1 Adar (`adār) – Mese del calendario ebraico, corrisponde a febbraio

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1 Adar (`adār) – Mese del calendario ebraico, corrisponde a febbraio
tannico. Col termine olè si intende
l’«immigrante», cioè colui che compie
l’a. Il termine opposto è yeridà «emigrazione», «emigrante» si dice yored.
A
Adar (’adār) – Mese del calendario
ebraico, corrisponde a febbraio-marzo.
In alcuni anni, detti ‘embolismici’, a
causa della necessità di adeguare il
ciclo lunare dei mesi dell’anno solare,
viene aggiunto un secondo mese di a.:
in questi casi si distingue tra Adar rishon ed Adar shenì o we adar.
Afiqomen (’afîqômēn) – Parola di
etimologia incerta il cui significato è
quello di non portare in tavola e quindi
di non mangiare alcuna cosa dopo aver
terminato il pasto. Pezzo di azzima
nascosto. Viene mangiato, durante la
cena di Pesach, in memoria
dell’agnello pasquale.
Aliyà (‘aliyiāh) – salita. Con questo
termine si intende: a) la salita a Gerusalemme compiuta, in epoca biblica,
soprattutto nelle tre “feste di pellegrinaggio” (Pasqua, Settimane, Capanne); b) L’immigrazione in terra di Israele. In riferimento all’epoca contemporanea si parla di cinque aliyòt
(1880-1903; 1904-1905ss.; 19191923; 1924-1928; 1929ss.) e di una
aliyà Bet, riferita all’immigrazione
illegale verso la fine del mandato bri-
Amidà (‘āmîdāh) – stare in piedi. È il
secondo modo di indicare la tefillà
(tefillāh. «preghiera»; dalla radice palal
«giudicare, osservare, esaminare»), ed
è detta anche shemonè esrè (šemôneh
‘eśrēh «diciotto [benedizioni]»). È la
preghiera per eccellenza della liturgia
ebraica. Si tratta del secondo momento
centrale della liturgia sinagogale quotidiana (il primo è lo shemà), viene
recitata tre volte al giorno, in piedi,
rivolti verso Gerusalemme. Si compone di una serie di brevi benedizioni o
preghiere (diciannove, una fu aggiunta
più tardi).
Amoraìm (’āmôra’îm; dal verbo amar
«parlare») – Titolo conferito ai dotti
ebrei di Palestina nei secoli III-VI e.v.
(seconda epoca rabbinica). Gli a. illustravano e spiegavano le opinioni dei
sapienti che li avevano preceduti (i
tannaìm). La loro opera è raccolta nel
Talmud.
Aqedà (‘aqêdāh) – legatura [degli
arti]. L’offerta sacrificale di Isacco
che Dio chiese ad Abramo. Essa divenne il simbolo stesso del martirio.
Arbaà minìm (’arbā‘āh mînîm) –
quattro tipi [di pianta]. Rami di palma
(lulav), cedro (etrog), salice e mirto
usati durante i riti della festa di Sukkòt.
Aron (’arôn) – arca (anche aron haqodesh «arca santa»). È l’«armadio
sacro» posto sulla parete orientale del1
la sinagoga, volta verso Gerusalemme.
Vi sono custoditi i rotoli della Torah,
rivestiti dei loro ornamenti.
Askenaziti – Con il termine Askenaz
ci si riferiva, nella letteratura ebraica
medievale, all’Europa centrale, in modo specifico alla Germania. Gli askenaziti sono perciò gli ebrei provenienti
da quella zona e in seguito in buona
misura spostatisi verso l’Europa orientale e la Russia, e da lì in America, in
Israele e in vari altri paesi. Caratterizzati da un’autonoma tradizione culturale, spesso dall’uso della lingua
yiddish e da una particolare pronuncia
dell’ebraico, gli askenaziti adottano
alcune particolarità rituali.
Atarà (‘atārāh) – corona, diadema.
Simboleggia la regalità della legge
divina, adorna il Sefer Torah. Nella
qabbalà designa talvolta la decima
sefirà.
Av (’āb) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a luglio-agosto.
Avodà (‘abōdāh) – sevizio, lavoro
[culto]. Esprime il senso ebraico della
liturgia. Nel suo uso biblico il termine
indica il servizio liturgico nel Tempio.
B
Baraita (bāraytā’) – la [dottrina] che
si trova esternamente (abbreviazione
matnità baraita). Indica tutte le tradizioni tannaitiche che non sono state
accolte nella Mishnà. L’espressione
ebraica equivalente Mishnà chizonà è
documentata più tardi.
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Bar mizvà (bar misw āh) – figlio del
precetto. L’espressione indica nel
Talmud l’ebreo adulto che, in quanto
tale, è tenuto ad osservare ogni mizvà.
Col tempo l’espressione è venuta ad
indicare la cerimonia con la quale il
ragazzo ebreo diventa adulto. Il rito si
celebra normalmente in sinagoga, il
primo sabato consecutivo ai tredici
anni del ragazzo. Oltre al b., recentemente, soprattutto presso gli ebrei liberali, si celebra anche una bat mizvà
(«figlia del precetto») per le ragazze
che hanno raggiunto il dodicesimo
anno.
Berakà (berākāh) – benedizione. Le
benedizioni (berakot) contengono tutte
le formula «Benedetto tu, o Signore,
Dio nostro, re del mondo» (Baruk attà
Adonai eloenu melek aolam), seguita
dai testi relativi alle varie circostanze.
Berit (berît) – patto, alleanza.
Besamim (beśāmîm) – profumi. Utilizzati per la cerimonia dell’avdalà che
segna l’uscita dal sabato.
Bet din (bêt dîn) – casa del giudizio.
Tribunale rabbinico con giurisdizione
su materie religiose e con funzioni di
arbitrato.
Bet ha-knesset (bêt ha-kneset) – casa
dell’assemblea. Sinagoga.
Binà (bînāh) – intelligenza. Nella
qabbalà indica la terza sefirà, talvolta
detta anche teshuvà.
Birkat ha-mazon (birkāt ha-māzôn) –
benedizione per il pasto. La più importante tra tutte le benedizioni.
C
Caraismo – (da qaraìm «biblisti»).
Movimento religioso sorto nel VIII sec.
e.v. in ambito babilonese. I caraiti,
rifiutando il monopolio della tradizione orale codificata nel Talmud, elaborarono una precettistica dedotta dalla
sola interpretazione letterale del testo
biblico. Il più grande autore caraita fu
Yaqub al-Qirqisani (X sec. e.v.).
Challà (hallāh) – focaccia. Pane speciale a forma di treccia che si usa consumare il sabato.
Chaluz (haluz) – pioniere. In senso
stretto membro di un’organizzazione
sionistica, detta he-chaluz, fondata per
preparare gli ebrei di tutto il mondo
alla vita in Palestina, con particolare
riferimento all’attività agricola, e sviluppatasi nella prima metà del XX sec.
Genericamente, in senso ampio, nome
collettivo (chaluzim) che designa i
primi sionisti.
Chanukkà (hanukkāh) – dedicazione.
Nota anche come «festa delle luci», si
celebra per otto giorni dal 25 di kislev.
L’evento storico di riferimento è la
dedicazione del tempio – profanato da
Antioco IV nel 167 a.e.v. – ad opera di
Giuda Maccabeo nel 164 a.e.v.
L’elemento rituale di maggiore importanza della festa è l’accensione delle
candele – una per sera – della speciale
lampada ad otto bracci chiamata cha-
nukkiyà (hanukkîyyāh), prima in sinagoga, e poi in casa.
Charoset (harôseth) – Uno degli elementi del seder shel Pesach. Si tratta
di una sorta di marmellata di vari frutti
e spezie il cui aspetto simboleggia la
malta con cui gli ebrei fabbricavano i
mattoni in Egitto.
Chassid (hāssîd) – pio. Comunemente
designa chi appartiene al movimento
religioso chiamato chassidismo iniziato da Israel Baal Shem Tov (16981760) in Europa orientale nella metà
del XVIII sec. Ci fu anche un movimento analogo in Germania nel secolo
XIII.
Chazzan (hazzān) – Colui che guida
la preghiera comunitaria.
Cherem (hērem) – separato. Sanzione
comminata dai tribunali rabbinici che
comporta l’esclusione del membro
anatematizzato e il divieto agli altri
membri di associarsi a quest’ultimo.
Chesed (hesed) – clemenza. Nella
qabbalà indica la quarta sefirà, chiamata anche ghedullà.
Cheshvan (hešwān) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a ottobrenovembre.
Chiddush (hîddûš) – rinnovamento.
La continua innovazione in campo
alakico e haggadico permessa dalla
dialettica della tradizione orale.
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Chokmà (hokmāh) – sapienza. Il sapiente, il «saggio» è lo chakam. Nella
qabbalà indica la seconda sefirà.
Elul (’œlûl) – Mese del calendario ebraico. Corrisponde ad agostosettembre.
D
En sof (’ên sôf) – infinito. Viene così
chiamato il principio divino inconoscibile, che trascende completamente
la creazione e che, prima di dar vita al
cosmo, riposa nel proprio mistero,
pervadendo si sé la totalità. È
l’assoluta perfezione, nella quale non
vi sono né distinzioni né differenziazioni.
Daat (da‘at) – conoscenza. Nella qabbalàviene talvolta designata con questo nome una entità intermedia tra
hokmāh e bînāh, come una sorta di
equilibratore tra le due. Talora assume
il valore di sefirà autonoma, talaltra
viene identificata con tiferet.
Dayan (dāyyān) – giudice.
Dayyenu (dayyenû) – ci sarebbe bastato. Ritornello, divenuto proverbiale,
di un inno cantato durante la lettura
della haggadà di Pasqua.
Derashà (derāšāh) – ricerca. Nella
lettura sinagogale della Scrittura, alla
parashà e alla aftarà segue un terzo
elemento, la d., il commento omiletico
volto ad attualizzare i brani biblici
letti.
Devequt (debeqût) – adesione. Nella
qabbalàsi intende l’unione mistica con
Dio. La dottrina è ripresa, con alcune
differenze, nel chassidismo.
Din (dîn) – giudizio, rigore. Nella
qabbalà si indica talvolta la quinta
sefirà.
E
Erez Israel (’eres yiśrā’ēl) – terra di
Israele.
Eruv (‘êrûb) – mescolanza, unione. Il
termine indica diversi modi per rendere leciti determinati atti proibiti al sabato e nelle feste. Uno dei più noti è
l’eruv techunim, l’unione ideale di due
zone che consente di sabato di percorrere una distanza maggiore dei duemila cubiti permessi; lo si attua ponendo
all’interno dei duemila cubiti il cibo
per due pranzi e si stabilisce con ciò
una seconda «abitazione» come secondo punto di partenza per ulteriori
duemila cubiti da percorrere in una
determinata direzione. Analoga doppia
cottura dei cibi è prevista per la vigilia
di Pesach nel caso in cui il primo
giorno di Pesach cada il giovedì, così
da permettere di cucinare il pasto per il
sabato del venerdì che è moed. la Mishnà dedica a questi temi un trattato
specifico chiamato erubin appartenente al secondo ordine Moed («feste»).
G
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Gaon (gā’ôn) – eminente, maestoso,
superbo.
Quella
dei
gheonim
(ghe’ōnîm) è la quarta epoca rabbinica
(VII-XI sec. e.v.). G. è detto il capo
delle accademie babilonesi, poi di
quelle talmudiche nel medioevo.
Ghedullà (ghedûllāh) – grandezza.
Nella qabbalà indica la quartasefirà,
talvolta detta anche chesed.
Ghemarà (ghemārā’) – completamento (dal verbo «finire, completare», ma
anche
«imparare»).
È
l’«apprendimento della tradizione» o
la «dottrina tradizionale» stessa, in
opposizione alla sebarà (sebārā’), la
deduzione logica di nuove norme. Indica, in senso stretto, i commenti degli
amoraim alla Mishnà. La g., con la
Mishnà stessa, forma il Talmud. Il
termine g. venne usato come sinonimo
di Talmud, a causa della censura, nelle
stampe a partire dall’edizione di Basilea del 1578-1581.
e
e
e-
Ghematrià (ghîmatr yā’ o gh matr
yā’) – Metodo di interpretazione e di
permutazione delle parole ebraiche
attraverso il valore numerico delle
lettere che le compongono, mediante
criteri di sostituzione alfabetica.
Ghenizà (ghenîzāh) – nascondiglio.
Luogo in cui venivano riposti i testi
sacri usati, non più utilizzabili.
Ghetto – La spiegazione più diffusa,
ma non universalmente accolta,
dell’etimo della parola lo lega al nome
del quartiere di Venezia chiamato «geto novo» (a causa della presenza in
esso di una fonderia) in cui nel 1516
furono obbligati a risiedere gli ebrei di
origine tedesca. Pronunciata in modo
duro secondo l’uso dei nuovi abitanti,
il nome della zona divenne «gheto». Il
quartiere di segregazione ebraica coatta fu un fenomeno tipico dell’epoca
moderna (cf. per contro l’espressione
stereotipata «ghetto medievale»). In
periodo medievale gli ebrei abitavano
in genere, anche per motivi interni, in
quartieri separati, ma non cintati o
chiusi. In vari luoghi, segnatamente in
Italia meridionale, questi quartieri venivano chiamati «giudecche».
Gheullà (ghe’ullāh) – redenzione. Dalla stessa radice trae origine anche il
termine goel (gō’el) «riscattatore, redentore», specie in merito alla norma
del levirato (l’obbligo di sposare la
vedova del fratello morto senza figli).
Il termine compare nella Bibbia anche
per indicare la salvezza del popolo sia
nel passato che nel futuro.
Ghevurà (ghebûrāh) – potenza. Nella
qabbalà indica la quinta sefirà, talvolta detta anche din o pachad.
Ghilgul (ghilgûl) – giro, rotazione.
Indica l’incessante movimento delle
anime di corpo in corpo.
Golem (gôlem) – sostanza informe.
Creatura
prodotta
grazie
ad
un’operazione di carattere magico, per
mezzo di nomi santi. Le modalità della
sua plasmazione risentono del modello
contenuto nella seconda narrazione
della creazione dell’uomo. Le leggende in tal senso erano molto diffuse nel
medioevo e all’inizio dell’età moderna. La leggenda più famosa del Golem
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è legata alla figura di Rabbi Löw (Yehudah ben Bezalel di Praga), conosciuto anche come il Maharal (ca.
1525-1609).
Goy (gôy) – nazione. Non ebreo.
Termine usato spesso in senso spregiativo.
H
Havdalà (habdālāh) – separazione. Si
chiama così la cerimonia con la quale
dopo il calare del sole, ha termine il
Sabato, che viene così distinto dai
giorni feriali. La breve cerimonia
comprende quattro brevi benedizioni
pronunciate sul vino, sulle spezie profumate (besamim), e sulla luce emanata dal fuoco.
Haftarà (haftārāh) – Brano profetico
di commento alla lettura settimanale
della parashà.
Haggadà (haggādāh) – narrazione
(dal verbo nagad «annunciare, narrare»). Definito per lo più in modo negativo, il termine indica, nella letteratura
e nella tradizione rabbinica, tutto ciò
che non è halakà, vale a dire tutto ciò
che, pur trattando magari anche di
argomenti religiosi, non ha caratteristiche di legge religiosa vincolante. I
generi letterari della tradizione haggadica sono assai vari (leggenda, predica, parabola, midrash). Quando però ci
si riferisce alla h. di Pesach, si intende
il rituale recitato nelle famiglie ebraiche la prima e la seconda sera di Pasqua (in Israele solo la prima sera).
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Halakà (halākāh) – andatura. Indica il
comportamento, dunque la singola
legge religiosa, o anche l’insieme delle
leggi religiose che regolano la vita
degli ebrei. Essa deriva dalla rivelazione di Mosè al Sinai, e si è tradotta
poi nella tradizione orale e nella tradizione scritta della Torah. La h. è contenuta soprattutto nella Mishnà, ma
anche nel Talmud e negli scritti midrašici, in quanto interpretazioni della
stessa Mishnà e della Bibbia.
Hallel – lode. Si riferisce all’uso liturgico dei Salmi 113-118.
Haskalà (haśkalah) – (dal verbo shakal «comportarsi intelligentemente»).
L’illuminismo ebraico che si prefiggeva di diffondere la moderna cultura
europea fra gli ebrei. Si sviluppò tra il
1750 e il 1880 circa.
Hekalòt (hêkālôt) – palazzi. Nel giudaismo postbiblico la struttura celeste
viene sovente immaginata come un
susseguirsi di edifici che, di cielo in
cielo, divengono sempre più eterei e
luminosi. Il genere letterario degli h.,
ricco di immagini visionarie, è incentrato su un’ascesi che si sviluppa attraverso i palazzi celesti, concepiti
come un’architettura di luce che modella lo spazio divino. Queste case
celesti emulano – in una misura e una
scansione fisica – la ricerca interiore,
cosicché il procedere dell’adepto di
grado in grado può essere descritto
come un passaggio in una successione
di palazzi angelici. Per accedere a ciascuno di essi, il protagonista deve conoscere i nomi degli arconti che li pro-
teggono, le parole d’ordine per essere
ammessi nonché le dimensioni degli
edifici. Poiché il procedere verso l’alto
viene immaginato anche come una
discesa nell’interiorità, questa architettura trascendente si riflette in una sorta
di costruzione dell’anima e accoglie il
mistico come un rifugio sicuro.
Hod (hôd) – fasto. Nella qabbalà indica l’ottava sefirà.
I
Iqqarìm (‘iqqarîm) – principî, fondamenti. Fondamenti irrinunciabili della
fede ebraica. I primi accenni si trovano
in Filone e in seguito nella letteratura
talmudica. La loro elencazione divenne molto diffusa nel medioevo. La
formulazione più autorevole e diffusa
è costituita dai “tredici” i. redatti da
Maimonide (nella loro formulazione
breve diventati anche testo liturgico).
In seguito l’elenco fu maggiormente
concentrato; Josef Albo (ca. 13801444),
ad
esempio,
ridusse
l’elencazione a tre soli punti: esistenza
di Dio, rivelazione, ricompensa. Il
dibattito su questo argomento proseguì
anche in età moderna e contemporanea.
Iyyar (’iyyār) – Mese del calendario
ebraico. Corrisponde ad aprilemaggio.
K
Kasher (kāšer) – adeguato. Il termine
si riferisce a tutto ciò che corrisponde
alle norme di vita ebraica come stabilite dalla tradizione. In particolare si
riferisce alla preparazione degli alimenti e delle bevande per i quali vigono norme rigorose. È nota anche la
pronuncia askenazita kosher.
Kavvanà (kawwānāh) – intenzione.
Secondo la qabbalà e il chassidismo, è
il complesso sistema delle kavvanòt, le
«devozioni», che permettevano al fedele di vivere la preghiera, e il culto
sinagogale, come un aspetto del
dramma cosmico dell’emanazione.
Kelìm (kēlîm) – vasi. Nella qabbalà
lurianica i k. furono predisposti prima
della creazione perché accogliessero le
sefirot. La dottrina della «rottura dei
vasi» (ševîrat ha-kēlîm) spiega lo squilibrio tra il mondo inferiore e quello
superiore e la lotta tra il bene e il male.
L’armonia originaria spezzata dalla
rottura dei vasi sarà ristabilita per
mezzo del tiqqun.
Kèter – corona. Nella qabbalà indica
la prima sefirà.
Ketubà (ketûbāh) – scrittura. Contratto matrimoniale. Il documento, scritto
in aramaico, contiene gli obblighi dello sposo nei riguardi della sposa. Un
trattato della Mishnà, Ketubòt, tratta di
questo documento e delle modalità per
prepararlo.
Kibbuz (qibbûs) – riunione, collettività. Forma di insediamento, prevalentemente di carattere agricolo, proprio
della Palestina (i primi kibbuzìm furono fondati nel 1910) e successivamente dello stato di Israele, organizzato su
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base collettivistica e contraddistinto
dalla mancanza di proprietà privata e
dall’estensione della dimensione comunitaria anche alla mensa e
all’educazione della prole. La vita del
k. si ispira alle concezioni proprie della democrazia diretta. Vi sono k. di
vario orientamento, la maggior parte
sono laici, ma non ne mancano di religiosi. Il peso culturale e politico del
movimento kibbuzistico, specie nei
primi decenni di vita dello stato, è
stato assai rilevante e molto superiore
alla percentuale di popolazione israeliana residente nei k. Dal k. va distinto
il moshav (môšab), insediamento agricolo di tipo cooperativistico che si
situa in posizione intermedia tra il
collettivismo integrale dei k. e un sistema basato sulla pura proprietà privata. Il ritorno messianico a Sion è
indicato mediante l’espressione tradizionale kibbuz gheluiot «riunione dei
dispersi».
Kippah – capo. Piccolo copricapo,
zucchetto, indossato dai maschi in
sinagoga, durante lo studio della Torah, nel corso delle benedizioni del
pasto, al cimitero, ecc. Gli osservanti
lo indossano tutto il giorno o sono
sempre comunque a capo coperto.
Specie in Israele l’uso è alquanto diffuso ed è spesso considerato un vero e
proprio segno di appartenenza. La
consuetudine di coprirsi il capo non è
un precetto biblico e non si trova neppure nella Mishnà. La sua universale
diffusione è piuttosto tarda, risale infatti al basso medioevo e all’età moderna. Tuttavia oggi è visto come uno
degli obblighi rituali più sentiti. Varie
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sono le interpretazioni attribuite a
quest’uso, la più frequente è di presentarlo come segno di rispetto della presenza di Dio ovunque diffusa.
Kislev (kislēw) – Mese del calendario
ebraico. Corrisponde a novembredicembre.
Kohen (kōhen) – sacerdote. Attualmente indica i supposti discendenti dai
sacerdoti che servivano il tempio nelle
funzioni cultuali. Per i k. vige uno statuto particolare.
L
Ladino – o giudeo-spagnolo. Dialetto
ebraico-spagnolo parlato dagli ebrei di
origine spagnola anche dopo la loro
cacciata (1492) e in cui è stata composta una vasta letteratura sia religiosa
che profana.
Lekà dodì (lekāh dôdî) – vieni, mio
caro. Inno cantato durante la liturgia
dello shabbat e costituito da nove
stanze: le prime otto formano acrosticamente il nome dell’autore, Šelomò
ben Moses ha-Levi Alkabez (15051584), un cabbalista di Safed discepolo di I. Luria (1534-1572). Il testo si
ispira al Cantico dei Cantici e ad una
parabola
talmudica
che
narra
l’incontro festoso dei rabbi con la regina, lo shabbat.
M
Maariv (ma‘arîb) – (da erev «sera»).
Preghiera della sera.
Machloqet (mahlôqet) – divisione,
differenza. Disputa rabbinica.
Machzor
(mahzôr)
–
ciclo
[dell’anno]. Originariamente si trattava di un libro di preghiere in senso
ampio. In seguito venne limitato ad
indicare il libro di preghiere del sabato
e dei giorni festivi.
Magghìd (magghîd) – annunciatore,
messaggero. Con questo termine si
designa, nella letteratura cabbalistica,
l’angelo o la forza celeste che confida
segreti al mistico. La parola indica
anche un predicatore molto popolare,
spesso itinerante o uno dei momenti
del seder shel Pesach.
Maghen (māghēn) – scudo. L’ambito
in cui la nozione di m. è più frequentemente applicata nella Bibbia, nella
letteratura rabbinica e nella liturgia è
quello divino, per significare la sicura
protezione accordata dal Signore agli
ebrei. Nella formula recitata al termine
della haftarà si benedice il Signore
«scudo di Davide», nel corso del XII
sec. e.v. questo scudo cominciò ad
essere associato con la stella a sei punte (l’esagramma chiamato anche kokav
David «stella di Davide»), divenendo
progressivamente segno distintivo del
giudaismo. Nella qabbalà il m. è il
segno dell’intersecarsi di due diversi
piani sefirotici.
Magia – Pur se nettamente condannata
dalla Bibbia, essa ha svolto nel giudaismo, specie in epoca medievale e moderna, un ruolo rilevante. Scongiuri,
uso di sigilli magici e altre pratiche
costituiscono una parte non secondaria
degli scritti appartenenti alla letteratura degli hekalòt. Questi temi trovarono
spazio anche nel medioevo e nel chassidismo.
Malkut (malkût) – regno. Nella qabbalà indica talvolta la decima sefirà.
Mappà (mappāh) – Tovaglietta che
ricopre il Sefer Torah durante le pause
della lettura.
Marrano – maiale. A seguito
dell’editto di Granada (1492), una
parte della comunità ebraica, pur di
rimanere in Spagna, accettò la conversione forzata; questi conversos saranno chiamati marranos in senso dispregiativo.
Mashiach (mašîah) – Unto. Messia.
Masora (masôrāh) – trasmissione,
tradizione. In senso ampio si tratta
dell’insieme delle regole e delle tradizioni ‘trasmesse’, cioè tramandate,
soprattutto in riferimento alla corretta
vocalizzazione e interpretazione del
testo biblico. Formalmente è l’opera
dei masoreti, realizzata dal VI al X sec.
e.v. in Palestina e Babilonia. Si deve a
costoro la vocalizzazione e l’insieme
sistematico dell’apparato critico aggiunto al testo della miqrà: vocali,
accenti e note filologiche. Questo testo
è chiamato appunto testo masoretico.
Mazzà (mazzāh) – azzima. Pane
schiacciato non lievitato e senza sale
che si usa mangiare durante i giorni di
Pesach, quando sono vietati tutti i cibi
lievitati.
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e
Meghillà (m ghillāh) – rotolo. Meghillòt vengono chiamati i cinque libri
biblici, appartenenti ai ketubim, letti
nel corso di varie feste: Cantico dei
cantici (Pasqua); Rut (Settimane);
Lamentazioni (9 di av); Qoelet (Capanne); Ester (Purim). Quando il termine m. viene impiegato senza ulteriori specificazioni ci si riferisce a quella
di Ester, l’unica che ha una veste grafica particolare ed è illustrata.
Meil (me‘îl) – v. Sefer Torah
Menorà (menôrāh) – Candelabro sacro
a sette bracci che costituiva elemento
fondamentale del culto templare.
L’esclusione dalla liturgia sinagogale
ha fatto sì che, nel corso dei secoli,
alcuni dei significati propri della m.
del tempio fossero trasferiti in due
oggetti di largo impiego nella consuetudine religiosa giudaica: la hanukkiyà
e il ner tamid. Nella qabbalà i bracci
alludono alle sette sefirot inferiori, il
braccio mediano, prevalente sugli altri,
si riferisce allo statuto particolare di
malkut. Il processo di allegorizzazione, sempre più complessa, della m. si è
protratto fino alla fine del XVIII sec.
Merkavà (merkābāh) – carro. Insegna
della regalità e del valore guerriero,
indica nella bibbia ebraica il prestigio
dei sovrani o l’apparizione stessa del
Signore. Pur non essendo presente il
termine in Ez 1,16-18, sulla base di
questo testo, a partire dal III sec. e.v.
l’«opera del carro» (ma‘aśeh merkāvāh) indicherà la conoscenza esoterica,
in opposizione all’«opera della crea10
zione» (ma‘aśeh berē’šît). La m. diviene, al contempo, veicolo soprannaturale e meta stessa dell’itinerario oltremondano verso la contemplazione
celeste.
Mezuzà (mezûzāh) – stipite (pl. mezuzòt). Astuccio di canna o di altro materiale da affiggere, inclinato verso
l’interno, sullo stipite interno della
porta. Questo astuccio contiene un
rotolino di pergamena su cui sono
scritti due dei passi biblici presenti
anche nei tefillin: Dt 6,4-9; 11,13-20;
in essi si legge infatti che i precetti
devono essere scritti anche sugli stipiti
delle case.
Middà (middāh) – regola, misura,
attributo (pl. middot). Le regole
dell’esegesi biblica codificate da Hillel
(le «sette regole») nel I sec. a.e.v., successivamente da Yishmael (le «tredici
regole») nel I sec. e.v., quindi da Eliezer (le «trentadue regole») alla fine del
II sec. e.v. Nella letteratura cabbalistica il termine designa abitualmente le
sette sefiròt inferiori, da chesed a malkut.
Midrash (midrāš) – ricerca. Il termine
indica la ricerca svolta sulla Scrittura,
l’interpretazione e l’attualizzazione
della Bibbia. Indica inoltre i frutti di
tale interpretazione, cioè i commenti
biblici. M. si usa anche per riferirsi al
genere narrativo, leggendario e omiletico presente nella letteratura talmudica o per indicare una piccola unità
letteraria di un passo biblico su uno
specifico argomento. Il ricercatore, ma
anche il predicatore, è chiamato darshan.
Milà (mîlāh) – circoncisione. La liturgia che accompagna la nascita di un
bambino è chiamata berit milà («alleanza della circoncisione») e con essa il
neonato diviene «figlio di Abramo». Il
bambino maschio viene portato in sinagoga otto giorni dopo la nascita, la
circoncisione è eseguita da due persone qualificate: il mohel che compie sul
bambino la piccola operazione, e il
sandaq, «padrino» che lo tiene in
braccio. Per la cerimonia si dispone di
due sedie: una per il sandaq e l’altra
per il profeta Elia che, secondo la tradizione popolare, è presente ad ogni
circoncisione.
Minchà (minhāh) – offerta. Preghiera
pomeridiana.
Minian (minyān) – numero. Il numero
di 10 maschi adulti (divenuti tali con il
bar mizvà) necessario per la preghiera
comunitaria.
Miqrà (miqrā’) – lettura (dal verbo
qarà «convocare, chiamare, gridare»).
Uno dei modi di chiamare la Bibbia
ebraica. Con miqraòt ghedolot («grandi letture») si intende la Bibbia rabbinica, cioè il testo biblico con masora
magna e parva, parafrasi aramaiche e
commenti. La Bibbia ebraica è chiamata anche Tanak, acronimo dalle
iniziali delle sue tre parti: Torah (il
Pentateuco), Neviìm (i profeti) e Ketubìm (gli scritti). La Torah può anche
chiamarsi Chumash (Hûmāš, da chamesh «cinque»), allusione ai cinque
libri da cui è formata.
Mishnà – ripetizione (dal verbo shanà
«ripetere», ma anche shenayim «due»;
aram. matnità). Studio o insegnamento
orale della dottrina tradizionale attraverso la recita ripetitiva, in opp. a miqrà. La ripetizione è il metodo per
tramandare la dottrina tradizionale,
costituita soprattutto dal materiale
halakico ricavato dalla Bibbia. La m.
per antonomasia è la prima raccolta
scritta (tradizionalmente attribuita a r.
Jehudah ha-Nasi – Rabbi –, intorno al
200 e.v.) di leggi religiose del giudaismo postbiblico, tramandate in origine
oralmente. L’espresisone può anche
indicare la dottrina di un maestro tannaita, un singolo insegnamento o una
raccolta di questi insegnamenti. La m.
è divisa in sei sedarim, «ordini» (sing.
seder), suddivisi a loro volta in «trattati» (massektòt), ogni trattato è diviso
in «capitoli» (pirqè), le mishnaiòt sono
i paragrafi del testo (il Talmud Y – e
talvolta anche il Talmud B – usa invece, per indicare i singoli paragrafi, il
termine halakà). Per indicare la m. nel
contesto talmudico si utilizza il termine shas, abbreviazione di shishà sedarìm «sei ordini».
Mizvà (misw āh) – norma, precetto
(pl. mizvòt). Secondo il Talmud, le m.
contenute nella Torah sono 613, di cui
365 (come il numero dei giorni
dell’anno) sono dei divieti, e 248 (come il numero delle «membra
dell’uomo») sono positivi.
Moed (mô‘ed) – ricorrenza festiva.
Secondo ordine della Mishnà.
Moshav (môšab) – v. kibbuz
11
Mozè shabbat (môsē šabbāt) – uscita
del sabato. Cerimonia conclusiva della
festa del sabato.
Musaf (mûsāf) – aggiunta. Preghiere
addizionali che si recitano nei giorni
festivi e in giorni particolari. Nella
liturgia del sabato, il m. è collocato
dopo la lettura della Torah del mattino. Aggiunta storicamente come ricordo del sacrificio supplementare che si
faceva nel tempio il giorno di sabato, è
stata tolta dalle liturgie riformate.
Musar (mûsār) – disciplina, istruzione. Con questo termine si indica innanzitutto un tipo di letteratura di edificazione teologico-filosofica o anche
solo devozionale che ebbe, specie nel
medioevo e nell’età moderna, un influsso non trascurabile sul comportamento degli ebrei. Il suo prototipo si
trova in I doveri del cuore di ibn Paquda (1050?-1110?). Con lo stesso
termine ci si riferisce anche a una corrente sorta in Lituania nel XIX sec. e
fondata da Israel Lipkin Salanter
(1810-1883) che collega, in modo accentuato, etica e halakà e insiste
sull’attuazione di una prassi quotidiana corrispondente.
N
Ner tamid (nēr tāmîd) – luce perpetua. Parte dell’arredo sinagogale, è un
singolo lume, di solito pendente dal
soffitto, che viene mantenuto sempre
acceso difronte all’armadio sacro.
12
Nezach (nēsah) – eternità, vittoria.
Nella qabbālā indica la settima sefirà.
Nisan (nîsān) – Mese del calendario
ebraico. Corrisponde a marzo-aprile.
Notariqon (nôtārîqôn) – Metodo di
interpretazione che considera ogni
lettera di una parola come l’inizio di
un altro termine. Talora la parola iniziale viene abbreviata o spezzata in
varie componenti.
O
Olam ha-bà (‘ôlām ha-bā’) – mondo
che viene. L’espressione si contrappone ad Olam ha-zè (‘ôlām ha-zeh)
«questo mondo». Concetto escatologico che compare per la prima volta nella letteratura apocalittica. Per quanto
questo concetto possa essere talvolta
riferito all’epoca messianica, tende per
lo più ad indicare l’epoca del compimento definitivo posta dopo la resurrezione dei morti. Una svalutazione
del mondo presente a favore di quello
futuro è assai rara nel giudaismo ed è
tutta concentrata nel genere apocalittico.
P
Pachad (pahad) – terrore. Nella qabbalà indica talvolta la quinta sefirà.
Parashà (pārāšāh) – Brano della lettura settimanale della Torah. La lettura
dell’intera Torah, divisa in 54 parashòt, viene completata in sinagoga
nell’arco di un anno.
Pardes (pardēs) – giardino, paradiso.
Già nel Talmud il termine indica la
conoscenza segreta, mistica. Il termine
venne usato dai cabbalisti medievali
come acronimo per definire la relazione gerarchica tra i livelli di significato
della Torah e i diversi tipi di esegesi:
peshat (pešat) «spiegazione», il significato semplice e letterale; remez «allusione», l’allegoria filosofica; derash
(deraš) «ricerca», l’interpretazione
rabbinico-omiletica; sod (sôd) «mistero», l’interpretazione mistica.
Paroket (pāroket) – tenda. Tenda posta di fronte all’arca nella sinagoga.
Peà (pe’āh) – estremità (pl. peòt). Si
intende il ricciolo posto nella parte
estrema tra la barba e i capelli. Le p.
vengono portate generalmente dai
chassidim.
Pesach (pesah) – passaggio. La prima
e la più importante delle tre “feste del
pellegrinaggio”, la Pasqua ebraica. Si
celebra per otto giorni (sette in Israele), a partire dal 15 di Nisan, per ricordare l’uscita del popolo ebraico dalla
schiavitù dell’Egitto.
Petichà (petîhāh) – apertura. Versetto
salmico o agiografico con cui si apre
la derashà o il midrash in genere.
Piyut (piyyût) – poema. Composizione poetica di carattere popolare che,
inserita nella liturgia delle feste più
importanti, ne sottolinea determinati
aspetti.
Purim (pûrîm) – sorti. Festa che si
celebra il 14 (o, a Gerusalemme e in
altri luoghi, il 15) di Adar, in ricordo
degli avvenimenti narrati nel libro di
Ester, che viene letto in sinagoga. È
una ricorrenza gioiosa nella quale si
usa uscire in maschera.
Q
Qabbalà (qabbālāh) – ricezione, tradizione. In senso ampio il termine si
riferisce genericamente alla ‘tradizione’. A partire dal XII sec. e.v. il termine indica gli insegnamenti esoterici
della mistica ebraica, specialmente
nelle forme che questi assunsero nel
medioevo.
Qabbalat shabbat (qabbālat šabbāt) –
accoglienza del sabato. Insieme di
salmi e di componimenti poetici che si
recitano il venerdì sera in sinagoga,
come inizio della festa di shabbat.
Qaddesh (qaddēš) – consacrazione.
Uno dei momenti del seder shel Pesach, quello in cui si recita il qiddush.
Qaddish (qaddîš) – santo. Una delle
più antiche preghiere ebraiche con cui
si concludeva la lettura e lo studio
della Torah, e più tardi, il servizio
sinagogale. Si tratta della più celebre
dossologia della liturgia ebraica. Il q.
si presenta attualmente sotto cinque
forme.
Qedushà (qedûšāh) – santità. Corrisponde al triplice Sanctus di cui parla
Isaia e che viene recitato più volte al
giorno durante la tefillà. La qedushà
13
rabbà è la qedushà di musaf, più ampia e sviluppata.
Qelippòt (qelîppôt) – bucce, resti, avanzi. Nella qabbalà lurianica indica i
«resti» che dopo la «rottura dei vasi»
caddero negli abissi primigeni e là
costituirono un nuovo mondo contrassegnato
in
modo
negativo.
Nell’interpretazione proposta da Natan
di Gaza (1644-1680) per giustificare
l’apostasia di Šabbatay Zevi (16151675), quest’ultimo si sarebbe immerso nel mondo negativo delle q. al fine
di riscattarlo dall’interno. Genericamente, indica la forza dell’impurità e
del male, che avvolge e oscura il principio del bene.
Qeriat Torah (qerî’at Torah) – lettura
della Torah. Terzo nucleo strutturale
della liturgia sinagogale. Si fa il lunedì, giovedì, sabato, nei giorni festivi e
semifestivi.
Qiddush (qîddûš) – santificazione. È
la preghiera di santificazione del sabato e dei giorni di festa, pronunciata
sopra una coppa di vino, simbolo della
nuova realtà da inaugurare.
R
Rachamìm (rahamîm) – viscere, misericordia. Nella qabbalà indica talvolta
la sesta sefirà.
Regalìm (regālîm) – feste del pellegrinaggio.
Rimmonìm (rimmōnîm) – melagrane.
Puntali in argento, generalmente a
14
forma di melagrane, posti agli estremi
delle due aste che servono a srotolare
il Sefer Torah. (Stefani 1995)
Rosh ha-shanà (rō’š ha-šānāh) – capodanno. Una delle “feste austere” a
carattere penitenziale, apre i yamìm
noraìm. Si celebra il primo giorno del
mesi di Tishri. Richiama in primo luogo la creazione del mondo e l’inizio
degli eventi salvifici. È chiamato anche yom teruà (yôm terû‘āh «giorno
della tromba»), cioè del suono dello
shofar, o yom zikkaron (yôm zikkārōn
«giorno del memoriale»), o yom hadin (yôm hā-dîn «giorno del giudizio»). Elementi tipici della liturgia
sono il suono dello shofar; la preghiera avinu malkenu (’abînû malkenû
«nostro Padre, nostro re») che segue la
tefillà; il rito del tashlik (tašlîk: «tu
getterai»), una processione sulle rive
di un fiume per gettarvi i propri peccati.
S
Saborei – (sabbarin, dal verbo sabar
«significare»). I revisori del Talmud
babilonese. L’epoca rabbinica dei s. –
la terza – va dal VI sec. e.v. all’inizio
del VII sec. e.v.
Sefarditi – In epoca medievale con il
termine Sefarad s’intende la Spagna. I
s. sono perciò gli ebrei di origine spagnola stabilitisi dopo la cacciata del
1492 in varie zone del Mediterraneo,
oltre che nei Paesi Bassi e in Gran
Bretagna. Nell’uso attuale, tale termine tende a inglobare, in modo filologicamente non completamente corretto,
tutti gli ebrei di provenienza mediorientale. I s. sono contraddistinti da un
particolare rituale liturgico e da una
tipica
pronuncia
dell’ebraico.
L’ordinamento attuale dello stato di
Israele prevede l’esistenza di due distinte cariche: rabbino capo sefardita e
rabbino capo askenazita.
Selichà (selîhāh) – perdono. Preghiera
penitenziale. Un tipo particolare di
componimento poetico che si riferisce
alla richiesta di perdono per i peccati.
Semikà (semîkāh) – imposizione [delle
mani]. Ordinazione rabbinica.
Seder (sēder) – ordine. Indica genericamente l’ordine o il libro della preghiera. Per antonomasia è la liturgia
della cena pasquale. La Mishnà è divisa in sei s.
Siddur – Libro di preghiera che contiene la liturgia quotidiana e quella del
sabato. La forma e i contenuti dei vari
libri di preghiera differiscono da rito a
rito.
Sefer Torah (Sēfer Tôrāh) – libro
della Torah. È il rotolo, manoscritto
con inchiostro speciale e da speciali
amanuensi, della Torah. Conservato
nell’aron ha-qodesh , avvolto nel meil
(me‘îl), il manto che nella tradizione
sefardita può essere sostituito da un
astuccio di legno, detto tiq, adorno
dell’atarà, e dei rimmonìm. Viene
adoperato nella lettura pubblica dei
sabati e delle feste. Le 54 sezioni in
cui è divisa la Torah in vista della sua
lettura liturgica settimanale si chiamano parashòt, le corrispettive sezioni
profetiche sono dette haftaròt. Con
l’espressione Parashòt e haftaròt si
indica un libro che contiene il testo
ebraico, spesso con traduzione a fronte, che raccoglie il ciclo annuale delle
letture liturgiche.
Simchat Torah (Śimhat Tôrāh) –
gioia della Torah. Si celebra l’ottavo
giorno di Sukkòt e comprende due
momenti rituali importanti. Il primo
consiste nella fine e nell’inizio della
proclamazione del Sefer Torah: il chatan Torah (hātān Tôrāh «sposo della
Torah») legge l’ultima sezione del
Deuteronomio e, subito dopo, il chatan bereshit (hātān berē’šît «sposo della Genesi») legge le prime pagine della
Genesi per non interrompere il ciclo
della Torah.
Sefiròt (sefîrôt) – sfere. Termine fondamentale della letteratura cabbalistica, indica i dieci stadi del manifestarsi
di Dio nei suoi vari attributi.
L’insieme delle dieci s. forma
l’«albero sefirotico», attraverso cui
l’energia divina si diffonde nel cosmo.
Sivan (sîwān) – Mese del calendario
ebraico. Corrisponde a maggiogiugno.
Soferìm (sôferîm) – scribi.
Sukkòt (sukkôt) – capanne, tabernacoli. È la festa per eccellenza delle
feste del pellegrinaggio. È chiamata
così perché è prescritto di trascorrerla,
almeno in parte, nella sukkà, una piccola capanna fatta in casa o sulla terrazza o intorno alla sinagoga. Festa
dell’ultimo racconto dell’anno, ricorda
15
la permanenza degli ebrei nel deserto
dopo l’uscita dall’Egitto. Si celebra
per sette giorni, dal 15 del mese di
Tishri e si conclude con un ottavo
giorno chiamato Simchat Torah. È
caratterizzata da una grande gioia popolare e dalla lettura liturgica del libro
del Qoelet.
la s. si è ritirata da Israele dopo la distruzione del primo tempio, altri sostengono al contrario che essa ha accompagnato il popolo ebraico nel suo
esilio. Nella qabbalà la s. “inferiore”
indica la decimasefirà, detta anche
atarà, malkut o zedeq, la s. “superiore”
designa la terza sefirà.
Shabbat (šabbāt) – sabato («cessare,
riposare»). Settimo giorno della settimana. Giorno solenne, dedicato al
riposo e allo studio della Torah.
Shemà Israel (Šema‘ Yiśrā’ēl) – ascolta Israele. La confessione di fede
per eccellenza della liturgia. È composto di tre benedizioni e di alcuni versetti biblici.
Shachrit (šahrît) – Preghiera del mattino.
Shadday – onnipotente. Uno dei nomi
con cui viene talvolta chiamato Dio
nella Scrittura, è il primo degli attributi divini. Hanno lo stesso nome alcuni
oggetti portafortuna che vengono appesi al collo o sulle culle dei bambini.
Shavuòt (šābu‘ôt) – settimane. Festa
così detta perché cade sette settimane
dopo Pesach (questo periodo che intercorre tra le due feste è chiamato
omer). Si celebra il 7 (in Israele il 6) di
Sivan. Festa delle primizie per eccellenza, perduto il carattere agricolo
accentua quello storico di festa del
dono della Torah.
Shekinà (šekînāh) – dimora [di Dio].
È il termine cui si ricorre nel giudaismo rabbinico per indicare la presenza
del Signore nel tempio, nella comunità
o presso ogni singolo ebreo. Il termine
non indica alcuna ipostasi di tipo metafisico, in quanto il Signore e la sua s.
coincidono. Alcuni testi affermano che
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Shemonè esrè (šemôneh ‘eśrēh) – v.
amidà
Shevat (šebāt) – Mese del calendario
ebraico. Corrisponde a gennaiofebbraio.
Shoà (šô’ah) – catastrofe, annientamento. Termine impiegato per riferirsi
specificatamente allo sterminio nazista. La parola s. tende sempre più a
sostituire il termine “Olocausto” (diffusosi soprattutto in area inglese) che
per le sue risonanze sacrali appare
ormai inadeguato ad esprimere le caratteristiche proprie del genocidio hitleriano. Altra parola simbolo spesso
adoperata per indicare l’intera «soluzione finale» è il termine «Aushwitz»,
il più vasto campo di concentramento
e di sterminio tra tutti i lager nazisti.
Shofar (šôfār) –Si tratta di un corno di
montone, impiegato dapprima nella
liturgia del tempio, poi in quella sinagogale specie nelle feste di Capodanno
e di Kippur. La melodia che deve esse-
re suonata nelle diverse circostanze è
fissata con molta precisione. Nel medioevo lo s. venne adoperato per diverse altre occasioni: giorni di digiuno, funerali, scomuniche, inizio del
sabato. In Israele lo si suona anche per
avvenimenti civili (per esempio
l’insediamento del presidente della
repubblica). Secondo la tradizione il
suono dello s. annuncerà l’arrivo del
messia.
Shulchan aruk (Šulhān ‘ārûk) – tavola apparecchiata. Titolo della celebre
opera di sistematizzazione della halakà, scritta da Yosef Caro nel 15641565. Tutti i compendi, i commentari
e le compilazioni successive si conformeranno a questo testo.
T
Tallit (tallît) – mantello, scialle. Nella
pronuncia ebraico-italiana si dice anche talled. Manto quadrangolare –
tradizionalmente di lana o di lino –
fornito, ai quattro angoli, di frange di
lana, zizit (sîsit; pl. ziziòt). Lo indossano gli uomini nella preghiera mattutina
e in particolari occasioni solenni. È
costume dei più osservanti di indossare sotto ai vestiti un piccolo t. che si
chiama tallit qatan.
Talmud (Talmûd) – studio, insegnamento. Il termine può indicare
l’attività teoretica in opposizione a
maase, l’«opera», la pratica dei comandamenti,
ma
anche
l’insegnamento e la dottrina. Sintesi
della Torah orale, è il frutto dell’opera
dei chakamìm (hakāmîm, «sapienti»), i
maestri che vissero in Israele (e diedero vita al Talmud Yerushalmi) e in
Babilonia (Talmud Babli). È formato
da due componenti: la Mishnà e la
Ghemarà. Per molti aspetti il T. è considerato l’opera più importante nella
cultura ebraica.
Tammuz – Mese del calendario ebraico. Corrisponde a giugno-luglio.
Tannaìm (tānnā’îm) – (dall’aram.
tannà; ebr. shanà «ripetere, insegnare,
imparare»). L’epoca che parte da Hillel e Shammai (I sec. e.v.) e arriva fino
a Rabbi e ai suoi figli (inizio del III
sec.) è l’età dei t., ovvero dei maestri
di quella dottrina che più tardi sarà
considerata autoritativa e che fu trasmessa oralmente mediante la ripetizione costante.
Taqqanà (tāqqānāh) – Decreto religioso.
Targum – traduzione. Si tratta delle
traduzioni della Bibbia in lingua aramaica. L’origine di queste traduzioni
va individuata nella liturgia sinagogale: non essendo più compresa la lingua
ebraica, si iniziò a tradurre le letture
sinagogali in aramaico, dapprima solo
in forma orale (ad opera del meturgheman «interprete», obbligato a tradurre oralmente). Oggi ci restano molti targumìm scritti, alcuni solo frammentari; non è possibile comunque
ritenerli una diretta derivazione delle
primitive forme orali, per quanto essi
possano contenere tradizioni antiche.
Tefillà (tefillāh) – v. amidà
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Tefillin (tefillîn) – filatteri. Due astucci legati mediante strisce di cuoio alla
testa e alla mano che contengono cartigli sui quali sono scritti alcuni versetti della Torah che ricordano
quest’obbligo. Sono portati durante la
preghiera dei giorni feriali.
Teshuvà (tešûbāh) – ritorno, pentimento, conversione. Nella qabbalà
indica talvolta la terza sefirà.
Tevà (tēbāh) – arca. Pulpito, tribuna
da cui si legge il Sefer Torah, è chiamata anche bemà (bîmāh). La sua collocazione nella sinagoga dipende dal
rito officiato.
Tevet (tēbēt) – Mese del calendario
ebraico. Corrisponde a dicembregennaio.
Tiferet (tif’eret) – bellezza, maestà.
Nella qabbalà indica la sesta sefirà,
talora designata anche col nome di
rahamìm.
Tiqqun (tiqqûn) – ornamento, restaurazione. Nella qabbalà lurianica si
intende il processo di ristabilimento o
restaurazione dell’ordine originario
della creazione che sarà completato
con la venuta del messia.
Tiqvà (tîqwāh) – speranza.
Tishri (Tišrî) – Mese del calendario
ebraico. Corrisponde a settembreottobre.
Tishà be-av (tiš‘āh be-’āb) – 9 di Av.
Giorno di lutto e di digiuno per la distruzione del tempio.
Torah (Tôrāh) – insegnamento. Il
termine è usato spesso nella Bibbia,
ora per indicare la globalità
dell’insegnamento sacro, ora per indicare insegnamenti e dottrine particolari. T. è il nome che viene dato
nell’ebraismo all’insieme della sua
tradizione consacrata. C’è una t. in
senso stretto, essenziale e fondamentale, il punto di riferimento, chiamata
Torah she-biktav «scritta» (tôrāh šebiktav), che si identifica con i primi cinque libri della Bibbia; c’è poi una t.
“orale” Torah she-bealpè (tôrāh šebe‘alpeh, lett. «che è sulle labbra»), la
tradizione trasmessa, rielaborata e
prodotta, in continuità con le radici
passate, dai rabbini.
Tosafòt (tôsāfôt) – aggiunte. Commento ulteriore e complementare
all’opera di Rashi (1040-1105), compilato dai suoi allievi e dai discepoli di
questi baalè tosafòt (ba‘alê ha-tôsāfôt).
Toseftà (tôseftāh) – aggiunta. Si tratta
di una “appendice” o “supplemento”
aggiuntivo che completa la Mishnà. La
t. è una raccolta di materiale tradizionale tannaita esterno alla Mishnà, redatta prima degli amoraim. Contiene
molte halakòt ed è spesso citata nella
Ghemarà o in altre baraitòt. È quattro
volte più estesa della Mishnà.
Y
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Yad (yād) – mano. Con questo termine si indica un particolare oggetto rituale che termina con una piccola manina. Esso serve a seguire la lettura del
Sefer Torah senza toccarlo direttamente con le dita. Il senso della sacralità
del testo proibisce infatti di toccarlo
(nella tradizione rabbinica il libro canonico è un testo che «sporca le mani», che cioè le rende impure).
Yamìm noraìm (yāmîm nôrā’îm) –
giorni terribili. Dieci giorni a carattere
penitenziale compresi tra le feste di
rosh ha-shanà e di yom kippur (ricorrenze denominate anche “feste austere”, non fanno riferimento ad eventi
particolari storico-naturali). La categoria teologica principale è la teshuvà.
Sono detti anche aseret yemè teshuvà
(‘aśéret yemê tešûvāh «dieci giorni di
conversione»).
Yom kippur (yôm kîppûr) – giorno
dell’espiazione. Una delle “feste austere” a carattere penitenziale, è il momento culminante e conclusivo dei
yamìm noraìm. Si celebra il giorno 10
del mesi di Tishri. È la festa in cui il
popolo si sente purificato da tutti i suoi
peccati. È chiamato anche shabbat
shabbatòt («sabato dei sabati»), o
semplicemente yomà («giorno»). Elementi tipici della liturgia – che può
durare anche l’intera giornata – sono la
formula di annullamento dei voti
chiamata kol nidrè (kōl nidrêo «tutti i
voti»); la confessione dei peccati; la
tefillà di musaf; la lettura del libro di
Giona; la liturgia conclusiva della neilà (ne‘îlāh «chiusura [delle porte]»).
Z
Yeshivà (yešîbāh) – seduta. Scuola di
istruzione superiore. Il centro della
lezione è costituito dal commento ai
testi base proposto dai maestri e dalle
discussioni che ne seguono.
Zaddiq (saddîq) – giusto. Nel chassidismo è considerato un intermediario
tra Dio e l’uomo e gli viene tributato
un culto particolare. Nella qabbalà
indica talvolta la nona sefirà.
Yesod (yesôd) – fondamento. Nella
qabbalà indica la nona sefirà, chiamata anche zaddiq.
Zedeq (sedeq) – giustizia. Nella qabbalà indica talvolta la decima sefirà.
Yddish (yiddiš) – Lingua un tempo
parlata da tutti gli ebrei askenaziti,
originatasi dall’ebraico-tedesco medievale e poi diffusasi in tutta l’Europa
orientale. Specie a partire dal XIX sec.
è sorta un’importante e vasta letteratura y. Nel 1978 il grande epigono di
questo mondo culturale, I.B. Singer
(1904-1991), ha ottenuto il premio
Nobel per la letteratura.
Zidduq ha-din (sîddûq ha-dîn) – giustificazione del giudizio. Il rito delle
esequie celebrato al cimitero prima
della tumulazione.
Zimzum (sîmsûm) – contrazione. Assente nella scrittura, la radice verbale è
d’uso frequente nella letteratura giudaica postbiblica col significato di
«coprirsi, nascondersi». Nella qabbalà
lurianica indica il ritrarsi di Dio fuori
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da ogni luogo, cosa che rende possibile l’esistenza dell’universo creato.
Zoar (Zōhār o Sēfer hā-zōhār) – libro
dello splendore. Una tra le opere più
note della qabbalà, ha rappresentato
per secoli la porta d’accesso privilegiata al cuore del simbolismo cabbalistico. Il testo si presenta come un
commento alla Torah che, secondo la
formula consueta degli antichi midrashìm, registra le discussioni dei dottori
del II-III sec. e.v. Scritto in lingua aramaica – inframmezzata da alcune parti
in ebraico – è riconducibile, secondo
la maggior parte degli studiosi, al
milieu sefardita del tardo Duecento.
L’opera non è dunque, con ogni verosimiglianza, così antica come vuol
sembrare, ma è indubbiamente animata da un’autentica ispirazione mistica.
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