9. Modulo La ricerca-azione a scuola e l`apprendimento

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9. Modulo La ricerca-azione a scuola e l`apprendimento
9. Modulo
La ricerca-azione a scuola e l’apprendimento collaborativo.
Sommario
In questo modulo affronteremo il tema della metodologia dell’azione formativa,
che è caratterizzata in questa disciplina da una forte tensione partecipativa degli
attori.
I metodi dunque dovranno consistere nella elaborazione di percorsi o strategie
formative in un’ottica di sperimentazione e di innovazione didattica.
A questo fine risulta essenziale il coinvolgimento attivo degli studenti o di tutti
coloro ai quali vogliamo volgere un progetto formativo. Di qui l’importanza della
ricerca-azione.
Di tali strategie investigative e di insegnamento offriremo alcune tracce
esemplificative.
Temi.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
La ricerca-azione;
La logica della ricerca-azione;
Le dinamiche di gruppo e i ruoli;
L’apprendimento collaborativo;
La ricerca empirica;
La matrice di dati;
La ricerca qualitativa e interdisciplinarità nella scuola.
1. La ricerca-azione
“La ricerca azione nasce dalle riflessioni di Kurt Lewin nell’ambito della
psicologia sociale. Negli anni Quaranta del Novecento, egli muove una critica ai
metodi di ricerca basati sul riduzionismo e sugli approcci classificatori e
frequenziali allora in voga, in favore di metodi che comportino uno studio
analitico dei fattori situazionali e ambientali, all’interno dei quali i soggetti della
ricerca vivono e operano.
Secondo Lewin le statistiche e le operazioni classificatorie, astraendo gli oggetti
dal loro contesto, non fornirebbero strumenti in grado di rendere appieno la
complessità dei fenomeni.
Obiettivo del ricercatore dovrebbe essere lo studio di situazioni particolari,
concrete, all’interno delle quali le interrelazioni tra fattori possono essere messe in
evidenza nel modo più semplice possibile.
Già John Dewey, nei primi anni del Novecento, aveva sviluppato un’idea di
educazione in cui l’interazione attiva con il mondo aveva un ruolo centrale
nell’apprendimento” (R. Trinchero, I metodi della ricerca educativa, Roma-Bari,
laterza, 2004, p. 140).
“Tale approccio – scrive Maria Luisa Iavarone – si ricollega al modello
anglosassone dell’Action-learning che punta a realizzare un rapporto circolare tra
apprendimento e azione attraverso un potenziamento, allo stesso tempo, tanto
dell’apprendimento dall’esperienza quanto della sperimentazione in azione di ciò
che si è appreso; in altri termini è una modalità di promozione del cambiamento
basato sulla nozione dell’imparare facendo.
Sull’impiego della ricerca-azione, come approccio insieme euristico e formativo
(…) tale metodologia di lavoro si sostanzia di processi fortemente orientati al
cambiamento di comportamenti ed atteggiamenti di soggetti coinvolti. In tale
approccio il cambiamento, oltre ad avere una dimensione conoscitiva, assume una
forte valenza politica e trasformativa che sottolinea l’importanza di coniugare il
progetto scientifico a quello sociale attraverso il riconoscimento dei bisogni
individuali all’interno di quelli del gruppo”1.
Risulta evidente da un lato, l’aderenza di tale metodologia all’urgenza di
provocare cambiamenti nei comportamenti e nelle relazioni all’interno per
esempio della classe e fra gli individui direttamente coinvolti, dall’altro la stessa
aderenza ad un processo di coscientizzazione delle dinamiche agite nonché il
protagonismo dei soggetti nel processo di recupero del problema stesso.
Vediamo ora di chiarire brevemente cosa si intende per ricerca-azione:
Essa si prospetta come alternativa alla ricerca sperimentale classica che si basava
su un modello teorico di stampo positivista, si sviluppava secondo un disegno
lineare, e faceva riferimento a metodi quantitativi per la verifica delle ipotesi. Al
contrario, la ricerca-azione, si basa su di un paradigma di carattere
fenomenologico, sistemico-relazionale.
In sintesi, si cerca di trasformare la realtà nel momento stesso in cui la si indaga.
La complessità del reale, cui la ricerca-azione, come abbiamo visto, si ispira
secondo il modello sistemico, rende ineludibile il duplice accostamento, induttivo
e deduttivo” (cfr. A, Gramigna, in Introduzione a A. Gramigna, Manuale di
pedagogia sociale, Roma, Armando, 2003).
Per approfondimenti cfr.
R. Travaglini, La ricerca in campo educativo. Modelli e strumenti, Roma,
Carocci, 2002;
R. Trinchero, Manuale di ricerca educativa, Milano, Angeli, 2002;
M. Baldacci, Metodologia della ricerca pedagogica, Milano, Bruno Mondadori,
2001.
1
Ivi, pp.. 34-35.
2. La logica della ricerca-azione.
“Per ricerca-azione si intende oggi una forma di ricerca partecipativa, compiuta da
persone direttamente impegnate nell’azione all’interno di una struttura o
istituzione, al fine di risolvere una specifica difficoltà.
Essa salda inscindibilmente il momento conoscitivo della ricerca, finalizzato alla
produzione di conoscenza su una data realtà educativa, con quello dell’azione,
finalizzato alla messa in pratica di un adeguato piano di intervento.
La ricerca non finisce con l’azione ma azione e ricerca sono contemporanee: la
ricerca fornisce il supporto conoscitivo per l’azione che a sua volta modifica la
situazione e rende necessaria nuova ricerca per delineare il nuovo quadro che si è
creato.
Prerequisito indispensabile della ricerca azione è che gli operatori, che sono gli
attori principali della ricerca, abbiano un effettivo potere decisionale, ossia
abbiano la possibilità di mettere in atto interventi concreti sulla situazione in
oggetto, in accordo con quanto suggerito dai risultati della ricerca da loro stessi
condotta.
La ricerca azione non segue un disegno rigidamente predefinito. Essa può partire
da ipotesi, ma il suo obiettivo primario non è il loro controllo. La ricerca azione si
svolge come un processo ciclico in cui ogni nuovo elemento di evidenza empirica
raccolto può servire da base per costruire nuove ipotesi.
I momenti del processo potrebbero essere suddivisi in:
identificare una situazione-problema;
sviluppare il gruppo di ricerca;
pianificare un intervento in risposta alla situazione-problema, basandolo su
obiettivi realistici e raggiungibili, definiti nel modo più preciso possibile;
agire per metterlo in atto;
rilevare gli effetti dell’intervento stesso;
riflettere su di essi per capire se l’intervento ha sortito gli effetti sperati oppure no,
quali sono stati gli effetti indesiderati, e come utilizzare questa conoscenza per
pianificare un nuovo intervento.
L’ottica è quindi quella di una continua verifica, valutazione e controllo dei
risultati conseguiti attraverso determinati interventi, e della conseguente modifica
di strategie adottate quando queste si rilevino inadeguate.
La verifica costante e attiva può assumere la forma del monitoraggio, ossia una
procedura di osservazione sistematica degli interventi e delle risposte, allo scopo
di rilevare le trasformazioni da essi prodotte, i parametri in grado di descriverle, di
tracciare le linee di evoluzione delle situazioni, gli ostacoli al raggiungimento
degli obiettivi, di mettere in luce i bisogni e le loro trasformazioni, le criticità, le
potenzialità della struttura e del gruppo di lavoro.
Sulla base dei dati di monitoraggio è possibile mettere in atto opportuni
aggiustamenti degli interventi” (R. Trinchero, I metodi della ricerca educativa,
Roma-Bari, laterza, 2004, p. 142/143).
Si tratta insomma di una concezione di ricerca e di metodologia strettamente
legata al farsi della conoscenza scolastica e che si realizza pienamente solo in
quanto indagine pratica di carattere conoscitivo, tesa a mutare in senso
migliorativo, le condizioni educative della classe:
“ il significato della metodologia non è solo quello di ricetta per fare ricerca, essa
è anche un modello di lettura di esperienze educative innovative: Può cioè
rivelarci i passaggi logici e cronologici di un determinato fatto o insieme di fatti in
modo da chiarirci l’andamento dell’insieme che analizziamo.
Da questo punto di vista la riflessione metodologica assume i caratteri di
un’analisi metacognitiva di un processo” (R. Gatti, Che cos’è la pedagogia
sperimentale, cit. pp. 45/47).
Per approfondimenti cfr:
G. Pozzo (a cura di), Insegnando s’impara. Ricerca azione in classe e sviluppo
professionale dell’insegnante, Torino, IRRSAE Piemonte, 1999;
K.R. Gilbert (a cura di), The emotional nature of qualitative research, Boca
Raton, CRC Press, 2001;
C. Trombetta, L. Rosiello, La ricerca azione, Trento, Erickson, 2000.
3.Le dinamiche di gruppo e i ruoli;
“La ricerca azione parte sempre da una situazione concreta, che gli operatori del
servizio percepiscono come problematica. È la comunità educativa a definire
quale situazione debba essere considerata situazione-problema. Gli operatori sul
campo, forti della conoscenza del contesto e delle potenzialità e dei limiti delle
risorse coinvolte, delineano il problema, lo analizzano e progettano strategie di
soluzione.
Il contesto ambientale e le dinamiche sociali assumono un ruolo centrale nella
ricerca e diventano parte inscindibile dell’oggetto di studio. I rapporti di forza e di
leadership, i conflitti manifesti o latenti, i bisogni, le aspettative, le esigenze, le
soddisfazioni e le insoddisfazioni degli attori, le speranze, le paure, le emozioni
determinano le modalità con cui il problema si presenta e le strategie di
applicazione delle soluzioni possibili.
Il coinvolgimento di tutti i membri della comunità nelle varie fasi del processo è
importante per poter cogliere il maggior numero possibile di aspetti della
situazione sotto esame, per interrogarsi sulle contraddizioni che potrebbero
emergere durante la ricerca (…), per poter giungere a soluzioni condivise e per
poter avere effettive possibilità di cambiamento.
La ricerca viene condotta in modo partecipato da tutti i membri della comunità,
che ne fanno proprie le istanze attraverso una continua negoziazione.
La negoziazione permette di giungere a un accordo largamente condiviso tanto sui
temi generali (…) quanto su temi specifici (…).
Il processo di ricerca deve mirare all’acquisizione di consapevolezza da parte
degli operatori, inducendo in essi la sensibilità a un continuo lavoro sul proprio
operato. Tale riflessione ha sicuramente aspetti individuali, ma viene stimolata
attraverso un processo di gruppo. È il gruppo che deve acquisire consapevolezza
delle proprie dinamiche e dei meccanismi che regolano il funzionamento del
servizio.
Anzitutto gli operatori devono rendersi conto di come la ricerca e l’attività
educativa non siano neutrali, ma risentano di numerosi condizionamenti politici e
sociali che avvengono a più livelli e in forme diverse.
Gli operatori devono poi divenire consapevoli delle risorse a loro disposizione,
delle proprie potenzialità e dei propri limiti, sviluppando capacità di autoanalisi e
di analisi delle situazioni operative concrete.
Tali capacità sono legate a due fattori.
Il primo è la competenza metodologica degli operatori, costituita dalle abilità di
riconoscimento, concettualizzazione e risoluzione dei problemi conoscitivi legati
alla propria attività, di introduzione degli strumenti della ricerca empirica (…)
nella propria pratica quotidiana, di utilizzo di una prassi decisionale basata sui
canoni della conoscenza scientifica (…)
Il secondo è la consapevolezza, da parte degli operatori, dei propri meccanismi
emotivi e relazionali e di come questi si inseriscono nelle dinamiche sociali del
contesto in cui agiscono.
L’acquisizione di consapevolezza si esplica anche nelle abilità di autovalutazione”
( R. Trinchero, I metodi della ricerca educativa, cit.. pp. 144/145).
Per approfondimenti cfr:
D. Silverman, Come fare ricerca qualitativa, Roma, Carocci, 2002;
P. Vayer, M. Camuffo, La faccia nascosta della classe, Roma, Magi Edizioni
Scientifiche, 2000;
D. M. Macrì, M.R. Tagliavento, La ricerca qualitativa nelle organizzazioni.
Teoria, tecniche, casi, Roma, Carocci, 2000.
4.L’apprendimento collaborativo.
“Un altro approccio metodologico che fa leva sulla partecipazione attiva sia in
ambito di ricerca sia di formazione è quello relativo all’apprendimento
organizzativo: tale approccio appare particolarmente funzionale alla disciplina
non solo per meglio metterne a punto i dispositivi di indagine sui processi e sui
contesti di formazione, ma anche per la progettazione e la messa in opera di
itinerari formativi in cui l’apprendimento e il mutamento si diano come esiti di
negoziazione sociale attraverso pratiche condivise e finalizzate.
L’apprendimento organizzativo, infatti, è una modalità di studio-lavoro che
favorisce l’acquisizione del nuovo ma attraverso processi che si realizzano
all’interno di setting formativi. Secondo tale metodologia è possibile superare
modelli organizzativi a livello sia professionale sia sociale di tipo burocratico,
autoritario, in cui le decisionalità e le innovazioni tradizionalmente discendono
dall’alto, per giungere ad una situazione in cui ciascun soggetto è
democraticamente
cambiamento2.
coinvolto
nel
processo
di
apprendimento-azione-
Riguardo l’apprendimento collaborativo è interessante inoltre sottolineare
l’utilizzo dei linguaggi multimediali nei metodi della formazione, in particolare di
quella a distanza i cui impatti pedagogici sociali sono fra i più grossi nodi della
nostra stagione culturale: tale utilizzo, se arricchisce e complica i processi di
apprendimento simbolico-ricostruttivo di elementi legati all’esperienza percettivomotoria, può non comportare un significativo aumento del livello di interazione
con i docenti dei corsi o degli studenti tra di loro, che rischiano di rimanere isolati,
tranne che nei rari incontri faccia faccia, proprio come avveniva nei corsi di prima
generazione.
Il vero salto qualitativo si ha invece con i sistemi di formazione in rete o di terza
generazione: la on-line education e l’utilizzo del computer conferencing system
offrono al soggetto la possibilità di inserirsi in un contesto collettivo ad alta
densità relazionale, comparativa e collaborativa, dove il dialogo studentestudente, studente-docente, studente-tutor, docente-docente ecc. consentita fra
l’altro anche dall’apertura di forum, permette a ciascuno di usufruire
dell’intelligenza collettiva che scaturisce dal gruppo 3. Infine, queste prospettive
metodologiche aprono la strada a nuovi agglomerati sociali che valicano confini
geografici e culturali e introducono elementi di rinnovamento e di pluralismo” (A.
Gramigna, Introduzione, cit.).
Per approfondimenti cfr:
D. Demaziere, C. Dubar, Dentro le storie, Milano, Cortina, 2000;
M. Castoldi, Verso una scuola che apprende, Roma, SEAM, 1995;
4. Guala, Metodi della ricerca sociale, Roma, Carocci, 2000.
5.La ricerca empirica.
La ricerca empirica attiene in modo privilegiato al piano descrittivo e strumentale
delle prassi formative, anche sia l’approccio teoretico sia quello storico e
comparativo possono e devono avvalersi dei dati empirici raccolti attraverso
l’investigazione sul campo.
“Tale ricerca può essere condotta secondo due finalità. Se l’obiettivo del
ricercatore è quello di far luce su una data realtà educativa, spazialmente,
temporalmente e culturalmente situata, allo scopo di avere una comprensione
approfondita della situazione considerata nella sua unicità e specificità, la ricerca
viene detta ricerca idiografica. È il caso, ad esempio, di un insegnante o di un
educatore che voglia utilizzare i metodi della ricerca educativa per conoscere
aspetti particolari dei giovani che segue e delle dinamiche che si instaurano nel
suo particolare contesto educativo.
2
Cfr. L. Iavarone, La formazione come processo e come organizzazione,cit..
Cfr. E. Corbi, La formazione a distanza e nuove tecnologie nella formazione continua, in M. L. Iavarone, V.
Sarracino, M. Striano, (a cura di), Questioni di pedagogia sociale, cit..
3
Se l’obiettivo del ricercatore è invece quello di astrarre, dalla situazione oggetto di
studio, leggi e regole di portata più generale, applicabili anche a contesti e
situazioni diverse da quelle in cui sono state prodotte, la ricerca viene detta
nomotetica. È il caso, ad esempio, del ricercatore accademico che studia il
problema dell’abbandono scolastico, individuando i fattori che, sulla base dei dati
raccolti, sembrano maggiormente legati all’abbandono. (…)
Ma in quali condizioni una conoscenza può assumere lo status di conoscenza
scientifica?
Questo problema ci rimanda di fronte al problema del cosa significa “fare
scienza”, problema al quale la ricerca empirica in educazione non può certo
sfuggire. Una ricerca che possa dirsi scientifica è una ricerca che mira a produrre
un sapere controllabile. Esso prevede che il ricercatore renda il più possibile
chiaro ed esplicito il percorso che lo ha portato a ottenere un certo sapere” ( R.
Trinchero, I metodi della ricerca educativa, cit.. pp. 4/5).
Tale conoscenza vigile, esplora le epistemologie sottese, ovvero la cognizione
della conoscenza che anima, talvolta non del tutto consapevolmente, le azioni
degli insegnanti-ricercatori.
Da questa teoria implicita, che non può mai coincidere con i processi di
costruzione della conoscenza stessa anche se, inevitabilmente, li influenza,
dipende molta della decisionalità e delle pratiche tanto formative quanto euristiche
- ossia investigative – della scuola.
Facciamo alcuni esempi macroscopici:
Per esempio, la percezione della realtà del docente può rimandare ad un
atteggiamento ontologico, ovvero può considerare il reale come un’entità
oggettiva, oppure come una rappresentazione vincolata alla cognizione e alla
condizione di chi la osserva, al tempo e al contesto, in un intreccio complesso di
fattori che presuppongono un approccio di tipo ermeneutico, cioè, interpretativo e
costruzionista. Il paradigma del relativismo rimanda a questo atteggiamento
mentale.
Chi ritiene che le situazioni siano conoscibili in modo deterministico (date tali
premesse CERTAMETTE si verificheranno tali esiti secondo la prospettiva
positivista che fonda il sapere scientifico sul riduzionismo e, appunto, sul
determinismo) e che SOLO questa conoscenza può essere considerata scientifica
in quanto certa e prevedibile, interpreta un atteggiamento cognitivo che potremo
definire di realismo ingenuo.
Il docente-ricercatore che, invece, ritiene la realtà conoscibile solo in modo
probabilistico, adotterà un approccio realistico critico.
Gli orientamenti epistemologici siglano le preferenze metodologiche e strategiche,
le quali, a loro volta condizionano le techiche di somministrazione e di rilevazione
dei dati osservati, nonché le loro analisi.
In sintesi occorre chiarire ed esplicitare:
1- le premesse teoriche, il quadro critico di riferimento, gli impliciti, l’epistemologia,
i modelli, il quadro valoriale;
2- gli obiettivi e i risultati attendibili;
3- gli snodi logici;
4- le prassi operative e gli strumenti (questionari, tracce di intervista, griglie di
raccolta e di catalogazione dei dati osservati);
5- strumenti e criteri della verifica;
6- scale di espressione della valutazione e suoi parametri.
Ma è indispensabile che fra questi sintetici nuclei del processo euristico sia
riscontrabile coerenza, di conseguenza il docente-ricercatore terrà sotto costante
esame le relazioni fra le fasi, gli strumenti, le strategie, le prospettive, gli obiettivi,
le verifiche del suo agire.
Quanto agli orientamenti contemporanei: “i ricercatori odierni adottano posizioni
che variano, con diverse sfumature, dal realismo critico, all’interpretativismo:
Tutti concordano su alcuni punti. Anzitutto, ogni forma di conoscenza è
storicamente e socialmente determinata, quindi i presupposti culturali e i
paradigmi teorici di riferimento del ricercatore influenzano in modo determinante
lo svolgersi dell’attività di ricerca, le scelte compiute e i risultati da essa prodotti.
Il ricercatore è un soggetto attivo nella costruzione del mondo e non un semplice
osservatore distaccato di una realtà che si svela per come è” ( R. Trinchero, I
metodi della ricerca educativa, cit.. p. 11).
Per approfondimenti cfr:
E. Gattico, S. Mantovani, La ricerca sul campo in educazione. I metodi
quantitativi, Milano, Bruno Mondadori, 1998;
5. Bryman, Quantity e quality in social research, London, Routledge, 1988;
R. Dottrens, Pedagogia sperimentale e sperimentazione, Roma, Armando, 1991.
6.La matrice di dati.
La ricerca che fa leva sulla matrice dei dati rappresenta un esempio classico di
ricerca empirica. Essa trae inizialmente origine da quella che prima abbiamo
definito come un atteggiamento realista che punta alla descrizione-spiegazione dei
fenomeni, alla luce, appunto, di dati che si ritiene possano quasi “fotografare”
almeno alcuni aspetti salienti della realtà.
Si tratta di una ricerca guidata da precise ipotesi che si avvale di procedure di
rilevazione (attraverso schemi e griglie che diano conto dell’ evidenza empirica),
catalogazione e analisi dei dati altamente formalizzata.
Per fare un esempio:
“Viene presentata una ricerca in corso, iniziata nell’anno scolastico 1982-83, nella
scuola elementare di S. Fili (Cosenza).
Si vuole indagare quale modello di tempo pieno venga in esso attuato. Il campione
è formato da 28 insegnanti; lo strumento utilizzato è un questionario che intende
sondare:
a)motivazione della scelta, atteggiamento della scuola a tempo pieno, rapporto
pieno-curriculum, rapporti fra insegnanti; b) aggiornamento; c) programmazionevalutazione-verifica; d) modello organizzativo-pedagogico-didattico; e) rapporto
scuola-famiglia e scuola-comunità esterna. Sono riportate in dettaglio le risposte
ottenute dagli insegnanti, dalle quali emergono alcune linee caratterizzanti il
modello considerato.
La scelta di partecipare al tempo pieno è determinata principalmente
dall’insegnare nel comune di residenza, dalla possibilità di fare una nuova
esperienza e di applicare metodi nuovi.
Il modello organizzativo utilizzato risulta essere L’interazione globale
(collaborazione degli insegnanti per l’intero arco del tempo scolastico e
programmazione collegiale delle attività didattiche)” (F. Costabile, Modellistica
della scuola a tempo pieno: analisi di una esperienza in ambiente cosentino, in
“Qualeducazione”, a. 4, n. 2, fasc. 10, apr-giu 1985, pp. 35).
Come si evince da questo esempio la ricerca viene condotta su di un campione (Il
campione è formato da 28 insegnanti ) estratto da una popolazione di riferimento
(tutti i docenti che operano nella scuola a tempo pieno del territorio), di cui si
cerca di individuare significative regolarità tendenziali che possano spiegare
scientificamente le relazioni fra i fattori (comune di residenza, innovazione, scelta
del tempo pieno).
Il campione per offrire spiegazioni-descrizioni esaurienti sotto il profilo
scientifico deve essere un campione rappresentativo, ossia contemplare
proporzionalmente le variabili che caratterizzano in generale la popolazione di
riferimento. Il grado di rappresentatività può essere dedotto dall’analisi del
processo che ha portato alla scelta del campione e quindi dovrà essere una scelta
fondata su di un sicuro piano teorico. Il numero dei componenti il campione è da
raccordarsi all’eterogeneità della popolazione di riferimento e dalla quantità dei
fattori considerati.
La rilevazione dei dati si avvale di strumenti quali questionari, test, interviste o
osservazioni rigidamente strutturate.
I dati rilevabili possono essere ricondotti a tre grandi aree:
° Caratteristiche del soggetto (dati anagrafici e biografici, atteggiamenti,
comportamenti, opinioni, intenzioni, preferenze …);
• Competenze, saperi, abilità, talenti, approcci cognitivi, strategie di apprendimentoazione e stili conoscitivi, conoscenze, metacompetenze (Competenza
nell’acquisere competenze);
• Costrutti psicologici, attitudini, emotività, competenze relazionali ed empatiche.
Gli strumenti di rilevazione:
• questionario;
• intervista;
• tests cognitivi e di personalità;
• prove oggettive di profitto;
• osservazione strutturata
L’analisi dei dati quantitativi prevede tecniche statistiche di elaborazione di tipo
monovariato (se l’obiettivo è descrivere l’andamento dei fattori nel campione),
bivariato (se l’obiettivo è individuare nessi tra fattori all’interno del campione).
La validità dei risultati di una ricerca si misura attraverso la loro rispondenza nei
confronti della realtà empirica (validità interna), la quale, a sua volta, rimanda
all’incrocio con altre tecniche di rilevazione e di analisi, in breve, con punti
visuale differenti che convergono sullo stesso oggetto. La possibilità di
generalizzare i risultati ottenuti dall’analisi sul campio a tutta la popolazione
segna il grado della validità esterna.
In sintesi possiamo affermare che l’attendibilità di una ricerca dipende dal rigore
metodologico nei confronti delle procedure dell’investigazione, il rispetto delle
quali rende possibile la ripetibilità ed il confronto delle esperienze.
“Ad esempio, se il costrutto sotto esame è la capacità di problem solving in
matematica, un item di una prova oggettiva di matematica che chieda allo
studente quale è la formula risolutiva delle equazioni di secondo grado non sarà
un indicatore valido della capacità di problem solving, dato che lo studente
potrebbe conoscere perfettamente la formula ma non saperla applicare. L’item
dell’esempio sarebbe un indicatore valido della capacità di memorizzazione di
algoritmi matematici, ma non della capacità di problem solving.
Un indicatore è quindi dotato di validità se è in rappresentanza semantica proprio
con quel preciso costrutto e non con altri, per quanto questi possano essere ad
esso similari.
La validità di una definizione operativa è quindi una proprietà del rapporto fra un
costrutto e i suoi indicatori, e può essere intesa come il grado di precisione e di
accuratezza della definizione operativa data al costrutto stesso” ( R. Trinchero, I
metodi della ricerca educativa, cit.. p. 66).
Per approfondimenti cfr:
L. Galliani (a cura di), La pedagogia sperimentale, Numero tematico della rivista
“Studium Educationis”, n. 2, 2000;
L. Gallino, L’incerta alleanza. Modelli di relazioni tra scienze umane e scienze
naturali, Torino, Einaudi, 1992.
L. Calonghi, Sperimentazione nella scuola, Roma, Armando, 1994.
7.La ricerca qualitativa e interdisciplinarità nella scuola.
“Una prima importante puntualizzazione riguarda il rapporto che lega l’indagine
qualitativa alle tradizioni di ricerca delle differenti aree disciplinari. Da questo
punto di vista va innanzitutto ricordato che per lo sviluppo della ricerca qualitativa
pedagogia, psicologia, sociologia e antropologia rappresentano dei punti di
riferimento certamente importanti, ma non esclusivi. Ampio è infatti il debito che
la ricerca ha ad esempio con le sc einze storiche, filosofiche, del linguaggio e
della comunicazione: basti pensare al ruolo crescente che soprattutto apartire dagli
anni ’60 ha assunto l’analisi della conversazione e del discorso per lo studio della
comunicazione e dell’interazione verbale.
La ricerca qualitativa si colloca dunqe all’intersezione di un’ampia gamma di
tradizioni intellettuali e disciplinarim, e allo stesso tempo non si risolve
completamente in nessuna di esse: più che un’entità stabile nel corso del tempo,
l’evoluzione di ogni disciplina appare infatti come un alternarsi di di prospettive e
di paradigmi differenti, spesso in competizione e sovrapposizione tra loro.
Ciò che contraddistringue l’indagine qualitativa non è il rimando a una particolare
area di studi, quanto il riferiento ad alcune indicazioni di findo nel fare ricerca:
- il ruolo centrale della “visione del mondo” dei soggetti per l’interpretazione della
realtà;
- La generazione di materiali attraverso strategie sensibili ai contesti di vita
quotidiana;
- Il desiderio di una comprensione quanto più possibile olistica e complessa della
reraltà studiata.
Da parte di molti ricercatori vi è inoltrte la tendenza ad aggiungere a queste
premesse la necessità di orientare il lavoro di ricrca oltre la mera descrizione, in
funzione dell’elab orazione di indicazioni pratiche che possono promuovere
processi di sviluppo ed empowerment da parte dei soggetti coinvolti nell’indagine.
La ricerca qualitativa appare pertanto in grado di mostrarci non solo gli elementi
di superficie della realtà quotidiana, ma anche la sua texture, la grana che ne
compone il sign ificato profondo. A partire da questo sfondo, condiviso dalla
mggior parte degli studiosi, l’evoluzione recente della ricerca qualitativa è stata
contrassegnata in questi ultimi decenni da un complessivo ripensamento e da un
vivace confronto critico, volti a metterne in discussione sia i tradizionali
presupposti gnoseologici nei confronti della realtà, sia l’implicita posizione di
autorità assunta dal ricercatore rispetto ai soggetti coinvolti nella ricerca.
Per quanto riguarda in particolare il primo punto, il dibattito scatgurisce a metà
degli anni ’80 a partire da quella che è stata definita la “svolta post-moderna”, è
sembrato focalizzarsi su due posizioni contrapposte. Da un lato troviamo i
sostenitori delle tesi decostruzioniste (alla Derrida), secondo i quali ogni
descrizione del mondo è sostanzialmente un confronto tra strategie retoriche che
fanno riferimento a diverse rappresentazioni culturali. Si postula così un radicale
processo di trasformazione della ricerca, attraverso la sua riduzione narrativa, in
un gioco linguistico che può essere analizzato così come si interpreta un testo
letterario. L’indagine diviene ricognizione estetica, itinerario interpretativo,
fiction, aprendo così nuove inconsuete possibilità di messa in scena (letteraria,
poetica, teatrale…), ma al tempo stesso esponendosi al rischio
dell’autoreferenzialità e della perdita di contatto con la realtà che si suppone di
voler conoscere.
In opposizione a quello che appare a molti come una pericolosa deriva
estetizzante si è asistito, dall’altro lato, a un’affermazione dell’opportunitrà di un
“ritorno alle origini”, di un recupero della concretezza del lavoro scientifico a
confronto con la natura incontrovertibilmente fattuale e tangibile del mondo
sociale. La posizione del realismo ci ricorda in tal senso che la sfera quotidiana
non si esaurisce nella sua interpretazione, ma in qualche misura sembra resistere
alle reti di significato che utilizziano per comprenderla: la realtà è là fuori.
Questa polarizzazione di interpretazioni, che oppone la prospettiva di un realismo
forte a quella del radicale decostruzionismo, non investe solo il piano della
discussione teoretica ma risulta in effetti presente in modo tacito, anche se più
sfumato, in buon parte della produzione scientifica legata alle indagini qualitative.
Quasi sempre si assume infatti in modo implicito che la ricerca sia in grado di
farci conoscere più da vicino la natura reale dei fenomeni studisti e, allo stesso
tempo, consenta di comprendere “dall’interno” i sistemi di credenze delle persone.
E’ evidente tuttavia che se applichiamo tali criteri alla stessa ricerca qualitativa il
realisamo finisce col negare la possibilità stessa di una comprensione emica,
mentre il decostruzionismo sfocia facilmente nel relativismo: a che titolo il
ricecatore può irtenere un punto di vista – compreso il proprio – più significativo
di un altro? (…)
Per cercare di risolvere tale dualismo occorre, come puntualizza Clifford Geertz,
non solo essere là – immergersi nel contesto da esplorare e riuscire gradualmente
ad assorbirlo – ma anche sviluppare una particolare sensibilità nel raccontarlo
attraverso un linguaggio vicino all’esperienza. In tal senso la solidità del lavoro di
ricerca qualitqativa risulta fondata non sul confronto tra il resoconto prodotto e
una supposta realtà oggettiva (come vorfrebe il realismo di derivazione
positivista), e neppure sul puro gioco di rimandi tra un testo e l’altro (come
propongono le tendenze di ispirazione post-moderna), ma piuttosto ulla relazione
che viene creata dal ricercatore tra il proprio racconto e le cose di cui parla.
Questa terza prospettiva, di orientamento costruzionista, consente così di
riconoscere la sostanziale indipendenza dei fenomeni nelle nostre affermazioni su
di essi, e al contempo stabilisce la legittimità delle spiegazioni del ricercatore,
intese non come scoperta di norme assolute che regolano la realtà, ma come
strategbie rivolte a comporre quadri rappresentazionali e interpretativi
“ragionevolmente sicuri” (reasonably confident).
Lungi dal definirsi come scelta di campo sviluppata in opposizione al paradigma
quantitativo, l’indagine qualitativa appare viceversa come il frutto di quell’analisi
sui limiti della conoscenza che ha attraversato buona parte della riflessione
scientifica dell’ultimo secolo. I vincoli contgenuti nella condizione stessa della
ricerca, e riferibili al ruolo situato del ricercatore, alla peculiarità dellle culture e
dei contesti, alla singolarità dei casi osservati, non hanno dunque come esito
inevitabile il depotenziamento dello statuto dell’indagine in direzione di una sua
versione debole e frammentaria, tanto più logorroica quanto più professa
l’impossibilità di parlare della realtà. Al contrario, in un’ottica costruttivista la
ricerca assume questi vincoli come punto di partenza, riconoscendo proprio
nell’impossibilità del distacco scientifico un’opportunità di interpretazione diversa
e calda dei fenomeni. Accanto al certum di Cartesio, la riflessione qualitativa
reintroduce il verum vichiano, “quello che l’uomo, nell’atto di conoscerlo,
compone con i suoi elementi, al tempo stesso che gli dà forma”. Parafrasando
Vico, potrtemmo dire che la ricerca partercipa della realtà, ma non la possiede, ed
è questo limite a tramutarsi in una risorsa per la sua comprensione. Come nota
Ceruti:
Gli aspetti individuali, idiosincratici, storici in senso ampio, le precondizioni inerenti ad
ogni punto di vista, i pregiudizi non appaiono come zavorra, come ostacoli da
neutralizzare, in vista di una progressiva purificazione dell’attività intellettuale, del
dispiegamento di un prfesunto nucleo logico, astorico ed universale. Questi aspetti, queste
precondizioni, queste limitazioni risultano le fvere ed irriducibili matrici costgruttive
della conoscenza, di ogni cambiamento e di ogni dialogo intersoggetivo (1996, p. 101).
Osservata a partire da tali premesse, la ricerca qualitativa si sviluppa come
un’organizzzione e uno stile di lavoro che risultano particolarmente in teressanti.
Le caratteristiche di relazione circolare e autoriferimento, che il paradigma
scientifico classico consdiderava tradizionalemente dimensioni spurie rispetto al
procedimento sperimentale, assumono infatti un ruolo essenziale come elementi
generatori delle condizioni di conoscenza: si assume perttanto che la ricerca, in
quanto processo che ci consente di con oscere l’ignoto, sia un’attività che
comporta sempre non solo rigore e controllo, ma anche riflessività e incertezza.
Come ricorda Stengers, nel parlare di ricerca occorre sempre ricordare che si tratta
“di un avvenimento, dell’invenzione di un accesso locale, selettivo, inatteso, mai
di una risposta finalmente sperimentale, finalmente oggettiva alle domande che ci
preoccupano” (1998, p. 66).
L’adozione di tale prospettiva da parte dell’indagine qualitativa rende evidente
quale sia la rilevanza del suo contributo rispetto all’attuale transizione da
un’impostazione normativa a un’epistemologia realmente sperimentale, (…). Al
tempo stesso l’approccio qualitativo ci consente di riconoscere il particolare
valore che assumono i momenti di discontinuità e rottura all’interno del percorso
evolutivo dell’indagine, come esperienze che favoriscono il “riorientamento
gestaltico” del ricercatore, un cambiamento di prospettiva nei confronti
dell’oggetto di studio e del suo significato. E’ questo il motivo per cui spesso per
descrivere la realizzazione di una ricerca qualitativa si usano metafore come il
bricolage, il patchwork, il montaggio cinematografico o l’improvvisazione jazz.
Possiamo parlare in questo senso di una capacità di ascolto specifica che
l’indagine qualitativa sa mostrare nei confronti delle dimensioni emergenti dei
fenomeni studiati. Tale capacità sollecita in particolare l’abilità del ricercatore nel
progettare e condurre il proprio lavoro non a partire da ipotesi formali e a priori,
ma sulla base di un quadro concettuale aperto e flessibile. E’ proprio l’intenzione
dell’osservatore a consentire infatti l’evidenziarsi delle proprietà specifiche
all’interno del contesto osservato, il loro riconoscimenti come un’unità che prende
forma da un sottinsieme di frammenti selezionato dalla totalità dei frammenti
possibili.
Sotto questo profilo la ricerca qualitativa mostra analogie con lo studio dei sistemi
complessi, la cui attenzione è rivolta prevalentemente ai processi “lontani
dall’equilibrio”, ossia a quegli ambiti in cui le fluttuazioni e le instabilità svolgono
un ruolo essenziale per la formazione di proprietà nuove e inattese” (F. Davigo (a
cura di), La qualità plurale. Sguardi transdisciplinari sulla ricerca qualitativa,
Milano, Franco Angeli, 2005, pp. 21-25).
Per approfondimenti cfr:
G. Giorello, Introduzione alla filosofia della scienza, Milano, RCS, 1999;
L. Ricolfi (a cura di), La ricerca qualitativa, Roma, Carocci, 1998;
L. Galliani (a cura di), Qualità della formazione ricerca pedagogica, Lecce,
Pensamultimedia, 1999;
Ceruti M, Il vincolo e la possibilità, Milano, Feltrinelli, 1996;
Geertz C., Interpretazione di culture, Bologna, Il Mulino, 1987;
Geertz C., Opere e vite. L’antropologo come autore, Bologna, Il Mulino, 1990,
Strengers I., Scienze e poteri, Torino, Bollati Boringhieri. 1998.