1 Adar (`adār) – Mese del calendario ebraico, corrisponde a febbraio
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1 Adar (`adār) – Mese del calendario ebraico, corrisponde a febbraio
tannico. Col termine olè si intende l’«immigrante», cioè colui che compie l’a. Il termine opposto è yeridà «emigrazione», «emigrante» si dice yored. A Adar (’adār) – Mese del calendario ebraico, corrisponde a febbraio-marzo. In alcuni anni, detti ‘embolismici’, a causa della necessità di adeguare il ciclo lunare dei mesi dell’anno solare, viene aggiunto un secondo mese di a.: in questi casi si distingue tra Adar rishon ed Adar shenì o we adar. Afiqomen (’afîqômēn) – Parola di etimologia incerta il cui significato è quello di non portare in tavola e quindi di non mangiare alcuna cosa dopo aver terminato il pasto. Pezzo di azzima nascosto. Viene mangiato, durante la cena di Pesach, in memoria dell’agnello pasquale. Aliyà (‘aliyiāh) – salita. Con questo termine si intende: a) la salita a Gerusalemme compiuta, in epoca biblica, soprattutto nelle tre “feste di pellegrinaggio” (Pasqua, Settimane, Capanne); b) L’immigrazione in terra di Israele. In riferimento all’epoca contemporanea si parla di cinque aliyòt (1880-1903; 1904-1905ss.; 19191923; 1924-1928; 1929ss.) e di una aliyà Bet, riferita all’immigrazione illegale verso la fine del mandato bri- Amidà (‘āmîdāh) – stare in piedi. È il secondo modo di indicare la tefillà (tefillāh. «preghiera»; dalla radice palal «giudicare, osservare, esaminare»), ed è detta anche shemonè esrè (šemôneh ‘eśrēh «diciotto [benedizioni]»). È la preghiera per eccellenza della liturgia ebraica. Si tratta del secondo momento centrale della liturgia sinagogale quotidiana (il primo è lo shemà), viene recitata tre volte al giorno, in piedi, rivolti verso Gerusalemme. Si compone di una serie di brevi benedizioni o preghiere (diciannove, una fu aggiunta più tardi). Amoraìm (’āmôra’îm; dal verbo amar «parlare») – Titolo conferito ai dotti ebrei di Palestina nei secoli III-VI e.v. (seconda epoca rabbinica). Gli a. illustravano e spiegavano le opinioni dei sapienti che li avevano preceduti (i tannaìm). La loro opera è raccolta nel Talmud. Aqedà (‘aqêdāh) – legatura [degli arti]. L’offerta sacrificale di Isacco che Dio chiese ad Abramo. Essa divenne il simbolo stesso del martirio. Arbaà minìm (’arbā‘āh mînîm) – quattro tipi [di pianta]. Rami di palma (lulav), cedro (etrog), salice e mirto usati durante i riti della festa di Sukkòt. Aron (’arôn) – arca (anche aron haqodesh «arca santa»). È l’«armadio sacro» posto sulla parete orientale del1 la sinagoga, volta verso Gerusalemme. Vi sono custoditi i rotoli della Torah, rivestiti dei loro ornamenti. Askenaziti – Con il termine Askenaz ci si riferiva, nella letteratura ebraica medievale, all’Europa centrale, in modo specifico alla Germania. Gli askenaziti sono perciò gli ebrei provenienti da quella zona e in seguito in buona misura spostatisi verso l’Europa orientale e la Russia, e da lì in America, in Israele e in vari altri paesi. Caratterizzati da un’autonoma tradizione culturale, spesso dall’uso della lingua yiddish e da una particolare pronuncia dell’ebraico, gli askenaziti adottano alcune particolarità rituali. Atarà (‘atārāh) – corona, diadema. Simboleggia la regalità della legge divina, adorna il Sefer Torah. Nella qabbalà designa talvolta la decima sefirà. Av (’āb) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a luglio-agosto. Avodà (‘abōdāh) – sevizio, lavoro [culto]. Esprime il senso ebraico della liturgia. Nel suo uso biblico il termine indica il servizio liturgico nel Tempio. B Baraita (bāraytā’) – la [dottrina] che si trova esternamente (abbreviazione matnità baraita). Indica tutte le tradizioni tannaitiche che non sono state accolte nella Mishnà. L’espressione ebraica equivalente Mishnà chizonà è documentata più tardi. 2 Bar mizvà (bar misw āh) – figlio del precetto. L’espressione indica nel Talmud l’ebreo adulto che, in quanto tale, è tenuto ad osservare ogni mizvà. Col tempo l’espressione è venuta ad indicare la cerimonia con la quale il ragazzo ebreo diventa adulto. Il rito si celebra normalmente in sinagoga, il primo sabato consecutivo ai tredici anni del ragazzo. Oltre al b., recentemente, soprattutto presso gli ebrei liberali, si celebra anche una bat mizvà («figlia del precetto») per le ragazze che hanno raggiunto il dodicesimo anno. Berakà (berākāh) – benedizione. Le benedizioni (berakot) contengono tutte le formula «Benedetto tu, o Signore, Dio nostro, re del mondo» (Baruk attà Adonai eloenu melek aolam), seguita dai testi relativi alle varie circostanze. Berit (berît) – patto, alleanza. Besamim (beśāmîm) – profumi. Utilizzati per la cerimonia dell’avdalà che segna l’uscita dal sabato. Bet din (bêt dîn) – casa del giudizio. Tribunale rabbinico con giurisdizione su materie religiose e con funzioni di arbitrato. Bet ha-knesset (bêt ha-kneset) – casa dell’assemblea. Sinagoga. Binà (bînāh) – intelligenza. Nella qabbalà indica la terza sefirà, talvolta detta anche teshuvà. Birkat ha-mazon (birkāt ha-māzôn) – benedizione per il pasto. La più importante tra tutte le benedizioni. C Caraismo – (da qaraìm «biblisti»). Movimento religioso sorto nel VIII sec. e.v. in ambito babilonese. I caraiti, rifiutando il monopolio della tradizione orale codificata nel Talmud, elaborarono una precettistica dedotta dalla sola interpretazione letterale del testo biblico. Il più grande autore caraita fu Yaqub al-Qirqisani (X sec. e.v.). Challà (hallāh) – focaccia. Pane speciale a forma di treccia che si usa consumare il sabato. Chaluz (haluz) – pioniere. In senso stretto membro di un’organizzazione sionistica, detta he-chaluz, fondata per preparare gli ebrei di tutto il mondo alla vita in Palestina, con particolare riferimento all’attività agricola, e sviluppatasi nella prima metà del XX sec. Genericamente, in senso ampio, nome collettivo (chaluzim) che designa i primi sionisti. Chanukkà (hanukkāh) – dedicazione. Nota anche come «festa delle luci», si celebra per otto giorni dal 25 di kislev. L’evento storico di riferimento è la dedicazione del tempio – profanato da Antioco IV nel 167 a.e.v. – ad opera di Giuda Maccabeo nel 164 a.e.v. L’elemento rituale di maggiore importanza della festa è l’accensione delle candele – una per sera – della speciale lampada ad otto bracci chiamata cha- nukkiyà (hanukkîyyāh), prima in sinagoga, e poi in casa. Charoset (harôseth) – Uno degli elementi del seder shel Pesach. Si tratta di una sorta di marmellata di vari frutti e spezie il cui aspetto simboleggia la malta con cui gli ebrei fabbricavano i mattoni in Egitto. Chassid (hāssîd) – pio. Comunemente designa chi appartiene al movimento religioso chiamato chassidismo iniziato da Israel Baal Shem Tov (16981760) in Europa orientale nella metà del XVIII sec. Ci fu anche un movimento analogo in Germania nel secolo XIII. Chazzan (hazzān) – Colui che guida la preghiera comunitaria. Cherem (hērem) – separato. Sanzione comminata dai tribunali rabbinici che comporta l’esclusione del membro anatematizzato e il divieto agli altri membri di associarsi a quest’ultimo. Chesed (hesed) – clemenza. Nella qabbalà indica la quarta sefirà, chiamata anche ghedullà. Cheshvan (hešwān) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a ottobrenovembre. Chiddush (hîddûš) – rinnovamento. La continua innovazione in campo alakico e haggadico permessa dalla dialettica della tradizione orale. 3 Chokmà (hokmāh) – sapienza. Il sapiente, il «saggio» è lo chakam. Nella qabbalà indica la seconda sefirà. Elul (’œlûl) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde ad agostosettembre. D En sof (’ên sôf) – infinito. Viene così chiamato il principio divino inconoscibile, che trascende completamente la creazione e che, prima di dar vita al cosmo, riposa nel proprio mistero, pervadendo si sé la totalità. È l’assoluta perfezione, nella quale non vi sono né distinzioni né differenziazioni. Daat (da‘at) – conoscenza. Nella qabbalàviene talvolta designata con questo nome una entità intermedia tra hokmāh e bînāh, come una sorta di equilibratore tra le due. Talora assume il valore di sefirà autonoma, talaltra viene identificata con tiferet. Dayan (dāyyān) – giudice. Dayyenu (dayyenû) – ci sarebbe bastato. Ritornello, divenuto proverbiale, di un inno cantato durante la lettura della haggadà di Pasqua. Derashà (derāšāh) – ricerca. Nella lettura sinagogale della Scrittura, alla parashà e alla aftarà segue un terzo elemento, la d., il commento omiletico volto ad attualizzare i brani biblici letti. Devequt (debeqût) – adesione. Nella qabbalàsi intende l’unione mistica con Dio. La dottrina è ripresa, con alcune differenze, nel chassidismo. Din (dîn) – giudizio, rigore. Nella qabbalà si indica talvolta la quinta sefirà. E Erez Israel (’eres yiśrā’ēl) – terra di Israele. Eruv (‘êrûb) – mescolanza, unione. Il termine indica diversi modi per rendere leciti determinati atti proibiti al sabato e nelle feste. Uno dei più noti è l’eruv techunim, l’unione ideale di due zone che consente di sabato di percorrere una distanza maggiore dei duemila cubiti permessi; lo si attua ponendo all’interno dei duemila cubiti il cibo per due pranzi e si stabilisce con ciò una seconda «abitazione» come secondo punto di partenza per ulteriori duemila cubiti da percorrere in una determinata direzione. Analoga doppia cottura dei cibi è prevista per la vigilia di Pesach nel caso in cui il primo giorno di Pesach cada il giovedì, così da permettere di cucinare il pasto per il sabato del venerdì che è moed. la Mishnà dedica a questi temi un trattato specifico chiamato erubin appartenente al secondo ordine Moed («feste»). G 4 Gaon (gā’ôn) – eminente, maestoso, superbo. Quella dei gheonim (ghe’ōnîm) è la quarta epoca rabbinica (VII-XI sec. e.v.). G. è detto il capo delle accademie babilonesi, poi di quelle talmudiche nel medioevo. Ghedullà (ghedûllāh) – grandezza. Nella qabbalà indica la quartasefirà, talvolta detta anche chesed. Ghemarà (ghemārā’) – completamento (dal verbo «finire, completare», ma anche «imparare»). È l’«apprendimento della tradizione» o la «dottrina tradizionale» stessa, in opposizione alla sebarà (sebārā’), la deduzione logica di nuove norme. Indica, in senso stretto, i commenti degli amoraim alla Mishnà. La g., con la Mishnà stessa, forma il Talmud. Il termine g. venne usato come sinonimo di Talmud, a causa della censura, nelle stampe a partire dall’edizione di Basilea del 1578-1581. e e e- Ghematrià (ghîmatr yā’ o gh matr yā’) – Metodo di interpretazione e di permutazione delle parole ebraiche attraverso il valore numerico delle lettere che le compongono, mediante criteri di sostituzione alfabetica. Ghenizà (ghenîzāh) – nascondiglio. Luogo in cui venivano riposti i testi sacri usati, non più utilizzabili. Ghetto – La spiegazione più diffusa, ma non universalmente accolta, dell’etimo della parola lo lega al nome del quartiere di Venezia chiamato «geto novo» (a causa della presenza in esso di una fonderia) in cui nel 1516 furono obbligati a risiedere gli ebrei di origine tedesca. Pronunciata in modo duro secondo l’uso dei nuovi abitanti, il nome della zona divenne «gheto». Il quartiere di segregazione ebraica coatta fu un fenomeno tipico dell’epoca moderna (cf. per contro l’espressione stereotipata «ghetto medievale»). In periodo medievale gli ebrei abitavano in genere, anche per motivi interni, in quartieri separati, ma non cintati o chiusi. In vari luoghi, segnatamente in Italia meridionale, questi quartieri venivano chiamati «giudecche». Gheullà (ghe’ullāh) – redenzione. Dalla stessa radice trae origine anche il termine goel (gō’el) «riscattatore, redentore», specie in merito alla norma del levirato (l’obbligo di sposare la vedova del fratello morto senza figli). Il termine compare nella Bibbia anche per indicare la salvezza del popolo sia nel passato che nel futuro. Ghevurà (ghebûrāh) – potenza. Nella qabbalà indica la quinta sefirà, talvolta detta anche din o pachad. Ghilgul (ghilgûl) – giro, rotazione. Indica l’incessante movimento delle anime di corpo in corpo. Golem (gôlem) – sostanza informe. Creatura prodotta grazie ad un’operazione di carattere magico, per mezzo di nomi santi. Le modalità della sua plasmazione risentono del modello contenuto nella seconda narrazione della creazione dell’uomo. Le leggende in tal senso erano molto diffuse nel medioevo e all’inizio dell’età moderna. La leggenda più famosa del Golem 5 è legata alla figura di Rabbi Löw (Yehudah ben Bezalel di Praga), conosciuto anche come il Maharal (ca. 1525-1609). Goy (gôy) – nazione. Non ebreo. Termine usato spesso in senso spregiativo. H Havdalà (habdālāh) – separazione. Si chiama così la cerimonia con la quale dopo il calare del sole, ha termine il Sabato, che viene così distinto dai giorni feriali. La breve cerimonia comprende quattro brevi benedizioni pronunciate sul vino, sulle spezie profumate (besamim), e sulla luce emanata dal fuoco. Haftarà (haftārāh) – Brano profetico di commento alla lettura settimanale della parashà. Haggadà (haggādāh) – narrazione (dal verbo nagad «annunciare, narrare»). Definito per lo più in modo negativo, il termine indica, nella letteratura e nella tradizione rabbinica, tutto ciò che non è halakà, vale a dire tutto ciò che, pur trattando magari anche di argomenti religiosi, non ha caratteristiche di legge religiosa vincolante. I generi letterari della tradizione haggadica sono assai vari (leggenda, predica, parabola, midrash). Quando però ci si riferisce alla h. di Pesach, si intende il rituale recitato nelle famiglie ebraiche la prima e la seconda sera di Pasqua (in Israele solo la prima sera). 6 Halakà (halākāh) – andatura. Indica il comportamento, dunque la singola legge religiosa, o anche l’insieme delle leggi religiose che regolano la vita degli ebrei. Essa deriva dalla rivelazione di Mosè al Sinai, e si è tradotta poi nella tradizione orale e nella tradizione scritta della Torah. La h. è contenuta soprattutto nella Mishnà, ma anche nel Talmud e negli scritti midrašici, in quanto interpretazioni della stessa Mishnà e della Bibbia. Hallel – lode. Si riferisce all’uso liturgico dei Salmi 113-118. Haskalà (haśkalah) – (dal verbo shakal «comportarsi intelligentemente»). L’illuminismo ebraico che si prefiggeva di diffondere la moderna cultura europea fra gli ebrei. Si sviluppò tra il 1750 e il 1880 circa. Hekalòt (hêkālôt) – palazzi. Nel giudaismo postbiblico la struttura celeste viene sovente immaginata come un susseguirsi di edifici che, di cielo in cielo, divengono sempre più eterei e luminosi. Il genere letterario degli h., ricco di immagini visionarie, è incentrato su un’ascesi che si sviluppa attraverso i palazzi celesti, concepiti come un’architettura di luce che modella lo spazio divino. Queste case celesti emulano – in una misura e una scansione fisica – la ricerca interiore, cosicché il procedere dell’adepto di grado in grado può essere descritto come un passaggio in una successione di palazzi angelici. Per accedere a ciascuno di essi, il protagonista deve conoscere i nomi degli arconti che li pro- teggono, le parole d’ordine per essere ammessi nonché le dimensioni degli edifici. Poiché il procedere verso l’alto viene immaginato anche come una discesa nell’interiorità, questa architettura trascendente si riflette in una sorta di costruzione dell’anima e accoglie il mistico come un rifugio sicuro. Hod (hôd) – fasto. Nella qabbalà indica l’ottava sefirà. I Iqqarìm (‘iqqarîm) – principî, fondamenti. Fondamenti irrinunciabili della fede ebraica. I primi accenni si trovano in Filone e in seguito nella letteratura talmudica. La loro elencazione divenne molto diffusa nel medioevo. La formulazione più autorevole e diffusa è costituita dai “tredici” i. redatti da Maimonide (nella loro formulazione breve diventati anche testo liturgico). In seguito l’elenco fu maggiormente concentrato; Josef Albo (ca. 13801444), ad esempio, ridusse l’elencazione a tre soli punti: esistenza di Dio, rivelazione, ricompensa. Il dibattito su questo argomento proseguì anche in età moderna e contemporanea. Iyyar (’iyyār) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde ad aprilemaggio. K Kasher (kāšer) – adeguato. Il termine si riferisce a tutto ciò che corrisponde alle norme di vita ebraica come stabilite dalla tradizione. In particolare si riferisce alla preparazione degli alimenti e delle bevande per i quali vigono norme rigorose. È nota anche la pronuncia askenazita kosher. Kavvanà (kawwānāh) – intenzione. Secondo la qabbalà e il chassidismo, è il complesso sistema delle kavvanòt, le «devozioni», che permettevano al fedele di vivere la preghiera, e il culto sinagogale, come un aspetto del dramma cosmico dell’emanazione. Kelìm (kēlîm) – vasi. Nella qabbalà lurianica i k. furono predisposti prima della creazione perché accogliessero le sefirot. La dottrina della «rottura dei vasi» (ševîrat ha-kēlîm) spiega lo squilibrio tra il mondo inferiore e quello superiore e la lotta tra il bene e il male. L’armonia originaria spezzata dalla rottura dei vasi sarà ristabilita per mezzo del tiqqun. Kèter – corona. Nella qabbalà indica la prima sefirà. Ketubà (ketûbāh) – scrittura. Contratto matrimoniale. Il documento, scritto in aramaico, contiene gli obblighi dello sposo nei riguardi della sposa. Un trattato della Mishnà, Ketubòt, tratta di questo documento e delle modalità per prepararlo. Kibbuz (qibbûs) – riunione, collettività. Forma di insediamento, prevalentemente di carattere agricolo, proprio della Palestina (i primi kibbuzìm furono fondati nel 1910) e successivamente dello stato di Israele, organizzato su 7 base collettivistica e contraddistinto dalla mancanza di proprietà privata e dall’estensione della dimensione comunitaria anche alla mensa e all’educazione della prole. La vita del k. si ispira alle concezioni proprie della democrazia diretta. Vi sono k. di vario orientamento, la maggior parte sono laici, ma non ne mancano di religiosi. Il peso culturale e politico del movimento kibbuzistico, specie nei primi decenni di vita dello stato, è stato assai rilevante e molto superiore alla percentuale di popolazione israeliana residente nei k. Dal k. va distinto il moshav (môšab), insediamento agricolo di tipo cooperativistico che si situa in posizione intermedia tra il collettivismo integrale dei k. e un sistema basato sulla pura proprietà privata. Il ritorno messianico a Sion è indicato mediante l’espressione tradizionale kibbuz gheluiot «riunione dei dispersi». Kippah – capo. Piccolo copricapo, zucchetto, indossato dai maschi in sinagoga, durante lo studio della Torah, nel corso delle benedizioni del pasto, al cimitero, ecc. Gli osservanti lo indossano tutto il giorno o sono sempre comunque a capo coperto. Specie in Israele l’uso è alquanto diffuso ed è spesso considerato un vero e proprio segno di appartenenza. La consuetudine di coprirsi il capo non è un precetto biblico e non si trova neppure nella Mishnà. La sua universale diffusione è piuttosto tarda, risale infatti al basso medioevo e all’età moderna. Tuttavia oggi è visto come uno degli obblighi rituali più sentiti. Varie 8 sono le interpretazioni attribuite a quest’uso, la più frequente è di presentarlo come segno di rispetto della presenza di Dio ovunque diffusa. Kislev (kislēw) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a novembredicembre. Kohen (kōhen) – sacerdote. Attualmente indica i supposti discendenti dai sacerdoti che servivano il tempio nelle funzioni cultuali. Per i k. vige uno statuto particolare. L Ladino – o giudeo-spagnolo. Dialetto ebraico-spagnolo parlato dagli ebrei di origine spagnola anche dopo la loro cacciata (1492) e in cui è stata composta una vasta letteratura sia religiosa che profana. Lekà dodì (lekāh dôdî) – vieni, mio caro. Inno cantato durante la liturgia dello shabbat e costituito da nove stanze: le prime otto formano acrosticamente il nome dell’autore, Šelomò ben Moses ha-Levi Alkabez (15051584), un cabbalista di Safed discepolo di I. Luria (1534-1572). Il testo si ispira al Cantico dei Cantici e ad una parabola talmudica che narra l’incontro festoso dei rabbi con la regina, lo shabbat. M Maariv (ma‘arîb) – (da erev «sera»). Preghiera della sera. Machloqet (mahlôqet) – divisione, differenza. Disputa rabbinica. Machzor (mahzôr) – ciclo [dell’anno]. Originariamente si trattava di un libro di preghiere in senso ampio. In seguito venne limitato ad indicare il libro di preghiere del sabato e dei giorni festivi. Magghìd (magghîd) – annunciatore, messaggero. Con questo termine si designa, nella letteratura cabbalistica, l’angelo o la forza celeste che confida segreti al mistico. La parola indica anche un predicatore molto popolare, spesso itinerante o uno dei momenti del seder shel Pesach. Maghen (māghēn) – scudo. L’ambito in cui la nozione di m. è più frequentemente applicata nella Bibbia, nella letteratura rabbinica e nella liturgia è quello divino, per significare la sicura protezione accordata dal Signore agli ebrei. Nella formula recitata al termine della haftarà si benedice il Signore «scudo di Davide», nel corso del XII sec. e.v. questo scudo cominciò ad essere associato con la stella a sei punte (l’esagramma chiamato anche kokav David «stella di Davide»), divenendo progressivamente segno distintivo del giudaismo. Nella qabbalà il m. è il segno dell’intersecarsi di due diversi piani sefirotici. Magia – Pur se nettamente condannata dalla Bibbia, essa ha svolto nel giudaismo, specie in epoca medievale e moderna, un ruolo rilevante. Scongiuri, uso di sigilli magici e altre pratiche costituiscono una parte non secondaria degli scritti appartenenti alla letteratura degli hekalòt. Questi temi trovarono spazio anche nel medioevo e nel chassidismo. Malkut (malkût) – regno. Nella qabbalà indica talvolta la decima sefirà. Mappà (mappāh) – Tovaglietta che ricopre il Sefer Torah durante le pause della lettura. Marrano – maiale. A seguito dell’editto di Granada (1492), una parte della comunità ebraica, pur di rimanere in Spagna, accettò la conversione forzata; questi conversos saranno chiamati marranos in senso dispregiativo. Mashiach (mašîah) – Unto. Messia. Masora (masôrāh) – trasmissione, tradizione. In senso ampio si tratta dell’insieme delle regole e delle tradizioni ‘trasmesse’, cioè tramandate, soprattutto in riferimento alla corretta vocalizzazione e interpretazione del testo biblico. Formalmente è l’opera dei masoreti, realizzata dal VI al X sec. e.v. in Palestina e Babilonia. Si deve a costoro la vocalizzazione e l’insieme sistematico dell’apparato critico aggiunto al testo della miqrà: vocali, accenti e note filologiche. Questo testo è chiamato appunto testo masoretico. Mazzà (mazzāh) – azzima. Pane schiacciato non lievitato e senza sale che si usa mangiare durante i giorni di Pesach, quando sono vietati tutti i cibi lievitati. 9 e Meghillà (m ghillāh) – rotolo. Meghillòt vengono chiamati i cinque libri biblici, appartenenti ai ketubim, letti nel corso di varie feste: Cantico dei cantici (Pasqua); Rut (Settimane); Lamentazioni (9 di av); Qoelet (Capanne); Ester (Purim). Quando il termine m. viene impiegato senza ulteriori specificazioni ci si riferisce a quella di Ester, l’unica che ha una veste grafica particolare ed è illustrata. Meil (me‘îl) – v. Sefer Torah Menorà (menôrāh) – Candelabro sacro a sette bracci che costituiva elemento fondamentale del culto templare. L’esclusione dalla liturgia sinagogale ha fatto sì che, nel corso dei secoli, alcuni dei significati propri della m. del tempio fossero trasferiti in due oggetti di largo impiego nella consuetudine religiosa giudaica: la hanukkiyà e il ner tamid. Nella qabbalà i bracci alludono alle sette sefirot inferiori, il braccio mediano, prevalente sugli altri, si riferisce allo statuto particolare di malkut. Il processo di allegorizzazione, sempre più complessa, della m. si è protratto fino alla fine del XVIII sec. Merkavà (merkābāh) – carro. Insegna della regalità e del valore guerriero, indica nella bibbia ebraica il prestigio dei sovrani o l’apparizione stessa del Signore. Pur non essendo presente il termine in Ez 1,16-18, sulla base di questo testo, a partire dal III sec. e.v. l’«opera del carro» (ma‘aśeh merkāvāh) indicherà la conoscenza esoterica, in opposizione all’«opera della crea10 zione» (ma‘aśeh berē’šît). La m. diviene, al contempo, veicolo soprannaturale e meta stessa dell’itinerario oltremondano verso la contemplazione celeste. Mezuzà (mezûzāh) – stipite (pl. mezuzòt). Astuccio di canna o di altro materiale da affiggere, inclinato verso l’interno, sullo stipite interno della porta. Questo astuccio contiene un rotolino di pergamena su cui sono scritti due dei passi biblici presenti anche nei tefillin: Dt 6,4-9; 11,13-20; in essi si legge infatti che i precetti devono essere scritti anche sugli stipiti delle case. Middà (middāh) – regola, misura, attributo (pl. middot). Le regole dell’esegesi biblica codificate da Hillel (le «sette regole») nel I sec. a.e.v., successivamente da Yishmael (le «tredici regole») nel I sec. e.v., quindi da Eliezer (le «trentadue regole») alla fine del II sec. e.v. Nella letteratura cabbalistica il termine designa abitualmente le sette sefiròt inferiori, da chesed a malkut. Midrash (midrāš) – ricerca. Il termine indica la ricerca svolta sulla Scrittura, l’interpretazione e l’attualizzazione della Bibbia. Indica inoltre i frutti di tale interpretazione, cioè i commenti biblici. M. si usa anche per riferirsi al genere narrativo, leggendario e omiletico presente nella letteratura talmudica o per indicare una piccola unità letteraria di un passo biblico su uno specifico argomento. Il ricercatore, ma anche il predicatore, è chiamato darshan. Milà (mîlāh) – circoncisione. La liturgia che accompagna la nascita di un bambino è chiamata berit milà («alleanza della circoncisione») e con essa il neonato diviene «figlio di Abramo». Il bambino maschio viene portato in sinagoga otto giorni dopo la nascita, la circoncisione è eseguita da due persone qualificate: il mohel che compie sul bambino la piccola operazione, e il sandaq, «padrino» che lo tiene in braccio. Per la cerimonia si dispone di due sedie: una per il sandaq e l’altra per il profeta Elia che, secondo la tradizione popolare, è presente ad ogni circoncisione. Minchà (minhāh) – offerta. Preghiera pomeridiana. Minian (minyān) – numero. Il numero di 10 maschi adulti (divenuti tali con il bar mizvà) necessario per la preghiera comunitaria. Miqrà (miqrā’) – lettura (dal verbo qarà «convocare, chiamare, gridare»). Uno dei modi di chiamare la Bibbia ebraica. Con miqraòt ghedolot («grandi letture») si intende la Bibbia rabbinica, cioè il testo biblico con masora magna e parva, parafrasi aramaiche e commenti. La Bibbia ebraica è chiamata anche Tanak, acronimo dalle iniziali delle sue tre parti: Torah (il Pentateuco), Neviìm (i profeti) e Ketubìm (gli scritti). La Torah può anche chiamarsi Chumash (Hûmāš, da chamesh «cinque»), allusione ai cinque libri da cui è formata. Mishnà – ripetizione (dal verbo shanà «ripetere», ma anche shenayim «due»; aram. matnità). Studio o insegnamento orale della dottrina tradizionale attraverso la recita ripetitiva, in opp. a miqrà. La ripetizione è il metodo per tramandare la dottrina tradizionale, costituita soprattutto dal materiale halakico ricavato dalla Bibbia. La m. per antonomasia è la prima raccolta scritta (tradizionalmente attribuita a r. Jehudah ha-Nasi – Rabbi –, intorno al 200 e.v.) di leggi religiose del giudaismo postbiblico, tramandate in origine oralmente. L’espresisone può anche indicare la dottrina di un maestro tannaita, un singolo insegnamento o una raccolta di questi insegnamenti. La m. è divisa in sei sedarim, «ordini» (sing. seder), suddivisi a loro volta in «trattati» (massektòt), ogni trattato è diviso in «capitoli» (pirqè), le mishnaiòt sono i paragrafi del testo (il Talmud Y – e talvolta anche il Talmud B – usa invece, per indicare i singoli paragrafi, il termine halakà). Per indicare la m. nel contesto talmudico si utilizza il termine shas, abbreviazione di shishà sedarìm «sei ordini». Mizvà (misw āh) – norma, precetto (pl. mizvòt). Secondo il Talmud, le m. contenute nella Torah sono 613, di cui 365 (come il numero dei giorni dell’anno) sono dei divieti, e 248 (come il numero delle «membra dell’uomo») sono positivi. Moed (mô‘ed) – ricorrenza festiva. Secondo ordine della Mishnà. Moshav (môšab) – v. kibbuz 11 Mozè shabbat (môsē šabbāt) – uscita del sabato. Cerimonia conclusiva della festa del sabato. Musaf (mûsāf) – aggiunta. Preghiere addizionali che si recitano nei giorni festivi e in giorni particolari. Nella liturgia del sabato, il m. è collocato dopo la lettura della Torah del mattino. Aggiunta storicamente come ricordo del sacrificio supplementare che si faceva nel tempio il giorno di sabato, è stata tolta dalle liturgie riformate. Musar (mûsār) – disciplina, istruzione. Con questo termine si indica innanzitutto un tipo di letteratura di edificazione teologico-filosofica o anche solo devozionale che ebbe, specie nel medioevo e nell’età moderna, un influsso non trascurabile sul comportamento degli ebrei. Il suo prototipo si trova in I doveri del cuore di ibn Paquda (1050?-1110?). Con lo stesso termine ci si riferisce anche a una corrente sorta in Lituania nel XIX sec. e fondata da Israel Lipkin Salanter (1810-1883) che collega, in modo accentuato, etica e halakà e insiste sull’attuazione di una prassi quotidiana corrispondente. N Ner tamid (nēr tāmîd) – luce perpetua. Parte dell’arredo sinagogale, è un singolo lume, di solito pendente dal soffitto, che viene mantenuto sempre acceso difronte all’armadio sacro. 12 Nezach (nēsah) – eternità, vittoria. Nella qabbālā indica la settima sefirà. Nisan (nîsān) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a marzo-aprile. Notariqon (nôtārîqôn) – Metodo di interpretazione che considera ogni lettera di una parola come l’inizio di un altro termine. Talora la parola iniziale viene abbreviata o spezzata in varie componenti. O Olam ha-bà (‘ôlām ha-bā’) – mondo che viene. L’espressione si contrappone ad Olam ha-zè (‘ôlām ha-zeh) «questo mondo». Concetto escatologico che compare per la prima volta nella letteratura apocalittica. Per quanto questo concetto possa essere talvolta riferito all’epoca messianica, tende per lo più ad indicare l’epoca del compimento definitivo posta dopo la resurrezione dei morti. Una svalutazione del mondo presente a favore di quello futuro è assai rara nel giudaismo ed è tutta concentrata nel genere apocalittico. P Pachad (pahad) – terrore. Nella qabbalà indica talvolta la quinta sefirà. Parashà (pārāšāh) – Brano della lettura settimanale della Torah. La lettura dell’intera Torah, divisa in 54 parashòt, viene completata in sinagoga nell’arco di un anno. Pardes (pardēs) – giardino, paradiso. Già nel Talmud il termine indica la conoscenza segreta, mistica. Il termine venne usato dai cabbalisti medievali come acronimo per definire la relazione gerarchica tra i livelli di significato della Torah e i diversi tipi di esegesi: peshat (pešat) «spiegazione», il significato semplice e letterale; remez «allusione», l’allegoria filosofica; derash (deraš) «ricerca», l’interpretazione rabbinico-omiletica; sod (sôd) «mistero», l’interpretazione mistica. Paroket (pāroket) – tenda. Tenda posta di fronte all’arca nella sinagoga. Peà (pe’āh) – estremità (pl. peòt). Si intende il ricciolo posto nella parte estrema tra la barba e i capelli. Le p. vengono portate generalmente dai chassidim. Pesach (pesah) – passaggio. La prima e la più importante delle tre “feste del pellegrinaggio”, la Pasqua ebraica. Si celebra per otto giorni (sette in Israele), a partire dal 15 di Nisan, per ricordare l’uscita del popolo ebraico dalla schiavitù dell’Egitto. Petichà (petîhāh) – apertura. Versetto salmico o agiografico con cui si apre la derashà o il midrash in genere. Piyut (piyyût) – poema. Composizione poetica di carattere popolare che, inserita nella liturgia delle feste più importanti, ne sottolinea determinati aspetti. Purim (pûrîm) – sorti. Festa che si celebra il 14 (o, a Gerusalemme e in altri luoghi, il 15) di Adar, in ricordo degli avvenimenti narrati nel libro di Ester, che viene letto in sinagoga. È una ricorrenza gioiosa nella quale si usa uscire in maschera. Q Qabbalà (qabbālāh) – ricezione, tradizione. In senso ampio il termine si riferisce genericamente alla ‘tradizione’. A partire dal XII sec. e.v. il termine indica gli insegnamenti esoterici della mistica ebraica, specialmente nelle forme che questi assunsero nel medioevo. Qabbalat shabbat (qabbālat šabbāt) – accoglienza del sabato. Insieme di salmi e di componimenti poetici che si recitano il venerdì sera in sinagoga, come inizio della festa di shabbat. Qaddesh (qaddēš) – consacrazione. Uno dei momenti del seder shel Pesach, quello in cui si recita il qiddush. Qaddish (qaddîš) – santo. Una delle più antiche preghiere ebraiche con cui si concludeva la lettura e lo studio della Torah, e più tardi, il servizio sinagogale. Si tratta della più celebre dossologia della liturgia ebraica. Il q. si presenta attualmente sotto cinque forme. Qedushà (qedûšāh) – santità. Corrisponde al triplice Sanctus di cui parla Isaia e che viene recitato più volte al giorno durante la tefillà. La qedushà 13 rabbà è la qedushà di musaf, più ampia e sviluppata. Qelippòt (qelîppôt) – bucce, resti, avanzi. Nella qabbalà lurianica indica i «resti» che dopo la «rottura dei vasi» caddero negli abissi primigeni e là costituirono un nuovo mondo contrassegnato in modo negativo. Nell’interpretazione proposta da Natan di Gaza (1644-1680) per giustificare l’apostasia di Šabbatay Zevi (16151675), quest’ultimo si sarebbe immerso nel mondo negativo delle q. al fine di riscattarlo dall’interno. Genericamente, indica la forza dell’impurità e del male, che avvolge e oscura il principio del bene. Qeriat Torah (qerî’at Torah) – lettura della Torah. Terzo nucleo strutturale della liturgia sinagogale. Si fa il lunedì, giovedì, sabato, nei giorni festivi e semifestivi. Qiddush (qîddûš) – santificazione. È la preghiera di santificazione del sabato e dei giorni di festa, pronunciata sopra una coppa di vino, simbolo della nuova realtà da inaugurare. R Rachamìm (rahamîm) – viscere, misericordia. Nella qabbalà indica talvolta la sesta sefirà. Regalìm (regālîm) – feste del pellegrinaggio. Rimmonìm (rimmōnîm) – melagrane. Puntali in argento, generalmente a 14 forma di melagrane, posti agli estremi delle due aste che servono a srotolare il Sefer Torah. (Stefani 1995) Rosh ha-shanà (rō’š ha-šānāh) – capodanno. Una delle “feste austere” a carattere penitenziale, apre i yamìm noraìm. Si celebra il primo giorno del mesi di Tishri. Richiama in primo luogo la creazione del mondo e l’inizio degli eventi salvifici. È chiamato anche yom teruà (yôm terû‘āh «giorno della tromba»), cioè del suono dello shofar, o yom zikkaron (yôm zikkārōn «giorno del memoriale»), o yom hadin (yôm hā-dîn «giorno del giudizio»). Elementi tipici della liturgia sono il suono dello shofar; la preghiera avinu malkenu (’abînû malkenû «nostro Padre, nostro re») che segue la tefillà; il rito del tashlik (tašlîk: «tu getterai»), una processione sulle rive di un fiume per gettarvi i propri peccati. S Saborei – (sabbarin, dal verbo sabar «significare»). I revisori del Talmud babilonese. L’epoca rabbinica dei s. – la terza – va dal VI sec. e.v. all’inizio del VII sec. e.v. Sefarditi – In epoca medievale con il termine Sefarad s’intende la Spagna. I s. sono perciò gli ebrei di origine spagnola stabilitisi dopo la cacciata del 1492 in varie zone del Mediterraneo, oltre che nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna. Nell’uso attuale, tale termine tende a inglobare, in modo filologicamente non completamente corretto, tutti gli ebrei di provenienza mediorientale. I s. sono contraddistinti da un particolare rituale liturgico e da una tipica pronuncia dell’ebraico. L’ordinamento attuale dello stato di Israele prevede l’esistenza di due distinte cariche: rabbino capo sefardita e rabbino capo askenazita. Selichà (selîhāh) – perdono. Preghiera penitenziale. Un tipo particolare di componimento poetico che si riferisce alla richiesta di perdono per i peccati. Semikà (semîkāh) – imposizione [delle mani]. Ordinazione rabbinica. Seder (sēder) – ordine. Indica genericamente l’ordine o il libro della preghiera. Per antonomasia è la liturgia della cena pasquale. La Mishnà è divisa in sei s. Siddur – Libro di preghiera che contiene la liturgia quotidiana e quella del sabato. La forma e i contenuti dei vari libri di preghiera differiscono da rito a rito. Sefer Torah (Sēfer Tôrāh) – libro della Torah. È il rotolo, manoscritto con inchiostro speciale e da speciali amanuensi, della Torah. Conservato nell’aron ha-qodesh , avvolto nel meil (me‘îl), il manto che nella tradizione sefardita può essere sostituito da un astuccio di legno, detto tiq, adorno dell’atarà, e dei rimmonìm. Viene adoperato nella lettura pubblica dei sabati e delle feste. Le 54 sezioni in cui è divisa la Torah in vista della sua lettura liturgica settimanale si chiamano parashòt, le corrispettive sezioni profetiche sono dette haftaròt. Con l’espressione Parashòt e haftaròt si indica un libro che contiene il testo ebraico, spesso con traduzione a fronte, che raccoglie il ciclo annuale delle letture liturgiche. Simchat Torah (Śimhat Tôrāh) – gioia della Torah. Si celebra l’ottavo giorno di Sukkòt e comprende due momenti rituali importanti. Il primo consiste nella fine e nell’inizio della proclamazione del Sefer Torah: il chatan Torah (hātān Tôrāh «sposo della Torah») legge l’ultima sezione del Deuteronomio e, subito dopo, il chatan bereshit (hātān berē’šît «sposo della Genesi») legge le prime pagine della Genesi per non interrompere il ciclo della Torah. Sefiròt (sefîrôt) – sfere. Termine fondamentale della letteratura cabbalistica, indica i dieci stadi del manifestarsi di Dio nei suoi vari attributi. L’insieme delle dieci s. forma l’«albero sefirotico», attraverso cui l’energia divina si diffonde nel cosmo. Sivan (sîwān) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a maggiogiugno. Soferìm (sôferîm) – scribi. Sukkòt (sukkôt) – capanne, tabernacoli. È la festa per eccellenza delle feste del pellegrinaggio. È chiamata così perché è prescritto di trascorrerla, almeno in parte, nella sukkà, una piccola capanna fatta in casa o sulla terrazza o intorno alla sinagoga. Festa dell’ultimo racconto dell’anno, ricorda 15 la permanenza degli ebrei nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto. Si celebra per sette giorni, dal 15 del mese di Tishri e si conclude con un ottavo giorno chiamato Simchat Torah. È caratterizzata da una grande gioia popolare e dalla lettura liturgica del libro del Qoelet. la s. si è ritirata da Israele dopo la distruzione del primo tempio, altri sostengono al contrario che essa ha accompagnato il popolo ebraico nel suo esilio. Nella qabbalà la s. “inferiore” indica la decimasefirà, detta anche atarà, malkut o zedeq, la s. “superiore” designa la terza sefirà. Shabbat (šabbāt) – sabato («cessare, riposare»). Settimo giorno della settimana. Giorno solenne, dedicato al riposo e allo studio della Torah. Shemà Israel (Šema‘ Yiśrā’ēl) – ascolta Israele. La confessione di fede per eccellenza della liturgia. È composto di tre benedizioni e di alcuni versetti biblici. Shachrit (šahrît) – Preghiera del mattino. Shadday – onnipotente. Uno dei nomi con cui viene talvolta chiamato Dio nella Scrittura, è il primo degli attributi divini. Hanno lo stesso nome alcuni oggetti portafortuna che vengono appesi al collo o sulle culle dei bambini. Shavuòt (šābu‘ôt) – settimane. Festa così detta perché cade sette settimane dopo Pesach (questo periodo che intercorre tra le due feste è chiamato omer). Si celebra il 7 (in Israele il 6) di Sivan. Festa delle primizie per eccellenza, perduto il carattere agricolo accentua quello storico di festa del dono della Torah. Shekinà (šekînāh) – dimora [di Dio]. È il termine cui si ricorre nel giudaismo rabbinico per indicare la presenza del Signore nel tempio, nella comunità o presso ogni singolo ebreo. Il termine non indica alcuna ipostasi di tipo metafisico, in quanto il Signore e la sua s. coincidono. Alcuni testi affermano che 16 Shemonè esrè (šemôneh ‘eśrēh) – v. amidà Shevat (šebāt) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a gennaiofebbraio. Shoà (šô’ah) – catastrofe, annientamento. Termine impiegato per riferirsi specificatamente allo sterminio nazista. La parola s. tende sempre più a sostituire il termine “Olocausto” (diffusosi soprattutto in area inglese) che per le sue risonanze sacrali appare ormai inadeguato ad esprimere le caratteristiche proprie del genocidio hitleriano. Altra parola simbolo spesso adoperata per indicare l’intera «soluzione finale» è il termine «Aushwitz», il più vasto campo di concentramento e di sterminio tra tutti i lager nazisti. Shofar (šôfār) –Si tratta di un corno di montone, impiegato dapprima nella liturgia del tempio, poi in quella sinagogale specie nelle feste di Capodanno e di Kippur. La melodia che deve esse- re suonata nelle diverse circostanze è fissata con molta precisione. Nel medioevo lo s. venne adoperato per diverse altre occasioni: giorni di digiuno, funerali, scomuniche, inizio del sabato. In Israele lo si suona anche per avvenimenti civili (per esempio l’insediamento del presidente della repubblica). Secondo la tradizione il suono dello s. annuncerà l’arrivo del messia. Shulchan aruk (Šulhān ‘ārûk) – tavola apparecchiata. Titolo della celebre opera di sistematizzazione della halakà, scritta da Yosef Caro nel 15641565. Tutti i compendi, i commentari e le compilazioni successive si conformeranno a questo testo. T Tallit (tallît) – mantello, scialle. Nella pronuncia ebraico-italiana si dice anche talled. Manto quadrangolare – tradizionalmente di lana o di lino – fornito, ai quattro angoli, di frange di lana, zizit (sîsit; pl. ziziòt). Lo indossano gli uomini nella preghiera mattutina e in particolari occasioni solenni. È costume dei più osservanti di indossare sotto ai vestiti un piccolo t. che si chiama tallit qatan. Talmud (Talmûd) – studio, insegnamento. Il termine può indicare l’attività teoretica in opposizione a maase, l’«opera», la pratica dei comandamenti, ma anche l’insegnamento e la dottrina. Sintesi della Torah orale, è il frutto dell’opera dei chakamìm (hakāmîm, «sapienti»), i maestri che vissero in Israele (e diedero vita al Talmud Yerushalmi) e in Babilonia (Talmud Babli). È formato da due componenti: la Mishnà e la Ghemarà. Per molti aspetti il T. è considerato l’opera più importante nella cultura ebraica. Tammuz – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a giugno-luglio. Tannaìm (tānnā’îm) – (dall’aram. tannà; ebr. shanà «ripetere, insegnare, imparare»). L’epoca che parte da Hillel e Shammai (I sec. e.v.) e arriva fino a Rabbi e ai suoi figli (inizio del III sec.) è l’età dei t., ovvero dei maestri di quella dottrina che più tardi sarà considerata autoritativa e che fu trasmessa oralmente mediante la ripetizione costante. Taqqanà (tāqqānāh) – Decreto religioso. Targum – traduzione. Si tratta delle traduzioni della Bibbia in lingua aramaica. L’origine di queste traduzioni va individuata nella liturgia sinagogale: non essendo più compresa la lingua ebraica, si iniziò a tradurre le letture sinagogali in aramaico, dapprima solo in forma orale (ad opera del meturgheman «interprete», obbligato a tradurre oralmente). Oggi ci restano molti targumìm scritti, alcuni solo frammentari; non è possibile comunque ritenerli una diretta derivazione delle primitive forme orali, per quanto essi possano contenere tradizioni antiche. Tefillà (tefillāh) – v. amidà 17 Tefillin (tefillîn) – filatteri. Due astucci legati mediante strisce di cuoio alla testa e alla mano che contengono cartigli sui quali sono scritti alcuni versetti della Torah che ricordano quest’obbligo. Sono portati durante la preghiera dei giorni feriali. Teshuvà (tešûbāh) – ritorno, pentimento, conversione. Nella qabbalà indica talvolta la terza sefirà. Tevà (tēbāh) – arca. Pulpito, tribuna da cui si legge il Sefer Torah, è chiamata anche bemà (bîmāh). La sua collocazione nella sinagoga dipende dal rito officiato. Tevet (tēbēt) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a dicembregennaio. Tiferet (tif’eret) – bellezza, maestà. Nella qabbalà indica la sesta sefirà, talora designata anche col nome di rahamìm. Tiqqun (tiqqûn) – ornamento, restaurazione. Nella qabbalà lurianica si intende il processo di ristabilimento o restaurazione dell’ordine originario della creazione che sarà completato con la venuta del messia. Tiqvà (tîqwāh) – speranza. Tishri (Tišrî) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a settembreottobre. Tishà be-av (tiš‘āh be-’āb) – 9 di Av. Giorno di lutto e di digiuno per la distruzione del tempio. Torah (Tôrāh) – insegnamento. Il termine è usato spesso nella Bibbia, ora per indicare la globalità dell’insegnamento sacro, ora per indicare insegnamenti e dottrine particolari. T. è il nome che viene dato nell’ebraismo all’insieme della sua tradizione consacrata. C’è una t. in senso stretto, essenziale e fondamentale, il punto di riferimento, chiamata Torah she-biktav «scritta» (tôrāh šebiktav), che si identifica con i primi cinque libri della Bibbia; c’è poi una t. “orale” Torah she-bealpè (tôrāh šebe‘alpeh, lett. «che è sulle labbra»), la tradizione trasmessa, rielaborata e prodotta, in continuità con le radici passate, dai rabbini. Tosafòt (tôsāfôt) – aggiunte. Commento ulteriore e complementare all’opera di Rashi (1040-1105), compilato dai suoi allievi e dai discepoli di questi baalè tosafòt (ba‘alê ha-tôsāfôt). Toseftà (tôseftāh) – aggiunta. Si tratta di una “appendice” o “supplemento” aggiuntivo che completa la Mishnà. La t. è una raccolta di materiale tradizionale tannaita esterno alla Mishnà, redatta prima degli amoraim. Contiene molte halakòt ed è spesso citata nella Ghemarà o in altre baraitòt. È quattro volte più estesa della Mishnà. Y 18 Yad (yād) – mano. Con questo termine si indica un particolare oggetto rituale che termina con una piccola manina. Esso serve a seguire la lettura del Sefer Torah senza toccarlo direttamente con le dita. Il senso della sacralità del testo proibisce infatti di toccarlo (nella tradizione rabbinica il libro canonico è un testo che «sporca le mani», che cioè le rende impure). Yamìm noraìm (yāmîm nôrā’îm) – giorni terribili. Dieci giorni a carattere penitenziale compresi tra le feste di rosh ha-shanà e di yom kippur (ricorrenze denominate anche “feste austere”, non fanno riferimento ad eventi particolari storico-naturali). La categoria teologica principale è la teshuvà. Sono detti anche aseret yemè teshuvà (‘aśéret yemê tešûvāh «dieci giorni di conversione»). Yom kippur (yôm kîppûr) – giorno dell’espiazione. Una delle “feste austere” a carattere penitenziale, è il momento culminante e conclusivo dei yamìm noraìm. Si celebra il giorno 10 del mesi di Tishri. È la festa in cui il popolo si sente purificato da tutti i suoi peccati. È chiamato anche shabbat shabbatòt («sabato dei sabati»), o semplicemente yomà («giorno»). Elementi tipici della liturgia – che può durare anche l’intera giornata – sono la formula di annullamento dei voti chiamata kol nidrè (kōl nidrêo «tutti i voti»); la confessione dei peccati; la tefillà di musaf; la lettura del libro di Giona; la liturgia conclusiva della neilà (ne‘îlāh «chiusura [delle porte]»). Z Yeshivà (yešîbāh) – seduta. Scuola di istruzione superiore. Il centro della lezione è costituito dal commento ai testi base proposto dai maestri e dalle discussioni che ne seguono. Zaddiq (saddîq) – giusto. Nel chassidismo è considerato un intermediario tra Dio e l’uomo e gli viene tributato un culto particolare. Nella qabbalà indica talvolta la nona sefirà. Yesod (yesôd) – fondamento. Nella qabbalà indica la nona sefirà, chiamata anche zaddiq. Zedeq (sedeq) – giustizia. Nella qabbalà indica talvolta la decima sefirà. Yddish (yiddiš) – Lingua un tempo parlata da tutti gli ebrei askenaziti, originatasi dall’ebraico-tedesco medievale e poi diffusasi in tutta l’Europa orientale. Specie a partire dal XIX sec. è sorta un’importante e vasta letteratura y. Nel 1978 il grande epigono di questo mondo culturale, I.B. Singer (1904-1991), ha ottenuto il premio Nobel per la letteratura. Zidduq ha-din (sîddûq ha-dîn) – giustificazione del giudizio. Il rito delle esequie celebrato al cimitero prima della tumulazione. Zimzum (sîmsûm) – contrazione. Assente nella scrittura, la radice verbale è d’uso frequente nella letteratura giudaica postbiblica col significato di «coprirsi, nascondersi». Nella qabbalà lurianica indica il ritrarsi di Dio fuori 19 da ogni luogo, cosa che rende possibile l’esistenza dell’universo creato. Zoar (Zōhār o Sēfer hā-zōhār) – libro dello splendore. Una tra le opere più note della qabbalà, ha rappresentato per secoli la porta d’accesso privilegiata al cuore del simbolismo cabbalistico. Il testo si presenta come un commento alla Torah che, secondo la formula consueta degli antichi midrashìm, registra le discussioni dei dottori del II-III sec. e.v. Scritto in lingua aramaica – inframmezzata da alcune parti in ebraico – è riconducibile, secondo la maggior parte degli studiosi, al milieu sefardita del tardo Duecento. L’opera non è dunque, con ogni verosimiglianza, così antica come vuol sembrare, ma è indubbiamente animata da un’autentica ispirazione mistica. 20