PERCORSI DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI IN PRONTO SOCCORSO

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PERCORSI DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI IN PRONTO SOCCORSO
Servizio di Pronto Soccorso Accettazione
IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia
Direttore: dott.ssa Maria Antonietta Bressan
PERCORSI
DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI
IN PRONTO SOCCORSO
- anno 2004-
Dott.ssa Maria Antonietta Bressan
Dott.ssa Paola Tatoni
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INDICE DEI PERCORSI DIAGNOSTICO TERAPEUTICI
PD-T REAZIONE ANAFILATTICA ............................................................................ 4
PD-T DISPNEA ......................................................................................................... 7
PD-T CRISI ASMATICA........................................................................................... 12
PD-T SINDROMI CEFALAGICHE ........................................................................... 18
PD-T DOLORE TORACICO..................................................................................... 27
PD-T COLICA RENALE........................................................................................... 34
PD-T INTOSSICAZIONE DA FUNGHI ..................................................................... 38
PD-T INTOSSICAZIONE DA CO ............................................................................. 42
PD-T SOSPETTO AVVELENAMENTO DA MORSO DI VIPERA............................ 45
PD-T SOSPETTO TROMBOEMBOLISMO VENOSO ACUTO................................ 48
PD-T SOSPETTA TROMBOEMBOLIA POLMONARE ........................................... 54
PD-T SOSPETTA PANCREATITE ACUTA ............................................................. 60
PD-T APPENDICITE ACUTA................................................................................... 65
PD-T SINDROMI PROCTOLOGICHE ACUTE ........................................................ 70
TRATTAMENTO DELLE FERITE............................................................................ 74
LINEE GUIDA PER LA PROFILASSI ANTITETANICA........................................... 80
IN PRONTO SOCCORSO........................................................................................ 80
PROFILASSI ANTIBIOTICA DELLE FERITE.......................................................... 83
SIEROPROFILASSI ANTIRABBICA ....................................................................... 84
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LINEE GUIDA PER LA PREVENZIONE DELL'INFEZIONE MENINGOCOCCICA. 86
IN PRONTO SOCCORSO........................................................................................ 86
CRISI IPERTENSIVE: EMERGENZE, URGENZE E SEMPLICI RIALZI PRESSORI
................................................................................................................................. 88
GESTIONE DEL PAZIENTE CON SINCOPE ........................................................ 100
SCHEMA PER I SANGUINAMENTI ACUTI DAL TRATTO GASTROENTERICO
SUPERIORE .......................................................................................................... 105
PD-T PER GRAVE PATOLOGIA VASCOLARE ................................................... 106
PD-T USTIONI........................................................................................................ 107
GESTIONE DEL PAZIENTE CON PATOLOGIE DA CALORE ............................. 120
PERCORSO INTEGRATO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO DEL PAZIENTE
AFFETTO DA ICTUS NEL POLICLINICO SAN MATTEO .................................... 126
PD-T PER SOSPETTA SARS IN PRONTO SOCCORSO ..................................... 142
PD-T TRAUMA CRANICO (T.C.) LIEVE................................................................ 146
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Pd-t REAZIONE ANAFILATTICA
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
INTRODUZIONE
Negli ultimi 20 anni l'incidenza delle reazioni anafilattiche risulta aumentata, anche in relazione all'incremento
della frequenza di malattie allergiche nella popolazione.
Il termine anafilassi è solitamente usato per una grave reazione da ipersensibilità mediata dalle Immunoglobuline
di classe E (IgE). In seguito a contatto con un allergene (II contatto) si ha una improvvisa attivazione dei
mastociti e dei basofili con conseguente rilascio di istamina (aumento della permeabilità vascolare, orticaria,
arrossamenti cutanei, angioedema, ipotensione), leucotrieni C4, D4 ed E4 (broncospasmo), tromboxani,
bradichinina, prostaglandine, FAP (fattore attivante le piastrine), triptasi.
ALLERGENI
Gli allergeni che sono coinvolti più spesso nelle reazioni anafilattiche sono:
• Farmaci: penicilline e cefalosporine (soprattutto in caso di iniezione per via parenterale), FANS;
• Mezzi di contrasto radiografici;
• Punture di insetto, morsi di serpenti;
• Alimenti (soprattutto arachidi, pesci, crostacei, uova).
CLINICA
La reazione anafilattica è generalmente improvvisa (durante o nei minuti successivi all’iniezione del farmaco in
causa); raramente le manifestazioni si presentano dopo qualche ora (2-3 ore) o persistono per più di 24 ore (in
questo caso raramente sono fatali).
La sintomatologia che ne deriva è caratterizzata da:
• vasodilatazione con ipotensione;
• aumento della permeabilità capillare con fuoriuscita di liquido nell’interstizio (formazione di edemi e
ipersecrezione mucosa);
• broncospasmo.
• La reazione anafilattica classicamente si manifesta con:
• malessere generale;
• prurito al palmo delle mani, alla pianta dei piedi, alle ascelle e all’inguine;
• eritema;
• orticaria a placche giganti;
• edemi;
• congestione nasale, congiuntivale, del condotto uditivo esterno;
• angioedema (edema diffuso e spesso coinvolgente il volto e le alte vie respiratorie con possibile
evoluzione in edema faringo-laringeo);
• dispnea, broncospasmo;
• brividi, ipotensione, shock (causato dall’ipovolemia secondaria a perdita di plasma dal compartimento
sanguigno e vasodilatazione provocata dal rilascio delle sostanze liberate dalla reazione anafilattica
stessa).
Il collasso cardiovascolare è una manifestazione comune, specialmente in risposta a reazioni conseguenti alla
iniezione e.v. di droghe, farmaci o punture d'insetto.
Altri sintomi minori sono: rinite, congiuntivite, dolori addominali, nausea, vomito, diarrea e sensazione di morte
imminente.
Il paziente può presentarsi sia pallido che arrossato.
Le disfunzioni cardiache e le aritmie sono dovute principalmente all'ipotensione, a malattie sottostanti, o all'uso
di adrenalina somministrata per via endovenosa.
Segni quali stridore inspiratorio, affanno respiratorio, cianosi, tachicardia, sono indici di un attacco severo.
Alcuni pazienti possono morire per un asma acuto irreversibile o per un edema laringeo accompagnato da altre
manifestazioni sistemiche.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
• Reazioni vasovagali (mancano però l’orticaria, il prurito e l’edema);
• Patologie respiratorie acute (corpo estraneo, edema polmonare acuto, embolia polmonare, etc);
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•
•
Patologie cardiache (IMA, tachiaritmie);
Attacchi di panico.
TRATTAMENTO
In ambito extraospedaliero ai pazienti con sospetto shock anafilattico bisogna somministrare ossigeno ad alto
flusso (10-15 L/min), prendere un accesso venoso di grosso calibro per la somministrazione di fluidi
(cristalloidi) e monitorizzare l’ECG.
L'ADRENALINA è il farmaco di scelta nel trattamento delle reazioni anafilattiche sebbene non siano state
standardizzate la dose e la via di somministrazione.
L'adrenalina agisce sia come agonista dei recettori alfa bloccando la vasodilatazione periferica e riducendo
l'edema, sia dilatando le vie aeree, aumentando la contrattilità cardiaca e sopprimendo il rilascio di istamina e
leucotrieni.
L'adrenalina può essere somministrata per via intramuscolo, sottocutanea, endotracheale o endovenosa (quando
lo shock è conclamato); agisce bene quando somministrata precocemente, ma non senza rischi, soprattutto
quando somministrata per via endovenosa.
L'adrenalina somministrata per via intramuscolo sembra più efficace e sicura e dovrebbe essere somministrata a
tutti i pazienti con segni di shock o difficoltà respiratorie.
I pazienti devono comunque essere tenuti sotto osservazione per almeno 24 ore, soprattutto i casi con risposte
anafilattiche importanti.
Qui di seguito si elencano tutte le vie di somministrazione possibili e le relative dosi del farmaco in caso di
pazienti adulti:
Via endovenosa: 0,2-0,5 ml sol 1:10.000 (diluire una fiala da 0,5 mg di adrenalina 1:1.000 in 10 cc di soluzione
fisiologica) in 5 minuti, ripetibile ogni 10-15 min (infusione di 1 mg in 250 cc fisiol a 1-4 microgr/min pari a 1560 ml/h);
Via sottocutanea: 0,3-0,5 ml sol 1:1.000; ripetibile ogni 15 min
Via endotracheale: 0,4-1 ml sol 1:10.000 (diluire una fiala da 0,5 mg di adrenalina 1:1000 in 10 cc di soluzione
fisiologica).
Via Intramuscolare: 0,2-0,5 ml di soluzione 1:10.000 (diluire una fiala da 0,5 mg di adrenalina in 10 cc di
soluzione fisiologica) ripetibile ogni 10-15 minuti.
Nei pazienti che assumono antidepressivi triciclici o inibitori delle MAO la dose di adrenalina deve essere
ridotta perché una interazione tra questi farmaci è potenzialmente dannosa.
Dosi pediatriche:
0,01 mL/Kg sol 1:1.000 SC
0,01 mL/kg sol 1:10.000 EV
0,01 mL/kg sol 1:1.000 endotracheale
infusione EV : 0.1-1 mcg/kg/min
Gli ANTIISTAMINICI possono essere usati nel trattamento di tutte le reazioni anafilattiche per diminuire la
vasodilazione mediata dall'istamina.
Usati da soli non bastano!
Clorfenamina (Trimeton®), desclorfeniramina (Polaramin AR®)
10-50 mg i.m o e.v lentamente (in 100-250 cc fisiologica), ripetibile.
Bambini: 1-2 mg/kg ev o im.
I CORTICOSTEROIDI sono considerati farmaci ad azione lenta (se somministrati e.v. agiscono in 4-6 ore);
sono di aiuto nel trattamento di emergenza di un attacco acuto e hanno un ruolo nel prevenire o nel diminuire la
durata delle reazioni tardive.
Metilprednisolone (Solu-medrol®, Urbason®, Medrol®)
40-250 mg i.m. o e.v.
Bambini: 1-2 mg/kg ev o im.
Se è presente ipotensione che non risponde alla terapia farmacologica, bisogna infondere CRISTALLOIDI (1-2
L di fisiologica o Ringer lattato in 15-30 min).
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Il SALBUTAMOLO per aerosol può essere una misura aggiuntiva in caso di broncospasmo che non risponde
alle altre terapie
Salbutamolo (Broncovaleas®, Ventolin®, Clenil®)
2-4 puff ogni 15 min o 10-20 gtt in 3 ml di fisiologica per aerosol
ogni 4-6 ore.
L’OSSITROPIO BROMURO (anticolinergico inalatorio) si può aggiungere al salbutamolo in caso di
broncospasmo.
Aerosol con ossitropio bromuro (Oxivent®) 10-20 gtt in 3 ml fisiologica ogni 4-6 ore.
Il GLUCAGONE può essere utile nei pazienti in terapia con beta-bloccanti che sono resistenti agli effetti
dell’adrenalina. Esso va usato in aggiunta e non in sostituzione dell’adrenalina.
Si somministra per via endovenosa alle seguenti dosi: 1-10 mg ev/im/sc
BIBLIOGRAFIA
1. Anne S, Reisman RE: risk of administering cephalosporin antibiotics to patients with histories of
penicillin allergy. Ann Allergy Asthma Immunol 1995 Feb;74(2): 167-70.
2. Atkinson TP, Kaliner MA: Anaphylaxis. Med Clin North Am 1992 Jul;76(4):841-55.
3. Barach EM, Nowak RM, Lee TG et al: Epinephrine for treatment of anaphylactic shock. JAMA 1984
Apr 27;251(16):2118-22bochner BS, Lichtenstein LM: Anaphylaxis. N Engl J Med 1991 Jun 20;
324(25): 1785-90.
4. Sheffer AL: anaphylaxis. J Allergy Clin Immunol 1988 May;81 (5 pt 2): 1048-50).
5. Bochner BS, Lichtenstein LM: Anaphylaxis. N Engl J Med 1991 Jun 20; 324(25): 1785-90.
6. www.emedicine.com
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Pd-T DISPNEA
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
INTRODUZIONE
La Dispnea è una sensazione soggettiva di difficoltà respiratoria, avvertita dal paziente come “fame d’aria”,
associata ad alterazioni del ritmo e/o della profondità del respiro, che spesso si realizza con l’ausilio dei muscoli
accessori della respirazione.
Si definisce Dispnea minacciosa, quella dispnea acuta (o cronica riacutizzata) che comporta un rischio per la
vita, soprattutto nei casi in cui non venga prontamente riconosciuta e trattata. Questo tipo di dispnea si verifica
quando l’organismo supera il limite degli adattamenti funzionali e non riesce più a mantenere un adeguato
scambio di gas con l’ambiente esterno. Questa difficoltà può interessare solo l’O2 (ipossiemia) oppure può
comportare anche un aumento (ipercapnia) o una diminuzione (ipocapnia) della pressione parziale di CO2 nel
sangue arterioso.
La dispnea minacciosa può corrispondere ad una insufficienza respiratoria parziale, quando si ha solo
ipossiemia, o ad una insufficienza respiratoria globale quando, oltre all’ipossiemia, si verifica anche una
ipercapnia.
In caso di dispnea acuta il medico dovrà, prima di tutto, individuare e correggere eventuali alterazioni dei
parametri vitali cardio-respiratori e poi ricercare le cause responsabili.
Si deve sempre tenere di conto che la dispnea rappresenta il sintomo di gravi patologie in grado di porre in
pericolo di vita il paziente (es.: embolia polmonare, pneumotorace) e quindi necessita di un immediato
riconoscimento della causa responsabile, in modo da poter attuare in tempi brevi (30-60 minuti) il protocollo
terapeutico più idoneo.
CLASSIFICAZIONI
In base al decorso la dispnea può essere distinta in:
• Acuta;
• Cronica (evoluzione progressiva e durevole);
• Intermittente;
• Continua (anche a riposo; caratteristica delle BPCO e dello scompenso cardiaco).
In base alla modalità d’insorgenza la dispnea può essere:
• Ortopnea;
• Dispnea da sforzo;
• Dispnea a riposo.
In base alla fase del ciclo respiratorio in cui si manifesta, la dispnea può dirsi:
• Inspiratoria (ostacolo nelle prime vie aeree; presenza di tirage e cornage);
• Espiratoria (da stenosi dei bronchioli, con ronchi e sibili se l’ostruzione è molto serrata);
• Mista (congestione polmonare).
In base alla frequenza degli atti respiratori la dispnea può essere definita:
• Bradipnea: diminuzione della frequenza degli atti respiratori;
• Tachipnea: aumento della frequenza degli atti respiratori con respiro superficiale (es.: febbre,
tireotossicosi, fratture costali);
• Polipnea: aumento sia della frequenza che della profondità del respiro respiro (es.: acidosi metabolica).
EZIOLOGIA
La dispnea può essere secondaria a:
• Alterata ossigenazione (da alterata composizione atmosferica dell’aria, non pervietà delle vie aeree,
diminuita efficienza del complesso toraco-polmonare, alterato rapporto ventilazione/ perfusione);
• Alterata circolazione (alterata capacità di trasporto del sangue per l’ossigeno, alterato rapporto tra
volume ematico e compartimento vasale, diminuita efficienza della pompa cardiaca);
• Alterato ambiente cellulare (alterazioni del microcircolo, del mantenimento della pressione arteriosa,
dell’ambiente chimico cellulare).
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CAUSE
Patologie del tratto respiratorio superiore extratoracico: cibo o corpi estranei, edema angioneurotico della
glottide, tumori, stenosi cicatriziali dopo tracheostomia o intubazione tracheale prolungata. In questi casi si ha
dispnea con stridore inspiratorio e depressione delle fosse sovraclaveari.
Patologie delle vie aeree intratoraciche: asma (ostruzione subacuta intermittente con sibili), bronchite cronica
e bronchiectasie (tosse cronica produttiva con espirio prolungato, ronchi grossolani ed infezioni sovrapposte;
dispnea ad attacchi parossistici notturni con sibili respiratori che diminuiscono con la tosse e l'eliminazione delle
secrezioni); enfisema (dispnea da sforzo che evolve negli anni in dispnea a riposo).
Compromissione parenchimale diffusa da polmonite, sarcoidosi, pneumoconiosi; i pazienti sono solitamente
tachipnoici con pressioni arteriose di ossigeno ed anidride carbonica diminuite.
Malattie da ostruzione vascolare: embolie ricorrenti.
Malattie della gabbia toracica o dei muscoli respiratori: cifoscoliosi grave, spondilite, torace ad imbuto,
miastenia, neuropatie.
Cardiopatie: nei pazienti cardiopatici la dispnea da sforzo è causata dall'aumento della pressione capillare
polmonare che causa la trasudazione di liquidi nello spazio interstiziale, con diminuzione della compliance
polmonare. Un'ipertensione venosa polmonare persistente determina ispessimento dei capillari polmonari ed
iperplasia delle cellule perivascolari e del tessuto fibroso, con ulteriore peggioramento della compliance
polmonare, aumento della resistenza al flusso delle vie aeree e maggior lavoro respiratorio con diminuzione del
volume corrente ed aumento della frequenza respiratoria.
Allergie
Ansia: la diagnosi di dispnea psicogena va posta esclusivamente dopo aver escluso ogni possibile patologia
organica. Il quadro clinico della dispnea ansiosa è caratterizzato da: senso di "nodo alla gola", angoscia,
palpitazione, senso di oppressione toracica, malessere generale, vertigini, parestesie alle estremità, spasmo
carpo-podalico, laringospasmo.
N.B.: Ricordarsi che il 4% dei casi di dispnea cronica di incerta origine sono dovuti ad un reflusso
gastroesofageo.
Tab. n°1- Cause più frequenti di dispnea
TRAUMATICA
PNEUMOTORACE
EMOTORACE
CONTUSIONE POLMONARE
LEMBO COSTALE
ROTTURA DEL DIAFRAMMA
LESIONE DEL MIDOLLO
SPINALE
NON TRAUMATICA
ASMA
POLMONITE
EMBOLIA POLMONARE
PLEURITE
PNEUMOTORACE
SPONTANEO
AB INGESTIS
OSTRUZIONE VIE AEREE
ARDS
Molti pazienti hanno dispnea associata ad altri sintomi che possono risultare molto importanti nell'indirizzare la
diagnosi:
Tirage (presente nel caso di neoplasie laringo-tracheali, spasmo laringeo, edema della glottide, corpo estraneo,
paralisi delle corde vocali);
Broncospasmo (presente nel caso di asma bronchiale, asma cardiaco, BPCO riacutizzata);
Dolore toracico gravativo (presente nel caso di EP massiva, ingombro mediastinico, versamento pleurico, IMA,
dissezione aortica, tamponamento pericardico);
Dolore toracico trafittivo (presente in caso di EP, PNX, pleurite fibrinosa, rottura esofagea,
pneumomediastino);
Espettorazione (presente in caso di riacutizzazione di bronchiectasie o di bronchite cronica, asma bronchiale,
infezione polmonare, edema polmonare);
Emottisi (presente nel caso di tumori, EP, BPCO riacutizzata, vasculite);
Astenia, decadimento generale e sintomi bulbari (presente in caso di malattia del motoneurone, miastenia
gravis).
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In base al tempo in cui la dispnea insorge possiamo orientare l’ipotesi diagnostica verso alcune cause (tab. n°2).
Tab. n°2
TEMPO DI INSORGENZA
PATOLOGIE DA SOSPETTARE
Pneumotorace
Insorgenza immediata
Edema polmonare
Embolia polmonare
Inalazione di corpo estraneo
Asma
Persistente da ore
Scompenso cardiaco sx
Polmonite
Edema laringeo
Polmonite
Persistente da alcuni giorni
ARDS
Scompenso cardiaco
Versamento pleurico
Persistente da alcune settimane
Anemia
Debolezza muscolare
Neoplasie maligne
Persistente da alcuni mesi
Fibrosi polmonare
Tireotossicosi
Debolezza muscolare
Persistente da anni
Ostruzione cronica delle vie aeree
Disturbi della parete toracica
ITER DIAGNOSTICO
Durante la fase di Triage l’infermiere triagista misura i Parametri vitali del paziente (pressione arteriosa,
saturimetria, frequenza respiratoria, frequenza cardiaca, temperatura) e gli assegna un codice colore di
gravità.
Il medico di pronto soccorso valuta le condizioni del paziente richiederà eventuali esami ematochimici e/o
strumentali:
• Anamnesi (alla ricerca di preesistenti patologie cardiache, polmonari, vascolari);
• Caratteristiche della dispnea (modalità d'insorgenza);
• Sintomi associati;
• Esame obiettivo;
• Emogasanalisi;
• ECG;
• Esami ematochimici mirati: emocromo, coagulazione e D-Dimero (nel sospetto di una embolia
polmonare);
• Rx del torace (a seconda dell’ obiettivita’ cardiopolmonare).
A seconda dei risultati ottenuti dalla clinica, dagli esami ematochimici e strumentali dovrà formulare una ipotesi
diagnostica e iniziare una terapia.
ALTRI TIPI DI RESPIRAZIONE PATOLOGICA
Respiro di Cheyne-Stokes: progressivo aumento di ampiezza degli atti respiratori seguito da una progressiva
riduzione di ampiezza degli stessi ed infine da un intervallo di apnea. Insorge negli stati di intossicazione
esogena o endogena, nello scompenso cardiaco e nelle gravi encefalopatie.
Respiro grosso di Kussmaul: profonda e rumorosa inspirazione, pausa inspiratoria, espirazione breve e pausa
post-espiratoria prolungata. Insorge nel coma chetoacidosico.
Respiro di Biot: periodi respiratori normali seguiti da periodi di apnea. E’ espressione di una grave sofferenza
del centro respiratorio (meningite, encefalite, edema cerebrale, tumori cerebrali).
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Respiro apneustico: apnee alla fine della inspirazione e talora anche della espirazione. E’ espressione di una
lesione a livello del ponte.
Respiro atassico: atti respiratori irregolari. E’ espressione di una lesione a livello bulbare.
SATURIMETRIA ED EMOGASANALISI (EGA)
La misurazione della saturimetria al dito viene effettuata di routine al Triage.
Il saturimetro è attendibile sopra il 96%; al di sotto di questi valori è necessaria l’EGA.
L’EGA e’ uno degli esami dotato del miglior rapporto costo-beneficio: è infatti semplice, di facile esecuzione e
di basso costo in rapporto alle importanti informazioni che fornisce sull’efficienza degli scambi gassosi che
avvengono a livello polmonare. E’ un esame che non è sostituibile da rilevazioni cliniche, per la scarsa
correlazione che c’è tra segni e sintomi a seconda del livello di ipossiemia (il grado di cianosi visibile può non
corrispondere al grado di ipossiemia).
L'EGA deve essere assolutamente integrata con altri esami in quanto usato da solo serve esclusivamente ad
escludere che ci sia una patologia cardio-respiratoria tanto grave da condizionare l’efficienza degli scambi
gassosi.
VALORI DI RIFERIMENTO
pH =7.38-7.42
PaO2 = 80 mmHg
(con l’età diminuisce)
PaCO2 = 35-40 mmHg
Se: 60 mmHg < PaO2 < 80 mmHg Æ ipossiemia
Se: PaO2 < 60 mmHg Æ IRAÆ ossigenoterapia
EMOGASANALISI TIPICHE
Durante una crisi asmatica la PaCO2 è normale o bassa (ipocapnia) e la PaO2 può essere normale.
La presenza di ipossiemia con ipercapnia è segno della gravità della patologia con fatica respiratoria e può
richiedere l’intervento del rianimatore.
Generalmente il paziente con BPCO riacutizzata arriva già in ossigenoterapia. In questo caso occorre togliere
l’ossigeno, aspettare 15 minuti e poi eseguire l’EGA. Questi pazienti hanno una PaO2 molto bassa ed una PaCO2
aumentata. In questi pazienti la somministrazione di ossigeno deve essere cauta perché diminuisce lo stimolo
ipossiemico ai centri nervosi respiratori e fa aumentare l’ipercapnia.
Nei pazienti con embolia polmonare l’ossiemia è normale o ridotta e c’è sempre ipocapnia.
Ipossiemia molto bassa e ipocapnia si riscontrano nei pazienti con fibrosi interstiziale (interstiziopatia). I
pazienti con questa patologia sottoposti ad ossigenoterapia migliorano di poco la PaO2 e non hanno aumento
della capnia.
In ogni caso se si riscontrano una saturimentria < 90% e/o una PaO2< 60 mmHg conviene trattare il paziente in
modo da ottenere una saturimetria superiore al 90% e una PaO2 > di 65 mmHg.
TERAPIA (principi orientativi)
Il paziente con dispnea va sottoposto a:
• ossigenoterapia a bassi flussi (max 2 L/min) in attesa di accertamenti e non prima di aver eseguito una
EGA;
• Presidi terapeutici secondo la patologia individuata;
• Eventuale ricovero in ambiente specialistico ;
• Consulenza rianimatoria se l'insufficienza respiratoria è grave e persistente.
Nel caso di broncospasmo si consiglia di iniziare con:
Beta2-adrenergici per areosol (salbutamolo 2,5 mg = 10 gtt in 3 ml di fisiologica).
beclometasone areosol
metilprednisolone e.v. (40-250 mg ev).
Nel caso di ingombro catarrale:
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broncoaspirazione
mucolitici e.v. o aerosol
Nel caso di un versamento pleurico:
toracentesi evacuativa
Nel caso di un pneumotorace:
drenaggio aspirativo
Nel caso di un trauma toracico:
consulenza chirurgica o rianimatoria
BIBLIOGRAFIA
1. Emergency Medicine. Concepts and Clinical Practice, Rosen-Barkin., Fourth Edition. Vol.II: 14601469.
2. Dyspnea: fear, loathing, and physiology. Emergency Medicine PRACTICE. An evidence-based
approach to emergency medicine. August 1999, Vol. 1, Number 3:1-20.
3. www.emedicine.com
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Pd-T CRISI ASMATICA
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
INTRODUZIONE
In Italia la prevalenza dell'asma e circa del 8-10% della popolazione e ciò significa che circa 3 milioni di persone
soffrono di asma. La prevalenza di questa malattia è progressivamente in aumento in tutto il mondo, soprattutto
in età pediatrica e nell'adolescenza e rappresenta dunque un importante problema sanitario mondiale.
In questi ultimi anni ci sono stati notevoli progressi sull'eziologia della malattia ed in particolare è stato posto in
risalto il suo carattere infiammatorio cronico e la necessità sia di un trattamento mirato al controllo
dell'infiammazione che di una rimozione di tutti i possibili fattori di rischio.
Le linee guida internazionali per la gestione dell’asma sono molto importanti ed utili perché si è visto ci hanno
permesso per lo meno una migliore gestione della malattia a livello ambulatoriale, con minor ricorso ai Pronto
Soccorso e minor utilizzo delle strutture ospedaliere negli ultimi 10 anni pur a fronte sicuramente di un aumento
dei potenziali rischi espositivi.
Le Linee Guida proposte dall' "International Consensus Report on Diagnosis and Management of Asthma"
indicano che gli scopi della terapia dell'asma devono essere:
• Controllo della sintomatologia clinica;
• Mantenimento di una funzionalità respiratoria il più vicino possibile alla norma;
• Garanzia di una normale attività fisica;
• Prevenzione delle complicanze tardive.
Il medico di Pronto Soccorso si deve occupare del controllo della sintomatologia clinica dell'asma in fase
acuta.
FISIOPATOLOGIA DELL'OSTRUZIONE DELLE
VIE AEREE
Intensa infiammazione mucosa e sottomucosa
Broncocostrizione
Secrezione di muco vischioso
Edema mucoso
L'asma bronchiale è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree caratterizzata da attacchi improvvisi e
reversibili di dispnea, tosse, espettorazione di muco e sibili espiratori di grado variabile, accompagnati da
ostruzione bronchiale.
Alla base dell'ostruzione delle vie respiratorie c'è una iper-reattività bronchiale tale che stimoli di diversa natura
(vedi tabella: Fattori scatenanti un attacco asmatico), innocui per soggetti non asmatici, causano nel paziente
asmatico:
• spasmo della muscolatura liscia bronchiolare (broncocostrizione),
• flogosi e edema delle pareti bronchiali,
• ipersecrezione mucosa (formazione di tappi di muco).
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FATTORI SCATENANTI UN ATTACCO ASMATICO
Causali
Sintomatici
(aumentano reattività aspecifica e (broncocostringono)
broncocostringono)
Allergeni
Istamina
Sostanze chimiche sensibilizzanti*
Acido
acetilsalicilico
(con
alterazione
del
metabolismo
dell'ac.arachidonico e aumento dei Leucotrieni)
Infezioni virali e batteriche
Beta-bloccanti
Gas irritanti
Esercizio fisico
(anidride solforosa e ozono)
Inalazione di nebbia*
Emozioni intense
Fumo di sigaretta*
Scompenso cardiaco (edema interstiziale e stimolazione dei recettori
juxta-alveolari)
*meccanismo mediato dagli Irritant Lung Receptors (ILR)
CLASSIFICAZIONE DELLA GRAVITÀ DELL'ASMA
Asma lieve intermittente
• Sintomi: si presentano al massimo 2 volte alla settimana e sono assenti tra una riacutizzazione e l'altra.
• Riacutizzazioni: brevi (da poche ore a pochi giorni) e di intensità variabile.
• Paziente: tachipnea, sibili espiratori percettibili, tosse poco produttiva, sputo bianco e denso, parla senza
difficoltà.
• Rx del torace: normale.
• EGA: lieve ipossia o normo/ipocapnia.
• PA: normale .
• PEF: 80-100% del teorico.
Asma lieve persistente
• Sintomi: si presentano più di 2 volte alla settimana ma meno di una volta al giorno.
• Riacutizzazioni: possono influire sulle attività quotidiane e sul sonno.
Asma moderato persistente
• Sintomi: quotidiani.
• Riacutizzazioni: (>2/settimana) influiscono sulle attività quotidiane e possono durare più giorni.
• Paziente: fa uso quotidiano di beta2-agonisti a breve durata d'azione, dispnea, sibili
espiratori
e
inspiratori, iperinflazione polmonare con utilizzo dei muscoli accessori della respirazione, timpanismo
polmonare, parla con difficoltà, è agitato, tachicardico, con polso paradosso.
• Rx torace: ipertrasparenza.
• EGA: ipossia e ipercapnia moderate.
• PA: normale o aumentata.
• PEF: 60-80% del predetto.
Asma grave persistente
• Sintomi: continui, l'attività fisica è limitata.
• Riacutizzazioni: frequenti.
• Paziente: dispnea a riposo/apnea, respiro sibilante, silenzio polmonare, ipomobilità toracica, polso
paradosso, cianosi, obnubilamento del sensorio, collasso, bradicardia.
• Rx del torace: ipertrasparenza.
• EGA: ipossia e ipercapnia grave. Quando la PaCO2 diventa >42 mmHg: fatica respiratoria.
• PA: diminuita.
• PEF: <60% del predetto ( < 120 L/min).
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CLINICA
Il quadro di un attacco asmatico è apparentemente molto facile da diagnosticare, ma è molto importante
valutarne la gravità che può variare dalla lieve dispnea al broncospasmo severo che può condurre all'arresto
respiratorio.
Nella crisi acuta grave il paziente si presenta dispnoico a riposo, pallido e sudato, con cianosi labiale, tosse
insistente e penosa che peggiora nelle ore notturne, atteggiamento inspiratorio per crescente iperinflazione
toracica e impegno della muscolatura respiratoria accessoria, agitato, sonnolento o confuso nei casi più gravi
dove è già presente una sofferenza anossica del cervello.
QUADRO CLINICO DELL'ACCESSO ASMATICO
GRAVE
Pallore
Sudore
Cianosi labiale
Tosse insistente
Posizione ortopnoica
Dispnea espiratoria intensa
Espettorazione di muco denso e vischioso
Come prima cosa bisogna cercare di ottenere una breve anamnesi contenente informazioni sul paziente e sulla
causa che ha scatenato la crisi (se conosciuta), sulle eventuali differenze dei sintomi rispetto a pregressi episodi
(se ce ne sono stati), sulla terapia farmacologica seguita o sospesa, su precedenti ricoveri ospedalieri, sulla
presenza di patologie concomitanti (pneumo e cardiopatie, diabete, ipertensione, patologie psichiatriche) che
possono aggravare l'asma o controindicare l'uso dei farmaci antiasmatici.
Si può poi procedere all'esame fisico con il quale quasi sempre si evidenziano:
• iperfonesi,
• riduzione del FVT su tutto l'ambito polmonare,
• sibili, gemiti e ronchi diffusi (concerto asmatico).
I sibili sono un segno che si correla poco con la gravità della crisi: infatti durante una crisi asmatica di moderata
gravità, al torace è presente un vero concerto di rumori sibilanti; durante una crisi grave, poichè poca aria passa
attraverso le vie respiratorie, il reperto ascoltatorio può ridursi fino silenzio respiratorio.
CARATTERISTICHE ALL'ESAME FISICO
Iperfonesi
Riduzione del FVT su tutto l'ambito
Sibili espiratori
Alcuni segni clinici (vedi tabella) testimoniano una situazione di particolare gravità che non va mai sottovalutata
in quanto attacchi d'asma grave possono mettere a rischio la vita del paziente.
SEGNI CLINICI DI GRAVITÀ
Eloquio interrotto
Polso paradosso*
Cianosi
Frequenza respiratoria > 30 atti/min
Tachicardia > 130 bpm
Calo presso rio
Confusione mentale e torpore
Acidosi lattica
*Polso paradosso = riduzione del volume della gittata cardiaca e della pressione arteriosa nella fase inspiratoria,
espressione della caduta della pressione intratoracica.
EMOGASANALISI
L'incongruenza tra ventilazione e perfusione, dovuta all'ostruzione delle vie aeree, provoca un aumento della
differenza alveolo-arteriosa in O2 che è in relazione con la gravità dell'attacco.
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Quasi tutti i pazienti asmatici, durante un episodio da lieve a moderatamente grave, iperventilano e hanno una
tensione di CO2 arteriosa inferiore a 35 mmHg.
Se l'attacco è grave o si prolunga, la PaCO2 può aumentare per il sommarsi di una grave ostruzione delle vie
aeree, di aree con alto rapporto ventilazione/perfusione che fanno aumentare lo spazio morto e della fatica dei
muscoli respiratori.
Una tensione arteriosa di ossigeno PaO2 inferiore a 60 mmHg può essere indicativa di un attacco grave o di una
complicazione; una PaCO2 "normale" o aumentata può essere il primo segno di una imminente insufficienza
respiratoria.
I pazienti in difficoltà respiratoria e con una PaCO2 costantemente maggiore di 40 mmHg, accompagnata da altri
segni di asma grave, devono essere trattati in una unità di terapia intensiva.
ESAMI STRUMENTALI
All'ECG si riscontrano frequentemente una tachicardia sinusale e segni dell'impegno atriale e ventricolare destro.
Una radiografia del torace è indicata in tutti gli attacchi in cui siano presenti febbre, produzione di espettorato,
dolore al petto, leucocitosi o segni obiettivi di barotrauma (serve esclusivamente per la diagnosi differenziale).
Le alterazioni radiografiche degli asmatici possono essere suggestive oppure confermare una diagnosi di
polmonite, escludere complicazioni come un pneumotorace o un pneumomediastino o mettere in evidenza altre
condizioni in grado di mimare un asma.
L' EGA è invece un esame indispensabile.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Non tutti i pazienti che all'esame obiettivo presentano un sibilo sono affetti da asma! Sintomi quali la dispnea
acuta, il senso di costrizione toracica, il respiro sibilante possono essere causati anche da:
• ostruzione vie aeree superiori da corpi estranei, tumori, laringospasmo, edema della glottide;
• anafilassi;
• BPCO (bronchite cronica o enfisema);
• pneumotorace spontaneo;
• disfunzione laringea (inappropriata posizione delle corde vocali durante il ciclo respiratorio);
• Infezioni virali del tratto respiratorio;
• Insufficienza ventricolare sx (asma cardiaco) (galoppo S3, rantoli e distensione giugulari);
• Embolia polmonare (respiro superficiale e frequente, dolore toracico);
• Dispnea psicogena;
• Insufficienza respiratoria su base restrittiva.
FATTORI DI RISCHIO PER MORTE PER ASMA
• Due o più ricoveri per asma nel corso dell'anno precedente;
• precedenti ricoveri in unità intensiva;
• uso di più di 2 bombolette/mese.
TERAPIA
Gli obiettivi della terapia sono quelli di assicurare uno scambio gassoso soddisfacente e di ridurre l'ostruzione
delle vie aeree.
Ossigeno
Somministrare un adeguato volume di Ossigeno.
Agonisti beta2-adrenergici (simpaticomimetici) "short acting"
Sono i broncodilatatori più efficaci e devono essere somministrati immediatamente.
Provocano rilasciamento della muscolatura liscia, aumento della clearance mucociliare, inibiscono il rilascio di
mediatori dell'infiammazione, diminuiscono l'edema da aumentata permeabilità, diminuiscono l'ipertensione
polmonare, aumentano la frazione di eiezione del ventricolo destro e migliorano la contrattilità dei muscoli
diaframmatici affaticati.
Gli agonisti selettivi beta2 danno meno effetti collaterali rispetto ai non selettivi, ma possono comunque
comparire altri effetti avversi minori come tremore, nervosismo, tachicardia.
La somministrazione per via inalatoria è la preferita mentre quella parenterale è ormai in disuso anche a causa
degli effetti collaterali:
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Salbutamolo (Clenil®, Ventolin®): 7 gocce di salbutamolo in 2 cc di soluzione fisiologica per aereosol con
Ossigeno a 10-12 L/min ogni 20 minuti per la prima ora.
Se entro un'ora non si assiste ad una risposta completa è consigliabile aggiungere alla terapia i corticosteroidi per
via sistemica (tranne in pazienti in cui ne è controindicato l'uso).
In caso di attacco d'asma moderato o grave di si consiglia di iniziare subito la terapia con i corticosteroidi per via
sistemica.
Corticosteroidi
Riducono l'ostruzione delle vie aeree riducendo la flogosi e aumentando la clearance mucociliare.
Si consiglia l'uso di dosi medio/alte di prednisone, metilprednisolone o prednisolone:
metilprednisolone (Solu-medrol®, Urbason®, Medrol®) 0.5-1.0 mg/Kg e.v. (125 mg circa in bolo e.v.) ogni 6
ore;
fluticasone per aerosol (Flixonase®, Flixotide®, Fluspiral®.
L'idrocortisone va evitato per i possibili problemi di reazioni avverse che si possono verificare nei pazienti
allergici ad aspirina.
Anticolinergici
Nei casi gravi di ostruzione bronchiale, una risposta migliore si ottiene aggiungendo alte dosi di:
Ipratropio bromuro (Rinovagos®, Atem®) 0,5 mg nell'adulto o
Ossitropio bromuro (Oxyvent®) 0,25 ml o 7-10 gtt, associato a una soluzione aerosol di un beta2-agonista
selettivo.
Metilxantine
La loro somministrazione non è consigliata come primo approccio in quanto non modifica positivamente la
sintomatologia e può invece causare effetti collaterali.
Terapia d'attacco per asma moderato/grave
Aerosol con Ossigeno a 10-12 L/min e:
salbutamolo (7-10 gtt in 2 ml fisiologica ogni 20' per la prima ora)
+
Ossitropio bromuro (10 gtt)
+
metilprednisolone aerosol o e.v. (125 mg in bolo e.v.)
oppure fluticasone aerosol (2 puff ogni 20')
Per la rivalutazione, che va fatta dopo circa 1 ora, andrebbe interpellato lo pneumologo che provvederà alla
prescrizione terapeutica domiciliare (qualora la crisi fosse risolta), a fissare eventuali controlli ambulatoriali,
oppure a porre le indicazioni per un ricovero.
Farmaci da evitare
Sedativi
Mucolitici
Solfato di Mg
Fisioterapia toracica
Liquidi in eccesso
Antibiotici
Perché?
Causano effetto depressivo sulla respirazione
Peggiorano tosse
Efficacia non provata
Può aggravare paziente
Non hanno alcun ruolo nelle crisi asmatiche dell’adulto. Nei
lattanti possono correggere la disidratazione da iperventilazione
Non necessari nell’asma, possono rendersi necessari in presenza
di patologie associate
QUANDO DEVE INTERVENIRE IL RIANIMATORE?
Se la crisi asmatica è molto grave e si iniziano a manifestare i segni di insufficienza respiratoria grave
(obnubilamento del sensorio e PCO2 > 42 mmHg), dopo una attenta valutazione del bilancio tra il lavoro
respiratorio e la fatica dei muscoli respiratori*, è consigliabile non ritardare le manovre di intubazione.
Per valutare il distress respiratorio bisogna tenere sotto controllo:
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• frequenza respiratoria,
• reclutamento dei muscoli accessori,
• rientramenti,
• coordinamento toraco-addominale,
• postura, ansia, sudorazione,
• presenza di polso paradosso.
La ventilazione meccanica mette a riposo i muscoli respiratori esauriti che non sono più in grado di garantire
ventilazione ed ossigenazione ma non ha alcun effetto sulla patologia (il broncospasmo rimane inalterato) e una
ventilazione meccanica "inadeguata" può addirittura peggiorare il quadro di iperinflazione dinamica. Eventuali
complicanze della ventilazione meccanica possono essere: un barotrauma (14%), ipotensione (38%).
La Ventilazione meccanica non invasiva può essere utilizzata come soluzione “ponte” in attesa degli effetti della
terapia medica, evitando l'intubazione tracheale e le possibili complicanze ad essa associate.
BIBLIOGRAFIA
1. N. Engl. J. Med. 305:783, 1981
2. N. Engl. J. Med. 315: 870, 1986
3. Arch. Intern. Med. 143: 1324, 1983
4. " il Washington" Manuale di Terapia, 3a Ed. Italiana, EMSI.
5. Mannino DM, et al. Surveillance for Asthma-United States, 1960-1995. "Morbidity & Mortality Wkly
Rep CDC Surveill" Summ 1998, Apr 24;47(1):1-27.
6. "Emergenze medico-chirurgiche", 2a Edizione, Masson.
7. "Diagnosi e Terapia Medica Pratica", C. Zanussi, 6a Edizione, UTET.
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9. Siafakas NM et al: Optimal assement and management of chronic obstructive pulmonary disease
(COPD). ERS - Consensus Statement. Eur Resp J 1995, 8: 1398-1420.
10. Garetto: La Nuova Medicina d'Urgenza, Torino 1994.
11. Fabbri L et al. Asma. Linee guida: diagnostica, follow-up e terapia. SIMG 1995;6:11.
12. "Percorsi diagnostico-terapeutici in Pneumologia". Documento ufficiale realizzato da AIPO e S.I.Me.R
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16. Littenberg B, Gluck EH.”A controlled trial of methylprednisolone in the emergency treatment of acute
asthma”. Respir Med 1991;85:517-520.
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Pd-T SINDROMI CEFALAGICHE
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
Si è utilizzata come riferimento la classificazione delle cefalee e delle algie facciali della International
Headhache Society (IHS).
La cefalea è una sindrome molto frequente nella popolazione (in Italia ne risultano affetti circa 7 milioni di
soggetti) al punto che, in base a una indagine epidemiologica, solo il 20-30 % degli intervistati ha riferito di non
aver mai sofferto di un attacco di mal di testa. La maggior parte di questi mal di testa sono benigni, mentre circa
il 10% delle forme cefalalgiche ha una sua potenziale pericolosità.
La diagnosi va fatta ponendo molta attenzione all’anamnesi (caratteristiche e periodicità dell’attacco, relazione
con fattori scatenanti o concausali) e alla storia familiare (nel 70% dei casi si ha una storia familiare positiva
per la presenza della stessa patologia).
Quando si visita in Pronto Soccorso un paziente con mal di testa il problema è capire se ci si trova di fronte ad un
cefalalgico noto con il “solito” attacco o se l’attacco di mal di testa può nascondere qualcosa di più grave
(soprattutto se il paziente riferisce di non aver mai provato un dolore simile!).
L’ANAMNESI E L’ESAME OBIETTIVO
Il paziente con cefalea è codificato al Triage come un Codice Giallo.
Il paziente entra in sala visita con tutti i parametri vitali registrati (Pressione arteriosa, Saturimetria, Frequenza
cardiaca, Frequenza respiratoria, Temperatura).
La chiave della diagnosi è da ricercarsi nell'anamnesi accurata del paziente.
Compito primario del medico di Pronto Soccorso è distinguere tra un mal di testa abituale e una cefalea
secondaria a patologia grave.
Occorre indagare su:
Modalità di insorgenza della cefalea (acuta, cronica, ricorrente). Se un paziente non cefalagico si presenta con
una cefalea ad esordio acuto, lamentando un dolore definito come “mai provato prima”, bisogna valutare il
paziente con molta attenzione perché la causa potrebbe essere vascolare.
Se il “mal di testa” invece è insorto gradualmente e perdura da qualche giorno o mese, si può pensare ad un
processo espansivo.
Se il paziente è un cefalalgico noto, bisogna stare attenti solo se le caratteristiche del nuovo attacco sono diverse
rispetto a quelle degli attacchi abituali.
• Durata del disturbo;
• Età di esordio;
• Andamento nel tempo;
• Fattori esacerbanti il dolore;
• Fattori allevianti la sintomatologia;
• Localizzazione del dolore (unilaterale, diffusa, localizzata);
• Associazione con perdita di coscienza;
• Associazione con sintomi visivi: scotomi (deficit del campo visivo), fotopsia (brevi lampi di luce),
scintillii (luci intermittenti talvolta circondate da scotomi), distorsioni visive (da offuscamento visivo a
deformazione delle immagini), “spettri di fortificazione” (linee luminose e frastagliate), cecità
transitoria;
• Se sono stati fatti viaggi all'estero (prendere in considerazione malaria e tifo);
• Se il paziente è immunodepresso.
L'esame obiettivo, che risulta normale nella maggior parte delle cefalee benigne, deve:
• Stabilire il livello di coscienza (GCS);
• Valutare se sono presenti segni di irritazione meningea;
• Valutare se sono presenti segni focali neurologici;
• Valutare l'acuità ed i campi visivi;
• Esame del fundus (edema della papilla, emorragie retiniche),
• Dolorabilità ai seni paranasali;
• Valutazione dell'arteria temporale.
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Se in un individuo compare uno dei seguenti segni di pericolo, diviene obbligatoria l'esecuzione di ulteriori
indagini:
• Non corrispondenza ai quadri clinici benigni, quali quelli dell'emicrania, della cefalea tensionale o di
quella a grappolo;
• Esordio nella mezza età o successivamente;
• Comparsa da poco tempo con decorso progressivo;
• Associazione ad altri sintomi neurologici o sistemici;
• Presenza di anomalie all'esame obiettivo.
Ecco un piccolo schema per iniziare ad orientarsi:
Misurare P.A.Î se è aumentata la cefalea può essere IPERTENSIVA.
Misurare la T°Î se è aumentata con segni di meningismo si può sospettare una MENINGITE; se non ci sono
segni di meningismo ci possiamo orientare verso una cefalea METABOLICA.
Se il paziente è febbrile, ha dolenzia facciale e aumentata dolorabilità alla compressione dei seni paranasali, con
muco purulentoÎ SINUSITE (Rx cranio e seni paranasali)
Se il dolore è improvviso o definito come “il peggior dolore mai provato in tutta la vita”Î sospetto di
EMORRAGIA SUBARACNOIDEA.
Se c’è compromissione dello stato di coscienza Î pensare a lesioni occupanti spazio.
Se ci sono deficit neurologici focali pensare a una EMORRAGIA SUBARACNOIDEA o a LESIONI
OCCUPANTI SPAZIO.
Se COHb > 10% su sangue arteriosoÎ Avvelenamento da CO
Se annebbiamento visivo, arrossamento oculare, pupilla fissa Î GLAUCOMA (visita oculistica)
CLASSIFICAZIONE DELLE CEFALEE E DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Distinguiamo innanzitutto in cefalee primarie (la cefalea è sintomo e malattia, evoluzione benigna, spesso
cronica) e cefalee secondarie (la cefalea è causata da lesioni organiche).
Cefalee primarie
Emicrania con e senza aura
Cefalea a grappolo
Cefalea tensiva
Cefalee secondarie
Infettive (sinusiti,meningiti, encefaliti, mastoiditi, infezioni a partenza odontogena, ascessi intracranici);
Da trazione sulle terminazioni algogene (tumori intracranici, pseudotumor cerebri, ischemia cerebrale,
encefalopatia ipertensiva, sanguinamento intracranico);
Da farmaci e tossici (nitroderivati, calcio-antagonisti, abuso di analgesici, alcool, etc);
Infiammatorie (arterite temporale, vasculiti, arteriti);
Cause extracraniche (nevralgia del trigemino, glaucoma acuto, neurite ottica, malattie della colonna cervicale,
sindrome dell’articolazione temporo-mandibolare).
ESAMI DI LABORATORIO
Una TAC con mezzo di contrasto è l'unico esame diagnostico che, da solo, può identificare gravi patologie
cerebrali responsabili di cefalea; identifica la maggior parte delle lesioni espansive, svela la presenza di
idrocefalo o di edema cerebrale e consente di identificare alcune malformazioni artero-venose. Non è in grado di
identificare gli aneurismi, ma questi raramente generano cefalea fino a che non si rompono o sanguinano, e
qualora lo facciano, il sangue nel parenchima cerebrale o nel CSF è di solito ben visibile sui tomogrammi.
Se dopo una TAC negativa, persiste il dubbio di un'emorragia subaracnoidea o di una meningite, si rende
necessaria l'esecuzione di una puntura lombare.
La VES deve essere controllata in tutti i pazienti in cui compaia una cefalea con le caratteristiche dell’arterite
temporale (vedi oltre).
EMICRANIA
Colpisce il 10-20% della popolazione e risulta la seconda forma più comune di cefalea subito dopo quella
tensiva.
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Il soggetto affetto da emicrania presenta le seguenti caratteristiche:
• Predisposizione costituzionale (il 70% dei pazienti colpiti da questo disturbo ha un parente di primo
grado con una storia clinica di emicrania);
• Quadro clinico caratterizzato da attacchi ripetuti di cefalea unilaterale (70%) o bilaterale (30%) di tipo
vascolare, alternati a periodi liberi;
• Associazione della cefalea a disturbi autonomici e/o neurologici che possono variare nel tipo e
nell'intensità da persona a persona e da attacco ad attacco.
Molti emicranici sperimentano la malattia già durante l'infanzia o l'adolescenza. Con l’avanzare dell'età
solitamente gli attacchi diminuiscono di intensità e di frequenza.
L’emicrania può insorgere a qualunque età ma, essendo rara la sua comparsa dopo i 50 anni, si dovrebbe
ipotizzare un'altra diagnosi in coloro che iniziano a soffrire di cefalea per la prima volta dopo la mezza età
Le donne sono più colpite degli uomini, con un rapporto di 3:1, probabilmente perché fattori ormonali, quali il
ciclo mestruale, possono giocare un ruolo importante nel precipitare l'attacco.
L'emicrania senza aura è la forma di più frequente riscontro.
I criteri per la sua diagnosi sono la presenza di attacchi plurimi di cefalea che, se non trattata, dura da poche ore
fino a qualche giorno (4-72 ore) e che possiede almeno due delle seguenti caratteristiche:
• unilateralità,
• pulsatilità,
• intensità da moderata a grave,
• aggravamento in seguito ad attività (il paziente è costretto all'inattività ed anche il sonno viene
disturbato/impedito),
• storia familiare (70%).
L'attacco può essere moderato o severo e con o senza prodromi.
Si possono associare nausea (80-90%), vomito (40-60%), fotofobia (80%), fonofobia (75-80%). Possono essere
presenti i prodromi (da non confondere con l’aura) costituiti da alterazioni del tono dell’umore, dell’appetito, del
ritmo del sonno nelle ore o nei giorni precedenti l’attacco.
L'emicrania con aura è molto meno comune; si caratterizza per la presenza di un'aura neurologica che precede o
accompagna la prima fase della cefalea e che consiste in manifestazioni visive luminose e scintillanti che si
presentano inizialmente in una parte del campo visivo e lentamente si diffondono e si espandono fino a
coinvolgerlo interamente.
I vari tipi di aura visiva comprendono gli spettri di fortificazione, le fotopsie tremolanti, le distorsioni a tipo onde
di calore e raramente emianopsie. Occasionalmente i sintomi visivi possono essere seguiti da parestesie
transitorie alla bocca o al volto, oppure a un arto superiore. Questi sintomi neurologici svaniscono nell'arco di
15-30 minuti per essere sostituiti da una cefalea pulsante spesso associata a nausea e vomito. Solitamente l’aura
non dura più di 60 minuti e la cefalea segue l’aura con un intervallo libero di meno di 60 minuti.
Molti attacchi di emicrania si manifestano improvvisamente, mentre alcuni sembrano essere precipitati dagli
stress, dall'eccitamento, dalle luci intense, dal ciclo mestruale, dall'alcol o da sostanze alimentari contenenti
tiramina (formaggi), flavonoidi (vino rosso), nitriti (salumi), monosodioglutamato (salsa di soia),
betafeniletilamina (cioccolata).
I contraccettivi orali possono incrementare la frequenza degli attacchi ed esistono evidenze cliniche suggestive
per un aumentato rischio, a seguito dell'assunzione di detti farmaci, di deficit neurologici permanenti quali
emianopsia ed emiparesi che si manifestano dopo un attacco di emicrania con aura.
Alcune persone manifestano alterazioni comportamentali quali depressione, gioia intensa, iperattività o intenso
desiderio di un cibo specifico nelle ore o nel giorno precedente l'attacco emicranico. Tali sintomi prodromici
suggeriscono una compartecipazione ipotalamica o limbica nella patogenesi dell'emicrania.
La patogenesi di questo disturbo è alquanto complessa ed oscura coinvolgendo aspetti neurologici, vascolari e
chimici. Alcuni autori sostengono che il dolore della cefalea emicranica sia dovuto alla dilatazione e
all'infiammazione asettica delle arterie a sede intra- ed extracranica. Tali modificazioni vascolari possono essere
prodotte da varie sostanze trasportate nel sangue quali la serotonina (5HT), gli estrogeni e l'alcol.
Una patogenesi puramente vascolare non è comunque sufficiente a spiegare tutti i fenomeni caratteristici
dell'emicrania, compresa l'aura: in qualche modo il cervello deve esservi coinvolto. Moskowitz suggerisce che
gli aspetti dolorosi degli attacchi emicranici possano originarsi od essere perpetuati da attività riverberanti lungo
il sistema trigemino-vascolare. Infatti la trasmissione neurale di questo nervo può seguire la direzione opposta
con impulsi che dal tronco encefalico raggiungono i vasi sanguigni e , attraverso la liberazione della sostanza P e
di altri peptidi, determinano dilatazione ed infiammazione degli stessi.
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Un più stretto rapporto tra cervello e vasi sanguigni locali è stato fornito dagli studi sulla serotonina negli
emicranici. La concentrazione di tale mediatore si riduce durante gli attacchi ed il ripristino dei valori normali
mediante iniezione endovenosa di serotonina blocca la sintomatologia. Moskowitz ha dimostrato che sostanze
capaci di stimolare i recettori 5HT-1, situati nella porzione presinaptica del nervo trigemino, sono in grado di
inibire il rilasciamento della sostanza P dai terminali sinaptici e prevenire o risolvere la dilatazione e
l'infiammazione dei vasi sanguigni. Questi effetti sono stati osservati con l'agonista selettivo dei 5HT-1
sumatripan e con quello non selettivo DHE (diidroergotamina). Entrambe le sostanze dimostrano una chiara
efficacia nel porre fine agli attacchi acuti di emicrania.
Ci sono grosse evidenze che supportano il ruolo dei recettori cerebrali di serotonina e dopamina; infatti molti dei
sintomi associati agli attacchi di emicrania, come la nausea (80%), il vomito (50%), gli sbadigli, l'irritabilità,
l'ipotensione e l'iper-reattività, sono associati con l'attivazione dei recettori della dopamina.
Antagonisti della dopamina come la metoclopramide e l'aloperidolo hanno dimostrato di essere attivi nel
trattamento dell'emicrania.
Esame obiettivo
Solitamente non ci sono alterazioni fisiche che possano essere correlate all'emicrania.
E' d'obbligo un accurato esame neurologico orientato principalmente alla ricerca di alterazioni della coscienza, di
rigor nucalis, di segni neurologici focali.
Esami di Laboratorio
Servono per escludere le patologie che entrano in diagnosi differenziale.
La TAC del cranio si esegue in casi atipici o selezionati per escludere la presenza di masse intracraniche od
emorragie.
La puntura lombare viene effettuata in casi selezionati per escludere infezioni o micro-emorragie.
Terapia
La terapia sintomatica acuta deve essere mirata a diminuire/eliminare il dolore, a far scomparire i sintomi
associati (nausea, vomito, fono- e fotofobia) e a far riprendere al paziente le normali attività psicofisiche.
I farmaci utilizzati in caso di emicrania sono i seguenti: analgesici e FANS, ergotaminici e derivati, triptani di
prima e seconda generazione, a seconda dell'intensità e delle caratteristiche dell'attacco emicranico.
Altri rimedi risultano utili: mettere il paziente in una camera buia e silenziosa con impacchi freddi sulla zona
dolorante.
La consulenza neurologica deve essere richiesta nei casi dubbi o complessi.
Triptani: farmaci di prima scelta in caso di attacchi gravi di emicrania già documentata. Sono agonisti dei
recettori della 5-HT1 che agiscono causando vasocostrizione delle arterie cerebrali. (Sumatripan: 50 o 100 mg
PO, 20 mg in spray, 6 mg SC, 25 mg supp.; Zolmitriptan, 2.5 mg sl; Rizatriptan, 5-10 mg sl o PO.)
Controindicati in pazienti con patologia ischemica cardiaca, angina di Prinzmetal, emicrania vertebrobasilare.
Ergotamine: Sono antagoniste alfa–adrenergiche e serotoninergiche e vengono associate alla caffeina nei
preparati commerciali (ergotamina+caffeina 2 mg PO).
Controindicate in pazienti con patologie cardiovascolari.
Paracetamolo: da utilizzare negli attacchi lievi e non accompagnati da nausea e/o vomito. Può essere epato- e
nefrotossico e aumenta l’interazione con gli anticoagulanti.
Salicilati: inibiscono la biosintesi dei prostanoidi, bloccando l’attività dell’enzima prostaglandina H sintasi.
Scarsa tollerabilità gastrica.
Indometacina: ha effetto antiprostatglandinico e inibisce il rilascio della serotonina dalle piastrine. Scarsa
tollerabilità gastrica e rischio di reazioni allergiche (100-200 mg/die ev).
FANS: di prima scelta in caso di attacchi lievi o moderati (Naprossene, Ibuprofene, Diclofenac: 500-1000
mg/die PO). Si può associare anche una benzodiazepina (diazepam xv gtt per os).
Quando è presente nausea è risultato molto utile associare la metoclopramide (10 mg EV).
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CEFALEA A GRAPPOLO
Colpisce quasi esclusivamente i maschi e ha inizio, in genere, verso i 30-40 anni. Deve il proprio nome alla
tendenza che hanno gli attacchi a concentrarsi in periodi di tempo limitati.
Un individuo affetto dalla forma tipica sperimenta fino a otto attacchi cefalalgici al giorno per la durata di alcune
settimane o mesi; successivamente il disturbo cessa per ripresentarsi a distanza di mesi o anni con un nuovo
attacco (cefalea a grappolo episodica). In alcuni casi però la malattia si presenta tutti i giorni ed il grappolo di
crisi non ha mai fine ( cefalea a grappolo cronica).
Gli attacchi non si presentano esclusivamente di notte; possono essere scatenati dall'assunzione di alcol, che
sembra essere un potente agente causale degli attacchi. Ogni grappolo, che può durare dai 15 minuti alle 3 ore,
comunemente si esaurisce in 45 minuti. Di solito il disturbo si presenta durante il sonno, risvegliando il
paziente e costringendolo a camminare per la stanza lamentandosi (a differenza dell'emicranico che
preferisce rimanere fermo ed immobile nel letto). Il dolore è profondo, intensissimo e non pulsante; tende ad
interessare le stesse porzioni del capo o del volto ad ogni attacco. Solitamente colpisce un occhio e la tempia
adiacente, la guancia o la fronte. Si associa a lacrimazione ed arrossamento del globo oculare colpito,
abbassamento della palpebra ipsilaterale e miosi omolaterale (parziale Sd. di Horner), congestione o rinorrea
nella narice omolaterale.
La nausea ed il vomito si riscontrano raramente.
Quando la cefalea scompare, il paziente cade esausto nel sonno, per essere risvegliato soltanto ore più tardi da un
altro attacco.
La patogenesi rimane oscura, ma sembra dipendere da spasmi periodici associati ad edema o infiammazione
della carotide interna in tutta prossimità del basicranio. Poco è noto sugli aspetti biochimici del problema.
TERAPIA
Ossigeno 8 L/min per 10 minuti ;
Indometacina (50 mg in 100 cc di fisiologica);
Sumatripan o DHE associati a metoclopramide (vedi dosaggi utilizzati per l’emicrania);
Analgesici o narcotici.
CEFALEA TENSIONALE
Gli attacchi che si presentano durante periodi di lavoro in luogo chiuso o che si associano a fatica probabilmente
sono causati, almeno in parte, da spasmi muscolari dolorosi al collo o allo scalpo. Altri attacchi invece,
probabilmente connessi in maniera più evidente a depressione o ad altre forme di disturbi della sfera emotiva,
possono non avere genesi organica ma piuttosto rappresentare il riferimento somatico di un dolore psichico. La
cefalea tensionale tende ad essere bilaterale, sorda, non pulsante e, dal punto di vista di un osservatore esterno,
non particolarmente intensa. Può essere bifrontale od occipitonucale ed è spesso descritta come "una sorta di
peso in cima alla testa", "una specie di fascia stretta attorno al capo", "una particolare sensazione di pressione
all'interno del capo".
Non si hanno certezze su ciò che aggrava tale cefalea, se si eccettuano stress e fatica, e nulla sembra dare
beneficio se non l'allontanamento dalle situazioni stressanti e, nelle forme leggere e meno radicate, gli analgesici
e gli antidepressivi. La nausea è rara e non ci sono sintomi neurologici di accompagnamento.
Questo tipo di cefalea può presentarsi secondo diversi aspetti di gravità. Da una parte troviamo la maggior parte
della popolazione sana che sperimenta occasionalmente una cefalea; tali attacchi rispondono prontamente a
semplici analgesici ed alla rimozione dell'evento causale. Ci sono poi i pazienti che sono costantemente tesi o
depressi, che soffrono di cefalee ricorrenti; essi percepiscono la relazione esistente tra i loro sintomi ed il loro
stile di vita o stato d'animo e rispondono efficacemente alla terapia psicologica di supporto, agli antidepressivi e
agli analgesici.
Per la diagnosi ci devono essere in anamnesi almeno 10 episodi di cefalea con una durata che può variare dai 30
minuti ai 7 giorni.
TERAPIA
FANS
Benzodiazepine
Amitriptilina (25-50 mg/12 ore)
Dall'altra parte ci sono i pazienti affetti da cefalea cronica quotidiana: essi presentano attacchi cefalalgici per
tutto il giorno, quotidianamente, per mesi o anni e la mescolanza con l'emicrania non è un fatto eccezionale.
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Questi pazienti organizzano la propria vita in relazione alla propria cefalea e si lamentano continuamente
affermando che il loro mal di testa è peggiorato da qualsiasi evento e non è alleviato da nulla. Essi non hanno
risposto o hanno sviluppato effetti collaterali a una grande varietà di farmaci. Sebbene sostengano che gli
analgesici sono inutili, ne abusano di frequente.
ARTERITE TEMPORALE
Si manifesta dopo i 50 anni, presenta una eziologia chiara ed è una patologia molto pericolosa.
L'arterite obliterante progressiva a cellule giganti colpisce non solo le arterie dello scalpo, determinando cefalea,
ma anche altri vasi tra i quali quelli oculari e, occasionalmente, quelli cerebrali. Circa la metà dei pazienti che
manifestano cefalea da arterite temporale e che non vengono sottoposti a trattamento adeguato va incontro a
cecità.
Questo tipo di cefalea si manifesta in soggetti che si sentono ed appaiono malati, affetti da malessere diffuso,
febbre, sudorazione, perdita di peso, artralgie, dolori lombari e alle spalle (polimialgia reumatica); la
claudicatio mandibolare è un segno raro ma virtualmente patognomonico ed è dovuta al restringimento delle
arterie destinate ai muscoli masticatori.
Classicamente la cefalea si localizza ad una tempia, ma qualunque regione dello scalpo può essere coinvolta, a
seconda di quale ramo della carotide esterna risulta infiammato. Essa viene descritta come una fitta al capo,
inizialmente intermittente ed urente, poi peggiora progressivamente nel corso di numerose settimane o mesi fino
a diventare un'algia continua e ben localizzata.
Talora l'arteria dello scalpo colpita appare prominente, dolente, non comprimibile e senza polso. Raramente si
può osservare un'area arrossata sulla cute sovrastante.
La diagnosi viene sospettata quando in un soggetto anziano si manifesta una cefalea trafittiva localizzata e
progressivamente ingravescente. Il sospetto viene rafforzato dalla descrizione di altri disturbi indicativi di una
malattia sistemica, dal ritrovamento di un'arteria dello scalpo anomala e dalla dimostrazione di un elevato indice
di eritrosedimentazione.
La diagnosi viene confermata dalla biopsia dell'arteria colpita, che deve essere eseguita entro 48 ore.
TERAPIA
I corticosteroidi sono efficaci nel ridurre la cefalea e nel prevenire le complicanze. Si dovrebbe cominciare con
prednisone equivalente (80-120 mg/die) fino alla risoluzione dei sintomi ed alla normalizzazione della VES, per
poi venire ridotto alla quantità minima necessaria per mantenere il paziente asintomatico.
Si impone visita oculistica.
EMORRAGIA SUBARACNOIDEA
La cefalea da emorragia subaracnoidea è una delle più intense riscontrate nella pratica medica. In genere
esordisce brutalmente ed impedisce al paziente qualsiasi attività. Si estende all'intero capo e non è rara
l'irradiazione al collo e talora alla regione lombare. Spesso si accompagna ad alterazione della coscienza e a
vomito. La cefalea rimane intensa per molti giorni e poi si riduce in modo graduale. All'esame obiettivo il
paziente appare sofferente, si repertano i segni di irritazione meningea, quali rigidità nucale e talora una
limitazione all'estensione dell'arto inferiore, e occasionalmente emorragie subialoidee all'esame del fundus.
Spesso non sono evidenziabili deficit neurologici a focolaio, però se l'emorragia o l'eventuale infarto associato
coinvolgono il parenchima cerebrale, si possono avere emiparesi, afasia o anomalia del campo visivo.
Le emorragie subaracnoidee sono solitamente dovute a rottura di un aneurisma sacciforme e nella maggioranza
dei casi si manifestano nell'età media. Inizialmente il dolore può essere prodotto dalla distensione e distorsione
dei vasi sanguigni e della membrana aracnoidea ad essi adiacente; il dolore viene poi perpetuato dall'irritazione
chimica prodotta dal sangue sulle strutture algogene vascolari e sulle meningi disposte intorno ai vasi. L'aumento
della pressione intracranica può partecipare alla genesi della cefalea.
Una emorragia subaracnoidea difficilmente non viene diagnosticata in maniera corretta. Talora, però, un
aneurisma o una malformazione arterovenosa sanguinano solo leggermente, causando una cefalea modesta o
intensa ad esordio improvviso ma non accompagnata dai segni di irritazione meningea o di danno neurologico.
Questi casi sono di difficile interpretazione: potrebbe trattarsi di emicrania o di microsanguinamento, che
nell'arco di poche ore o giorni potrebbe essere seguito da un'emorragia subaracnoidea massiva.
I soggetti giovani con una storia pregressa di attacchi cefalagici similari, la cui cefalea al momento dell'indagine
è in fase di remissione, che non hanno manifestato il dolore durante uno sforzo fisico, che appaiono vigili ed
orientati, che non hanno anomali neurologiche o rigidità nucale, probabilmente non hanno un'emorragia
subaracnoidea. Per tutti gli altri soggetti si deve porre il sospetto diagnostico di emorragia subaracnoidea ed essi
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necessitano di una TAC cerebrale per rilevare od escludere la presenza di un processo espansivo o di sangue
negli spazi subaracnoidei. Se la TAC risulta normale, è necessario eseguire una puntura lombare per evidenziare
la presenza di piccole quantità di sangue nel CSF: infatti un esito negativo non esclude piccole emorragie
subaracnoidee. La RM non è di alcuna utilità.
MENINGOENCEFALITI
La cefalea da meningoencefalite esordisce nell'arco di molti minuti od ore. L'intensità può arrivare ad essere
paragonabile a quella che si ha nel corso di una emorragia subaracnoidea e possono associarsi alterazioni della
coscienza e vomito, soprattutto nei bambini.
Sono solitamente presenti i sintomi di irritazione meningea e i sintomi ed i segni di infezione.
I pazienti molto giovani, molto anziani e quelli molto malati possono non manifestare rigidità nucale anche in
caso di meningite conclamata.
Il mancato riconoscimento e quindi il ritardo nell'istituzione di un'adeguata terapia, possono portare alla morte
del paziente.
TUMORI CEREBRALI (IPERTENSIONE ENDOCRANICA)
Un processo espansivo, quale un tumore o un ematoma subdurale, determina uno spostamento o una trazione
sulle strutture intracraniche algogene ed è responsabile di una cefalea progressivamente ingravescente.
Inizialmente il dolore appare leggero ed intermittente, ma nell'arco di alcuni giorni, settimane o mesi, diviene
persistente e molto intenso. E' aggravato dai fattori che aumentano la pressione intracranica, quali la posizione
bassa del capo (la cefalea peggiora al mattino e migliora quando il paziente si alza e cammina), il tossire o il
compiere sforzi, oppure da transitori spostamenti delle strutture craniche, quali quelli che si verificano con lo
scuotimento del capo. La cefalea ha una localizzazione costante.
Quando una massa intracranica raggiunge dimensioni tali da causare cefalea, solitamente è in grado di produrre
altri sintomi e segni neurologici (vaga vertigine, moderata difficoltà nel pensare, modificazioni della
personalità). Si possono poi osservare piccoli segni clinici quali l'abbassamento di un angolo della bocca o
anomalie nei riflessi osteotendinei.
La comparsa di cefalea progressivamente ingravescente, che mantiene la stessa localizzazione e si associa ad
altri sintomi e segni neurologici, deve essere un campanello d'allarme per l'immediata esecuzione di indagini
tendenti a repertare un processo espansivo intracranico.
IPERTENSIONE ARTERIOSA
La maggior parte degli ipertesi non manifesta alcun tipo di cefalea oppure presenta quadri clinici emicranici o
tensionali simili a quelli dei normotesi. In ogni caso, un'ipertensione moderatamente grave (minima >120
mmHg) può essere responsabile di una cefalea che si manifesta nelle ore del mattino, talora provocando il
risveglio del paziente. Tale disturbo, sordo o pulsante, generalizzato od occipitale, si riduce di intensità quando il
pazienti si alza e cammina.
Attacchi parossistici di ipertensione maligna, come talora si osservano nel feocromocitoma, possono associarsi a
cefalea parossistica.
NEVRALGIA DEL TRIGEMINO
Il tic douloureux o nevralgia trigeminale è la più comune algia facciale di tipo nevralgico; colpisce tipicamente i
soggetti anziani e si presenta come fitte ricorrenti della durata di 1-2 secondi, molto intense, unilaterali, il più
delle volte localizzate nell'area di distribuzione V2 oppure in una combinazione delle aree V2-V3 del nervo
trigemino. Patognomonica è la capacità del paziente di scatenare il dolore stimolando il volto o la mucosa
buccale (trigger zone). Alcuni casi possono essere dovuti all'irritazione della radice del trigemino da parte di
un'ansa vascolare pulsatile, appartenente a un vaso arteriosclerotico di dimensioni abnormi.
Quando un quadro tipico di nevralgia del trigemino si manifesta in un soggetto giovane, si deve sospettare la
diagnosi di sclerosi multipla.
TERAPIA
Carbamazepina 100-400 mg/ 8 h PO oppure
Clonazepam 2-6 mg/24 h oppure
Baclofen 5-25 mg/8 h PO.
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RIASSUNTO EMICRANIA
Attacchi ripetuti di cefalea unilaterale o bilaterale con almeno 2 delle seguenti caratteristiche:
‰ pulsatilità
‰ intensità da moderata a grave
‰ costrizione all’inattività
‰ disturbo/impedimento del sonno
‰ ed almeno 2 dei seguenti sintomi:
‰ nausea
‰ vomito
‰ fonofobia
‰ fotofobia
Principi di Terapia
Mettere il paziente in una stanza buia e silenziosa con del ghiaccio in applicazione locale.
Triptani nelle varie formulazioni (no in pazienti con CI) + 10 mg metoclopramide ev.
oppure FANS + 10 mg metoclopramide ev + benzodiazepine
RIASSUNTO CEFALEA A GRAPPOLO
Il dolore ha le seguenti caratteristiche:
‰ intenso
‰ profondo
‰ non pulsante
‰ interessa sempre le stesse zone del capo e del volto.
‰ Sintomi associati:
‰ lacrimazione ed arrossamento del globo oculare colpito
‰ abbassamento della palpebra ipsilaterale
‰ miosi omolaterale
‰ rinorrea omolaterale
‰ nausea e vomito (raramente)
Ogni grappolo dura dai 15 minuti alle 3 ore, solitamente si presenta durante il sonno, risvegliando il paziente e
costringendolo a camminare per la stanza lamentandosi;
Può essere:
EPISODICA: fino ad 8 attacchi/die per settimane o mesi, intervallati da periodi di benessere
CRONICA: il grappolo non ha mai fine
Principi di Terapia
Ossigeno 8 L/minuto per 10 minuti
Indometacina ev
Triptani o DHE + 10 mg metoclopramide ev
Analgesici/narcotici
RIASSUNTO CEFALEA TENSIVA
Dolore bilaterale (bifrontale od occipitonucale); non pulsante, sordo.
Principi di Terapia
Analgesici comuni
Miorilassanti
Amitriptilina 25-50 mg/12 ore
Antidepressivi
RIASSUNTO ARTERITE TEMPORALE
Esordio dopo i 50 anni.
Si manifesta in soggetti malati (malessere diffuso, febbre, sudorazione, perdita di peso, polimialgia reumatica).
Claudicatio mandibolare (rara ma patognomonica).
Dolore trafittivo intermittente ed urente che con l’andare del tempo diventa continuo e ben localizzato.
L’arteria dello scalpo colpita appare:
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prominente
dolente
non comprimibile
senza polso
con la cute sovrastante arrossata (raramente).
La VES e la conta delle PLT risultano aumentate;
Si impone la BPS dell’arteria .
‰
‰
‰
‰
‰
RIASSUNTO EMORRAGIA SUBARACNOIDEA
Esordio improvviso e violento.
Solitamente compare in seguito a sforzo fisico.
Dolore esteso a tutto il capo e talvolta irradiato al collo e alla regione lombare.
Impedisce qualsiasi attività.
Nausea, vomito ed alterazioni della coscienza sono frequentemente associati.
Dura molti giorni e poi diminuisce gradualmente.
Il paziente è sofferente, ha segni di irritazione meningea e all’esame del fundus talora compaiono emorragie
subialoidee.
Se l’emorragia o l’eventuale infarto coinvolgono il parenchima cerebrale ci sono segni focali.
Fare TAC e puntura lombare.
RIASSUNTO MENINGOENCEFALITI
Esordio graduale.
Intensità che può diventare simile a quella che si ha nelle emorragie subaracnoidee.
Alterazioni della coscienza e vomito.
Segni di irritazione meningea.
Segni e sintomi di infezione.
RIASSUNTO TUMORI CEREBRALI (Ipertensione endocranica)
Inizialmente il dolore è leggero ed intermittente ma, nel corso di settimane o mesi, diventa persistente e molto
intenso.
Localizzazione costante.
Associazione con sintomi neurologici: vertigini, alterazioni della personalità e del pensiero.
Anomalie dei riflessi osteotendinei.
Fattori aggravanti: posizione bassa del capo, tosse, sforzi, scuotimento del capo.
BIBLIOGRAFIA
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Pd-T DOLORE TORACICO
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
La valutazione dei pazienti con dolore toracico acuto è molto complessa perché molte malattie non cardiache
(gastrointestinali o comunque extratoraciche) danno una sintomatologia toracica ed entrano in diagnosi
differenziale con esso.
A causa della importanza della sintomatologia toracica e della significativa riduzione della morbidità e mortalità
mediante una diagnosi ed un trattamento precoce, è fondamentale la prima valutazione della sintomatologia
attraverso un valido Triage, una rapida ed accurata valutazione ed un precoce inizio della terapia. Si sente quindi
il bisogno di percorsi diagnostico-terapeutici codificati che permettano la rapida e sicura diagnosi di sindrome
coronarica acuta e che sfruttino al meglio le strutture operative cardiologiche e le risorse disponibili.
DATI EPIDEMIOLOGICI
L'infarto del miocardio, l'embolia polmonare e la dissecazione aortica sono spesso associati con decessi
improvvisi; miocardite, pneumotorace, polmonite e pericardite sono associate con una significante morbidità e
mortalità.
Dati provenienti da analisi effettuate prevalentemente negli USA evidenziano che:
ƒ il 55% dei pazienti ricoverati in ospedale per dolore toracico non ha malattie cardiache;
ƒ il 30-40% dei ricoveri in UTIC per dolore toracico da sospetta sindrome coronarica acuta è improprio;
ƒ il 2-8% dei pazienti con dolore toracico dimessi dal DEU sviluppa nei giorni successivi un infarto
miocardico acuto;
ƒ il 50-60% di coloro i quali riceveranno in seguito una diagnosi di infarto miocardico acuto presenta un
ECG non diagnostico.
E’ stato infatti dimostrato che i dati clinici e l’ECG registrati all’ingresso del paziente in Pronto Soccorso hanno
una bassa sensibilità (18-65%) ed una bassa specificità (69%) per sindrome coronarica acuta.
ASPETTI MEDICO-LEGALI
La gestione clinica dei pazienti con dolore toracico acuto è piuttosto complessa e presenta notevoli implicazioni
medico-legali, organizzative ed economiche.
A causa della elevata possibilità di errore e delle relative sequele medico-legali per “malpractice”, molti medici
attuano una politica conservativa di ricovero con il risultato di un eccesso di ricoveri inappropriati (pazienti
senza patologia cardiaca acuta) in terapia intensiva
D’altra parte, l’erronea dimissione dei pazienti con infarto miocardico rappresenta, negli Stati Uniti, il 20% delle
cause medico-legali contro i medici dei Pronto Soccorso.
GESTIONE PRIMARIA
Dalla Letteratura si evince che i pazienti con dolore toracico vanno SEMPRE sottoposti a:
ƒ visita medica: anamnesi patologica, carattere e durata del dolore, valutazione dei fattori di rischio
cardiovascolare (vedi tabella 2), esame obiettivo, da effettuare entro i primissimi minuti dal loro arrivo;
ƒ ECG: a 12 derivazioni + monitoraggio elettrocardiografico;
ƒ frequenti controlli dei parametri vitali (PA, polso, respirazione, T°, SatO2);
ƒ determinazioni seriate dei markers di danno miocardico (CK-MB, cTn);
ƒ Rx del torace per escludere altre patologie che rientrano nella diagnosi differenziale.
Altre valutazioni strumentali potranno essere effettuate in base a successive indicazioni.
Anche la valutazione della proteina C-reattiva è molto utile, in quanto la sua precoce elevazione nei pazienti con
angina instabile o IMA non-Q associata ad elevata troponina T identifica un sottogruppo ad alto rischio di eventi
cardiaci a breve termine.
STEP FONDAMENTALI NELLA DIAGNOSI DIFFERENZIALE
In un paziente con dolore toracico considerare:
ƒ Inizio, sede ed irradiazione del dolore;
ƒ Tipo di dolore: severità, qualità, frequenza, durata;
ƒ Differenze o similitudini rispetto a precedenti episodi;
ƒ Fattori aggravanti o allevianti;
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ƒ Sintomi associati.
Bisogna innanzitutto porre attenzione alle caratteristiche del dolore toracico (sede, irradiazione, tipo di dolore,
durata, fattori aggravanti, fattori allevianti, sintomi associati) e alla presenza di indicatori clinici di aumentato
rischio di eventi.
In base alla sede del dolore ci si può indirizzare verso diverse patologie (es.: se il dolore è a livello dei campi
polmonari l’origine potrebbe non essere cardiaca ma polmonare, se è epigastrico potrebbe trattarsi di un dolore
di origine gastrointestinale, etc).
La classica irradiazione della cardiopatia ischemica va al collo, alla mandibola, all’arto sup sx; se invece è
retrosternale e urente si potrebbe pensare ad un disturbo esofageo; se è al dorso in regione interscapolare si
potrebbe sospettare un aneurisma in dissecazione o ancora a disturbi dell’apparato gastrointestinale.
Il tipo di dolore caratteristico della cardiopatia ischemica e il segno di Levine (il paziente descrive il dolore
mettendo la mano a pugno in mezzo al torace). Se il dolore viene esacerbato dai movimenti e dagli atti
respiratori è verosimilmente di origine polmonare o muscolo-scheletrica. Se il dolore viene descritto come urente
è giusto orientarsi verso un disturbo esofageo.
Per quanto riguarda la durata, il dolore da IMA solitamente dura più di 15 minuti; se è fugace non ha alcun
significato, mentre se va dai 2 ai 5 minuti potrebbe trattarsi di un dolore anginoso.
Lo stress fisico o emotivo e il freddo possono essere fattori scatenanti o aggravanti la patologia ischemica
(anche se oltre il 60% degli IMA si manifesta a riposo). L’ingestione di pasti o di alcool invece solitamente
aggravano o scatenano dolori di origine gastrointestinale.
Gli antiacidi possono essere fattori allevianti una esofagite, ma anche una angina; la TNG sublinguale allevia il
dolore da IMA, da angina e da spasmo esofageo; la posizione ortostatica allevia il dolore da disturbi esofagei, da
ericardite, da dispnea di origine polmonare o cardiaca.
Sintomi associati quali nausea, vomito, sudorazione, dispnea e palpitazioni sono aspecifici. Se è presente tosse
con espettorato e febbre ci si può orientare verso una polmonite; una dispnea improvvisa che compare prima del
dolore toracico, con o senza segni di TVP ad un arto, dovrebbe farci pensare a una embolia polmonare; la
presenza di formicolii o intorpidimenti alle estremità e in sede periorale, soprattutto in soggetti giovani, ci
orienta verso uno stato di iperventilazione da ansia (attenzione: la diagnosi di stato d’ansia deve essere una
diagnosi di esclusione!).
Gli Indicatori clinici di aumentato rischio di eventi sono:
ƒ durata del dolore > 15 minuti (perché verosimilmente in relazione alla rottura di placca);
ƒ dolore toracico associato a sottoslivellamento del tratto ST o inversione profonda dell’onda T
(suggestivo di coronaropatia ed ampia area ischemica a rischio);
ƒ dolore toracico associato a insufficienza mitralica transitoria, ipotensione, elevata frequenza cardiaca o
scompenso cardiaco (indicativo di estesa area ischemica a rischio);
ƒ presenza di livelli patologici di cTn (troponine cardiache) nel siero.
(*I pazienti che hanno uno o più di questi indicatori dovrebbero essere ricoverati in UTIC, in quanto la
prevalenza di eventi maggiori a breve termine è elevata.)
Esame fisico
Valutazione dei parametri vitali: pressione sanguigna, polso, respirazione, temperatura;
Obiettività cardio-polmonare;
Obiettività addominale: organomegalie, masse pulsanti, contrattura di difesa;
Valutazione delle estremità: colore, edema, polsi, temperatura.
Elettrocardiogramma
L’ECG è un esame rapidamente disponibile, poco costoso e utilizzabile per lo screening di massa nella
popolazione che giunge al Pronto Soccorso lamentando dolore toracico.
L’accuratezza diagnostica della metodica non è ideale, essendo elevata per l’infarto miocardico acuto ma
piuttosto bassa per l’angina instabile.
Un ECG normale ha un alto valore predittivo negativo per l’IMA, ma è anche vero che il 10-20% dei pazienti
con dolore toracico acuto ed ECG non diagnostico può sviluppare un infarto miocardico nelle ore successive.
Il primo obiettivo del medico di P.S. deve essere quello di identificare il più rapidamente possibile i pazienti con
dolore toracico ed ST sopraslivellato (il sopraslivellamento del tratto ST è diagnostico di IMA con una
specificità del 99.7%)o blocco di branca sinistra di nuova insorgenza all’ECG; in questo sottogruppo di pazienti
sono noti i benefici prognostici derivanti dalla pronta riperfusione miocardica (farmacologica o meccanica).
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Il secondo obiettivo è quello di identificare, tra i rimanenti pazienti con dolore toracico, quelli in cui tale
sintomatologia può essere la manifestazione clinica di una cardiopatia ischemica acuta e stratificarne il rischio di
eventi maggiori (infarto miocardico o morte) a breve termine.
L’ECG deve essere ripetuto nel tempo anche nei giovani e nei casi atipici.
L’ECG può essere:
1) Diagnostico:
sopraST > 1 mm in almeno 2 derivazioni;
sottoST > 1 mm in almeno 2 derivazioni;
onde T negative profonde in almeno 2 derivazioni.
2) Non diagnostico.
ECG Diagnostico: pazienti con dolore toracico e sopraslivellamento-ST
Sospetto
Elementi per la DD
IMA
Storia clinica, dolore tipico, enzimi
Angina instabile
Risposta a nitrati, enzimi cardiaci
Pericardite
Storia clinica, enzimi , Eco
Miocardite
Storia clinica, tipo alterazioni ECG, Eco
Embolia polmonare
Anamnesi, ECG (S1-Q3, BBD), Eco
Sopra-ST benigno
Ripolarizzazione precoce, stabilità ECG, enzimi, Eco
ECG Diagnostico: pazienti con dolore toracico e sottoslivellamento-ST
Sospetto
Elementi per la DD
IMA non-Q
Angina instabile
Troponine
Dissezione aortica
Enzimi negativi, dilatazione aorta, doppio lume alla TTE o TEE
Sindrome X
Sesso femminile, dolore atipico, enzimi negativi, eco normale
ECG non diagnostico: pazienti con dolore toracico ed ECG non diagnostico
Disturbi di conduzione (BBS, BBD)
Sindrome di WPW
Pace-maker ventricolare
Limitata estensione dell’ischemia
Sede dell’ischemia infero-dorsale
Pregressi infarti con sopra- o sotto-ST persistente
Alterazioni
della
ripolarizzazione
(IVS
sovraccarico, farmaci, cardiomiopatie)
con
Fattori di rischio per coronaropatia
ƒ Sesso M>F
ƒ Età
ƒ Familiarità per coronaropatia
ƒ Fumo di sigaretta
ƒ Ipertensione
ƒ Ipercolesterolemia (diminuito rapporto HDL/LDL)
ƒ Diabete mellito
ƒ Contraccettivi orali, estrogeni, menopausa
ƒ Personalità tipo A
ƒ Obesità
ƒ Ipertrigliceremia
ƒ Iperuricemia
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ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
Vita sedentaria
Consumo eccessivo di alcool
Segni ECG di ipertrofia ventricolare sinistra
Allettamento/interventi chirurgici recenti
Abuso di sostanze tossiche (cocaina, amfetamine, stimolanti/eccitanti)
MARKERS BIOUMORALI
I markers bioumorali di danno miocardico hanno una grande importanza nei pazienti in cui l’ECG e la storia
clinica non sono dirimenti per la diagnosi.
Le caratteristiche di un marker ideale di danno miocardico sono:
presenza in alta concentrazione nel miocardio ma non negli altri tessuti;
rapido rilascio dopo il danno, in proporzione all’entità della lesione;
prolungata persistenza nel sangue che consenta una finestra diagnostica conveniente ma non troppo lunga, tale
da compromettere la possibilità di diagnosticare la recidiva infartuale.
Creatinchinasi e creatinchinasi MB (CK e CK-MB)
La CK è presente in tutti i tessuti muscolari mentre il suo isoenzima CK-MB è caratteristico del muscolo striato
e viene usato come marker per la diagnosi di IMA.
Bisogna però tenere conto del fatto che i valori della CK-MB hanno:
bassa specificità perché i suoi valori infatti aumentano anche a causa di sforzi fisici, danni traumatici, iniezioni
intramuscolari, miopatie, ipotiroidismo, tumori, post-partum, nei neonati e nei bambini;
bassa sensibilità nei pazienti che arrivano entro 6 ore dall’insorgenza del dolore e in quelli che si presentano
oltre le 48-72 ore.
Mioglobina
La mioglobina è un marker sensibile di danno miocardico (è elevata nel 62% dei casi all’ingresso e nel 100%
dopo 3 ore). Ha però una bassa specificità perché i suoi livelli nel siero aumentano anche in caso di traumi
muscolari e di insufficienza renale.
Dal punto di vista pratico, il dosaggio della mioglobina dovrebbe essere utilizzato solo nei pazienti con dolore
toracico insorto da meno di 6 ore e andrebbe associato ad un marker cardiospecifico.
Troponine
Le troponine T ed I sono isoforme della troponina assolutamente cardiospecifiche e quindi la loro presenza nel
sangue è da interpretare sempre come patologica.
La loro provenienza esclusivamente miocardica spiega l’elevata specificità clinica.
Il tempo di rilascio delle troponine cardiache è sovrapponibile a quello del CK-MB, ma la loro permanenza in
circolo è più prolungata (7 giorni per la TnI e 10-14 giorni per la TnT), consentendo anche la diagnosi tardiva di
IMA, ben dopo la normalizzazione di CK-MB.
L’utilizzo del dosaggio plasmatico delle cTn ha anche permesso la diagnosi di angina instabile, il cui solo segno
di lesione miocardica è il riscontro di cTn in circolo. Le cTn possono essere rilevate nel 30-40% dei pazienti con
angina instabile entro 6 ore dall’ultimo episodio di dolore. Si ritiene che questo danno miocardico minimo sia
dovuto all’embolizzazione periferica di trombi che si sono formati su placche aterosclerotiche instabili. Tale
riscontro indica che questi pazienti fanno parte di un gruppo ad alto rischio di eventi cardiovascolari (morte
cardiaca o infarto miocardico) a breve termine.
Il picco di TnT durante le prime 24 ore fornisce il miglior indice prognostico, indipendentemente dal fatto che il
paziente abbia angina instabile o infarto miocardico non-Q.
Nei pazienti con ECG normale e cTn negativa il rischio di eventi cardiaci è estremamente basso.
La cTn va valutata all’ingresso e dopo 6 ore dall’inizio dei sintomi.
Se risulta negativa in entrambi i casi il paziente può essere dimesso.
Ecocardiografia-2D
Il valore dell’ecocardiografia nella diagnostica del paziente con dolore toracico acuto è ancora incerto.
La maggior utilità viene riscontrata nei pazienti con dolore toracico in atto o cessato da pochi minuti, o di lunga
durata, senza pregresse necrosi (a meno che non si disponga di un precedente esame di confronto).
E’ diventato di grande importanza nella DD con l’embolia polmonare, la pericardite acuta, la dissezione aortica
con sopra-ST benigno, la sindrome X, e nella diagnosi di IMA con ECG non diagnostico (IMA piccoli e/o in
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sedi non ben esplorate da ECG, valutazione della sede e dell’estensione dell’ischemia, stratificazione
prognostica, scelta della terapia.
I limiti dell’ECO-2D consistono nella cattiva qualità delle immagini, nella forte operatore-dipendenza, nella
presenza di falsi positivi (soprattutto in sede inferiore) e falsi negativi (IMA non-Q), nella difficile DD in
pazienti con pregressi IMA e/o asinergie di contrazione preesistenti.
Test da sforzo
Un treadmill test eseguito entro poche ore in pazienti con ECG e marker negativi è in grado di stratificare i
pazienti con dolore toracico, individuando quelli che possono essere dimessi con sicurezza e quelli per i quali è
invece opportuna una ospedalizzazione.
Altre Cause di dolore toracico
Una volta esclusa la presenza di una patologia cardiaca acuta, bisogna considerare tutte le altre cause di dolore
toracico.
MALATTIE CARDIO-VASCOLARI
AFFEZIONI POLMONARI
AFFEZIONI GASTRO-INTESTINALI
AFFEZIONI
SCHELETRICHE
Angina pectoris
IMA
Tachiaritmie
Bradiaritmie
Steno-insufficienza aortica
Prolasso della mitrale
Stenosi mitralica
Miocardiopatia ipertrofica
Pericardite
Sd. Post-infartuale
Dissezione aortica
Rottura di aneurisma aortico
Tromboflebite superficiale
Mondor)
(Sd.
Pneumotorace
Pneumomediastino
Pleurite e pleurodinia
Embolia polmonare, infarto
Ipertensione polmonare
Polmonite
Malattie dell'esofago (esofagite,
ernia jatale, spasmo esofageo)
Perforazione di esofago, stomaco,
duodeno
Ulcera peptica
Pancreatite
Colecistite
Sd. Della flessura splenica
MUSCOLO- Costocondrite
Discopatie o artropatie cervicodorsali
Sd. Di Tietze
Sd. Dello sbocco toracico
Spasmo muscolare e fibrosite
Algie della parete toracica
aspecifiche
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MISCELLANEA
Stati d'ansia (iperventilazione)
Herpes zoster
Neoplasie del torace
La diagnosi di uno stato ansioso va presa in cosiderazione solo dopo aver escluso altre cause più importanti.
RICORDARSI DI:
Controllare se sono presenti variazioni pressorie posturali o polso paradosso.
Controllare l'eventuale presenza di una retinopatia diabetica o ipertensiva, di infezioni o di un palato ogivale (Sd.
Marfan) o di un prolasso della mitrale.
Valutare la presenza di un'eruzione cutanea tipo Herpes Zoster ( vescicole a grappolo con distribuzione
metamerica), di noduli eritematosi sulla giunzione costo-condrale ( Sd. Tietze), di contusioni originate da
eventuali traumi toracici.
Un dolore evocato alla palpazione della parete, che riproduce esattamente quello avvertito dal paziente,
suggerisce un disturbo di origine muscolo-scheletrica.
Verificare se esistono processi in sede addominale, in particolare un'aneurisma dell'aorta. Controllare la
comparsa o scomparsa dei polsi che suggerisce la presenza di una dissecazione aortica.
Ricercare un'eventuale tromboflebite, che suggerisce la possibilità di embolia polmonare, oppure un'artrite
indicativa di febbre reumatica.
Ricercare toni cardiaci anomali tipo 3° o 4° tono, click, soffi o sfregamenti.
Escludere patologie della mammella.
Misurare la PVC.
Sindrome coronarica acuta: principi di terapia
I pazienti con sospetto dolore toracico di tipo ischemico dovrebbero essero sottoposti ad ECG entro 10 minuti
dal loro ingresso in PS.
A tutti i pazienti con dolore toracico suggestivo di ischemia:
ƒ monitoraggio dei parametri vitali
ƒ accesso venoso (1-2)
ƒ ECG a 12 derivazioni
ƒ Anamnesi e fattori di rischi
ƒ Indicazioni e controindicazioni alla terapia fibrinolitica
ƒ Markers di danno miocardio
ƒ Elettroliti e coagulazione
ƒ Rx del torace
Il medico di PS dovrebbe dividere poi questi pazienti in 3 sottogruppi:
Gruppo A: sopraslivellamento del tratto ST > o = 1mm o nuova insorgenza di blocco di branca sinistra. In
questi pazienti la riperfusione con fibrinolitici dovrebbe essere effettuata in tempi brevi (soprattutto in pazienti
con meno di 75 anni entro 12 ore dall’insorgenza dei sintomi). Occorre eseguire i prelievi per il dosaggio degli
enzimi di danno miocardio e determinare le indicazioni e le eventuali controindicazioni all’uso della terapia
fibrinolitica. Utile la consulenza cardiologica.
Terapia
Ossigeno a 4L/min (la saturazione di ossigeno deve essere superiore al 90%);
Aspirina 160-325 mg PO (soprattutto nei pazienti candidati alla terapia fibrinolitica e alla PCI). Controindicata
in pz allergici all’acido acetilsalicilico;
Nitroglicerina SL o spray (se la pressione sistolica è oltre 90 mmHg e non ci sono altre controindicazioni. Se il
dolore non passa, utilizzare la morfina)
Morfina 2-4 mg EV, ripetibile ogni 5 minuti se il dolore non passa con i nitrati (controindicata se è presente
ipotensione.
Ricorda l’acronimo MANO: Morfina, Aspirina, Nitrati, Ossigeno.
In aggiunta si possono utilizzare:
beta-bloccanti: da utilizzare in pazienti che non presentino controindicazioni (FC<60bpm, PA sistolica< 100
mmHg, moderata o severa insufficienza ventricolare sx, segni di ipoperfusione periferica/shock, PR >0.24 sec,
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blocco di branca di II-III grado, severa BPCO, asma, malattia vascolare periferica) e entro 12 ore dall’inizio
dell’infarto.
nitroglicerina EV (evitarne l’uso in pazienti che hanno assunto il Viagra nelle precedenti 24 ore perché il loro
effetto vasodilatatore si potenzia e si possono avere casi di ipotensione refrattaria e morte!)
eparina EV a basso peso molecolare: iniziare con un bolo di 60 U/kg (senza superare le 4000 U) e far seguire
da una infusione di 12 U/Kg/h (senza superare 1.000 U/h). Utile soprattutto in pazienti che verranno sottoposti a
fibrinolisi e riperfusione. Controindicazioni: sanguinamento attivo, recente chirurgia intracranica, intraspinale,
dell’occhio, ipertensione severa, disordini della coagulazione, sanguinamento gastrointestinale.
ACE inibitori
I pazienti con alto rischio di infarto del ventricolo destro (alterazioni nelle derivazioni inferiori: II, III, aVF) sono
molto sensibili alla nitroglicerina, ai diuretici, alla morfina e a tutti i vasodilatatori; bisogna quindi evitarne la
somministrazione in questi pazienti.
Gruppo B: sottoslivellamento del tratto ST > o = 1 mm (o sopraslivellamento del tratto ST temporaneo). Il
sottoslivellamento del tratto ST è un indicatore di forte rischio di eventi coronarici. Si devono eseguire i prelievi
per il dosaggio dei markers di danno miocardio. Il trattamento più efficace per tali pazienti è la triplice terapia
antitrombotica: aspirina (160-325 mg PO), inibitori della GP IIb/IIIa ed eparina a basso peso molecolare
(enoxaparina). Utile la consulenza cardiologica.
Gruppo C: ECG non diagnostico (depressione del tratto ST inferiore a 1 mm o anomalie dell’onda T) o ECG
anormale. Nei casi dubbi eseguire il prelievo per i markers di danno miocardio e il monitoraggio ECG. Utile la
consulenza cardiologica.
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Pd-T COLICA RENALE
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
La nefrolitiasi colpisce il 2-10% della popolazione; gli uomini sono colpiti più delle donne (2-3:1) ma le donne
sono più frequentemente colpite dalle complicanze (idronefrosi infetta) con un picco nella terza e nella quarta
decade.
I calcoli generalmente originano all’interno del rene e procedono distalmente, creando vari gradi di ostruzione
urinaria quando si arrestano in restringimenti anatomici come la giunzione uretero-pelvica o la giunzione
ureterovescicale.
Il passaggio di un calcolo renale dalla pelvi renale attraverso l’uretere provoca un dolore violentissimo
(paragonabile solo al dolore del travaglio di parto).
I calcoli ureterali associati ad ostruzione ed infezione del tratto urinario superiore sono vere emergenze
urologiche perché si possono complicare con l’urosepsi o con un ascesso perinefritico.
Solo il 20% dei pazienti necessita di un ricovero ospedaliero per dolore implacabile o per infezione del tratto
urinario prossimale.
CENNI DI ETIOPATOGENESI
La maggior parte dei calcoli renali si forma quando la concentrazione di un sale in grado di formare cristalli
solidi aumenta.
Ci sono 4 tipi fondamentali di calcoli renali:
ƒ Calcoli di calcio (75%)
ƒ Calcoli di struvite (15%)
ƒ Calcoli di acido urico (6%)
ƒ Calcoli di cistina (2%)
I fattori di rischio sono:
a) metabolici:
ipercalciuria (riscontrata nel 50% dei pazienti con calcoli)
La più comune causa di ipercalciuria è quella dovuta ad un aumento dell’assorbimento intestinale del
calcio. Questo disordine è inoltre associato con una bassa densità minerale ossea delle vertebre. La
causa dell’aumentato assorbimento intestinale è sconosciuta. L’eziologia è rappresentata da
ipercalciuria idiopatica, svariati stati ipercalcemici, iperossaluria e iperuricosuria. Calcoli privi di calcio
sono i calcoli di acido urico (associati o meno alla gotta ed alle malattie mieloproliferative), i calcoli di
struvite (associati alle infezioni croniche delle vie urinarie) ed i calcoli di cistina (causati da un difetto
metabolico congenito).
Ipocitraturia: i citrati inibiscono e rallentano la formazione dei calcoli renali. L'acidosi è la principale
causa di ipocitraturia. Questa viene anche causata da infezioni a causa della degradazione dei citrati da
parte degli enzimi batterici.
Iperuricosuria
Gotta
Iperossaluria: contribuisce alla formazione di calcoli di ossalato calcico e può essere dovuta a una
causa genetica (mutazione nel gene dell'alanina) o acquisita.
Cistinuria
Infezioni del tratto urinario con alcalinizzazione delle urine.
b) Nutrizionali ed ambientali.
L’esercizio fisico intenso o l’eccessiva sudorazione in un ambiente caldo possono causare la
formazione di calcoli attraverso l’aumento della concentrazione urinaria, variazioni del pH e
ipocitraturia.
Un aumentato apporto di sale con la dieta può aumentare l’ipercalciuria ed abbassare la
concentrazione dei citrati.
Una dieta ricca di proteine animali fa aumentare la concentrazione urinaria di acido urico e calcio, ed
abbassare quella dei citrati.
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CLINICA
La maggior parte dei pazienti si presenta con dolore addominale colico che all’inizio può essere lieve ma che
può aumentare fino a diventare lancinante entro 30-60 minuti.
Il dolore è inizialmente localizzato in sede lombare ma, quando il calcolo passa nel terzo distale dell’uretere, può
irradiarsi in fossa iliaca, all’inguine, al testicolo o alla vulva. Talora il dolore è in ipocondrio destro; in tal caso si
pone la diagnosi differenziale con una colecistite.
Il paziente è incapace di stare sdraiato e calmo (ciò è importante per la diagnosi differenziale con l'irritazione
peritoneale a causa della quale solitamente il paziente rimane il più fermo possibile per minimizzare il dolore).
Frequentemente si associano nausea e/o vomito e costipazione per ileo riflesso, dovuti alle connessioni nervose
tra il plesso celiaco, mesenterico e renale. Possono essere presenti disuria e pollachiuria; in circa un terzo dei casi
compare ematuria franca.
Il segno del Giordano è quasi sempre positivo.
Se è presente febbre bisogna sospettare una idronefrosi infetta, una pionefrosi o un ascesso perinefritico.
Se il calcolo si trova in vescica il paziente è asintomatico oppure può presentare ritenzione urinaria posizionale
(precipitata dalla posizione ortostatica ed alleviata dalla posizione supina) per l’effetto a valvola di un calcolo
allo sbocco della vescica.
Ricordate che se un paziente di oltre 60 anni si presenta con un primo episodio di colica renale, è necessario
escludere che si tratti di una patologia vascolare acuta (aneurisma aortico in dissecazione).
DIAGNOSI
Nei pazienti in cui l’anamnesi e l’esame obiettivo fanno sospettare una nefrolitiasi, vanno eseguiti:
ƒ emocromo
ƒ stick urine
ƒ radiografia diretta dell’addome e/o ecografia dell’addome
DATI DI LABORATORIO
- Ematocrito: solitamente normale. Si può avere una lieve leucocitosi in assenza di infezione. Se la conta è
superiore a 15.000, sospettare un’infezione concomitante.
- Ematochimici: elettroliti, azotemia e creatininemia sono normali a meno che non sia presente un certo grado di
disidratazione o una malattia concomitante del parenchima renale. Una ipopotassiemia e una diminuzione dei
bicarbonati fanno sospettare una acidosi tubulare renale distale associata alla presenza di calcoli di calcio.
- Urine (stick urine): la maggioranza dei pazienti presenta ematuria macro- o microscopica; l’assenza di
ematuria non esclude la diagnosi.
Più di 10 leucociti/mmc di urina non centrifugata possono indicare la presenza di una infiammazione causata da
un calcolo o di una infezione urinaria concomitante. L’urinocoltura permette di discriminare tra queste due
possibilità.
Un pH urinario > di 7 suggerisce la presenza di organismi come il Proteus, la Klebsiella o la Pseudomonas e la
presenza di calcoli di struvite.
Un pH < di 5 depone per la presenza di calcoli di acido urico.
INDAGINI RADIOLOGICHE
Rx diretta dell’addome: risulta una metodica poco utile data la non preparazione dei pazienti all'esame; infatti
solo in casi isolati si è ha evidenziazione di formazioni radiopache di sicura pertinenza delle vie urinarie. La
radiografia dell'addome ha una sensibilità compresa tra il 44 e il 77%, con una specificità tra l'80 e l'87%.
Ultrasuoni: l'ecografia ha una specificità assoluta (100%). Gli ultrasuoni possono rilevare la presenza di calcoli
radio-opachi e radio-trasparenti > 2 mm. L’ecografia viene considerata da molti come il test di scelta in pazienti
gravide, in pazienti con allergia ai mezzi di contrasto, elevati livelli sierici di creatinina, sospetto di aneurisma
aortico addominale in dissecazione (in pazienti con più di 60 anni). La sensibilità alla presenza di calcoli nella
giunzione uretero-vescicale è migliore che con l’IVP (Pielografia intravenosa).
I vantaggi dell’ecografia consistono nell’assenza di esposizione alle radiazioni, nell’assenza di un mezzo di
contrasto, nell’assenza di nefrotossicità e nel basso costo. Gli svantaggi sono rappresentati dalla differente
manualità dell’operatore.
Urografia endovenosa: è il test diagnostico più sensibile (87-90%) per i calcoli dell’uretere ed andrebbe eseguito
quando si sospetta questa possibilità e non sono visibili calcoli nel radiogramma diretto dell’addome. In caso di
frequenti recidive, non occorre ripetere l’esame ad ogni episodio acuto, a meno che non compaiano febbre,
dolore persistente od una presentazione clinica atipica.
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IVP ed ecografia possono essere considerati esami complementari nella valutazione delle nefrolitiasi.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
- Altre cause di dolore addominale:
appendicite,
pancreatite,
colecistite,
pielonefrite,
gastroenterite,
occlusione intestinale,
gastrite,
ulcera peptica,
diverticolite,
aneurisma addominale.
Gravidanza ectopica, torsione ovarica e rottura di cisti ovarica, PID.
Epididimite e torsione del funicolo.
TRATTAMENTO
Analgesici: la buprenorfina (Temgesic®) alla dose di 0,3 mg IM induce pronta e duratura remissione della
sintomatologia dolorosa, anche di notevole entità. Si può anche utilizzare morfina EV a piccole dosi crescenti
fino a che il dolore non si attenua o scompare. In questi casi bisogna controllare accuratamente l’eventuale
comparsa di depressione respiratoria (tenere a portata di mano l’antidoto: naloxone).
FANS: Ketoralac (Toradol®: 30-60 mg im o ev), indometacina (Liometacen®: 50 mg in 100 cc fisiologica),
ketoprofene (Artrosilene®: 160 mg im) sono i più usati.
Liquidi per infusione endovenosa: nei pazienti che non presentino una storia di scompenso cardiaco può essere
utile somministrare soluzione fisiologica e.v (200-250 ml/ora), che corregge eventuali disidratazioni in atto e,
incrementando la diuresi, facilita l’espulsione del calcolo (teoria controversa).
Antiemetici: metoclopramide cloridrato (Plasil®: 10 mg) EV/IM a pazienti con nausea o vomito.
Ricovero: il sospetto di infezione (febbre, leucocitosi significativa) costituisce indicazione al ricovero per
rimuovere i calcoli e somministrare antibiotici per via parenterale. In caso di calcoli voluminosi, che non
possono essere espulsi spontaneamente, è necessario il ricovero per un trattamento risolutivo (litotripsia con
ultrasuoni, estrazione con cestello o intervento chirurgico).
I pz che non hanno bisogno del ricovero, si possono curare con analgesici orali, antiemetici per via orale o
rettale, terapia reidratante per via orale e diminuzione dell’introito di sali.
Andrebbe loro raccomandato di conservare gli eventuali calcoli espulsi per le analisi e prenotata una visita
urologica entro 2-3 giorni, a meno che non si presenti febbre, dolore incoercibile o vomito.
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North Am 2000 May; 27(2): 243-53.
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IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia
Direttore: dott.ssa Maria Antonietta Bressan
Pd-T INTOSSICAZIONE DA FUNGHI
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
AMANITA PHALLOIDES
L’intossicazione da Amanitina (tossina presente nell'Amanita Phalloides ma anche in altri funghi) va sempre
sospettata in chi si presenta in Pronto Soccorso con sintomi gastroenterici dopo aver ingerito funghi nelle 8-36
ore precedenti. E’ una intossicazione grave: la mortalità dei pazienti è del 10-60%. Una caratteristica
dell'avvelenamento da Amanitina è il lungo periodo di latenza asintomatico (8-36 ore) (Fase 1).
I sintomi caratteristici gastroenterici (vomito, abbondante diarrea acquosa simile a quella causata dal colera,
crampi addominali) compaiono tardivamente e possono causare una importante disidratazione, fino al collasso
cardiocircolatorio (Fase 2).
Durante lo stadio sintomatico si sviluppa il danno epatico (nel 70%), come indicano le alterazioni dei dati di
laboratorio (aumento delle transaminasi, del tempo di protrombina e della bilirubina). In altri casi il danno
epatico si evidenzia dopo la risoluzione dei sintomi gastro-enterici. Al danno epatico si può associare un danno
renale conseguente alla disidratazione non trattata adeguatamente.
L’amanitina viene escreta con l’emuntorio renale; può quindi essere dosata nelle urine.
Il danno epatico e renale diventano clinicamente evidenti (Fase 3) e possono portare a una insufficienza epatica
fulminante e renale. La morte può avvenire dopo 3-7 giorni. Nei casi ad evoluzione benigna segue una fase di
lenta risoluzione dell'epatite (Fase 4).
Per ogni dubbio telefonare agli specialisti in Tossicologia del Centro Antiveleni di riferimento.
FASE 1 (latenza 8-36 ore)
I primi sintomi sono:
ƒ Nausea e vomito,
ƒ Dolori addominali,
ƒ Importante diarrea acquosa,
ƒ Disidratazione.
Se i sintomi gastrointestinali si manifestano entro 4 ore dall'ingestione, teoricamente non sono causati da funghi
contenenti l'amanitina, ma ciò non esclude che nel "cocktail" ingerito non fosse presente qualche fungo
contenente amanitina.
Chiedere sempre accuratamente:
se il paziente ha ingerito funghi nelle 48 ore precedenti e se i funghi ingeriti erano tutti uguali o di specie
diverse; in questo caso chiedere a quante specie appartenevano. Tenere presente che anche i funghi cotti,
surgelati, sott'olio e secchi possono essere tossici.
dopo quanto tempo e come si sono manifestati i sintomi;
se il cibo è stato mangiato anche da altre persone. In tal caso richiamare in P.S. tutti i commensali del paziente
con sospetto avvelenamento e trattarli tutti, in quanto l'avvelenamento può decorrere anche in modo del tutto
asintomatico e rendersi manifesto solo con i danni epato-renali tardivi.
Tenere sotto controllo questi pazienti e gli eventuali commensali fino a:
dosaggio negativo di amanitina urinaria o
36-48 ore dopo l'assunzione dei funghi se non compaiono segni di danno epatico (ittero, letargia, ematomi) o
renale.
Se è possibile, recuperare, conservare e far esaminare gli alimenti sospetti al Micologo reperibile dell’ASL di
Castrate (Telefonare al centralino dell’ospedale di Castrate che fornirà il numero di cellulare del Micologo
Reperibile).
ANALISI DI LABORATORIO
URINE: Prelevare immediatamente un campione di urine (10ml) da sottoporsi al Kit R.I.A. per esame urine da
inviare, previo accordo telefonico, al Centro Antiveleni più vicino (il Servizio di Pronto Soccorso-Accettazione
dell’IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia fa riferimento al Centro Antiveleni della Fondazione Maugeri di
Pavia, tel. 0382/24444).
Il Kit R.I.A dosa la presenza di alfa-amanitina nelle urine, è l'unico test che consente una diagnosi specifica di
intossicazione falloidea e permette, se negativo, di dimettere il paziente.
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SANGUE: (da ripetere ogni 6 ore)
ƒ Transaminasi
ƒ PT
ƒ Bilirubina
ƒ Fosfatasi Alcalina
ƒ Elettroliti, azotemia, creatininemia
ƒ Amilasi
ƒ Glicemia
CRITERI DI GRAVITÀ
Clinicamente la GRAVITA’ è data anche solo dal “sospetto” di intossicazione da Amanita Phalloides, che si
pone con i sintomi ed il tempo di latenza caratteristici.
I seguenti valori ematochimici (Transaminasi > 2000, PT < 10% o rapida variazione dei due precedenti markers)
si hanno nella fase tardiva e possono non essere presenti nella realtà del Pronto Soccorso, per cui ricordiamo che:
si impone il Codice Rosso anche solo con il sospetto di intossicazione da funghi.
I parametri ematochimici vanno controllati ogni 4-6 ore e va tenuta in considerazione la possibilità di una
insufficienza epatica fulminante trattabile con trapianto di fegato.
TERAPIA
Data l’elevata mortalità è necessario un approccio rapido e aggressivo basato su quattro fondamenti:
1) Ridurre l'assorbimento dell'Amatossina:
Lavanda gastrica se il paziente non ha ancora vomitato e l’ingestione è avvenuta da circa un’ ora.
Carbone vegetale attivato (CVA): 1g/kg subito + somministrazione continua per 96 ore (in Reparto). Ricordare
che 1 cucchiaio da tavola raso corrisponde a 5 g di CVA.
Catarsi salina (30 g magnesio solfato). E' indispensabile perché le amatossine ricircolano nell'intestino per 96
ore.
2) Reidratare il paziente:
Soluzione glucosata al 5% (con elettroliti al bisogno) in grande quantità (2-3 litri subito; 1 litro ogni 10 kg di
peso + le perdite, salvo controindicazioni, in seguito).
3) Prevenire/bloccare il danno epatico da amatossina:
NAC (N-acetilcisteina) 150 mg/kg in infusione per un'ora e mezza. Equivale a 1/2 fiala di Fluimucil/kg ( uomo
70 kg = 35 fl), da iniziare entro un'ora dall'arrivo in P.S
4) Aumentare l'eliminazione del tossico:
Diuresi forzata (in Reparto).
Anche se può essere logisticamente problematico, occorre trattenere in osservazione anche i commensali
asintomatici !
CORTINARIUS
Alcune specie di Cortinarius (C. speciosissimus; C. orellanus) sono particolarmente insidiose in quanto
confondibili con i comuni chiodini, ma velenose e mortali.
Nell'avvelenamento da Cortinarius l'incubazione è ancora più lunga (1 settimana - 15 giorni) e talvolta il paziente
rimane asintomatico fino al manifestarsi di una grave Insufficienza Renale.
I pazienti sospettati di intossicazione da Cortinarius vanno seguiti ambulatorialmente periodicamente.
Il trattamento base consiste nell’aumentare la diuresi.
LAVANDA GASTRICA (TECNICA)
Preparazione
Proteggere le vie aeree tramite intubazione con tubo cuffiato nei casi in cui è indicato (paziente incosciente,
convulsioni in atto o latenti).
Anamnesi accurata per valutare indicazioni e eventuali controindicazioni ( es. varici esofagee).
Posizionare il paziente
Il paziente cosciente deve essere posto in decubito laterale sinistro (meglio ancora se si dispone su un lettino
inclinato con il capo declive rispetto al corpo). Questa posizione permette di svuotare efficacemente con la sonda
il contenuto gastrico che si raccoglie lungo la grande curvatura dello stomaco e riduce il passaggio del liquido di
lavanda attraverso il piloro durante l’esecuzione della lavanda. La posizione declive del capo riduce inoltre i
rischi di aspirazione del contenuto gastrico in caso di vomito.
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Se tale postura non è possibile, la lavanda gastrica deve essere eseguita in posizione supina (es. paziente
intubato).
Sonde
Le sonde da lavanda gastrica sono in materiale trasparente e possiedono alcuni orifizi laterali di grandi
dimensioni nella parte terminale. Per tutta la lunghezza si trovano indicatori per valutare la profondità di
inserimento. Nell’adulto sono indicate sonde di calibro da 30 a 50 French (10-16 mm) con lunghezza di circa
120 cm. Si deve utilizzare la sonda con calibro più grosso possibile. Le sonde con diametro superiore ad 1 cm
consentono di recuperare più facilmente il materiale solido ed hanno minore possibilità di inginocchiarsi.
Qualora il contenuto gastrico da rimuovere sia liquido e non vi sia presenza di cibo, è possibile utilizzare sonde o
sondini di calibro inferiore (0,5 cm).
Posizionamento sonda
Le sonde possono essere introdotte sia per via oro-gastrica che naso-gastrica. Le sonde di diametro maggiore di
36 French dovrebbero essere sempre introdotte per via oro-gastrica al fine di evitare lesioni alla mucosa ed ai
turbinati. L’introduzione per via oro-gastrica è generalmente meglio tollerata, ma il paziente non collaborante o
soporoso può mordere la sonda: in questi casi è meglio utilizzare un bloccamorso da endoscopia.
Aspirazione
Una volta verificata la corretta posizione dell’estremità del sondino nello stomaco, si aspira il contenuto gastrico.
L’aspirazione deve precedere l’immissione di liquido e deve proseguire fino a quando lo stomaco risulta
vuoto. A questo scopo è meglio ripeterla retraendo e spingendo di qualche centimetro la sonda.
Conservazione del campione
Conservare un campione del contenuto gastrico aspirato per eventuali successive analisi.
Lavaggio
Una volta completata l’aspirazione del contenuto gastrico, si inizia il lavaggio dello stomaco. Devono essere
introdotti e rimossi volumi fissi di liquido di circa 200 ml nell’adulto e di circa 100 ml nei bambini di età
compresa tra i 5 ed i 12 anni. Una quantità maggiore di liquido stimolerebbe il passaggio del contenuto gastrico
attraverso il piloro, mentre una quantità minore non sarebbe efficace. Si può utilizzare un raccordo ad Y
clampando alternativamente il ramo afferente e quello efferente, oppure può essere spostata di volta in volta la
sonda da una posizione superiore ad una inferiore al livello dello stomaco del paziente. I volumi di liquido
immessi e drenati devono defluire liberamente per gravità: se ciò non avviene, la sonda è malposizionata, piegata
od ostruita da materiale solido. Il recupero del liquido immesso può essere facilitato esercitando un lieve
massaggio sullo stomaco, oppure aspirando attivamente con uno schizzettone se residui solidi ostruiscono
parzialmente il lume della sonda.
Quantificazione del lavaggio
La lavanda deve essere proseguita fino a quando fuoriesce liquido chiaro e limpido, privo di residui solidi; a
questo punto bisogna proseguire il lavaggio fino ad utilizzare ancora 1-2 litri di liquido. Non esiste una quantità
definita di liquido che deve essere utilizzata: in presenza di alimenti nello stomaco e comunque in caso di
ingestione di sostanze solide e/o molto pericolose si dovrebbero utilizzare non meno di 10 litri nell’adulto. Al
termine della lavanda gastrica la quantità di liquidi introdotti è, il più delle volte, superiore a quella rimossa. Per
questo motivo è necessario conteggiare il bilancio tra liquidi introdotti e rimossi al fine di calibrare le successive
terapie.
Tipo di liquido
Nell’adulto la lavanda gastrica può essere eseguita con acqua potabile a temperatura ambiente. Nel bambino è
indicato usare soluzione fisiologica ( per i possibili rischi di iponatriemia) che dovrebbe essere riscaldata a circa
35-40°C.
Addizione di antidoti
E’ possibile aggiungere al liquido di lavanda eventuali antidoti di volta in volta indicati. Questi possono essere
somministrati, secondo le specifiche indicazioni, prima, nelle fasi iniziali, nelle fasi finali o durante tutta la
lavanda gastrica. Il carbone vegetale attivato deve essere somministrato sempre alla fine, per poter controllare
l’aspetto del liquido rimosso.
Rimozione della sonda
Al termine della lavanda, la sonda deve essere rimossa dopo essere stata chiusa o pinzata, per evitare
l’aspirazione di liquido. Se vi è indicazione diagnostico-terapeutica a mantenere il sondaggio gastrico, è
consigliabile sostituire la sonda con un sondino più adeguato, per via naso-gastrica. Durante la lavanda gastrica,
la sonda deve essere rimossa in caso di vomito per consentire al paziente di proteggere le vie aeree con i normali
meccanismi.
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BIBLIOGRAFIA
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Pd-T INTOSSICAZIONE DA CO
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
Il monossido di carbonio (CO) è un gas inodore, incolore, insapore e non irritante, che si forma tutte le volte che
si brucia un combustibile contenente carbonio in presenza di una quantità di ossigeno non adeguata alla
combustione (combustione incompleta). Viene liberato nell’atmosfera dagli scarichi industriali, dagli autoveicoli
con motore a scoppio, dagli impianti di riscaldamento e dal fumo in generale (compreso quello di sigaretta).
L’ossido di carbonio è tossico perché, quando presente in quantità elevata, si lega fortemente all’emoglobina (il
CO presenta un’affinità per l’emoglobina 200-300 volte maggiore rispetto a quella dell’ossigeno) dando luogo
alla formazione di Carbossiemoglobina (COHb) che non permette ai tessuti di ricevere sufficienti quantità di
ossigeno per il loro metabolismo con conseguente quadro di ipo/anossia tessutale.
SINTOMATOLOGIA
La sintomatologia dell’avvelenamento da CO è simile a quella di altre patologie, quindi è molto importante
tenerla in considerazione durante la fase della diagnosi differenziale.
Il dubbio sulla possibilità di una intossicazione da CO deve essere posto quando un paziente si presenta con uno
stato di malessere generale accompagnato da cefalea, nausea, vomito, tremori muscolari, se anche altri
componenti della famiglia o coinquilini o persone soggiornanti negli stessi ambienti del paziente presentano lo
stesso corredo sintomatologico e se i sintomi scompaiono con l’allontanamento dall’ambiente in questione.
Si parla di intossicazione da CO quando si riscontrano:
ƒ valori di COHb > o uguali a 5% nei bambini e nei soggetti non fumatori;
ƒ valori di COHb > o uguali a 10% nei fumatori.
Attenzione: se il prelievo per la COHb viene effettuato tardivamente, un riscontro di bassi valori di COHb non
esclude una intossicazione da CO!
Le FORME LIEVI (talvolta da esposizione cronica) si presentano con cefalea pulsante (prevalentemente
frontale), vertigini, nausea e vomito, turbe dell’attenzione.
In questi casi l’intossicazione può essere confusa con altre patologie autolimitanti (influenza), molto frequenti
durante i mesi invernali; la nausea ed il vomito possono far pensare ad un problema di intossicazione alimentare
Le FORME INTERMEDIE (esposizione acuta o cronica) si presentano con astenia, cefalea, confusione
mentale, turbe del comportamento, lentezza di ideazione, disturbi di coordinazione motoria, visione offuscata,
dispnea, tachicardia.
Le FORME GRAVI (esposizione acuta) si manifestano con sopore (fino al coma), disorientamento
spazio/temporale, convulsioni, sincope, ipotensione, dolore toracico, palpitazioni, aritmie, segni di ischemia
all’ECG, edema polmonare, acidosi lattica, mionecrosi, bolle cutanee. In questi casi i sintomi cardiocircolatori
possono indirizzare verso la diagnosi di una patologia cardiaca primitiva; i sintomi neurologici possono deporre
per un problema neurologico-psichiatrico.
La “famosa” colorazione rosso ciliegia della cute e delle mucose non è quasi mai rilevabile (tranne che in alcune
autopsie!).
DIAGNOSI
Nel paziente con intossicazione da CO, la saturimetria al dito risulta nella norma perché i pulsossimetri non
riescono a discriminare tra HbO2 e COHb.
Dopo l’anamnesi (indagare bene su tutte le persone presenti sul luogo dell’intossicazione) e l’esame obiettivo
occorre eseguire:
ƒ emogasanalisi con la determinazione della percentuale di COHb (il prelievo di sangue può essere sia
arterioso che venoso);
ƒ Elettrocardiogramma;
ƒ Prelievi ematochimici (emocromo, transaminasi, LDH, CK totale, CK-MB, mioglobina, Troponina
I/T, azotemia, creatininemia);
ƒ Test di gravidanza;
ƒ RX del torace (solo se si sospetta una pneumopatia bollosa o è presente in anamnesi un pregresso
pneumotorace).
DIAGNOSI-DIFFERENZIALE
Sindrome influenzale
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Sincope
Scompenso cardiaco
Altre intossicazioni (alimentari, da solventi, alcoolica)
Patologie psichiatriche
Cefalea, emicrania
Patologie cerebrali (ischemia, emorragia, neoplasie)
TERAPIA
In caso di intossicazione da CO è necessario che tutti i soggetti presenti sul luogo dell’avvenuta intossicazione,
anche se asintomatici, vengano sottoposti a misurazione della COHb ed eventualmente trattati.
Una volta fatta diagnosi di intossicazione da CO bisogna somministrare immediatamente ossigeno al 100% con
maschera con reservoir poi, a seconda della gravità dell’intossicazione, si continuerà la ossigenoterapia
normobarica o si opterà peruna ossigenoterapia iperbarica.
Con l’ossigenoterapia normobarica occorrono 40-80 minuti per dimezzare la concentrazione ematica di COHb;
con l’ossigenoterapia in camera iperbarica (3 Atm) occorrono invece meno di 25 minuti e si riducono i rischi di
danni neurologici tardivi.
L’Ossigeno Terapia Normobarica (Ossigeno 100% con maschera con reservoir per almeno 4-12 ore) è
indicata nei pazienti con HbCO<25%, senza perdita di coscienza, con sintomi lievi (Forme Lievi).
Qualora la sintomatologia non si risolvesse in 4-6 ore, può essere utile contattare il Centro Iperbarico.
Vanno trattati con Ossigeno Terapia Iperbarica (OTI) tutti i pazienti con :
ƒ COHb > 25%;
ƒ Pregressa ischemia miocardica e COHb> 15%;
ƒ dolore toracico e segni ECG di ischemia miocardica, o aritmie insorte, presumibilmente, in corso di
intossicazione;
ƒ momentanea perdita di coscienza;
ƒ coma;
ƒ gravidanza in corso;
ƒ sintomi neuropsichiatrici;
ƒ acidosi metabolica;
ƒ persistenza della sintomatologia dopo 4-6 ore di ossigeno normobarico.
I pazienti intossicati da CO dovrebbero ripetere l’ECG e i markers di danno miocardico a 12, 24 e 48 ore; inoltre
sarebbe utile eseguire un ecocardiogramma in prima giornata (entro 24 ore). Una volta dimessi questi pazienti
dovrebbero essere affidati a strutture idonee che li seguano per almeno 8-12 mesi in modo da monitorare un
eventuale sviluppo di una sindrome neurologica tardiva (che può causare deterioramento mentale, disturbi
motori, incontinenza sfinteriale, cecità corticale, convulsioni, neuropatie periferiche, alterazioni della personalità,
deficit mnemonici, psicosi).
Si ricorda che va effettuata la segnalazione di sospetta intossicazione da CO tramite l'apposito modulo.
Per consulenze o terapie urgenti telefonare ai seguenti numeri:
FIDENZA
Centralino
0524/515111
Rianimazione
0524/515238
(notte e festivi)
OTI
0524/515239
Fax
0524/515405
ZINGONIA
Via Bologna 1 P.IVA 00765430160
Centralino
035/884406
Fax
035/882402
ILMI
(Istituto Lombardo Medicina Iperbarica)
Via Premuda, 34 20129- Milano
Urgenza (teledrin)
8811
Segreteria
02/76022511
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Fax
02/76001735
02/76004035
BIBLIOGRAFIA
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2. Barret L, Danel V, Faure J. “Carbon Monoxide poisoning, a diagnosis frequently overlooked”. Clin
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Pd-T SOSPETTO AVVELENAMENTO DA MORSO DI VIPERA
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
Tratto da Decidere in Medicina :“Avvelenameto da morso di vipera: trattamento pre-ospedaliero, monitoraggio
e indicazioni alla terapia antidotica”
In italia sono presenti quattro tipi di vipere (v. Aspis, cv. Berus, v. Ammodytes, v. Ursinii) e sono solitamente ben
distinguibili dalla serpe innocua (vedi tab.1).
TAB.1: come distinguere le vipere velenose dalle serpi innocue
VIPERA
SERPE
sub-triangolare a forma di cuore ben ovale
TESTA
distinta dal corpo
coda tozza e tronca anch’essa ben non esistono distinzioni tre testa, corpo e coda
CORPO/CODA
distinta dal corpo
verticali a fessura
rotonde
PUPILLE
SCAGLIE
TRA sono presenti scaglie disposte su più è presente una sola fila di scaglie
OCCHIO
E file
BOCCA
Una o due piccole ferite puntiformi Serie diferite puntiformi superficiali di circa 1 mm
MORSO
di 0,5-1 mm di diametro, distanti 5-8 ciascuna, ravvicinate e disposte in serie semplice a
mm; non è presente escoriazione da forma di arco; escoriazioni dovute a lesione da
lesione da strappo
strappo poiché i denti hanno forma uncinata
Dolore ed edema locale
Modesta dolenzia locale a rapida risoluzione senza
SEGNI LOCALI
segni sistemici
Il morso di vipera non è necessariamente associato all’avvelenamento poiché l’animale può mordere senza
inoculare il veleno (“morso secco”) in una alta percentuale dei casi (20-62%).
In ogni caso il morso di vipera va considerata una urgenza perché si possono verificare casi ad evoluzione letale
(reazione anafilattica al veleno di vipera, tossicità sistemica grave).
Segni e sintomi locali
I segni locali evolvono durante le prime 24-48 ore dopo il morso per poi regredire lentamente.
Ai segni locali possono poi seguire segni e sintomi sistemici (vedi Tab.2).
Primi provvedimenti extra-spedalieri
In ambito extra-ospedaliero bisogna:
ƒ tenere a riposo la vittima e tranquillizzarla;
ƒ togliere tutto ciò che può creare danno in caso di sviluppo di edema locale (anelli, orologi);
ƒ togliere gli indumenti nel distretto interessato dal morso;
ƒ disinfettare la ferita e applicare ghiaccio non a diretto contatto con la cute;
ƒ se possibile disporre un accesso venoso;
ƒ trattamento sintomatico del dolore;
ƒ solo in caso di tempi di trasporto prolungati o di fronte a una clinica in rapido peggioramento, effettuare
un bendaggio compressivo-immobilizzazione.
Sono assolutamente da controindicare le pratiche che possono favorire la diffusione del veleno (incisione,
suzione, ecc), quelle che impediscono la corretta vascolarizzazione dell’arto interessato (laccio emostatico,
touniquet) e l’iniezione di siero antiofidico.
Tab.2 Segni e sintomi locali e sistemici
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Latenza
entro pochi minuti
Segni e sintomi
dolore intenso locale; edema duro, dolente, con cute congesta ed ecchimotica,
che si estende rapidamente intorno alla sede di inoculo del veleno; dai fori
fuoriesce liquido siero-ematico.
0-6h
l’edema si estende, compaiono discromie cutanee, con chiazze cianotiche ed
ischemiche
dopo 12 h
il quadro locale si complica con infarcimento emorragico, linfangite,
adenopatia e sulla cute sono presenti macchie livide e flittene.
È possibile lo sviluppo di una sindrome compartimentale
Entro 24 h (morso distale) Angoscia, agitazione, sete, malessere generalizzato, nausea, vomito, dolori
o entro 6 h (morso addominali, diarrea, ipertermia, vertigini, dolori muscolari e articolari,
profondo vicino a grossi oftalmoplegia, ptosi palpebrale.
vasi o in soggetti di
piccola corporatura)
Casi gravissimi
Insufficienza circolatoria fino allo shock, insufficienza cerebrale (perdita di
coscienza, convulsioni), insufficienza renale acuta (necrosi tubulare),
alterazioni neurologiche (atassia, alterazioni del sensorio, paralisi
respiratoria), alterazioni della coagulazione (anemia, coagulopatia da
consumo fino alla DIC, emorragie, trombosi).
In Ospedale
ƒ Se durante il soccorso preospedaliero è stato applicato un bendaggio compressivo, in ospedale dovrà
essere tolto, in modo graduale e etenendo a disposizione i farmaci e i presidi necessari ad affrontare le
conseguenze cliniche del possibile effetto “bolo”;
ƒ Attribuzione della classe di gravità (vedi Tab.3);
ƒ Verifica della copertura antitetanica ed eventuale profilassi;
ƒ Prelievo per esami ematochimici (emocromo completo, coagulazione, enzimi muscolari, funzionalità
renale, elettroliti)
ƒ ECG;
ƒ Terapia sintomatica per il dolore;
ƒ Monitoraggio della progressione dell’edema perilesionale e dei segni e sintomi sistemici, con
rivalutazione della classe di gravità ogni 1-2 ore;
ƒ Osservazione per almeno 8-12 ore in caso di morso senza sintomi di avvelenamento (grado 0);
ƒ Ricovero per i pazienti con avvelenamento di grado 1,2 o 3;
ƒ Considerare i criteri per la somministrazione di aantidoto per il trattamento dei pazienti con
avvelenamento di grado 2 e 3.
ƒ È assolutamente controindicata l’immediata somministrazione del siero antiofidico.
Tab.3 classificazione dei morsi di vipera
Classe
di Segni e sintomi
gravità
Grado 0
Segni dei denti nella sede del morso, assenza di edema e di reazione locale
Grado 1
Edema locale, assenza di segni o sintomi sistemici
Grado 2
Edema regionale dell’arto colpito e/o sintomi o segni sistemici moderati (ipotensione moderata,
vomito, addominalgie, diarrea)
Grado 3
Edema generalizzato interessante il tronco e/o sintomi o segni sistemici gravi (ipotensione
prolungata, shock, reazione anafilattoide, sanguinamento)
TRATTAMENTO ANTIDOTICO
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La terapia antidotica consiste nella somministrazione di immunoglobuline eterologhe (o frammenti di esse) in
grado di chelare il veleno.
La somministrazione del siero antiofidico deve essere effettuata solo in ambiente ospedaliero; l’efficacia di tale
antidoto è documentata per il solo impiego endovenoso (peraltro il più maneggevole) ed è indicata nei casi in
cui compaiono alterazioni dei parametri emocoagulativi, sintomi gastroenterici importanti e prolungati,
aritmie cardiache, dispnea, edema imponente dell’arto coinvolto.
In età pediatrica le dosi di antidoto sono uguali a quelle per l’adulto. Non esiste documentazione sull’uso degli
antidoti durante la gravidanza e l’allattamento. In questi casi le indicazioni al trattamento devono considerare il
rapporto rischio-beneficio, alla specificità dell’antidoto disponibile e al rischio di effetti collaterali ad esso
associato.
Il trattamento con frammenti anticorpali F(ab’)2 e Fab non ha messo in evidenza nessun caso di reazione
immediata o ritardata. Questi possono essere somministrati in avvelenamenti di grado 1 e 2.
In assenza di trattamento antidotico la durata della degenza media è più lunga e l’incidenza di complicanze in
fase acuta e di sequele a medio-lungo termine è più elevata.
OSSERVAZIONE BREVE
Per tutti i morsi di vipera (grado 1-3) la durata dell’osservazione non deve essere inferiore alle 24 ore.
Per i pazienti con morso di grado 0 è stata suggerita una osservazione di 8-12 ore.
Durante l’osservazione andranno eseguite le misurazioni delle circonferenze della parte colpita e della
controlaterale indenne inizialmente ogni 1-2 ore o con frequenza maggiore in caso di rapida progressione della
sintomatologia.
Inoltre andranno monitorati:
ƒ emocromo
ƒ coagulazione
ƒ d-dimero
ƒ hitachi
ƒ EGA
ƒ Esame urine
ƒ Una leucocitosi e le alterazioni della coagulazione sono specifiche degli avvelenamenti moderati o
gravi.
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Pd-T SOSPETTO TROMBOEMBOLISMO VENOSO ACUTO
(a cura di: Dott.ssa K.Granzow, Dott.ssa P. Tatoni)
Il tromboembolismo venoso acuto (TEV), costituito dalla trombosi venosa profonda (TVP) e dall’embolia
polmonare (EP), rappresenta un’urgenza medica con alto tasso di mortalità e morbilità. La sua incidenza annua è
di circa 1 nuovo caso/1000 abitanti ed è responsabile di circa 50.000 decessi all’anno.
Le seguenti indicazioni dovrebbero servire come strumento per sensibilizzare al problema del TEV e per
facilitare l’approccio al paziente con sospetta TVP/EP in Medicina d’Urgenza.
GESTIONE TVP
Un’attenta valutazione clinica che tenga conto di segni, sintomi e fattori di rischio è il primo step nella diagnosi
di una sospetta trombosi venosa profonda (TVP).
I sintomi e segni clinici suggestivi per TVP sono rappresentati da:
ƒ dolore a riposo e/o alla deambulazione;
ƒ dolore alla dorsiflessione del piede (segno di Homans);
ƒ edema;
ƒ iperestesia cutanea;
ƒ arrossamento ed altre alterazioni del colorito cutaneo;
ƒ presenza di reticolo venoso cutaneo di nuova insorgenza.
Tali alterazioni sono del tutto aspecifiche e possono essere presenti anche in linfangiti, ipodermiti, rotture di cisti
di Baker o altre condizioni muscoloscheletriche, da considerare come diagnosi alternativa (DA).
I fattori di rischio più importanti per una TVP sono rappresentati da neoplasie, interventi chirurgici recenti,
immobilizzazione prolungata, terapie ormonali, gravidanza, puerperio e trombofilia nota.
In Medicina d’Urgenza è raccomandabile l’utilizzo di un modello clinico standardizzato di facile applicazione
per la valutazione del rischio che ha il paziente di avere una TVP in atto. Il più validato è senza dubbio il
modello di Wells che valuta la “probabilità clinica a priori” (PCP) e che stratifica i pazienti in categorie a basso,
intermedio ed alto rischio (vedi oltre).
Dopo la valutazione clinica il sospetto di TVP deve sempre essere confermato da test diagnostici oggettivi.
L’esame strumentale diagnostico di scelta è l’ ultrasonografia con compressione (CUS). Tale metodica consente
di esplorare tutto l’asse venoso profondo e di verificarne la pervietà e la comprimibilità mediante leggera
pressione della sonda: se il tratto venoso risulta comprimibile e le pareti della vena collabiscono completamente
esso è sicuramente libero dalla presenza endoluminale di materiale trombotico.
In condizioni di emergenza ha grande importanza distinguere tra la localizzazione prossimale (dalla vena
poplitea in su) e quella distale (vene profonde del polpaccio: tibiali anteriori, posteriori e peroniere). Studi
relativi alla storia naturale delle TVP distali hanno dimostrato che una loro risalita prossimale si verifica solo nel
20-30% dei casi e in genere avviene entro 7 giorni dalla comparsa dei sintomi; nei rimanenti casi la TVP distale
va incontro a risoluzione spontanea (20-30%) o persiste più a lungo. La prevalenza di EP sintomatica in pazienti
con TVP prossimale non trattata adeguatamente con anticoagulanti è del 4-8% di cui ¼ fatali.
La CUS ha una sensibilità e specificità del 95% nella diagnosi di una TVP prossimale sintomatica e del 65% in
quella di una TVP distale. Quando la PCP è intermedia o alta e la CUS risulta positiva, la TVP è confermata; se
si hanno una bassa PCP e una CUS negativa, la TVP può essere esclusa. La difficoltà sta nella “zona ombra” in
cui CUS e PCP risultano essere discordanti; tali pazienti vanno sottoposti a CUS seriata a 5-7 giorni quando
diventano sintomatici.
La flebografia invece è consigliabile nei pazienti sintomatici o con alta probabilità alla PCP con CUS negativa.
E’ importante considerare la possibilità di una trombosi isolata della vena iliaca che può presentarsi nella gravida
o in pazienti con problematiche della pelvi.
Un’ulteriore strumento diagnostico nella sospetta TVP è la determinazione del D-Dimero plasmatico, prodotto
di degradazione della fibrina stabilizzata, che, se normale, permette di escludere un processo trombotico in atto.
Il dosaggio del D-Dimero ha un’elevata sensibilità, ma una bassa specificità e viene utilizzato soprattutto per il
suo alto valore predittivo negativo. Serve quindi solo per escludere ma non per confermare una diagnosi di
TVP.
Bisogna fare però attenzione ai pazienti con sintomatologia persistente da più di 14 giorni e/o con terapia
anticoagulante in atto, che possono presentare falsi negativi del test.
I test rapidi “bed-side” più affidabili sono un ELISA (VIDAS-DD) e un test su sangue intero (simpliRED Ddimer) con sensibilità rispettivamente del 95% e dell’ 85%.
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Studi precedenti suggeriscono che la TVP può essere esclusa in pazienti con PCP bassa e D-Dimero negativo;
secondo tali studi non occorre la CUS in questi pazienti perché soltanto il 2% di loro sviluppa una TVP nei tre
mesi successivi alla valutazione.
Sintetizzando quindi:
con PCP alta o intermedia + CUS positiva
con PCP bassa + CUS negativa
-> trattare come TVP;
-> TVP esclusa.
Quando esiste discordanza tra PCP e CUS, necessita una ulteriore valutazione del paziente:
ƒ PCP alta + CUS negativa -> il paziente presenta comunque una probabilità elevata di TVP in atto;
alcuni Autori consigliano la flebografia, altri CUS seriate. Se risulta negativo anche il D-Dimero, la
probabilità di una TVP si riduce nettamente;
ƒ PCP bassa + CUS positiva -> alcuni Autori suggeriscono CUS seriate o una flebografia per non esporre
il paziente al rischio di una terapia anticoagulante inutile;
ƒ PCP intermedia + CUS negativa -> ripetere la valutazione clinica e la CUS a distanza di una settimana.
Questa strategia semplifica il processo diagnostico con una riduzione dei costi e del numero di pazienti che
necessitano della CUS (25-40%), peraltro spesso non disponibile 24 ore su 24 nei dipartimenti d’urgenza.
Se gli esami strumentali non possono essere eseguiti in regime di urgenza e la PCP risulta intermedia/alta con Ddimero positivo è consigliabile iniziare una terapia anticoagulante empirica. E’ comunque consigliabile
eseguire la CUS entro 48 ore (vedi algoritmo).
Le eparine a basso peso molecolare (EBPM), grazie alla loro farmacocinetica che consente la
somministrazione in base al peso corporeo senza necessità di monitoraggio laboratoristico, facilitano nel
paziente non critico la protezione anticoagulante in regime domiciliare, in attesa di completare i test diagnostici.
E’ necessario eseguire ematici di routine prima di somministrare l’EPBM per escludere alterazioni della
funzionalità renale dell’emocromo e della coagulazione. Inoltre il paziente obeso (>120 Kg) presenta alterazioni
della farmacodinamica e va valutata la necessità di eseguire dosaggio dell’anti –Xa.
Alleghiamo l’algoritmo seguito attualmente nel nostro Pronto Soccorso (Servizio di Pronto Soccorso
Accettazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia).
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STUDIO GETRO II
Studio GEstione pazienti con sospetta TROmbosi/tromboflebite degli arti in Emergenza
Pazienti con sospetto clinico di Trombosi Venosa Profonda e/o Superficiale degli Arti Inferiori o Superiori
DATA: ____/____/___
COGNOME e NOME:____________________________________________________________
Numero Tel: _______/_______________MEDICO RILEVATORE: ________________________
PAZIENTE CON SOSPETTA:
TROMBOSI VENOSA PROFONDA
TROMBOFLEBITE SUPERFICIALE
…
Arti Inferiori
…
Arti Inferiori
…
Arti Superiori
…
Arti Superiori
INIZIO SINTOMI (giorni):_____________
IN TRATTAMENTO ANTICOAGULANTE?
Specificare farmaco, dose ed inizio:
Si
No
DETERMINAZIONE DELLA PROBABILITA' CLINICA A PRIORI (PCP)
(1)
modifiche rispetto al Modello di Wells originale
CARATTERISTICHE CLINICHE
SCORE
Neoplasia in atto (trattamento in corso o nei 6 mesi precedenti o palliativo)
1
Paralisi, paresi o recente immobilizzazione (gesso o tutore ortopedico), allettamento > 3 gg, chirurgia 1
maggiore nelle ultime 4 settimane
Tensione o dolore lungo il decorso delle vene del sistema profondo
1
Edema di tutto l’arto inferiore
1
Edema del polpaccio > 3 cm rispetto all'arto asintomatico (10 cm sotto la tuberosità tibiale)
1
Edema chiazzato maggiore nell'arto sintomatico
1
Vene superficiali collaterali (non varicose)
1
Storia familiare o personale di TVP/EP(1)
1
Gravidanza, postpartum, trattamento estroprogestinico, terapia ormonale sostitutiva(1)
1
Diagnosi alternativa probabile o maggiore di quella di TVP
-2
TOTALE
Eseguire i seguenti esami: EMOCROMO, HITACHI, COAGULAZIONE, D-DIMERO
RISULTATO DELLO SCORE:
>3
PCP ALTA
1-2
PCP INTERMEDIA
<0
PCP BASSA


D-DIMERO
metodo: SimpliRED ; Cardiac reader ;
test al lattice 
POSITIVO

NEGATIVO
_________
_________
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ALGORITMO DI INTERVENTO
Sospetta TVP/TVS
PCP Bassa
Gruppo A
PCP Intermedia
Gruppo B
PCP Alta
Gruppo C
D-dimero (D-d)
D-dimero (D-d)
D-dimero (D-d)
D-d Negativo
D-d Positivo
D-d Negativo
D-d Positivo
D-d Negativo
D-d Positivo
No Eco*
A1
Eco entro 48h
A2
Eco entro 48h
B1
Inizia EBPM
Inizia EBPM
Inizia EBPM
Eco entro 48h
B2
Eco entro 48h
C1
Eco entro 48h
C2
NB: Nei pazienti che giungono in profilassi con eparina (sia a basso peso molecolare che calcica) o nei pazienti
con sospetta TVS, i test del D-Dimero possono essere FALSAMENTE NEGATIVI.
In questi casi eseguire l'Eco-doppler di conferma.
VALUTAZIONE DELLO SCREENING
Il/la Paziente è risultato appartenere al:
GRUPPO A:
GRUPPO B:
Data:
___/___/___/
GRUPPO C:
…
A1
…
B1
…
C1
…
A2
…
B2
…
C2
ECOGRAFIA VASCOLARE PER COMPRESSIONE
ESEGUITO:
… Immediatamente
… 12 h
… 24 h … 36 h
RISULTATI
POSITIVA*:
Arto Inferiore: … FEMORALE … POPLITEA
… 48 h
… DISTALE … SUPERFICIALE
Arto Superiore: … GIUGULARE … ASCELLARE … BRACHIALE … SUPERFICIALE
…
NEGATIVA
DUBBIA
*Allega copia dell'ecografia vascolare
ESITO: RICOVERO__________________________
TERAPIA DOMICILIARE______________________
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SCHEMA SOMMINISTRAZIONE EPARINA A BASSO PESO MOLECOLARE
Valutare il potenziale RISCHIO EMORRAGICO o CONTROINDICAZIONI:
…
ulcera gastro-duodenale attiva*
…
pregressa emorragia in ogni sede negli ultimi 15 giorni
…
anemia (Hb < 9 gr/l)
…
piastrinopenia < 100.000 (o storia di piastrinopenia da eparina)*
…
uso concomitante di FANS e/o ticlopidina
…
IR acuta o cronica*
*Una di queste condizioni rappresenta una controindicazione assoluta alla somministrazione di EBPM; in questi
casi il paziente viene ricoverato e affidato allo specialista ematologo.
Se ASSENZA di controindicazioni somministrare EBPM. Elenchiamo qui di seguito le EBPM di uso più
frequente e i relativi dosaggi/Kg:
Principio attivo
Nome commerciale
Dosaggio
nadroparina
90 U/Kg/12 h
Fraxiparina®
enoxaparina
100 U/Kg/12 h
Clexane®
dalteparina
200 U/Kg/12 h
Fragmin®
reviparina
175 U/Kg/12 h
Clivarina®
seleparina
171 U/Kg/12 h
Seledie®
NB. Seguire le indicazioni riportate nel foglietto illustrativo per la
modalità di somministrazione sottocutanea
In caso di TVP confermata associare dal primo giorno terapia anticoagulante orale (TAO) con Coumadin
compresse da 5 mg ai seguenti dosaggi:
Se il paziente ha meno di 65 anni Î 2 cpr il primo giorno; poi 1,5 cpr il secondo giorno; controllo dell’INR al
3°giorno in regime ambulatoriale.
Se il paziente ha più di 65 anni Î 1,5 cpr il primo giorno, poi 1 cpr al giorno, controllo dell’INR al 3°giorno in
regime ambulatoriale.
Se il paziente ha più di 75 anni Î 1 cpr fin dal primo giorno, controllo dell’INR al 3°giorno in regime
ambulatoriale.
Controllo dell'EMOCROMO con PIASTRINE al 5°- 7° giorno di terapia (per escludere piastrinopenia da
eparina).
Si raccomanda la somministrazione di EBPM per almeno 7 giorni oppure fin quando è raggiunto il range
terapeutico della terapia anticoagulante orale per 2 giorni consecutivi(INR 2-3).
BIBLIOGRAFIA
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Cardiologia. Ital.Heart J Dec. 2001;2(12):1342-56.
Hirsh J, Lee AYY. How I diagnose and treat DVT. Blood 2002;99(9):3102-9.
Si ringraziano per la collaborazione:
dott.ssa Katharina Granzow, dirigente di I livello, Servizio di Pronto Soccorso Accettazione, IRCCS Policlinico
San Matteo, Pavia.
Dott. Sergio Siragusa, Unità Malattie tromboemboliche ed Emorragiche, Cattedra di Ematologia, Università di
Palermo.
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Pd-T SOSPETTA TROMBOEMBOLIA POLMONARE
(a cura di: Dott.ssa K.Granzow, Dott.ssa P. Tatoni)
L’incidenza della tromboembolia polmonare (EP) in Italia è stimata intorno ai 60.000 casi nuovi/anno (dati
sovrapponibili a quelli per la TVP); infatti entrambe fanno parte di un’unica entità: il Tromboembolismo
Venoso (TEV).
La percentuale di diagnosi di EP è tuttora molto bassa e stimata attorno al 30%; purtroppo nel 70% dei casi
rimane un riscontro autoptico come mostra una meta-analisi eseguita fra il 1971 e 1995.
La mortalità per EP non trattata è del 25-30% mentre, se trattata con terapia anticoagulante adeguata, può essere
ridotta al 2-8%.
GESTIONE DELLA SOSPETTA EP
Nei Dipartimenti di Urgenza sono di importanza fondamentale il “sospetto clinico” innanzitutto, quindi la
diagnosi tempestiva e l’esecuzione degli esami strumentali mirati in base alla disponibilità delle risorse locali.
I sintomi più fortemente associati all’embolia polmonare sono:
ƒ dispnea acuta con obiettività toracica (clinica e radiologica) negativa;
ƒ sincope/lipotimia, associata a oppressione toracica e/o dispnea;
ƒ dolore pleuritico senza febbre;
ƒ aggravamento della dispnea o del quadro emodinamicamente instabile non altrimenti spiegabile in
soggetto con preesistente pneumo e/o cardiopatia;
ƒ qualsiasi sintomo o segno sospetto (dispnea, tachipnea, tachicardia, blocco di branca destro, dolore
toracico) in paziente con anamnesi a rischio (vedi oltre).
Un modello rapido per valutare la Probabilità clinica a priori (PCP) è il modello di Wicki. Tale modello
include valutazione clinica ed esiti degli esami strumentali di prima linea quali emogasanalisi,
elettrocardiogramma e radiografia del torace.
Modello di Wicki
chirurgia recente*
pregressa TVP o TEP
eta’ avanzata (60-79 aa)
eta’ avanzata (oltre 80 aa)
ipossiemia (sec.valori)
ipocapnia (sec.valori)
tachicardia (>100/min)
atelettasia
sopraelevam. emidiafr.
totale
3
2
1
2
1-4
1-2
1
1
1
0-17
*Ci permettiamo di sottolineare che si può sostituire la “chirurgia recente” con la sola immobilizzazione che,
determinando stasi venosa, soprattutto nel paziente anziano, presenta di per sé un fattore di rischio importante.
La PCP si calcola nel seguente modo:
PROBABILITA’
BASSA
INTERMEDIA
ALTA
PUNTEGGIO
0-4
5-8
9-17
Le Linee Guida Europee prevedono due diversi algoritmi per pazienti critici e non critici.
Il paziente critico è emodinamicamente instabile (in shock, con dispnea severa e/o sincope recente) e richiede
un’approccio diagnostico non invasivo rapido per avviare un’eventuale trattamento trombolitico. Una volta
stabilizzato il paziente si possono eseguire test diagnostici di conferma.
Il paziente non critico, e quindi emodinamicamente stabile, con moderata dispnea/tachipnea e/o dolore toracico
di tipo pleuritico può invece rientrare in diversi algoritmi diagnostici.
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PAZIENTE NON CRITICO
Dopo una rapida valutazione della PCP è utile la determinazione del test del D-Dimero come test di esclusione.
Un D-Dimero negativo, eseguito con metodo validato (ELISA), presenta infatti una sensibilità maggiore del 99%
e può escludere l’EP con sicurezza nei pazienti con bassa PCP.
Come esami strumentali abbiamo a disposizione i seguenti mezzi:
Ultrasonografia per compressione (CUS). Il riscontro di una TVP in atto permette di porre indicazione alla
terapia anticoagulante e di evitare ulteriori test strumentali. In un secondo tempo potrà essere eseguita una
scintigrafia di conferma. Soltanto nel 50% circa dei pazienti con sospetta EP la CUS dimostra una TVP
prossimale e quindi, se la CUS risulta normale, necessitano ulteriori test strumentali.
Scintigrafia ventilatoria / perfusionale (SVP). È l’esame diagnostico più utilizzato nei pazienti con sospetta
EP, non e’ invasivo ed è sicuro per escludere una EP clinicamente importante. La scintigrafia fornisce un quadro
bidimensionale della distribuzione della perfusione polmonare nell’ambito del quale le zone embolizzate
appaiono meno radioattive (“difetti di perfusione”). L’esame viene eseguito di solito in sei proiezioni. Una
regione polmonare interessata da un difetto di perfusione, in assenza di anomalie della ventilazione, presenta
alterazioni compatibili con embolia: questo quadro scintigrafico viene definito “mismatch”. La sua specificità è
del 90% quando fortemente positivo. L’esito della scintigrafia permette di distinguere i seguenti gruppi di
pazienti:
ƒ Normale -> esclusione di EP
ƒ Alta probabilità -> trattare come EP
ƒ Probabilità intermedia e/o discordanza tra PCP ed esito della scintigrafia -> ulteriori test di conferma.
In realtà i Dipartimenti di Urgenza spesso non dispongono di una Medicina nucleare e quindi illustreremo
percorsi alternativi per rispettare diverse realtà locali.
L’angiografia polmonare rappresenta il “gold standard” e trova indicazione nei pazienti in cui test non-invasivi
non siano stati conclusivi o in pazienti con rischio emorragico elevato. Comporta tuttora una mortalità dello
0.2% ed è difficile da attuare nel contesto della medicina d’Urgenza. Sensibilità e specificità si collocano attorno
al 98%.
Il miglioramento tecnico e la maggiore disponibilità della TAC spirale (TCs) con mezzo di contrasto sta
rivoluzionando l’approccio al paziente con sospetta EP. La Tac spirale permette di visualizzare direttamente gli
emboli localizzati nel piccolo circolo. Non e’ invasiva, è di rapida esecuzione e ha una elevata specificità.
L’accuratezza diagnostica è eccellente per emboli localizzati nei rami principali, lobari e segmentali.
Attualmente la sensibilità complessiva è valutata del 70% e la specificità del 90%.
Considerando la relativa sicurezza e semplicità di esecuzione rispetto all’angiografia merita di far parte
dell’’algoritmo diagnostico per l’EP.
PZ CRITICO
Nel paziente emodinamicamente instabile, il primo test diagnostico da effettuare è l’ ecocardiografia
transtoracica che permette di:
ƒ confermare il sospetto clinico di EP visualizzando i segni caratteristici del cuore polmonare acuto
(dilatazione e ipocinesia del ventricolo destro, movimento paradosso del setto, insufficienza tricuspidale
e aumento della pressione polmonare);
ƒ stratificare il rischio di mortalità e porre quindi indicazione al trattamento trombolitico;
ƒ escludere o confermare eventuali diagnosi alternative (IMA, endocardite infettiva, dissecazione aortica,
tamponamento cardiaco).
L’ecocardio trans-toracico è disponibile in pressoché tutti gli ospedali e di facile esecuzione al letto del malato.
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ALGORITMO PER LA GESTIONE DEL
PAZIENTE NON CRITICO CON SOSPETTA EMBOLIA POLMONARE
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Sospetto clinico di EP
Calcolo PCP
PCP bassa
PCP intermedia/alta
D-Dimero
D-Dimero
Negativo
Positivo
Neg/Pos
Esclusa
EP
CUS
Negativa
Positiva
TERAPIA
Scintigrafia
Normale
Non diagnostica
Non trattare
Angiografia
(o TCs)
Negativa
Alta probabilità
Trattare
Positiva
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TERAPIA DEL PAZIENTE NON CRITICO
Terapia anticoagulante con bolo di eparina non frazionata 80 U/Kg di peso corporeo seguito da infusione
continua con 18 U/Kg/h.
Il primo controllo del PTT dovrà essere effettuato dopo 4-6 ore dall’inizio della terapia.
Per portare il PTT nel range terapeutico compreso tra 1,5 –2,5, suggeriamo lo schema seguente:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
PTT < 1,2 Î ripetere bolo con 80 U/Kg e aumentare velocità di infusione di 4 U/Kg/h.
1,2 <PTT< 1,5 Î bolo con 40 U/Kg e aumentare velocità di infusione di 2 U/Kg/h.
1,5 <PTT< 2,5 Î continuare terapia in atto.
2,5 > PTT > 3 Î diminuire l’ infusione di 2 U/Kg/h.
PTT > 3 Î interrompere l’infusione per un’ora e proseguire diminuendo di 3 U/kg/h.
In alternativa si può utilizzare eparina a basso peso molecolare a dosi standard (vedi terapia per TVP); in tal caso
non occorre monitoraggio di laboratorio. Si ricorda in entrambi i casi il controllo dell’emocromo dopo 5 giorni
(trombocitopenia da eparina).
In associazione il pz dovrà iniziare terapia anticoagulante orale (TAO) in I giornata con un dosaggio di 5
mg di warfarin il I e II giorno; il III giorno controllo di INR e successivo adeguamento della dose allo scopo di
portare l’INR nel range terapeutico compreso tra 2 e 3. E’ consigliabile proseguire la terapia con eparina per 4-5
giorni dopo aver raggiunto il range terapeutico con gli anticoagulanti orali.
La durata totale della terapia anticoagulante minima è di tre mesi.
TERAPIA DEL PAZIENTE CRITICO
Terapia di supporto nel pz ipoteso o in shock:
ƒ Dobutamina o dopamina allo scopo di ridurre la portata cardiaca e le resistenze del letto vascolare
polmonare;
ƒ Ossigenoterapia;
ƒ Trombolisi
Nel pz critico la trombolisi si è dimostrata efficace nel migliorare la sopravvivenza.
Il farmaco trombolitico più utilizzato attualmente è l’ rTPA al dosaggio di 100 mg in 2 ore.
Le controindicazioni generali alla trombolisi sono:
ƒ Intervento chirurgico o manovre invasive negli ultimi 10 giorni;
ƒ Stroke ischemico negli ultimi 10 giorni;
ƒ Emorragia gastrointestinale negli ultimi 10 giorni;
ƒ traumi negli ultimi 10 giorni;
ƒ ipertensione mal controllata;
ƒ conta piastrinica inferiore a 100.000;
ƒ epatopatia con tempo di protrombina allungato;
ƒ gravidanza;
ƒ endocardite batterica.
Tali controindicazioni cadono nel pz con embolia polmonare massiva.
Embolectomia chirurgica
Viene effettuata raramente ed è riservata a pz con TEP massiva con controindicazioni assolute alla terapia
trombolitica o non-responder a tale terapia.
Candidato di elezione è il pz con ostruzione sub-totale dell’arteria polmonare principale o delle diramazioni
maggiori.
La mortalità è molto elevata (20-50%) visto che l’intervento viene effettuato su pz critici.
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Goldhaber SZ et Al. Randomized controlled trial of ricombinated tissue plasminogen activator vs
urokinase in the treatment of acute pulmonary embolism. Lancet 1988;2:293-8.
Si ringraziano per la collaborazione:
Dott.ssa Katharina Granzow, dirigente di I livello, Servizio di Pronto Soccorso Accettazione, IRCCS Policlinico
San Matteo, Pavia.
Dott. Sergio Siragusa, Unità Malattie tromboemboliche ed Emorragiche, Cattedra di Ematologia, Università di
Palermo.
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Pd-T SOSPETTA PANCREATITE ACUTA
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
La pancreatite acuta (PA) è un processo infiammatorio acuto che può andare da una forma lieve autolimitantesi
con edema peripancreatico, ad una forma severa con emorragia estesa, necrosi d'organo ed evoluzione
potenzialmente fatale. La PA è caratterizzata dalla attivazione e dalla fuoriuscita intraparenchimale degli enzimi
pancreatici con conseguente autodigestione della ghiandola.
In base alla gravità del quadro clinico la PA può essere classificata in:
ƒ Pancreatite edematosa (sintomatologia modesta, autolimitantesi);
ƒ Pancreatite persistente o subacuta (si possono sviluppare complicanze);
ƒ Pancreatite necrotico-emorragica (evoluzione fulminante, alta percentuale di mortalità).
ƒ Attacchi ricorrenti di PA portano a pancreatite cronica.
Epidemiologia
L'incidenza generale è < dell’1% (4.7-23.8/100000). Il rapporto maschi/femmine è di 3:2 (ma per quanto
concerne le PA da litiasi biliare questo rapporto si inverte). L'età media è di 45 anni.
Etiopatogenesi
L’etiopatogenesi è multifattoriale.
La causa più frequente di PA varia a seconda delle casistiche analizzate: in USA e in Sud Africa prevale la PA
da assunzione di alcolici, mentre in Europa è la causa principale è la litiasi biliare.
Fisiopatologia
L'attività metabolica del pancreas è molto elevata e molti degli enzimi secreti sono potenzialmente lesivi per la
ghiandola stessa. Per questo motivo esistono dei sistemi per proteggere il pancreas dai suoi secreti: sintesi da
parte cellule pancreatiche di precursori inattivi degli enzimi e di inibitori delle proteasi; compartimentazione
intracellulare per separare i pro-enzimi da fattori attivanti (lisosomi).
Qualunque sia l'eziologia della PA, inizialmente si ha l'attivazione e la diffusione intraparenchimale degli enzimi
secreti con lesione delle cellule acinose e liberazione di tripsina che può causare, ad alte dosi, edema, emorragia
e necrosi dei tessuti. La caratteristica della tripsina è quella di attivare, anche a basse concentrazioni, i proenzimi
(elastasi, fosfolipasi), e i componenti del complemento (sistema Kinina-callicreina) che hanno un ruolo
determinante nelle alterazioni della permeabilità tissutale. L'entità ed il meccanismo "autoattivante" di tale
fenomeno è tale da rendere insufficienti i sistemi di inibizione tissutali e plasmatici. Ognuna di queste azioni
lesive opera sinergicamente alle altre ed il risultato finale è amplificato dalla presenza di ischemia e di eventuale
sovrainfezione batterica, che spesso vengono a complicare i casi di pancreatite più grave.
Cause favorenti
ƒ Litiasi biliare (60%). Il calcolo ostacola il deflusso del secreto pancreatico qualora vada ad ostruire il
coledoco terminale, con conseguente inversione del flusso biliare che refluisce nel dotto di Wirsung;
ƒ Alcool;
ƒ Tumori del pancreas e dell’ampolla di Vater (con ostruzione dei dotti pancreatici);
ƒ Farmaci (corticosteroidi, immunosoppressori, tiazidici, estroprogestinici);
ƒ Infezioni (batteri, virus, parassiti);
ƒ Interventi chirurgici (ERCP, gastrectomie, splenectomie, biopsie pancreatiche). In questi casi la
patogenesi è dovuta all'edema peripancreatico che ostacola il circolo pancreatico;
ƒ Traumi addominali;
ƒ Ischemia;
ƒ Iperlipidemia;
ƒ Ipercalcemia (iperparatiroidismo, mieloma multiplo, sarcoidosi);
ƒ Post trapianto renale.
ƒ Idiopatiche (tutti i casi di PA di origine sconosciuta).
Anatomia Patologica
I quadri anatomo-patologici della pancreatite acuta sono variabili e spesso i confini non così demarcati da
rendere possibile un sicuro inquadramento.
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Il quadro iniziale è caratterizzato dall'edema ed in questo caso la forma clinica è autolimitante. Successivamente
la patologia evolve nella PA emorragica: caratteristica di questo quadro è la presenza di aree emorragiche che
possono trasformarsi in pseudocisti o possono dar luogo ad ascessi pancreatici.
Un quadro più grave è quello della necrosi cellulare, caratterizzato da aree di necrosi sia parenchimale che
extraparenchimale (soprattutto steatonecrosi peritoneale, retroperitoneale ed alle radici dei mesi). L'evoluzione
settica del processo pancreatico si identifica nel quadro anatomopatologico della pancreatite ascessualizzata,
caratterizzata da ascessi pancreatici multipli.
Clinica
Il paziente può lamentare un dolore addominale compatibile con un quadro gastritico o presentarsi con il quadro
del vero e proprio "dramma pancreatico" dominato dallo shock e dal decorso infausto e fulmineo.
La fase acuta della malattia comprende:
ƒ dolore epigastrico violento della durata generalmente di oltre 6 ore;
ƒ irradiazione agli ipocondri e al dorso (dolore "a barra"), a volte alla spalla sinistra e all'emitorace
sinistro;
ƒ nausea e vomito (presenti nell'80% dei casi di PA);
ƒ iperpiressia (nel 60% dei casi);
ƒ possono essere presenti: tachicardia, stato occlusivo o subocclusivo, ittero (non è un reperto frequente),
ipotensione, disidratazione, depressione della funzionalità miocardica fino ad un quadro di shock
conclamato, versamento pleurico sx o sollevamento dell’emidiaframma sx (un terzo dei pazienti),
necrosi sottocutanea del tessuto adiposo (che ricorda l’eritema nodoso), alterazioni della coscienza,
oliguria fino all’anuria.
Il dolore viscerale è presente nel 95% dei casi di PA ed è causato dalla distensione della capsula pancreatica;
raggiunge l'acme in pochi minuti, con andamento continuo ("insopportabile monotonia”), senza periodi di
remissione.
A volte è possibile ricondurre l'insorgenza della sintomatologia dolorosa ad un pasto abbondante o all'assunzione
di alcool.
La durata del dolore pancreatico varia da alcune ore a diversi giorni. La sua intensità è molto elevata e tale da
richiedere la somministrazione di sedativi a dosi elevate.
Caratteristica è l’assunzione della posizione antalgica "a cane di fucile": il paziente si rannicchia su un fianco,
con le ginocchia piegate verso il petto in modo da incurvare la colonna vertebrale e detendere la capsula
pancreatica.
Diagnosi
L'iter diagnostico di un paziente in cui si sospetti una PA prevede:
ƒ attenta anamnesi e un accurato esame obiettivo;
ƒ indagini di laboratorio;
ƒ esami strumentali (radiografia diretta dell'addome e del torace, l'ecografia dell'addome, TAC addome).
Esame obiettivo
La mancanza di segni patognomonici e l'aspecificità del quadro clinico rendono difficile la diagnosi di PA.
Alla palpazione l’addome è dolente in regione epigastrica e mesogastrica. Inizialmente manca la contrattura della
parete. Spesso compare meteorismo intestinale con tipica difesa muscolare (“addome elastico”); la peristalsi è
solitamente assente o torpida.
Eccezionalmente (in meno del 3% dei casi e quasi tutti ad esito infausto) all'ispezione si possono rilevare: i segni
di Gray Turner (ecchimosi ai fianchi) e di Cullen (ecchimosi periombelicali), entrambi dovuti al passaggio dello
stravaso ematico dallo spazio retroperitoneale al sottocutaneo; il segno di Imrie (durante le prime 48 ore di una
PA, il paziente, pur essendo apirettico, con dolori addominali e vomito, avverte un senso di calore al volto); una
ecchimosi della vulva può essere un segno cutaneo di PA; nei casi più gravi si possono apprezzare noduli di
steatonecrosi sottocutanea localizzati alla radice degli arti.
L'esame obiettivo del torace può evidenziare innalzamento degli emidiaframmi e una loro ridotta motilità.
Il riscontro di secchezza della mucosa orale e cianosi periferica precede lo shock.
Esami di laboratorio
Bisogna andare a ricercare:
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Iperamilasemia. Esistono però altre condizioni in cui si ha iperamilasemia (occlusione intestinale alta,
malattia delle ghiandole salivari, gravidanza extrauterina, somministrazione di narcotici o intervento
chirurgico sull’addome, etc.). Inoltre, in circa il 10% dei casi di pancreatite acuta, le amilasi possono
risultare normali (estesa necrosi pancreatica, malattie croniche del pancreas che non è più in grado di
produrre amilasi, pazienti con iperlipidemia).
Isoenzimi pancreatici (isoenzima P).
Iperlipasemia. La produzione di lipasi è di esclusiva origine pancreatica (si può però avere
iperamilasemia anche in caso di ulcera peptica, perforata, ischemia intestinale, colecistite acuta);
Ematocrito ed emoglobina sono inizialmente aumentati per la formazione del III spazio. In un secondo
momento prevale una anemizzazione dovuta a fenomeni emorragici ed emolitici. Una anemizzazione
rapida e marcata è un indice di PA necrotizzante e quindi ha carattere prognostico negativo;
Leucocitosi;
Ipocalcemia (indice prognostico negativo);
Iperglicemia;
Iperlattacidemia;
Azotemia, creatininemia ed elettroliti (alterati per il sequestro di liquidi);
Funzionalità epatica alterata: fosfatasi alcalina, AST, ALT, gammaGT e bilirubina (pancreatite biliare),
LDH;
PCR: caratterizzata da una precoce comparsa, da una specificità del 90% e dalla semplicità di dosaggio,
è il marker di necrosi più utilizzato;
Emogasanalisi (acidosi metabolica);
Alterazioni della coagulazione.
Quindi:
1.
2.
3.
4.
Emocromo
Routine 3 + lipasi e isoenzimi pancreatici
Coagulazione
Emogasanalisi
Esami strumentali
La Radiografia diretta dell'addome in ortostatismo permette di escludere una perforazione o un'occlusione
intestinale. Dimostra la presenza di segni non sempre percepibili, che indirizzano la diagnosi verso la PA:
ƒ livelli idroaerei per ileo paralitico;
ƒ calcificazioni pancreatiche come esiti di pregressi episodi pancreatici;
ƒ segno dell'ansa sentinella (distensione gassosa di una delle prime anse del digiuno alla radiografia
dell'addome);
ƒ segno di Price o del colon escluso (segno radiologico presente nella PA emorragica in cui la distensione
gassosa del colon trasverso può estendersi alla flessura destra e all'ascendente, mentre il discendente
appare privo di gas).
ƒ segno di Stuart o del colon tagliato: a metà del colon trasverso non si riscontra mai aria all'esame
radiografico poiché il lume intestinale viene ristretto da una compressione meccanica e dall’edema.
La radiografia del torace permette di valutare un eventuale:
ƒ Innalzamento degli emidiaframmi;
ƒ Versamento pleurico;
ƒ Atelettasie;
ƒ ARDS nei quadri conclamati.
L'obiettivo dell’ecografia dell’addome è quello di visualizzare il pancreas, ma questo è possibile solo nel 70%
dei casi, poiché l'esame è ostacolato dal meteorismo intestinale. Si potrà dimostrare:
ƒ edema del pancreas, aree di necrosi o di colliquazione, calcolosi biliare;
ƒ valutazione di eventuali versamenti addominali.
Importante ricordare che caratteristica di questo esame è la ripetibilità, anche al letto del malato, è quindi gioca
un ruolo nel monitoraggio dell'andamento del processo flogistico.
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La Colangiografia retrograda per via endoscopica permette lo studio del dotto di Wirsung (da eseguirsi solo in
caso di progressivo aumento degli indici di colestasi – gammaGT e Fosfatasi Alcalina – e della bilirubina
diretta).
La TAC dell’addome non è influenzata dal meteorismo intestinale e permette di studiare la morfologia del
pancreas, le variazioni di densità intraparenchimale della ghiandola e le raccolte addominali, oltre ad avere un
ruolo prognostico.
Una RMN sarebbe in grado di valutare e differenziare le raccolte pancreatiche liquide da quelle emorragiche e
da quelle infette.
Diagnosi differenziale
Colica biliare;
Colecistite acuta;
Occlusione intestinale;
Perforazione gastrica o intestinale;
Colica renale;
Infarto intestinale;
Rottura di aneurisma aortico;
Infarto miocardico.
COMPLICANZE
Nelle fasi iniziali della malattia lo shock è responsabile del 50% delle morti, mentre l'insufficienza respiratoria
del 20%. Successivamente aumenta l'incidenza delle sepsi mortali (20%), dell'insufficienza renale (14%) e delle
enterorragie (13%).
INDICI PROGNOSTICI
Tra i markers umorali riveste un ruolo prognostico importante la PCR; infatti i livelli di PCR sono già elevati al
secondo giorno di PA (picco > 300 mg/mL) e/o un rialzo persistente > 125 mg/mL è indice della presenza di
raccolte peripancreatiche.
TERAPIA
La maggior parte dei casi è trattata con la sola terapia medica e l’80% risponde al solo trattamento
farmacologico.
Al paziente vanno presi due accessi venosi di grosso calibro, vanno monitorati continuamente i parametri vitali e
va posizionato un catetere vescicale (CV) per il monitoraggio diuresi.
Digiuno;
Aspirazione gastrica tramite sondino nasogastrico (solo se nausea e vomito);
Liquidi (per il ripristino dell’equilibrio idro-elettrolitico e la correzione dell’equilibrio acido-base, in modo da
assicurare una diuresi di circa 30-40 ml/h);
Antinfiammatori non steroidei IM/EV: diclofenac (Voltaren®), ketoprofene (Toradol®, Orudis ®),
indometacina (Liometacen®);
Se gli antinfiammatori non steroidei risultano inefficaci si può optare per gli analgesici maggiori: meperidina,
pentazocina (Talwin®) 30 mg ev o im ogni 4/6h;
Inibitori di pompa protonica: omeprazolo, pantoprazolo EV (Pantorc®) e analoghi;
Antiproteasici: il gabesato mesilato (Foy®: 9 f in 24 ore in 500 cc di fisiologica) riduce in modo significativo le
complicanze se iniziato tempestivamente;
Inibitori della secrezione pancreatica: longastatina (0,1-0,2 mg sc 3 volte al giorno), somatostatina (0.1 mg
bolo ev; 0.2 mgx3/24 h in infusione), octreotide.
Antibioticoterapia: imipenem (Imipem®, Tenacid®, Tienam®) 500 mg x 2 ev, fino a 500 mg x 4 (solo se è
presente leucocitosi);
Albumina, plasma, sangue intero, nutrizione parenterale totale rientrano nella terapia medica delle forme
impegnative e la loro utilizzazione va conformata alla singola situazione patologica.
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sulla XV Americana. Antonio Delfino Editore. Pag 1156-1165.
Si ringraziano per la collaborazione:
Dott.ssa Annalisa Lavezzoli, Chirurgo specialista in Chirurgia Generale con indirizzo di Chirurgia di Urgenza
Dott. Andrea Leonardi specializzando in Chirurgia Generale dell’Universita’ degli Studi di Pavia.
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Pd-T APPENDICITE ACUTA
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
Introduzione
E’ una delle emergenze chirurgiche addominali più frequenti (7-12% della popolazione). La frequenza massima
è nell’infanzia e nell’adolescenza anche se nessuna fascia di età viene risparmiata; particolare attenzione deve
essere rivolta nei confronti dei bambini più piccoli, dove vi può essere una evoluzione grave, a causa di una
diagnosi tardiva o errata, per sintomi comuni con enterite e gastrite, difficoltà anamnestica, crisi acetonemiche;
analogamente per gli anziani per sintomi più sfumati, fragilità dei tessuti, ridotte difese immunitarie.
Patogenesi
Fattore determinante è l’ostruzione del lume appendicolare che rimane la causa primaria di appendicite;
l’ostruzione del lume porta alla distensione dell’appendice da accumulo di liquido e materiale intestinale, con
successiva sovrainfezione batterica (attraverso le vie linfatica ed ematogena) fino, nei casi avanzati, alla
perforazione e fuoriuscita di pus nella cavità peritoneale.
L’abbondante tessuto linfatico (l’appendice viene, per questo, denominata anche tonsilla addominale) costituisce
un richiamo per i germi circolanti.
Sesso
Predilige i maschi ma il Medico di PS deve sospettare un’eventuale appendicite acuta in pazienti di qualsiasi età
con particolare riguardo ad alcune condizioni predisponenti quali la gravidanza e le infezioni intestinali.
Mortalità/Morbidità
Il tasso di mortalità dello 0.2-0.8% è da attribuire alle complicanze della malattia piuttosto che all’intervento
chirurgico. Il tasso sale fino al 20% nei pazienti di età superiore ai 70 anni principalmente a causa di un ritardo
diagnostico e quindi terapeutico.
Cause favorenti
ƒ Ristagno fecale (coproliti)
ƒ Corpi estranei (es. semi vegetali)
ƒ Lunghezza o angolatura dell’appendice
ƒ Dieta ricca in proteine e povera in fibre
ƒ Esiti cicatriziali di attacchi di appendicite a risoluzione spontanea
ƒ Carcinomi
ƒ Iperplasia dei follicoli linfatici (associata a molteplici malattie infiammatorie intestinali quali M. Crohn,
Gastroenteriti, Amebiasi, Infezioni respiratorie, Mononucleosi e Morbillo)
Vie di propagazione (in ordine di frequenza decrescente)
ƒ Enterogena
ƒ Linfatica
ƒ Ematogena (tonsillite, faringite, virosi)
ƒ Per contiguità (da organi adiacenti es. salpingi)
Anatomia Patologica (Tipi principali di appendicite)
ƒ Semplice o catarrale: tumefazione, iperemia, edema
ƒ Flemmonosa: appendice congesta, in toto ed in particolare alla punta (appendicite a batacchio di
campana) con microascessi intraparietali, essudato fibrino purulento a copertura
ƒ Gangrenosa: infarto emorragico e necrosi; appendice ad aspetto verdastro o grigio verdastro, con
contenuto endoluminale di pus fetido, di detriti e materiale fecale
ƒ Perforata: la perforazione può precedere la gangrena (dà luogo a peritonite circoscritta, sottoforma di
ascesso tamponato dall’omento od anse intestinali, a peritonite diffusa)
Sintomatologia
Il tipico attacco appendicolare inizia con dolore in epigastrio o periombelicale, accompagnato da nausea e/o
vomito; il dolore, in poche ore, si sposta al quadrante inferiore destro (con possibili irradiazioni a coscia, dorso,
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ombelico); generalmente si tratta di un dolore di tipo continuo e può essere esacerbato dai colpi di tosse;
compare la febbre. Si deve considerare solo la temperatura rettale (TR) visto che la temperatura cutanea (TA) è
ingannevole, almeno inizialmente non subisce rialzi significativi.
La temperatura rettale può salire rapidamente fino a raggiungere i 38°C-38.5°C; in caso di valori di TR superiori
a 39°C si deve riconsiderare la diagnosi di appendicite. Utile quindi valutare la temperatura differenziale
(ascellare e rettale) significativa quando TR > TA di un grado.
Può associarsi il vomito, che segue l’attacco del dolore; un vomito che precede l’insorgenza del dolore è
suggestivo di occlusione intestinale e la diagnosi di appendicite dovrebbe essere riconsiderata.
Possono essere presenti diarrea o stipsi.
Segni
Mc Burney: dolore alla palpazione superficiale e profonda nel punto di Mc Burney
Rovsing: dolore nel quadrante inferiore destro (QID) evocato dalla palpazione del quadrante inferiore sinistro
Segno dell’otturatore: dolore al QID con la rotazione interna dell’anca destra flessa
Segno dello psoas: dolore al QID con l’iperestensione dell’anca destra
Segno del colpo di tosse: dolore acuto al QID sollecitato da un colpo di tosse (indice di peritonite localizzata).
Diagnosi
La palpazione dolce dell’addome provoca dolore e contrattura di difesa nel QID (la sede precisa del dolore è
legata alla posizione anatomica dell’appendice, variabile).
L'entità della contrattura di difesa, lieve o importante, circoscritta o diffusa, dipende dall'estensione della flogosi
appendicolare.
E’ bene ricordare che la palpazione dell’addome va iniziata dalla parte opposta alla sede del dolore. D’aiuto può
dimostrarsi l’esplorazione rettale.
La diagnosi e soprattutto clinica e, in un secondo momento, si baserà sulle indagini di laboratorio e o
strumentali.
Esami di laboratorio
ƒ Conteggio dei globuli bianchi (>12.000/mm3)
ƒ Neutrofili > 75%
ƒ PCR (proteina di fase acuta aspecifica sintetizzata dal fegato in risposta ad una infezione batterica, il cui
livello sierico inizia a salire entro 6-12 h dall’infiammazione tissutale acuta)
Diagnosi strumentale
Esame ecotomografico dell’addome completo: un diametro maggiore superiore a 6 mm, la non compressibilità
e la mancanza di peristalsi o la presenza di liquido periappendicolare sono caratteristici di appendice infiammata.
Nella maggior parte dei casi una appendice normale non viene visualizzata ecograficamente. Una ecografia
transvaginale può essere eseguita per le donne con addominalgia ai quadranti inferiori, se l’appendice non viene
visualizzata dall’ecografia addominale.
Vantaggi: non invasività, breve tempo di esecuzione, mancanza di esposizione alle radiazioni, diagnostica per
altre cause di dolore addominale, particolarmente nel sospetto di donne in gravidanza.
Alcuni Autori sostengono che l’ecografia debba essere il test diagnostico strumentale iniziale nelle donne
gravide ed in pazienti pediatrici per evitare un danno da radiazioni.
Svantaggi: l’esame ecografico è operatore-dipendente.
Radiografia dell’ addome senza mezzo di contrasto: evidenza di calcolosi renale-ureterale, aria libera in caso
di perforazione (pneumoperitoneo sottodiaframmatico).
Il consenso in letteratura è che la radiografia è aspecifica, non sensibile.
Tomografia assiale computerizzata:
E’ diventato lo strumento più importante per la valutazione di pazienti con sintomatologia atipica per
appendicite.
Vantaggi: sensibilità maggiore ed accuratezza rispetto ad altri esami strumentali.
Svantaggi: esposizione alle radiazioni, reazione anafilattica se utilizzo del mezzo di contrasto endovena.
TAC spirale:
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Maggiore sensibilità e specificità rispetto alla TAC normale, esame strumentale di scelta nel futuro.
Radionuclide scanning:
Prelievo di sangue del paziente e marcatura dei neutrofili e macrofagi con tecnezio 99 + albumina; iniezione
endovena del radionuclide con successive immagini seriate dell’addome e della pelvi, ogni 4 ore. La presenza
del tracciante localizzato al QID è suggestiva di infiammazione appendicolare.
Vantaggi: elevata sensibilità.
Svantaggi: tempi d’esecuzione lunghi e mancanza di disponibilità nel Dipartimento d’Emergenza-Urgenza.
Diagnosi differenziale
- Ulcera peptica perforata (dolore più violento)
- Colecistite acuta (DD con appendicite sottoepatica)
- Diverticolite
- Morbo di Crohn
- Pancreatite acuta (iperamilasemia)
- Torsione dell’omento
- Enterocoliti
- Salpingiti e pelviperitoniti di origine annessiale
- PID, endometriosi, cisti ovarica e sua torsione
- Colica ureterale destra (ematuria)
- Pielite destra (sedimento urinario con leucociti)
- Adenomesenterite (distinguibile all’intervento chirurgico)
- Pleuropolmonite destra (vi può essere una contrattura ad dominale riflessa, soprattutto nei bambini)
Terapia medica
Attenzione alla somministrazione di antidolorifici e soprattutto spasmolitici perché possono mascherare la
diagnosi, pericoloso risulta il clistere.
Terapia chirurgica
L'intervento chirurgico di appendicectomia è l'unico trattamento dell'appendicite acuta.
Di urgenza in caso di addome acuto o differita con supporto di antibiotici e terapia endovenosa idroelettrolitica.
Trattamento nel Dipartimento d’Emergenza-Urgenza:
ƒ Se paziente con segni clinici di disidratazione o setticemia, assicurarsi accesso venoso e somministrare
liquidi (cristalloidi).
ƒ Non fare assumere alcuna cosa per bocca nel sospetto di appendicite.
ƒ Somministrare analgesici in accordo con il chirurgo generale.
ƒ Prendere in considerazione, nel caso di donna in età fertile, la possibilità di gravidanza extrauterina e
richiedere dosaggio della beta hCG (o esecuzione di Gravindex).
ƒ Somministrare antibiotico a coloro che presentano segni di setticemia e in caso di intervento di
laparotomia esplorativa d’urgenza.
Aspetti medico-legali
Approssimativamente il 10% degli adulti affetti da appendicite non è diagnosticato correttamente alla prima
visita medica.
Il ritardo diagnostico è la principale causa di reclami per negligenza colposa del medico e la quinta causa più
costosa di reclami contro i medici di Pronto Soccorso.
In Gravidanza
L'incidenza di appendicite non cambia durante il periodo gestazionale ma la presentazione clinica è molto
variabile. Durante la gravidanza l'appendice migra in senso antiorario verso il rene destro, salendo sopra la cresta
iliaca al 4-5 mese (appendice iuxtarenale).
Il dolore al QID e debolezza prevalgono nel primo trimestre ma oltre tale periodo, un dolore al QSD o al fianco
destro devono essere considerati come possibile segno di infiammazione appendicolare.
Nausea, vomito ed anoressia sono comuni nel primo trimestre ma la loro comparsa dopo dovrebbe essere
considerata con sospetto diagnostico.
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Una leucocitosi fisiologica nel corso della gravidanza rende la conta dei globuli bianchi meno utile per la
diagnosi.
Utile una videolaparoscopia diagnostica nelle pazienti gravide nel primo trimestre se sospetto di appendicite.
Mentre un appendicectomia negativa non sembra minacciare la salute della madre e del feto, contrariamente un
ritardo diagnostico con perforazione del viscere aumenta la morbidità materna e fetale.
Donne in età fertile
Nel 33% dei casi non viene riconosciuta.
Le cause maggiori sono PID, gastroenteriti e infezioni delle vie urinarie.
Bambini
Bambini affetti da appendicite non vengono riconosciuti nel 25-30% dei casi e l'incidenza dell'iniziale mancata
diagnosi è inversamente correlata all'età del paziente.
Le cause principali sono la gastroenterite, seguita dall'infezione dell vie aeree superiori e basse.
Pazienti anziani
L'incidenza del ritardo diagnostico aumenta per i più anziani e questo a sua volta, comporta aumento della
morbidità e mortalità.
Tali pazienti tendono a prestare poca attenzione ai sintomi che quindi possono protrarsi anche oltre le 24-48 ore.
Profilassi antibiotica nel Dipartimento d’Emergenza-Urgenza:
Efficacia dimostrata nel ridurre l’incidenza di infezione di ferita come complicanza del postoperatorio.
Utile copertura ad ampio spettro per Gram negativi ed anaerobi. Tali decisioni andrebbero prese in accordo con
il consulente chirurgo.
Metronidazolo + aminoglicoside (Gentamicina)
Metronidazolo(Flagyl-Deflamon)
Dose Adulti: 7.5 mg/Kg preoperatorio
Controindicazioni: Ipersensibilità accertata
Interazioni: Aumenta tossicità di anticoagulanti, litio, fenitidina, cimetidina. Può scatenare reazione simil–
disulfiram dopo ingestione di alcool
Gravidanza: Può essere somministrato
Precauzioni: Aggiustare il dosaggio in malattie epatiche, monitoraggio per lo sviluppo di neuropatia periferica
Azione Battericida: inibisce la sintesi proteica causando la morte della cellula
Gentamicina (Gentalyn)
Dose Adulti: 80 mg/ 2 v/die i.m o e.v.
Efficace per gram negativi
Controindicazioni: Ipersensibilità accertata, Pazienti dializzati
Interazioni: aumenta nefrotossicità se cosomministrata ad altri Aminoglicosidi, Cefalosporine penicilline,
amfotericina B. Aumenta ototossicità se cosomministrata con diuretici dell’ansa.
Gravidanza: Controindicata
Precauzioni: Miastenia grave, ipocalcemia, insufficienza renale
Cefotetan (Apatef)
Dose Adulti: 2 gr una volta sola, preoperatorio Cefalosporina II generazione, Copertura per gram neg. ed
anaerobi, Emivita 3.5 h. Per aumentare efficacia della singola dose somministrare insieme a cefoxitina
Controindicazioni: Ipersensibilità accertata
Interazioni: potenzia l’azione degli anticoagulanti, Aumenta nefrotossicità se cossoministrata con
Aminoglicosidi, diuretici
Gravidanza: Possibile utilizzo
Precauzioni: Se terapia prolungata o ripetuta possibile sovrainfezione batterica e micosi
Cefoxitina (Mefoxin, Cefociclin)
Dose Adulti: 2 gr unica somministrazione preoperatorio
Cefalosporina II generazione, Emivita 8 h, Copertura per Cocchi gram pos e gram neg.
Controindicazioni: Ipersensibilità accertata
Interazioni: aumenta nefrotossicità se cosomministrata con Aminoglicosidi e Furosemide
Gravidanza: Possibile utilizzo
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Precauzioni: Sovrainfezione batterica o micosi se terapia prolungata o ripetuta
Bibliografia
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cefoxitin as prophilaxis in patients undergoing appendectomy for acute non perforated appendicitis. J
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based on meta-analysis and probabilistic reasoning. Acad Emerg Med 1995 Jul; 2(7): 644-50.
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or computed tomography the preferred imaging technique? Eur J Surg 2000 Apr; 166(4): 315-9.
9. Rothrock SG, Skeoch G, Rush JJ, et al: Clinical features of misdiagnosed appendicitis in children. Ann
Emerg Med 1991 Jan; 20(1): 45-50.
Si ringraziano per la collaborazione:
Dott.ssa Annalisa Lavezzoli, Chirurgo specialista in Chirurgia Generale con indirizzo di Chirurgia di Urgenza
Dott. Andrea Leonardi specializzando in Chirurgia Generale dell’Universita’ degli Studi di Pavia.
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Pd-T SINDROMI PROCTOLOGICHE ACUTE
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
Le patologie proctologiche non presentano una grande variabilità clinica e, soprattutto, i sintomi ad esse connessi
non sono sempre dotati di specificità.
CLINICA
Schematicamente i principali sintomi proctologici sono rappresentati da:
ƒ Sanguinamento (se è un sanguinamento abbondante si parla di rettorragia, se di lieve entità di
ematochezia);
ƒ Dolore perianale;
ƒ Alterazioni dei meccanismi espulsivi ;
ƒ Escrezioni anali;
ƒ Prurito.
DOLORE PERIANALE
La sua descrizione deve essere completata con la valutazione di parametri come l'epoca di insorgenza, l'intensità,
la durata, la sede riferita, la cronologia in rapporto all'evacuazione.
Dolore diffuso: di riscontro comune nella patologia emorroidaria, fissurativa, od in presenza di alterazioni
cutanee periorifiziali (es. dermatosi perianali). A volte legato alla presenza di secrezioni sierose o mucopurulente o alla cattiva igiene locale.
Dolore puntorio: localizzato, costante, spesso di intensità elevata, non ritmato dagli atti evacuativi (es. ascesso
intramurale, trombosi emorroidaria, neoplasia del canale anale).
Dolore pulsante: lancinante, continuo, di intensità crescente, correlato alla presenza di un ascesso perianale,
tipicamente dello spazio sotto-cutaneo o fossa ischio-anale. Non è modificato dalla evacuazione.
Sensazione di tumefazione: simile al precedente (es. trombosi anali esterne, dermatiti periorifiziali).
Algia sfinteriale: dolore più o meno acuto, provocato da una contrazione riflessa dello sfintere anale interno,
conseguente ad una dilatazione canalare. (es. si associa alla patologia fissurativa-ragade anale).
Tenesmo: si esprime come la sensazione di impellente necessità di evacuare in assenza di contenuto nell'ampolla
rettale. (es. nel prolasso rettale mucoso o completo, patologia neoformativa del distretto ano-rettale).
PROLASSO RETTALE
Considerare sempre se si tratta di un prolasso spontaneo (es. per pacchetti emorroidari, prolasso rettale...) o di un
prolasso conseguente allo sforzo prodotto durante l'evacuazione.
ALTERAZIONE DI MECCANISMI ESPULSIVI
Le modificazioni della dinamica espulsiva sono generalmente espressione di patologie proctologiche e
consistono nella dischezia (difficoltà all'espulsione del bolo fecale, che avviene in modo inefficace,
frammentario ed insoddisfacente) e nell'incontinenza.
SECREZIONI ANALI
Generalmente le secrezioni mucose sono dense e biancastre (es. dermatiti periorifiziali, emorroidi patologiche,
prolasso rettale); talora sono secrezioni purulente (es. ragadi infette, ascessi).
PRURITO ANALE
Può essere provocato da un danno diretto alla cute perianale (es. eczema, psoriasi, lichen planus, eruzioni
allergiche, dermatiti da contatto, ragade anale, carcinoma anale, Crohn anale, infezioni micotiche), secondario
alla presenza di secrezioni muco- purulente o a residui fecali contenenti parassiti; può essere un'espressione
locale di patologia sistemica (es. diabete mellito, ittero ostruttivo, linfomi, disordini mieloproliferativi).
LESIONI TRAUMATICHE ANO-RETTALI
I traumi dell'ano-retto sono relativamente rari, se si considerano quelli violenti, causati da un forte impatto sul
bacino, con o senza fratture del cingolo pelvico.
La sintomatologia varia in rapporto alle lesioni associate ed al meccanismo di azione del trauma. Si può avere
dolore, stato di shock più o meno evidente, rettorragia (non costante), edema, febbre, contrattura di difesa
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all'addome inferiore rapidamente estendentesi in caso di lesione peritoneale, ematuria e pneumaturia se vi è
contemporanea lesione vescicale, perdita di sangue e feci in vagina, se vi è interessamento vaginale.
LESIONI INFIAMMATORIE
Nella maggioranza dei casi sono infettive. Possono essere acute o croniche, limitate alla parete rettale o
sconfinare nel tessuto lasso circostante. Si distinguono le infiammazioni anali ed ano-rettali (fistole e ascessi
ano-rettali, infezioni anali, malattia di Verneuil perianale) che colpiscono il segmento più distale del retto e
quelle che interessano più o meno estesamente il viscere, proctiti (malattia di Crohn o proctite granulomatosa,
rettocolite ulcerosa, proctiti acute da corpo estraneo, dissenteriche, blenorragiche, proctite attinica ecc.).
ASCESSO E FISTOLA ANO-RETTALE
Rappresentano spesso diverse fasi di uno stesso processo patologico. Gli ascessi conducono spesso alle fistole in
un'alta percentuale di casi. Per questo motivo si devono considerare contemporaneamente i due problemi.
Nell'ascesso è presente dolore perineale continuo, talora pulsante, accentuato dalla posizione seduta, talora
tenesmo rettale. Spesso c'è febbre elevata. La cute si presenta tesa, lucente, arrossata, calda e può rilevarsi una
fluttuazione. Acquista tali caratteri tardivamente negli ascessi ischiorettali e intrasfinterici, dove all'esplorazione
rettale è presente una tumefazione dolente della parete rettale. Con l'apertura dell'ascesso dolore e febbre
recedono prontamente ed il malato ha un rapido recupero.
Nelle fistole i disturbi sono attenuati; può essere presente fastidio anale, fuoriuscita intermittente di un liquido
purulento talvolta maleodorante; dermatite eritematosa o anche pustulosa. Obiettivamente gli orifici sono
rilevati, circondati da cute arrossata. Più l'orificio è vicino all'ano e con più probabilità la fistola è ishiorettale.
Diagnosi
Esplorazione rettale
Ano e rettoscopia
Fistolografia
Terapia
Gli ascessi devono essere drenati per la via più breve e con la minima incisione possibile dei muscoli. L'incisione
deve permettere un adeguato drenaggio affinchè la lesione non si riformi. È essenziale anche l'inizio di una
terapia antibiotica.
Il trattamento delle fistole anali è chirurgico.
EMORROIDI
Le emorroidi costituiscono la patologia anale più frequente e, dalla maggioranza dei pazienti, tutti i sintomi a
localizzazione anale, siano essi emorragici che dolorosi, vengono etichettati come emorroidari. Definite
classicamente come dilatazioni varicose del plesso emorroidario sottomucoso e/o sottocutaneo (emorroidi interne
ed esterne rispettivamente) in questi ultimi anni si è assistito ad una revisione di tale concetto, ritenendosi che le
emorroidi rappresentino una patologia più complessa e che alla dilatazione venosa si associ un iperafflusso di
sangue arterioso e spesso una compromissione dell'apparato di sostegno del canale ano-rettale.
EPIDEMIOLOGIA ED EZIOPATOGENESI
La malattia colpisce entrambi i sessi; età media 40-50 anni. Alcuni Autori ritengono che le emorroidi siano
dovute a:
dilatazioni varicose delle vene sottomucose del terzo prossimale del canale ano-rettale o delle vene
sottocutaneperanali per cause congenite o ipertensione venosa distrettuale;
iperafflusso di sangue per una esagerata apertura delle anastomosi artero-venose del plesso emorroidario
indebolimento delle formazioni di sostegno (legamento sospensore di Parks) per cui la linea pettinea discende
progressivamente, i gavoccioli sanguigni prolassano a poco a poco (scivolamento anale) e verrebbe
secondariamente ostacolato il deflusso venoso.
ANATOMIA PATOLOGICA
In base alla loro situazione sopra o sotto il legamento di Parks le emorroidi sono distinte in emorroidi interne o
esterne.
Nella maggioranza dei casi le emorroidi interne si raccolgono in tre colonne, due a destra in posizione anterolaterale e postero-laterale, ed una a sinistra, in posizione laterale, ma sovente ci sono piccoli gavoccioli accessori.
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Il nodo emorroidario è costituito da un accumolo di vasi sanguigni dilatati, ha forma fusiforme o rotondeggiante,
ha volume vario ed un peduncolo vascolare al suo polo superiore. Ricoperto dalla sola mucosa è esposto a facile
sanguinamento.
SINTOMATOLOGIA
Le emorroidi possono causare vari sintomi tuttavia i più importanti sono :
ƒ Sanguinamento 81%
ƒ "Disagio anale" 64%
ƒ Prurito 62%
ƒ Prolasso 50%
ƒ Edema 47%
ƒ Dolore 35%
ƒ Secrezione 29%
L'emorragia è il sintomo che più spesso richiama l'attenzione del malato. È in genere modesta e compare durante
o subito dopo la defecazione, sotto forma di gocciolamento di sangue rosso vivo. Per lo più è saltuaria, talvolta
frequente. Il prolasso è un sintomo delle emorroidi interne. A tale riguardo le emorroidi interne sono distinte in
quattro gradi.
Il dolore dell'emorroidario in assenza di complicanze è per lo più modesto e di vario tipo: il malato avverte un
senso di peso o di corpo estraneo a livello ano-rettale; spesso accusa un prurito perianale.
COMPLICAZIONI
Sono rappresentate dalla tromboflebite emorroidaria, lo strozzamento e la ragade anale.
Tromboflebite
Si manifesta acutamente con dolore e tenesmo rettale, ingrossamento ed indurimento di uno o di vari gavoccioli
interni o prolassati o di un nodo di emorroide esterna: questi non sono più riducibili, talora compare febbre.
Questa complicanza in genere guarisce con l'organizzazione del trombo, ma può evolvere nella suppurazione,
causando ascessi e fistole.
Strozzamento emorroidario
È causato da uno spasmo persistente dell'apparato sfinterico sopra un prolasso emorroidario; i gavoccioli
diventano duri per la trombosi, tesi, dolorosissimi, compaiono spesso tenesmo rettale e vescicale, talora disuria e
vomito. Non è rara l'evoluzione in ascessi e fistole.
DIAGNOSI
Viene basata su anamnesi, esame obiettivo, anoscopia e la proctoscopia.
TERAPIA
Quando i disturbi emorroidari sono modesti, il trattamento è essenzialmente igienico-dietetico e farmacologico.
1) correzione della stipsi con alimentazione ricca in fibre, con crusca, blandi lassativi;
2) abolizione o riduzione di bevande alcooliche o di cibi drogati;
3) vita attiva fisicamente;
4) accurata pulizia della regione anale soprattutto dopo l'evacuazione;
5) bagni locali freddi (per ridurre l'apporto sanguigno) o caldi (come miorilassanti sfinterici);
6) supposte e pomate antispastiche, antiflogistiche, vasocostrittrici ed eventualmente anestetiche.
A domicilio si consiglia l’assunzione di Arvenum o Daflon (6 cpr/die i primi 3 giorni; 4 cpr/die per altri 3 giorni
e poi 2 cpr/die per 14 giorni).
Quando i disturbi non recedono con la terapia medica o sono notevoli si deve prospettare una terapia
endoscopica o chirurgica.
RAGADE ANALE
È un'ulcera lineare dell'ano, quasi sempre solitaria, situata nella grande maggioranza dei casi sulla linea mediana
posteriore, più raramente sulla anteriore, lunga alcuni millimetri, al confine tra canale anale e cute, causante uno
spasmo sfinterico doloroso. Spesso associata alle emorroidi, la formazione della ragade è favorita dal disordine
circolatorio locale.
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EZIOPATOGENESI
Non rientrano in questo caso le ragadi sintomatiche del morbo di Crohn, della colite ulcerosa o delle proctiti; se
sono spesso multiple, hanno generalmente sede laterale e sono epifenomeni della malattia causale. La ragade
primitiva è un'affezione molto frequente, colpisce indifferentemente i due sessi in età media. L'eziopatogenesi è
probabilmente multifattoriale. La frequente coesistenza delle emorroidi (70%) induce a ritenere che la stasi
venosa giochi una parte importante. In questo territorio con trofismo ridotto, il passaggio di feci indurite (spesso
il soggetto è stitico) causerebbe facilmente una lacerazione della mucosa, che non ha tendenza a guarire, anche
perchè essa causa uno spasmo sfinterico, che aggrava ulteriormente l'ischemia. Proprio questo spasmo sarebbe il
responsabile del dolore del malato. Per il dolore il malato tende a ridurre la defecazione, la stipsi sovente si
aggrava e si crea cosi' un circolo vizioso.
ANATOMIA PATOLOGICA
Ha di solito una lunghezza inferiore ad un centimetro. All'inizio la sua lunghezza è di pochi millimetri, ha
margini netti, soffici ed edematosi, e in profondità si estende alla sottomucosa e al derma. Con il tempo si può
allargare, i margini si ispessiscono e si cheratinizzano con formazione di noduli papillari (polipi di Lane), il
fondo può raggiungere lo sfintere interno.
SINTOMATOLOGIA
Il sintomo caratteristico è il dolore parossistico ad ogni defecazione: compare nel passaggio delle feci, poi si
attenua per qualche minuto, per ricomparire più intenso, talora insopportabile per 15'-18' talora anche per una,
due ore. Abbastanza comune è anche la perdita di qualche goccia di sangue rosso vivo ad ogni evacuazione;
modesto fastidio o prurito. La malattia può minare le condizioni generali del malato, che mangia poco per evitare
il più possibile le evacuazioni; qualche volta può insorgere addirittura uno stato ossessivo.
DIAGNOSI
Facile se la ragade è sul contorno anale; mentre se è alto-situata occorre la esplorazione rettale, che fa avvertire
una zona meno elastica e dolente, talvolta un po' indurita per la presenza di un polipo; come completamento in
tali casi è necessaria la anoscopia con eventuale biopsia.
PROGNOSI
È benigna, in quanto talvolta la lesione ripara spontaneamente, e comunque, è facilmente controllabile con la
cura.
TERAPIA
Il trattamento di una ragade recente deve essere conservativo: pomate e supposte antispastiche, antiflogistiche ed
anestetiche, toccature con lapis al nitrato d'argento, blandi lassativi, bagni caldi. Una ragade di vecchia data
richiede terapia chirurgica (elettrocoagulazione, escissione - fissurectomia).
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TRATTAMENTO DELLE FERITE
(a cura di: Dott.ssa A. Lavezzoli, Dott.ssa P. Tatoni)
Una ferita è una soluzione di continuo dei tessuti di rivestimento della cute causata da agenti traumatici.
Ogni anno negli Stati Uniti vengono trattati presso i dipartimenti d'emergenza più di 12.000.000 di pazienti con
ferite traumatiche. In Italia non è attualmente disponibile una casistica nazionale.
La maggior parte delle ferite trattate in Pronto Soccorso si verificano in giovani adulti, con localizzazione più
frequente al cuoio capelluto, al volto e alle estremità superiori. Prevalgono le ferite lacero-contuse, poi quelle da
taglio e da punta seguite dalle ferite da morso (umano e di animale).
Da un punto di vista generale è importante stabilire se la lesione cutanea costituisce l'unico elemento patologico
o se essa sia accompagnata da lesioni dei tessuti ed organi profondi, vasi, nervi, visceri ecc., la cui patologia è
dominante nel quadro clinico e tale da far passare in secondo ordine il trattamento della lesione esterna.
La morte conseguente a ferita traumatica è un evento statisticamente raro. Al contrario le complicanze infettive,
estetiche e funzionali che possono derivare da inadeguato trattamento, rappresentano un elemento individuale e
sociale realmente rilevante.
Attualmente non esistono linee guida o protocolli validati nazionali in merito al trattamento delle ferite. Bisogna
quindi cercare di migliorare le competenze dei medici di Pronto Soccorso di fronte al trattamento di lesioni tanto
comuni nella propria esperienza professionale e considerare l'elevato costo della gestione delle ferite (materiali
di sutura, strumentario chirurgico, antibioticoterapia, medicazioni, contenziosi giuridici riguardo ad esiti
funzionali ed estetici inadeguati).
Il trattamento di alcune ferite necessita della competenza degli specialisti chirurghi; tuttavia il medico d’urgenza
ha la responsabilità di proteggere tutte le ferite, anche se non le chiude. Va poi stabilita la necessità
dell'immunoprofilassi contro la rabbia ed il tetano e dell'antibioticoterapia.
Classificazione
Al fine di semplificare la trattazione proponiamo una classificazione basata su due criteri:
Criterio anatomo-patologico:
ƒ Superficiali (interessamento di cute o cute e sottocute);
ƒ Profonde (piano fasciale e muscolare, con eventuale lesione di strutture nervose, vascolari,
osteoarticolari);
ƒ Penetranti (comunicazione traumatica tra l'ambiente esterno ed una cavità corporea (cranica, toracica o
addominale).
Criterio etiologico:
ƒ Chirurgiche (ferite create dal medico a scopo terapeutico),
ƒ Traumatiche (sia accidentali che auto-inflitte): sono l'argomento della nostra trattazione (Tab. 9).
Complicanze delle ferite
Le complicanze generali delle ferite sono:
ƒ Infezione
ƒ Deiscenza
ƒ Ematoma/ ascessualizzazione
ƒ Cicatrice ipertrofica/ cheloidizzazione
Tab. 9: le ferite traumatiche
Tipo
Descrizione
Escoriazioni o abrasioni Lesioni limitate al piano cutaneo
Ferite lacero-contuse
Complicanze
Presentano poca importanza dal
punto di vista clinico nella maggior
parte dei casi, tuttavia possono
essere porta d'entrata di un'infezione
(tetano, piogeni, carbonchio)
Margini irregolari, slabbrati; eventuale Processi di riparazione tissutali sono
presenza di corpi estranei al loro interno ritardati e sono elevate le
(terriccio, frammenti di vetro, di metallo, complicanze infettive a causa
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di pietra ecc.)
dell'alto grado di contaminazione
dei tessuti
Profonde o penetranti, ma poco estese sul Emorragie per lesione dei vasi
Ferite da punta
piano cutaneo; riguardano i piani sanguigni e infezioni
sottostanti (muscoli, visceri, teche ossee)
Margini netti e regolari; possibile lesione Emorragie, impotenza funzionale,
Ferite da taglio
di strutture profonde tendinee, vascolari o dolore urente da irritazione dei
nervose
filamenti nervosi sezionati
Simili alle ferite da taglio, spesso Se colpite ossa lunghe possono
Ferite da fendente
coesistono anche alterazioni di tipo causare fratture pluriframmentarie,
contusivo
se cranio larghe brecce ossee, se gli
arti amputazione dei segmenti
Ferite da punta e taglio Caratteristiche sia delle ferite da taglio che Recisione dei tessuti profondi,
di quelle da punta
lesioni di organi vitali, emorragie
cospicue
Ferite da arma da fuoco Foro d'entrata sempre presente, ma Lesioni di organi interni e di grossi
possibile mancanza del foro di uscita se vasi, infezione e sepsi
proiettile ritenuto all'interno del corpo
della vittima. Fori di entrata multipli in
caso di colpi a proiettili multipli
Trattasi di ferite lacero-contuse o da punta Lesioni tendinee, elevato rischio di
Morsi e punture
infezioni
Ferita e asportazione di tessuti
Particolare riguardo a quelle
Perdite di sostanza
localizzate alle mani, ai genitali e al
capo per la grave compromissione
estetica, perdita della capacità
funzionale e gravi lesioni tissutali.
Infezioni e sepsi
Fuoriuscita di sangue a livello del
Ecchimosi
sottocute con cute integra
Variano dalla sola lesione cutanea, con
Lesioni da pressione
eritema o escoriazioni, fino alla necrosi dei
tessuti
Profondi (muscolo-fasciali ed osteoarticolari)
Lesioni cutanee da sfregamento
Irritazione
Prima valutazione
La maggior parte delle ferite valutate in Pronto Soccorso rappresentano evenienze semplici da gestire e non
determinano un rischio significativo per il paziente. All'atto della prima valutazione in Pronto Soccorso di
qualsiasi ferita occorre stabilire se oltre al danno dei tessuti superficiali siano associate lesioni concomitanti
richiedenti trattamento prioritario.
Nella maggior parte dei casi la sede della ferita e le informazioni raccolte al triage riguardo alla modalità del
trauma consentono di escludere in primis rischi rilevanti per il paziente.
Anamnesi
In caso di traumi maggiori, occorre rilevare il meccanismo traumatico e la presenza di eventuali lesioni associate
in sedi non correlate alla ferita, indagare la dinamica del trauma, l'uso di apparati di protezione (cinture di
sicurezza, casco ecc.).
Il trattamento non deve essere solo della ferita, ma anche delle condizioni generali: bisogna indagare se esistono
malattie sistemiche intercorrenti, lo stato di immunizzazione antitetanico del paziente, la terapia medica in atto
(anticoagulante!).
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Particolare importante è valutare il golden period, ovvero il tempo trascorso dal ferimento: una ferita traumatica
può essere suturata con buona sicurezza, senza rischio di infezione-suppurazione, in un intervallo di 6-8 ore
dall'evento. Oltre tale periodo tutte le ferite valutate sono da considerarsi potenzialmente infette.
Esame fisico
Indispensabile in caso di traumi di entità maggiore; assume particolare importanza la rilevazione dei parametri
vitali.
Va posta attenzione alla presenza di:
ƒ Ferita penetrante della testa, del collo, del torace, dell'addome, dell'inguine;
ƒ Vollet costale;
ƒ Amputazione traumatica;
ƒ Frattura di due o più ossa lunghe;
ƒ Presenza di ustioni > 15 % superficie corporea;
ƒ GCS < 13;
ƒ Pas< 90;
ƒ FR < 10 o > 30.
Il paziente va posto in decubito confortevole, possibilmente supino, per prevenire lipotimie da reazione vagale.
Ispezione della ferita e delle aree circostanti (esame obiettivo locale)
È necessario identificare le lesioni dei nervi prima di anestetizzare le ferite, le lesioni ossee prima di manipolare
gli arti, le lesioni arteriose prima che l’ischemia diventi irreversibile.
In ogni ferita occorre rilevare:
ƒ la perdita di vitalità dei tessuti;
ƒ i rapporti con le pliche cutanee e le superfici articolari;
ƒ la ritenzione certa o sospetta di corpi estranei;
ƒ i segni di superamento del piano fasciale;
ƒ i segni di lesioni tendinee, ossee o capsulo-legamentose;
ƒ i segni di compromissione vascolare (oltre all'emorragia va valutata anche l’ischemia o l'assenza di
polsi perifericamente alla ferita);
ƒ segni di penetrazione in cavità (orbita, cranio, torace, addome, dotti lacrimali ecc.);
ƒ segni di compromissione di strutture nervose (la non evidenza di essi alla valutazione iniziale può
essere causa di contenziosi giuridici e assicurativi).
Detersione dei tessuti circostanti
Di solito si utilizza una soluzione di Povidone iodio al 7.5% (Betadine), procedendo dalla ferita verso l'esterno.
Detersione della ferita
Sempre con Betadine al 7.5%; poi si procede al lavaggio della ferita con soluzione fisiologica a media /alta
pressione per mezzo di una siringa.
L'irrigazione riduce la carica batterica e asporta la gran parte dei corpi estranei non visibili ad occhio nudo,
riducendo così l'inoculo batterico ed il rischio di infezione.
Segue la tricotomia (non del sopracciglio per il rischio che non ricresca il pelo).
Disinfezione della ferita e della cute circostante
Si usano: Betadine soluzione al 10% o Braunol (polivinilpirrolidone iodio). Segue l'asciugatura della ferita con
garza sterile.
Preparazione del campo sterile
Anestesia locale
Di più comune impiego in Pronto Soccorso sono la mepivacaina (carbocaina 0,5-1-2%) e la bupivacaina
(marcaina 0,25-0,5%), con o senza vasocostrittore locale (adrenalina).
La tecnica più usata per l'anestesia è l'infiltrazione locale. In caso di ferita che interessi le dita delle mani o dei
piedi l'infiltrazione verrà praticata alla base della falange con blocco tronculare dei nervi digitali. L'iniezione
deve essere lenta e bisogna effettuare un test di aspirazione ripetuto.
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La metodica di somministrazione più frequente degli anestetici è rappresentata dall'infiltrazione dei margini della
ferita a ventaglio e in modo omogeneo, soprattutto per piani successivi: cute, sottocute, piano aponevrotico,
muscolo.
Esplorazione chirurgica
L'esplorazione chirurgica di una ferita deve essere minuziosa per evidenziare l'eventuale presenza di corpi
estranei; va intrapresa anche in caso di ferite superficiali, perché, insieme al lavaggio e alla disinfezione,
rappresenta l'unico mezzo per garantire la possibilità di una sutura senza rischi e di non misconoscere lesioni
associate delle strutture profonde.
L'esplorazione prevede la divaricazione dei margini della ferita con divaricatori autostatici, o in presenza di un
secondo operatore, per mezzo di uncini tipo farabeuf o punti transcutanei di trazione. Se l'accesso è insufficiente
si può allargare la ferita.
L'esplorazione richiede sempre un'emostasi accurata o con elettrobisturi o con legatura dei vasi sanguinanti.
Segue l'eventuale rimozione dei tessuti devitalizzati (debridement), che sono facilmente identificabili; a volte,
però, la vitalità di un'area tissutale può risultare ambigua.
Segni che depongono per una conservata vitalità sono i seguenti:
ƒ colore normale per quel tessuto (cute o mucosa);
ƒ sanguinamento di tipo arterioso (colore rosso vivo);
ƒ impallidimento dell'area durante la pressione, seguito da ritorno capillare alla sospensione della
manovra (tempo di riempimento capillare).
La ferita va chiusa quando tutto il tessuto necrotico è stato rimosso.
Le ferite caratterizzate da tessuti necrotici e corpi estranei devono essere medicate e zaffate (mediante garza
iodoformica o betaseptic) per alcuni giorni o chiuse, per terza intenzione, nel momento in cui appaiono pulite.
Controindicazioni formali all'uso dei vasocostrittori sono le seguenti:
Angina instabile
Aritmia cardiaca
Ipertensione non controllata
Trattamento con I-MAO
Insufficienza utero-placentare
Anestesia o blocco nervoso di aree ad irrorazione
terminale
Anestesia locoregionale endovenosa
Sutura: materiali e metodi
La sutura consiste nell'accostamento dei margini di una ferita al fine di facilitare la guarigione ed evitare la
contaminazione batterica. La non corretta esecuzione è responsabile della guarigione e condiziona il risultato
finale.
La scelta del materiale è subordinata alla natura e sede della ferita, al rischio di infezione. Strumentario
indispensabile per le suture:
ƒ portaghi;
ƒ pinze anatomiche e/o chirurgiche;
ƒ forbice;
ƒ pinze emostatiche (Klemmer o Kocker);
ƒ fili di sutura;
ƒ altro: Steri-strips, punti metallici, colle biologiche.
Tipi di chiusura della ferita
ƒ Chiusura per prima intenzione: chiusura al momento della prima osservazione.
ƒ Chiusura per seconda intenzione: chiusura spontanea.
ƒ Chiusura per terza intenzione, o per prima intenzione ritardata: chiusura dopo un periodo di
osservazione.
ƒ Il medico di Pronto Soccorso deve conoscere due semplici metodiche di sutura:
ƒ a punti semplici;
ƒ secondo Donati o punto a U.
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La quantità di tessuto compresa nel punto da entrambe i lati della ferita deve essere uguale e perpendicolare alla
linea della ferita; non lasciare spazi morti, sapendo che troppi piani di sutura o punti troppo ravvicinati
aumentano il rischio di infezione.
Memento:
ƒ ferite del viso: usare materiale di sutura non riassorbibile di diametro 6.0;
ƒ ferite delle labbra: usare filo riassorbibile e non (quest'ultimo viene macerato dalla saliva);
ƒ ferite della lingua: vanno sempre suturate, preferibilmente con materiale non riassorbibile, per il rischio
di deiscenza;
ƒ ferite delle palpebre: rivolgersi al chirurgo oculista;
ƒ ferite dell'orecchio: in caso di esposizione della cartilagine inviare all'ORL.
Medicazione
Previa applicazione di garza sterile sulla ferita si rimuove il campo sterile per evitare la contaminazione della
stessa e si fissa la garza con cerotti ipoallergenici o bende.
Esistono anche cerotti premedicati da porre direttamente a contatto con la ferita.
Trattamenti associati
Vaccinazione antirabbica.
Vaccinazione e/o profilassi antitetanica
Una ferita è considerata a rischio se presenta alcune caratteristiche (Tab.11).
Follow-up e controllo nel tempo delle ferite
Le ferite vanno riesaminate entro 2-3 giorni se il paziente accusa fastidio o iperpiressia: le ferite secernenti
infette vanno riesaminate ogni 48 h.
Per la rimozione dei punti di sutura si seguono le seguenti regole:
ƒ ferite al volto: 3-5 giornata;
ƒ ferite agli arti e alla parte anteriore del tronco: 7 giornata;
ƒ ferite al cuoio capelluto, al dorso, a livello delle articolazioni: 10-14 giornata.
Esplorazione chirurgica delle ferite della mano
È essenziale nelle ferite coinvolgenti la mano per la frequenza con cui si associano a lesioni tendinee e vascolonervose. Va segnalato che le lesioni palmari sono più gravi e di più laborioso trattamento per la presenza di
guaine e pulegge tendinee, assenti invece sul versante dorsale.
L'esplorazione chirurgica della mano comporta quasi costantemente un allargamento della lesione iniziale. È
importante ottenere un'efficace anestesia locoregionale o tronculare ed un'emostasi preliminare con laccio
emostatico posizionato in congrua sede.
Altre considerazioni particolari si fanno in caso di:
ƒ avulsione ungueale: medicazione con garza grassa;
ƒ ematoma sottoungueale: evacuazione utile per alleviare la sintomatologia dolorosa insopportabile;
ƒ ferite lacero-contuse: recentazione dei margini e sutura;
ƒ ferite a lembo: riposizionamento del lembo e sua sutura;
ƒ ferite da morso di animale o umano: non suturare, se profonde zaffare con garza iodoformica.
Approccio al paziente con trauma penetrante degli arti (ferite da punta, da taglio, da morso, da fuoco)
La priorità va riservata alla stabilizzazione del paziente, con trattamento prioritario delle lesioni minacciose per
la vita e, solo secondariamente, si passa al trattamento provvisorio o definitivo della ferita penetrante.
Trattamento
ƒ anamnesi (meccanismo del trauma, agente lesivo e circostanze, ev. terapia anticoagulante in corso e
patologie associate, stato di immunizzazione del paziente);
ƒ esame clinico (esposizione completa dell'arto, con rimozione di gioielli, esame dell'area del trauma,
ricerca di lesioni nervose, tendinee, muscolari);
ƒ emostasi adeguata, senza effettuare clampaggi alla cieca;
ƒ decontaminazione: irrigazione della ferita, con 150-300 ml di soluzione fisiologica. Questa manovra
riduce del 90% la carica batterica e consente di rimuovere corpi estranei, terriccio, tessuti devitalizzati;
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ƒ
ƒ
ƒ
disinfezione con iodio povidone al 5%;
valutazione diagnostica per immagini (radiografia, ecografia, TAC per la ricerca di ev. fratture, corpi
estranei, ecc.);
sutura.
Vaccinazione e/o profilassi antitetanica nelle ferite
Le indicazioni per la vaccinazione e/o la profilassi si basano sulle condizioni della ferita e sullo stato di
immunizzazione del paziente.
La sola controindicazione alla tossina tetanica è una precedente reazione allergica nota (con alterazioni
neurologiche o reazione di ipersensibilita severa) o il sospetto di una reazione allergica al siero del cavallo.
In caso di controindicazione considerare l’immunizzazione passiva antitetanica.
Si somministra una dose di 250 UI di immunoglobuline umane (essendo di derivazione umana il paziente deve
firmare il foglio di consenso informato all'utilizzo) con la prima dose del vaccino antitetanico. La vaccinazione è
completa se la somministrazione del vaccino viene ripetuta dopo sei settimane e ancora dopo sei mesi: il paziente
deve rivolgersi al medico di Medicina Generale o all'ASL per i successivi richiami.
Consegnare al paziente il foglio di dimissione con le indicazioni per il trattamento della ferita, l’assunzione di
eventuale antibiotico e/ analgesico e le possibili complicanze.
Consegnare al paziente il certificato di avvenuta vaccinazione con indicato la data e i successivi richiami.
Chemioprofilassi
Non è attuata per: ferite piccole, non penetranti e non contaminate.
Una copertura antibiotica è indicata nei seguenti casi:
ƒ cellulite dei tessuti circostanti la ferita;
ƒ pazienti immunocompromessi;
ƒ pazienti con malattie valvolari cardiache, per prevenire endocarditi;
ƒ ferite sporche;
ƒ morsi di essere umano e di animale;
ƒ ferite da punta.
Gli antibiotici di maggior impiego sono i seguenti:
ƒ Amoxicillina/acido clavulanico: 1 g ogni 12 h per 6 gg;
ƒ Levofloxacina 500 mg/die per 5 gg;
ƒ Macrolide (claritromicina /eritromicina) (infezione dei tessuti molli);
ƒ Cefalosporina (morsi umani);
ƒ Clindamicina o Metronidazolo (anaerobi): presenza di crepitio o cattivo odore.
Si ringrazia per la collaborazione:
Dott.ssa Annalisa Lavezzoli, Specialista in Chirurgia d’Urgenza, Università degli Studi di Pavia.
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LINEE GUIDA PER LA PROFILASSI ANTITETANICA
IN PRONTO SOCCORSO
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
Il tetano
Il tetano è una tossinfezione provocata da due esotossine (tetanospasmina, tetanolisina) prodotte dal Clostridium
tetani, un microrganismo gram positivo, anaerobio, sporigeno, che penetra nell’organismo attraverso una
soluzione di continuo della cute o delle mucose.
Le spore di Clostridium tetani sono molto resistenti agli agenti fisici e chimici e, al riparo dalla luce solare,
possono sopravvivere per anni nei terreni agricoli e nella polvere delle strade.
La tossina principale, la tetanospasmina (neurotossina), viene prodotta dal microrganismo solamente in fase di
accrescimento e rilasciata per lisi batterica, di conseguenza la malattia si manifesta soltanto quando le spore di
Clostridium Tetani germinano dopo essere penetrate nelle ferite. La tossina si lega alle terminazioni presinaptiche dei motoneuroni alfa, bloccando il rilascio dei neurotrasmettitori a livello della giunzione
neuromuscolare con conseguente paralisi. Il periodo di incubazione è variabile da poche ore a 3-12 mesi (in
media 6-14 giorni).
La diffusione della malattia dipende dalla diversa distribuzione del bacillo nel terreno, dalle condizioni
socioeconomiche, igienico sanitarie, dall’età, dalla professione e dall’estensione della vaccinazione di massa.
In tutto il mondo si verificano mediamente 1.000.000 casi l’anno di tetano di cui in Italia circa 100/anno, con un
trend stabile negli ultimi 10 anni (specie nelle donne di età superiore ai 65 anni, per caduta dell’immunità
specifica vaccinale in assenza di rivaccinazione).
I principali sintomi e le diagnosi differenziali sono schematizzati rispettivamente in tabella 1 e 2.
In pronto soccorso
Alla luce di questi dati assume una importanza fondamentale il ruolo del Medico di Pronto Soccorso, tra le cui
funzioni vi è anche quella di istituire un trattamento profilattico tempestivo ed efficace al fine di prevenire
l’infezione dei soggetti a rischio.
La prevenzione del tetano consiste in una profilassi medico-chirurgica locale (pulizia e medicazione), in una
profilassi attiva e/o passiva. Quella attiva si attua mediante anatossina tetanica 0.5 mL i.m. (40 UI di
anatossina adsorbita su fosfato o idrossido di alluminio) mentre quella passiva mediante immunoglobuline
umane specifiche con dosi di 250 UI, o 500 UI se sono trascorse più di 24 ore dal trauma (7 UI/kg nei
bambini). Qualora fosse necessario ricorrere ad entrambe le immunizzazioni, queste vanno somministrate in siti
e con siringhe differenti e mai per via endovenosa.
E’ fondamentale per il Medico di Pronto Soccorso avvalersi di linee guida che garantiscano un uso appropriato
della profilassi antitetanica, sia in vista di un contenimento dei costi, sia in relazione all’art.4 del Decreto del
Ministero della Sanità 1° sett. 1995 che obbliga lo stesso medico ad interpellare il paziente sull’eventuale
somministrazione di emoderivati (immunoglobuline) e richiederne il consenso informato per l’effettuazione
dello specifico trattamento.
I criteri principali a cui il medico può fare riferimento sono sostanzialmente due:
ƒ Tipo di ferita;
ƒ Valutazione anamnestica dello stato immunitario del paziente.
Prima di tutto bisogna fare una valutazione del tipo di ferita e classificare le ferite in tetanigene e non tetanigene
(vedi tabella A).
Consideriamo una ferita a rischio se :
ƒ È presente da più di 6 ore;
ƒ i lembi sono irregolari/stellati;
ƒ è stata provocata da schiacciamento/ ustione/proiettile;
ƒ è profonda > 1 cm;
ƒ i bordi sono devitalizzati/ischemici;
ƒ è contaminata (terriccio, ruggine, saliva, feci…);
ƒ sono presenti segni di infezione.
E’ necessario inoltre conoscere quali sono i soggetti a maggior rischio (anziani, extracomunitari, specie se non in
possesso di regolare permesso di soggiorno, tossicodipendenti di sesso femminile) e valutare la situazione
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vaccinale del paziente attraverso un’adeguata documentazione (al fine di stabilire l’esistenza o meno di un ciclo
vaccinale “utile”).
La scelta sull’opportunità o meno di praticare la profilassi antitetanica scaturisce dall’associazione dei 2 criteri
(vedi Tabella B).
È utile ricordare che gli individui con deficit immunitario possono non rispondere adeguatamente alla
vaccinazione e, in presenza di ferita sospetta, devono ricevere una immunizzazione passiva. In presenza di ferita
tetanica è utile anche associare un trattamento antibiotico che comprenda anche il metronidazolo (500 mg X 4) o
la penicillina (G 24 MU).
Caratteristiche
cliniche ferita
Forma
Dimensioni
Età della ferita
Meccanismo
traumatico
Tessuto
devitalizzato
Contaminanti
(polvere,
saliva, ecc.)
Tabella A
Ferita tetanigena
Ferita
non
tetanigena
lacero Lineare
Stellata,
contusa
> di 1 cm
> di 6 ore
Proiettile,
ustione,
schiacciamento,
morso di animale,
puntura
con
ago
sporco di polvere o
terra, spina
Presente
< di 1 cm
< di 6 ore
Superfici
taglienti
(coltello,
vetro), ago
non
contaminato
Assente
Presente
Assente
Tabella B
STATO VACCINALE DEL PAZIENTE
CARATTERI
FERITA
DELLA
Pz mai vaccinato
o vaccinato in modo incompleto
o da > 10 anni
Ferita a rischio
Siero°+ vaccino
Pz immunodepresso, vaccinato in modo completo da 5- Ferita a rischio
10 anni
Siero°+ Vaccino
Pz mai vaccinato
o vaccinato in modo incompleto
o da > 10 anni
Vaccino
Ferita non a rischio
COMPORTAMENTO
Pz immunocompetente, vaccinato in modo completo da 5- Ferita a rischio
10 anni
Vaccino
Pz immunodepresso , vaccinato in modo completo da Ferita non a rischio
5-10 anni
Vaccino
Pz vaccinato in modo completo da < 5 anni
Qualsiasi tipo di ferita
Nessuna profilassi
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Pz immunocompetente, vaccinato in modo completo da Ferita non a rischio
5-10 anni
Nessuna profilassi
Se il paziente non era vaccinato e si sta eseguendo la prima iniezione di vaccino antitetanico, prescrivere al
paziente i successivi richiami per completare la vaccinazione secondo lo schema vaccinale (richiamo a 1 mese, 6
mesi, 12 mesi). Ulteriori richiami sono consigliati ogni 10 anni.
Tabella 1: riepilogo schematico della sintomatologia del tetano localizzato e generalizzato
SINTOMI
TETANO LOCALIZZATO TETANO GENERALIZZATO
TETANO
INIZIALI
NEONATALE
Irritabilità,
Arti: attitudine flessoria arti Trisma, riso sardonico, opistotono Infezione del cordone
Agitazione
superiori ed estensoria arti
ombelicale, mortalità del
inferiori
90%
Febbre
Cefalico: trisma +/- rigidità Ipertono con generalizzazione
muscoli del collo
quasi sempre discendente
Disfagia, disfonia, dispnea
Contrattura
muscolatura
addominale
Paralitico: interessamento Estensione arti inferiori con
dei nervi cranici
impossibilità a qualsiasi tentativo
di flessione
Oftalmoplegico oculomotore Crisi parossistiche generalizzate
da esaltazione della irritabilità
riflessa
Addomino-toracico (raro): Sudorazione profusa, febbre
simula addome acuto
Decesso
per
cardiorespiratorio
laringeo
o
arresto
spasmo
Tabella 2: principali diagnosi differenziali correlate con i principali segni e sintomi da ricercare
Diagnosi differenziale
Segni e sintomi da ricercare
Infezioni odontogene
Trisma isolato (valutazione del cavo orale)
Meningiti
Liquor
Rabbia
Manca il trisma, si hanno spasmi dei muscoli respiratori e della
deglutizione
Encefaliti
Alterazioni precoci del sensorio
Isterismi
Colloquio
Distonie
da
neurolettici
e Movimenti atetosici e tremori, torcicollo
metoclopramide
Avvelenamento da stricnina
Apiressia, ipertonia del tronco.
Si ringrazia per la collaborazione il Prof. Lorenzo Minoli, Direttore Clinica Malattie Infettive, IRCCS Policlinico
San Matteo, Pavia - Università degli Studi di Pavia.
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PROFILASSI ANTIBIOTICA DELLE FERITE
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
La profilassi antibiotica non sostituisce ma si associa alla decontaminazione/disinfezione della ferita e agli altri
procedimenti locali (es. recentazione dei margini necrotici) che restano il mezzo più efficace per abbattere la
carica batterica.
Lo scopo della profilassi antibiotica delle ferite è di cercare di evitare la disseminazione batterica loco-regionale
(per via linfatica ed ematicaÆcelluliti, linfangiti, flemmoni, linfoadeniti) ed ematica a distanza.
La terapia va iniziata il più presto possibile (efficacia massima entro 4-6 ore dalla lesione), somministrando la/le
prime dosi del farmaco in Pronto Soccorso, e deve durare almeno 5 giorni.
Utile eseguire sempre indagini microbiologiche per aerobi/anaerobi prima dell’inizio del trattamento antibiotico
al fine di rimodulare la terapia antibiotica alla luce dell’isolamento del patogeno. Se necessario valutazione
chirurgica per sbrigliamento soprattutto nel sospetto di fascite.
Si consiglia in caso di:
ƒ ferite a rischio (altamente contaminate o sporche, con possibile ritenzione di materiale estraneo; margini
ischemici/necrotici);
ƒ segni di infezione in atto o vicinanza a processi flogistici (celluliti/linfangiti, piaghe infette);
ƒ morsi di animali o umani;
ƒ estese ferite localizzate al centro della faccia (rischio di diffusione meningea per via venosa);
ƒ ferite (anche se a basso rischio) ma in pz immunodepresso (diabetico, con insufficienza renale,
splenectomizzato, ecc);
ƒ ferite (anche a basso rischio) in pz portatori di protesi o vizi valvolari cardiaci o protesi vascolari.
Terapia
Lo schema di trattamento prevede l’uso dei seguenti farmaci:
Amoxicillina + Acido clavulanico (Augmentin®, Clavulin®): 1 g x 2-3/die oppure
Claritromicina (Klacid®, Macladin®, Veclam®): 500 mg X 2/die) oppure
Levofloxacina (Levoxacin®): 500 mg/die.
In casi particolari, quali ferite molto gravi/estese, o con possibili contaminazioni specifiche (ad es. anaerobi nei
morsi umani o in ferite con crepitio o maleodoranti), potranno essere impiegate associazioni antibiotiche o
antibiotici “orientati” (ad es. clindamicina o metronidazolo– Deflamon®, Flagyl® - per anaerobi).
Si ringrazia per la collaborazione il Prof. Lorenzo Minoli, Direttore Clinica Malattie Infettive, IRCCS Policlinico
San Matteo, Pavia - Università degli Studi di Pavia.
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Servizio di Pronto Soccorso Accettazione
IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia
Direttore: dott.ssa Maria Antonietta Bressan
SIEROPROFILASSI ANTIRABBICA
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
La rabbia
La rabbia è una malattia infettiva causata dal virus rabico che colpisce prevalentemente gli animali e
occasionalmente l’uomo, provocando nevrassite ad esito letale.
Il virus rabico appartiene alla famiglia delle rhabdoviridae, virus ad RNA diffuso ubiquitario. Nel 1996 l’OMS
ha segnalato 33.209 casi in tutto il mondo. Gli ultimi 3 casi italiani sono da importazione.
La rabbia è una zoonosi diffusa in due forme: rabbia urbana, trasmessa dal cane e rabbia silvestre trasmessa dagli
animali selvatici. Attraverso la morsicatura e i graffi, il virus contenuto nella saliva dell’animale, penetra nella
soluzione di continuo e si replica nei monociti, attraversa la giunzione neuromuscolare e giunge al sistema
nervoso.
I principali fattori che intervengono nello sviluppo della malattia sono rappresentati dal tipo e dalla sede di
inoculo; infatti sembra che siano a rischio maggiore le lesioni al volto rispetto a quelle sulle estremità.
L’incubazione varia da 10 giorni a parecchi anni; in media è di 1-3 mesi e il periodo di contagiosità è compreso
da qualche giorno prima dell’inizio della sintomatologia al decesso. I sintomi sono riassunti in tabella 1.
Tabella 1: principali segni e sintomi della rabbia
Stadio
Durata
Sintomi
Incubazione
Pochi gg fino a Nessuno
oltre 3 mesi
Prodromi
2-10 gg
Parestesia, dolore in sede di inoculo, malessere, nausea, vomito,
anoressia
Malattia
2-7 gg
Allucinazioni, ansia, agitazione, turbe comportamentali, idrofobia,
neurologica acuta
sindrome da inappropriata secrezione di ADH
Fase paralitica
Paralisi flaccida ascendente, rigor, segni meningei con sensorio
integro
Fase terminale
0-14 gg
Coma, morte
In Pronto Soccorso
Sono da considerare a rischio di trasmissione della rabbia i morsi di:
ƒ volpe, puzzola, procione, pipistrello, coyote;
ƒ animali domestici in Paesi afflitti da rabbia urbana (es. Est Europa);
ƒ animali sconosciuti/selvatici in ambiente silvestre.
Non sono a rischio di trasmettere rabbia i morsi di roditore, coniglio, animale domestico nelle nostre regioni, a
meno che l’animale non abbia mostrato un atteggiamento particolarmente aggressivo o una salivazione
eccessiva.
La diagnosi differenziale comprende le encefalomieliti virali e rare forme post-vaccinali di encefalomielite acuta.
La profilassi antirabbica va effettuata solo nei casi a rischio come sopra indicato e va iniziata sia se l’animale é
disponibile per l’osservazione, sia se é indisponibile (nel primo caso la vaccinazione potrà essere interrotta
qualora dopo 10 giorni di osservazione, o dopo sacrificio dell’animale, non emergano elementi a favore di
infezione rabica).
Non vi è ragione di effettuare la profilassi in tutti i casi di morso di cane, anche se randagio.
La vaccinazione può essere effettuata a qualsiasi età dopo il primo anno di vita.
Profilassi
Ove indicata, la profilassi antirabica dovrà prevedere la somministrazione di:
ƒ immunoglobuline umane antirabbiche (HRIG) 20 UI/Kg, metà dose IM (gluteo), metà dose attorno alla
ferita;
ƒ Vaccino antirabbico (HDCV) 1 ml IM (Ia dose, nel deltoide), rinviando il paziente, per i successivi
richiami, all’Ufficio Igiene. Per gli individui già vaccinati vedere la tabella 2.
In caso di malattia è utile mantenere il paziente in stretto isolamento e disinfettare gli oggetti contaminati con la
saliva.
Utile la consulenza infettivologica e la notifica di malattia.
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Tabella 2: modalità di vaccinazione
Modalità di vaccinazione Dosi e tempi
Altre note
Vaccinazione preventiva
1 ml di vaccino ai giorni 0-7-21-28
se età maggiore di 1 anno
Rivaccinazione da meno 2 dosi di vaccino a distanza di 3 gg
di un anno
Vaccinazione da più di un 3 dosi con tre gg di intervallo
anno
Trattamento profilattico 5-6 dosi IM ai gg 0-3-7-14-28 Contemporaneamente
alla
post-contagio
oppure 0-3-7-14-30-90
somministrare Ig specifiche
Richiami
Ogni 2-3 anni con una dose di
vaccino
I
dose
Si ringrazia per la collaborazione il Prof. Lorenzo Minoli, Direttore Clinica Malattie Infettive, IRCCS Policlinico
San Matteo, Pavia - Università degli Studi di Pavia.
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LINEE GUIDA PER LA PREVENZIONE DELL'INFEZIONE
MENINGOCOCCICA
IN PRONTO SOCCORSO
(definite dal Comitato Epidemiologico e Direzione Sanitaria IRCCS, Policlinico S.Matteo, Pavia)
Neisseria Meningitidis (N.M.) è un diplococco gram negativo, asporigeno, capsulato, possiede diversi
polisaccaridi di superficie che contraddistinguono 13 sottogruppi. L’infezione da N.M. viene trasmessa da ampie
gocce di saliva disperse nell'aria per effetto della tosse, ha un periodo di incubazione variabile da 2 a 10 giorni
(in media 3-4) e la sua infettività è ridotta sensibilmente dall'instaurazione di una terapia efficace precoce (a
partire dalle 24 ore successive al contagio).
È necessario l’isolamento respiratorio del paziente per 24 ore dopo l’inizio del trattamento con antibiotici e la
disinfezione degli oggetti contaminati con secreto naso-faringeo.
La patogenesi della N.M. inizia sull’epitelio naso-faringeo, i meccanismi di penetrazione del microrganismo
sono ancora poco chiari ma sono coinvolti la capsula, le proteine di membrana, polisaccaridi, lipooligosaccaridi,
pili. Una volta penetrate le cellule nasofaringee, il microrganismo riesce ad eludere le difese batteriche e
penetrare nell’organismo.
Le principali manifestazioni cliniche da N.M. sono riassunte in tabella 1
Tabella 1
Principali manifestazioni cliniche
Batteriemia senza sepsi
Sepsi senza meningite
Meningite con o senza meningococcemia
Meningoencefalite
Infezione delle vie aeree superiori, esantema virale
Febbre, leucocitosi, petecchie, ipotensione
Cefalea, febbre, alterazione del sensorio, rigor, ecc
Sopore, coma
Nei Paesi industrializzati la letalità è del 7% circa nelle forme con interessamento del SNC e del 20% (fino al
70% NEI Paesi del terzo mondo) per l’innescarsi di una coagulazione intravascolare disseminata con apoplessia
surrenalica. In Italia sono stati segnalati 194 casi nel 2001 e 124 fino all’ ottobre 2002.
PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE
E’ suggerita solo ai soggetti che hanno avuto contatti non protetti (senza mascherina) ed intensi (respirazione
bocca a bocca, intubazione endotracheale, aspirazione naso-tracheale, ispezione oro-faringea) con pazienti infetti
e deve essere iniziata precocemente, anche in assenza dei risultati degli isolamenti colturali sul paziente.
Occorre sorveglianza sanitaria dei contatti per 10 giorni con inizio della terapia al primo segno di malattia
(febbre, eruzioni cutanee, cefalee, ecc) nei conviventi o nei contatti stretti in caso di malattia documentata
profilassi come da tabella:
Adulti
Bambini
Rifampicina 600 mg ogni 12 h per 2 gg Rifampicina 5 mg/kg/die
Azitromicina 500 mg singola dose
Ceftriaxone 125 mg im
Ciprofloxacina 500 mg singola dose
Ceftriaxone 250 mg im singola dose
Spiramicina 10 mg/kg per os ogni 6 h per 5 gg
Spiramicina 500 mg ogni 6 h per 5 gg
Il rischio di contaminazione da parte del personale sanitario che ha contatti casuali (pulizia delle camere,
dispensazione del cibo, etc.) con il paziente affetto da meningite è decisamente trascurabile.
Il personale sanitario deputato alla cura dei pazienti affetti da N.M. può sensibilmente ridurre il proprio rischio di
contrarre la malattia indossando apposite mascherine ed assicurando ai locali dove stazionano i pazienti adeguati
ricambi d'aria (Droplet Precautions).
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In reparto il paziente deve essere precocemente posto in isolamento.
DISINFEZIONE DELLE CAMERE
I locali che hanno ospitato il paziente affetto da Meningite Meningococcica devono essere sempre sottoposti a
disinfezione (vedi disposizioni della Direzione Sanitaria).
Bibliografia
1. Garner JS. Guideline for Isolation Precautions in Hospital. Infect Control Hosp Epidemiol 1996;17:5380.
2. CDC-Guidelines for Infection Control in Healthcare Personnel. Infect Control Hosp Epidemiol 1998;
19: 407-463
3. CDC.Laboratory-acquired meningococcemia-California and Massachusetts. MMWR 1991; 40: 46-7.
Si ringrazia per la collaborazione il Prof. Lorenzo Minoli, Direttore Clinica Malattie Infettive, IRCCS Policlinico
San Matteo, Pavia - Università degli Studi di Pavia.
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CRISI IPERTENSIVE: EMERGENZE, URGENZE E SEMPLICI RIALZI
PRESSORI
(a cura di: Dott. G.Crescenzi, Dott.ssa S.Vecchio)
Con il termine di “crisi ipertensiva” si intende un ampio spettro di situazioni cliniche che hanno in comune un
aumento della pressione arteriosa e un danno d’organo presente o imminente. Sebbene le crisi ipertensive si
presentino più frequentemente nei pazienti con ipertensione non trattata o inadeguatamente trattata, esse non
sono definite unicamente dall’entità del rialzo pressorio né esso ne è un fattore prognostico.
IL Joint National Comittee on Detection, Evaluation and Treatment of High Blood Pressure (JNC sixth report)
distingue le crisi ipertensive in emergenze ed urgenze.
Le emergenze ipertensive comprendono quelle situazioni in cui è necessaria una immediata riduzione dei valori
pressori (non necessariamente fino a livelli normali) per prevenire o limitare un danno d’organo. Esempi
includono l’encefalopatia ipertensiva, le sindromi cerebrovascolari acute, l’angina pectoris instabile, l’infarto
miocardico acuto, l’edema polmonare acuto con insufficienza del ventricolo sinistro, la dissecazione dell’aorta e
la preeclampsia/eclampsia.
Le urgenze ipertensive sono invece quelle situazioni in cui valori pressori marcatamente elevati non sono
associati ad un danno degli organi bersaglio: in questi casi è desiderabile ridurre i valori pressori nell’arco di
alcune ore. Gli esempi includono ipertensione di grado 3 (PAS> 180 mmHg, PAD >110 mmHg), ipertensione
arteriosa con papilledema, peggioramento progressivo di un organo bersaglio e ipertensione severa
perioperatoria.
Il JNC specifica inoltre che il solo aumento dei valori pressori non associato a sintomi e/o segni di danno
d’organo progressivo o di nuova insorgenza raramente richiede una terapia di emergenza.
In uno studio italiano del 1996 basato sulle definizioni del JNC è stato riscontrato che le crisi ipertensive
rappresentano circa il 25 % degli accessi ad un Dipartimento di Emergenza e di queste solo un quarto sono vere
emergenze ipertensive. Le complicanze cerebrovascolari sono risultate le più comuni, includendo infarto
cerebrale (24,5 %), encefalopatia (16,3%), ed emorragia intraparenchimale o sub aracnoidea (4,5%), seguite da
quelle cardiovascolari con insufficienza cardiaca acuta ed edema polmonare (36,8%), infarto acuto del miocardio
o angina instabile (12%) e dissezione aortica (2%), ed infine eclampsia (4,5%). Molto spesso semplici rialzi
pressori vengono etichettati come crisi ipertensive, spingendo il medico ad un errato inquadramento nosografico
e terapeutico.
Per quanto riguarda le indicazioni terapeutiche delle crisi ipertensive non esistono a tutt’oggi grandi trials clinici
che suggeriscano una scelta terapeutica ottimale.
La gestione del paziente con sindrome ipertensiva acuta dovrebbe pertanto essere adeguata al singolo caso e
basata non solo sui valori assoluti di pressione arteriosa, ma sulla presenza/assenza di danni d’organo (o
minaccia imminente di danno d’organo).
Le urgenze ipertensive possono essere trattate con agenti antiipertensivi somministrati per via orale; dopo un
adeguato periodo di monitoraggio il paziente può essere tranquillamente dimesso con le indicazioni per un
attento follow-up ed un aggiustamento terapeutico.
Invece al paziente che si presenta con una emergenza ipertensiva deve essere rivolta la massima attenzione e
dovrebbe essere instaurata prontamente una adeguata terapia per via endovenosa. In generale, la maggior parte
delle disfunzioni di organi bersaglio extracerebrali beneficiano di una rapida diminuzione della pressione
arteriosa.
L’obiettivo iniziale nel trattamento delle emergenze ipertensive consiste nel ridurre la pressione arteriosa media
di non più del 25% nell’arco delle prime due ore e poi entro 160/100 mmHg dalle 2 alle 6 ore successive
evitando bruschi cali pressori che possono precipitare l’ischemia renale, cerebrale o coronarica.
Tabella 1. Classificazione delle crisi ipertensive
EMERGENZE IPERTENSIVE
Encefalopatia ipertensiva
Sindromi cerebrovascolari acute
Sindromi cardiovascolari acute
Dissecazione aortica
Preeclampsia-eclampsia
URGENZE IPERTENSIVE
Ipertensione di grado 3
Papilledema
Peggioramento di organi bersaglio
Ipertensione perioperatoria
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PATOGENESI
La pressione arteriosa (PA) è il risultato del prodotto della gittata cardiaca (GC) per le resistenze vascolari
periferiche ( RVP).
PA = GC x RVP = ( frequenza cardiaca x gittata pulsatoria) x resistenze vascolari periferiche
Perché si abbia un aumento della pressione arteriosa è necessario che si verifichi o un aumento del volume
plasmatico o delle resistenze vascolari periferiche o di entrambi.
In condizioni normali il sistema renina-angiotensina-aldosterone svolge un ruolo fondamentale nella omeostasi
dei valori pressori. Una aumentata produzione di renina da parte del rene stimola la produzione di angiotensina
II, un potente vasocostrittore, con aumento sia delle resistenze vascolari periferiche che della pressione arteriosa.
Questi eventi operano in molti pazienti con ipertensione arteriosa non complicata. Nelle crisi ipertensive si ha
un aumento della attività del sistema renina-angiotensina con conseguenti danno vascolare, ischemica tissutale
ed ulteriore produzione di renina-angiotensina. Si instaura quindi un circolo vizioso che contribuisce alla
patogenesi delle crisi ipertensive. Il legame fisiopatologico tra il sistema renina-angiotensina e le crisi
ipertensive è stato stabilito dimostrando che tale processo può essere interrotto sia farmacologicamente (
utilizzando farmaci beta-bloccanti, ACE-inibitori o antagonisti dei recettori dell’angiotensina II) che rimuovendo
chirurgicamente un rene ischemico.
Altre sostanze che vengono prodotte in caso di iperattività del sistema renina-angiotensina sono le citochine e le
molecole di adesione che possono contribuire al danno vascolare e d’organo.
In base a queste considerazioni fisiopatologiche le crisi ipertensive possono essere distinte in due tipi. Il primo
comprende quelle in cui il sistema renina-angiotensina svolge un ruolo fondamentale nella patogenesi. Queste
condizioni sono caratterizzate da livelli plasmatici di renina (PRA) ≥ 0.65 ng/ml/h e sono indicate come
ipertensione R type. Di conseguenza esse vanno trattate con farmaci che sopprimono l’attività retinica e quindi i
livelli di angiotensina II ( ad es. i beta-bloccanti), che riducono i livelli di angiotensina II ( ACE inibitori) o che
bloccano i recettori dell’angiotensina II. Il secondo tipo comprende invece le condizioni in cui l’ipertensione
dipende dall’aumento di volume e che sono caratterizzate da bassi valori di attività retinica (solitamente < 0.65
ng/ml/h). Queste forme di ipertensione sono indicate come ipertensione V type e solitamente sono sensibili al
trattamento con diuretici, antialdosteronici, calcioantagonisti e alfa-bloccanti.
Questa distinzione dei pazienti ipertesi in R e V type a seconda dei livelli di attività reninica plasmatica è utile
nella valutazione e nel trattamento dei pazienti ambulatoriali ma è di controversa utilità nei pazienti valutati per
crisi ipertensiva in un Dipartimento d’Emergenza dal momento che il dosaggio della attività retinica non è
immediatamente disponibile.
Tabella 2. Distinzione dei farmaci antipertensivi in base al meccanismo d’azione
R TYPE
V TYPE
ACE-inibitori
Diuretici
Antagonisti
dei
recettori
Calcio-antagonisti
dell’angiotensina II
Beta-bloccanti
Alfa-bloccanti
Antialdosteronici
EMERGENZE IPERTENSIVE
Dissecazione/ematoma aortico
La dissecazione aortica è distinta in tipo A di Stanford se interessa l’aorta ascendente e tipo B se non la
coinvolge. Questa distinzione è basata sulla riposta al trattamento: in generale le dissecazioni di tipo A hanno
una bassa mortalità quando trattate chirurgicamente, mentre le dissecazioni di tipo B hanno una prognosi
migliore con la sola terapia medica.
Nonostante queste differenze il trattamento iniziale di entrambe le condizioni è simile e dovrebbe essere
finalizzato a prevenirne l’estensione, l’emorragia e la rottura. La velocità di crescita della onda sfigmica aortica
(dP/dt) è la forza dominante che determina il rischio di dissecazione aortica e le sue complicanze. I fattori che
contribuiscono al dP/dt sono la contrattilità miocardica, la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca.
I farmaci che riducono la contrattilità miocardica e la crescita dell’onda sfigmica ridurranno l’energia assorbita
dall’aorta danneggiata e attenueranno i rischi di rottura. Quelli raccomandati sono i β-bloccanti ed i
ganglioplegici. Il target del trattamento è la più bassa pressione arteriosa tollerata ed una diuresi di almeno 30
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ml/ora. Non sempre con la sola terapia con betabloccanti si riesce ad ottenere un adeguato controllo dei valori
pressori ed è quindi necessario associare altri farmaci. In questi casi è indicato l’uso di nitroprussiato e di
calcioantagonisti a patto che si sia raggiunto un adeguato betablocco.
Stroke
Il trattamento dell’ipertensione arteriosa dopo uno stroke ischemico o emorragico è controverso. Valori pressori
elevati sono presenti in oltre l’80% dei pazienti che hanno uno stroke, ma solo in pochi casi è necessario un
trattamento d’emergenza. Infatti l’incremento della pressione arteriosa dopo uno stroke non è una emergenza
ipertensiva a meno che non sussistano altri problemi medici ( ad esempio IMA, dissecazione aortica, edema
polmonare acuto, encefalopatia ipertensiva, insufficienza renale acuta).
Nel trattamento dell’ipertensione arteriosa è necessario prendere in considerazione alcuni fattori quali le
alterazioni che lo stroke induce sull’autoregolazione del flusso cerebrale, la natura dello stroke (emorragico o
ischemico) e l’eventualità che il paziente con stroke ischemico sia un candidato alla terapia fibrinolitica.
L’ autoregolazione è un processo che garantisce un flusso ematico ad organi vitali nonostante ampie variazioni
della pressione arteriosa sistemica.
Il flusso cerebrale (CBF) dipende dalla relazione tra pressione di perfusione cerebrale (CPP) e resistenze
cerebrovascolari (CVR) secondo la seguente equazione:
CBF=CPP/CVR= (pressione arteriosa media [MAP]-pressione venosa)/CVR
La pressione di perfusione cerebrale rappresenta la differenza tra la pressione arteriosa cerebrale e la pressione
venosa. In condizioni di normale CPP, la pressione venosa è minima cosicchè la CPP è uguale alla pressione
arteriosa. Di conseguenza vi sono modificazioni reciproche tra CBF e CVR. Una riduzione dei valori di CPP
può essere causata da decrementi della pressione arteriosa sistemica o da aumenti della pressione intracranica
(ICP) che sono trasmessi localmente al sistema venoso. Aumenti della pressione intracranica possono essere
prodotti da malattie arteriose o venose oppure da emorragie intracraniche. Nei soggetti normotesi variazioni della
CPP che avvengono tra 60 e 150 mmHg hanno un minimo effetto sul CBF. Di conseguenza aumenti della CPP
provocano un aumento delle resistenze vascolari mentre riduzioni della CPP provocano vasodilatazione del letto
vascolare cerebrale. Quando la CPP supera il limite superiore della auterogolazione, il CBF aumenta
ulteriormente e provoca edema cerebrale. Questo meccanismo, denominato “breakthrough”, è stato chiamato in
causa nella patogenesi della encefalopatia ipertensiva. Quando invece la pressione di perfusione cerebrale scende
al di sotto del limite inferiore della autoregolazione, il CBF diminuisce e si ha ischemia cerebrale. In un paziente
con ipertensione arteriosa cronica non complicata la relazione tra pressione arteriosa e CBF è modificata
cosicchè il limite inferiore della autoregolazione è più alto che nei pazienti normotesi.
Flusso cerebrale
medio
normotesi
ipertesi
60 mmHg
Pressione arteriosa media
120 mmHg
160 mmHg
Fig. 1 Autoregolazione del flusso ematico cerebrale nei soggetti normotesi ed ipertesi
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Il secondo aspetto da tenere in considerazione nel trattamento dell’ipertensione arteriosa post-ictus è la natura
ischemica o emorragica dello stesso.
Tradizionalmente l’ipertensione è trattata aggressivamente nel caso di stroke emorragici; tuttavia questa condotta
non è suffragata unanimemente dalla letteratura.
La American Heart Association suggerisce di trattare l’ipertensione arteriosa nel caso di emorragia
intraparenchimale quando i valori pressori sono superiori a 180/105 mmHg e di mantenere la pressione arteriosa
media al di sotto di 130 mmHg.
Nel caso di ictus ischemico la pressione arteriosa andrebbe monitorata per almeno due ore in attesa di
un’eventuale diminuzione spontanea. Sebbene l’ipertensione severa dovrebbe essere considerata un’indicazione
al trattamento, non esistono dati certi che definiscano i livelli di pressione arteriosa al di sopra dei quali iniziare
il trattamento. In ogni caso solo valori di pressione arteriosa diastolica superiori a 120 mmHg o valori di
pressione arteriosa sistolica superiori a 220 mmHg andrebbero trattati, sebbene con cautela. Sono da preferire
farmaci per via parenterale come il labetalolo, che sono facilmente titolabili e hanno un minimo effetto
vasodilatatore sui vasi sanguigni cerebrali. In alcuni casi per un adeguato controllo della pressione arteriosa può
essere necessario l’infusione endovena di nitroprussiato di sodio. I pazienti possono anche essere trattati con
agenti orali come il captopril o la nicardipina. L’uso sublinguale di calcioantagonisti deve essere evitato in
quanto provoca una transitoria e rapida riduzione dei valori pressori.
Nel caso in cui il paziente sia candidato al trattamento con agenti trombolitici, è necessario uno stretto controllo
dei valori pressori prima e durante la somministrazione di trombolitico e durante le successive 24 ore perché
valori eccessivamente elevati di pressione arteriosa sono associati ad insorgenza di emorragia intraparenhimale.
La terapia trombolitica non va somministrata a pazienti con valori di pressione sistolica >185 mmHg o di
diastolica > 110 mmHg (vedi tabella 3).
Tabella 3. Approccio al trattamento dell’ipertensione arteriosa nello stroke ischemico acuto
Valori pressori
Trattamento
Pazienti non eleggibili per trombolisi
Nessuna terapia se non ci sono altri danni d’organo;
trattare gli altri sintomi dello stroke come la cefalea, il dolore, l’agitazione, la nausea ed
il vomito;
trattare le altre complicanze dello stroke come l’ipossia, la ipoglicemia, le convulsioni e
l’ipertensione endocranica.
Labetalolo 10-20 mg ev in 1-2 min, si può ripetere la dose o raddoppiarla ogni 10
minuti (dose max 300mg)
Sistolica > 220 o
oppure
diastolica tra 121 e 140
Nicardipina 5 mg/ora ev titolando la dose fino all’effetto desiderato aumentando la
dose di 2,5 mg/ora ogni 5 min fino alla dose max di 15 mg/ora.
Obiettivo: ridurre la pressione del 10-15 %
Nitroprussiato di sodio 0.5 mcg/kg/min in infusione ev come dose iniziale.
Diastolica >140
Obiettivo: ridurre la pressione del 10-15 %
Pazienti eleggibili per la trombolisi
Prima del trattamento
Sistolica < 220
Diastolica <120
Labetalolo 10-20 mg ev in 1-2 min
Ripetere 1 volta o somministrare nitroglicerina pomata (2,5-5 cm) o cerotto di
nitroglicerina da 10 mg.
Se i valori non sono ridotti e mantenuti al di sotto dei valori desiderati (PAS< 185 e
PAD< 110 ) non somministrare rtPA
Sistolica >185 o
Diastolica >110
Durante e dopo il trattamento
Monitorare
arteriosa
la
Diastolica >140
pressione Misurare la pressione arteriosa ogni 15 minuti per 2 ore, poi ogni 30 minuti per 6 ore e
poi ogni ora per 16 ore
Nitroprussiato di sodio 0.5 mcg/kg/min ev titolando la dose fino all’effetto desiderato
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Labetalolo 10 mg ev in 1-2 minuti, si può ripetere o raddoppiare la dose ogni 10
minuti fino ad un massimo di 300 mg o somministrare il bolo iniziale e quindi iniziare
Sistolica > 230 o diastolica l’infusione continua a 2-8 mg/min
tra 121 e 140
oppure
Nicardipina 5 mg/ora ev titolando la dose fino all’effetto desiderato aumentando la
dose di 2,5 mg/ora ogni 5 min fino alla dose max di 15 mg/ora.
Labetalolo 10 mg ev in 1-2 min, si può ripetere o raddoppiare la dose ogni 10 minuti
Sistolica tra 180 e 230 o fino ad un massimo di 300 mg o somministrare il bolo iniziale e quindi iniziare
diastolica tra 105 e 120
l’infusione continua a 2-8 mg/min
Encefalopatia ipertensiva
L’encefalopatia ipertensiva è una emergenza ipertensiva particolare caratterizzata da diffusa sofferenza cerebrale
con cefalea, nausea, vomito ed alterazioni dello stato di coscienza raramente accompagnato da convulsioni. È
frequentemente associata ad alterazioni retiniche caratteristiche dell’ ipertensione maligna e ad insufficienza
renale acuta. Alterazioni neurologiche focali non sono solitamente caratteristiche di questa sindrome e quando
presenti dovrebbero indirizzare verso diagnosi alternative. La TC encefalo solitamente è normale o evidenzia la
presenza di edema cerebrale diffuso. Sebbene l’origine eziopatologica dell’encefalopatia sia stata sempre ritenuta
l’iperperfusione e l’edema cerebrali, studi recenti focalizzano l’attenzione su necrosi vascolare e microinfarti
cerebrali. C’è consenso unanime sul fatto che la graduale riduzione dei valori pressori comporta un
miglioramento delle condizioni cliniche. I farmaci solitamente usati in queste situazioni sono il nitroprussiato di
sodio, il labetalolo, la nicardipina o il fenoldopam, alcuni dei quali possono aumentare la pressione intracranica.
Il mancato miglioramento clinico di un paziente con presunta encefalopatia ipertensiva entro 6-12 ore dal
trattamento richiede una ulteriore valutazione per escludere la presenza di altre cause di encefalopatia.
Sindromi cardiovascolari acute
L’ipertensione severa in corso di edema polmonare acuto, infarto miocardico acuto o angina instabile andrebbe
trattata aggressivamente, in quanto la riduzione dei valori pressori riduce il lavoro del ventricolo sinistro.
Il trattamento dell’infarto associato ad elevati valori pressori si discosta dai comuni schemi di trattamento per
l’elevato rischio di emorragia cui vanno incontro i pazienti trattati con terapia trombolitica. Una pressione
arteriosa >165 mmmHg di sistolica o >95 mmHg di diastolica raddoppia il rischio di emorragia cerebrale. Una
pressione arteriosa >180/110 mmHg controindica l’uso della trombolisi nel caso di infarti di piccole dimensioni.
Numerosi studi hanno evidenziato che la nitroglicerina rappresenta il farmaco ideale in questi casi perché riduce
il consumo di ossigeno da parte del miocardio ed aumenta il flusso attraverso aree stenotiche. Il nitroprussiato di
sodio è anch’esso un buon farmaco che può essere usato da solo o in aggiunta alla nitroglicerina soprattutto nei
casi in cui quest’ultima non è in grado di controllare la pressione arteriosa. L’uso di beta-bloccanti somministrati
e.v. è molto utile in queste situazioni dal momento che riducono la richiesta di ossigeno da parte del miocardio
ed agiscono sinergicamente con i nitrati.
Preeclampsia-Eclampsia
La preeclampsia è una condizione clinica caratteristica della gravidanza, che solitamente si manifesta dopo 20
settimane di gestazione o prima nel caso di malattie del trofoblasto quali la mola idatiforme e l’idrope. E’
caratterizzata da ipertensione gestazionale e proteinuria: l’ipertensione gestazionale è definita da valori di
pressione arteriosa sistolici >140 mmHg o diastolici >90 mmmHg in una donna normotesa prima della 20a
settimana di gestazione; per proteinuria si intendono valori >300 mg in un campione delle 24 ore. L’eclampsia è
definita dal presentarsi di convulsioni senza altra eziologia nelle pazienti con preeclampsia.
La preeclampsia si associa a manifestazioni cliniche e di laboratorio quali emicrania, disturbi del visus, dolore
epigastrico, creatininemia >1.2 mg/dl, piastrinemia <100.000/mm3 associata ad anemia emolitica
microangiopatica ed aumento della lattico deidrogenasi ed elevati valori di transaminasi, manifestazioni queste
che regrediscono dopo il parto.
L’infusione endovenosa di magnesio solfato previene l’insorgenza di eclampsia nelle pazienti con ipertensione
gestazionale o preeclampsia severa; il suo uso tuttavia non è stato ancora sufficientemente sperimentato nelle
pazienti con manifestazioni modeste. La terapia antipertensiva andrebbe iniziata quando la pressione diastolica
supera i 105 mmHg o quando essa aumenta rapidamente da valori normali ad oltre 100 mmHg.
La scelta del farmaco è condizionata dai potenziali effetti avversi sullo sviluppo fetale. Gli ACE-inibitori e gli
antagonisti dei recettori dell’angiotensina II sono controindicati in gravidanza perché aumentano la morbilità e la
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mortalità fetale e neonatale. L’alfa-metildopa è il farmaco di scelta nell’ipertensione gestazionale per il basso
rischio di complicazioni fetali. Nelle pazienti con preeclampsia e ipertensione arteriosa severa sono pochi i
farmaci sicuri ed efficaci da utilizzare per via parenterale. L’idralazina, che può essere utilizzata sia in bolo
endovenoso che per iniezione intramuscolare, ha un rapido inizio d’azione. Gli effetti collaterali più comuni sono
rappresentati dalla tachicardia riflessa, dall’ipotensione e dalla ritenzione di liquidi provocata dall’attivazione del
sistema renina-angiotensina-aldosterone. Il labetalolo è altrettanto efficace in questi casi sia in bolo che in
infusione endovenosa continua; è controindicato nelle pazienti con asma o scompenso cardiaco. Il nitroprussiato
può provocare bradicardia riflessa e ipotensione.
URGENZE IPERTENSIVE
Le urgenze ipertensive possono essere trattate con antipertensivi orali e solitamente non richiedono ricovero
ospedaliero. Il farmaco ideale dovrebbe avere un effetto graduale, provocare una riduzione dei valori pressori
prevedibile, pochi effetti collaterali e non richiedere monitoraggio speciale. È appropriato usare basse dosi di
farmaco e somministrarne una dose aggiuntiva al bisogno piuttosto che somministrare una dose che
provocherebbe un’eccessiva e rapida riduzione dei valori pressori. Questo modo di operare è importante
soprattutto nei pazienti ad alto rischio di ipotensione (anziani), in quelli affetti da aterosclerosi carotidea e da
AOCP.
I farmaci comunemente usati sono il labetalolo, la clonidina e il captopril sebbene alcuni clinici preferiscano la
nifedipina, la nicardipina e il prazosin.
Tabella 4. Farmaci indicati in alcune emergenze ipertensive
Nitroprussiato di sodio +esmololo, propanololo o metoprololo.
Dissecazione aortica
Labetalolo
Fenoldopam o nicardipina + β-bloccanti
Stroke ischemico
Emorragia
intraparenchimale
Encefalopatia ipertensiva
Vedi tabella 3
Nitroprussiato, labetalolo, nicardipina, fenoldopam
Nitroprussiato, fenoldopam, labetalolo, nicardipina
Sindromi
coronariche Nitroglicerina, labetalolo, nitroprussiato
acute
Edema polmonare acuto
Nitroglicerina, nitroprussiato, fenoldopam (+ diuretici)
Preeclampsia-eclampsia
Labetalolo, idralazina
Tabella 5. Profilo essenziale di alcuni farmaci usati nelle emergenze ipertensive
Durata
Inizio
Farmaco
Dose
dell’azion Effetti collaterali
d’azione
e
Nitroprussiat
o di sodio
0.25-10 mcg/kg/min ev
(dose max per soli 10 Immediata
min)
1-2 min
Nicardipina
5-15 mg/ora ev
1-4 ore
5-10 min
Indicazioni particolari
La maggior parte delle
emergenze ipertensive;
cautela in caso di
ipertensione
endocranica
o
iperazotemia
La maggior parte delle
emergenze eccetto che
Tachicardia, cefalea,
nel caso di insufficienza
flash al volto, flebite
cardiaca acuta. Cautela
nel punto di iniezione
in caso di ischemica
miocardica
Nausea,
vomito,
sudorazione,
intossicazione
da
tiocianati e cianide
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Fenoldopam
(Corlopam)
Nitroglicerin
a
Labetalolo
(Trandate)
Esmololo
(Brevibloc)
0.1-0.3 mcg/kg/min ev
5-100 mcg/min ev
< 5 min
30 min
2-5 min
3-5 min
20-80 mg ev in bolo
ogni 10 min
5-10 min
oppure
0.5-2
mg/min
in
infusione continua
250-500 mcg/kg/min per
1 min, poi 50-100
1-2 min
mcg/kg/min per 4 min;
tale sequenza è ripetibile
3-6 ore
La maggior parte delle
Tachicardia, cefalea, emergenze ipertensive;
flash al volto
cautela in caso di
ischemica miocardica
Cefalea,
vomito,
metaemoglobinemia,
Ischemica miocardica
tolleranza dopo uso
prolungato
La maggior parte delle
Vomito,
nausea,
emergenze ipertensive
vertigini,
blocco
eccetto che in caso di
cardiaco, ipotensione
insufficienza cardiaca
ortostatica
acuta
10-20 min Ipotensione, nausea
Dissezione
aortica,
periodo perioperatorio
Tabella 6. Farmaci usati nelle urgenze ipertensive
Farmaco
Dose
Inizio
azione
Durata
azione
Effetti collaterali
Captopril
25 mg
15-30 min
4-6 ore
Angioedema,
renale
Clonidina
0.1-0.2 mg
30-60 min
4-6 ore
Sonnolenza, gola secca
Labetalolo
100-400 mg
30-120 min 3-6 ore
insufficienza
Bradicardia, broncospasmo
FARMACI UTILIZZATI NELLE CRISI IPERTENSIVE
Captopril
È un’ ACE-inibitore molto usato nel trattamento delle urgenze ipertensive. Molti studi hanno dimostrato che
riduce efficacemente la pressione arteriosa nell’arco di 15-30 min. Particolare attenzione va fatta nella
somministrazione a pazienti con nota stenosi bilaterale delle arterie renali.
Clonidina
La clonidina è disponibile in formulazione per os e a cessione transdermica. La clonidina per os (0.1 mg per os
ogni 20 min) è stata usata nel trattamento delle urgenze ipertensive. L’inizio dell’azione varia dai 30 minuti alle
due ore e la durata dalle 4 alle 6 ore. Questo farmaco è particolarmente indicato nei pazienti in cui non è
necessaria una rapida discesa dei valori pressori.
Enalaprilat (non disponibile in Italia)
L’utilizzo degli ACE inibitori nel trattamento delle crisi ipertensive è stato ampiamente studiato nelle ultime due
decenni. Dal momento che l’angiotensina II svolge un ruolo patogenetico importante nello sviluppo della fase
maligna dell’ipertensione, gli ACE inibitori possono svolgere un ruolo importante nel trattamento di questi
pazienti. L’enalaprilat ha inizio d’azione intorno ai 15 minuti con una durata di azione dalle 12 alle 24 ore.
Alcuni Autori hanno dimostrato che il grado di riduzione dei valori pressori è correlato ai valori di angiotensina
II ed al livello di attività reninica plasmatica pretrattamento. Non sono stati segnalati seri effetti collaterali.
L’utilizzo degli ACE inibitori è controindicato in gravidanza.
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Esmololo
L’esmololo è un betabloccante cardioselettivo con una durata d’azione molto breve. Il metabolismo
dell’esmololo avviene attraverso idrolisi rapida da parte degli eritrociti e non è dipendente dalla funzionalità
renale ed epatica. L’inizio dell’azione avviene entro 60 secondi, con una durata dai 10 ai 20 min. Le proprietà
farmacocinetiche dell’esmololo ne fanno il betabloccante ideale da utilizzare nelle situazioni critiche. Questo
farmaco è disponibile per l’utilizzo e.v. sia in bolo che in infusione continua. La dose iniziale è di 0.5 mg/kg
seguita da una infusione da 25 a 300 µg/kg/min. Può essere utilizzato nei pazienti con recente infarto miocardico
anche in quelli con controindicazioni ai betabloccanti.
Fenoldopam
Questo farmaco è stato recentemente approvato per l’utilizzo nelle crisi ipertensive negli Stati Uniti. Esso è un
agonista dei recettori D1 della dopamina, ha una breve durata d’azione ed ha il vantaggio di aumentare il flusso
ematico renale e l’escrezione del sodio. Sebbene la struttura del fenoldopam sia simile a quella della dopamina,
ha molta affinità per i recettori D1 ed è 10 volte più potente della dopamina come vasodilatatore renale.
La specifica attivazione recettoriale è di particolare importanza nel differenziare l’azione tra il fenoldopam e la
dopamina. Dal momento che il fenoldopam agisce solo sui recettori D1 il suo utilizzo non è associato agli effetti
collaterali dovuti all’attivazione α-1 e β-1.
Il fenoldopam attiva i recettori dopaminergici sul tubulo distale e prossimale, inibisce il riassorbimento del sodio
e favorisce la diuresi e la natriuresi. È rapidamente metabolizzato a livello epatico atraverso meccanismi di
coniugazione senza convolgimento del citocromo P-450. Le principali vie di coniugazione sono la metilazione,
la glucuronidazione e la solfurilazione. Solo il 4 % della dose somministrata è escreto intatto. L’inizio
dell’azione si ha entro 5 minuti con un massimo effetto entro i 15 minuti. La durata dell’azione varia tra i 30 ed i
60 minuti, con una risalita graduale dei valori pressori fino a quelli pretrattamento senza effetti rebound dopo la
sospensione. Non sono stati riportati effetti avversi. La velocità di infusione del fenoldopam va individualizzata
tenendo conto del peso corporeo e della rapidità con cui si vogliono ridurre i valori pressori. È raccomandata una
dose iniziale di 0,1 µg/kg/min.
Idralazina
È un vasodilatatore diretto, quindi all’ipotensione può associarsi tachicardia. L’uso è sconsigliato nei
coronaropatici e nei pazienti con ridotta riserva miocardica.
Labetalolo
Il Labetalo è un bloccante sia dei recettori alfa- che beta-adrenergici. Somministrato in vena il rapporto α/β è di
1 a 7. La maggior parte del farmaco è metabolizzata dal fegato attraverso la glucurono-coniugazione con la
formazione di metabolici inattivi. L’effetto ipotensivo inizia 5 min dopo la somministrazione e dura dalle 3 alle 6
ore. Riduce le resistenze vascolari periferiche senza ridurre il flusso ematico periferico; i flussi cerebrale, renale
e coronarico sono conservati. Ha un minimo effetto sulla frequenza e sulla gittata cardiache. È possibile il
passaggio attraverso la placenta, per la minima liposolubilità del farmaco. È risultato efficace e sicuro nel
trattamento della maggior parte delle crisi ipertensive come pure nei pazienti con infarto acuto del miocardio ed
ipertensione arteriosa.
Metoprololo
E’ un β-bloccante β1-selettivo. La dose iniziale è di 50 mg 2 volte al giorno, aumentabile fino ad una dose
massima di 450 mg al giorno.
Nicardipina
La nicardipina è un calcio-antagonista diidropiridinico. È 100 volte più idrosolubile della nifedipina e quindi può
essere somministrata in vena. L’azione inizia si ha 5-10 min dopo l’infusione in vena e dura da 1 a 4 ore.
Nitroglicerina
È un potente venodilatatore e solo a dosi elevate ha effetti sul tono arterioso. Riduce la pressione arteriosa
agendo sul precarico e la gittata cardiaca; diminuendo il precarico, riduce la pressione e il volume diastolico del
ventricolo sinistro e la tensione di parete del miocardio. Così facendo riduce il consumo di ossigeno. Inoltre
queste modificazioni favoriscono la distribuzione del flusso ematico coronarico verso il subendocardio che è la
regione più sensibile all’ischemia. La nitroglicerina può anche provocare la dilatazione dei vasi coronarici
epicardici stenotici e dei loro collaterali ed aumentare l’apporto ematico alle regioni ischemiche. Deve essere
somministrata attraverso speciali infusori schermati. Può provocare aumento della pressione intracranica. Tra gli
altri effetti collaterali è da segnalare l’insorgenza di cefalea, nausea, vomito, ipotensione e raramente bradicardia.
Una complicanza importante è la metaemoglobinemia (legame tra ioni nitrato ed emoglobina che interferisce con
il trasporto di ossigeno). Particolare attenzione va fatta nel somministrare la nitroglicerina a pazienti con stenosi
aortica o altre condizioni che ostacolano la fuoriuscita di sangue dal ventricolo sinistro.
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Nitroprussiato di sodio
È un vasodilatatore arterioso e venoso che diminuisce sia il precarico che il postcarico. Provoca una diminuzione
dose-dipendente del flusso ematico cerebrale (CBF) e aumento della pressione intracerebrale. L’azione inizia in
pochi secondi e dura 1-2 min. Se l’infusione viene interrotta bruscamente, la pressione arteriosa inizia ad
aumentare immediatamente e torna ai valori iniziali in 1-10 minuti. Deve essere somministrato con appositi
infusori schermati. Può provocare intossicazione da tiocianati, soprattutto quando somministrato a dosaggi
elevati e per più di 48 ore; alcuni autori suggeriscono in tal caso l’infusione di idrossicobalamina 5 mg ev o
dialisi peritoneale o emodialisi. Nei pazienti coronaropatici si può avere una significativa riduzione del flusso
ematico regionale (“furto coronarico”). In un’ampio studio è stato dimostrato che il nitroprussiato aumenta la
mortalità quando infuso nelle prime ore dopo un’infarto miocardico acuto.
Propanololo
È un β-bloccante con attività stabilizzatrice di membrana. Va somministrato a dosi di 40-160 mg/die per os in 4
somministrazioni, 0,1 mg/kg se in vena. Ha un’ emivita di 3-6 ore se somministrato per os, di 1 ora se infuso in
vena.
APPROCCIO AL PAZIENTE CON ELEVATI VALORI PRESSORI
Il problema dell’ipertensione arteriosa si presenta con notevole frequenza in un Dipartimento di Emergenza. Di
fronte ad atteggiamenti terapeutici omologati è necessario in primis inquadrare il problema in un contesto clinico
e in un appropriato quadro nosografico-sindromico, in modo da affrontare la relativa terapia in maniera
razionale.
È innanzitutto prioritario stabilire se si è davanti ad un paziente con una vera crisi ipertensiva oppure se si tratta
di un semplice rialzo pressorio. A tal fine è possibile suddivere il problema in due classi sindromiche:
Emergenze
1) Vere crisi ipertensive
Urgenze
Ipertensione stabile non complicata
2) Semplici rialzi pressori
Ipertensione labile transitoria
Solo l’ 1-2% dei pazienti che afferiscono in un Dipartimento di Emergenza per valori pressori elevati presentano
una vera crisi ipertensiva (emergenza o urgenza) e quindi necessitano di un trattamento tempestivo con pronta
riduzione dei valori pressori. Proponiamo quindi il seguente algoritmo diagnostico-terapeutico.
ALGORITMO GENERALE PER IL TRATTAMENTO DELLE CRISI IPERTENSIVE
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•
•
•
•
ANAMNESI (patologica e farmacologica)
ESAME OBIETTIVO
ECG
EMOGLOBINA ED ELETTROLITI
DISSECAZIONE
AORTICA?
SI
TRATTAMENTO
SPECIFICO
NO
SI
ALTRE
EMERGENZE?
TRATTAMENTO
SPECIFICO
NO
RIPETI TRE MISURAZIONI
NELL’ARCO DI 10 MINUTI
CONFERMA DI
VALORI PRESSORI
ELEVATI?
NO
Rinvia al
MMG
SI
BENZODIAZEPINE
DOPO 30 MIN
PERSISTONO VALORI
PRESSORI ELEVATI?
SI
97
NO
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IL PAZIENTE
ASSUME GIA’
TERAPIA
ANTIIPERTENSIVA?
SI
RIVALUTA LA
TERAPIA IN
ATTO
NO
•
•
EMOCROMO, AZOTEMIA,
CREATININEMIA
RX TORACE
Diagnosi differenziale
¾
ACE-INIBITORE
Risposta adeguata
¾
Patologia renale (vascolare o
parenchimale)
Feocromocitoma
Risposta inadeguata
α -BLOCCANTE
¾
¾
Feocromocitoma
Ipertensione essenziale a
bassa attività reninica
¾
Ipertensione essenziale ad
elevata attività reninica
Feocromocitoma
Astinenza da alcool
Risposta adeguata
Risposta inadeguata
LABETALOLO
Risposta adeguata
¾
¾
Risposta inadeguata
¾
¾
¾
Ipertensione essenziale a
bassa attività reninica
Patologia renale
Insufficienza cardiaca
¾
¾
Sospensione di clonidina
Astinenza da alcool
FUROSEMIDE
Risposta adeguata
Risposta inadeguata
CLONIDINA
Risposta adeguata
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Bibliografia
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Pressure. Archives of Internal Medicine, 1997; 157: 2413-2446
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GESTIONE DEL PAZIENTE CON SINCOPE
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
CLASSIFICAZIONE DELLA SINCOPE
Sincope vasovagale: corrisponde al comune svenimento e rappresenta il 50% di tutti gli episodi di sincope. E’
più frequente nei giovani ma colpisce qualsiasi fascia d’età.
Sincope da ipotensione ortostatica: si verifica in pazienti con vasomotilità instabile cronica o transitoria o con
un’ipovolemia vascolare. Si può verificare in:
ƒ soggetti che presentano riflessi posturali deficitari;
ƒ soggetti con deplezione del volume ematico centrale o totale;
ƒ presenza di vasodilatatori circolanti (sindrome da carcinoidi);
ƒ soggetti in trattamento con antiipertensivi e vasodilatatori o con antidepressivi;
ƒ soggetti con vene varicose e donne in gravidanza;
ƒ soggetti che hanno subito una simpatectomia per perdita dei riflessi pressori;
ƒ soggetti con neuropatia alcolica, diabetica o con malattie del sistema nervoso periferico;
ƒ allettamento prolungato, cospicua perdita di peso e deperimento organico;
ƒ insufficienza primitiva del sistema nervoso autonomo e disautonomie.
Sincope riflessa: può essere associata a tosse, minzione e dolore (più frequente la nevralgia del glossofaringeo).
Sincope cardiaca: distinguiamo cause elettriche e cause meccaniche:
Cause elettriche: blocco atrioventricolare (BAV), disturbi del nodo del seno, tachiaritmie, Sindrome del QT
lungo, blocco cardiaco di tipo riflesso;
Cause meccaniche: stenosi valvolari (specialmente della valvola aortica), trombi valvolari dell’atrio sinistro,
mixomi atriali destri, trombosi o malfunzionamento di una protesi valvolare infarto acuto massivo del miocardio
con shock cardiogeno, sindromi cianogene quali la Tetralogia di Fallot.
Sincope senocarotidea: non è una patologia comune. Spesso è dovuta al colletto della camicia troppo stretto o al
fatto di radersi sopra la regione del seno carotideo. Va posta diagnosi differenziale con una stenosi della carotide.
Sincope da furto della succlavia: è causata dall’occlusione prossimale della succlavia con riempimento della
stessa attraverso un flusso retrogrado dall’arteria vertebrale.
ANAMNESI ED ESAME OBIETTIVO
Il paziente con sincope viene codificato al Triage con il codice giallo.
Il paziente entra in sala visita con i parametri vitali registrati (Pressione arteriosa, Saturimetria, Frequenza
cardiaca, Frequenza respiratoria, Temperatura).
Un’anamnesi accurata è fondamentale perché può essere da sola diagnostica e può fornire indicazioni sulla
possibilità di proseguire le indagini e sul tipo di esami da effettuare.
Si devono indagare:
ƒ Fattori precipitanti l’evento: forti emozioni, affaticamento, privazione di sonno o cibo, ambiente
affollato e caldo, eventuale assunzione di bevande calde o ghiacciate;
ƒ L’attività precedente la perdita di coscienza: a riposo, cambiamenti bruschi di posizione, esercizio
fisico, post-minzionale, rasatura, tosse;
ƒ La posizione: eretta, seduta, supina.
ƒ I sintomi precedenti: debolezza, capogiri, vertigini, diaforesi, nausea, scotomi o oscuramento della
vista, pallore e parestesie, sensazione di leggerezza alla testa.
ƒ Durata dell’incoscienza: di norma da pochi secondi a un minuto.
ƒ Riscontro al risveglio di: traumi, incontinenza o mialgia ricordi confusi.
ƒ Utilizzo di farmaci: antiipetensivi, diuretici, nitrati, beta-bloccanti, digitale, antiaritmici, antidepressivi
triciclici, fenotiazine, chinidine, amiodarone;
ƒ Anamnesi familiare: si indaga la presenza di patologie cardiache o di morte improvvisa in famiglia.
ƒ Agli eventuali testimoni si può chiedere l’effettiva durata della perdita di coscienza, se si sono verificati
convulsioni o automatismi e se il paziente ha presentato confusione mentale post-sincopale (di solito
non dura più di 30 secondi).
L’esame obiettivo deve:
Valutare un’eventuale ipotensione ortostatica (diminuzione di almeno 20 mmHg della pressione sistolica o di
almeno 10 mmHg della pressione diastolica, un incremento della frequenza cardiaca in posizione ortostatica di
100
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almeno 20 battiti al minuto rispetto alla posizione clinostatica, pressione sistolica <90 mmHg associata a sintomi
prodromici).
Valutare il ritmo cardiaco, una tachicardia può suggerire embolia polmonare, rottura di aneurisma aortico,
tachiaritmia, mentre una bradicardia può suggerire una causa vasodepressoria di sincope o un difetto di
conduzione del cuore;
Ricercare soffi sistolici o diastolici segni di stenosi o insufficienza valvolare;
Ricercare soffi carotidei per un’eventuale stenosi della carotide con deficit dell’irrorazione cerebrale;
Ricercare una eventuale diminuzione del murmure vescicolare o la presenza di rumori umidi e secchi segno di
polmonite, edema polmonare, embolia polmonare;
Ricercare eventuali masse pulsanti e/o organomegalia all’esame addominale;
Escludere segni di deficit neurologici;
Valutare eventuali deficit dei nervi cranici, deficit motori e sensitivi, e i riflessi osteotendinei;
Analizzare eventuali segni di trauma;
Vedere se il paziente ha febbre che può essere indice di una polmonite o di un’infezione delle vie urinarie.
ITER DIAGNOSTICO
Elettrocardiogramma (ECG): è il primo esame che viene effettuato nei pazienti con sincope che giungono al PS.
Se il paziente è asintomatico, non si riscontrano di norma anomalie. Un ECG nella norma di solito non è
associato ad una sincope cardiaca. A volte si possono riscontrare aritmie probabili causa della sincope.
Un ECG può essere diagnostico se mostra:
ƒ Bradicardia sinusale <40 bpm o blocchi senoatriali ripetitivi o pause sinusali >3 sec;
ƒ BAV di II grado (Mobitz II) o di III grado.
ƒ Blocco di branca destra e sinistra alternante;
ƒ TPSV veloce o tachicardia ventricolare.
ƒ Malfunzionamento del pacemaker con asistolie.
In questi casi è utile la valutazione cardiologica.
Anomalie ECG che suggeriscono sincope cardiaca
Blocco bifascicolare;
Anomalie della conduzione intraventricolare (durata del QRS >0.12 sec);
Blocco atrioventricolare di II grado Mobitz II;
Bradicardia sinusale asintomatica (<50 bpm) o blocco senoatriale;
Complessi QRS pre-eccitati;
QT lungo;
Blocco di branca destra con ST sovraslivellato in V1-V3 (Sd. di Brugada)
Onda Q suggestiva di pregresso infarto del miocardio
Onde T negative nelle derivazioni precordiali onde ipsilon e potenziali suggestivi di
displasia aritmogena del ventricolo destro.
Modificata da “Linee guida per la diagnosi e il Trattamento della sincope”.
Sulla base dei dati ottenuti con l’anamnesi, l’esame obiettivo e l’ECG, si può fare una stratificazione del rischio
di recidiva o di morte improvvisa dei pazienti con sincope.
Pz. a basso rischio
Età <45 anni
Anamnesi patologica negativa per patologie cardiache
Anamnesi familiare negativa per patologie cardiache
e/o morte improvvisa
Assenza di anomalie all’ECG
Pz. a rischio moderato
Presenza di almeno uno dei seguenti elementi:
Età >45 anni
Diabete mellito
O almeno due fattori di rischio cardiovascolare:
Soffio cardiaco isolato
101
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Presenza di pacemaker
Alterazioni all’ECG
Trauma lieve o moderato conseguente alla sincope
Episodi ricorrenti
Uso di farmaci associati ad allungamento del QT
Pz. ad alto rischio
Età >45 anni
Alterazioni ECG
Anamnesi di cardiopatia
Anamnesi familiare di morte improvvisa
Traumatismi
I pazienti a basso rischio possono essere dimessi, i pazienti ad alto rischio devono essere ricoverati e per i
pazienti a rischio intermedio è prevista un’Osservazione Breve Intensiva (OBI) in PS al termine della quale si
decide se dimettere o ricoverare il paziente. Durante l’OBIil paziente deve essere continuamente monitorizzato
tramite ECG per evidenziare una possibile aritmia e tramite monitoraggio pressorio.
Massaggio senocarotideo: è raccomandato in tutti i pazienti di età >40 anni con sincope di eziologia incerta
dopo la valutazione iniziale. In caso di rischio di ictus, dovuto a stenosi della carotide, dovrebbe essere evitata.
Si possono avere tre tipi di risposte:
Risposta cardioinibitoria: si osserva un breve periodo di asistolia;
Risposta vasodepressiva: si osserva una caduta della PA sistolica;
Risposta mista: si osserva l’associazione di un’asistolia >3 secondi e una diminuzione della PA >50 mmHg.
Indagini di laboratorio: servono per confermare eventuali sospetti. Può essere utile un’emogasanalisi grazie
alla quale si possono vedere immediatamente: la glicemia (per escludere un’eventuale ipoglicemia), la
concentrazione di Hb e l’Hct (eventuale anemia o ipovolemia), gli elettroliti sierici.
Gli enzimi cardiaci sono indicati quando il paziente presenta dolore toracico e dispnea in associazione alla
sincope e in soggetti con una storia di cardiopatia.
L’esame delle urine può essere utile negli anziani perché la sincope può essere sintomo di accompagnamento di
un’infezione delle vie urinarie.
Nei casi di prolungate convulsioni odi un danno muscolare conseguente ad un lungo periodo di incoscienza si
può ricercare un aumento del CK totale.
Tecniche di immagine: le più utilizzate sono:
Radiografia del torace: utile per smascherare una polmonite subclinica;
TC del cranio: necessaria nei pz. Con deficit neurologici focali o con trauma cranico;
Ecocardiogramma: test di screening per individuare eventuali patologie cardiache;
TC torace-addome: indicata solo in casi particolari quali sospetto di dissezione aortica o di rottura di un
aneurisma dell’aorta.
Consulenze specialistiche: nell’iter diagnostico possono rendersi necessarie alcune conseguenze specialistiche.
Il cardiologo viene consultato ogni volta che si riscontano anomalie all’ECG.
Il neurologo viene consultato quando alla sincope si associano disturbi neurologici quali insufficienza del
sistema autonomo, disturbi cerebrovascolari, attacchi epilettici, catalessia e drop-attack.
Lo psichiatra viene consultato in caso di sintomi simil-sincopali associati a disturbi psichiatrici quali ansia,
isteria, attacchi di panico e depressione maggiore.
Al termine dell’iter diagnostico il paziente potrà essere ricoverato o dimesso con l’indicazione ad eseguire
ulteriori accertamenti in regime ambulatoriale.
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Quando ricoverare un pz. con sincope
A scopo diagnostico:
Cardiopatia strutturale, nota o sospetta clinicamente
rilevante
Anomalie ECG indicativeli possibile sincope aritmica
Sincope durante attività fisica
Sincope associata a trauma grave
Anamnesi familiare positiva per morte improvvisa
Pz. non cardiopatici ma con insorgenza di palpitaziona
prima della sincope, sincope insorta in posizione
supina, pz. con recidive sincopali
Pz. con cardiopatia minima ma con elevata possibilità
di sincope cardiogena.
A scopo terapeutico
Sincope da aritmie cardiache
Sincope causata da ischemia miocardica
Sincope secondaria a patologie strutturali cardiache o
cardiopolmonari
Ictus o deficit neurologici focali
Sincope neuromediata di tipo cardioinibitorio qualora
sia stato programmato l’impianto di un pacemaker
Modificata da “linee guida per la diagnosi e il trattamento della sincope”
TERAPIA
Infusione di Soluzione fisiologica o Ringer acetato in caso di ipovolemia e/o disidratazione.
Infusione di Soluzione glucosata al 5% in caso di ipoglicemia.
Se la causa della sincope è un aritmia cardiaca si effettua la terapia appropriata per il tipo di aritmia.
BIBLIOGRAFIA
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SCHEMA PER I SANGUINAMENTI ACUTI DAL TRATTO
GASTROENTERICO SUPERIORE
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
Si parla quindi di:
ƒ varici esofagee
ƒ ulcere peptiche (gastriche e duodenali).
L’emorragia da varici è la più seria complicazione dell’ipertensione portale ed è associata con una elevata
mortalità: è, a tutti gli effetti, una urgenza medica.
PRIORITÀ DI TRATTAMENTO
ƒ sostenere il circolo
ƒ stabilizzare il paziente
ƒ far cessare il sanguinamento
Il sanguinamento può essere bloccato con:
ƒ scleroterapia endoscopica
ƒ farmaci: agenti vasoattivi (vasopressina, somatostatina, octreotide).
SOMATOSTATINA
Serve a trattare le emorragie da varici esofagee, da ulcera peptica, le pancreatiti acute e le fistole pancreatiche.
Dopo una meta-analisi è risultato che la Somatostatina combinata con la scleroterapia rappresenta la terapia
ottimale per i sanguinamenti da varici esofagee.
Modalità di somministrazione n.1
1 fl da 250 mcg in bolo lento e.v. (in non meno di 3 minuti sotto monitoraggio della P.A.), seguita da 2 fl da 3
mg in 500 cc di sol. Fisiologica, in infusione e.v. continua (deflusso a 3,5 mcg/Kg/ora).
Modalità di somministrazione n.2
2 fl da 3 mg in 500 cc di sol. fisiologica, in infusione e.v. continua (deflusso a 3,5 mcg/Kg/ora).
In entrambi i casi, una volta accertato l’arresto dell’emorragia,il trattamento dovrà comunque essere proseguito
per almeno 48-72 ore, per prevenire eventuali risanguinamenti, senza superare le 120 ore di infusione!
ULCERE PEPTICHE
Per ciò che concerne i sanguinamenti dal tratto gastrointestinale superiore non di origine varicosa (ulcere
peptiche), la letteratura dice che in circa l’80% di questi pazienti l’emorragia cessa spontaneamente e non
recidiva.
PANCREATITI ACUTE
Somatostatina 2 fl da 3 mg in 500 cc di sol. fisiologica, in infusione e.v. continua per 7-10 gg (deflusso a 3,5
mcg/Kg/ora) + solite procedure generali (SNG, ecc…).
SANGUINAMENTO DA VARICI ESOFAGEE
Somatostatina 2 f l da 3 mg in 500 cc so l. Fisio log ica in infu sion e con tinua a 3,5 mc g/Kg /or a.
Si Ringrazia per la Collaborazione:
Dott. Camillo Porta, Dirigente Medico I livello, Oncologia Medica, IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia.
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Pd-T PER GRAVE PATOLOGIA VASCOLARE
(a cura della Dott.ssa P. Tatoni)
Sotto indicazione della Chirurgia Vascolare è stato concordato il seguente protocollo:
ƒ Avvisare il Rianimatore e il Chirurgo Vascolare.
Dopo valutazione del paziente:
ƒ Condizioni emodinamiche stabili si esegue ecografia addominale o angio-TAC addominale;
ƒ Condizioni emodinamiche instabili invio immediato al tavolo operatorio.
Nel frattempo monitoraggio paziente: FC, PA, SatO2, ECG, Rx torace, EGA;
Mantenere maschera per somministrazione di ossigenoterapia (circa 8 L/min) se i valori di SatO2 non sono
soddisfacenti;
Prendere 2 accessi venosi che devono essere di grosso calibro (16-14 Gaughe);
Preparare infusioni di cristalloidi e colloidi da somministrare rapidamente in caso di ipotensione (Pas < 90
mmHg);
Preparare amine (DOPAMINA 2 fl in 250 cc di fisiologica = 400 mg) con microgocciolatore (utilizzare una
via periferica solo per amine che può essere anche di piccolo calibro);
Eseguire prelievi: emocromo, coagulazione, Hitachi, emogruppo, prove di compatibilità;
Inviare richieste urgentissime per globuli rossi concentrati (circa 6 unità) e plasma fresco congelato (circa 6
unità da scongelarsi su richiesta dell'anestesista); le quantità di GRC e di PFC da richiedere sono a discrezione
dell'anestesia e/o rianimatore;
Accompagnare sempre il paziente durante gli spostamenti, monitorizzando sempre il paziente e non
facendogli mai fare movimenti bruschi.
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Pd-T USTIONI
(a cura di: Dott.ssa S.Vecchio, Dott. G. Crescenzi)
Inquadramento e primo intervento
Le ustioni costituiscono un trauma di grande complessità determinato dal trasferimento di energia termica ai
tessuti.
L’esposizione a radiazioni, agenti termici, chimici o elettrici provoca danni tissutali che si manifestano con
denaturazione delle proteine, edema a livello dell’ustione e riduzione del volume intravascolare conseguente
all’aumento della permeabilità dei vasi.
In base all’agente causale, si distinguono 4 tipi di ustione:
ƒ Ustioni da calore
ƒ Ustioni da agenti radianti
ƒ Ustioni da agenti chimici
ƒ Ustioni da agenti elettrici
Le ustioni da calore possono essere provocate da qualsiasi fonte di calore esterna in grado di innalzare la
temperatura cutanea e quella dei tessuti profondi fino a determinare la morte cellulare, la coagulazione o la
carbonizzazione delle proteine. Le cause più frequenti sono rappresentate dal fuoco, da liquidi bollenti e da
oggetti o gas surriscaldati che vengono a contatto con la cute. L’estensione e la profondità della lesione sono in
funzione della quantità di energia ceduta dalla fonte di calore.
Le ustioni da agenti radianti nella maggior parte dei casi conseguono a esposizioni prolungate a radiazioni
solari, ultraviolette (eritema solare), ma possono essere provocate anche da esposizioni prolungate o intense ad
altre fonti di radiazione ultravioletta (per esempio lettini solari), a sorgenti di raggi X o ad altre radiazioni.
Le ustioni da agenti chimici possono essere provocate da acidi o basi forti, fenoli, cresoli, ipriti e fosforo.
Ognuno di questi agenti possiede un effetto necrotizzante che può estendersi lentamente nell’arco di molte ore.
Le ustioni da agenti elettrici sono imputabili al calore prodotto dall’elettricità. Poiché gran parte della resistenza
alle correnti elettriche si concentra nel punto in cui il conduttore viene a contatto con la cute, la maggior parte
delle ustioni si verifica a livello della cute e dei tessuti sottostanti. La necrosi e le escare sono spesso più ampie e
profonde di quanto si possa rilevare ad una prima osservazione delle lesioni.
Le ustioni rappresentano di certo una patologia molto frequente anche se non sono noti dati epidemiologici
precisi e completi sulla loro reale incidenza. Nel nostro Paese ogni anno si verificano circa 100.000 casi di
ustioni e nel 10-15% dei casi si rende necessario il ricovero in ospedale.
La fascia d’età più colpita è quella della piena attività lavorativa (fra la terza e la quinta decade di vita) a causa
per lo più di incidenti sul lavoro, stradali e connessi ad attività ludiche; bambini e anziani sono invece
maggiormente colpiti nell’ambiente domestico, in genere per contatto con liquidi bollenti o fonti di
riscaldamento.
In passato la maggior parte dei decessi da ustione era dovuta allo shock ipovolemico; attualmente l’ inalazione di
fumi, che si verifica in circa il 30% di tutte le ustioni, è la causa più comune di decesso precoce. La maggior
parte delle morti tardive è invece da imputare ad infezione delle lesioni, sepsi e polmonite. Uno studio recente
identifica tre fattori di rischio per la mortalità: età superiore A 60 anni, percentuale di superficie corporea totale
ustionata maggiore del 60%, presenza di lesioni da inalazione.
DIAGNOSI DI GRAVITA’
Di fronte ad una qualsiasi ustione è indispensabile saperne identificare tempestivamente la gravità in quanto da
ciò dipende un orientamento terapeutico corretto. La gravità di un’ustione si diagnostica fondamentalmente in
base ai seguenti parametri:
ƒ Estensione
ƒ Profondità
ƒ Sede
ƒ Agente causale
ƒ Età del paziente
ƒ Eventuali malattie associate (fratture) e preesistenti (diabete, malattie cardiache, malattie respiratorie
etc…)
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Estensione
L’accuratezza della stima della superficie corporea ustionata è importante poiché condiziona tutte le scelte
successive, dal trasferire o meno il paziente in un Centro per la cura dei grandi ustionati, alle scelte di tipo
terapeutico (volume di liquidi da infondere, terapia del dolore). A tal fine sono stati proposti numerosi criteri, tra
i quali quello di più facile impiego risulta essere la “regola del 9” (Fig. 1A).
Questo calcolo può essere valido per gli adulti, mentre per i bambini di età inferiore ai 15 anni e nella prima
infanzia si devono usare altri criteri di valutazione, avendo la testa una maggiore estensione in rapporto alle
gambe rispetto agli adulti.
Il metodo più accurato per misurare la superficie dell’ ustione è delimitare l’area lesa su una tabella di Lund e
Browder, e quindi applicare le percentuali di superficie corporea (Fig. 1B). Per ottenere la massima accuratezza
la delimitazione va fatta dopo aver rimosso tutti i residui di fumo, fuliggine e qualsiasi tessuto necrotico.
Nel calcolo non vanno considerate le aree con ustione di I° grado (eritema).
Fig. 1 (A) Regola del nove e (B) diagramma di Lund-Browder
Profondità
La profondità è un fattore determinante per la prognosi ed il risultato finale: le ustioni superficiali guariscono in
1-2 settimane con cicatrice residua minima, mentre quelle più profonde necessitano da 2 a 4 settimane per
guarire e possono esitare in cicatrici ipertrofiche o con cute ipotrofica ed anelastica che porta ad indebolimento
funzionale. Il metodo più comunemente usato per determinare la profondità di un’ustione è l’esame obiettivo
che prevede l’ispezione e la palpazione della ferita.
Le ustioni vengono classificate in base alla profondità in
ƒ Ustioni di I° grado: la cute, che si presenta arrossata ed eritematosa ma senza soluzioni di continuo (non
ci sono vescicole), impallidisce alla digitopressione. Il danno interessa solamente l’epidermide, la
guarigione avviene in pochi giorni e non necessita di terapia se non sintomatica.
ƒ Ustioni di II° grado (a spessore parziale): coinvolgono l’epidermide ed una porzione variabile del
derma. Il grado di approfondimento nel derma determina un’ulteriore distinzione in superficiali (con
interessamento della parte più superficiale del derma), e profonde (è distrutta la maggior parte del
derma, con pochi annessi cutanei e terminazioni nervose ancora indenni). Le prime sono molto dolorose
e formano immediatamente flittene; quando la flittene si rompe il fondo è umido, eritematoso ed
impallidisce alla digitopressione. La guarigione avviene in 2-3 settimane per riepitelizzazione dalla cute
circostante e dai follicoli piliferi. Di solito lascia cicatrici minime. Le ustioni di II° grado profonde
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coinvolgono l’epidermide e la maggior parte del derma, appaiono biancastre con elemento rossi (derma
coagulato). Sono meno dolorose e di solito richiedono 6 settimane per guarire. Inizialmente la diagnosi
di differenziale tra queste e le ustioni di III° grado è difficile ( a volte prima che la profondità della
lesione sia evidente devono passare 2-3 giorni).
ƒ Ustioni di III° grado (a tutto spessore): coinvolgono tutti gli strati dell’epidermide e del derma ed anche
quantità variabili dei tessuti sottocutanei. Queste lesioni, se sono molto piccole, guariscono per
riepitelizzazione spontanea, altrimenti richiedono l’escissione chirurgica dell’escara ed il successivo
trapianto di cute. All’esame obiettivo appaiono bianche, marroni, marrone-rossastre, grige, hanno
consistenza sinile e cuoio e sono completamente indolori.
ƒ Ustioni di IV° grado: interessano i tendini e i muscoli. Sono causate da sostanze chimiche, elettricità,
metalli roventi o contatto prolungato con le fiamme. Possono facilmente indurre complicanze infettive e
cicatrici retranti diffuse e deturpanti.
Va sottolineato che in una medesima area ustionata sono in genere identificabili zone di diversa profondità, per
lo più estese centrifugamente da un’ area centrale più profonda ad aree periferiche meno profonde.
Sede
Le ustioni localizzate al volto e al collo possono associarsi a lesioni delle principali funzioni di senso (vista,
udito, gusto, olfatto) e ad inalazione di gas e vapori surriscaldati, che ledono le prime vie aeree: in tali casi dalle
prime ore fino a 2-3 giorni dopo l’ustione può insorgere edema faringo-laringeo, con conseguente rischio di
morte per soffocamento. A distanza le ustioni in tali regioni sono altresì causa di esiti cicatriziali invalidanti sia
dal punto di vista funzionale che estetico.
Ustioni localizzate alle mani e ai piedi sono complesse e a rischio di inabilità per perdita di funzionalità.
Il perineo e i genitali sono aree ad alto rischio di contaminazione batterica ed ischemica da decubito.
Nelle ustioni circonferenziali di III° grado al collo, torace ed arti, l’escara formata dalla cute degenerata per
coagulazione di tutte le sue componenti, essendo anelastica, può causare ischemica dell’arto o, se localizzata al
torace, insufficienza respiratoria. In generale si considerano gravi le ustioni che interessano le superfici flessorie
e le rime orifiziali.
Agente causale
La particolare fonte della lesione può essere significativa nella valutazione della gravità del danno.
Una lesione di lieve entità causata da una radiazione nucleare è molto più preoccupante di una prodotta da un
agente termico.
Le ustioni chimiche sono molto pericolose, perché l’agente può rimanere sulla pelle e proseguire la sua azione a
lungo, penetrare nel circolo ematico e produrre un effetto tossico a distanza.
Le ustioni elettriche da alto voltaggio, per i gravi danni prodotti nei punti di ingresso e di uscita della scarica, per
il rischio di danno cardiaco e ad altri organi, vanno sempre trattate come eventi ad alto rischio.
Età
Rispetto alle altre fasce di età, i neonati e i bambini sotto i 5 anni e gli adulti sopra i 60 presentano reazioni
corporee più gravi alle ustioni ed una differente evoluzione delle fasi di guarigione.
Per quanto riguarda i bambini, l’area di superficie coinvolta è molto più estesa, in rapporto alle dimensioni
corporee, e ciò comporta una perdita di liquidi maggiore rispetto all’adulto. Inoltre la presenza di segni recenti o
passati di ustione può essere un indizio inquietante di abuso nell’infanzia. L’ustione inflitta deliberatamente
interessa prevalentemente bambini inferiori ai 3 anni; è pertanto consigliato porre attenzione a quello che viene
riferito nella fase dell’anamnesi. Un aiuto in tal senso è fornito dalla conoscenza di alcuni indicatori di sospetto
che, se presenti simultaneamente in numero di 2 o più, possono far sospettare una situazione di abuso (Tab. 1).
Tab. 1 Indicatori di sospetto di abuso
bambino accompagnato in ospedale da adulto non imparentato
ritardo nel ricorrere al trattamento
indifferenza e scarso interesse dei genitori
sospetto abuso di alcol o droghe
la responsabilità della lesione è attribuita ad un fratellino o al bambino stesso
la storia dell’ infortunio è incompatibile con le capacità e lo sviluppo del bambino
storia positiva per altri incidenti al paziente o ai fratelli
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storia positiva per deficit di crescita
il racconto dell’ accaduto varia di volta in volta
ustione localizzata a perineo, genitali, natiche
lesioni speculari delle estremità
affettività del bambino inappropriata (spesso distaccato e piatto dal punto di vista affettivo)
presenza di lesioni non contemporanee, per esempio lividi, escare, escoriazioni, fratture
Patologie associate e preesistenti
Lesioni traumatiche associate alle ustioni sono frequenti, ne complicano l’evoluzione e possono porre difficili
problemi terapeutici.
Un soggetto con patologie respiratorie sarà esposto ad un rischio maggiore del soggetto sano, se verrà a trovarsi
in presenza di fumi o di esalazioni tossiche derivanti da prodotti chimici. Allo stesso modo un paziente affetto da
patologie cardiache o da diabete mellito reagisce con maggiore difficoltà alle ustioni. Quindi ciò che per un
adulto sano potrebbe essere un’ ustione lieve, può diventare grave per questi pazienti.
In base ai parametri sopraindicati, l’ American College of Surgeons-Committee on Trauma 1999, Resources for
Optimal Care of the Injured Patients, ha classificato le ustioni in minori, moderate e severe (Tab. 2).
Tab. 2 Classificazione dell’ustione
BAMBINI (0-12 aa)
ADULTI (12-60 aa)
II° grado
< 10%
< 15%
III° grado
< 2%
< 2%
II° grado
10-20%
15-25%
MODERATA
III° grado
2-10%
2-10%
II° grado
>20%
<25%
SEVERA
III° grado
>10%
>10%
Aree critiche, patologie associate, ustioni complicate (inalazione, trauma)
LIEVE
ANZIANI (>60 aa)
< 10%
< 2%
10-20%
2-10%
<20%
>10%
COMPLICANZE
Le complicanze a livello sistemico (shock ipovolemico, infezioni) e i danni all’ apparato respiratorio
rappresentano un rischio di gran lunga maggiore rispetto agli effetti locali.
Malattia ustione
Ad una ustione, specie se estesa, consegue una serie di eventi fisiopatologici che coinvolgono tutto l’organismo e
che nel complesso sono denominati “malattia ustione”. Essa può essere schematicamente distinta in 3 fasi:
ƒ fase di shock (prime 48-72 ore dal trauma termico): è caratterizzata da gravi alterazioni emodinamiche
che, se non compensate, conducono a morte. A livello microcircolatorio si possono distinguere 4 fasi:
vasocostrizione, mediata dalle catecolamine
vasodilatazione ed aumento della permeabilità vasale, con fuga di acqua ed elettroliti dal torrente
circolatorio allo spazio interstiziale e conseguente insorgenza di edema generalizzato e riduzione e
ispessimento della massa circolante (shock ipovolemico)
coagulazione intravasale disseminata (DIC), per aumentata aggregazione piastrinica
fibrinolisi, indotta dalla deplezione dei fattori della coagulazione, provocata dalla DIC.
Il quadro clinico è dominato dalla sintomatologia conseguente alla riduzione della massa circolante:
riduzione delle gittata cardiaca con diminuzione della pressione venosa centrale, caduta della pressione
arteriosa, polso piccolo e frequente, dispnea e polipnea, oliguria (rene da shock). L’ edema può essere
imponente. Il paziente è in preda a grave agitazione neuropsichica, con cute fredda, pallida e sudata,
vomito e sete intensa.
Anche in uno shock compensato, fra la 3a e la 5a giornata sono particolarmente temibili le complicanze
respiratorie, riconducibili ad una massiccia atelectasia polmonare per edema, esitante in un decesso da
cuore polmonare acuto (polmone da shock).
ƒ Fase tossinfettiva (3a-4a giornata): si considera iniziata quando, al termine della fase di shock, si rileva
la comparsa di movimento febbrile. Le superfici ustionate rappresentano una porta d’ accesso per la
penetrazione nell’ organismo di germi patogeni che, oltre a trovare nei detriti necrotici tessutali un
terreno di coltura ideale, non incontrano alcuna difesa locale a causa della diminuita perfusione
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ƒ
ematica. I tessuti ustionati in disfacimento sono inoltre una continua fonte di sostanze tossiche, il cui
riassorbimento aggrava sensibilmente lo stato generale (tossine da ustione).
L’ infezione a livello locale si manifesta con eritema ed edema delle regioni sane circostanti l’ ustione,
linfangite e linfadenite; in sede di lesione si costituisce un essudato. Streptococchi e stafilococchi sono i
germi che più spesso si riscontrano in prima istanza nelle ustioni, mentre i batteri Gram- diventano
prevalenti dopo 5-7 giorni; inoltre è sempre presente una flora batterica mista. Particolarmente temibile
e frequente è la selezione, dopo i primi giorni, di popolazioni resistenti ai più comuni antibiotici:
Pseudomonas aeruginosa, Enterobacteriacee.
In questa fase è anche importante la compromissione infettiva di organi ed apparati lontani dal sito di
lesione, in quanto l’ ustione determina una condizione di immunodeficienza. La polmonite è la
complicanza infettiva più frequente, spesso mortale. Insorge più comunemente come aggravamento di
una bronchiolite, per inalazione di germi provenienti dal sito di ustione, in genere nella 2a settimana
dopo il trauma ma può anche avere genesi ematogena. Qualora non adeguatamente controllata, l’
infezione può sfociare in una setticemia, con decorso più lento e insidioso in caso di sepsi da Gram+,
più rapido in caso di sepsi da Gram-.
Durante la 2a fase della malattia ustione, l’organismo è colpito inoltre da processi patologici
degenerativi che non risparmiano nessun apparato e che si integrano con le sovrainfezioni (turbe della
termoregolazione, aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, leucocitosi, catabolismo universale,
anemia e immunodeficienza, IRA, ARDS, ulcere di Curling, compromissione cardiovascolare e
nervosa).
fase distrofico-cicatriziale (3a-4a settimana): i sintomi, che accompagneranno in varia misura il
paziente per tutta la vita, sono dovuti a disturbi neuropsichici (confusione mentale e deliri allucinatori
alternati a periodi di grave depressione) e a disturbi trofici, connessi con le massiccie perdite proteiche
ed ematiche e le ridotte capacità protidosintetiche, cui si accompagnano elevatissime richieste
energetiche per la guarigione delle lesioni e la termoregolazione.
Lesioni da inalazione
Sono dovute all’ aspirazione di gas surriscaldati, vapori, liquidi bollenti o prodotti nocivi di una combustione
incompleta (monossido di carbonio, cianuri…).
L’incidenza di lesioni da inalazione aumenta con l’ aumentare dell’ estensione dell’ ustione e comunque lesioni
di questo tipo sono presenti in 2/3 dei pazienti con ustioni estese a più del 70% della superficie corporea.
La diagnosi di lesioni da inalazione è in prima istanza clinica, basata su una storia di esposizione in spazio
chiuso e su un’ obiettività positiva per ustioni al volto, “singed” (bruciacchiate) vibrisse e sputo carbonaceo. L’
Rx del torace è solitamente normale fino a quando si sviluppano complicanze (infezioni). La diagnosi è
confermata se la broncoscopia rivela detriti carbonacei, ulcerazioni o eritema ma un’ esame negativo non la
esclude completamente. Per confermare il sospetto clinico di lesioni da inalazione può anche essere utilizzato il
tecnezio. Nessuna tecnica comunque può predire esattamente la severità della lesione o il decorso clinico.
Le conseguenze cliniche delle lesioni da inalazione comprendono l’ edema delle vie aeree superiori da lesione
termica diretta esacerbata dalla permeabilità capillare sistemica, broncospasmo da irritanti areosolizzati,
occlusione delle piccole vie aeree per la presenza di residui endobronchiali e perdita della motilità ciliare,
aumento dello spazio morto polmonare e shunt intrapolmonare da inondamento alveolare, riduzione della
compliance polmonare e della gabbia toracica per edema interstiziale e alveolare e tumefazione o ustione della
parete toracica, infezioni dell’albero tracheobronchiale (tracheobrionchiti) o del parenchima polmonare
(polmoniti).
Il trattamento è solo di supporto. L’ edema delle vie aeree superiori solitamente si risolve in 2-3 giorni e può
essere facilitato con l’ elevazione della testata del letto e la somministrazione moderata di liquidi. Il
broncospasmo risponde in genere all’ inalazione di β-agonisti. Se è necessaria la ventilazione meccanica, l’
arresto dell’ aria può essere anticipato e trattato assicurando un adeguato tempo espiratorio e facendo attenzione
all’ iperinsufflazione dinamica. Dovrebbe essere evitata una pressione di insufflazione > 40 cm H20, a meno che
la compliance della parete toracica sia severamente ridotta, dato che le pressioni di insufflazione non sono
transpleuriche. I bambini con una anche severa lesione da inalazione di solito riacquistano scambi gassosi e
compliance normali dopo 48-72 ore dalla lesione. Durante questo periodo sarebbe meglio astenersi dall’
effettuare trasferimenti intraospedalieri o operazioni che il deterioramento dello scambio di gas può complicare.
Per quanto riguarda l’ intossicazione da monossido di carbonio, il più semplice e probabilmente miglior
trattamento è la ventilazione con ossigeno al 100%, che riduce l’ emivita della carbossiemoglobina da 4 ore e
mezzo a circa 50 minuti. L’ ossigenoterapia iperbarica va presa in considerazione solo in pazienti con
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documentata o molto sospetta importante esposizione al monossido (CoHb>25% con stato di coscienza
depresso) purchè emodinamicamente stabili, non necessitanti di rianimazione volemica, non dispnoici e quando
il trasporto e la seduta non interferiscano con un buon trattamento generale dell’ ustionato.
Nei giorni successivi alla lesione da inalazione, i residui endobronchiali si raccolgono, gli alveoli si rigonfiano,
la compliance si riduce, si instaurano infezioni e si deteriorano gli scambi gassosi. Questa condizione può essere
trattata con una accurata pulizia polmonare e supporto ventilatorio per prevenire lesioni secondarie dei polmoni
evitando pressioni di insufflazione a 40 cm H20 e concentrazioni di 02 al 60% se possibile. Entrambe hanno
dimostrato di causare lesioni polmonari. L’ obiettivo dell’ ossigenazione e della ventilazione è di ottenere livelli
fisiologicamente accettabili di ventilazione (qualsiasi PaCo2 con un pH >7,2) e di ossigenazione (qualsiasi Pa02
compatibile con una saturazione di 02 > 90%). Questo approccio, che permette l’ ipercapnia, è associato ad
ottimi risultati. Se questo obiettivo non può essere ottenuto senza la violazione dei limiti di pressione e ossigeno
per motivi di tempo, possono essere considerati innovativi metodi di supporto come l’ inalazione di ossido
nitrico, la ventilazione percussiva ad alta frequenza o il supporto extracorporeo oppure i limiti possono essere
violati temporaneamente.
Polmoniti e tracheobronchiti insorgono in circa il 30% dei bambini , secondarie alla perdita della motilità ciliare,
all’ occlusione delle piccole vie aeree, all’ inondamento alveolare e all’ intubazione endotracheale. I segni di un’
infezione polmonare comprendono la febbre e secrezioni endobronchiali purulente. La presenza di infiltrati o di
una consolidazione lobare all’ Rx torace suggeriscono una polmonite mentre in assenza di alterazioni
radiografiche si può fare diagnosi di tracheobronchite. La terapia antibiotica è richiesta dalla positività dello
sputo per i Gram-. Una accurata pulizia polmonare, per via broncoscopia in pazienti selezionati, è una
componente fondamentale della terapia.
Il ruolo della tracheostomia nel trattamento delle lesioni da inalazione è controverso. Può essere molto utile,
soprattutto se sono prevedibili un’ intubazione prolungata o un difficile svezzamento o se insolitamente
abbondanti secrezioni sono ingestibili attraverso un tubo endotracheale, ma nei bambini è associata ad un’ alta
prevalenza di seri problemi strutturali. Sebbene alcuni dati suggeriscano una modesta intolleranza allo sforzo a
lungo termine, la maggior parte dei soggetti sopravvissuti a lesioni da inalazione riacquistano una funzionalità
polmonare clinicamente normale a lungo termine.
Altre complicanze
La maggior parte delle aritmie cardiache negli ustionati viene provocata da ipovolemia, ipossia, acidosi o
iperkaliemia, quindi prima di somministrare farmaci cardioattivi bisognerà correggere tali alterazioni
metaboliche (a meno che non si tratti di tachicardie o fibrillazioni ventricolari, che richiedono un trattamento
immediato).
L’ ipokaliemia è frequente nelle prime fasi del trattamento come conseguenza di condizioni diverse:
generalmente il potassio (K) non viene somministrato nella fase iniziale di reintegrazione dei liquidi; le riserve di
K nei pazienti che assumono diuretici possono essere deplete; una parte del K viene chelato dal nitrato d’
argento presente nelle medicazioni in soluzione ipotonica allo 0,5% (che ha un’azione chelante anche su Na e Cl,
determinando talvolta iponatremia, ipocloremia e alcalosi ipocloremica gravi) . Di conseguenza il K sierico
deve essere mantenuto >4mEq/l.
L’ ipoalbuminemia è dovuta alla combinazione degli effetti di diluizione della
terapia idrosalina e della pardita di proteine nel liquido edematoso al di sotto delle escare. Le infusioni di colloidi
vanno protratte durante tutto il periodo del trattamento iniziale alla velocità che consente di mantenere i livelli di
albumina a circa 2,5 g/dl e le proteine totali >5 g/dl. Poiché la maggior parte del Ca sierico è legato
reversibilmente all’ albumina, la comparsa di ipocalcemia potrà essere conseguenza dell’ ipoalbuminemia. La
frazione ionizzata del Ca sierico è di solito normale, ma lsua misurazione va comunque ripetuta periodicamente.
Ogni giorno dovrebbero essere somministrate integrazioni di Ca, fosfati e Mg.
L’ acidosi metabolica può derivare da una minore perfusione tessutale
conseguenza dell’ ipovolemia o dell’
insufficienza cardiaca. La caduta del pH ematico a valori <7,2 va trattata con bicarbonato di Na e.v.
La mioglobinuria può essere conseguenza di ischemia muscolare, di lesioni da schiacciamento o di profonde
ustioni termiche o elettriche del muscolo. Inizialmente l’ escrezione urinaria deve essere mantenuta a 100 ml/h
negli adulti e > 1 ml/Kg/h nei bambini; si deve ottenere una diuresi osmotica, somministrando negli adulti
mannitolo alla dose di 12,5 g e.v. ogni 4-8 h o anche più frequentemente, se necessario, fino ad osservare la
scomparsa della mioglobinuria. Negli adulti con mioglobinuria grave è indicata l’ alcalinizzazione delle urine
con 50 mEq di bicarbonato di Na ogni 4-8 h secondo necessità, con monitoraggio frequente del pH sierico e di
quello urinario, che deve essere mantenuto >8. Il trattamento dell’ emoglobinuria, che può conseguire ad
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un’emolisi post-ustione, è identico a quello della mioglobinuria. In assenza di trattamento accurato e sollecito, la
mioglobinuria e l’ emoglobinuria possono provocare necrosi dei tubuli renali.
L’ ipotermia è piuttosto frequente nei grandi ustionati. I soggetti con temperatura rettale < 36°C vanno trattati
con il riscaldamento dei liquidi da trattare. Se la temperatura è < 33°C, il riscaldamento può favorire l’
instaurarsi di aritmie fatali. Questo tipo di pazienti deve essere riportato ad una temperatura adeguata molto
lentamente, monitorando in maniera continuativa l’ ECG, la temperatura interna, gli elettroliti, i parametri vitali
e le condizioni mentali.
VALUTAZIONE INIZIALE E PRIMO TRATTAMENTO DEL PAZIENTE USTIONATO
Il termine “GOLDEN HOUR” è comunemente usato per indicare la necessità di trattamento immediato del
paziente con traumi importanti di qualunque natura, al fine di assicurare la miglior prognosi possibile. Il
trattamento iniziale del paziente ustionato deve seguire i principi generali e le linee guida per il traumatizzato
(ATLS), con particolare attenzione alle vie aeree, alla respirazione, al circolo (ABC), al controllo dell’ ipotermia
ed al riconoscimento e trattamento delle eventuali lesioni associate che potrebbero compromettere le funzioni
vitali.
Fase preospedaliera
Sulla scena di un incidente ove ci sia un ustionato, una volta accertata l’ assenza di pericoli ambientali per i
soccorritori, si deve cercare di rimuovere rapidamente il paziente dalla fonte di lesione così da contenere il
processo dell’ ustione. In caso di fiamma libre ail soggetto sarà coperto da materiale ignifugo.
Il trattamento delle vie aeree è di vitale importanza. Un’ inalazione da fumi deve essere sempre sospettata in
presenza di ustioni al viso, bruciature di sopracciglia e vibrisse nasali, escreato carbonoso, tosse persistente o
qualora l’ incendio avvenga in spazi chiusi. Nel sospetto di inalazione da fumi si somministrerà O2 al 100% con
maschera facciale. In presenza di segni di potenziale ostruzione delle vie aeree come raucedine o stridore, si
ricorrerà all’intubazione oro-tacheale precoce, prima che il quadro evolva verso un edema massivo. In condizioni
che rendano l’ intubazione impraticabile quale un imponente edema del volto ci si predisporrà per una
cricotomia d’ urgenza con successiva jet-ventilation.
Assicurata un’ adeguata ventilazione si dovrà iniziare la terapia infusionale in tutte le ustioni eccetto quelle
considerate minori: a tale proposito è conveniente, se possibile, posizionare già sul territorio 2 vie di accesso, di
16 F per gli adulti e di 20 F per i bambini. La via endovenosa è inoltre la più opportuna per la somministrazione
di antidolorifici che deve essere iniziata già sul territorio.
In caso di ustione da esplosione o associata a caduta si dovrà sempre tenere in considerazione una possibile
lesione della colonna; si dovrà quindi procedere all’ immobilizzazione tramite colare rigido ed al trasporto con
mezzi idonei.
Assicurato l’ ABC i soccorritori devono rimuovere i vestiti non adesi alle zone ustionate e i gioielli, quindi
raffreddare la lesione con soluzione fisiologica o acqua a temperatura di 15°; tale procedura calma il dolore,
rimuove il calore ed abbassa la temperatura dei tessuti lesi arrestando la progressione in profondità del processo
lesivo. Il raffreddamento delle lesioni può esser protratto fino a 30-60 minuti dopo il trauma e potrà essere
continuato fino a quando la sua sospensione smetta di provocare la ripresa del dolore.
In tutte le ustioni prodotte da agenti chimici è necessario irrigare copiosamente e decontaminare con grandi
quantità di soluzione fisiologica o acqua. In caso di agenti in polvere, l’ irrigazione sarà preceduta dal loro
allontanamento.
Si potrà quindi procedere al trasporto dell’ ustionato verso una struttura ospedaliera; qui il medico dovrà
rivalutare l’ ABC, stabilizzare se necessario i parametri vitali e quindi decidere per un eventuale trasporto presso
un Centro Grandi Ustionati. Un valido aiuto nella scelta è dato dai criteri per l’ ospedalizzazione sintetizzati
nelle linee guida operative dell’ American Burn Association e dell ‘American College of Surgeons (Tab. 3).
Aspetti o problemi specifici riguardanti il singolo caso andrebbero comunque sempre valutati con il medico del
Centro Grandi Ustionati.
Tab. 3 Criteri indicativi per l’ ospedalizzazione in Centro Grandi Ustionati (modificato da “Guidelines For The
Operation Of Burn Units Committee On Trauma”)
ustioni superiori al 10% della superficie corporea totale;
ustioni delle mani, dei piedi, del volto, del perineo, dei genitali, delle articolazioni;
ustioni di III° grado;
ustioni elettriche e chimiche;
ustioni con sospetto di violenza-abuso;
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casi che non possono essere, per qualsiasi motivo, gestiti a domicilio;
ustioni associate ad altre lesioni come inalazione, trauma cranico, fratture;
patologie associate che possono complicare il decorso;
bambino in cura in ospedale non attrezzato
Trattamento del paziente ustionato in Pronto Soccorso
Il medico di Pronto Soccorso dovrebbe ricevere quante più informazioni possibili circa le circostanze dell’
incidente per poter meglio inquadrare il paziente circa l’ eventualità di inalazione di sostanze tossiche e di traumi
maggiori associati all’ ustione. La raccolta anamnestica, qualora le condizioni cliniche la rendano possibile,
diventa di primaria importanza qualora l’ ustionato sia un minore, al fine di evidenziare eventuali situazioni d’
abuso. Inoltre l’ anamnesi dovrà ricercare gli eventuali stati morbosi preesistenti (con particolare attenzione alla
ricerca di malattie cardiovascolari, respiratorie, diabete), le allergie note (zolfo) e lo stato vaccinale per il tetano.
È fondamentale la valutazione delle caratteristiche dell’ ustione che condizionano il trattamento immediato, la
terapia e la gestione successiva del paziente (Tab. 4).
Tab. 4 Caratteristiche dell’ ustione
Percentuale di superficie corporea interessata
Grado o profondità della lesione
Inalazione
Estensione circonferenziale al tronco o agli arti
Sede (volto, occhi, orecchi, mani, piedi, organi genitali)
Causa chimica o elettrica
Sospetto di abuso
Patologie associate
Gli obiettivi del trattamento in Pronto Soccorso devono essere: identificazione e trattamento di qualsiasi
compromissione delle vie aeree reale o potenziale; controllo dello shock; identificazione di danni da inalazione
di sostanze tossiche, identificazione di traumi associati; controllo del dolore.
Gestione delle vie aeree
La gestione delle vie aeree nei pazienti ustionati è una considerazione estremamente importante che se non
correttamente condotta può portare a complicazioni devastanti. L’edema tissutale di solito non risparmia le vie
aeree. Somministrare ossigeno supplementare con controllo continuo della saturimetria ( mantenere la
saturazione superiore al 90 %) a tutti i pazienti ustionati con lesioni importanti. I paziente con lesioni estese
richiedono solitamente l’ intubazione e la ventilazione meccanica (Vedi tabella successiva). I pazienti con ustioni
piccole o medie possono essere di difficile gestione in quanto possono inizialmente presentare pervietà delle vie
aeree e nelle ore successive, quando si forma l’ edema, richiedere una intubazione che risulterà difficoltosa.
Peli facciali bruciacchiati (“singed”) e la presenza di sputo carbonaceo sono segni indicativi di una possibile
presenza di danno da inalazione che può complicare sia la funzionalità polmonare che la gestione dell’ infusione
di liquidi. Un’ anamnesi di incendio in spazio confinato o il rinvenimento di pazienti incoscienti sono spesso
associati con lesioni da inalazione. Nei pazienti non intubati con possibili danni da inalazione la laringoscopia è
un’ importante strumento per valutare l’ entità dei danni da inalazione e sorvegliare l’ edema laringeo. È utile
eseguire emogasanalisi, radiografia del torace e la determinazione dei livelli di carbossiemoglobina (da
mantenere al di sotto del 7%).
Indicazioni all’intubazione
Assolute
Relative
Respirazione frequente e superficiale con tachipnea a
30-40 atti/min
Bradipnea < 8-10 atti/min
Ostruzione meccanica dovuta a traumi, edema o
laringospasmo
Segni di insufficienza respiratoria con pH arterioso <
7,2, PO2< 60 mmHg o PCO2>50 mmHg
Esplosioni o incendi in ambienti chiusi
Presenza di peli nasali bruciati o di mucose buccali ustionate
Eritema del palato
Presenza di fuliggine nella bocca, nella laringe o nell’escreato
Edema con ustioni del volto o del collo
Presenza di segni di sofferenza respiratoria (per es. ostruzione
nasale, rumori respiratori aspri o stridenti, ansia, agitazione,
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atteggiamento aggressivo da parte del paziente)
Accesso venoso
Il rapido reperimento di un’ accesso venoso e la pronta infusione di liquidi sono di fondamentale importanza nel
trattamento del paziente ustionato, per il ruolo critico che rivestono nel periodo immediatamente successivo un’
ustione, in aggiunta alla protezione delle vie aeree. Posizionare l’ accesso venoso lontano dalle aree ustionate per
la difficoltà nel reperire le vene e per il problemi conseguenti al corretto posizionamento. Altre considerazioni da
porre sono quelle legate al dislocamento dell’ accesso venoso dovuto alla formazione di edema ed ad un
potenziale effetto “tourniquet” determinato da sistemi di fissaggio.
Altri presidi
Nei pazienti ustionati che richiedono infusione di liquidi in vena è necessario posizionare un catetere di Foley
per monitorare la diuresi ed avere un’ idea del bilancio idrico. È utile prendere in considerazione inoltre il
posizionamento di un sondino naso-gastrico per decomprimere lo stomaco ed in iniziare eventualmente la
nutrizione parenterale, anche in considerazione del fatto che nei pazienti ustionati sono frequenti l’ atonia
gastrica e l’ ileo paralitico. Bisogna valutare immediatamente i polsi periferici, tutte le estremità e la parete
toracica per potenziali sindromi compartimentali.
Un’ attenta osservazione delle estremità coinvolte è richiesta nella fase di rianimazione. La formazione di edema
può trasformare un arto ben perfuso in un disastro ischemico con insufficienza renale da mioglobinuria se non
correttamente trattata. Un drenaggio antigravitario ottenuto sollevando gli arti al di sopra del livello del cuore e
misurazioni frequenti del polso usando un apparecchio Doppler sono inoltre necessari nelle prime 24-48 ore. I
pazienti con ustioni circonferenziali hanno il rischio più elevato di sviluppare una sindrome compartimentale e
richiedono una stretta osservazione. Se i polsi non sono più valutabili in un’ estremità sono da prendere in
considerazione numerosi interventi riparatori. In primis considerare se la perdita dei polsi è la conseguenza di
una ridotta reintegrazione polemica. Poi prendere in considerazione se il paziente è un traumatizzato con
possibili danni vascolari; e infine considerare la possibilità che si sia sviluppata una sindrome compartimentale.
Le pressioni compartimentali possono essere misurate con numerosi apparecchi manuali oppure può essere
utilizzata una linea arteriosa. Pressioni compartimentali documentate superiori a 40 mmHg necessitano una
escarotomia o fasciotomia d’ urgenza.
Terapia del dolore
La valutazione dell’ intensità del dolore è essenziale per una terapia mirata alle necessità del paziente. Inoltre i
pazienti ustionati possono essere sottoposti a manovre potenzialmente dolorose (allontanamento dall’ incendio,
rianimazione, trasporto all’ ospedale, procedure urgenti come l’ isolamento di un accesso venoso, il controllo
delle vie aeree, il posizionamento di catetere vescicale, l’ esecuzione di esami radiologici, l’ escarotomia e il
trasporto al reparto di ricovero).
Inizialmente il dolore può essere severo o sorprendentemente modesto, ma la severità è difficilmente valutabile.
La percezione del dolore da parte del paziente può essere influenzata dall’ assunzione di alcool, dallo stato postictale, da farmaci, dall’ alterato stato di coscienza dovuto ad altre lesioni, da inalazione di fumo, dall’ ipossia o
dall’ ipotensione. Misure semplici come raffreddare le aree ustionate, coprire le zone interessate e immobilizzare
il paziente possono essere sufficienti in caso di dolore lieve. Altrimenti l’ analgesia può essere ottenuta con l’
entonox (miscela 50/50 di O2 e ossido nitrico); in caso di inalazione di fumi o ipossia dovuta ad altre cause è
necessaria la somministrazione di O2 al 100%. Quando è disponibile personale addestrato, sia sul territorio che in
ospedale, la somministrazione parenterale di oppiacei rimane la forma più usata di analgesia. È da preferire la
somministrazione endovenosa, essendo le vie intramuscolare e quella sottocutanea poco affidabili soprattutto se i
pazienti presentano ipovolemia e vasocostrizione. A prescindere dall’ oppioide scelto, devono essere
somministrati piccoli boli in vena frazionati fino ad ottenere l’ effetto desiderato. Una volta ottenuto il controllo
del dolore, si può iniziare l’ infusione continua o somministrare altri boli. In alcuni pazienti la necessità di
anestesia generale per la gestione delle vie aeree, la ventilazione o altre procedure elimina il problema dolore.
Oltre alla terapia farmacologica, sono essenziali altri approcci che includono la rassicurazione e il conforto del
paziente, il raffreddamento della lesione, la gestione del decubito. Coprire il paziente con un telo trasparente
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permette frequenti ispezioni nelle fasi iniziali senza rimuovere la medicazione. Il disagio a questo punto può
essere esacerbato dalla paura, dall’ ansia e dalla consapevolezza della gravità delle proprie lesioni.
I neonati e i bambini piccoli non possono esprimere verbalmente il dolore ma esistono delle scale di misurazione
che si sono dimostrate efficaci, basate su semplici disegni di facce della varie espressioni o su altri dati
semeiologici che aiutano a classificare il dolore (Tab. 5).
Tab. 6 Scala del dolore in paziente pediatrico
Punti
0
P. ART.
Normale
PIANTO
MOVIMENTO
AGITAZIONE
dorme/è calmo
ESPRESSIONE
dorme/non parla
VERBALE
1
>20% rispetto al normale
distraibile
continuo
moderata
riferisce lieve dolore
2
>30% rispetto al normale
inconsolabile
incontenibile
estrema
riferisce molto dolore
Oppiacei
Gli oppiacei in infusione endovenosa sono il metodo migliore per ridurre il dolore nelle ustioni. La morfina è
ampiamente usata e studiata. La sua farmacocinetica nei pazienti ustionati non differisce molto da quella nei
pazienti non ustionati e di conseguenza non sono richiesti adeguamenti posologici. Ha una lunga durata d’azione
e possiede effetti sedativi ed antitussigeni. Sfortunatamente la eliminazione dei metaboliti attraverso il rene
significa che gli effetti possono essere particolarmente prolungati nel caso di insufficienza renale. La morfina è
stata utilizzata dai PCA per il dolore postoperatorio e per il dolore background. Nonostante le preoccupazioni vi
sono pochi dati che evidenziano che i pazienti ustionati trattati con oppiacei sono a rischio di sviluppare
tossicodipendenza.
Sebbene sia stato descritto l’ uso nei pazienti ustionati di analgesici come la meperidina o il metadone, che
significativamente deprimono lo stato di coscienza, il loro uso a lungo termine è limitato. Altri farmaci, come ad
esempio le benzodiazepine, possono essere usati in combinazione con gli oppiacei, particolarmente nei pazienti
incubati nelle unità di terapia intensiva, per ridurre la quantità di oppiacei e garantire un adeguato grado di
ansiolisi. Il Lorazepam quando è associato alla morfina garantisce un maggior grado di analgesia nei pazienti con
ustioni severe.
Quando i pazienti non richiedono una somministrazione endovenosa di oppiacei per lungo tempo o quando il
ricorso a ripetute incannulazioni è considerato inaccettabile per il rischio di sepsi, possono essere prese in
considerazione altre vie di somministrazione. Per il dolore di fondo sono stati utilizzati farmaci oppiacei a lunga
durata d’ azione come il metadone o l’ “MSContin” mentre per il dolore da procedure è più appropriato l’
utilizzo di farmaci oppiacei a rapido inizio d’ azione e breve durata.
Non oppiacei
I farmaci non oppiacei sono stati studiati per il trattamento del dolore da ustione. In alcuni centri per grandi
ustionati i farmaci oppiacei non vengono usati e la riduzione del dolore è paragonabile a quella che si ha nei
centri che utilizzano gli oppiacei. C’ è inoltre un certo grado di riluttanza nel somministrare gli oppiacei a
particolari gruppi di pazienti come gli anziani. I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) possono esser
utilizzati con successo ma è richiesto un certo grado di attenzione dal momento che il loro utilizzo nei pazienti
ustionati è stato associato ad alterazione della funzionalità renale. Il ketorolac, un FANS somministrato per via
parenterale, è stato utilizzato per il trattamento del dolore da ustione ma le preoccupazioni sulla sua sicurezza
hanno portato ad una riduzione del dosaggio che può essere associata ad una ridotta efficacia. La clonidina in
vena è stata descritta come un efficace analgesico in altre situazioni e uno studio case-reports suggerisce che può
essere usata per trattare efficacemente anche il dolore nei pazienti ustionati che non rispondono adeguatamente
alla terapia con oppiacei. In un piccolo studio clinico randomizzato è stato evidenziato che la clonidina era in
grado di ridurre la quantità di fentanil usata per poter trattare i pazienti ustionati. Per brevi procedure è
ampiamente usato l’ ossido nitrico per via inalatoria.
Anestesia locale
Molte restrizioni possono rendere inappropriata l’ anestesia locale per numerosi pazienti ustionati. L’ ustione e le
aree contigue spesso si estendono oltre l’ estensione che può essere coperta da un singolo blocco anestetico. Il
ricorso a queste tecniche è limitato nei pazienti a rischio di sepsi. A dispetto di ciò, sono stati pubblicati
numerosi lavori circa l’ utilizzo di tecniche di blocchi nervosi e applicazioni di anestetici locali per via topica o
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sottocutanea. L’ uso della lidocaina in vena, che si è dimostrato efficace per altri tipi di dolore, può anche
essere molto utile nei pazienti ustionati. Dubbi circa gli effetti collaterali possono essere motivo per cui questa
efficace tecnica non ha riscosso un ampio consenso.
Rianimazione volemica
Sin dal primo soccorso di un paziente ustionato, deve essere considerato prioritario il ripristino del volume
ematico. Infatti in ogni ustione maggiore si può instaurare uno stato di shock ipovolemico secondario a :
una alterazione della permeabilità capillare con fuoriuscita dal circolo di acqua, proteine ed elettroliti;
una evaporazione idrica dai tessuti ustionati con un aumento della osmolarità e richiamo di acqua dal sangue.
Insieme costituiscono la causa prima di una emoconcentrazione con conseguente insufficienza circolatoria acuta
e diminuzione della gittata cardiaca.
Sia in fase preospedaliera che intraospedaliera un corretto approccio deve valutare e calcolare come essenziale il
precoce trattamento infusorio per ristabilire le perdite idriche definendone le quantità, i tempi e il tipo di liquidi
da impiegare (Tab. 7).
Fabbisogno totale nelle prime 24 ore: a seguito della importante perdita di liquidi si impone la quantificazione
dei liquidi da somministrare e a tale scopo possono essere seguite varie formule, tutte valide, anche se la più
semplice è (formula di Parkland)
2-4 ml di Ringer Lattato x Kg di peso corporeo x % superficie ustionata
che fornisce immediatamente il totale dei liquidi da infondere. La formula è solo una guida per iniziare la
rianimazione e va modificata, se necessario, sulla base della risposta clinica
Tempi di reinfusione : la metà dei liquidi calcolati come necessari deve essere somministrata nelle prime 8 ore
dal momento dell’ evento e la seconda metà nelle successive 16 ore
C. Tipo di liquidi : nella scelta si deve tenere in considerazione l’ aumentata permeabilità capillare con
la conseguente perdita delle proteine plasmatiche e delle macromolecole per cui nelle primissime ore
e/o durante le prime 8 ore l’ utilizzo di cristalloidi (Ringer) è sicuramente corretto mentre successivamente
devono esser usati colloidi e plasma. Nelle ustioni maggiori la rianimazione con cristalloidi porta facilmente all’
ipoalbuminemia e alla perdita di pressione oncotica. È quindi necessaria l’infusione di albumina. Si ha anche
perdita di fattori della coagulazione e, se già praticata escarotomia, tendenza al sanguinamento. Bisogna quindi
infondere PFC. I colloidi sono efficaci se infusi tra la 12a e la 24a ora, dopo il reintegro della permeabilità
capillare, mentre prima favoriscono la formazione dell’ edema interstiziale. Sono inoltre utili nei pazienti che
non rispondono ai soli cristalloidi. Per quanto riguarda invece i liquidi ipertonici, il loro utilizzo comporta sia
vantaggi (minor volume infuso, minor edema interstiziale, minor incidenza di intubazione e di escarotomia) che
importanti svantaggi (ipernatremia, iperosmolarità, anuria acuta, edema cerebrale da correzione rapida dell’
ipernatremia).
I pazienti con lesioni da inalazione spesso abbisognano di più liquidi, come anche i bambini (5-6
ml/Kg/%ustione).
In conclusione la quantità di liquidi necessari da infondere dipende da gravità dell’ ustione, età, stato fisico del
paziente, traumi associati. Quindi la formula di rimpiazzo scelta deve essere modificata sulla base della risposta
clinica; in pratica la quantità di liquidi dovrebbe esser sufficiente a mantenere la funzione degli organi vitali
senza produrre iatrogenicità.
Da tenere presente come spesso sia difficile valutare il volume ematico per una obiettiva incapacità alla
misurazione della pressione arteriosa per cui il solo parametro attendibile può essere la misurazione della diuresi:
una diuresi di 0,5-1ml/Kg/h rappresenta un indice di riferimento significativo a conferma della validità di un
buon reintegro di fluidi. Altri parametri da tenere in considerazione sono l’ ematocrito e la pressione venosa
centrale.
Tab. 8 Rianimazione volemica
Prime 24 ore
Adulti e bambini con peso corporeo > 30 Kg
Ringer lattato: 2-4 ml/Kg/%ustione/24h (prima metà nelle prime 8 ore)
Bambini con peso corporeo < 30 Kg
Ringer lattato: 2-3 ml/Kg/%ustione/24h (prima metà nelle prime 8 ore)
Ringer lattato con 5% di destrosio: mantenimento della quota (approssimativamente 4ml/Kg/h per i primi 10
Kg, 2ml/Kg/h per gli altri 10 Kg, 1ml/Kg/h per peso corporeo > 20 Kg)
Seconde 24 ore
Cristalloidi: per mantenere la diuresi. Se viene usato nitrato d’ argento il richiamo d’acqua del sodio obbligherà a
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continuare l’ infusione con cristalloidi isotonici. Se viene usato un altro topico il sequestro di acqua libera è
significativo. La sodiemia dovrebbe essere monitorata costantemente. Il supporto nutrizionale dovrebbe essere
iniziato, idealmente per via enterale.
Colloidi (5% di albumina in Ringer lattato)
0-30% superficie corporea ustionata: 30-50% superficie corporea ustionata: 0.3 ml/Kg/%ustione/24h
50-70% superficie corporea ustionata: 0.4 ml/Kg/%ustione/24h
70-100% superficie corporea ustionata: 0.5 ml/Kg/%ustione/24h
TERAPIA TOPICA NELLE PRIME ORE
Una volta completate le manovre rianimatorie, tutta l’attenzione va concentrata sulla terapia topica delle aree
ustionate.
Tutti i frammenti di vestiti, di cute, di corpi estranei vanno rimossi con l’ accortezza di non contaminare
ulteriormente la zona. Si raccomanda la massima scrupolosità nel rimuovere ogni traccia di materiale necrotico e
di combustione procedendo con manovre di sfregamento con garze imbevute di fisiologica. Le aree ustionate
andranno poi deterse, a partire dalla seconda giornata, con una soluzione di Iodio povidone 7,5% non saponoso
diluito con fisiologica al 50%.
Nel caso di presenza di flittene (bolle) non voi sono protocolli univoci: possono essere trattate aprendone il tetto
quando sono sporche o parzialmente interrotte o in sedi particolari (palmo della mano e pianta dei piedi); le
bolle di pochi centimetri di diametro possono essere lasciate intatte. In ogni caso la rottura delle flittene va
effettuato in maniera sterile servendosi di pinza e forbici. Le bolle delle mani e dei piedi possono anche essere
aspirate con siringa sterile.
Anche dopo la detersione, rimosso tutto l’ eventuale ulteriore materiale necrotico residuo, è consigliabile una
nuova ispezione per permettere una più accurata determinazione del grado di ustione. Inoltre è consigliabile una
rasatura dei peli includendovi anche i peli delle aree sane viciniori. Indispensabile risulta la completa rasatura dei
capelli nel caso del coinvolgimento del viso o addirittura quando è coinvolta l’ intera testa.
Riguardo al trattamento topico da effettuare il consiglio è quello di non apporre nessun tipo di medicamento sulle
aree ustionate, nemmeno pomate antibiotiche, in quanto nei primi 3 giorni l’ escara è sterile. Vi sono 2
possibilità di trattamento: il metodo chiuso e quello aperto.
Il metodo chiuso prevede l’ applicazione, dopo un’ accurata detersione, di una medicazione con garza grassa
(Jelonet, Non Ad), garza asciutta e benda. Ciò è auspicabile soprattutto per la funzione barriera che la
medicazione interpreta, sia per il paziente che per il personale sanitario.
Il metodo aperto, detto in esposizione, si può effettuare ponendo il paziente su un letto fluidizzato (Clinitron)
preparato con un lenzuolo sterile. Grazie all’ aria calda e secca che circola tra le microsfere calco-sodiche ad una
temperatura tra i 35° e i 37°C si crea un microambiente pulito e secco che permette ai liquidi di essere assorbiti
ed allontanati dalla miscela aria-microsfere, riducendo così i rischi di infezione e macerazione; inoltre questo
tipo di letto permette anche una migliore perfusione tessutale.
Il volto va sempre tenuto in esposizione, senza alcun tipo di medicazione. Per quanto riguarda le mani interessate
da ustioni, si raccomanda di medicarle isolando scrupolosamente ogni dito dall’ altro, utilizzando la garza grassa
e le garzine sterili, cercando di isolare anche gli spazi interdigitali onde evitare possibili sinechie cicatriziali.
L’ escarotomia è un primo presidio indispensabile per le ustioni di 3° grado circonferenziali che interessano gli
arti e il torace. Prima si effettua e minori saranno i danni ischemici che possono derivare.
Questa manovra si rende necessaria dal momento in cui l’ iniziale edema tessutale trova come ostacolo lo strato
duro ed inestensibile dell’ escara; l’ iperpressione che si verifica è simile a quella della sindrome muscolare
compartimentale. Va effettuata quando la pressione compartimentale supera i 40 mmHg generalmente in
assenza, all’ esame Doppler, dei polsi nelle maggiori arterie distali o all’ arcata palmare o plantare. Si pratica
inoltre nelle prime 24/48 ore in quanto il flusso transcapillare dei liquidi è graduale: è rara un’ azione nell’
immediato.
L’ edema interstiziale comporta un’ occlusione del lume a bassa pressione venulare risultando in una ostruzione
del ritorno venoso; a volte l’ aumento della pressione interstiziale può portare ad una ostruzione del lume
capillare arterioso con conseguente ischemia. Nelle ustioni che riguardano il torace e l’ addome la costrizione
può determinare una ridotta compliance polmonare con conseguenti complicanze respiratorie.
Quando c’è il sospetto di una sindrome compartimentale, oltre a consultare il C.U. di riferimento, è possibile
valutare il flusso ematico distale con metodi non invasivi: la pletismografia e il pulseossimetro. Rimane valida la
scelta di effettuare un’ escarotomia profilattica in evidenti lesioni a tutto spessore circonferenziali. Infatti anche
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la presenza di polsi periferici all’ esame doppler non indica necessariamente l’ adeguata perfusione delle
strutture sottostanti (nervi e muscoli).
L’escarotomia di solito si pratica senza alcuna anestesia,se il paziente non è intubato, in quanto si incide l’ escara
a tutto spessore dove i nervi sono coagulati e non veicolano più alcun tipo di sensibilità dolorifica.
Spesso sono necessarie 2 o più incisioni, lateralmente, medialmente e longitudinalmente agli arti, compresi le
mani e i piedi,facendo attenzione a non approfondarsi oltre lo strato adiposo per non esporre tendini, arterie o
fasce. Incisioni sulle dita delle mani e dei piedi possono essere necessarie quando vengono coinvolte in toto.
Le incisioni si possono effettuare con un bisturi del 20.
Riguardo al torace analoghe incisioni vanno poste lateralmente ed eventualmente sulla superficie anteriore.
Spesso l’ ipertensione venosa comporta un rischio di sanguinamento. È quindi consigliabile porre gli arti in
posizione di scarico per circa 5 minuti; se questo non basta sarà indispensabile procedere alla legatura dei vasi o
ad apposizione di Spongostan e bendaggio compressivo.
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GESTIONE DEL PAZIENTE CON PATOLOGIE DA CALORE
(a cura di: Dott.ssa S.Vecchio, Dott. G. Crescenzi)
Negli ultimi anni le temperature ambientali massime estive in molte città Italiane ed Europee si sono mantenute
al di sopra dei 30 gradi e l’alta umidità ha aumentato la percezione di calore e quindi la sofferenza della
popolazione. Studi successivi all’ondata di calore hanno rilevato un forte aumento della mortalità nei mesi di
giugno, luglio e agosto 2003 rispetto agli stessi mesi del 2002. Si è trattato soprattutto di cittadini anziani, il 92%
dei quali sopra i 75 anni.
Condizioni ambientali determinanti perché si verifichino le patologie da calore sono:
temperatura esterna elevata;
aumento dell’umidità relativa (che ostacola l’evaporazione del sudore e quindi la dispersione del calore);
ventilazione assente o ridotta (soprattutto se viene svolta attività fisica intensa).
L’Istituto Superiore della Sanità indica, come soggetto particolarmente a rischio per le patologie da calore, una
persona anziana, di basso livello socio-economico, con preesistenti malattie e che quindi assume farmaci, che
vive sola, in un appartamento piccolo, ai piani alti e senza condizionamento d’aria.
PATOLOGIE DA CALORE
Edema da calore
Stress/affaticamento da calore
Crampi da calore
Sincope da calore
Esaurimento da calore
Colpo di calore
EDEMA DA CALORE
Presentazione clinica
Tumefazione nelle parti declivi dovuta a vasodilatazione e trasudazione di liquidi nello spazio interstiziale.
Insorge frequentemente in persone con malattie del microcircolo.
Primi Provvedimenti
Evitare ulteriori esposizioni ambientali a rischio;
Favorire il ritorno venoso con posizionamento anti-declive ed eventualmente consigliare ciclo di massaggi
linfodrenanti;
Consigliare passeggiate nelle ore più fresche.
STRESS/AFFATICAMENTO DA CALORE
Presentazione clinica
Sia lo stress che l’affaticamento da calore sono sindromi dovute alla semplice esposizione di soggetti non
acclimatati ad elevate temperature, soprattutto se esposti ad attività lavorativa “obbligata” e con indumenti
protettivi ad azione isolante.
I sintomi sono vaghi e vanno dal semplice disagio all’affaticamento precoce, fino a manifestazioni neurologiche
sfumate, come la riduzione delle capacità senso-motorie, mentali e di vigilanza.
Primi Provvedimenti
• Portare il paziente in ambiente fresco e ventilato;
• Rimuovere indumenti sintetici, scuri e pesanti;
• Reintegrazione con liquidi e sali.
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CRAMPI DA CALORE
Presentazione clinica
I crampi da calore sono contrazioni muscolari dolorose che si presentano in genere agli arti inferiori (polpacci) e
ai muscoli addominali. Si manifestano dopo intensa attività fisica svolta a temperature elevate. Sono dovuti a
deplezione di sodio, per insufficiente reintegro, oppure ad eccessivo apporto di acqua (associata ad iponatriemia
da diluizione). Possono insorgere a distanza di ore o giorni, quando le perdite di Na+ sono lente e continuative.
Segni e sintomi
• Contrattura del muscolo interessato;
• Cute calda e sudata;
• Temperature corporea normale o solo lievemente aumentata;
• Possibile associazione con vertigini/senso di svenimento;
• Possibile tachicardia.
Primi Provvedimenti
• Portare il paziente in ambiente fresco e ventilato;
• Rimuovere indumenti sintetici, scuri e pesanti;
• Apportare liquidi con adeguato contenuto di sali.
N.B. Massaggiare il muscolo non allevia il dolore e non risolve il problema
SINCOPE DA CALORE
Presentazione clinica
La sincope da calore si manifesta con perdita di coscienza da ipotensione secondaria a vasodilatazione. In alcuni
casi un’ipovolemia da precedente perdita di sali con il sudore è concausa. Generalmente si manifesta in soggetti
non acclimatati, soprattutto di fronte a brusche variazioni di temperatura (ad esempio, all’uscita di supermercati,
cinema o altri ambienti climatizzati).
Segni e sintomi
Ipotensione (soprattutto posturale),
Tachicardia
Vertigini e/o perdita di coscienza transitoria
Visione offuscata, nausea
Temperatura centrale normale
Cute calda e sudata
Primi Provvedimenti
• Portare il paziente in ambiente fresco e ventilato;
• Posizionamento supino;
• Rimuovere indumenti sintetici, scuri o pesanti;
• Apportare liquidi con adeguato contenuto di sali;
• Favorire la dispersione di calore con asciugamani bagnati o impacchi di ghiaccio (inguine, ascelle).
ESAURIMENTO DA CALORE
Presentazione clinica
Condizione clinica “critica”, con ampio spettro di sintomi che vanno dalla deplezione oligo-asintomatica di
volume ad importanti sindromi ipoperfusive (v. sintomi cerebrali). E’ dovuto a perdita di acqua e soprattutto sali
con il sudore. Avviene soprattutto in persone non acclimatate e in soggetti a rischio, specialmente bambini ed
anziani. La temperatura corporea (rettale) è aumentata, in genere non oltre 40° C.
L’esaurimento da calore può rapidamente evolvere verso la più severa sindrome da colpo di calore. Non sempre
il soggetto con esaurimento da calore e’ disidratato perché ha bevuto. Eccessivi apporti di acqua senza
integrazione di sali possono provocare iponatriemia da diluizione e favorire un’encefalopatia secondaria (v.
problemi di diagnosi differenziale con il colpo di calore).
Segni e sintomi
• Sete intensa;
• Cefalea, malessere, affaticabilità;
• Nausea/vomito;
• Ipotensione sintomatica (capogiri, sincope); tachicardia e tachipnea;
• Segni di disidratazione (mucose aride, cute anelastica, oliguria), con cute spesso sudata;
• Alterazioni comportamentali quali stato confusionale, difficoltà alla concentrazione ed al coordinamento
motorio, ottundimento, irritabilità.
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Primi Provvedimenti
• Spostare il paziente in ambiente fresco e ventilato;
• Favorire la dispersione di calore con impacchi di acqua NON FREDDA sulla nuca, all’inguine e sotto le
ascelle.
COLPO DI CALORE
Presentazione clinica
Severa sindrome caratterizzata da ipertemia critica centrale (>40 °C), cute calda-asciutta ed alterazioni del
sistema nervoso centrale (delirio, convulsioni e coma). Insorge dopo esposizione ambientale ad elevate
temperature (colpo di calore classico) o dopo esercizio fisico intenso (colpo di calore da esercizio). Dal punto di
vista patogenetico, il colpo di calore è definibile come una forma di ipertermia associata a risposta infiammatoria
sistemica, da cui deriva una sindrome disfunzionale multiorganica ove predomina l’encefalopatia (N Engl J Med
2002).
1. Sistema nervoso Confusione, delirio
centrale
Atassia
Convulsioni
Coma
2.
Apparato Aritmie (alterazioni elettrolitiche)
cardiovascolare
Scompenso cardiaco acuto
Ipotensione e shock
3. Rene
Insufficienza renale acuta oligo-anurica, da ipovolemia/mioglobinuria
4. Sangue e tessuti
Leucocitosi
Liberazione dei mediatori dell’infiammazione, NO, radicali liberi
Attivazione piastrinica con consumo dei fattori della coagulazione (DIC)
5. Intestino
Aumento della permeabilità intestinale su base ischemica (passaggio in circolo di
endotossina, germi).
N.B. Il colpo di calore è assimilabile allo shock settico
6.
Apparato Rabdomiolisi (mioglobinemia ed aumento CPK quasi costanti)
muscolare
Segni e sintomi
• Sintomatologia neurologica sempre presente;
• Temperatura rettale oltre 40° C;
• Cute calda (fredda se shock), assenza di sudorazione;
• Possibile porpora (DIC);
• Ipotensione (talora ipertensione);
• Tachicardia;
• Tachipnea: può comparire il respiro di Cheyne-Stokes;
• Oligo-anuria, con pigmenturia (v. rabdomiolisi).
Primi Provvedimenti
• ABC (garantire la pervietà delle vie aeree, il respiro ed il circolo);
• Spostare SUBITO il paziente in ambiente fresco e ventilato;
• Favorire SUBITO le manovre di raffreddamento mediante dispersione di calore:
spogliare il soggetto
umidificare la cute con regolarità (spruzzatori), con acqua non fredda
ventilare la cute in modo continuativo con ventilatori
se non in shock, applicare impacchi di ghiaccio (nuca, inguine e ascelle)
• Iniziare da SUBITO infusione venosa con liquidi raffreddati;
• Monitorare da SUBITO la temperatura rettale;
• Non somministrare antipiretici.
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FATTORI DI RISCHIO PER LE PATOLOGIE DA CALORE
Esposizione a bruschi e prolungati aumenti della temperatura ambientale in soggetti non
Ambientali
acclimatati
Ridotto gradiente notte/giorno della temperatura, associato ad alto tasso di umidità e scarsa
ventilazione
Abitare in centri urbani affollati e inquinati
Abitare ai piani alti
Abitare da soli
Stazionare in ambienti caldi e sovraffollati (“effetto pinguino”)
Stazionare in auto o locali chiusi esposti al sole
Non utilizzare di impianti di condizionamento/climatizzazione
Indossare abiti sintetici, scuri e aderenti
Fisiologici
Neonati e bambini < 2-3 anni
Immaturità dei centri termoregolatori ipotalamici
Immaturità anatomica e funzionale delle ghiandole sudoripare
Minore volume extracellulare
Facilità alla disidratazione (superficie/massa). N.B. La disidratazione favorisce l’aumento
della temperatura corporea
Il fenomeno della evaporazione è più tardivo
Impossibilità a raggiungere autonomamente i liquidi
Incapacità di dire “HO SETE”
Bambini
Tendono a produrre maggiori quantità di calore per ognilivello di attività
Caldo o non caldo, i bambini vogliono SEMPRE giocare
Non aumentano consciamente l’apporto idrico
Anziani
Ridotta capacità di disperdere calore per invecchiamento del sistema cardiovascolare
(scarsa risposta vasodilatante al calore, ridotta gettata cardiaca e quindi minore apporto di
sangue alla cute)
Spesso affetti da pluripatologie che riducono le capacità di termo-dispersione (v. sotto)
Uso frequente di farmaci potenzialmente interferenti sui meccanismi di dispersione del
calore
Innalzamento della soglia osmotica della sete (N.B. L’anziano non beve)
Spesso soli nei periodi estivi: l’anziano solo tende a trascurare l’alimentazione e le terapie
Gli anziani non “gradiscono” le correnti d’aria, i ventilatori e men che meno i
condizionatori; non sono abituati ad accedere a locali con climatizzazione, come
supermercati, cinema, etc.
Patologie
acute
Patologie
croniche
Attività fisica intensa in ambiente caldo e umido (N.B. L’esercizio fisico è pericoloso anche
per soggetti allenati
1. Patologie che determinino un aumento della produzione endogena di calore: stati
ipermetabolici (tireotossicosi, feocromocitoma, sepsi), iperpiressie, infezioni
2. Patologie comportanti uno stato di disidratazione: gastroenteriti con vomito e/o diarrea,
chetoacidosi, stati ipercalcemici acuti (crisi iperparatiroidee), diabete insipido posttraumatico, prolungata esposizione al sole o ad elevate temperature (ambienti di lavoro a
rischio, come nei lavori stradali, ai forni, nelle fonderie, etc)
3. Patologie acute endocraniche interessanti i centri termoregolatori (traumi cranici,
neoplasie, patologie emorragiche e ischemiche)
1. Malattie cardiocircolatorie
Una gettata cardiaca compromessa limita l’efficace dispersione di calore
L’aumento del lavoro cardiaco che segue alla vasodilatazione cutanea (risposta fisiologica
al calore), può essere scarsamente tollerato e può indurre scompenso acuto
Patologie aterosclerotica periferica (minore efficacia nella dispersione di calore)
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2. Nefropatie
La condizione di isostenuria e di ipostenuria determinano perdite “obbligate” di acqua e sali
Alcune nefropatie tubulo-interstiziali comportano perdite rilevanti soprattutto di elettroliti
(nefropatie con perdita di sali)
3. BPCO
Suscettibilità alle infezioni febbrili
Aumento della “perspiratio insensibilis” (perdita di acqua) legata alla iperventilazione su
base ipossica
4. Diabete mellito scompensato: vi è tendenza alla perdita di liquidi (aggravamento delle
perdite idriche ed dell’iperosmolarità connesse al caldo)
5. Diabete insipido: perdita renale di acqua
6. Ipertiroidismo: aumenta produzione endogena di calore
7. Obesità: isolamento dovuto al grasso, aumentata produzione di calore con minore
efficienza della termodispersione (diminuito rapporto superficie/massa, numero di
ghiandole sudoripare ridotto rispetto alla superficie); le persone obese hanno spesso fattori
di rischio associati quali diabete, ipertensione ed insufficienza cardiaca
8. Disordini dell’alimentazione (anoressia nervosa): insufficiente apporto alimentare (v.
acqua degli alimenti); assunzione di diuretici, purganti, farmaci ad azione ipermetabolica
9. Fibrosi Cistica: maggiore perdita di sali con il sudore
Comportamenti
incongrui
10. Malattie psichiatriche:
Assunzione di farmaci che interferiscono con la termoregolazione
Insonnia e deprivazione di sonno riducono l’apporto ematico alla cute
Farmaci o droghe
1. Alcool: ha elevato potere calorico, vasodilata e provoca disidratazione (inibizione ADH,
vomito)
2. Farmaci ad azione anticolinergica (agiscono a livello centrale e sulla sudorazione):
Antistaminici, Anticolinergici, IMAO, Fenotiazine, Litio, Antidepressivi triciclici
Farmaci ad azione anti-dopaminergica (Sospensione anti-parkinsoniani, Metoclopramide,
Domperidone, Butirofenoni (aloperidolo), Fenotiazine, Tioxanteni (tiotixene),
Dibenzoxapine (loxapina), Fluoro-oxipropalamine (fluoxetina), Dibenzodiazepine
tricicliche (clozapina),
Farmaci ad azione serotoninegica (Antidepressivi triciclici, IMAO, Destrometorfano,
Meperidina, Citolopram, Fluoxetina, Fluvoxamina, Paroxetina, Sertralina)
5. Agenti “eccitanti” (ipermetabolismo): Cocaina, Amfetamine, Ecstasy, Fenciclidina, LSD
ed altri allucinogeni
6. Diuretici (determinano disidratazione e ipovolemia)
7. Beta-bloccanti (riducono l’adattamento cardiocircolatorio al calore)
8. Simpaticomimetici (interferiscono con la risposta vasodilatante al
calore)
N.B. Molti psicofarmaci hanno effetti multipli sulla termoregolazione. Gli psicofarmaci
interferiscono sulla termoregolazione anche a dosaggi terapeutici
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BIBLIOGRAFIA
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PERCORSO INTEGRATO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO DEL
PAZIENTE AFFETTO DA ICTUS NEL POLICLINICO SAN MATTEO
(a cura di: Dott. F. Falaschi, Dott.ssa A. Martignoni)
PREMESSA
L’ictus rappresenta nei paesi occidentali la prima causa di invalidità permanente e la terza causa di morte, con
una forte ricaduta in termini di costi sanitari e sociali.
In base all’incidenza stimata della malattia in Italia, pari circa a 2.1 – 2.5 per 1000 abitanti, si attendono a Pavia
circa 200 nuovi casi/anno e circa altri 1000 casi nella provincia.
Nel 2001 si sono presentati 588 pazienti al Pronto Soccorso Accettazione del Policlinico, con diagnosi di pronto
soccorso di malattia cerebrovascolare acuta (ICD9 CM 43-.-); nello stesso anno sono stati dimessi dal Policlinico
San Matteo 279 pazienti con diagnosi di malattia cerebrovascolare acuta(DRG 14), escluso TIA (DRG 15),
nell’anno 2001 e 291nell’anno 2002 (di cui 100 per il primo anno nell’UO di Medicina Interna Vascolare e
Metabolica e nel 2002 solo 88 pazienti (anno in cui l’UO ha subito una decurtazione di 10 posti letto), il restante
è stato distribuito piuttosto uniformemente tra gli altri reparti internistici ed il reparto 3001 (NCH).
Fino ad un decennio fa il trattamento dell’ictus era esclusivamente rivolto alla cura dei fattori di rischio e alla
prevenzione secondaria, con un atteggiamento caratterizzato da una scarsa propensione all’intervento.
Grazie al progredire di tecniche diagnostiche, ai successi dimostrati in Unità di Cura specificamente dedicate ed
all’uso di terapie di ricanalizzazione, negli ultimi anni l’ictus è diventato un’urgenza medica e si è dimostrato
che il suo esito dipende dalla precocità della diagnosi e dall’affidamento della cura ad un gruppo dedicato
multidisciplinare. Ci si è pertanto resi conto della necessità di reimpostare le priorità nella catena dell’assistenza
dell’ictus, come è attualmente già ben consolidato per i traumi maggiori o per l’infarto del miocardio.
Un altro punto critico della cura dell’ictus è costituito dalla percentuale ancora molto elevata di ictus a
patogenesi non identificata, il che sicuramente impedisce l’ottimale trattamento di una larga parte di pazienti e
rivela l’atteggiamento fatalistico ancora largamente diffuso nella classe medica. Nel 2001 la percentuale di ictus
a patogenesi indeterminata nella Clinica di Medicina Interna Malattie Vascolari e Metaboliche è stata infatti del
40% (dati in via di pubblicazione), in linea con i dati ancora riportati in letteratura, ma ora non più accettabili se
si prendono a modello standard di cura avanzati tra cui uno studio tedesco in cui l’eziopatogenesi indeterminata è
limitata solo al 23% dei casi(Stroke 2001; 32: 2559-2566).
Sulla base di questi dati e delle prove scientifiche degli ultimi anni, alcune Unità Operative del Policlinico
cercavano di migliorare il livello di cura di tale patologia, dotandosi di linee guida interne e cercando di
divulgarle.
Mancava tuttavia un indispensabile coordinamento per organizzare il percorso e le cure integrando tutte le tappe
del percorso, dal livello preospedaliero territoriale, con quello ospedaliero (con l’identificazione al suo interno di
un’area specificamente dedicata) a quello riabilitativo intraospealiero e post-ospedaliero.
Per questo motivo la Direzione Sanitaria ha promosso, su sollecitazione del Ministero della Salute, la
costituzione di un “gruppo ictus” multidisciplinare per organizzare il percorso diagnostico- terapeutico del
paziente con malattia cerebrovascolare acuta.
Lo scopo ultimo di questo sforzo è di portare, nel rispetto della consolidata documentazione scientifica, il
trattamento del paziente con malattia cerebrovascolare acuto ad uno standard di cura avanzato e di dotarsi degli
strumenti necessari per sperimentazioni controllate nel campo delle lesioni cerebrovascolari acute.
COSTITUZIONE E COORDINAMENTO DI UN GRUPPO MULTIDISCLIPINARE
COMPOSIZIONE E SCOPO DEL GRUPPO ICTUS
Il Gruppo Ictus è costituito da personale competente e motivato alla cura dei pazienti con ictus. Comprende
medici ed infermieri con specifiche competenze maturate sul campo o frutto di una formazione mirata, ed è
aperto ad accogliere anche personale interessato a maturare questo tipo di competenze.
Il Gruppo Ictus è costituito dall’aprile 2003 dai Responsabili e/o da collaboratori da Loro indicati alla Direzione
Sanitaria delle seguenti Unità Operative e Servizi:
ƒ Servizio di Soccorso Sanitario Urgenza Emergenza Territoriale 118
ƒ Pronto Soccorso Accettazione
ƒ Radiodiagnostica e Radiologia
ƒ Neurochirurgia
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Medicina Interna, Malattie Vascolari e Metaboliche
Rianimazione I e II
Chirurgia Vascolare
Fisiatria
Direzione Scientifica
Direzione Sanitaria
Il coordinamento del Gruppo è stato affidato dalla Direzione Sanitaria alla Medicina Interna Malattie Vascolari e
Metaboliche, individuata come sede dell’Area Ictus Dedicata (AID).
Lo scopo del Gruppo Ictus è organizzare la miglior cura possibile dei pazienti con ictus nella specifica realtà
dell’Ospedale. Questo scopo si realizza attraverso i seguenti strumenti:
Stesura dell’iter diagnostico terapeutico attraverso elaborazione di procedure discusse, condivise e
periodicamente revisionate, inerenti i vari aspetti della gestione e della cura del paziente con ictus
Ove possibile le procedure saranno stilate secondo la struttura della documentazione di certificazione, per poter
esplicitare i compiti e le responsabilità di ciascuno
Attivazione di un sistema di reperibilità specialistiche con urgenza differenziabile, secondo il tipo di urgenza
richiesta per la specifica competenza
Riunioni periodiche a frequenza circa mensile da dedicare alla costruzione dei criteri di lavoro ed alla
composizione dei problemi emergenti
Aggiornamenti informativi e formativi periodici per il personale coinvolto nella cura dei pazienti con ictus
Coinvolgimento attivo dei familiari e/o dei delegati all’accudire il paziente. É auspicabile che ciascuna unità
operativa realizzi un calendario di incontri interni con il personale della propria equipe, prevedendo, almeno in
alcuni momenti, anche la partecipazione dei familiari, coinvolgimento che è stato dimostrato migliorare
sensibilmente l’outcome della malattia.
Costruzione e gestione di un data base ospedaliero dei pazienti con ictus, già in parte realizzato dal Servizio di
Pronto Soccorso Accettazione, che potrebbe costituire la prima bozza per un Registro Ospedaliero dell’Ictus
nell’OSM.
Il documento finale, firmato dai componenti del gruppo e dai Direttori delle diverse UO, sarà sottoposto al vaglio
della Direzione Sanitaria e Scientifica ed al Comitato Etico per le parti di competenza.
RIUNIONI PERIODICHE
Le riunioni, con cadenza all’incirca quindicinale o mensile, sono indette dal coordinatore in accordo con gli altri
componenti del gruppo.
Le riunioni periodiche, le prime delle quali sono state dedicate alla costituzione del sistema che si prevede
portato a compimento entro l’ottobre 2003; le successive riunioni del gruppo ictus al suo completo dovrebbero
essere dedicate all’analisi ed alla relazione dell’attività effettuata, con segnalazione e discussione dei problemi
incontrati nell’applicazione delle procedure adottate, con proposte di ipotesi di miglioramento. saranno dedicate
all’analisi dei casi clinici emblematici o problematici nell’ottica del miglioramento della qualità della cura.
Le decisioni inerenti l’adozione o la modifica delle linee guida saranno prese con il consenso della maggioranza
del gruppo, secondo la metodologia della Direzione Scientifica, cui spetta il compito della verifica e revisione
continua di qualità, attraverso l’adozione di indicatori specifici.
Le decisioni che coinvolgono l’organizzazione generale dell’Ospedale saranno sottoposte alla Direzione
Sanitaria per l’approvazione e la verifica di fattibilità.
Almeno annualmente il Gruppo Ictus effettua una Riunione di Riesame, nel corso della quale sono esaminati i
dati dell’attività del gruppo e dell’attività di cura dei pazienti con ictus all’interno dell’Ospedale e sono tracciati
gli indirizzi operativi, gli indicatori e gli standard per l’anno successivo.
FORMAZIONE CONTINUA
I membri del gruppo propongono occasioni di formazione per le varie figure professionali coinvolte nella cura
dell’ictus.
Il gruppo si fa carico di creare occasioni di diffusione e condivisione con tutti del patrimonio culturale acquisito.
Il gruppo inoltre promuove iniziative di aggiornamento e seminari di studio rivolti al personale interessato
all’interno del Policlinico e progetti di ricerca finalizzati al miglioramento della gestione e della cura dell’ictus
anche in collaborazione con altri Enti coinvolti nel progetto dell’Alleanza contro le lesioni cerebrali (es
Fondazione Maugeri e Istituto neurologico Mondino).
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LINEE GUIDA NELLA FASE PREOSPEDALIERA
Il paziente che sul territorio manifesta sintomi di sospetta sindrome cerebrovascolare acuta va avviato nel minor
tempo possibile, al servizio di Pronto Soccorso Accettazione.
L’obiettivo di contenimento dei tempi di gestione-processo va raggiunto agendo su più fronti ed evitando
contemporaneamente un eccesso di indiscriminata attivazione del Pronto Soccorso.
Quest'obiettivo si raggiunge con la cooperazione di tutte le parti coinvolte nel trattamento acuto dell’ictus:
servizio 118, servizio di guardia medica, medici di base, servizio di PS-Accettazione.
I punti salienti della procedura Codice Giallo Ictus, prodotta e concordata dagli incaricati del Servizio di Pronto
Soccorso Accettazione (PSA) e del Servizio di Soccorso Sanitario Emergenza ed Urgenza 118:
1) assegnazione di un codice di priorità al paziente probabilmente affetto da patologia cerebrovascolare acuta
(Attivazione Codice Giallo Ictus)
2) miglioramento dell’accuratezza diagnostica con l’utilizzo di scale già applicate dal triage telefonico del 118
3) inizio della selezione a domicilio dei pazienti potenzialmente eleggibili per la terapia trombolitica
4) trasporto più rapido possibile al PS con preavviso telefonico
La procedura Codice Giallo Ictus, presente in appendice, è parte integrante del presente documento.
LINEE GUIDA NELLA FASE INTRAOSPEDALIERA
IN PRONTO SOCCORSO ACCETTAZIONE
I pazienti con sospetto ictus che arrivano in PSA tramite 118, o con mezzi propri proseguono il loro iter
completando la procedura Codice Giallo Ictus le cui registrazioni vanno a costituire la banca dati ospedaliera
dell’ictus, gestita ed aggiornata dai medici del Pronto Socccorso, che costituirà la matrice del registro
ospedaliero dell’ictus. Particolare attenzione verrà chiesta a tutto il personale del PS nell’annotare, scorporando
le varie tappe, tutti i tempi procedurali specificati nella procedura e sulla modulistica (Modello Codice Giallo
Ictus PSA).
Con i dati sarà possibile un resoconto periodico statistico ed il monitoraggio degli indicatori identificati dai
componenti del gruppo ictus della Direzione Scientifica, per il miglioramento continuo. Il paziente accede alla
sala Urgenza (l’obiettivo tempo triage-visita <10’), secondo le modalità specificate nella Procedura Codice
Giallo Ictus.
In ogni caso valgono le seguenti norme generali, applicabili in, qualsiasi punto ed a qualsiasi tappa della presa in
carico del paziente:
Controllo dei parametri vitali (secondo protocollo crisi ipertensiva) e preparazione di una linea venosa, se non
già predisposta dal 118.
Somministrazione di 02 via naso cannula a tutti i pazienti in modo da mantenere la pulsiossimetria >95%
Controllo della temperatura corporea e somministrazione di tachipirina 500 mg supposte, se TC>37.5°C.
La TC è richiesto immediatamente e se possibile il medico di guardia della radiologia viene preavvisato con
anticipo secondo le modalità della procedura Codice Giallo Ictus, e comunque alla conferma clinica di diagnosi
di ictus ischemico acuto.
In ogni caso va specificato nelle richiesta il lato ed il tipo di deficit neurologico riscontrato; va registrato il tempo
di esecuzione (obiettivo tempo triage- refertazione TC: 25’).
Il referto TC dovrà escludere o diagnosticare se vi è l’emorragia intracranica, e segnalre i casi dubbi; è
auspicabile che siano evidenziati i segni precoci d’occlusione di arteria cerebrale media, la presenza di edema
precoce e l’estensione dell’area ischemica in rapporto al territorio della cerebrale media (sottoporre a
neuroradiologo se ritiene opportuna l’adozione di uno score tipo studio ASPECTS –Lancet 2000 355:167074. o l’utilizzo di altre metodiche radiologiche avanzate RMN diffusion/perfusion o altro ed in che tempi mi
permetto di segnalare una bella review su Stroke 2003; 34: 1084-1104). Per minimizzare la probabilità di
infarcimento
emorragico
legato
alla
terapia
trombolitica
si
propone
di
considerare
l’impostazione/applicazione di un modello probabilistico che utilizzi uno score combinato tra criteri
ASPECTS radiologici (<7), NHISS(<15) età compresa tra 18 e 75 anni e l’assenza di glicemia <200mg%,
(tutti parametri risultati correlati a più probabile evoluzione emorragica). Altri criteti radiologici sono
reperibili su SPREAD (www spread.it). Questa parte è ancora al vaglio dei rappresentanti del gruppo ictus
della radiodiagnostica e della radiologia centrake )
Il paziente viene sottoposto ad ECG, Rx torace e prelievi ematochimici (emocromo, coagulazione completa,
glicemia, funzionalità renale ed epatica ed elettroliti).
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Se il risultato della TC evidenzia un’emorragia subaracnoidea (ESA), un ematoma intracerebrale (EIC), o
intraventricolare (EIV) o un’emorragia subdurale si richiede la consulenza urgente del Neurochirurgo ed
eventualmente del Rianimatore e si fa riferimento alla linea guida Emorragia Intracranica (In via di elaborazione
da parte dei componenti del gruppo ictus della neurochirurgia).
Se la TC non evidenzia emorragia, ma sussiste un forte sospetto clinico di emorragia subaracnoidea va
considerata, d’accordo con il neurochirurgo, la necessità di effettuare rachicentesi.
Se TC encefalo è negativa e non vi è sospetto clinico di emorragia subaracnoidea (cefalea intensa, rigor), il
paziente presenta un punteggio NIHSS compreso tra 6 e 24, il medico del PS passa in rassegna tutti gli altri
criteri di esclusione clinici e TC per verificare l’eleggibilità alla terapia trombolitica, secondo le modalità
descritte nella Procedura Trombolisi Ictus Ischemico Acuto. Gli esiti finali della procedura soni i seguenti:
Se si accertano criteri di esclusione il paziente viene ricoverato direttamente nell’Area Ictus Dedicata, previa
verifica telefonica del posto letto
Il paziente viene trasferito secondo le procedure già codificate nel Pronto Soccorso Accettazione; prima del
trasferimento se non vi sono controindicazioni viene somministrato Acido Acetilsalicilico 100 mg ev oppure
ASA per os (160-325mg), riportando tale terapia sul verbale di trasferimento interno ed annotando il tempo di
questa procedura.
Se il paziente è eleggibile per la trombolisi si attiva la Procedura Trombolisi nell’Ictus Ischemico Acuto,
anch’essa pare integrante del documento, riportata in appendice.
LINEE GUIDA GENERALI RIGUARDO LA TROMBOLISI NELL’ICTUS ISCHEMICO
La Procedura Trombolisi nell’ictus Ischemico Acuto definisce i passaggi procedurali e le responsabilità delle
persone coinvolte nella cura del paziente con ictus eleggibile per la trombolisi.
Se ne richiamano gli aspetti generali:
Il Medico del PSA richiede l’esecuzione di ecoTSA urgente, attraverso l’attivazione del medico di guardia della
Chirurgia Vascolare o dell’ambulatorio di ultrasonografia della Medicina Interna, Malattie vascolari e
Metaboliche, per escludere la dissezione carotidea o l’occlusione della carotide interna omolaterale alla lesione
ischemica, entrambe evenienze che controindicano l’ececuzione della trombolisi. In entrambe queste evenienze
il paziente esce dal Protocollo trombolisi e viene gestito da linee guida interne e concordate tra Chirurgia
Vascolare Reparto Internistico ad impronta vascolare (il disciplinare è in via di redazione) Il chirurgo
vascolare, in caso di occlusione recente della carotide interna, valuterà l’opportunità di sottoporre il paziente ad
intervento di trombo-arterectomia d’urgenza. (In preparazione un protocollo sull’argomento da parte dei
componenti del gruppo ictus della chirurgia vascolare).
In caso di negatività dell’ecoDoppler TSA il paziente procede il suo iter verso l’ipotesi trombolisi e si attivano se
necessario le consulenze dei medici della Rianimazione e della AID.
Si sottolinea che è sempre importante annotare i tempi di esecuzione e refertazione riportati sulla procedura e la
modulistica Trombolisi nell’Ictus Ischemico Acuto.
Il Medico di PSA alla attivazione della Procedura Trombolisi contatta telefonicamente il collega della
Rianimazione e, se possibile, il Medico internista dell’area dedicata. Ed eventualmente altri specialisiti in
condizioni particolari (per es. neuroradiologo e/o neuroochirurgo in caso di sospetta ESA a TC negativa,
cardiologo in caso di sospetto cardioembolismo da trombo parietale su IMA subacuto).
Il Medico di PS e gli specialisti convocati rivalutano brevemente il caso ed esprimono il loro parere definitivo.
Uno dei Medici documenta sulla apposita modulistica (Modello Trombolisi nell’ictus ischemico) i dati richiesti
dal protocollo (scale neurologiche, criteri di esclusione).
Se necessario viene richiesto dai medici un ulteriore approfondimento diagnostico. Si evidenzia anche
l’opportunità che sia possibile inserire l’esecuzione di EcoDoppler transcranico
Tale ipotesi è inseribile nel programma di miglioramento per il prossimo anno.
Per esempio si valuterà anche la possibilità di eseguire un ecoDoppler transcranico in urgenza che consente di
porre la diagnosi di sede dell’ictus e permette di evidenziare le situazioni a maggior possibilità di esito
favorevole della trombolisi come l’occlusione della cerebrale media distale e i casi di ictus cardioembolici da
fibrillazione atriale.
L’utilizzo inoltre di mezzi di contrasto ecografico consentirà una diagnosi precoce di forame ovale pervio, la
presenza di occlusioni a tandem intracraniche e lo studio dei meccanismi di compenso intracranici.
Sarebbe auspicabile che l’ecotomografo fosse in PSA a disposizione dell’ecografista vascolare ed eventualmente
anche dal cardiologo, in tutti i casi in cui sia indicato l’ecocardiogramma d’urgenza.
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La decisione di proporre al paziente (o suo decisore sostitutivo) di effettuare o non effettuare la trombolisi viene
documentata in cartella dal medico di PSA o da uno degli altri specialisti convocati.
Al paziente, se è in condizioni di esprimere un consenso (od al decisore sostitutivo) viene formulata la proposta
terapeutica corredata da una scheda informativa ed un modello di consenso informato (attualmente in corso di
valutazione dal Medico Legale dott.ssa Riva, che sarà pi sottoposta per approvazione al Comitato Etico
dell’OSM, insieme a tutta la procedura trombolisi)
Se si perviene alla decisione di non effettuare la trombolisi o se il paziente (od il decisore sostitutivo) rifiuta tale
terapia, il paziente viene trasferito all’Area Medica Ictus Dedicata, secondo le normali procedure di PSA.
Se si perviene alla decisione di effettuare la trombolisi, previa ulteriore verifica dei parametri pressori (PA non
superiore a 185/110 mmHg), si impartisce l’ordine all’infermiere di PSA di preparare una infusione di 0.9 mg
/Kg di rt-PA in pompa di infusione (dose massima raggiungibile 90mg). Il 10% di questo farmaco verrà
somministrato in bolo in un minuto ed il restante preparato sarà infuso in 60 minuti.
Il paziente viene indirizzato al Reparto di Rianimazione 2 non appena sia disponibile il letto e sottoposto a
monitoraggio intensivo (come da protocollo trombolisi).
Nel frattempo e comunque durante l’infusione il paziente sarà monitorato ogni 15 minuti fino alla seconda ora,
tramite controllo pressorio ed esecuzione di NIHSS dopo due ore, successivamente misura PA ogni 30 minuti
fino all’ottava ora e poi ogni 60 minuti fino alla ventiquattresima ora.
Se in questo periodo di tempo si osserva peggioramento neurologico, grave cefalea, con nausea e vomito o
puntata ipertensiva si interrompe l’infusione in corso e si effettua TC encefalo.
In caso di emorragia viene prontamente richiesta consulenza neurochirurgica.
L’ipertensione arteriosa va trattata secondo le linee guida già citate (Linee guida Crisi Ipertensiva, capitolo
Trombolisi nell’ictus ischemico).
In caso di ictus ischemico del territorio vertebro-basilare, con sospetto quadro della trombosi della basilare,
condizione grave ad esito infausto, sarà proponibile come tentativo salvavita, la trombolisi intrarteriosa loco
regionale, sentite le indicazioni ed il parere del Neuroradiologo (Eventuale protocollo Nneuroradiologico per
eseguire la trombolisi locoregionale).
IN AREA INTERNISTICA ICTUS DEDICATA
L’accesso nell’area dedicata all’ictus del reparto di Medicina Interna, Malattie Vascolari e Metaboliche avviene
direttamente dal Pronto Soccorso per i pazienti:
non eleggibili per la terapia trombolitica
clinicamente stabili, che non necessitino di terapia intensiva.
che hanno subito la trombolisi dopo il periodo di osservazione concordato o dopo un tempo ritenuto congruo
in caso di complicanze intercorse che abbiano richiesto il trasferimento temporaneo in reparto di Rianimazione.
Uno dei principali fattori di limitazione all’accesso in area ictus dedicata è costituito dalla indisponibilità di
posto letto.
Per limitare questo problema è stata creata una stanza di emergenza all’interno dello stesso Reparto, non
computata nei posti letto della Clinica, utilizzabile solo ed esclusivamente per accogliere il paziente affetto da
ictus cerebri acuto, che verrà assistito dalla stessa équipe medico-infermieristica ed adeguatamente controllato
con monitor carrellabile, completo di tutte le attrezzature in dotazione delle stanze dedicate dell’area ictus.
Resta ancora da valutare se tre letti all’interno dell’Area Medica Ictus della UO debbano essere tenuti ad
esclusiva disposizione dei ricoveri urgenti per ictus e quindi esclusi dall’Accettazione ordinaria per altro
tipo di patologie.
Tutti i pazienti affetti da ictus acuto dovrebbero accedere all’Area Ictus Dedicata, con l’esclusione di coloro che
si ritiene non possano più avvantaggiarsi di un ricovero in un’unità a posti letto limitata e di media tecnologia.
Si considerano tra questi:
Pazienti con gravi comorbosità (demenza conclamata, Rankin scale prericovero >2, neoplasia avanzata),
Soggetti con gravi esiti invalidanti da precedenti ictus
Pazienti non autosufficienti o allettati per pregresse patologie
Questi pazienti verranno ricoverati dai colleghi del PS in un letto di tipo internistico a turno od a seconda della
disponibilità di posti letto dei reparti medici.
Nell’area ictus dedicata dovrebbero operare almeno quattro medici (eventualmente due medici strutturati,
interessati e dedicati ed un borsista già specialista in Medicina Interna, che abbia maturato specifiche
competenze) in modo da potersi alternare al bisogno.
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Il personale paramedico dovrebbe consistere di almeno quattro unità (due diplomati e due generici)
espressamente dedicati alla struttura, la cui attività possa integrarsi con quella del resto del personale
paramedico per i turni diurni e notturni.
Il paziente affetto da ictus cerebri che acceda all’area ictus dedicata sarà visitato in urgenza da uno dei medici
dedicati nelle ore diurne e nelle ore notturne dal medico di guardia della Clinica, con possibilità di reperibilità
telefonica del medico dedicato, secondo turni da stabilire. Tutte le procedure operative e le linee guida interne
per la cura delle comorbosità e delle complicanze saranno opportunamente diffuse tra medici e infermieri e
mantenute ben accessibili e consultabili da parte di tutti gli operatori sanitari.
Il paziente verrà valutato con utilizzo di scale neurologiche (Glasgow Coma Scale e NHISS) . Tale valutazione
andrà eseguita a cadenza di 6 ore.
In caso sia stato sottoposto a terapia trombolitica si seguirà la prosecuzione del protocollo trombolisi.
Il paziente sarà posto sotto controllo monitor (ECG, FC, PA ogni 2h, saturimetria in continuo, TC ogni 6 h) e
valutazione infermieristica secondo protocollo standardizzato (controllo pressorio ogni due ore, applicazione
della GCS ogni 6 ore se indicato, tabulazione dei dati).
Se non già fatto in PS verrà somministrato per os acido acetil-salicilico 320mg/die in unica somministrazione o
ev 100 mg /die, se allergia clopidogrel 75 mg x 2 o ticlopidina 250mgx2
L’antiaggregante e qualsiasi terapia anticoagulante saranno rinviati di almeno 24h in caso di avvenuta
trombolisi
La terapia eparinica verrà solo in casi selezionati, non di routine (stroke in evoluzione, cardioembolia con ictus
minor, ischemia basilare, dissezione carotidea)
Se paziente cosciente, saggiare la deglutizione con bolo di 50 ml di liquido e poi verrà sottoposto al protocollo
disfagia (allegato) ed il problema sarà segnalato alla visita fisiatrica con proposta di collaborazione specifica ed
istruzioni al personale infermieristico.
Se paziente fosse incosciente, il paizente verrà posto con il capo sollevato a 30° verrà iniziata idratazione con
apporto di almeno 1500-2000 ml di liquidi, prevalentemente cristalloidi. Verrà valutata anche la possibilità di
iniziare terapia antiedemigena
Inizio monitoraggio diuresi (possibilmente posizionamento di condom o catetere a permanenza, al comparire di
globo vescicale specie in paziente incociente)
Monitoraggio dell’evacuazioni
In caso di paziente febbrile (segno prognostico negativo) si inizierà rapidamente la ricerca di foci infettive che se
sospettate saranno trattate inizialmente in modo empirico e poi sulla scorta dell’esito dell’antibiogramma
L’omeostasi termica andrà comunque mantenuta con l’utilizzo di paracetamolo per os o per via rettale non al
bisogno ma a dosi fisse, per proteggere il neurone ischemico dall’insulto termico. Andrà anche valutata la
possibilità di raffreddamento con mezzi fisici, quali l’applicazione di borse del ghiaccio alla radice degli arti.
I cambiamenti di postura saranno effettuati ogni due ore dal personale infermieristico
Le comorbosità associate verranno vagliate e tenute sotto controllo fino dal primo momento dell’osservazione ed
adeguatamente trattate. In particolare verrà somministrato O2 in modo da mantenere la pulsiossimetria >95%,
somministrando O2 a 2-4litri, in caso di respiro di Chyne Stokes andrà sempre somministrato ossigeno
La pressione arteriosa sarà trattata secondo le indicazioni del protocollo ipertensione a cui si rimanda (allegato)
Andrà mantenuta l’omeostasi glucidica con piccole dosi di insulina refratta secondo protocollo
Nessun altro farmaco va prescritto: in particolare steroidi, altri farmaci sono prescrivibili nel quadro di uno
studio clinico controllato come farmaci di fase acuta (es neuroprotettori).
Primo giorno di degenza
Attivazione delle linee guida medico infermieristiche inerenti:
Livello di coscienza dal primo giorno di degenza
Trattamento ipertensione arteriosa
Trattamento febbre
Inizio monitoraggio diuresi
Mantenimento omeostasi glucidica secondo protocolli
Deglutizione/disfagia
Prevenzione lesioni da decubito, applicazione della scala di Norton (allegato da inserire)
Prevenzione tromboembolia
Iniziare il coinvolgimento dei parenti o dei delegati alla cura per influire positivamente sul piano psicologico,
insegnando loro gli strumenti di base per l’assistenza ecreare i presuppoti della collaborazione
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Prelievi ematochimici completi di routine più specifici per sospetto stato trombofilico in paziente con ictus
giovanile o criptogenetico§
Se non eseguita in PA richiedere Rx torace
Visita fisiatrica urgente
In prima giornata il paziente esegue eco Doppler TSA se non eseguito in PS
Va attivata entro un anno la possibilità di eseguire un ecocolorDoppler TransCranico in prima giornata,
per valutare la ricanalizzazione (se effettuata trombolisi o spontanea) e l’attivazione dei meccanismi di
compenso e la ricerca di microemboli
Va valutata in quali casi eseguire un a RMN ed un angio RMN entro le prime 24h, secondo protocolli di
studi ecc
Secondo giorno di degenza
Se il paziente è stato sottoposto a trombolisi o se deve eseguire terapia eparinica valutare se chiedere TC di
controllo da eseguire a circa 48 dalla precedente oppure prima se condizini di instabilità
Prosegue monitoraggi previsti e controllo delle comorbosità
Esegue ecocardiogramma, se non eseguito in urgenza
Se opportuno si richiede esecuzione di ECG di Holter, utilizzando specifiche competenze della clinica
Il paziente inizia la fisioterapia secondo le indicazioni del fisiatra
Valutazionedello stato nutrizionale e calcolo del fabbisogno energetico, servendosi di specifiche competenze
della UO
Prosegue il protocollo disfagia
Colloquio quotidiano con i parenti e gli infermieri da proseguire tutti i giorni
In qualsiasi momento in caso di peggioramento delle condizioni cliniche consulto del rianimatore e/o del neuro
chiurugo
Terzo giorno di degenza
Se il paziente è clinicamente stabile si contatta il Reparto di Riabilitazione indicato dal fisiatra ed il paziente
viene inserito nel registro dell’UO con data edo ra di ingresso ed il codice di priorità assegnato dal fisiatra
Eventuale attivazione dell’Assistente Sociale
Applicazione del protocollo disfagia in caso di disturbo persistente ed iniziare adeguato supporto nutrizionale
attraverso sondino naso gastrico e si sospende progressivamente l’idratazione per os.
Si valuta l’opportunità di richiedere ecotransesofageo nei casi ad eziopatogenesi ignota, nell’ambito di uno
studio collaborativo iniziato con il Servizio di Ecocardiografia della Cardiologia dell’OSM
Eseguire Mini Mental Test
Dal quarto al settimo giorno di degenza
Considerare trasferimento in letto non monitorato della stesso Reparto
Somministrare quotidianamente il protocollo disfagia
Considerare di richiedere consulenza gastroscopica in previsione di PEG se le condizioni del paziente non
consentono altri sistemi di nutrizione
TC encefalo con mdc di controllo, se non ancora eseguito, od eventuale RMN da concordare con il
neuroradiologo
Approfondimento del meccanismo eziopatogenetico dell’ictus, secondo i criteri TOAST
Eventuale consulto del Chirurgo Vascolare per programmazione Trombo Endo Arteriectomia carotidea in caso
di stenosi carotidee significative omolaterali alla lesione emisferica
Tutti i giorni colloqui con i familiari o con o delegati all’assistenza, in presenza di una delle infermiere dell’area,
di uno dei medici a turno per fornire informazioni ed indicazioni pratiche di assistenza. Una parte almeno dei
colloqui si svolgerà al letto del paziente cercando di coinvolgerlo attivamente.
Valutare eventuale supporto psicologico o farmacologico per problemi depressivi reattivi
Questa parte è ancora da definire
IN REPARTI INTERNISTICI
I medici dell’area Ictus dedicata avranno come obiettivo principale di minimizzare la probabilità che il paziente
colpito da ictus, arrivi in un reparto di medicina generale, non adeguatamento attrezzato.
Nel caso ciò si verificasse per problemi di posti letto il gruppo ictus si impegna a fornire il massimo supporto
multidisciplinare ed i colleghi dell’area ictus dedicata si rendono disponibili per le consulenze anche quotidiane
ai colleghi e si impegnano a trasferire il paziente al più presto possibile nell’Area Ictus Dedicata.
132
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IN NEUROCHIRURGIA
Vedi specifiche linee guida interne alla clinica neurochirurgica
IN RIANIMAZIONE
V. procedura trombolisi nell’ictus ischemico acuto
COINVOLGIMENTO DEI FAMILIARI E DEI DELEGATI ALL’ASSISTENZA
Da definire, e noto comunque che il coinvolgimento dei familiari e dei caregiver rientra tra i fattori che hanno
dimostrato di migliorare la prognosi e ridurre gli esiti invalidanti; potrebbe essere utile coinvolgere anche
l’assistente sociale
ORGANIZZAZIONE DELLA RIABILITAZIONE INTRA- E POST-OSPEDALIERA
Questa sezione è stata sviluppata dai collleghi del servizio di Fisiatria del Policlinico, per quanto concerne tutta
la fase riabilitativa intra- e post-ospedaliera.
La parte di prevenzione secondaria verrà svolta dai medici dell’Area Ictus Dedicata attraverso l’apertura di un
Ambulatorio Post Ictus di follow-up internistico vascolare multitematico (cura della pressione arteriosa, diabete
mellito, dislipidemia, comorbosità coronarica e periferica; ultrasonografia vascolare ecc) come consigliato dalle
linee guida nazionali.
VERIFICA E REVISIONE CONTINUA DI QUALITA’
In corso di stesura da parte della Direzione Scientifica sotto un duplice aspetto:
1) Elaborazione di tecniche utili nel lavoro di gruppo
2) L’individuazione di indicatori di qualità da applicare almeno annualmente per la verifica dell’attività svolta.
Bibiografia
1.
2.
SPREAD 2001. Ictus cerebrale: linee guida italiane di prevenzione e trattamento
SPREAD 2003 (in via di pubblicazione; per la cortesia del dr Bejor) Capitolo 14. Trattamento
riabilitativo e continuità dell’assistenza.
3. Louis R. Caplan. Caplan’s Stroke: Un approccio clinico. Terza edizione. CIC edizioni internazionali
2001
4. Charles P. Warlow et al. Ictus: condotta clinica basata sull’evidenza. McGraw Hill Libri Italia 1998
5. Armin J. Grau et al. Risk factors outcome, and treatment in subtypes of ischemic stroke. Stroke 2001;
32: 2559-2566.
6. Harold P. Adams et al. Guidelines for the Early Management of Patients With Ischemic Stroke. A
Scientific Statement From the Stroke Council of the American Stroke Association. Stroke 2003; 34:
1056-1083.
7. American Stroke Association. Acute Stroke. Treatment program.
8. Joseph P. Broderick, Werner Hacke. Treatment of Acute Ischemic Stroke. Part I: Recanalization
Strategies. Circulation 2002; 106: 1563-1569.
9. Joseph P. Broderick, Werner Hacke. Treatment of Acute Ischemic Stroke. Part II: Neuroprotection and
medical Management. Circulation 2002; 106: 1736-1740.
10. Philip A. Barber et a, for the ASPECTS study group. Validity and reliability of quantitative computed
tomography score in predicting outcome of hyperacute stroke before thrombolitic therapy. Lancet 2000;
355, 1670-1674.
11. Richard E. Latchaw et al. Guidelines and raccomandations for perfusion imaging in cerebral ischemia.
Stroke 2003; 34: 1084-1104
133
Servizio di Pronto Soccorso Accettazione
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PROCEDURA CODICE GIALLO ICTUS
SCOPO
Definire le modalità di attivazione di un codice di urgenza specifico per gli utenti affetti da sospetto ictus
cerebrale per ottimizzare i tempi e le modalità d’intervento, integrando le attività del Servizio di Soccorso
Sanitario Urgenza Emergenza Territoriale di Pavia (d’ora in poi 118) e quelle del Pronto Soccorso Accettazione
del Policlinico San Matteo di Pavia (d’ora in poi PSA), con particolare attenzione ai casi eleggibili per la terapia
trombolitica.
Raccordare le Procedure del 118 e del PSA alle altre procedure del Percorso Diagnostico Terapeutico dell’ictus
acuto.
CAMPO DI APPLICAZIONE
Tutti i pazienti affetti da sospetto ictus cerebrale che chiamano il 118 dal bacino d’utenza del PSA. Il sospetto di
ictus cerebrale è definito dalla comunicazione telefonica di sintomi di alterazione del livello di coscienza e/o
alterazioni del linguaggio e/o asimmetria faciale e/o debolezza di uno o entrambe gli arti di un emisoma. Il
bacino d’utenza del PSA è definito dalle procedure interne del 118, e potrà acquisire una dimensione specifica
per questo tipo di patologia, secondo le prestazioni reali che scaturiscono dall’applicazione del protocollo stesso.
Dal punto 8 in poi la procedura si applica anche ai pazienti che accedono direttamente al PSA con sintomi di
sospetto ictus cerebrale acuto.
MODALITA’
Abbreviazioni:
Op. 118
Operatore del 118
CE 118
Capo-equipaggio 118
IP PSA
Infermiere Professionale del PSA
IT PSA
Infermiere Triagista del PSA
MdG PSA
Medico di Guardia del PSA
NOTA: L’obiettivo è l’effettuazione della procedura in meno di 30 minuti
1
ATTORE
Op. 118
2
Op. 118
3
Op. 118
4
CE 118
AZIONE
Riceve la chiamata dell’utente secondo le modalità abituali (identificazione,
localizzazione), identifica i sintomi dell’ictus (se possibile somministra
telefonicamente la Cincinnati Stroke Scale) e attiva la procedura Codice
Giallo Ictus descritta di seguito.
Determina l’ora approssimata d’insorgenza dei sintomi e le condizioni
generali del paziente (coscienza, grado di autonomia preesistente). Intesta
ed inizia a compilare la Scheda Protocollo Ictus 118
Invia un’ambulanza secondo le abituali procedure di 118, ma aumenta il
codice di invio da codice verde a Codice Giallo Ictus se sono rispettati tutti
i seguenti criteri:
la sintomatologia non è insorta nel sonno e l’ora di esordio è stimabile con
un margine di errore inferiore ad un’ora.
l’ora di insorgenza dei sintomi più il tempo stimato di trasporto permettono
un arrivo in PSA entro 2 ore dall’esordio dei sintomi;
Il paziente non era già confinato a letto o in carrozzina prima della
sintomatologia attuale.
Nota: la presenza di altre controindicazioni alla trombolisi quali
convulsioni, trauma cranico significativo, presenza di gravidanza, che
giustificano di per sé l’assegnazione di codice giallo vengono trattate
secondo le abituali modalità di intervento del 118 e di interazione con PSA.
Giunto sul posto somministra la Cincinnati Stroke Scale e se questa è
positiva verifica la presenza dei criteri a), b) e c) già descritti al punto 3; e li
comunica alla centrale operativa del 118 per eventuale ritorno in codice
giallo; se invece i sintomi sono regrediti, o uno o più criteri a), b) o c) non
134
Registrazione
Scheda
118
Soccorso
Scheda Protocollo
Ictus 118
Scheda protocollo
ictus 118
Scheda intervento
118
(variabile
secondo
chi
accompagna
il
Servizio di Pronto Soccorso Accettazione
IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia
Direttore: dott.ssa Maria Antonietta Bressan
5
Op. 118
6
CE 118
7
MdG PSA
8
9
10
IT PSA
IP PSA
MdG PSA
11
MdG PSA
12
MdG PSA
sono rispettati e non vi sono altre indicazioni ad attivare un codice giallo
comunica il rientro in codice verde (in quest’ultimo caso fine procedura).
Interroga CE 118 dal posto e acquisisce:
I) l’ora di esordio dei sintomi e il tipo di sintomi;
II) da quale fonte sono stati raccolti i dati anamnestici;
III) il nome, cognome e numero di telefono di un familiare di riferimento;
IV) il risultato della Cincinnati Stroke Scale;
V) documentazione scritta della valutazione dei criteri a), b) e c) del punto
3.
Suggerisce, se possibile, il reperimento di un accesso venoso e l’inizio
infusione di fisiologica di mantenimento e l’effettuazione di glicemia al
dito.
Se riscontra le indicazioni per l’attivazione del Codice Giallo Ictus con una
documentazione ragionevolmente completa dispone il rientro
dell’ambulanza in PSA in codice giallo e comunica telefonicamente al PSA
il previsto arrivo di un Codice Giallo Ictus con un tempo stimato di arrivo,
inviando al contempo al fax del PSA la Scheda protocollo ictus 118; se non
riscontra elementi sufficienti per l’attivazione del Codice Giallo Ictus
dispone il rientro in codice verde (in quest’ultimo caso fine procedura).
Trasporta il paziente in PSA secondo le procedure abituali del codice giallo.
Inizia ossigenoterapia solo se la l’saturimetria al dito è <95%.
Riceve la chiamata dell’Op. 118, avvisa l’IT PSA e telefonicamente
comunica al Medico di Guardia della Radiodiagnostica il prossimo arrivo di
un Codice Giallo Ictus, fornendo una stima approssimativa del tempo
previsto per l’accoglimento e la preparazione del paziente alla TAC. Inizia
a compilare la scheda Protocollo Ictus PSA.
Accoglie il paziente secondo le usuali procedure di codice giallo,
prendendo in consegna dal CE 118 e inserendolo in lista d’attesa come
codice giallo (o superiore se ne ha le caratteristiche).
In caso di paziente giunto con mezzo proprio con sintomi di sospetto ictus
somministra la Cincinnati Stroke Scale: se questa è positiva e se il paziente
è giunto entro 2 ore dall’esordio dei sintomi segnala la presenza di un
Codice Giallo Ictus al MdG PSA e inizia a compilare la Scheda Protocollo
Ictus PSA (SezioneTriage).
Prepara la sala visita e vi accoglie il paziente (prendendolo in consegna dal
IT PSA o dal CE 118), registra i parametri vitali, effettua ECG, assicura un
accesso venoso ed effettua prelievi ematici (Emocromo Coagulazione,
Routine 3) e glicemia al dito. Somministra Ossigeno 2-6 l/min se la
saturimetria al dito (Sat. O2) in aria ambiente è < 95% con l’obiettivo di
Sat. O2 > 95%
Prende eventuali consegne dal medico del 118 se presente, visita il paziente
e se non conferma il sospetto diagnostico di ictus procede secondo le
abituali procedure di PSA (in tal caso fine della procedura).
Se conferma il sospetto diagnostico compila i criteri di esclusione dalla
Trombolisi sulla Scheda Protocollo Ictus PSA e se vi sono criteri di
esclusione assoluti richiede la TAC con priorità codice verde (in tal caso
fine della procedura: il paziente rientra nelle abituali procedure di PSA, il
MdG PSA completa solo la Scheda Protocollo Ictus PSA prima di
archiviarla).
Se non vi sono criteri di esclusione assoluti telefona al MdG della
Radiodiagnostica confermando l’urgenza codice giallo della TAC encefalo.
Registra l’anamnesi e l’obiettività ed effettua la richiesta esami e TAC
secondo le normali procedure di PSA, invia il paziente in TAC con
accompagnamento adeguato (usuali procedure trasporto interno).
Se la TAC mostra emorragie intracraniche attiva la Procedura Emorragia
135
paziente)
Scheda protocollo
ictus 118
Scheda intervento
118
Scheda protocollo
ictus PSA
Procedura PIESSE
(Scheda di Triage)
Scheda protocollo
ictus PSA
Procedura PIESSE
(Schede parametri
vitali e prestazioni)
Scheda Protocollo
Ictus PSA
Procedura PIESSE
(Schede
visita
accertamenti)
Scheda protocollo
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Cerebrale.
Ictus PSA
Se la TAC non mostra emorragie intracraniche attiva la procedura
Trombolisi dell’Ictus Ischemico Acuto.
Chiude la Scheda Protocollo Ictus PSA ponendovi la diagnosi finale.
RIFERIMENTI
Percorso integrato del Paziente affetto da Ictus nel Policlinico San Matteo (Linea guida aziendale del Progetto
Ictus del Policlinico San Matteo); 2003.
Procedure di Invio Mezzi di Soccorso della Centrale Operativa 118
Procedura PP 2.2 01.01.01 “Triage” del PSA
Procedura PP 2.2 01.01.02 “Visita e diagnosi” del PSA
Istruzione Operativa IO 2.2 01-06 Trasporto utente
Procedura Emorragia Cerebrale del Percorso Diagnostico Terapeutico dell’Ictus Policlinico San Matteo
Procedura Trombolisi nell’Ictus ischemico acuto del Percorso Diagnostico Terapeutico dell’Ictus Policlinico San
Matteo.
REGISTRAZIONI
Scheda Soccorso 118
Scheda Intervento 118(variabile secondo l’accompagnamento del Paziente)
Scheda Protocollo Ictus 118 (ALLEGATO A)
Scheda Protocollo Ictus PSA (ALLEGATO B)
Procedura informatica PIESSE (schede triage, visita, parametri vitali, accertamenti).
136
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ALLEGATO A
SCHEDA PROTOCOLLO ICTUS 118
N° soccorso ……………… DATA chiamata: ……/……/200… ORA chiamata: ……:……
COGNOME: ………………………………… NOME: ………………………… Sesso M F .
NATO/A: …………………………………………… (……) IL ……/……/19……
DOMICILIO A ……………………… (……) VIA …………………………… TEL ………………
SEGNARE LE VOCI CHE INTERESSANO (NON CANCELLARE QUELLE CHE NON INTERESSANO)
VALUTAZIONE TELEFONICA OPERATORE 118 (sigla) …………………
VALUTAZIONE ORA DI INSORGENZA SINTOMI
GIORNO (Data) …… Oggi ORA ……:…… insorti nel sonno non determinabile
COSCIENZA: A V P U .
VALUTAZIONE TELEFONICA DEL TIPO DI SINTOMI (CINCINNATI STROKE SCALE)
ELOQUIO:
Normale Disartria Afasia
Non chiesto Non determinabile
FACIALE:
Normale Paresi DX Paresi SIN Non chiesto Non determinabile
BRACCIA:
Normale Paresi DX Paresi SIN Non chiesto Non determinabile
Altri sintomi:
Nessuno ………………………………
Non chiesto Non determinabile
INVIO AMBULANZA: ORE ……:…… CODICE INVIO: B V G R Codice Giallo Ictus
CODICE MEZZO SOCCORSO ………………… RENDEZ VOUS Sì No .
VALUTAZIONE SUL POSTO – ARRIVO ORE ……:……
CAPO-EQUIPAGGIO ………………….. Qualifica: Medico IP Dipendente Volontario
VALUTAZIONE ORA INSORGENZA SINTOMI (approssimazione massima un’ora)
GIORNO (Data) ……/……/…… Oggi ORA ……:…… insorti nel sonno non determinabile
COSCIENZA: A V P U GCS: ……
VALUTAZIONE SUL POSTO DEL TIPO DI SINTOMI (CINCINNATI STROKE SCALE)
ELOQUIO:
Normale Disartria Afasia
Non chiesto Non determinabile
FACIALE:
Normale Paresi DX Paresi SIN Non chiesto Non determinabile
BRACCIA:
Normale Paresi DX Paresi SIN Non chiesto Non determinabile
Altri sintomi:
Nessuno ………………………………
Non chiesto Non determinabile
DA CHE FONTE E’ STATA RACCOLTA L’ANAMNESI?
Paziente stesso Familiare ………………… Altri ……………………Tel. …………………….
CHECKLIST RIENTRO IN CODICE GIALLO ICTUS
Momento di esordio dei sintomi determinabile con errore di UN’ORA o meno
Tempo di arrivo stimato in PSA a meno di DUE ORE dall’esordio dei sintomi
Paziente non confinato a letto o carrozzina già prima della sintomatologia attuale
Numero di telefono di un familiare di riferimento ………………………………………….
CODICE RIENTRO: B V G R Codice Giallo Ictus PARTENZA ORE ……:……
Inviato via Fax al PSA Ore……:…… FIRMA DEL COMPILATORE …………………………
137
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ALLEGATO B
SCHEDA PROTOCOLLO ICTUS PSA
PARTE 1 - TRIAGE
N° cartella ……………… DATA arrivo: ……/……/200… ORA arrivo: ……:……
COGNOME: …………………………………………… NOME: …………………………………….
ARRIVO CON: ‰ 118 ‰ AMBULANZA NON MEDICALIZZATA ‰ MEZZO PROPRIO
PREAVVISO DAL 118 NO SI MEDICO CHE RICEVE CHIAMATA ……………………….
ORA PREAVVISO DAL 118: ……:…… ORA STIMATA ARRIVO IN PSA: ……:……
AVVISATO MDG RADIODIAGNOSTICA? No Sì ORE ……:……
CRITERI ANAMNESTICI AL TRIAGE DI ENTRATA NEL PROTOCOLLO (Conferma del sospetto
diagnostico di ictus/TIA)
CRITERI MAGGIORI CRITERI MINORI
‰ Deficit faciale ‰ Emianopsia o disturbo monoculare del visus
‰ Deficit brachiale
‰ Sopore/Confusione/GCS 9-14
‰ Deficit crurale ‰ Sincope/Drop attack
‰ Afasia
‰ Disartria
‰ Coma (con emogas normale) ‰ Diplopia
Un criterio maggiore
‰ Parestesie/ipo-anestesia localizzate
o 2 criteri minori
‰ Amnesia
per includere il paziente ‰ Vertigine/disturbi equilibrio
VALUTAZIONE OGGETTIVA AL TRIAGE (CINCINNATI STROKE SCALE)
ELOQUIO:
Normale Disartria Afasia
Non chiesto Non determinabile
FACIALE:
Normale Paresi DX Paresi SIN Non chiesto Non determinabile
BRACCIA:
Normale Paresi DX Paresi SIN Non chiesto Non determinabile
Altri sintomi:
……………………………… Nessuno
Non chiesto Non determinabile
CHECK LIST PER L’ATTRIBUZIONE DEL CODICE GIALLO ICTUS:
CRITERI DI INCLUSIONE (Un solo NO esclude il paziente)
SI
NO
‰
‰ Cincinnati positiva adesso
‰
‰ Tempo di arrivo in PSA a meno di DUE ore dall’esordio dei sintomi
CRITERI DI ESCLUSIONE (Un solo SI esclude il paziente)
SI
NO
‰ Sintomi molto lievi o in completa regressione spontanea
‰ Sintomi insorti nel sonno (già presenti al risveglio)
‰
‰ Invalidità preesistente che confina in carrozzina o a letto il paziente
‰
‰ Età > 80 anni
ASSEGNATO CODICE: VERDE GIALLO
GIALLO ICTUS ROSSO
TRIAGISTA (sigla):….....…………………...………..
138
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PARTE 2 – VISITA–DIAGNOSI
N° cartella ……………… DATA arrivo: ……/……/200… ORA arrivo: ……:……
COGNOME: …………………………………………… NOME: …………………………………….
COMPILARE LA PARTE ANAGRAFICA SOLO SE NON COMPILATA AL TRIAGE NELLA PAGINA
PRECEDENTE
MEDICO PSA (sigla) …………………………………………………… ORA VISITA ……:……
VALUTAZIONE ORA DI ESORDIO DEI SINTOMI
GIORNO (Data) ……/……/…… Oggi ORA ……:…… insorti nel sonno non determinabile
COMPILARE L’ORA DI ESORDIO DEI SINTOMI SOLO SE E’ STIMABILE CON UN ERRORE DI
UN’ORA O MENO, STIMANDOLA AL MEGLIO (PER ESEMPIO IL PUNTO CENTRALE DI UN
INTERVALLO POSSIBILE)
SINTOMI D’ESORDIO
GENERALI:
‰ coma (GCS≤8)
MOTORI:
‰ paresi faciale ……
‰ sopore/confusione (GCS=13-15)
‰ paresi brachiale ……
‰ sincope
‰ paresi crurale ……
‰ drop-attack
‰ diplopia
‰ convulsioni
‰ disartria
‰ cefalea
SENSITIVI:
‰ ipoestesia emisoma
‰ vomito
‰ parestesie emisoma
COGNITIVI:
‰ afasia
‰ emianopsia …………
‰ amnesia
ALTRI: ‰ ……………………….
PREGRESSO ICTUS SI NO Anno............ se sì c’è deficit residuo? SI NO
Tipo di deficit residuo…………………………… PREGRESSO TIA SI NO Anno …………
SINTOMI COMPATIBILI CON ICTUS / TIA
SI
NO ┐ Se tutti e 3 sì
DEFICIT NEUROLOGICO OBIETTIVABILE ORA
SI
NO ├ procedere con
TEMPO ESORDIO-VISITA ≤ 150 MINUTI
SI
NO ┘ codice giallo
RICHIESTA TAC SI NO Ore ……:…… URGENZA V G R INVIO ore ……:……
CRITERI DI ESCLUSIONE ASSOLUTI (un solo SI esclude la Trombolisi)
Sintomi insorti più di 3 ore prima dell’inizio
SI
NO Età>80 o <18anni
SI
della terapia trombolitica
Malattie gastrointestinali con rischio
Deficit lieve / in miglioramento spontaneo
SI
NO
SI
emorragico (varici, IBD) ultimi 3 mesi
Neoplasie con aumento rischio emorrag.
NO Endocardite batterica o pericardite in atto
SI
SI
Deficit grave (NIHSS>25)
NO
NO
NO
SI
NO
Pancreatite acuta in atto
SI
NO
Evidenza TC di emorragie intracraniche
SI
Sintomi sospetti per ESA anche a TC
SI
negativa (cefalea grave, rigor)
Precedente ictus negli ultimi tre mesi
SI
NO
Diatesi emorragica nota
SI
Interventi chirurgici maggiori o traumi
SI
significativi negli ultimi 3 mesi
Gravidanza in atto
SI
NO
Anamnesi di ictus pregresso e diabete
SI
NO
SI
NO
Retinopatia emorragica in diabetico
SI
NO
SI
NO
Sanguinamenti importanti in atto o recenti
SI
NO
Convulsioni all’esordio dei sintomi
Trauma cranico grave negli ultimi tre mesi io
anche lieve negli ultimi 14 gg
Massaggio cardiaco, parto o puntura di vaso
non comprimibile negli ultimi 10 gg
Terapia con eparina nelle ultime 48h con
PTT > del limite superiore della norma
SI
NO
SI
NO
SI
NO
SI
NO
NO
NO
Grave malattia epatica (cirrosi, epatite acuta,
SI
NO
insufficienza epatica)
Anamnesi di lesioni del sistema nervoso
SI
NO TAO in corso con INR >1.5
centrale (neopl. aneurismi, interv. NCH.)
Anamnesi di emorragia intracranica
NO Piastrine <100000 /µl
SI
CRITERI DI ESCLUSIONE RELATIVI (Valutare caso per caso la possibilità di effettuare Trombolisi)
SBP>185 DBP >110 in 3 misurazioni
SI NO
PA1 ………/………
PA2 ………/………
……../………
139
PA3
NO
NO
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Età > 75 anni
SI NO
Glicemia < 50 o >400 mg/dL
SI NO glicemia: ………. mg/dl
Paziente confinato a letto o carrozzina
SI
NO
…………………………………………………………………...
Paziente in coma (GCS≤8)
SI NO ……………………………………………………………………
Prognosi <6 mesi per comorbilità SI NO ……………………………………………………………………
NIHSS (National Institute of Health Stroke Scale) Somministrata da ……………………...
PARAMETRI VALUTATI
PUNTEGGIO
PUNTI
1A Livello di coscienza (valutare 0 – Vigile
anche se intubato)
1 – Sopore (risvegliabile con stimolazioni lievi)
2 – Stupore (risponde solo a stimoli ripetuti o intensi)
3 – Coma (nessun movimento)
1B Orientamento (sapere il mese 0 – Entrambe le risposte corrette
in corso e la propria età)
1 – Una risposta corretta
2 – Nessuna risposta corretta (o coma)
1C Esecuzione ordini semplici 0 – Entrambi gli ordini eseguiti
(“apri e chiudi gli occhi” e 1 – Un ordine eseguito
“apri e chiudi il pugno”)
2 – Nessun ordine eseguito (o coma)
2
Sguardo (segue il dito 0 – Movimenti coniugati normali
dell’esaminatore)
1 – Deviazione parziale dello sguardo
2 – Deviazione completa dello sguardo
3
Campo visivo (valutare per 0 – Nessun difetto
confronto
con
CV 1 – Emianopsia parziale
esaminatore o “per minaccia” 2 – Emianopsia completa
se coma)
3 – Cecità bilaterale
4
Paralisi facciale (mostrare i 0 – Assente
denti
e
sollevare
le 1 – Lieve asimmetria
sopracciglia, o simmetria 2 – Paralisi facciale inferiore
della smorfia al dolore)
3 – Paralisi facciale completa (superiore e inferiore)
5A Forza dell’arto superiore 0 – Normale
sinistro (se afasia mimare)
1 – Slivellamento
2 – Vince la gravità
3 – Non vince la gravità
4 – Nessun movimento (anche coma)
9 – Non valutabile (Amputazione, anchilosi)
5B Forza dell’arto superiore 0 – Normale
destro (se afasia mimare)
1 – Slivellamento
2 – Vince la gravità
3 – Non vince la gravità
4 – Nessun movimento (anche coma)
9 – Non valutabile (Amputazione, anchilosi)
6A Forza dell’arto inferiore 0 – Normale
sinistro
1 – Slivellamento
2 – Vince la gravità
3 – Non vince la gravità
4 – Nessun movimento (anche coma)
9 – Non valutabile (Amputazione, anchilosi)
6B Forza dell’arto inferiore 0 – Normale
destro
1 – Slivellamento
2 – Vince la gravità
3 – Non vince la gravità
4 – Nessun movimento (anche coma)
9 – Non valutabile (Amputazione, anchilosi)
7
Atassia degli arti (prova 0 – Assente (se coma o plegia sempre assente)
indice-naso
e
calcagno- 1 – Presente in un arto
140
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ginocchio)
2 – Presente in due o più arti
Sensibilità tattile (faccia, arti 0 – Normale
e tronco)
1 – Lievemente ridotta nel lato affetto
2 – Gravemente ridotta nel lato affetto
9
Linguaggio (far denominare 0 – Normale
gli oggetti nel foglio allegato) 1 – Afasia lieve - moderata
2 – Afasia grave
3 – Mutismo
10 Disartria (far leggere le frasi 0 – Assente
del foglio allegato)
1 – Lieve - moderata
2 – Grave
9 – Non valutabile
11 Emiinattenzione
(far 0 – Assente
descrivere la figura allegata). 1 – Lieve
2 - Grave
Tot PUNTEGGIO
TOTALE SE PUNTEGGIO TOTALE < 6 O >24 VI E’
Sommare i Punteggi di ogni CONTROINDICAZIONE
ASSOLUTA
ALLA
singola voce
TROMBOLISI (non sommare i 9).
REFERTO TAC (scritto) pervenuto ore ……:…… Sintesi ……………………………………...
Normale
Emorragia intracranica …………………………………………………………………………….
Precoci segni ischemici ……………………………………………………………………………
Esiti pregressi ictus ………………………………………………………………………………...
Neoplasia cerebrale ………………………………………………………………………………..
8
ECG: ‰ nei limiti della norma ………………. ‰ fibrillazione atriale ………………………..
‰ altra aritmia ………………………… ‰ ischemia acuta in atto ……………………
‰ esiti di IMA ………………………….. ‰ non eseguito
COAGULAZIONE-PIASTRINE:
INR: …,…… aPTT:………,… sec PLT:……… /μl
ESITO: ‰ Dimesso
‰ Dimesso con Percorso ambulatoriale facilitato (Dr. Perani)
‰ Dimesso con visita urgente neurologica al Mondino
‰ Ricoverato in S. Matteo Reparto ………………………………………..
‰ Decesso in PSA
‰ Trasferito ad altro ospedale ……………………………………………..
Attivato protocollo Emorragia Intracranica: SI NO Ore: ……:……
Attivato protocollo Trombolisi:
SI NO Ore: ……:……
Diagnosi Finale di PSA: …………………………….………………………………………………
141
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Pd-T PER SOSPETTA SARS IN PRONTO SOCCORSO
Coordinamento Malattie Infettive e Vaccinazioni
Ottobre 2003
Regione Lombardia
PRINCIPI
In una situazione epidemiologica quale quella della primavera 2003, in cui il numero di casi di SARS attesi in
Italia sarebbe, nel caso, estremamente contenuto, è opportuno limitare al massimo le occasioni di contatto tra un
potenziale caso di SARS e le strutture assistenziali territoriali, in modo da ridurre il rischio di contatti non
adeguatamente protetti con sospetti casi di SARS e altre persone (operatori sanitari o altri pazienti)
E’ essenziale (nel caso di recrudescenza della SARS) Informare la popolazione e le persone a rischio (viaggiatori
o contatti) su come comportarsi in caso di comparsa di sintomi; in particolare, queste persone devono essere
istruite a contattare solo telefonicamente il medico o il pronto soccorso, evitando di recarsi nell’ambulatorio del
medico o al Pronto Soccorso dell’ospedale
Qualora, nonostante questa campagna informativa, una persona si rechi in una struttura ambulatoriale o al Pronto
Soccorso per essere visitata, bisognerà adottare precauzioni atte a minimizzare la durata di eventuali esposizioni
non protette tra operatori/altri pazienti e il sospetto caso di SARS.
Ciò si realizza attraverso:
L’adozione di misure atte a ridurre il rischio di trasmissione della SARS attraverso le secrezioni: chiedere, ad
esempio, a tutti i pazienti con tosse di coprirsi il naso con un fazzoletto
La verifica immediata della presenza dei criteri diagnostici di sospetta SARS: in questo caso non visitare il
paziente ma avviarlo immediatamente al ricovero
TRIAGE
Invitare le persone con tosse a coprirsi la bocca con un fazzoletto;
chiedere se c’è stato un recente viaggio in area affetta da SARS, o se c’è stato contatto con ammalato o sospetto
di SARS;
valutare: presenza di febbre – tosse – dispnea.
Il paziente che rispetta il criterio epidemiologico e inoltre presenta febbre e/o sintomi respiratori è da considerare
un caso sospetto (Codice rosso). Tale paziente non deve essere sottoposto a visita medica presso il Pronto
Soccorso.
MISURE DI CONTROLLO
Misure di igiene ambientale
Utilizzo di mascherina chirurgica per il paziente
informazione al paziente
isolamento e contenimento dei contatti non necessari
uso di dispositivi di protezione individuale per tutte le persone la cui presenza è necessaria in ambulatorio
igiene personale
igiene ambientale
altre misure
Utilizzo di mascherine
Paziente: subito una mascherina chirurgica
Operatori: indossano una mascherina FFP2
Informazioni al paziente
sospetto di SARS
procedure attivate
impossibilità di accertare in loco il sospetto
rassicurazione su elevata possibilità di guarigione
intervento teso principalmente a precisare la diagnosi
142
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iniziare tempestivamente la terapia e limitare il potenziale contagio
Isolamento e contenimento dei contatti non necessari
non contaminare un ambulatorio (solo se non c’è alternativa); isolamento in una stanza del PS o nelle vicinanze,
o direttamente nell’ambulanza addetta al successivo trasporto
predisporre l’invio al reparto Malattie Infettive
informare il Servizio Igiene e Sanità Pubblica
annotare i nominativi delle persone presenti in sala d’attesa che possono aver avuto un contatto
Informazione alle persone presenti in Pronto Soccorso
I possibili contatti devono essere informati che: soltanto se gli accertamenti iniziali non permetteranno di
escludere la diagnosi di SARS, saranno contattati dal Servizio di Igiene e Sanità Pubblica per le misure
opportune
Inoltre: che per questo tipo di intervento non è richiesta urgenza, e nel frattempo non devono attuare particolari
precauzioni
Uso di dispositivi di protezione individuali
limitare il contatto agli operatori necessari
indossare camice
indossare guanti monouso
indossare occhiali protettivi
Precauzioni raccomandate per il controllo della SARS includono:
protezione delle vie respiratorie (facciali filtranti)
protezione delle mani (guanti monouso)
protezione degli occhi (occhiali di protezione)
uso di indumenti protettivi (camice monouso)
disponibilità di sacchetto contenitore in plastica
ACCURATO LAVAGGIO DELLE MANI
Indumenti di protezione
camice monouso (classificato quale DPI di terza categoria per la protezione da microrganismi - marcatura CE certificazione CE dall’Organismo Notificato per il Produttore)
Protezione delle vie respiratorie
dispositivo di protezione monouso denominato facciale filtrante
conforme ai requisiti della norma tecnica EN 149
classificato quale DPI di terza categoria (marcatura CE-certificazione CE dall’Organismo Notificato per il
Produttore)
FFP2: garantisce la protezione necessaria
FFP3: solo nelle procedure a rischio di generare aerosol
Protezione delle mani con guanti (dispositivo di protezione monouso conforme ai requisiti della norma tecnica
EN 374, classificato quale DPI di terza categoria per la protezione da microrganismi (marcatura CE certificazione CE dall’Organismo Notificato per il Produttore)
Protezione degli occhi
La congiuntiva è suscettibile all’ingresso di microrganismi; le mani contaminate rappresentano il veicolo più
frequente di introduzione di infezioni attraverso la congiuntiva
Gli occhiali protettivi devono essere indossati tutte le volte che si è a contatto ravvicinato con un caso di SARS,
quando il paziente non indossa una maschera chirurgica in grado di ridurre la disseminazione di virus
nell’ambiente
143
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Questi DPI devono essere sempre indossati quando si eseguono manovre assistenziali in grado di generare
aerosol o di generare diffusione o schizzi di liquidi corporei
Rimozione dei DPI
Dopo l’uscita del paziente togliere, nell’ordine:
- guanti
- camice
lavaggio delle mani
-occhiali
- maschera
lavaggio delle mani
Riporre i DPI in un sacchetto a perdere da smaltire con i rifiuti ospedalieri
Misure di igiene personale
Se il contatto è stato prolungato e ravvicinato (distanza < 1 m), in particolare se la persona tossiva molto, anche
gli indumenti non coperti dal camice devono essere considerati contaminati, e vanno sostituiti e lavati
normalmente dopo essere stati riposti, in maniera appropriata (sacchetto di plastica impermeabile chiuso
ermeticamente) per 2 giorni
Lavaggio mani
sapone semplice: rimozione meccanica (sapone liquido)
saponi antisettici: a base di alcool, clorexidina, composti dell’ammonio quaternario
bagnare le mani con acqua corrente
applicare il sapone nel cavo delle mani bagnate
insaponare bene e frizionare vigorosamente (10-15 sec.)
sciacquare abbondantemente con acqua e lasciare il rubinetto aperto
asciugare con carta
chiudere il rubinetto con un tovagliolo di carta
Misure di igiene ambientale
Trattamento delle superfici di lavoro potenzialmente contaminate o delle attrezzature:
-ipoclorito di sodio 2%
-alcool 70% per le superfici metalliche ossidabili
Disinfezione efficace
Il Virus della SARS è inattivato dai disinfettanti comunemente usati per ottenere in ospedale una disinfezione di
livello basso o intermedio
Disinfettante
Ambito di applicazione
Alcool
Antisepsi cutanea
Disinfezione di superfici
dimensioni
di
Composti del cloro
(cloramina, ipoclorito)
Antisepsi cutanea e delle ferite
Trattamento dell’acqua
Disinfezione delle superfici
Glutaraldeide
Disinfezione di oggetti inanimati
Perossido di idrogeno
Antisepsi cutanea
Iodofori
Antispesi cutanea e delle ferite
144
piccole
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Direttore: dott.ssa Maria Antonietta Bressan
Acido per acetico
Disinfezione di oggetti inanimati
Conclusioni
Triage per evidenziare criterio epidemiologico
Indossare dispositivi di protezione individuale
Informare il paziente di quanto sta per accadere
Ridurre i contatti non necessari (isolamento del paziente; chiamare il 118 informandoli del sospetto di SARS,
allontanare tutte le persone non necessarie, trasferire il paziente direttamente in malattie infettive)
Adottare misure di igiene personale (rimozione dei DPI, lavaggio delle mani, ecc.) ed ambientale (disinfezione,
smaltimento)
Rendere possibile la successiva sorveglianza sanitaria, scrivendo il nome dei presenti.
145
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PD-T TRAUMA CRANICO (T.C.) LIEVE
(a cura della Dott.ssa Paola Tatoni)
INTRODUZIONE
Il trauma cranico è un problema clinico con significative implicazioni in termini di salute pubblica. Da una
recente analisi epidemiologica risultano ricoverati in ospedali per acuti A CAUSA di un trauma cranico un
elevato numero di casi circa 200-250 pazienti per 100.000 abitanti per anno [Servadei, 2002]. Una percentuale di
questi casi presenta a sua volta gravi complicazioni di tipo emorragico, con necessità in alcuni casi di intervento
neuro-chirurgico in urgenza.
DEFINIZIONE
Vengono elencate in dettaglio le variabili utilizzate dal nuovo protocollo per una migliore standardizzazione e
raccolta dei dati. Non rappresentano un criterio per la valutazione clinica dei pazienti, in quanto soggette ad
interpretazione soggettiva da parte del singolo medico.
Trauma cranico lieve dell’adulto si definisce un trauma del capo in un soggetto di età ≥10 anni con evidenza di
segni all’esame fisico e clinico di segni esterni come ecchimosi, ematomi del cuoio capelluto, lacerazioni o segni
più eclatanti. Esso si differenzia dalle ferite superficiali del volto [NICE 2003].
Tutte le definizioni del passato: minore, lieve, minimo, grado I, Classe I, basso rischio, sono oggi comprese nel
termine lieve.
Glasgow Coma Scale
Apertura degli Occhi
4: Spontanea
3: Al suono
2: Al dolore
1: Nessuna
Risposta Motoria
6: Risponde ai comandi
5: Localizzazione sensoriale
4: Flessione normale
3: Flessione anormale
2: Estensione
1: Nessuna
Risposta Verbale
5: Orientata
4: Linguaggio confuso
3: Parole
2: Suoni
1: Nessuno
CRITERI PER TRAUMA CRANICO LIEVE
Glasgow Coma Score
ƒ NON < 14 in ogni momento dal momento dell’evento traumatico;
ƒ 14 dopo 2 ore dall’evento.
Neurodeficit
ƒ almeno un deficit di forza in almeno una delle 4 estremità, valutata secondo la misurazione della forza
in tutti 4 gli arti,
ƒ un deficit di un nervo cranico dal II al XII valutati singolarmente, deficit della marcia, deficit
dell’equilibrio (prova di Romberg).
ƒ Deficit cerebellari: riscontro di atassia (coordinazione motoria), dismetria (indice-naso, calcagnoginocchio), adiadococinesia (intra/extra-rotazione rapida polsi).
Segni clinici di frattura della base cranica presuppongono la presenza di ecchimosi peri-orbitale o periauricolare, emotimpano, otorragia, otorrea, rinorrea, “occhi da panda”.
Convulsioni successive all’evento: ogni tipo di crisi di tipo convulsivo successiva all’evento traumatico
(testimoniata).
Vomito ripetuto è caratterizzato dalla ripetitività in successione degli episodi (almeno 2), con caratteristiche a
getto.
Perdita transitoria di conoscenza: si intende la perdita transitoria testimoniata.
Cefalea diffusa: ogni tipo di cefalea con caratteristiche di tipo diffusa e ingravescente.
Coagulopatia: ogni tipo di deficit della coagulazione (diatesi emorragica, storia di emorragie gravi, difetti della
coagulazione, trattamento con anticoagulanti).
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Amnesia breve: l’incapacità al ricordo degli istanti precedenti/seguenti l’evento traumatico (è sovrapponibile
alla perdita transitoria di coscienza riferita dal paziente).
Amnesia retrograda >30 minuti: l’incapacità al ricordo dei 30 minuti precedenti l’evento traumatico.
Amnesia persistente: l’incapacità persistente e significativa dal punto di vista temporale al ricordo delle fasi
precedenti o successive l’evento traumatico.
Dinamica a rischio: la presenza minima di alcune dinamiche particolarmente a rischio: pedone investito da un
veicolo a motore, la proiezione di un passeggero da un veicolo a motore, la caduta da un’altezza > 1 metro di
altezza.
OSSERVAZIONE
INDICAZIONI SUL PROGRAMMA DI OSSERVAZIONE PROLUNGATA (>6 ORE)
Nessun tipo di alimentazione orale (digiuno), fino alla esclusione di una patologia chirurgica.
Via venosa nelle prime ore.
Monitoraggio (GCS ogni 2 ore per le prime 12 ore poi ogni 4 ore fino alla 24 ora).
INDICAZIONI SUL PROGRAMMA DI OSSERVAZIONE BREVE (3-6 ORE)
Nessun tipo di alimentazione orale (digiuno), fino alla esclusione di una patologia chirurgica.
Monitoraggio (GCS all’ingresso, a metà osservazione e alla dimissione dopo 3-6 ore)
Il protocollo non trova applicazione nei casi in cui l’evento traumatico risulta secondario ad una patologia (es.
crisi convulsiva, sincope o altra malattia precedente l’evento), nella dimissione volontaria del paziente, nelle
donne in gravidanza.
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Algoritmo Diagnostico Terapeutico per il Trauma Cranico Lieve
dell’Adulto
Uno dei seguenti:
• GCS <14 in ogni momento
• GCS 14 a 2 ore dall’evento
• Ogni tipo di neuro-deficit
• Segni clinici di frattura della base cranica
• Convulsioni successive all’evento
• Vomito ripetuto (≥2 episodi)
Sì
No
Perdita Transitoria di Conoscenza e/o Amnesia Breve
e/o Cefalea Diffusa
No
Coagulopatia
Sì
Sì
No
Uno dei seguenti:
• Dinamica a rischio
• Amnesia retrograda >30 min
o dubbia / persistente
• Età ≥65 anni
Sì
No
• Solo
osservazione
domiciliare
• TC <2 ore
• Osservazione
prolungata
(>6 ore)
• TC 2-6 ore
• Osservazione
prolungata (>6 ore)
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• Osservazione
breve (3-6 ore)
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