UNA "LETTERA" SULLO STUDIO E SUL FUTURO. Il tema di italiano

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UNA "LETTERA" SULLO STUDIO E SUL FUTURO. Il tema di italiano
SCUOLA E SOCIETA’. Scuola elementare di Ghilarza, 15 luglio 1903
UNA "LETTERA" SULLO STUDIO E SUL FUTURO. Il tema di
italiano del piccolo Gramsci. Una nota di Sandra Amurri - a c.
di Federico La Sala
GRAMSCI: TEMA DI QUINTA ELEMENTARE DI ANTONIO GRAMSCI.
Il tema era questo:"Se un tuo compagno benestante e molto intelligente ti avesse espresso il
proposito di abbandonare gli studi, che cosa gli risponderesti?"
Ghilarza, addì 15 luglio 1903 Carissimo amico,
Poco fa ricevetti la tua carissima lettera, e molto mi rallegra il sapere che tu stai bene di salute. Un punto
solo mi fa stupire di te; dici che non riprenderai più gli studi, perché ti sono venuti a noia. Come, tu che sei
tanto intelligente, che, grazie a Dio, non ti manca il necessario, tu vuoi abbandonare gli studi? Dici a me
di far lo stesso, perché è molto meglio scorrazzare per i campi, andare ai balli e ai pubblici ritrovi, anziché
rinchiudersi per quattro ore al giorno in una camera, col maestro che ci predica sempre di studiare
perché se no resteremo zucconi. Ma io, caro amico, non potrò mai abbandonare gli studi che sono la mia
unica speranza di vivere onoratamente quando sarò adulto, perché come sai, la mia famiglia non è ricca
di beni di fortuna.
Quanti ragazzi poveri ti invidiano, loro che avrebbero voglia di studiare, ma a cui Dio non ha dato il
necessario, non solo per studiare, ma molte volte, neanche per sfamarsi.
Io li vedo dalla mia finestra, con che occhi guardano i ragazzi che passano con la cartella a tracolla, loro
che non possono andare che alla scuola serale.
Tu dici che sei ricco, che non avrai bisogno degli studi per camparti, ma bada al proverbio "l'ozio è il
padre dei vizi." Chi non studia in gioventù se ne pentirà amaramente nella vecchiaia. Un rovescio di
fortuna, una lite perduta, possono portare alla miseria il più ricco degli uomini. Ricordati del signor Francesco; egli era figlio di una famiglia abbastanza ricca; passò una gioventù brillantissima, andava ai teatri,
alle bische, e finì per rovinarsi completamente, ed ora fa lo scrivano presso un avvocato che gli da
sessanta lire al mese, tanto per vivacchiare.
Questi esempi dovrebbero bastare a farti dissuadere dal tuo proposito. Torna agli studi, caro Giovanni, e
vi troverai tutti i beni possibili.
Non pigliarti a male se ti parlo col cuore alla mano, perché ti voglio bene, e uso dire tutto in faccia, e non
adularti come molti.
Addio, saluta i tuoi genitori e ricevi un bacio dal
Tuo aff.mo amico Antonio
di Sandra Amurri (il Fatto, 12.11.2011)
La grafia è quella di un bambino di dieci anni. Il contenuto è quello di un bambino che a dieci anni già
parlava agli uomini di domani. Il suo nome è Antonio Gramsci. Questo è il suo tema di italiano
all’esame di quarta elementare: “Se un tuo compagno benestante e molto intelligente ti avesse
espresso il proposito di abbandonare gli studi, che cosa gli risponderesti?".
Scuola elementare di Ghilarza, 15 luglio 1903. Non si può che restare colpiti da un maestro che chiede
a dei bambini di affrontare un argomento così centrale per una società giusta e uguale: il diritto allo
studio che nel 1948 diverrà un diritto sancito dalla Carta costituzionale, oggi così discussa. Ma non
solo: lo studio come forma più alta della libertà di un individuo a prescindere dalle sue condizioni
economiche. Non è il denaro, che la modernità ha posto al centro della vita di relazione e neppure lo
sfarzo che ne deriva, per il piccolo Gramsci, a garantire un futuro onorato e dignitoso.
Il solo strumento per combattere l’ingiustizia sociale è la cultura. La conoscenza, perché chi non
conosce non sceglie e chi non sceglie non è una persona capace di esercitare a pieno il suo compito di
cittadino attivo. Più o meno le stesse cose rivendicate dagli studenti scesi in piazza contro la Riforma
Gelmini, per una scuola pubblica di tutti e per tutti.
Ma veniamo al tema. Antonio Gramsci si rivolge all’ipotetico amico che chiama Giovanni per fargli
sapere: “Quanti ragazzi poveri ti invidiano, loro che avrebbero voglia di studiare, ma a cui Dio non ha
dato il necessario, non solo per studiare, ma molte volte, neanche per sfamarsi. Io li vedo dalla mia
finestra, con che occhi guardano i ragazzi che passano con la cartella a tracolla, loro che non possono
andare che alla scuola serale”.
E lo stupore cresce di fronte alla consapevolezza che il suo compagno di banco Giovanni abbia deciso
di non andare più a scuola, lui che è un privilegiato: “Un punto solo mi fa stupire di te; dici che non
riprenderai più gli studi, perché ti sono venuti a noia. Come, tu che sei tanto intelligente, che, grazie a
Dio, non ti manca il necessario, tu vuoi abbandonare gli studi? Dici a me di far lo stesso, perché è molto
meglio scorrazzare per i campi, andare ai balli e ai pubblici ritrovi, anziché rinchiudersi per quattro
ore al giorno in una camera, col maestro che ci predica sempre di studiare perché se no resteremo
zucconi. Ma io, caro amico, non potrò mai abbandonare gli studi che sono la mia unica speranza di
vivere onoratamente quando sarò adulto, perché come sai, la mia famiglia non è ricca di beni di
fortuna”.
E quanta amorevole insistenza nelle sue parole: “Torna agli studi, caro Giovanni, e vi troverai tutti i
beni possibili. Chi non studia in gioventù se ne pentirà amaramente nella vecchiaia. Un rovescio di
fortuna, una lite perduta, possono portare alla miseria il più ricco degli uomini. Ricordati del signor
Francesco; egli era figlio di una famiglia abbastanza ricca; passò una gioventù brillantissima, andava ai
teatri, alle bische, e finì per rovinarsi completamente, ed ora fa lo scrivano presso un avvocato che gli
da sessanta lire al mese, tanto per vivacchiare. Questi esempi dovrebbero bastare a farti dissuadere dal
tuo proposito”.
Infine, il saluto, Antonio si rivolge a Giovanni scusandosi per la franchezza del suo dire, dettata dal
cuore e dall’affetto: “Non pigliarti a male se ti parlo col cuore alla mano, perché ti voglio bene, e uso
dire tutto in faccia, e non adularti come molti. Addio, saluta i tuoi genitori e ricevi un bacio dal Tuo
amico Antonio”.
Le fotocopie di questo “tema d’autore” appartiene a Giovanni Cocco, giovane ricercatore
dell’Università di Sassari, segretario provinciale del Pdci, che a sua volta l’ha ricevuta da suo padre
Agostino, per oltre 20 anni segretario della scuola elementare intitolata ad Antonio Gramsci nel 1985,
occasione in cui a tutti i bambini, venne regalato L’albero del riccio. Ma l’originale dove si trova, visto
che all’Archivio di Stato di Oristano, dove Agostino Cocco lo aveva inviato assieme a tutti gli altri, non è
mai arrivato? Un giallo che siamo riusciti a risolvere a patto che il nome di chi lo conserva - con la
stessa gelosia con cui si ha cura di un tesoro - resti misterioso. L’originale del tema di quarta
elementare di Gramsci ce l’ha il figlio della domestica del maestro di Antonio Gramsci, che ha ereditato
la sua casa.
Nella Biblioteca, nascosto tra le pagine di un libro, c’era il tema di quel bambino che a dieci anni dava
lezione di latino ai compagni del ginnasio. Una sola volta lo ha prestato alla Casa Museo Gramsci di
Ghilarza perché fosse esposto durante un convegno, ma restando di guardia finché non gli è stato
restituito. “È un vecchio compagno, cresciuto come me a pane e Gramsci”, dice Giovanni Cocco “che
grazie ad Antonio ha appreso le cose veramente importanti per ognuno di noi, come il senso critico, e
ha imparato - per fare un esempio di attualità stretta - che bisogna guardare alla speculazione
finanziaria dando priorità alla speculazione mentale”.