro poi si sa, rallenta un po’ tutto, ma dal 2001 ho ripreso ad
allenarmi con serietà e, cosa più importante, con un sogno: pedalare su
strade diverse, lontane, straniere.
E’ iniziata così la mia lunga avventura in sella alla nuova compagna
a due ruote.
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PROFILO
Nel 2003 sono partito alla volta di un “piccolo” tour
del centro Italia; in sette giorni ho pedalato per 1246
Km. Nel 2004 in collaborazione con l’Associazione
Nazionale Italiana Atleti Diabetici (ANIAD), la Novo
Nordisk e il comune di Massarosa, ho ripercorso le strade del centro, attraversato quelle del sud Italia, isole
incluse, e alla fine dei 15 giorni di viaggio il mio contachilometri segnava 2359 Km. Un risultato grandioso,
quasi il doppio del precedente.
L’anno successivo, ho raggiunto i 2664 Km passando per i tre principali santuari d’Europa: Lourdes,
Santiago De Campostela e Fatima. Questa è stata una
delle esperienze più significative, una meravigliosa passeggiata intrisa di emozioni difficile da ricordare solo
con le parole.
Il forte entusiasmo e la grande tenacia hanno fatto sì
che nel 2006 raggiungessi sempre e solo in bicicletta le
città di Vienna, Bratislava, Czestochowa, e poi ancora
Cracovia, Berlino, Amsterdam con una media giornaliera di 162 Km per un totale di 3252 Km.
Anno dopo anno la strada percorsa è diventata sempre più lunga e le mie performance sono davvero
migliorate nel tempo. Così ho deciso di sfidare anche il
2007, con un tour attraverso la Svizzera, la Germania,
la Danimarca, la Svezia, la Finlandia, la Norvegia con
meta principale a Capo Nord e conclusione del giro a
Tromso. I numeri di quest’ultima avventura sono stati:
39 giorni per 5665 km percorsi.
Oggi posso sicuramente ritenermi soddisfatto per
questi successi, ma non mi considero ancora arrivato.
Non posso rinunciare a quel sottile piacere che deriva dalla scoperta di nuovi angoli di mondo, dall’ incontro di nuove persone, dalla soddisfazione di tagliare un
traguardo immaginario, ma preziosissimo per me.
Queste lunghe passeggiate solitarie sono un
momento ideale per stare con se stessi e cogliere il
senso di questa sfida che è la vita. I miei viaggi sono
come percorsi dell’anima che racchiudono in sé gioia,
sofferenza, razionalità, irrazionalità, sorpresa.
La mia esperienza dimostra che con l’impegno, la
costanza, la serietà e la cura, nessun obiettivo è precluso alle persone con diabete. E’ questo il messaggio che
mi sento di voler trasmettere a tutti coloro che hanno
ritrovato nella mia storia qualcosa della propria. Le mie
sono parole di coraggio e di speranza, per continuare a
pedalare con vigore anche, e soprattutto, se la strada è
in salita. Ricordate che l’isolamento e l’arrendevolezza
non ripagano. Mai.
Qualsiasi sia il sogno da realizzare o la meta da raggiungere è necessario intraprendere il cammino il prima
possibile!
Mauro Talini, 33 anni.
In età adolescenziale ha praticato
diversi sport, tra cui il ciclismo
e calcio a livello agonistico.
Partecipa a numerosi tour ciclistici,
vanta una distanza
di 2664 Km toccando i più importanti
santuari d’ Europa.
Il suo obiettivo è dimostrare
che il diabete non crea impedimenti
alla pratica sportiva e che,
tramite lo sport, si ottengono benefici
fisici e psicologici.
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Mattia Tanza
Alpinista
49.
A
ccade tutto in un attimo, accade che ti volti un secondo e ti ritrovi con un nuovo futuro.
In quell’attimo, in quel frangente, non hai tempo di chiederti cosa
lasci, non hai tempo nemmeno di pensare a cosa troverai, semplicemente cerchi di capire cosa accade ed inizi a giocare a scacchi su un
nuovo terreno di gioco, forse ancora più complicato.
A sedici anni la vita è movimento, voglia di guardare, sentire, toccare, provare emozioni ed è così che si scoprono le passioni, le reali necessità, ciò che più di tutto ci realizza. In quei giorni credo di avere cercato anch’io una passione e, son certo, di averla trovata.
In quei giorni particolari in cui avevo necessità di andare, di muovermi, di sentire, di provare emozioni ho incontrato le montagne.
Muovendomi a piedi e sugli sci ho iniziato a sentire, toccare, provare:
da allora tutto è stato un crescendo.
Ho iniziato a vivere la montagna camminando. Questo è stato il mio
approccio allo sport, non proprio il primo dato che, in tenera età, vari
tentativi, tra cui calcio e karate, erano andati falliti. Ed ecco invece la
folgorazione: potersi muovere il libertà tra le montagne di casa. Ho iniziato camminando, poi correndo, poi ho messo un paio di sci ai piedi
per vivere l’inverno, per poi passare alla roccia e quindi all’arrampicata
evoluta fino allo scalare i flussi d’acqua ghiacciati e le pareti innevate.
Come con la montagna, in un attimo, anche il diabete è piombato
nella mia vita; ma se, quando ho iniziato, delle montagne già conoscevo qualcosa, del diabete conoscevo ben poco, avevo solamente l’idea
che fosse un gran scocciatura. In quei giorni correvo spesso dato che al
terzo anno di università l’orario flessibile delle lezioni e la vita fuori casa
mi permettevano di dedicare a me stesso molto tempo. Vivevo sul lago
di Como e quasi ogni giorno salivo a Brunate di mattino presto per
guardare il lago dall’alto del faro. I primi giorni pensavo di essere solo
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PROFILO
stanco, poi la sensazione è diventata sempre più fastidiosa.
Dimagrivo e non capivo. Correvo e camminavo ma
ogni volta dovevo fare un grande sforzo per trovare le
energie necessarie, finché un giorno ho smesso di muovermi. Poi, a distanza di un mese, il solito iter: ricovero,
iniezioni, glicemia, emoglobina, ipoglicemia, iperglicemia, dimissioni dall’ospedale. Mentre familiarizzavo con
la terminologia, la mia mente elencava gli obiettivi della
stagione arrampicatoria, le montagne da scalare ed i
luoghi nei quali viaggiare. Ma ogni meta ed ogni obiettivo si arrestavano di fronte a questo nuovo ostacolo.
“Cosa farò?” mi domandavo. La complicità di un medico, anche lui appassionato di montagna, e una voglia di
andare infinita hanno fatto il resto: pochi giorni dopo le
dimissioni sono andato ad arrampicare su una montagna vicino a casa e ho provato la prima tosta ipoglicemia. A distanza di pochi mesi mi sono cimentato in
alcune gare di scialpinismo scontrandomi con la difficoltà di gestire sforzi intensi e prolungati. Ora, dopo vari
tentativi, diabete e montagna si coniugano nelle mie
giornate rendendo ogni cosa un po’ più semplice. Avere
una grande passione per tutte le discipline collegate
alla montagna mi permette di associare alla cura della
malattia un consistente dose di attività sportiva in ogni
stagione dell’anno. La voglia di viaggiare ed esplorare
mi porta in giro per il mondo ma richiede costanti ed
intensi allenamenti che, ogni volta, mettono alla prova
la mia capacità di comprensione e gestione del diabete.
Rinnovo ogni giorno questo impegno nello sport nel
tentativo di convivere al meglio con la malattia.
Ora, a distanza di un po’ di tempo, la gestione del
diabete è più semplice e la convivenza un po’ meno forzata. Questi risultati sono dovuti anche ai traguardi raggiunti in giro per il mondo: nel 2003 ho attraversato lo
Hielo Continental Sur in Patagonia, esplorando con gli
sci ai piedi uno dei ghiacciai più belli della terra, nel
2006 è stata la volta del Pik Lenin, alta montagna del
Kirghizistan, ed ora, nel 2007, ho potuto visitare le isole
Svalbard in Norvegia, territorio al limite del circolo polare artico. Questi sono solo alcuni dei sogni alpinistici
che avevo e che nonostante il diabete sono riuscito a
realizzare. Nel mio immaginario vi sono le montagne del
mondo e la natura incontaminata pronta per essere
vista ed, in parte a modo mio, esplorata.
Queste esperienze vissute con l’associazione Alpinisti
Diabetici In Quota mostrano un modo diverso di convivere con il diabete, ma soprattutto testimoniano che
non bisogna porsi limiti nella realizzazione dei propri
sogni.
Ora appoggio la penna e guardo la foto di quella stupenda montagna appesa al muro, prossimo luogo da
visitare, provo la glicemia, esco sul balcone e guardo la
linea dell’orizzonte laddove si chiude sulle montagne di
casa. Il sole ormai tramonta, illuminando altre valli e
altri posti, la voglia di muovermi e di viaggiare mi
infiamma di nuovo mentre sogno ad occhi aperti la
nuova metà convinto che nulla mi sia precluso.
Mattia Tanza, 27 anni. Diplomato
in ingegneria dell’ambiente e delle risorse
presso il Politecnico di Milano nel 2003,
è attualmente impiegato presso
una società di ingegneria che ha sede
in provincia di Bergamo.
Da sempre vive e frequenta le montagne
dell’alta Val Seriana dove ha sviluppato
la passione per l’alpinismo.
Gareggia dall’età di 18 anni
in competizioni di scialpinismo
partecipando a diverse edizioni
del Sellaronda Ski-Marathon e a vari Rally
e gare del circuito delle Alpi Centrali.
L’ultima avventura affrontata risale
all’Aprile del 2007 alle isole Svalbard
nei pressi del Circolo Polare Artico dove
ha compiuto un'attraversata di 200 km
in totale autonomia.
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LE CONCLUSIONI
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Pierpaolo De Feo
Direttore Centro CURIAMO
(Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria)
Università degli Studi di Perugia
50. Diabete e attività fisica
quale tipo, intensità
e quantità?
L
a pratica regolare dell’attività fisica sia di tipo aerobico che anaerobico ha effetti benefici per le persone con diabete mellito di tipo 2 (DM2). Numerosi lavori
scientifici dimostrano che sia le attività puramente aerobiche che quelle anaerobiche, inclusi gli esercizi di forza
supervisionati in palestra, sono in grado di ridurre la glicemia e l’emoglobina glicosilata nelle persone con diabete. Da un punto di vista fisiopatologico tutte e due le
tipologie di esercizio sono indicate nel DM2. L’attività
aerobica ha sicuramente una maggiore evidenza di efficacia negli studi epidemiologici per la riduzione del rischio cardiovascolare e della mortalità da tutte le cause,
quella di forza è utile ad aumentare la massa muscolare
che, soprattutto, agli arti inferiori è poco conservata nelle persone con DM2 ed obesità. Un programma ideale
dovrebbe, pertanto, includere tutte e due le tipologie pri-
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vilegiando l’impegno temporale a favore delle attività
aerobiche.
Nel disegnare un programma di attività fisica non bisogna dimenticare la personalità ed il vissuto della persona con diabete. Se è vero che l’attività fisica va considerata come un farmaco per modalità e dosi di somministrazione bisogna anche confrontarsi con la realtà di
una persona che è stata sedentaria per tanti anni e che
da un punto di vista psicologico può avere delle difficoltà ad accettare il cambiamento. Perciò tutti i programmi
di attività fisica, anche quelli apparentemente semplici,
vanno concordati in dettaglio con la persona con diabete per quanto riguarda la durata, la frequenza e
l’intensità. I volumi dei carichi dovranno crescere in maniera molto graduale cominciando con dei compiti giudicati dalla persona con diabete molto facili da eseguire.
Non bisogna avere fretta nell’aumentare i carichi di lavoro dato che il nostro obiettivo principale è quello di
assicurare l’adesione a lungo termine al programma e,
quindi, si deve evitare il rischio di infortuni. Una regola
pratica è non suggerire mai incrementi settimanali superiori al 5-10% sia per quanto riguarda l’intensità che la
durata.
Per quanto riguarda gli aspetti più tecnici, la collaborazione con il medico specialista in medicina dello sport
è fondamentale. I carichi di lavoro, infatti, vanno individualizzati in base alla valutazione funzionale della persona con diabete con test da sforzo come si fa per la pianificazione dell’allenamento degli atleti agonisti.
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F. Attività Fisica
Raccomandazioni
Al fine di migliorare il controllo glicemico,
favorire il mantenimento di un peso corporeo ottimale e ridurre il rischio di malattia
cardiovascolare, sono consigliati almeno
160 minuti/settimana di attività fisica aerobica di intensità moderata (60-70% della
frequenza cardiaca massima) e/o almeno 90
minuti settimana di esercizio fisico intenso
(>70% della frequenza cardiaca massima).
L’attività deve essere distribuita in almeno
tre giorni/settimana e non ci devono essere
più di due giorni consecutivi senza attività.
(Livello di prova I, Forza della raccomandazione A)
Quando il programma di attività fisica è più blando tipo
suggerire di camminare o altre attività aerobiche di moderata intensità si possono seguire le linee guida suggerite dalle Società scientifiche internazionali. Di recente
sono state pubblicate le raccomandazioni aggiornate
dell’American College of Sports Medicine e dell’American Heart Association che confermano il suggerimento di praticare attività fisica aerobica ad intensità
moderata per almeno 30 minuti al giorno per 5 giorni alla settimana o intensa per un minimo di 20 minuti al
giorno per 3 giorni alla settimana. A queste attività vanno associate almeno 2 giorni alla settimana delle attività fisiche volte ad aumentare la forza e la resistenza muscolare.
Le raccomandazioni delle Società Scientifiche si applicano a tutte le persone senza e con diabete. Nello specifico le persone con diabete e di età più avanzata possono giovarsi di semplici camminate a passo svelto per vedere importanti benefici in termini di salute. I risultati del
nostro studio di Perugia sono riportati in questo stesso
documento. Per assicurare l’adesione a lungo termine ai
programmi di attività motoria è essenziale che la persona con diabete sia seguito nei suoi progressi ed i programmi rivisti in base ai miglioramenti ottenuti.
BIBLIOGRAFIA
Di Loreto C, Fanelli C, Lucidi P, Murdolo G, De Cicco A, Parlanti N, Ranchelli
A, Fatone C, Taglioni C, Santeusanio F, De Feo P. Make your diabetic
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on type 2 diabetes. Diabetes Care 2005; 28: 1524-25.
De Feo P, Stocchi V. Physical activity for the treatment and prevention of
metabolic syndrome. Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases
2007; 17: 327-331.
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patients with insulin resistance. Appl Physiol Nutr Metab. 2007;32:54956.
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American Heart Association. Medicine & Science in Sports & Exercise
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2007. Ed. Info-Medica.
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Pierpaolo De Feo,
Chiara Di Loreto
Università degli Studi di Perugia - Direttore Centro C.U.R.I.A.MO.
(Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria) Università degli Studi di Perugia
51. Proposta di intervento
integrato multidisciplinare
implementazione in Italia
delle linee guida internazionali
I
l diabete mellito di tipo 2 è ormai presente in quasi
tutte le popolazioni e le evidenze epidemiologiche
suggeriscono che, senza una efficace prevenzione e adeguati programmi di controllo, la sua prevalenza continuerà ad aumentare in tutto il mondo. Le proiezioni per
i prossimi decenni inducono a parlare di PANDEMIA del
diabete. Al fine di elaborare una strategia di prevenzione
di questa dilagante patologia, i rappresentanti dell’International Diabetes Federation (IDF) sono convenuti
nel 2006 in un workshop che ha generato delle indicazioni sulle strategie a cui attenersi per prevenire nuovi
casi di diabete e rallentare la comparsa di complicanze
nei diabetici già diagnosticati.
Nonostante la predisposizione genetica sia indispensabile, il rapido incremento della prevalenza del diabete tipo
2 è legato al cattivo stile di vita (sedentarietà, dieta ricca
160
in grassi). Non a caso questa malattia ha conosciuto un
drammatico incremento in quelle popolazioni che hanno
rapidamente occidentalizzato il proprio stile di vita, cambiando alimentazione e riducendo l’attività fisica con conseguente incremento del soprappeso e dell’obesità.
Per quanto non sia possibile modificare i fattori genetici, molto si può fare sullo stile di vita e a questo proposito l’IDF, sulla base dei risultati della letteratura medica
internazionale, ha stilato un piano internazionale di prevenzione del diabete mellito tipo 2 basato sul controllo
dei fattori di rischio modificabili e rivolti a due gruppi di
popolazione:
• soggetti a rischio di sviluppare il diabete di tipo 2;
• intera popolazione:
Misure di prevenzione rivolte ai soggetti a rischio di diabete:
• praticare attività fisica di moderata intensità (es.
camminata a passo svelto) almeno 30’ al giorno,
possibilmente tutti i giorni della settimana;
• cercare di mantenere il normopeso;
• cercare di ridurre il proprio peso del 5-10% se si è
in soprappeso/obesi;
• preservare il giusto peso per l’altezza nei bambini.
Misure di prevenzione per la popolazione generale rivolte ai Governi:
• Patrocinato: supportare le associazioni nazionali e
le organizzazioni non governative; costituire delle
“casse” per la prevenzione;
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• Comunità: promuovere l’educazione al corretto
stile di vita (alimentazione e attività fisica) nelle
scuole; prevedere percorsi e spazi riservati alla pratica di attività fisica all’aperto (piste ciclabili, aree
verdi); sostenere la predisposizione di impianti
sportivi per la popolazione generale;
• Legislazione e fisco: analizzare prezzo, etichettatura e avvertenze sugli alimenti; ridisegnare
l’ambiente urbano e le infrastrutture al fine di facilitare la pratica dell’esercizio fisico;
• Privati: promuovere un corretto stile di vita sul posto di lavoro; assicurare politiche di condotta nell’industria alimentare che promuovano cibi sani;
• Comunicazione: aumentare la conoscenza dei rischi di uno scorretto stile di vita e motivare attraverso radio, TV, ecc., a cambiarlo.
Anche in Italia si sente forte la necessità di intervenire in modo sistematico e multidisciplinare, per arginare
la pandemia del diabete visto che i livelli di attività fisica
della nostra popolazione sono tra i più bassi in Europa
mentre l’obesità infantile è la più alta in Europa.
Dovrebbe essere rivisto il sistema educativo scolastico, il
sistema delle infrastrutture per favorire in sicurezza
l’attività motoria anche per recarsi a scuola o al lavoro e
per quanto riguarda la persona con diabete è necessario
dare maggiore importanza all’educazione terapeutica
(formando personale qualificato) e all’attività motoria
come terapia mediante l’utilizzazione di operatori appositamente formati quali i Laureati del Corso di Laurea di
Scienze Motorie che collaborano con i Diabetologi.
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52. Il nostro punto di Vista
Tante Parole, Ora Agiamo
R
iscaldamento globale, obesità, terrorismo, povertà,
disordini politici, malaria e HIV/AIDS. Le minacce
al mondo sono numerose. Essenzialmente si tratta di
minacce globali; alcune sono collegate fra loro e non
rispettano i confini delle nazioni.
Il diabete è stato per lungo tempo un membro silenzioso di tale gruppo.
Ma il 20 Dicembre 2006 le Nazioni Unite hanno
adottato una Risoluzione storica che riconosce il diabete quale seria minaccia a livello mondiale e spinge tutte
le nazioni a fornire cure per il diabete e a migliorarle.
In sintonia con questo momento storico del diabete,un momento importante è stato il Global Changing
Diabetes Leadership Forum a New York, il 13 ed il 14
marzo di quest’anno.
162
Al Forum, decison-maker ed opinion-leader di 21
nazioni del pianeta hanno preso atto della situazione,
hanno interagito ricercando nuove soluzioni e si sono
impegnati a tornare a casa ed adoperarsi in maniera
decisiva per cambiare il diabete nei loro paesi.
Il Forum è stato caratterizzato principalmente dal
senso di urgenza.
Il diabete potrebbe divenire la peggiore pandemia
del 21° secolo e noi non avremo scuse se non cambiamo ora il corso della storia.
Sappiamo che tra i nostri figli ed i giovani di tutto il
mondo si sta sempre più diffondendo l’obesità e che il
sovrappeso aumenta il rischio di diabete di tipo 2.
Sappiamo che si tratta di un problema che ricade in
maniera sproporzionata sui più poveri e che stiamo correndo il rischio di crescere la prima generazione di ragazzi che vivranno meno dei propri genitori. Sappiamo che
entro il 2025 circa 380 milioni di persone nel mondo
avranno il diabete e che molti di loro saranno allora nel
loro periodo di vita più produttivo. Sappiamo che si tratta di una bomba ad orologeria che minaccia il benessere
delle persone ed i sistemi sanitari di tutte le nazioni del
mondo.
Alla luce di questa conoscenza è obbligatorio agire.
Stiamo entrando in un’era di interdipendenza globale. Che lo vogliamo o no non possiamo sfuggire l’uno
all’altro. Questo ci conduce ad una responsabilità condivisa.
La sfida è trasformare questa responsabilità in un
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movimento effettivo per cambiare il diabete.
Il Leadership Forum ha individuato quattro condizioni fondamentali per infondere la spinta necessaria:
Abbiamo bisogno di affrontare la negazione del problema da parte dei politici e dell’opinione pubblica – la
Risoluzione delle Nazioni Unite sul diabete costituisce
un importante primo passo.
Abbiamo bisogno di un impegno trasversale nelle
aree della politica – il diabete non è solo un problema
che riguarda i Ministri della Salute.
Abbiamo bisogno di un approccio sia a livello globale che locale – possiamo imparare molto dalla lotta
all’HIV/AIDS e dalle altre malattie croniche non trasmissibili.
Abbiamo bisogno di nuove alleanze e del coinvolgimento del settore privato – i lavoratori dipendenti
sostengono una larga parte del peso del diabete ed è
chiaramente nel loro stesso interesse unirsi alla lotta
per sconfiggerlo.
Al Leadership Forum ci si è trovati concordi anche sui
più importanti punti fermi della riforma della cura del
diabete: dobbiamo riconoscere la complessità della
malattia ed affrontarla nella totalità del suo ciclo, dobbiamo misurare il valore del trattamento per i singoli
pazienti e dobbiamo condividere questa informazione,
ed infine dobbiamo creare una impostazione sociale
che sostenga uno stile di vita sano.
Per quando riguarda la pandemia diabete è ovvio
che raggiungere più persone con medicine e dispositivi
per la somministrazione è solo una parte della soluzione. Come rilevato al Leadership Forum, affrontare le
questioni relative allo stile di vita, cambiare
l’impostazione della società e fornire accesso alla sanità sono componenti egualmente fondamentali della
sconfitta del diabete.
Ecco perché bisogna che i politici, i rappresentanti
dei governi, i professionisti del sistema sanitario, le persone con il diabete ed i loro famigliari e tutte le componenti pubbliche e private interessate al problema devono lavorare assieme. Insieme, dobbiamo trovare le
modalità per fronteggiare la malattia agli stadi iniziali.
Prevenire è meglio che curare e curare prima è molto
meglio che curare dopo.
Quindi dobbiamo promuovere consapevolezza nell’opinione pubblica e rendere possibili la diagnosi preventiva e gli schemi di intervento precoce.
E’ inaccettabile che la negazione del problema, la
mancanza di coordinamento ed il taglio dei costi siano
di ostacolo ad una cura migliore.
Una delle aree in cui bisogna impegnarsi per facilitare il cambiamento, è quella della trasparenza dell’assistenza sanitaria.
Nel business, uno dei principi è che ciò che puoi
misurare puoi gestire.
Noi crediamo che questo principio possa essere
applicato anche alla sanità. Quindi promoviamo la
misurabilità quale strumento per guidare l’azione e promuovere il cambiamento nel diabete. E siccome sappia-
mo quanto importante sia concentrarsi su ciò che dà
risultati per i pazienti, ci siamo impegnati a misurare la
natura del trattamento del diabete ora disponibile
Ed il risultato del trattamento a livello di singolo
paziente.
E una parte dell’impegno sarà implementare a livello internazionale il “Changing Diabetes Barometer”.
Un barometro che deve essere realizzato tramite partnerships e che contribuirà a fissare le priorità ed i target per i piani d’azione a livello nazionale.
Questo non solo nel campo dei target glicemici e
metabolici, ma andando ad analizzare le effettive barriere che esistono oggi al raggiungimento di una condizione diabetica ottimale.
Studiare ad esempio come l’attività motoria se non
attuata correttamente, o peggio ancora la sedentarietà
può annullare completamente i benefici che potrebbero
derivare da un appropriato piano terapeutico
Per dimostrare che il percorso attuale può effettivamente essere cambiato, e per ispirare l’azione, bisogna
sostenere piani per il diabete a livello nazionale in favore dei giovani ed attraverso progetti concreti aiutando
gli insegnanti ed i genitori a combattere il diabete nelle
scuole e nelle case in tutto il mondo, attraverso
l’adozione di stili di vita appropriati.
Migliorare la qualità di vita delle persone con diabete e prevenire attraverso un corretto stile di vita è un
obiettivo reale su cui bisogna impegnarsi.
L’attività motoria in questo senso è una condizione
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importante sulla quale puntare in maniera decisa.
Ormai evidenze sociali e cliniche dimostrano in
maniera chiara come l’attività motoria è un punto cardine nel successo di qualunque piano terapeutico e per
fare questo bisogna sempre di più agire trovando sinergie politiche e sanitarie.
Inserire competenze professionali nuove nei team
specialistici, come il laureato in scienze motorie, promuovere ricerche psicosociali sulla persona con diabete,
ampliare il dibattito coinvolgendo l’opinione pubblica, i
media e trovare nuove alleanze, sono le cose su cui puntare in maniera chiara e decisa.
Siamo consapevoli della sfida e non possiamo permetterci di fallire.
La buona notizia è che sappiamo anche come è fatta
una buona cura del diabete e su come si può cercare di
mettere un argine a questa moderna pandemia.
Abbiamo parlato molto. Ora agiamo
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changing diabetes
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Coordinamento Scientifico:
Pierpaolo De Feo
Chiara Di Loreto
Coordinamento Editoriale,
grafica e impaginazione:
Creativagroup
Coordinamento Redazionale:
Arianna Baroni
Federico Serra
Volume stampato
nel novembre 2007
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