L`articolo di 5 mesi fa sul tesoro dei Graviano

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L`articolo di 5 mesi fa sul tesoro dei Graviano
Mafia SCENARI
Caccia
al tesoro
dei Graviano
Le dichiarazioni del nuovo pentito
Fabio Tranchina riaccendono
i riflettori sui fratelli di Brancaccio
e sul loro patrimonio milionario
di Riccardo Lo Verso
B
rancaccio trema. Il regno dei
fratelli Graviano è scosso da
un nuovo tradimento. Dopo
Gaspare Spatuzza, che dei capimafia era uno dei colonnelli più fidati, si è pentito il loro autista: Fabio
Tranchina. Racconta che il regno dei
Graviano non è stato scalfito neppure
dal 41 bis a cui sono sottoposti da sedici anni. Sono sempre loro a designare il capo. Che ha due compiti precisi:
prendersi cura dei familiari e gestire il
patrimonio milionario accumulato negli anni. Un bel da fare.
Servite e riverite come si confà alle mogli dei pezzi grossi. Francesca Buttitta e
Rosalia Galdi (figlia di un ex finanziere), che hanno legato per sempre il loro
destino a quello di Filippo e Giuseppe
Graviano, oggi vivono a Palermo. Una
abita nella zona di via Oreto. L’altra
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è rimasta a Brancaccio. Due appartamenti rispettabili, ma niente ostentazione del lusso. Lusso che, però, c’è.
Basta citare un esempio. È roba da ricchi che per accompagnare le due donne al colloquio con i mariti un autista
si sposti da Palermo a Roma dove le
signore Graviano hanno vissuto fino al
2008. Vivevano in via Sanremo, quartiere Tuscolano, una zona residenziale
e ben frequentata della Capitale dove
continua a risiedere la sorella Nunzia
Graviano. Si occupa di ristorazione. E
gli affari le vanno pure bene. Le mogli
incassano uno “stipendio” mensile di
cinque mila euro al netto delle spese
per le trasferte e per gli avvocati. Una
cifra, anche questa, riservata a poche elette. La donna di un mafioso di
spessore si ferma alla metà, duemila e
cinquecento euro. D’altra parte hanno
dovuto affrontare le spese per crescere
fra Nizza, Palermo e Roma i due figli
Le mogli di Filippo e Giuseppe Graviano oggi vivono a Palermo:
prima stavano a Roma e un autista si muoveva dalla Sicilia
per accompagnarle ai colloqui coi mariti nella Capitale
nati nonostante i mariti fossero in cella
da due anni. I soldi da qualche parte dovranno pure arrivare. Le risorse
d’altra parte non mancano. I Graviano
non solo hanno accumulato un tesoro
ma sono pure riusciti a farne scovare
solo le briciole. Lo sa bene Spatuzza che il 16 marzo 2009, dichiarava:
“Cento lire non gliele hanno levate a
tutt’oggi. Non gli hanno sequestrato
niente e sono ricchissimi”.
Il tesoro dei Graviano non è una leggenda mafiosa. Esiste davvero. Ne parlano pentiti vecchi e nuovi. Per ultimo
Tranchina che sta accendendo i riflettori sul riciclaggio di una montagna di
soldi. Ha raccontato dell’imprenditore
a cui “portai 10 o 20 milioni di lire per
conto di Graviano. Era un riciclatore,
mise su una gelateria con la novità
dell’epoca, il gelato allo yogurt. Lo conobbi a casa dei miei suoceri, ora deceduti. È parente di mio cognato, credo tramite la moglie. Graviano però mi
diceva di avere dato lui tutti i soldi che
erano serviti per impiantare la gelateria”. Il cognato citato da Tranchina è
Cesare Lupo. Uno di quelli che comandano a Brancaccio. È stato lui a fare
conoscere il capomafia al pentito.“Mio
cognato Cesare Lupo aveva dei cantieri edili e mi disse che aveva un amico
latitante e mi chiese se volevo conoscerlo per assisterlo - ha ricostruito -.
Accettai e conobbi Giuseppe Graviano.
Era il 1991. Con Graviano non c’era-
Giuseppe Graviano.
A destra, Filippo Graviano
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Mafia SCENARI
Fabio Tranchina
“Attuale capo mandamento
è Giuseppe Arduino con una specie
di triumvirato con mio cognato
Cesare Lupo, Giuseppe Faraone
e Antonino Sacco. I Graviano
decidono ancora chi deve
essere il capomandamento”
no colloqui, non avevo capito la reale
importanza del soggetto, a me interessavano i soldi che mi consentivano di
vivere”. Quello di Lupo non è il solo
nome che farebbe parte dell’attuale
organigramma di Brancaccio: “Attuale
capo mandamento è Giuseppe Arduino con una specie di triumvirato con
mio cognato Cesare Lupo, Giuseppe
Faraone e Antonino Sacco. I Graviano decidono ancora chi deve essere il
capomandamento”. Tutta gente a piede libero. Compreso Sacco arrestato e
scarcerato nell’ambito dell’operazione
Cerbero e indicato come il capomafia di Corso dei Mille. Su di loro e su
un’altra decina di personaggi la procura indaga da tempo. Costituirebbero
la rete di uomini e imprenditori che
controlla Brancaccio e fa le fortune
dei Graviano. E che fortune. Ancora
Tranchina: “Da Palermo Giuseppe Graviano partiva sempre con me e lo portavo alla stazione di Messina. Poi, io
gli portavo i soldi dove si trovavano. La
potenza economica dei Graviano è più
importante di quanto si possa pensare.
All’epoca molti affari glieli curava Cesare Lupo. Successivamente li curava
la sorella Nunzia Graviano, quando
uscita dal carcere”.
E gli affari proseguirebbero ancora
oggi. Società di servizi, immobili in
affitto, distributori di carburante. I
Graviano amano differenziare i propri
interessi che nascondono insospettabili intrecci. Come quello che lega
i Graviano a Gianni Nicchi. Le indagini più recenti hanno fatto emergere
la figura di un personaggio, già noto
alle cronache, considerato storicamente vicino ai Graviano ma inserito pure
nella lunga lista dei favoreggiatore del
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giovane boss che certo non ha fatto in
tempo ad interagire direttamente con
i Graviano. Sarebbe riuscito, però, a
sfruttare il lavoro fatto in passato dal
padre.
Di cose da raccontare Tranchina ne
ha parecchie. Specie se, come lui, sei
stato l’autista di un boss: “Nel 1992
fui fermato per un controllo a Borgo Ulivia a Palermo ed avevo in auto
Giuseppe Graviano al quale però non
chiesero i documenti. Forse si trattava di carabinieri. Avevamo la radio
per sentire le comunicazioni dei posti
di controllo ma forse era sintonizzata
sulla frequenza della polizia. All’epoca
Graviano aveva un documento intestato a Tommaso Militello”. Un grosso capitolo delle dichiarazioni di Tranchina
riguarda e riguarderà le stragi di mafia:
“Una settimana prima della strage di
Capaci Giuseppe Graviano mi disse di
non passare dall’autostrada e poi compresi l’avvertimento dopo che avvenne
l’attentato. Lo stesso per la morte del
dottor Borsellino. Più volte prima mi
fece passare da via D’Amelio riaccompagnandolo e io non capivo cosa do-
E a Ficarazzi
c’è un nuovo pentito
Stefano Lo Verso
Andava in giro in bicicletta con una copia della Bibbia in mano. Oppure si appartava per ripetere,
in tono raccolto, i versetti della Sacre Scritture. Stefano Lo Verso negli ultimi tempi aveva abbracciato la fede. Ed è stata la fede, così ha detto, a convincerlo che era giunto il momento di scegliere
una vita diversa. Si è pentito. Avrebbe voluto che la moglie e i figli lo seguissero nella sua scelta.
Ed invece hanno rifiutato la protezione dei carabinieri della compagnia di Ficarazzi e del comando
provinciale di Palermo. Così come hanno spedito al mittente la proposta di trasferimento nella
località protetta dove da alcuni giorni si trova il padre. Vogliono restare in paese e continuare a
lavorare. Una crisi mistica, dunque, avrebbe spinto il nuovo pentito Stefano Lo Verso a collaborare con la giustizia. Le sue dichiarazioni sono al vaglio di magistrati e carabinieri che ne dovranno
verificare l’attendibilità. La genuinità della sua passione religiosa resterà cosa privata.
Di cose da raccontare il neo pentito ne ha parecchie. È stato reggente della cosca di Ficarazzi. Più
che un paese si tratta di un popoloso prolungamento della città di Palermo. Il suo spessore lo si
misura anche nel compito che gli hanno assegnato. Fra il 2003 e il 2005 si è occupato della latitanza di Bernardo Provenzano. Del capo di Cosa nostra racconta le passeggiate, prima dell’arresto. Il padrino girava indisturbato per le strade di Ficarazzi, Villabate e Bagheria forte del fatto che
di lui si conosceva il volto ritratto da una vecchia fotografia. Nessuno avrebbe potuto riconoscerlo.
Lo Verso parla di vecchi e nuovi equilibri di una fetta di provincia palermitana. Ha fornito una
lista di personaggi su cui sono partiti gli accertamenti. Servono riscontri. Le prime dichiarazioni
sono state depositate questa mattina in corte d’appello, dove lo stesso Lo Verso è imputato per
detenzione di un’arma assieme a un suo ex complice, Giuseppe Comparetto.
vesse vedere. Poi, mi chiese di trovargli
un appartamento in via D’Amelio, ed
infine, visto che non l’avevo trovato,
ebbe a dirmi che allora si sarebbe messo comodo in giardino. In via D’Amelio
dove è avvenuta la strage in effetti c’è
un muro ed un giardino”. Ed ancora:
“Dopo la strage di Capaci e prima, o
subito dopo, la strage di via D’Amelio,
ma mi sembra dopo, Giuseppe Graviano mi chiese di comprargli un telecomando Uht che gli serviva, mi disse,
per un cancello. Mi mandò da Pavan a
Palermo e costò un milione e 400 mila
lire o un milione e 600 mila lire. Mi disse di non dare il mio nome e infatti dissi al negozio che mi chiamavo Terrano
o simile. Prima me ne chiese uno e poi
un altro. Questo fatto dell’acquisto dei
telecomandi lo sappiamo solo io e Giuseppe Graviano. Mi disse di non aprirli
che dovevano essere modificati e che
erano ottimi finché non li trovavano ed
io chiesi come fosse possibile che qualcuno li trovasse se li consegnavo a lui
e lui rispose che magari potevano non
funzionare e quindi essere ritrovati se
non scoppiavano. Di qui ho capito che
servivano per gli attentati”.
Tranchina conosce pure le fasi preparative degli attentati in continente (“Nei
viaggi con me venivano Giorgio Pizzo,
Cosimo Lo Nigro, io generalmente portavo i soldi ai Graviano. Ricordo che
avevano una villa in Verisilia, bellissima. Ricordo che era in affitto e che in
precedenza era stata di un importante
calciatore”) e le vicende del fallito attentato al commissario Rino Germanà:
“Sono inoltre a conoscenza dei fatti
dell’attentato al dottore Germanà. Un
giorno Giuseppe Graviano mi disse di
andare ad un villino di Triscina e venne Matteo Messina Denaro a prenderlo.
Io rimasi con la fidanzata di Graviano,
ora sua moglie. Dopo un paio d’ore li
vidi tornare e mi dissero che era andata male e che il tizio era ancora vivo.
Io non sapevo di cosa si trattava. Poi
vedo sul giornale dell’attentato e chiesi a Graviano cosa era successo e mi
disse delle tre armi usate e che due si
erano inceppate”. Nel 1994 i fratelli
Giuseppe e Filippo Graviano vengono
arrestati in un ristorante di Milano,
ma i compiti di Tranchina non sono
finiti: “Dopo l’arresto dei Graviano si
facevano appuntamenti senza particolari precauzioni. Accompagnai Fifetto
Cannella a casa credo di Francesco
Giuliano, detto Olivetti, e stranamente mi disse di entrare, io non entravo
e non partecipavo mai alle riunioni.
Ed in quell’occasione decidevano di
andare a uccidere a Roma Contorno e
Lo Nigro ne mostrava la foto. Poi parlavano di uccidere tale Casella, Giorgio
Pizzo poi si accorse che ero presente e
mi fece allontanare. Il motivo dei movimenti dei Graviano del ‘93 nel centro e nord Italia era anche per sfuggire
alla pressione su Palermo che dopo le
stragi siciliane del 1992 era particolarmente forte”. Tranchina e Spatuzza
non hanno in comune soltanto la provenienza mafiosa e la scelta di collaborare. Condividono anche l’importanza
di avere tirato in ballo, pesantemente,
la politica. Secondo Tranchina “i Graviano dopo l’arresto di Riina hanno
portato avanti le stragi per trovare
una trattativa con lo Stato. Giuseppe
Graviano adorava Riina, ebbe a dirmi
che eravamo tutti figli suoi . Il giorno
dell’arresto di Riina Graviano mi disse che ci sarebbe stata una guerra, nel
Un grosso capitolo delle
dichiarazioni di Tranchina
riguarda le stragi di mafia:
“Una settimana prima
di Capaci Giuseppe Graviano
mi disse di non passare
dall’autostrada”
senso che come fare le leggi glielo dovevano fare capire loro, anche se avevano le loro assicurazioni. Ricordo che
alle elezioni venivano indicazioni di
voto per Forza Italia. Graviano non mi
ha mai fatto il nome di Dell’Utri, però
con frasi del tipo noialtri le persone le
abbiamo, o fanno quello che gli diciamo o gli rompiamo le corna, mi faceva
comprendere”. Fabio Tranchina, assistito dall’avvocato Monica Genovese,
riempie pagine di verbali. Non sono
ancora trascorsi i 180 giorni di tempo
per raccontare i segreti di Cosa nostra.
A giudicare dalle prime dichiarazioni
bisogna correre per raccogliere tutto
quello che conosce. Dai grandi affari ai
nuovi capi, dai prestanome alle piccole ma fondamentali connivenze. Come
quella che legava i Graviano ad alcuni
insospettabili. “Poi c’erano due ragazzi di Roma, una coppia, che ho visto,
avevano due o tre anni più di me,
avevano un bambino. Erano il punto
di appoggio a Roma di Giuseppe Graviano. E nell’estate vennero a Palermo
ospiti al mare dei Graviano”.
Le dichiarazioni di Tranchina potrebbero aiutare a far luce anche su un
recente fatto di cronaca. A marzo scorso un gigantesco incendio doloso si è
sviluppato all’interno dell’area industriale di Brancaccio. Le fiamme sono
divampate in uno dei capannoni della
ditta Forni Spinnato, in via Pecoraino.
Prima di appiccare il fuoco, gli attentatori hanno bloccato con la colla i lucchetti degli stabilimenti. In quello stesso stabilimento vi lavora un parente di
quell’Antonino Sacco che Tranchina
piazza al vertice del mandamento. E se
fosse il segnale di un equilibrio precario che rischia di spezzarsi?
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