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TRIMESTRALE DELLE ACCADEMIE E DELLE ARTI, TESTIMONIANZE, PROGETTI, DIDATTICA, RECENSIONI, MOSTRE, NOVITÀ. ANNO 2012 - N° 14 - EURO 6,00 www.academy-of.eu EMILIO TADINI - ECOLE NATIONALE SUPERIÉURE DES BEAUX-ARTS DI PARIGI NUOVI DIRETTORI: A BRERA FRANCO MARROCCO, A BARI BEPPE SYLOS LABINI, A CATANZARO ANNA RUSSO, A CARRARA LUCILLA MELONI - P.N.A. ACCADEMIA ALBERTINA DI TORINO - DOCUMENTA, KASSEL - NUOVA IMMAGINE NAPOLETANA - GERARDO LO RUSSO - PAOLA PEZZI - L’ABITAZIONE DELL’ARCHITETTO ARBORE - ALBERTO GARUTTI AL PAC - RECENSIONI E TANTO ALTRO ANCORA. apri il sito: www.academy-of.eu troverai la nuova rivista ACADEMY on line, una rivista molto più ampia e ricca di rubriche; basta abbonarsi semplicemente seguendo le indicazioni contenute nella finestra “abbonati” e con soli 20 euro riceverai per un anno intero tante notizie, potrai scaricare tutti i numeri arretrati della rivista, scoprire le tante opportunità e la ricchezza dei suoi contenuti ogni volta che vorrai. Stiamo cercando di far decollare questo progetto, diffondi la notizia presso i tuoi amici! Sostieni Academy! con pubblicità e abbonamenti rinnova il tuo abbonamento per il 2013 contattaci scrivendo a: [email protected] versamento tramite bonifico bancario intestato a: Editrice L’Immagine S.r.l. via A. Lucarelli, 62/H 70124 BARI IBAN: IT 70 Y 02008 41562 000102076192 Sommario ragionato di Elisabetta Longari ACADEMY OF FINE ARTS Iscritta al Tribunale di Trani n.3/09 Rivista fondata da Gaetano Grillo NUMERO 14 anno 2012 errata corrige: Il numero precedente portava erroneamente il n. 12 ma si trattava del n. 13 SEDE Viale Stelvio, 66 20159 Milano tel. 02 392 9149654 fax 02 6072609 [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE Gaetano Grillo *Tutte le collaborazioni si intendono a titolo gratuito In questo numero abbiamo scelto di ricordare Emilio Tadini, scrittore di grande pregnanza dei “testi” dell’arte e pittore anch’egli, figura di grande rilievo nel panorama italiano e soprattutto nel contesto milanese di cui è stato attivo animatore culturale (tra le cariche che ha ricoperto ricordiamo anche quella di Presidente dell’Accademia di Brera). Ivo Bonacorsi, anch’egli artista e scrittore, ha intervistato per Academy Nicolas Bourriaud, il teorico dell’arte relazionale molto attento alle dinamiche proprie dell’era della postproduzione che è stato direttore del Palais de Tokyo di Parigi e ora è alla guida dell’ENSBA, Ecole Superiéure des Beaux Arts de Paris. Questo numero ospita una sorta di ricognizione sulle intenzioni dei nuovi direttori di Accademia che sono stati raggiunti e intervistati: Lucilla Meloni per Carrara, Beppe Sylos Labini per Bari, Anna Russo per Catanzaro e Franco Marrocco per Milano. Anche il direttore di Roma, Gerardo Lo Russo, ha parlato con Barbara Tosi, illustrando attività e progetti. Mentre prosegue il colto discorso di Alfonso DIRETTORE EDITORIALE Gaetano Grillo [email protected] GRAFICA Massimiliano Patriarca [email protected] EDITRICE L’IMMAGINE SRL Via Lucarelli 62/H 70124 BARI tel. +39.0803381123 fax +39.0803381251 www.editricelimmagine.it [email protected] SOMMARIO 1 04 Redazionale di Gaetano Grillo 08 Ecole Nationale Superiéure des Beaux-Arts, Parigi 14 Nuovi Direttori 18 Sulla Scultura 22 Academy Pride (Premio Nazionale delle Arti) Accademia Albertina di Torino 24 Nuova Immagine Napoletana 27 Documenta, Kassel 30 Gerardo Lo Russo 32 Paola Pezzi VICE- DIRETTORE EDITORIALE Elisabetta Longari [email protected] REDAZIONE Gaetano Grillo Elisabetta Longari Cristina Valota Melissa Provezza Panzetta sulla scultura, pubblichiamo una segnalazione di Laura Lombardi sull’ultima edizione di Documenta a Kassel. Tra gli ex allievi abbiamo focalizzato l’attenzione su Paola Pezzi che aveva frequentato Brera con Luciano Fabro. L’occhio indiscreto di Academy si insinua per la prima volta in un interno privato, la casa dell’architetto Arbore, inaugurando una sezione che si occuperà di documentare alcuni luoghi dell’arte creati dai collezionisti, luoghi che rivelano il gusto di chi ha scelto e messo in scena determinati “oggetti”. Intanto andiamo avanti a testimoniare gli eventi straordinari, come l’apertura del Cantiere novecento a Milano, straordinaria collezione la cui fruizione, gratuita, è stata donata ai cittadini da un’istituzione privata: una banca; e le altre mostre di rilievo tra cui quella di Alberto Garutti al PAC. Confidando nei vostri necessari contributi di collaborazione e sostegno alla rivista, non possiamo che esprimere i nostri ambiziosi propositi per l’anno che verrà: fare di Academy uno specchio sempre più veritiero della situazione collegata all’istruzione artistica non solo italiana, ma mondiale. 34 L’abitazione dell’architetto Francesco Paolo Arbore 39 La mostra di Alberto Garutti al PAC di Milano 40 Recensioni HANNO COLLABORATO* Ivo Bonacorsi Cristina Casero Gaetano Centrone Anna Comino Guido Curto Laura Lombardi Massimo Melotti Alfonso Panzetta Melissa Provezza Arturo Carlo Quintavalle Rosanna Ruscio Barbara Tosi In copertina: Emilio Tadini, Città, 1987, acrilici su tavola, 50 x 35 cm, foto di Gianni Ummarino, Courtesy Fondazione Marconi. L’UNICA RIVISTA PERIODICA RIVOLTA ALLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, AI DOCENTI, AGLI STUDENTI E A TUTTI GLI OPERATORI DEL SETTORE. impaginato Academy n.14.indd 1 22/12/12 11:57 Foto Ranuccio Bastoni Ma le Accademie vogliono davvero uscire dall’AFAM ed entrare nell’Università si o no? di Gaetano Grillo Siamo arrivati vicinissimi ad una svolta, nonostante le manovre ostili di alcuni ambienti interni all’AFAM e ai sindacati oltre ad un’area politica, quella del PD, che paradossalmente non capisce le nostre ragioni, ciò nonostante il peggior nemico era nascosto all’interno delle accademie ed ha vinto! La riforma universitaria delle Accademie statali italiane, così correttamente e tenacemente portata avanti dal relatore On. Giuseppe Scalera presso la VII Commissione Cultura della Camera, si è arenata. Oggi potremmo dire che si sarebbe arenata in ogni caso, visto che il Governo è caduto ma proviamo a capire le ragioni a favore e contro questo passaggio che una volta per tutte avrebbe allineato la politica culturale e formativa italiana a quella degli altri Paesi dell’Unione Europea. La lotta per il riconoscimento del livello universitario della formazione artistica svolta nelle Accademie statali italiane, risale ai primi anni ‘70, quando la mia generazione di studenti che dopo la maturità artistica passavano all’unico livello di formazione superiore possibile, quello delle Accademie di Belle Arti, vedevano i loro studi e i loro titoli discriminati rispetto agli altri compagni di strada che avevano invece scelto di iscriversi per esempio alla Facoltà di Architettura. Stessa formazione di provenienza stessa durata del corso, ma ai primi veniva rilasciato un Diploma di poco valore, ai secondi una Laurea di valore molto più spendibile, quantunque la Facoltà di Architettura fosse nata proprio staccandosi delle Accademie ed entrando nel sistema universitario. La legge 508/99 e successivi decreti applicativi, dopo anni e anni di lotte, finalmente riconosceva alle Accademie il ruolo di Alta Formazione Artistica post secondaria, ovvero terziaria, come tutte le università ma le faceva uscire dall’Ispettorato all’Istruzione Artistica per inserirle non nell’Università bensì in un recinto chiamato AFAM. Sembrava che il provvedimento dovesse attribuire un particolare valore alla formazione artistica, considerato che il nostro è il primo Paese al mondo per l’arte e la cultura ma nei fatti aveva come obiettivo quello di posizionare l’AFAM in un livello intermedio fra la impaginato Academy n.14.indd 2 formazione secondaria e quella terziaria pur definendo per le accademie un percorso formativo simmetrico in tutto e per tutto a quello dell’Università. Stesso schema del 3+2, stesso numero di crediti formativi ma non chiamati cfu (crediti formativi universitari) bensì cfa (crediti formativi accademici). Diploma di primo livello dopo il Triennio, Diploma di secondo livello dopo il Biennio Specialistico e possibilità di avviare Dottorati di Ricerca e Masters. Meno male che l’Italia vuole valorizzare l’arte! Nel frattempo il Ministero ha progressivamente tagliato i fondi per l’istruzione pubblica costringendo le Accademie ad alzare le tasse agli studenti per onorare l’incremento dell’offerta formativa, a sua volta vincolante per il raggiungimento dei titoli. In altre parole ha fatto una riforma a costo zero, utilizzando le due fasce della docenza ma senza riconoscere a queste una corrispondenza giuridica ed economica parallela all’Università ma ancor più grave è che tale corrispondenza non è nenache intermedia fra quella della docenza d’istruzione secondaria e quella terziaria poichè i professori delle accademie guadagnano mediamente e paradossalmente meno dei professori dei licei. I sindacati hanno alimentato la discordia tra le due fasce spostando il problema dal riconoscimento giuridico all’interno della categoria continuando essi stessi a rappresentarla tenendola vincolata al pubblico impiego. All’interno dell’AFAM fra accademie e conservatori non c’è dialogo, se non nelle - talvolta forzate - convivenze messe in scena durante il Premio Nazionale delle Arti. In tredici anni non sono stati istituiti i Licei Musicali, così i Conservatori fanno la formazione anche dei minori confermando una percorrenza che è nella sostanza molto diversa da quella delle accademie. Esiste un CNAM parallelo al CUN, ci si ostina a pensare (ma nei fatti sarebbe più legittimo pensare che si tratta di una minaccia velata) che non esistendo classi di laurea in Pittura, Scultura, Scenografia ecc. tali indirizzi, passando all’università perderebbero identità. Ci si ostina a far credere che poichè nell’università i tecnici di laboratorio 22/12/12 11:57 non sono professori ordinari o associati, tutti gli attuali docenti di indirizzo e comunque tutti i professori di discipline laboratoriali sarebbero degradati. Si vuol far credere che nell’università non venga salvaguardata la specificità dei percorsi formativi accademici, che le discipline storiche vengano travolte, si vuole far credere che il patrimonio artistico vada a quel punto perduto. Sicuramente l’AFAM è stato e resta un sogno bellissimo nell’immaginazione del Direttore Generale che si è speso con ostinazione e perseveranza per realizzarlo, comprensibilmente convincendo di volta in volta i suoi diretti referenti sulla bontà del sogno. Così è stato per tutti questi anni finchè un gruppo di docenti ha raggirato il riferimento istituzionale costituendo un Consiglio Nazionale dei Professori delle Accademie di Belle Arti (Cnpaba) spontaneo per una partecipazione diretta dei docenti. Grazie a queste iniziative la rivendicazione del riconoscimento universitario delle accademie è tornato alla ribalta sia negli ambienti politici e legislativi, sia nelle cronache della stampa e degli ambienti dell’arte e della cultura con appelli a sostegno firmati da indubbie personalità di altissimo profilo e prestigio nazionale e internazionale. Il relatore del disegno di legge, l’Onorevole Scalera, ha dovuto fronteggiare nella VII Commissione Cultura della Camera tutte le manovre messe in atto per impedire che le accademie abbandonassero l’AFAM e transitassero nell’Università. Nel giro di alcuni mesi sono stati apportati diversi emendamenti al disegno di legge, è stata consultata la Conferenza dei Direttori e varie accademie giungendo nel mese di novembre a documenti ufficiali uniformi soprattutto siglati dalla Conferenza dei Direttori e dalle tre più grandi accademie italiane, quella di Milano, Roma e Napoli. Questi documenti ufficiali e gli appelli firmati dagli intellettuali più prestigiosi del nostro Paese, a nulla sono serviti perchè all’interno del nostro sistema i tentennamenti, le posizioni opportunistiche di alcuni direttori e l’assenteismo della maggior parte dei docenti hanno reso fragile l’assetto rivendicativo che finalmente era giunto quasi a vedere compiuto l’iter legislativo. Unico risultato raggiunto in tutti questi mesi di duro lavoro da parte di alcuni, pochissimi docenti che si sono spesi per tutta la categoria, è stato il riconoscimento dell’equipollenza dei titoli di Diploma Accademico di primo e secondo livello, nonchè di quelli ottenuti con il vecchio ordinamento, ai corrispettivi titoli di laurea di primo e secondo livello e di laurea magistrale, soltanto nei casi di partecipazione a concorsi pubblici che prevedano quel requisito. Naturalmente è un piccolo risultato a fronte di un grande lavoro, un riconoscimento parziale dell’utilità del titolo accademico che aiuta in parte i nostri studenti; dico in parte poichè non si tratta di una laurea ma di un’equipollenza riconosciuta solo per la partecipazione ai concorsi pubblici, provvedimento che non affronta il problema la cui soluzione ancora una volta viene rimandata soprattutto per non riconoscere la formazione universitaria che facciamo noi docenti, per non riconoscere la nostra funzione sia giuridicamente che economicamente . Si tratta comunque di un piccolo passo in avanti che accredita ulteriormente le ragioni delle nostre rivendicazioni. A questo punto potremmo e dovremmo ricorrere alla Corte di Giustizia della Comunità Europea per chiedere che ci venga riconosciuta la nostra funzione di docenti universitari poichè rilasciamo titoli che sono riconosciuti equipollenti alle lauree e perchè lo Stato Italiano sta discriminando la nostra categoria contravvenendo ai princìpi stessi della nostra Costituzione. Fra tre mesi avremo un nuovo governo, un nuovo ministro e una nuova VII Commissione Cultura, facciamo in modo che tutti gli sforzi compiuti sino ad ora non vadano persi ma che costituiscano il terreno per ripartire con forza. Cari colleghi, questa rivista, con la sua edizione online è uno strumento utilissimo per compattare il nostro sistema, usiamola! Buon 2013! foto qui sotto e a sinistra, lo scalone dell’Accademia di Belle Arti di Napoli impaginato Academy n.14.indd 3 22/12/12 11:57 Oltremare, 1991. Acrilici su tela cm. 80 x 65 profili: 4 O I L I EM tadini A dieci anni dalla scomparsa di Emilio Tadini, pittore, intellettuale e scrittore che fu anche Presidente dell’Accademia di Brera dal 1997 al 2000, la Fondazione Marconi di Milano lo ricorda con una importante retrospettiva e con la pubblicazione di una monografia edita da Skira e curata da Arturo Carlo Quintavalle. ARTURO CARLO QUINTAVALLE ricorda EMILIO TADINI profili in una conversazione con Cristina Casero Da molti anni segui il lavoro di Emilio Tadini, cui sei stato legato anche da una profonda amicizia. Nel catalogo della mostra allestita a Parma, presso l’Istituto di Storia dell’Arte nel maggio del 1975, se non sbaglio la prima mostra di Tadini che hai curato, hai insistito molto sull’importanza del rapporto tra arte e ideologia nel nostro autore; su questa lettura, poi, sei tornato anche in seguito. La consideri ancora attuale? Credo di si. La crisi che la pittura oggi sta attraversando, come del resto la crisi della politica che è davanti agli occhi di tutti, nasce proprio dalla mancanza di ideologie. Non sto parlando di una ideologia in particolare, quella comunista, ma delle ideologie, quella socialista, quella democristiana, quella liberale che, tutte, hanno avuto – riconosciuti o meno – dei rappresentanti. Tadini si forma su una matrice ideologica non tanto rigida, come invece potrebbe sembrare: è un intellettuale di sinistra, certamente, ma un intellettuale di sinistra che può essere vicino alla zona degli extraparlamentari come vicino ai vecchi socialisti lombardiani o ai comunisti che in quegli anni diventano una galassia. A questo proposito, bisogna ricordare che alla fine degli anni Cinquanta non essere ideologicamente legati a un modello è estremamente difficile, come è estremamente difficile creare una pittura, un racconto, ideologicamente non riferibili a modelli precisi. Perché dico questo? Perché quando uno guarda le opere pittoriche di Tadini della fine degli anni Cinquanta, non può non constatare che stanno tra Victor Brauner e la ripresa di un surrealismo molto geometrizzato, molto bloccato, in cui riconosciamo anche il peso di Max Ernst. È, insomma, evidente la volontà di non fare del picassismo d’accatto ma anche di non fare impaginato Academy n.14.indd 4 l’informale. Infatti, quelli sono gli anni, pure in Italia, dell’informale e non bisogna dimenticare che in quel periodo c’è Jean Paul Sartre che propone una attenta riflessione sull’esistenzialismo, e quindi si sviluppa una nuova riflessione sulle ideologie dell’informale. Per Tadini l’informale era contemplazione estetizzante e lo rifiuta perché la sua idea dell’arte è molto differente. Non ha mai combattuto contro l’informale, ha piuttosto fatto vedere un’altra strada della pittura e a Milano è sempre stato su questa linea molto solo: anche questa è una prova della sua genialità. Quali sono, dunque, i riferimenti culturali di Tadini tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio del decennio seguente? Quale la sua idea di arte? Il suo problema, secondo me, è sempre stato quello di riuscire a dar vita ad una figurazione, e quindi ad un sistema della comunicazione, che potesse essere efficace ma, nello stesso momento, aperto al confronto con una serie di istanze culturali vive in quei primi anni Sessanta. E questo è importante perché è sempre stato un artista interdisciplinare, cioè Tadini ha scritto prima ancora di dipingere, Tadini ha polemizzato prima e durante la sua attività di pittore, per esempio attraverso gli interventi fatti, se non ricordo male per una decina di anni, sul Corriere della Sera: interventi innervati da un chiaro impegno civile, che egli scriveva sulle pagine milanesi del giornale. Scriveva anche su quelle nazionali, ma per lui era più importante la pagina locale, perché questo significava essere presente come cittadino in un luogo, in un momento. Un aspetto importante per Tadini negli anni Sessanta è la esperienza 22/12/12 11:57 5 Profughi, 1986. Acrilici su tela cm. 150 x 200 impaginato Academy n.14.indd 5 interessato al distacco dal racconto, anzi al “non racconto”. La sua è una presentazione critica degli oggetti, visti appunto con l’occhio dell’École du regard o con l’occhio della semiotica. Quindi gli oggetti sono intesi come ritagliati, ricomposti, staccati. Ogni singolo oggetto acquista senso dal rapporto con gli altri ed è tutto il sistema del quadro che propone un significato, come in un puzzle in cui il senso nasce dall’insieme. Questo significato è ragione -e qui sta l’ideologia di Tadini- non certo sentimento o passione, che a Tadini non interessano. A lui interessa un altro livello di consapevolezza: pensa, per esempio, a Vita di Voltaire, che è una riflessione sull’illuminismo. Ci sono poi altre cose su cui riflettere nei suoi quadri. Dejuner sur l’erbe, che è una serie del 1969, è di nuovo interpretabile come il processo di ricomposizione dei frammenti del reale. In questo processo Tadini trova sempre il modo di riferirsi alla pittura, al tempo, alla realtà. Emblematico è Viaggio in Italia del 1970, che è un viaggio attraverso le memorie, con l’artista calato nel ruolo dell’esploratore, che scopre il mondo: spesso nei suoi dipinti c’è la lampada, che è la luce della ragione. profili della linguistica, la linguistica strutturale. È molto difficile fare capire alla gente di oggi, che se ne è completamente dimenticata, cosa ha voluto dire lo strutturalismo, cosa ha voluto dire la semiotica, cosa ha voluto dire le Cours de Linguistique Générale di Ferdinand de Saussure; cosa ha voluto dire l’antropologia strutturale, che per Tadini è importantissima, e quindi Claude Lévi-Strauss. Nel momento in cui tutto diventa immagine, ma immagine analizzabile (è anche il momento della teoria della comunicazione, quindi anche dell’interesse per le riflessioni di Rudolf Arnheim), una idea della pittura come magma per Tadini è inaccettabile. Per lui, la pittura deve essere un sistema di immagini frammentato, componibile, come lo è il sistema della frase, che si forma dall’insieme di elementi discreti. L’altro aspetto che a me interessa ricordare della cultura di questi anni, importante soprattutto in relazione a Tadini, è l’influenza dell’ École du regard. Si tratta dell’idea di avere un occhio cinematografico, o un occhio pittorico, come testimone “freddo” di quello che accade attorno. Tadini è un letterato e i suoi romanzi, agli inizi, sono molto più alla Alain Robbe-Grillet che vicini a Luciano Bianciardi, per fare un esempio. Il discorso di Tadini è incentrato sul problema di come raccontare un intellettuale che si pone il problema dell’opera e quindi che si guarda attorno, come fa lui, sia quando dipinge, sia quando scrive, sia quando è impegnato nell’attività critica. Quindi, le scelte di Tadini a me sembrano anche estremamente originali e isolatissime nel suo contesto. E qui emerge un altro elemento significativo: il rapporto di Tadini con la pop art. Lui è in sintonia con la pop inglese e non con quella statunitense, cioè è Come nel Picasso de Il pittore e la modella? Non proprio. Infatti, a differenza di Picasso, Tadini la modella non ce l’ha. Non è più il mito del pittore. E’ il mondo che l’artista deve affrontare. Ma, per quanto sia importante la questione dell’ideologia, non bisogna trasformare Tadini in un ideologo. Invece, bisogna guardare a come lui ha dipinto: ci sono dei quadri, dei temi, delle opere, per fare un esempio possiamo ricordare Profughi del 1989, in cui ci sono, evidenti, i suoi riferimenti pittorici: George Grosz, 22/12/12 11:57 6 Oltremare, 1991. Acrilici su tela cm. 150 x 200 profili Otto Dix, Max Beckmann. Infatti, chiunque voglia raccontare in modo consapevole e “impegnato” sceglie nel passato dei modelli che abbiano un impegno comparabile al suo. Nel caso di Tadini, come punto di riferimento, alla lontana vi è anche Hieronymus Bosch. Questi artisti sono tutti parte di una medesima genealogia, che include anche lo Chagall del primo decennio del Novecento. Ogni artista si trova i propri antenati nella storia, che è un magma. Così ha fatto Tadini. In che termini è fondamentale l’impegno civile, che sempre ha innervato la ricerca di Tadini? Diciamolo chiaramente: Tadini racconta sempre l’alienazione del mondo e dei singoli personaggi dei suoi quadri. Quando vi sono le maschere non sono le maschere negre, ma sono le maschere che la gente alienata si pone sul viso. Tadini ha una capacità incredibile di suggerire la scomposizione di ogni suo dipinto riconoscendone le fonti e i modelli che però diventano diversi, assumono nuovo senso e nuova forma. Pensiamo alla serie dei trittici del Ballo dei Filosofi, che secondo me rimarranno nella storia. Chi sono i filosofi? Il ballo dei filosofi è il ballo degli intellettuali, è l’opportunismo, è la trasformazione, è l’isolamento, è l’alienazione, son figure deformi, sospese nello spazio. Poi c’è anche una grande ironia: se uno ci pensa bene questa è l’esasperazione, la trasformazione in macchina, della retorica dei dipinti fascisti, però con dentro anche Max Beckmann, Max Ernst e cento altre cose. Quello che mi colpisce in questi quadri, oltre al coraggio che Tadini ha avuto nell’affrontare una impresa del genere, sapendo per altro che sono opere non “vendibili”, ma certamente quadri da museo, è l’idea di raccontare un modo di porsi. Il discorso di Tadini è quello di un pittore che cerca la strada per scoprire la propria posizione e funzione nel mondo. impaginato Academy n.14.indd 6 Dunque, è chiaro che la costruzione del racconto pittorico, per Tadini, è una operazione complessa. Ma come procedeva? Per capirlo bene ci sono i disegni, che sono importanti, proprio perché lì vedi il processo di elaborazione dell’opera, il passaggio da piccoli schizzi a bozzetti a grandi disegni che sono in rapporto uno a uno col dipinto finale. Un altro elemento che dobbiamo ricordare è che Tadini concepisce sempre i quadri come un grande racconto. Lui aveva un progetto globale, che diventava dominante: per lui una serie di quadri è come un romanzo. Questo dimostra anche che in Tadini c’è una qualità, che è di pochissimi: la capacità di gestire lo spazio. Tutti i pittori sono capaci di fare un quadretto, ma pochissimi pittori sanno fare un grande quadro. E pochissimi ancora sanno fare un quadro grande che sia “grande”. Il nodo della questione è la capacità di dominio dello spazio, che si coniuga con la volontà di riferirsi ad un pubblico più ampio: Tadini fa molte volte dei quadri che difficilmente verranno venduti, ma che piuttosto dovranno finire in una raccolta pubblica, come Il Ballo dei Filosofi, evidentemente destinato ad un museo. Bisogna riconoscere che Tadini, dalla metà degli anni Sessanta, ha sempre costruito opere di grandi dimensioni, per di più affrontando dei soggetti estremamente scomodi. Infatti, capire un quadro di Tadini non è facile: non te lo puoi raccontare come un bel quadro. E’ bello perché è importante, ma non è bello formalisticamente, anche se è perfetto sul piano formale. Tadini va oltre l’idea del bello cui siamo abituati, inteso come contemplazione, sogno, memoria infantile, fantasia, evocazione. Un ulteriore elemento di complessità nella lettura delle sue opere è dato dal ruolo della psicanalisi. Tadini si è sempre occupato di psicanalisi, rileggendo Freud attraverso Marx e pensando al sistema del sognare come a un meccanismo linguistico. Quindi, Marx da una parte, perché Freud interpreta un sogno borghese, e 22/12/12 11:57 7 Itaca nera, 1986. Acrilici su tela cm. 150 x 200 la semiotica dall’altra. Se per capire qualsiasi artista ti basta un colpo d’occhio, per lui un colpo d’occhio ti basta giusto per capire che non capisci niente. La pittura di Tadini, insomma, non è una pittura bella ma piuttosto una bella pittura, da capire in tutta la sua complessità. Ho conosciuto Emilio nel 1974 impaginato Academy n.14.indd 7 profili in occasione della mia prima personale alla galleria Solferino di Milano. Erano tempi in cui le bottiglia di wisky animavano stupende conversazioni nel piccolo retrogalleria di Giovanna Repetto fra Emilio Tadini, Gianni Colombo, Alik Cavaliere, Mino Ceretti, Mario Perazzi, Franco Pardi, Maria Mulas, Alberto Sandretti, Ottiero Ottieri, Gustavo Bonora e tanti altri amici e collezionisti, fino ai più giovani artisti ma ancora studenti d’Accademia come me e Davide Benati. Emilio era istrionico affabulatore con il suo eclettismo e con il suo occhio pungente, colto e sottile; personalità asciutta, attivo, girava in bicicletta con quei pantaloni dalle tante tasche e tasconi, giacche e sciarpe. Non riusciva a parlare tenendo ferme le mani, gesticolava e disegnava ma sapeva anche scrivere meravigliosamente. Era un pittore letterato, irresistibile oratore, curioso, attento all’alimentazione, disciplinato e razionale nel suo costume di vita. Conosceva bene e amava la pittura in un momento in cui quest’ultima non godeva di attenzione. Emilio è rimasto fedele alla specificità del linguaggio e alle immagini nel loro manifestarsi per illustrare storie; il suo pensiero sull’arte era profondo e in continua crescita e con la pittura trattava temi spesso di carattere sociale per via di quel suo essere intellettuale impegnato, attento alla politica e alle vicende della quotidianeità. Quella vita quotidiana che era sempre presente fra gli accumuli dei suoi oggetti, dei personaggi che raccontavano il teatro dell’esistenza, metafore continue ritagliate, sminuzzate e ricomposte come frammenti di un grande collage. L’atelier del pittore era il suo set preferito, zeppo di libri dalle copertine coloratissime, pennelli, tubetti di colore, cavalletti, maschere, tele e finestre dalle quali si intravedevono le sue città fatte di case e casermoni grigi, lampadine, bandierine, giocattoli, strumenti musicali, candele, cappelli e tantissime altre cose, le cose gli piacevano molto e attraverso le cose raccontava il teatro della vita. Le sue campitura terse e piatte degli anni ‘70 si erano gradualmente scaldate per diventare sempre più vibranti e mosse sotto pennellate nervose e decise che avevano reso la sua pittura più plastica nei due decenni successivi. Alcuni detrattori della sua opera artistica lo hanno accusato di aver continuato ad usare un linguaggio che sembrava ormai obsoleto dopo le sperimentazioni che dalle neo avanguardie in poi avevano rotto il filo della continuità della pittura. Su questa idea della pittura concepita solo come uno dei tanti linguaggi e comunque, ormai, dei meno efficaci, si sta cominciando finalmente a riflettere e non è detto che non si riconsiderino le specificità e che non si rivedano posizioni che a molti sembrano indiscutibili. Emilio è stato uno dei tanti che ha lavorato una vita per trovare dentro il tessuto connettivo della pittura le ragioni del suo tempo, lo ha fatto con cultura, con personalità e impegno. Emilio Tadini è mancato alla vita culturale di Milano, la sua intelligenza è stata una risorsa per tutti noi, così come è mancato anche all’Accademia di Brera con la sua personalità e la sua umanità. Il giudizio sulla sua opera è forse ancora prematuro. Gaetano Grillo 22/12/12 11:57 L’Ecole Nationalle Superiéure des Beaux-Arts de Paris 8 accademie europee Conversazione tra Nicolas Bourriaud, direttore della Scuola Superiore di Belle Arti di Parigi e Ivo Bonacorsi Nicolas Bourriaud lei é una personalità pubblica nella vita culturale francese e dunque si ha l’impressione di conoscere bene il suo percorso professionale. E ciò attraverso mostre, scritti importanti per il dibattito sul contemporaneo come L’estetica relazionale, Postproduction e Radicant e i suoi successivi incarichi, la direzione (assieme a Jerôme Sans) del Palais de Tokyo e la Triennale della Tate... davvero nessuno però si aspettava di ritrovarla alla direzione della Scuola Superiore di Belle Arti di Parigi, le prestigiose Beaux Arts. Ebbene eccomi qui. Il vantaggio di dirigere questa scuola, è che (ride divertito) da sempre è stata anche un centro di esposizione, fin dai tempi dei famosi «concours» e «prix». Dunque ne ripristineremo funzoni e fasti; inaugureremo un vero Palais des Beaux Arts del quale mi sto già occupando. Riapriremo tutti gli spazi espositivi possibili e non solo quelli odierni sul Quai des Malaquais. Questo all’interno di un disegno pedagogico complesso che mira a riposizionare l’artista al centro. La figura fondamentale per la comprensione delle arti nel XXI secolo e mi auguro che la scuola possa divenire il centro d’arte che permetta di godere dei lavori dei nuovi diplomati e di quelli di ex-allievi che nel tempo ne hanno costruito e ne costruiranno la reputazione. Parlando di ex mi riferisco anche ai giovani che sono emersi in questi anni come Neil Beloufa, Isabel Cornaro, Ivan Argote e la cui reputazione internazionale è decisamente indiscutibile. Quindi Nicolas Bourriaud non ha perso il vizio di fare delle mostre ? Al contrario aumenteranno in modo esponenziale visto che la scuola ha delle collezioni formidabili: 450.000 opere dalla Renaissance a oggi che comprendono la seconda raccolta di disegni, inferiore per numero solo al Louvre, accumulatesi nel tempo per le quali abbiamo già pronti dei piani espositivi, davvero efficaci. impaginato Academy n.14.indd 8 Praticamente é seduto su di una miniera d’oro… Piuttosto una bella addormentata, (lo dice vezzosamente in inglese la lingua che Bourriaud intercala con piacere nella conversazione ndr.) una vera sleeping beauty. Per la quale il risveglio e l’abbraccio del pubblico si farà velocissimamente attraverso una serie di momenti espositivi. Riapriremo il Palais de Beaux Arts già a fine aprile 2013. …Una premiere, quindi. Claro! Ci concentreremo su artisti della seconda metà del XX secolo e su figure teoriche come George Kluber e il suo davvero illuminante, «ultramodernismo» come lo hanno definito. Dunque l’eccessivamente moderno, alla «ricerca di quelle ricerche» intorno alla nostra contemporaneità che hanno rivalorizzato il tempo come componente attiva nell’esperienza artistica e non solo forma o spazio. Ora penso al suo nuovo Radicant… -(scherzando dice) Credo inaugurerò una forma di Google curating! uno stretching dell’idea benjaminiana dell’angelo della storia, nel quadro di Klee Con meno rovine e più immagini ai suoi piedi… È come partendo da una immagine su di un motore di ricerca si procede automaticamente in diverse direzioni. Inviteremo a Parigi artisti di grande qualità e organizzeremo mostre molto specifiche ma con caratteristiche individuali. Dall’ ipercontemporaneità di Carol Bove alle proposizioni di grandi artisti anche sconosciuti al pubblico come Glauco Rodrigues, morto nel 2004 e da noi praticamente inedito. Io lo definirei il Richard Hamilton brasiliano, incisore fuori dal comune con un’opera post-coloniale stupefacente. Più in generale, ogni sezione espositiva avrà una cospicua selezione di opere e grande attenzione alle sinergie, visto che pubblicheremo molte monografie importanti. Dunque lei vede il momento espositivo, come una questione centrale anche nell’offerta pedagogica. Io voglio costruire un programma culturale forte che ruoti attorno alle esposizioni (tavole rotonde e convegni) ma soprattutto in grado 22/12/12 11:57 9 Siete già una istituzione molto prestigiosa e soprattutto pubblica, la vostra reputazione è solidissima e ora mi pare lei cerchi un posizionamento internazionalmente molto più forte… una visibilità in uno scenario globalizzato. Vorrei creare un ecosistema, che possa integrare le potentizialità degli artisti di fama che inviterà e che interverranno, lavorando nei workshops con i nostri studenti. Un poco come ha fatto Urs Fisher con la sua installazione per il Festival D’Automne. Sì esatto e tutti gli anni sui due ettari di spazio della scuola avremo la possibilità di misurare questa sinergia tra artisti in carriera ed affermati e giovani studenti. Non vi mancherà certo lo spazio. Con quello che state riabilitando e considerando spazi come la Chapelle e la Cour d’honneur, prestigiosi e oramai entrati nella routine espositiva con la loro carica storica ed il loro notevolissimo potenziale estetico. impaginato Academy n.14.indd 9 D’altra parte già al Palais de Tokyo quando era poco più che uno squat inserito in un’architettura mozzafiato avevamo dimostrato, andando controcorrente, che era possibile fare mostre un poco dappertutto. Qui sarà forse più semplice. E, diciamolo, diventerà uno spazio simbolico che va dal Louvre al Palais de Tokyo. I diplomati delle Beaux Arts saranno sicuramente dopodomani al Palais de Tokyo e sicuramente noi diventeremo dei players (giocatori) attivi in relazione alla città di Parigi. Il nostro corpo insegnante è già molto rappresentativo, da Thomas Hirchornn a Tania Brugeira , Boltansky, Penone... Penso alle nomine per chiara fama che sono la specificità delle nostre accademie... La nostra faculty è per l’appunto di primissimo ordine. E a livello di budget, visto che con i tempi che corrono anche in Francia i tagli sono stati abbastanza cospicui? Lei pensa di fare entrare il privato, parlo di contributi e sponsorizzazioni…? Credo proprio che è così che rientremo nella misura economica dell’esercizio. accademie europee di connettere il momento espositivo all’apprendimento. Come dicevo all’inizio della nostra conversazione, vorrei che la scuola diventasse il primo e vero agente non solo nella formazione ma anche nel passaggio nella società dei nostri giovani diplomati. E chi pensa che siano, in termini di offerta, i grandi concorrenti della sua scuola? le scuole tedesche, quelle inglesi o le 22/12/12 11:58 10 accademie europee prestigiose università private americane? Per farle un esempio che può riassumere bene la situazione, noi siamo sicuramente meglio del Goldsmith di Londra, con la differenza che noi costiamo 500 euro l’anno e loro seimila. La Saint Martin’s è più centrata sulla moda, ma noi abbiamo una miriade di progetti esterni .Uno che le anticipo investirà la rue Beranger, la sede del quotidiamo Liberation, in una direzione museale. Una strategia ben sviluppata attorno alla centralità comunque dei vostri splendidi ateliers. Sì, per noi sono come dei templi di Shaolin, arti marziali dove si apprende filosofia . E poi altri luoghi orientati alla tecnica in cui si apprendono ovviamente dalla ceramica alle nuove tecnologie. Stiamo investendo anche sull’estero dove esportiamo programmi e impaginato Academy n.14.indd 10 ateliers, come recentemente in Brasile. Importante anche il rinnovamento del sito web e della nostra relazione alla rete, lavoro che è solo cominciato. Delegheremo ad ogni atelier una presa diretta sul loro programma. Ci si potrà collegare e attraverso una webcam accedere alla vita e alle loro attività con aggiornamenti in tempo reale. E come vede in questo momento di crisi la sua relazione al potere politico, in una scuola come la sua che nei secoli è stata «diretta attraverso nomine dirette», fin dalla sua nascita, prima regale e poi repubblicana? Si arriva alla sua posizione come? Ovviamente per nomina della presidenza della repubblica… dunque nominato da Sarkozy e ora alle prese con una gestione socialista… È ovvio che la politica, i politici vanno convinti con i fatti che si stia 22/12/12 11:58 11 nominando la persona giusta, per lo meno questo è il mio caso. E ora, proprio come era successo per il Palais de Tokyo, vorrei che le Beaux Arts diventassero la referenza per l’educazione artistica e non solo in Francia. E quindi inventare una veramente un nuovo tipo di scuola. impaginato Academy n.14.indd 11 accademie europee *Ivo Bonacorsi, artista e scrittore, è nato a Vergato (Bologna) nel 1960. Si laurea in Fenomenologia degli Stili nel 1987 al D.A.M.S di Bologna. Dopo avere vissuto a Milano, dal 1997 risiede a Parigi, dove insegna Drawing concepts e tiene laboratori alla Parsons Paris School of Art & Design e alla Paris College of Art; è corrispondente per l’arte per «Domus» e «il Manifesto». 22/12/12 11:58 Franco Marrocco nel palazzo di via Brera alla Pinacoteca solo quando sarà pronta la nuova struttura di ventiseimila metri quadri nell’area delle ex caserme Magenta e Mascheroni. Qual è la tua posizione a riguardo? Io sono fra coloro che hanno condiviso sin dall’inizio quell’accordo e cioè che il nostro ampliamento debba avvenire nel futuro nuovo campus universitario Brera che consterà di una superficie utile coperta di circa ventiseimila metri e comunque mantenendo Il cuore in via Brera, 28. La nostra esigenza di ampliare gli spazi destinati alla didattica dipende dal grande incremento d’iscritti che abbiamo avuto negli ultimi anni, congiunto ad un fortissimo ampliamento dell’offerta formativa con nuovi Corsi, Scuole, Dipartimenti. Abbiamo bisogno certamente di mettere a disposizione dei tanti studenti spazi idonei affinché essi possano studiare e operare adeguatamente. E’ chiaro che l’Accademia di Brera non intende venir meno all’impegno preso con l’accordo del 2010 benchè negli ultimi tempi il direttore Mariani aveva assunto posizioni di arroccamento che sono apparse andare nella direzione opposta. La preoccupazione di molti è che l’attuale congiuntura economica e la fretta di realizzare il progetto Grande Brera, almeno in parte, per l’EXPO 2015, posso portare come conseguenza a soluzioni affrettate e ancor più gravemente frazionate. I fondi che recentemente ha stanziato il MIBAC, nella misura di ventitre milioni in quote da dividere in parti ancora non esattamente definite fra Pinacoteca e Accademia certo non sono minimamente sufficienti per pensare che in meno di tre anni si possa portare a compimento l’accordo del 2010. Peraltro i finanziamenti del Ministero dei Beni Culturali pare che non siano destinabili a nuove costruzioni ma vincolati al recupero di beni esistenti e ritenuti d’interesse artistico e culturale. 12 La questione dell’allargamento e dell’accordo che fu fatto allora è da chiarire perché i termini erano che a noi avrebbero dato spazi pari a ventiseimila metri quadri, che questi potevano essere eventualmente modificati o strutturati secondo le nostre esigenze, in cui noi avremmo potuto anche costruire qualcosa di nuovo e noi a tale proposito vorremmo essere garantiti da un concorso internazionale. nuovi direttori Foto di Cosmo Laera …vorrei che la nostra accademia torni a essere un luogo in cui l’immaginazione e la creatività corrispondano alla poesia. Che Brera torni a essere un luogo in cui si riscoprano i valori dell’umanità e dei sentimenti, che torni a essere un grande laboratorio d’idee. A cura di Gaetano Grillo Chi è Franco Marrocco? Io ho cominciato a studiare all’Accademia di Frosinone negli anni ’70, poi sono passato a quella di Roma ed ho cominciato a insegnare come docente di pittura nei primi anni ottanta in varie accademie come Frosinone, Bologna, Palermo, Reggio Calabria e sono entrato in ruolo come assistente di Anatomia nel 1989 e dal 1995 sono entrato sul mio ruolo di docente di Pittura. Una nuova avventura in un momento storico molto delicato e importante per l’Accademia di Brera per la coincidenza di più circostanze come l’imminente Expo e il progetto “Grande Brera”, già avviato da Franco Russoli agli inizi degli anni ’70 ma che nel 2010 sembra essere giunto a un accordo di massima. C’è la volontà del MIBAC di dare avvio al più presto alla realizzazione dell’ampliamento sia degli spazi della Pinacoteca sia degli spazi dell’Accademia, prova ne è il primo concreto finanziamento disposto dal Ministro Ornaghi. Tu sai bene che la posizione dell’ex direttore Gastone Mariani è stata molto intransigente a proposito nel senso che ha affermato sempre con molta fermezza che l’Accademia cederà parte dei suoi spazi impaginato Academy n.14.indd 12 Continuiamo a credere che ci sia lo spazio per indire un concorso internazionale per il grande campus Brera, cosa che sicuramente stimolerebbe molti architetti, visto il prestigio di cui la nostra istituzione continua a godere. Certo noi dovremmo lasciare il Cortile Napoleonico, che è uno dei più belli d’Italia e dovremmo avere in cambio almeno spazi adeguati alla didattica dell’arte. Credo che noi dobbiamo difendere il nome di Brera e la sua notorietà nel mondo. All’interno del palazzo di via Brera, 28 siamo il condomino con più millesimi ed è evidente che ci deve essere corrisposto in cambio qualcosa d’importante sia sul piano estetico che volumetrico Giustamente hai fatto notare che all’interno dell’edificio storico l’Accademia è l’istituzione che ha più millesimi ma dovremmo anche dire che è l’Accademia a dare storia e vita sia alla leggenda artistica che caratterizza l’intero famoso quartiere sia agli esercenti che vi operano apportando non solo colore, energia e se vuoi folclore, ma anche la presenza vera di ogni giorno con circa quattromila persone fra studenti, docenti, impiegati e ospiti continui; senza di noi molto probabilmente il quartiere di Brera imploderebbe ma tutto ciò considerando anche la straordinaria identità del Palazzo di Brera, forse unico al mondo per l’idea illuminista che era quella di avere un’istituzione all’interno della quale dovessero convivere i sapèri delle arti, delle scienze e delle lettere. Uno straordinario luogo di polifonie culturali per il quale si chiede appunto il riconoscimento di sito Unesco. 22/12/12 11:58 Credo che noi non dobbiamo perdere questa identità e questa energia che poi si espande verso il quartiere e verso la città ma allo stesso tempo dobbiamo tenere presente due esempi straordinari di casi che ci hanno preceduto: l’Accademia di Venezia e di Bologna. A Bologna l’Accademia in sostanza convive con la Pinacoteca, diventando un tutt’uno anche dal punto di vista della gestione. Credo che sia una soluzione felicissima. Mentre a Venezia l’Accademia dopo aver lasciato all’espansione della Galleria dell’Accademia (che porta ancora il suo nome) i suoi spazi in cui svolgeva la didattica, si è trasferita (questo caso è stato un vero trasferimento) nel vicino Ospedale degli Incurabili (ex Lazzaretto) all’interno del quale ha potuto articolare la sua funzione in spazi ben più ampi e luminosi di quelli storici. Questi sono due esempi che dobbiamo tenere in considerazione. Ribadisco comunque che l›espansione di Brera debba realizzarsi con un concorso di idee dove gli spazi assegnatoci possano essere rimodellati con innesti di elementi architettonici nuovi (contemporanei) ridando un nuovo aspetto estetico anche al quartiere. L’Accademia di Brera è la più importante Accademia d’Europa anche per un altro aspetto che spesso la gente non considera e che è in vece di rilevante valore, il suo patrimonio storicoartistico. Un patrimonio che si è accumulato durante oltre due secoli, attualmente dislocato in più sedi, che costituisce il cuore dell’Accademia. Oggi può apparire una questione che riguarda il Ministero dei Beni Culturali ma il nostro patrimonio è nato da e per la didattica ed io penso che ad essa debba continuare ad essere indissolubilmente connesso. Cosa pensi a riguardo? Per quanto riguarda il problema del patrimonio, noi forse abbiamo quello più importante e interessante di tutte le accademie italiane, dal neoclassicismo ai nostri giorni (opere dei maestri dell’Accademia di Brera, dipinti, sculture, disegni, gabinetto delle fotografie ecc.) e sappiamo che di recente il nostro Presidente è stato nominato responsabile amministrativo; proprio in questi giorni si stanno creando dei gruppi di lavoro dove si dovranno segnalare i responsabili tecnici di questo ingente valore. Naturalmente oltre a Brera c’è anche il patrimonio di altre accademie, quelle storiche (Napoli, Bologna, Firenze, Venezia ecc.). Credo che dovremo adoperarci per avere al più presto la catalogazione definitiva di tutti i pezzi che compongono il nostro patrimonio. Brera però è anche e soprattutto un’accademia ricca di patrimonio professionale perché nel passato ma anche oggi, vi hanno insegnato e vi insegnano ancora artisti di valore, critici e storici d’arte fra i più accreditati d’Italia, tanti intellettuali e tecnici di sofisticata esperienza, senza citare la sua vocazione per l’innovazione e l’avanguardia, per la tecnologia ecc. Brera è una instancabile fucina d’iniziative culturali a tutto campo, di ricerca, sede di convegni e lectio magistralis di figure di altissimo profilo internazionale. Immagino che tu intenda potenziare questa attività ma soprattutto ti renda conto che debba essere considerata e riconosciuta molto di più, specie dalla città. Abbiamo parlato della sede, della “Grande Brera”, del suo Patrimonio, non ci resta che parlare del suo patrimonio umano e professionale. Quasi quattrocento professori di cui quasi la metà in ruolo, migliaia di studenti ma, con tutte le sue enormi risorse Brera non è considerata ancora Università e dopo ben tredici anni dalla riforma i docenti sono ancora inquadrati in fasce stipendiali secondarie e gli studenti non hanno una vera e propria laurea ma diplomi accademici equipollenti alle lauree solo nei casi di concorsi pubblici. Perché i nostri studenti devono fare un percorso di studi universitario con gli stessi costi di una qualsiasi Università Statale e non possono avere una laurea a tutti gli effetti? Cosa pensi a riguardo? Io credo che questo disegno di legge debba diventare esecutivo per impaginato Academy n.14.indd 13 I regolamenti attuativi per rendere ordinamentale il Biennio Specialistico non sono ancora stati emanati nonostante la riforma sia partita con i Bienni prima ancora di attivare i Trienni e di mandare ad esaurimento i Quadrienni, ti sembra normale? A Brera poi bisogna aggiungere un requisito davvero rilevante e cioè che il suo tasso d’internazionalizzazione degli studenti è il più alto di qualsiasi università italiana. La sua fama nel mondo è tale che ci giungono allievi da ogni nazione. Tante forze e interessi di parte agiscono dietro le quinte per rimandare sempre il definitivo riconoscimento universitario delle Accademie; anche gli stessi sindacati. Tu credi che noi docenti delle accademie dobbiamo ancora essere rappresentati dai sindacati come nella scuola secondaria? Credi che andremo a fare il prossimo contratto nel comparto scuola? La questione dei sindacati è molto delicata perché nel momento in cui un sindacato non riconosce la funzione di un lavoratore e ostacola il riconoscimento della sua funzione di formatore terziario è in evidente paradosso. Io non sono contro i sindacati perché non sono contro i lavoratori ma sono contro quei sindacati che ostacolano il processo di riconoscimento dello status universitario che hanno raggiunto le Acccademie. Questo mi pare logico ma probabilmente dobbiamo prestare attenzione alle iniziative dei sindacati che diventano troppo ingerenti. 13 Io credo che l’istituzione dell’AFAM avrebbe potuto costituire una specialità qualora fosse servita a potenziare quelle specificità artistiche costituendo un’eccellenza mondiale dell’Italia. Poiché nei fatti l’AFAM ha confinato questi sapèri in un limbo che è di fatto inferiore all’università, per i motivi che abbiamo già trattato e non ultimo anche per l’anomalia del livello formativo dei minori nei Conservatori di Musica, vuol dire che se quello era il suo obiettivo non solo non è stato raggiunto ma ha bloccato le Accademie nella condizione ibrida in cui ancora si trovano. Sono d’accordo con te sul fatto che l’AFAM avrebbe potuto costituire un’eccellenza delle arti italiane ma se questo comparto ha congelato le nostre istituzioni tenendole ferme al palo, vuol dire che ha svolto un ruolo negativo. Noi dobbiamo domandarci se questo comparto, così come è strutturato, è funzionale alle nostre esigenze, punto di domanda. Le cose da fare sono tante ma individuiamo una scala di priorità; da dove inizierà il nuovo Direttore dell’Accademia di Brera? Le priorità sono almeno tre: La “Grande Brera”, l’Università e la didattica. Noi siamo principalmente dei formatori e dobbiamo avere al centro la didattica, dobbiamo ripartire da lì. Non per cancellare tutto quello che è stato fatto fino ad ora perché è stato fatto tantissimo ma dobbiamo riflettere su alcune questioni che abbiamo avuto modo di sperimentare in tutti questi anni; probabilmente dobbiamo limare alcune cose ma anche potenziarne altre per accreditarci sempre più come un’istituzione di eccellenza. Franco Marrocco dice che inizierà dalla didattica ma sicuramente a un artista non mancherà un sogno nel cassetto, c’è questo sogno? nuovi direttori Noi abbiamo avuto e abbiamo ancora dei grandi maestri, come dicevi tu, spero che ce ne siano ancora perché vorrebbe dire parlare di noi. Brera nella sua eterogeneità ha figure rilevanti del mondo dell’arte; è chiaro che è e sarà una mia responsabilità, ma anche di tutti noi, potenziare questa nostra energia. Siamo un punto nevralgico del sistema ma la città, non sempre ci riconosce questo ruolo, anche se per fare un esempio, uno dei nostri ex alunni famosi è proprio Dario Fò che continua a sostenerci sempre come può. Inutile dire che io avrò cura di sollecitare la pubblica amministrazione, stuzzicandola, magari interessando lo stesso Sindaco. Spero di riuscirci e di far tornare Brera al centro. mettere definitivamente ordine a questa paradossale situazione ed è assolutamete ingiusto che i nostri studenti debbano ritrovarsi ad avere un diploma triennale e uno magistrale con il percorso del 3+2 senza che sia una vera laurea penalizzando le loro future carriere. Io penso che dobbiamo davvero portare a buon fine questo percorso dopo ben tredici anni di attesa. Abbiamo dei progetti da attivare anche per le fasi successive al Diploma Accademico Magistrale, stiamo facendo dei dottorati di ricerca con altre Università italiane e internazionali, anche in oriente e occidente, per cui noi abbiamo tutti i requisiti perché la nostra funzione di formatori venga riconosciuta come assolutamente universitaria. Proprio in questi giorni alla VII Commissione, come tu sai benissimo, stanno discutendo gli emendamenti dell’On. Scalera e noi dobbiamo fare di tutto per dare dei segnali in questa direzione anche alla politica. Più che un sogno si tratta di un’ambizione; vorrei che la nostra accademia torni a essere un luogo in cui l’immaginazione e la creatività corrispondano alla poesia. Che Brera torni a essere un luogo in cui si riscoprano i valori dell’umanità e anche dei sentimenti, che torni a essere un grande laboratorio d’idee. 22/12/12 11:58 foto: Giuseppe Fiorello studenti con le proprie esperienze artistiche. Sono cresciuto artisticamente con alcuni maestri che hanno insegnato in accademia: Mimmo Conenna, Michele De Palma, Roberto De Robertis, Fernando De Filippi, Mario Colonna, Amerigo Tot, ecc. La mia prima mostra personale è stata realizzata nel 1979 nella galleria Pino Pascali di Polignano a Mare. In quell’anno ebbi l’incarico di assistente alla cattedra di decorazione con il maestro Mimmo Conenna e sempre in quel periodo fui assistente di artisti della scuola napoletana (Augusto De Rose, Del Vecchio Berlingieri, ecc.) che a loro volta erano stati assistenti di grandi maestri come Brancaccio, Notte, Capogrossi. Dal 1997 al 2000 ebbi l’incarico di docente della cattedra di decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, un’esperienza importante e parecchio interessante per la mia formazione. Palermo era un crocevia di artisti, giunti da tutta Italia, l’accademia era il cuore pulsante della città. Tornai a Bari nel 2000 e partecipai attivamente a tutte le iniziative artistiche di grande rilievo organizzate con diverse gallerie d’arte. Sono presente sulla scena artistica da più di trent’anni, con mostre collettive e personali in Italia e all’estero. 14 nuovi direttori maestri storici Giuseppe Sylos Labini L’Accademia di Bari deve partecipare alle iniziative artistiche di maggior rilievo che si svolgono a Bari. L’Accademia è l’Università dell’arte e nessuno deve dimenticare o far finta di dimenticare che a Bari c’è questa realtà attiva. A cura di Gaetano Grillo Beppe Sylos Labini, da poco eletto alla direzione dell’Accademia di Bari, dopo la lunga direzione di Pasquale Bellini; torna un artista a dirigere un’accademia in una città molto importante nel sud, cosa può significare? Chi è Beppe Sylos? La condizione di artista è necessaria per guidare un’accademia di belle arti. Ultimamente stiamo assistendo infatti ad un cambiamento di rotta in diverse città dove l’artista docente riceve l’incarico per la direzione. Per un artista dirigere un’accademia è un’esperienza nuova e importante; certo dovrei trovare la forza e la determinazione per affermare le posizioni di tutti gli artisti che in qualche modo rappresento. Appartengo alla generazione di artisti docenti, persone che portano avanti le loro ricerche, che hanno dato molto alle accademie e ai tanti impaginato Academy n.14.indd 14 L’Accademia di Bari aveva avuto un affievolimento della sua visibilità a causa dello spostamento nella bella ma decentrata sede di Mola di Bari, voluta diversi anni orsono dal precedente direttore Mario Colonna. Ora che è tornata in città ha registrato un nuovo incremento di studenti? Quanti ce ne sono in questo anno accademico? Per quanto riguarda lo spostamento dell’accademia nella sede di Mola di Bari ritengo sia doveroso precisare che nel 1996 ci fu la disdetta del contratto di affitto della prima sede di Bari e l’amministrazione comunale di allora voleva spostare l’accademia da quella sua sede ad una estremamente periferica con locazione molto disagevole per gli studenti. Si rese disponibile il comune di Mola e l’allora direttore Colonna fu costretto al trasferimento della sede operativa e dei laboratori in una struttura storica (l’ex convento di Santa Chiara). Dal 2007 siamo nuovamente a Bari, sulla via Re David, in spazi didattici completamente ristrutturati e utilizzati in un edificio al piano terra e un primo piano per i corsi del triennio mentre nella struttura di Mola di Bari ospitiamo i corsi del biennio con alcuni laboratori. Naturalmente il ritorno a Bari ha registrato un notevole incremento di studenti nonostante il disagio di una sede di circa duemila metri quadri. Le attuali iscrizioni contano circa settecento studenti. Tu sei un artista e generalmente gli artisti non amano la burocrazia, che purtroppo con la riforma ha avuto un enorme aggravio di formalità, come vivi questa doppia dimensione? Riesco a far coincidere la direzione con il mio lavoro di artista. Certo il numero di ore passate in studio si sono ridotte e lavoro sui miei progetti che dopo sviluppo con calma e riflessione. Ogni atto della progettualità artistica ha bisogno di questo. In accademia tuttavia c’è si concentrazione ma è un’attività convulsa da parte di tutti, questa doppia dimensione è interessante, una sorta di sdoppiamento della personalità. Sono pochi ormai gli amanti della burocrazia o quelli che sono costretti ad amarla, io preferisco la fantasia al potere. La città di Bari da molti anni avrebbe l’esigenza di avere un’accademia di alto profilo anche perché Bari è il capoluogo di una regione bellissima, vivacissima e terra di tanti artisti e intellettuali, di collezionisti d’arte, editori, imprenditori di successo ecc. Cosa pensi di fare per rilanciare la vostra istituzione? Si deve fare di più, chiederò a tutti gli organi competenti 22/12/12 11:58 della città la massima collaborazione e determinazione affinché si realizzino sinergie con l’università e con altre istituzioni pubbliche e private. Di recente vi è stata assegnata una grande area centrale per costruire la nuova sede dell’Accademia, ce ne vuoi parlare nei dettagli? Nel mese di agosto 2012 è stato firmato un protocollo d’intesa tra il comune di Bari e l’Accademia di Belle Arti che riguarda la concessione a titolo gratuito all’Accademia di una porzione di spazi all’interno dell’ex “caserma Rossani”. Si tratta di una superficie di quattromila metri quadri, uno spazio di grande prestigio e importanza strategica, situata nel cuore della città, vicinissimo alla stazione ferroviaria, una location molto comoda per l’utenza studentesca. Come intendete procedere? Chi verserà le risorse finanziarie per realizzare questo ambizioso progetto? Le somme saranno ripartite dal Ministero, dalla Regione e dalla Provincia che già versa un fitto oneroso per la sede attuale che si può convertire in somma da destinare all’attivazione di un mutuo per le risorse necessarie. Naturalmente i tempi non saranno affatto brevi per una completa e radicale ristrutturazione degli spazi assegnati. Come tu sai anch’io sono pugliese, benchè emigrato a Milano negli anni ’70 proprio per studiare all’Accademia di Brera, alla Puglia sono legatissimo e per la Puglia sono sempre attivo e disponibile ma da tantissimi anni parliamo di un Museo d’Arte Contemporanea, pensi che potrebbe essere possibile costruire un polo culturale in cui convivano l’accademia e un futuro museo? L’idea esiste, sempre nello spazio della ex caserma Rossani. In quell’area si trovano edifici da tempo dismessi; la superficie totale infatti è di ben ottanta mila metri quadri. In questi enormi spazi potrebbe sorgere un polo culturale ben definito comprensivo del museo d’arte contemporanea, dell’accademia di belle arti e anche di svariate gallerie d’arte contemporanea. Trattandosi di opere onerose mi auguro che Regione e Comune di Bari trovino un accordo che possa regalare alla città ciò che si merita per una nuova fase della sua storia. Credi che le accademie abbiano i requisiti per confluire nelle università oppure pensi che dovrebbero restare nell’AFAM? Le accademie hanno tutti i requisiti per confluire nelle università perché dotate dello stesso sistema simmetrico-formativo con in più Scuole e laboratori. E’ risaputo che l’accademia è l’università dell’arte, come è riconosciuta negli altri paesi europei, dove le accademie sono a tutti gli effetti “facoltà di belle arti”. Non sto affermando nulla di nuovo. L’accademia possiede un suo patrimonio, piccolo o grande che sia, di arte antica o contemporanea? Hai pensato di costituire una collezione d’arte contemporanea dell’accademia? Si, abbiamo alcune opere di artisti che hanno insegnato in accademia. Il mio obiettivo è quello di reperire altre opere di artisti pugliesi e non, e di costituire una buona collezione di arte contemporanea. Cosa intendi fare per sintonizzare l’Accademia con le iniziative artistiche che si svolgono a Bari? L’accademia di Bari deve partecipare alle iniziative artistiche di maggior rilievo che si svolgono a Bari. L’accademia è l’università dell’arte e nessuno deve dimenticare o far finta di dimenticare che a Bari c’è questa realtà attiva. Qual’è il primo obiettivo che ti sei posto in questo mandato? Il mio primo obiettivo è la nuova sede e un’accademia di alto profilo. 15 Gli studenti si iscrivono a scultura sia per la specificità storica della nostra accademia e culturale del territorio, sia per la qualità dei laboratori dislocati in più parti della città, bene attrezzati anche per la lavorazione del marmo e la fusione del bronzo. Che cosa pensi dell’attuale situazione delle Accademie a livello di volontà (?) politica a 12 anni dal varo della riforma-fantasma? Credo che il nostro processo di riforma abbia battuto tutti i record di durata nella storia della Repubblica italiana e non solo. I governi succedutisi nell’arco di questo periodo non hanno mai preso nella giusta considerazione il nostro settore, a parte il sottosegretario Dalla Chiesa, ultimo governo Prodi, che qualcosa ha cercato di fare, ma sappiamo tutti com’è finito. Considerando che già al suo apparire, nel ‘99, la riforma era a costo zero per lo Stato e che, negli ultimi anni i tagli delle varie finanziarie hanno ridotto ad una miseria i contributi statali… Che dire, la situazione è drammatica e rischia di peggiorare ancor più. Quest’anno che inizia abbiamo fatto i salti mortali per poter garantire agli studenti l’offerta formativa in essere, non so se saremo in grado di garantirla anche per l’anno prossimo. L’attuale fase politica-amministrativa-economica italiana è purtroppo quella che tutti conosciamo. Certo è che l’attuale governo tecnico aveva indotto qualche timido ottimismo circa la risoluzione, seppur a costo zero, degli annosi problemi che ci affliggono. Lucilla Meloni impaginato Academy n.14.indd 15 nuovi direttori A cura di Elisabetta Longari Quanti iscritti a Carrara? Di che nazionalità? Tutti attratti dalla scultura? 22/12/12 11:58 Abbiamo circa seicento iscritti, in prevalenza italiani, ma anche cinesi e coreani, europei e sudamericani. Gli studenti si iscrivono a scultura sia per la specificità storica della nostra accademia e culturale del territorio, sia per la qualità dei laboratori dislocati in più parti della città, bene attrezzati anche per la lavorazione del marmo e la fusione del bronzo. Oltre all’interesse per la scultura, registriamo un’ottima affluenza anche a Pittura, a Grafica, a Nuove Tecnologie dell’arte, al Restauro. Avete un dipartimento di multimedialità? Sai, tra gli stereotipi c’è l’immagine di Carrara come luogo di cavatori, scultori alla Michelangelo e scalpellini.... Ifatti gli stereotipi sono da evitare! Innanzitutto per l’Accademia di Carrara sono passati, negli anni, artisti e designer come Bruno Munari, Roberto Sambonet, Enzo Mari, Luciano Fabro e Getulio Alviani…..E la stessa città di Carrara, con i suoi laboratori, vede la presenza di artisti contemporanei, che qui realizzano i loro lavori in marmo, come ad esempio Maurizio Cattelan o Jan Fabre. Tieni anche conto che la Biennale di Scultura di Carrara, che vede l’Accademia coinvolta nell’evento, è un’ulteriore occasione per verificare la molteplicità dei linguaggi della scultura contemporanea, e come l’uso del marmo sia ad essi trasversale. E sebbene la lavorazione del marmo rappresenti l’eccellenza del nostro territorio, questo fattore non limita, in senso didattico, lo sviluppo di linguaggi e di ricerche di altro tipo, sia a livello della scultura, che altrove. Infatti abbiamo un importante dipartimento di arti multimediali, fra i primi nati in Italia, che addirittura per alcuni anni ha avuto il maggior numero di iscritti, dove lavorano tra i più importanti professionisti del settore. Abbiamo l’area robotica, che ci permette di creare un’intersezione tra i linguaggi della scultura e quelli delle nuove tecnologie dell’arte. Dirigere un’Accademia per un teorico che significa? Come sai per tua esperienza, noi siamo abituati a fare dei progetti Anna Russo Come concili la direzione con la tua attività scientifica e la didattica? Insegni? Non insegno perché non ho più il tempo per farlo, poiché la direzione richiede molto lavoro e molto tempo dedicato ai rapporti istituzionali. Un modo per conciliare la ricerca con questo tipo di impegno è quello di promuovere in Accademia anche momenti di incontro e di dibattito e un’attività espositiva. Grazie a un pool di docenti, che la mia direzione ha ereditato da quella precedente, con cui si è situata anche dal punto di vista progettuale in linea di continuità, e grazie alla professionalità dei colleghi impegnati nei vari progetti, abbiamo realizzato sia delle mostre, che un ciclo di conferenze che ha portato in Accademia artisti, collezionisti, critici d’arte, critici musicali: da Giorgio Maffei ad Antonio Presti, da Concetto Pozzati a Gianni Dessì, da Giorgetto Giugiaro al Maestro Giuseppe Bruno, al musicologo Gabriele Giacomello. Stiamo procedendo al restauro, già avviato negli scorsi anni, della nostra storica gipsoteca, e una sua parte importante è stata restituita alla visibilità e quindi, alla collettività. Proprio sull’asse antico/ contemporaneo ci siamo mossi proponendo mostre che mettevano in relazione I gessi di Canova, di Thorvaldsen, di Bartolini e della scuola carrarese dell’Ottocento con artisti contemporanei, e abbiamo coinvolto in questo progetto, prima Omar Galliani e poi Gianni Dessì. Penso che tutto il sistema accademico debba confluire nell’università conservando l’unicità e la specificità che caratterizza i nostri saperi. A cura di Gaetano Grillo foto: Federico Losito nuovi direttori maestri storici 16 (o di mostre, o editoriali, o di convegni) che presuppongono, sempre, una forma di conoscenza applicata. Il problema vero è che bisogna imparare a conciliare un progetto con la sua possibilità di realizzazione. In questo momento economico particolarmente difficile per il nostro Paese, e nello specifico anche per le singole istituzioni pubbliche, ci si confronta con la quasi impossibilità di “fare”, oltre l’ordinaria amministrazione. Ecco, allora io credo che in un caso del genere bisogna tentare di mettere in campo delle forme di resistenza, cercare delle soluzioni che consentano a un’istituzione definita di alta formazione come l’Accademia, di non scivolare nella rassegnazione, nell’appiattimento…. impaginato Academy n.14.indd 16 22/12/12 11:58 Anna Russo, da poco eletta alla direzione dell’Accademia di Catanzaro, chi è Anna Russo? Traccia un profilo di te stessa! Tracciare il proprio profilo è un pericoloso meccanismo, quasi sempre contraddittorio. Determinazione, disciplina, energia, entusiasmo e passione sono gli strumenti quotidiani con i quali affronto la sfida quotidiana del mio lavoro da Direttore. L’Accademia di Catanzaro è al centro di un territorio molto vasto che comprende tutto il grande bacino del mar Ionio e un entroterra assolutamente privo d’istituzioni di questo genere; potenzialmente un’area interessante. Una piccola accademia ma in una cittadina particolarmente vivace dal punto di vista culturale e sensibile all’arte. Città natale di Mimmo Rotella, di cui c’è l’omonima Fondazione e sede di iniziative artistiche sovente ambiziose e di sofisticati collezionisti d’arte come il notaio Rocco Guglielmo. Diamo una svolta a questa accademia? In quale direzione? Il mio progetto di svolta nasce da un necessario rinnovamento organizzativo e strutturale dell’Accademia che ci indichi un percorso d’identità universitaria. Stiamo già elaborando nuovi bienni specialistici e tracciando collaborazioni con altre Accademie, Conservatori e Centri di Produzione per facilitare la circuitazione della ricerca e la conseguente crescita della nostra istituzione. Tu sei un architetto, ci descrivi come è strutturata la sede, su quale superficie, con quali punti di forza e con quali debolezze? La nostra sede si sviluppa su una superficie di circa 1200 mq, organizzata su due piani in una struttura progettata per l’edilizia scolastica; la modularità degli spazi, che permette un’equilibrata organizzazione didattica ed un’intensa luminosità, sono i punti di forza della struttura. La carenza di ampi spazi laboratoriali, di aggregazione ed espositivi e il decentramento rispetto al centro storico sono i fattori di debolezza che determinano la continua ricerca di una sede “stabile”. Come architetto cosa faresti per migliorare l’impianto dell’edificio? Mi piacerebbe realizzare una straordinaria controfacciata e poter sventrare gli interni, eliminando percorsi anonimi ed estranianti Come sognatrice invece, cosa vedresti? Il sogno è quello di uno spazio nel tessuto storico della città per un maggiore collegamento con la vita civile, sociale e culturale del terri- torio. Ciò equivarrebbe ad un evidente riconoscimento etico dell’Accademia come unico e specifico ruolo nell’alta formazione artistica degli studenti, che ancora credono che l’arte sia il punto più alto dell’immagine del Paese. Da poco l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro ha vinto a Torino il Premio delle Arti per la sezione Decorazione, una splendida occasione per rafforzare l’importanza e la vitalità delle “piccole Accademie”. Credi che le accademie abbiano i requisiti per confluire nelle università oppure pensi che dovrebbero restare nell’AFAM? Penso che tutto il sistema accademico debba confluire nell’università conservando l’unicità e la specificità che caratterizza i nostri saperi. Dagli anni del mio precariato sento parlare di riforme sempre disattese, temo che la politica prediliga i grandi eventi dell’arte, disconoscendo la formazione artistica che spesso risiede dietro ogni talento. L’accademia possiede un suo patrimonio, piccolo o grande che sia, di arte antica o contemporanea? Purtroppo negli anni passati non si è pensato a costituire una pinacoteca, devo confessare che questo è un tema che ho tracciato nel mio programma di candidatura per la direzione. Nella nostra accademia si può costituire la traccia di un passaggio di alto profilo storico culturale dovuto alla docenza di artisti di grande prestigio in uno spazio opportunamente organizzato, sono fiduciosa nella generosità dei miei colleghi. Cosa intendi fare per sintonizzare l’Accademia con le iniziative artistiche che si svolgono a Catanzaro? L’Accademia può diventare un patrimonio importante per il nostro territorio trasformandola in promotrice di eventi e talenti, di recente la nostra istituzione ha sostenuto un importate progetto per la promozione dell’arte contemporanea in partenariato con il Marca, un prestigioso spazio museale della città. La divulgazione delle ricerche e delle produzioni di allievi e docenti, da realizzarsi in stretto dialogo con Assessorati e Istituti di Cultura legati ai temi dell’Ambiente, dell’Urbanistica, della Scienza, dell’Infanzia al fine di realizzare progetti comuni produrrà una maggiore integrazione con il territorio 17 Qual’è il primo obiettivo che ti sei posta in questo mandato? Gli obiettivi sono tanti, quelli più immediati: riorganizzazione, visibilità e protagonismo degli studenti. Venti allievi sono da poco andati all’estero per poter realizzare video d’arte e il primo testo di una collana editoriale per pubblicazioni di saggi, cataloghi e tesi. vai al sito: troverai la nuova rivista ACADEMY on line, una rivista molto più ampia e ricca di rubriche; basta abbonarsi semplicemente seguendo le indicazioni contenute nella finestra “abbonati qui” e con soli 20 euro riceverai per un anno intero tante notizie, potrai sfogliarla e scoprire i suoi contenuti ogni volta che vorrai, anche sul telefonino o sull’iPad, a casa, in treno, in studio. Potrai scaricare gratuitamente tutti i numeri arretrati di Academy, scoprire nuovi talenti, inserire delle inserzioni su una mostra o su un libro e se sei un docente avrai diritto ad una pagina online tutta tua nella rubrica “Professors/ docenti”. nuovi direttori www.academy-of.eu contribuisci anche tu, con il tuo piccolo abbonamento a far decollare questo progetto editoriale! impaginato Academy n.14.indd 17 22/12/12 11:58 Si ragiona… di Scultura tra XIX e XX secolo 18 Di Alfonso Panzetta sulla scultura maestri storici Le mostre Le esposizioni dedicate alla scultura sono sempre in numero inferiore rispetto a quelle sulla pittura, ma è un dato oggettivo che tali eventi temporanei suscitino un reale e crescente interesse del pubblico. Nell’ultimo anno sono state ben quattro le occasioni per operare fruttuose incursioni nella scultura del XIX e XX secolo, due in Toscana (regione che si conferma come l’avamposto degli studi sul periodo), una in Veneto ed una, certamente spettacolare, in Emilia Romagna. Quattro esposizioni che sollecitano riflessioni e confronti sul tema del “taglio” scelto e sulla metodologia dell’allestimento della scultura. Su quest’ultimo punto ci sarebbe molto da dire poiché l’elemento più macroscopico che emerge è quello della difficoltà di uscire da “modelli” pensati e collaudati per la pittura, che non possono funzionare per la scultura se si è compreso correttamente il suo linguaggio specifico. Ma andiamo in sequenza. In ordine temporale la prima è la monografica dedicata a Lorenzo Bartolini. Scultore del bello naturale allestita alle Gallerie dell’Accademia a Firenze (31 maggio-6 novembre 2011), vien da dire “finalmente” la mostra che tanto si attendeva sullo scultore più importante dopo Canova. La scelta rigorosamente monografica - malgrado qualche pezzo proveniente da collezione privata sollecitasse perplessità sull’autografia - ha allestito una filza di lavori eccelsi e sostenuti dalla contigua presenza della gipsoteca dello scultore. Anche l’allestimento era gradevole, un po’ angusto forse lo spazio, ma il senso della scultura nell’ambiente era rispettato. Completamente diversa è stata la mostra dedicata ad Adolfo Wildt ai Musei di San Domenico a Forlì, Wildt. L’anima e le forme da Michelangelo a Klimt (28 gennaio-17 giugno 2012). Una mostra curiosa…un po’ monografica, un po’ di periodo, un po’ di suggestioni dalla storia dell’arte di tutti i tempi e di tutte le epoche, un po’ (ma poco!) di influenze dell’autore sulla generazione più giovane. In realtà non si è capito cosa fosse. impaginato Academy n.14.indd 18 La cosa che è emersa in modo palese è la mancanza di coraggio nell’allestire una mostra sul grande Wildt, magari con una sezione sui wildtiani veri, e intendo Minerbi, Montegani, Viterbo, Galizi, Wildt figlio ecc. oltre che Fontana e Melotti (questi inseriti un po’ a caso). Di fatto non si è capita la necessità di movimentare opere archeologiche, di Donatello, di Michelangelo…fino a Klimt, per dire che lo scultore conosceva bene la storia dell’arte e ne faceva tesoro, cosa per altro comune alla maggioranza degli artisti dell’epoca. Tali confronti erano già ben approfonditi in un lucidissimo e ricchissimo saggio di Paola Mola in catalogo, e allora perché inserire le opere? Certamente ha fatto 90 la paura che la mostra non fosse visitata! E allora ecco qualche nome altisonante per poter fare cassetta sicura; una scelta molto dispendiosa, poco condivisibile, ma tipica delle mostre “baraccone”. Se a queste riflessioni si aggiungono poi quelle sull’allestimento - per altro in bellissimi e vasti spazi – con le opere perlopiù addossate alle pareti con l’impossibilità si godere della scultura in tutti i suoi scorci, pena un sistema di sicurezza sensibilissimo e costantemente in allarme, il giudizio finale non può che essere di rammarico per l’occasione mancata di squadernare in ogni suo aspetto un genio come Adolfo Wildt. Di taglio invece iconografico-tematico è l’esposizione Canova e la danza (30 marzo-30 giugno 2012) al Museo Canova a Possagno, gradevole, corretta ed incentrata su uno dei temi cari allo scultore, partendo dal restauro della «Danzatrice con i cembali» recentemente concluso. Le mostre sul “divino Canova” sono state molte negli ultimi anni ed ora, ovviamente, si affronta la sua produzione seguendone i filoni iconografici più suggestivi. Ancora diversa è la quarta mostra, Gemito e la scultura a Napoli tra Otto e Novecento (11 marzo-27 maggio 22/12/12 11:58 2012), organizzata a Montevarchi (Ar) da “Il Cassero per la Scultura Italiana dell’Ottocento e del Novecento”. Fuori dalla logica dell’allestimento monografico, facendo perno sul ruolo di Vincenzo Gemito, l’esposizione indagava le caratteristiche della scultura partenopea tra la nascita del Realismo a metà degli anni Settanta dell’Ottocento e gli anni Quaranta del Novecento, proponendo 70 bronzi (alcuni di grandi dimensioni) di 23 scultori diversi ed evidenziando il Il Cassero per la Scultura Italiana impaginato Academy n.14.indd 19 singolare e innovativa attività didattica, giocosa e multimediale, destinata ai visitatori più giovani a partire dalle scuole per l’infanzia, e cicli di conversazioni di storia, tecnica e problematiche della scultura organizzando - con il supporto della neonata “Associazione Amici de Il Cassero per la Scultura” – uscite di approfondimento e visite alle mostre allestite sul tema in Italia. È un’attività di avvicinamento, fortemente dinamica e propositiva, sorretta dalla curiosità e dalla richiesta di un pubblico sempre numeroso e curioso di conoscere, che dimostra nei fatti quanto non si ripeterà mai abbastanza come la critica ufficiale del secondo Novecento abbia commesso e perpetrato per decenni il più grossolano errore di valutazione dell’Ottocento italiano nel suo complesso. Vent’anni fa era pura utopia pensare che la scultura del XIX e XX secolo - arte maggiore e consorella della pittura in tutte le epoche - potesse riottenere l’attenzione e la reale posizione che gli spetta di diritto, ma in vent’anni è maturata una generazione di giovani studiosi, certamente più attenti e curiosi, che ha sostenuto la nascita di un luogo museale “dedicato”, officina di confronto e di ricerca. 19 sulla scultura Se il taglio ampio, ricognitivo e profondamente didattico, della prima grande mostra Gemito e la scultura a Napoli tra Otto e Novecento (11 marzo-27 maggio 2012), organizzata a Montevarchi (Ar) da “Il Cassero per la Scultura Italiana dell’Ottocento e del Novecento”, unitamente al suo allestimento come un grande collezione privata che, eccezionalmente, veniva offerta alla visita pubblica e alla novità della modalità tattile di fruizione delle opere, può apparire una singolare “anomalia” rispetto allo standard delle esposizioni allestite negli ultimi anni, questo è strettamente legato alla mission de “Il Cassero per la Scultura Italiana dell’Ottocento e del Novecento”, neonato Museo Civico di Montevarchi, da considerare non tanto e non solo un nuovo spazio museale, ma un progetto originale e dinamico, unico nel suo genere. Un luogo dove imparare a guardare la scultura e un centro dove scoprire, conoscere, documentare e comunicare la scultura italiana degli ultimi due secoli. Oltre che una suggestiva e vasta collezione permanente, “Il Cassero” è anche un fondamentale centro di documentazione. In locali accessibili agli esperti accoglie infatti un considerevole numero di documenti originali, fotografie d’epoca e rassegne stampa, cataloghi d’arte. Un cuore archivistico che si sta allargando grazie a continue donazioni e acquisizioni e che, già oggi, è tra i più importanti del Paese. Inaugurato nel maggio 2010 con tutti gli standard museali previsti, ma dotato anche di una Webapp interattiva che permette una visita arricchita da contenuti multimediali e di un percorso tattile certificato tra i migliori d’Italia, in soli due anni di attività e grazie ai suoi progetti innovativi ha ottenuto il decreto della Regione Toscana con il riconoscimento di “museo di rilevanza regionale”, a seguito del quale è stato selezionato per la giornata annuale di “EduMusei” e chiamato a collaborare alla prima fiera internazionale Art & Tourism alla Fortezza da Basso. Ma la ricerca e la documentazione della plastica italiana, sviluppata allestendo esposizioni d’ampio respiro, stabilendo rapporti con le Università italiane e ponendosi come punto di riferimento per le numerose Gipsoteche e Musei d’Artista presenti nella Regione Toscana ed in Italia (avviando con esse progetti comuni per la divulgazione e la conoscenza di collezioni poco note e visitate), è solo una delle finalità primarie de “Il Cassero per la Scultura”. A questa mission ben precisa e definita, il museo affianca anche una carattere di internazionalità culturale di un’area geografica che, nella mentalità dei più, è considerata “scuola locale” piuttosto che esempio della straordinaria qualità della scultura italiana. Una mostra coraggiosa e documentata, che ha fatto riemergere dall’oblio personalità di spicco internazionale nel loro tempo e oggi raramente ricordate. Allestita come una grande collezione privata che, eccezionalmente, veniva offerta alla visita pubblica, la mostra è stata premiata con il successo del pubblico anche per la particolare e inconsueta occasione di poter toccare, accarezzare e capire i grandi bronzi allestiti ripercorrendo il gesto creatore dell’artista accompagnati dal personale di servizio. Una modalità di visita che per la scultura dovrebbe essere la norma, non l’eccezione. La singolarità del modo di fruire la scultura certamente inedito e scardinante nel nostro tempo - si fonda sulla convinzione che quest’arte sia possibile capirla con gli occhi solo per il 40%, e sia necessario il tatto per raggiungere il totale godimento dell’opera, compresa la sua intrinseca sensualità. 22/12/12 11:58 P.N.A. accademia albertina di torino maestri storici 20 foto: Veronica Santià ACADEMY PRIDE! P.N.A. Il Premio Nazionale delle Arti ospitato quest’anno dall’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino dal 10 novembre al 7 dicembre. Dopo l’Accademia milanese di Brera e dopo quelle di Bologna, Napoli e Catania, quest’anno è l’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino ad ospitare la Sezione Arti Figurative, Digitali e Scenografiche del Premio Nazionale delle Arti edizione 2012. di Gaetano Grillo Una manifestazione nata nove anni fa per iniziativa di Giorgio Bruno Civello, il Direttore generale del comparto AFAM (Alta Formazione Artistica e Musicale) del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. E’ il dottor Civello che ha voluto dar vita a un Premio che coinvolgesse tutte le Accademie di Belle Arti, insieme ai Conservatori di Musica, agli ISIA (Istituti Superiori di Istruzione Artistica), all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica e all’Accademia Nazionale di Danza, nel giusto intento di portare alla ribalta i migliori studenti dei tanti prestigiosi Istituti di Alta Cultura italiani. Mentre il merito che Torino sia stata scelta come sede di questa importante Sezione del Premio è di Nicola Maria Martino, attuale direttore-commissario dell’Accademia Albertina, ma anche e soprattutto impaginato Academy n.14.indd 20 artista, che ha portato avanti con successo la candidatura del capoluogo piemontese. E il coordinatore dell’edizione torinese del Premio, l’artista Claudio Pieroni (docente di Pittura all’Albertina) ha voluto far coincidere l’inaugurazione dell’Academy Pride con la fiera Artissima e con quel mese di novembre che a Torino è tutto “ContemporaryArt”. Così da sabato 10 novembre fino a venerdì 7 dicembre 2012 nella Pinacoteca annessa all’Accademia Albertina e nell’attiguo Salone d’Onore, sono state esposte al pubblico una sessantina di opere provenienti da più di venti accademie di Belle Arti d’Italia. Dipinti, sculture, stampe, fotografie, ma anche video, installazioni e scenografie selezionate da una Commissione di esperti presieduta dall’artista Filippo di Sambuy. Tra tutti questi lavori, i vincitori delle sette ben 22/12/12 11:58 21 foto: Veronica Santià foto: Veronica Santià impaginato Academy n.14.indd 21 P.N.A. accademia albertina di torino foto: Veronica Santià 22/12/12 11:58 P.N.A. accademia albertina di torino maestri storici 22 Scultura - Pasquale Gadaleta dell’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano Pittura - Erik Saglia Accademia Albertina di Belle Arti di Torino Arti elettroniche - Marco Rossi Accademia di Brera, Milano Grafica - Irene Podgornik dell’Accademia di Belle Arti di Urbino impaginato Academy n.14.indd 22 22/12/12 11:58 distinte sezioni - Pittura, Scultura, Decorazione, Scenografia, Grafica Fotografia e Arte elettronica – sono stati individuati da una Giuria presieduta dall’artista torinese Ugo Nespolo e composta da Giovanni Cordero, responsabile dell’Arte Contemporanea alla Soprintendenza ai Beni Storici e Artistici del Piemonte, Riccardo Passoni, vicedirettore della Galleria d’Arte Moderna di Torino e Rosalba Garuzzo, collezionista e presidente dell’IGAV, Istituto Garuzzo per le Arti Visive e Marisa Vescovo, critica d’arte e curatrice. La proclamazione dei vincitori è avvenuta sabato 10 novembre, in occasione della cerimonia d’inaugurazione della mostra che si è svolto nella rinnovata Aula di Scultura dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. A questo Premio, già ribattezzato dagli studenti Academy Pride, hanno partecipato con slancio decine di aspiranti artisti delle migliori Accademie di Belle Arti pubbliche e private d’Italia, proponendo lavori di notevole interesse, tanto che tutti avrebbero meritato di essere in mostra, se non fosse che c’era il limite oggettivo dello spazio espositivo. L’evento offre comunque una ricognizione sullo “stato dell’arte giovane italiana” e fa ben sperare per il futuro. Il giorno dell’inaugurazione c’è stato anche un intermezzo musicale eseguito da un ensemble di gio- Decorazione - Fiorella Folino, Accademia di Catanzaro vani sassofonisti del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino, segno della amichevole collaborazione fra le due istituzioni.Va segnalato anche che sabato 10 novembre è coinciso anche con la riapertura della Pinacoteca Albertina (chiusa da sei mesi), dentro alla quale, incastonate tra preziosi capolavori d’arte antica, sono state esposte con un ottimo allestimento le opere pittoriche selezionate per il Premio. L’Accademia Albertina è stata anche presente ad Artissima nello spazio istituzionale Musei in mostra. L’occasione della felice esposizione all’interno della Pinacoteca dell’Accademia Albertina, merita una riflessione sull’utilità che le accademie ristabiliscano un rapporto fertile con il loro patrimonio che si rivela nuovamente come uno straordinario ausilio alla didattica e alla tutela della memoria storica delle istituzioni. La questione andrebbe naturalmente inquadrata in una nuova visione che comprende certamente le opere acquisite nei secoli ma anche le nuove acquisizioni del contemporaneo. Numerosi artisti di grande rilievo hanno insegnato e insegnano ancora nelle accademie ma della loro opera non ne resta traccia. Le accademie dovrebbero recuperare, e sarebbero ancora in tempo per farlo attraverso le donazioni degli eredi, opere di maestri del novecento e degli artisti viventi per costituire il nuovo patrimonio del futuro. Sono consapevole dei problemi legati alla conservazione e all’esposizione delle opere ma bisogna avviare questo processo al più presto, anche costituendo un fondo chiuso momentanea in depositi. Le università invidiano il nostro patrimonio artistico e noi invece lo valorizziamo poco e non lo integriamo ormai da troppo tempo. Gaetano Grillo 23 Fotografia - Maria Valentina Rizza dell’Accademia di Belle Arti di Catania impaginato Academy n.14.indd 23 P.N.A. accademia albertina di torino Scenografia - Giulia Bellè, Accademia di Massa Carrara 22/12/12 11:58 Chiara Coccorese - La scelta di Maria, 2010, fotografia (pagina a sinistra) NINa–NUOVA IMMAGINE NAPOLETANA 24 LE MIGLIORI LEVE ARTISTICHE FORMATE NEGLI ULTIMI ANNI DALL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI NAPOLI IN MOSTRA AL PAN. accademia di napoli Di Gaetano Centrone Se il titolo dell’esposizione vuol essere anche manifesto e dichiarazione d’intenti, il connubio tra la città di Napoli e le arti visuali viene ribadito, richiamato, addiritttura invocato, per una chiamata alle arti che suona come l’ennesimo tentativo di rilancio di una città profonda. Profonda nelle passioni, nel suo sfrenato modo di stare al mondo che non conosce mezze misure. La profondità infatti rimane la cifra che connota una città sempre sul punto di eruttare, e in quest’occasione erutta sì, ma si tratta di una schiera di artisti che rimpolpa la lunga tradizione cittadina con le pratiche artistiche. NINa, acronimo d’obbligo trattandosi di contemporanea, in questa città richiama felicemente anche la sua natura di piccola creatura che sta per spiccare il volo, ma qui davvero si respira arte ad ogni passo, con gallerie, critici, artisti, appassionati, che coltivano e praticano tutto questo anche nei tempi difficili che ci troviamo a vivere. E questi giovani artisti restituiscono un’immagine davvero nuova che quasi sempre stride con la visione stereotipica di una città che del sole e della spensierata joie de vivre ha fatto la sua cartolina nel mondo. Un’immaginario nuovo restituito a livello cinematografico anche da pellicole come Polvere di Napoli o L’uomo in più, dove il sole non vi fa capolino affatto. L’opera d’arte che più di ogni altra probabilmente ha delineato l’ultima estetica di una città e le riflessioni psicologiche e antropologiche su tanta parte del tessuto sociale è il film Reality di Matteo Garrone. Un’opera la cui influenza aleggia anche qui, nelle meravigliose sale del PAN, per questa collettiva della Nuova Immagine Napoletana. Una mostra inaugurata mercoledì 21 novembre, con una affollatissima conferenza stampa che ha visto protagonisti il sindaco Luigi de Magistris, la direttrice dell’Accademia Giovanna Cassese, il presidente dell’Accademia Sergio Sciarelli, l’assessore alla Cultura del Comune Antonella Di Nocera, i curatori Marco di Capua, Valerio Rivosecchi e Francesca Romana Morelli, nonché molti degli artisti interessati. Di particolare rilevanza è stata la presenza del sindaco, che è parso sinceramente convinto nell’appoggiare iniziative culturali come questa che sono di rilancio per tutto il tessuto sociale e urbano, e sono connotate anche da un forte legame con il territorio, in quanto indagi- impaginato Academy n.14.indd 24 ne delle leve artistiche che da questa città sono partite e che in ogni caso qui hanno assunto formazione e istruzione. L’altra protagonista è stata indubbiamente la direttrice Giovanna Cassese, nella molteplice veste di promotrice dell’iniziativa, di rappresentante dell’istituzione Accademia e di curatrice della kermesse, come sottolineato anche dalla presenza di due testi in catalogo, quello istituzionale e quello critico, di cui riportiamo un brano: «In una fase così difficile dell’Italia e di Napoli, NINa, con i suoi quarantaquattro artisti, scelti con assoluto spirito di indipendenza, e già protagonisti sulla scena italiana o addirittura internazionale, è un’assoluta novità sia perchè le opere rappresentano realmente delle autentiche forze emergenti, nella molteplicità dei linguaggi e nella varietà tecnica e stilistica, sia perchè dal punto di vista del metodo ha una forte carica simbolica. Attraverso dipinti, sculture, installazioni, performance, fotografie, video, NINa ripropone il ruolo formativo e propositivo dell’Accademia di Belle Arti in una città d’arte come Napoli, metropoli complessa e al tempo stesso tanto ricca, forse la più ricca della nazione, di creatività». I tre curatori hanno sicuramente dovuto fare un grosso lavoro di selezione e individuazione delle personalità e delle rispettive opere più indicate per tale evento, nonché per evidenziare quelle che sono le specificità a livello formativo di un’Accademia dalla lunga e prestigiosa tradizione. Possiamo affermare senza tema di smentita che hanno condotto egregiamente il loro lavoro, rendendo la collettiva una mostra con tutti i crismi, riuscendo ad evitare il rischio incombente di farne diventare una mostra scolastica, come purtroppo tante se ne vedono in giro. Una delle curatrici, Francesca Romana Morelli, nel tuo testo critico di contributo al catalogo, «Stato di eruzione», fotografa lucidamente la situazione che si vive in città da parte degli artisti: «Dopo un decennio in cui un ciclo dell’arte contemporanea sembra ormai concluso, ma, quasi come un fuoco sotto la cenere, un altro se ne sta già aprendo, quali sono state le strategie adottate dai giovani artisti per proseguire nella strada prefissata? Va notato in primo luogo che quanti sono nati dagli anni Settanta in poi sono portatori di un nuovo modello di artista, avendo vissuto fatti storici che 22/12/12 11:58 Assunta D'Urzo - il mare, 2012, stampa fotografica, 70x100 cm. 25 accademia di napoli Cristian Leperino - allestimento pittorico ambientale impaginato Academy n.14.indd 25 22/12/12 11:58 Mary Cinque - 011titled#08, 2011, acrilico e biro su tela, cm. 160 x 150 accademia di napoli 26 hanno condotto a nuovi assetti geopolitici, un multiculturalismo che permea il quotidiano, una tecnologia in continua trasformazione; ma soprattutto un mondo in cui la caduta delle ideologie e di certi valori si accompagna al tramonto definitivo di una visione antropocentrica e armonica dell’universo, che affonda le radici lontano, addirittura nel mondo rinascimentale». Quello che colpisce scorrendo i curriculum degli artisti è la massiccia serie di esperienze all’estero che molti di loro hanno maturato, ricollegandosi ad un più ampio discorso generazionale che prevede un passaggio oltreconfine dettato da curiosità ed esigenze personali e culturali così come da più impellenti necessità lavorative. Residenze, borse di studio, mostre, esperienze professionali, queste leve artistiche condividono con i loro coetanei la spinta centrifuga che li ha portati a vivere e sperimentare oltreconfine, in Germania, nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in altri paesi. Impossibile per ovvi motivi ricordare qui i quarantaquattro protagonisti, ma vale la pena farlo per alcuni che non sono i migliori in quanto tali – non è questa la sede per dare premi o riconoscimenti – ma sono indicativi dei molteplici indirizzi e media utilizzati nelle loro ricerche. Le fotografie digitali di Chiara Coccorese, illustratrice per lo scrittore Jonathan Coe e l’editrice Feltrinelli, sono una miscela di riferimenti alti, che possono essere mitici o religiosi, con una poetica del quotidiano che invece spazia dal rifiuto al kitsch con una gamma di colori che ha decisamente scalvalcato i toni iperrealisti: la sua Madonna del parto ci ricorda ancora una volta le atmosfere del già ricordato film Reality, dove le immagini patinate di riviste e tv fanno tutt’uno impaginato Academy n.14.indd 26 con la miseria dei bassi. Alcuni tra i lavori più interessanti in mostra, a nostro avviso, sono quelli realizzati da Gianluigi Maria Masucci, come Silenzio. Ascolto, in cui ha dipinto con smalto su dibond rosso lucido una serie di piccoli segni di sapore orientale, che ad uno sguardo più attento appaiono per quello che sono, ovvero una serie di figure umane che l’artista ha catturato per strada nei loro movimenti. Il passaggio successivo è rappresentato dalla videoinstallazione Shapes sequence, dove tali forme sono proiettate su tre pareti della sala, con le forme che si alternano velocemente ricordando le esperienze gestuali e segniche. Figlio di questi tempi e delle pratiche che sconfinano nel virtuale e in questi interstizi si ricavano la loro ragione d’essere è senza dubbio NeAL Peruffo, presente qui con A onE project – lo perdoniamo per l’ennesimo anglismo – un’opera-azione web partecipativa e work in progress in cui gioca con le possibilità offerte dal software Google Earth, in cui lui e i fruitori possono collocare installazioni e opere-ambiente in posti in cui in realtà non esistono, se non a livello progettuale. Ci piace chiudere con quella che viene definita l’opera conclusiva dai curatori, allestita nell’ultima sala, la videoinstallazione Evoluzioni di Ciro Vitale, che è composta da uno stretto corridoio realizzato con lamiere arrugginite, al cui fondo viene proiettato un video, in cui l’artista ha fatto replicare agli abitanti di quella periferia una scena topica di Le quattro giornate di Napoli in cui la gente comune si opponeva e scacciava i tedeschi, lanciando mobili e oggetti dai balconi. Il richiamo di un gesto collettivo spontaneo ed eroico, in cui il film di Nanni Loy e la storia si confondono per creare una memoria condivisa. Ancora un film, ancora un atto di coraggio, ma questa volta la resistenza e il rilancio di una città passano attraverso le arti. 22/12/12 11:58 dOCUMENTA 27 Lara Favaretto, Monumentary Monument IV, Hauptbanhof, 2012 Di Laura Lombardi Nel dichiarare le sue intenzioni curatoriali prima dell’apertura della 13 edizione di dOCUMENTA, Carolyn Christov-Bakargiev (classe 1957) aveva insistito sulla volontà di improntare la mostra ad una totale assenza di temi perché, nell’era digitale “viviamo in una fase in cui i concetti, i temi e i contenuti sono prodotti e vengono trasferiti ovunque nel mondo” ed è per questo necessario opporsi a questa indiscriminata trasmissibilità: una sezione della mostra al Fridericianum - una sede nella quale eravamo accolti dalle stanze vuote, colme solo della brezza di I Need some meaning I can memorise di Ryan Gander - era intitolata The brain (il cervello) e presentava infatti elementi non trasmissibili come informazioni o concetti, non espressione di un tema preciso, ma aggregati dall’idea di “commitment”, di coinvolgimento: dalle bottiglie di Morandi, evocazione del vivere appartato dall’impeto degli eventi traumatici della storia, alle foto dei laghi cambogiani, belli ma nati dai crateri lasciati dalle bombe, o agli autoscatti di Lee Miller nel bagno di una casa borghese che è poi quella di Hitler, ed altri oggetti che svelavano legami e rispondenze con quelli presenti in altre sedi della mostra, come le statuette afgane antiche di 4mila anni oppure la marionetta in ceramica usata da Weal Shawky per un episodio della trilogia dedicata alla storia delle crociate esaminate dal punto di vista arabo, allestito alla Neue Galerie. Eppure proprio questo da partito impaginato Academy n.14.indd 27 preso, unito alla rinuncia a qualsiasi strizzata d’occhio al glamour, scaturiva un senso di unità, un fil rouge ben più resistente rispetto a quello inutilmente cercato visitando altro tipo di mostre, dal titolo ben definito (pensiamo alle ultime Biennali di Venezia ad esempio), ma poi spesso vagamente connesso ai contenuti presentati. Più che mai, in un momento così difficile dell’economia mondiale, di scelte politiche dure, pesanti sul sociale, che spingono a rischiose opzioni individualiste, a Kassel - la città distrutta dai bombardamenti degli alleati della seconda guerra mondiale, dove dOCUMENTA è mostra tradizionalmente incentrata sul rapporto arte/società - si respirava un clima di aggregazione, di volontà di ritiro spirituale, di riflessione sulla storia, di riparazione e di ricostruzione, con opere per la maggior parte concepite proprio per questa edizione: emblematico in tal senso era l’intervento di Theaster Gates, artista di Chicago, 12 Ballads for Huguenot house, nella vecchia Casa degli Ugonotti in fuga a Kassel nel 1685, completamente trasformata dai segni e dalle azioni di una comune. Gates era uno dei pochi americani invitati, mentre alto era il numero degli artisti arabi, provenienti dai paesi che hanno di recente vissuto i traumi della guerra, tanto che una delle sedi decentrate di dOCUMENTA era Kabul. Il senso di rilettura della storia alla luce di fatti d’oggi ed una forma di speranza nella aggregazione tra gli individui, erano espressi anche attraverso worshop e musica (con mostre internazionali “viviamo in una fase in cui i concetti, i temi e i contenuti sono prodotti e vengono trasferiti ovunque nel mondo” ed è per questo necessario opporsi a questa indiscriminata trasmissibilità. 22/12/12 11:58 mostre internazionali 28 impaginato Academy n.14.indd 28 le audioinstallazioni di Susan Hiller ad esempio), e spesso il ruolo dell’artista si configurava come impegno a costruire proprio in un momento così cruciale della storia - qualcosa al di fuori della propria arte, in altri settori della vita (come la “activist art” degli AndAndAnd). Sull’idea di riparazione e di riappropriazione era fondato anche il progetto di Kader Attia: The repair from Occident to extra Occidental cultures metteva in scena in eleganti bacheche da museo, inquietanti analogie tra oggetti costruiti dalle popolazioni del Nord Africa con residui bellici, disposti in vecchie teche come la collezione di un museo archeologico o naturalistico, e posti a confronto con sculture contemporanee in legno che riproducevano l’effige di soldati sfigurati nella guerra mondiale, come fossero anch’essi oggetti rotti e riparati; il tutto contornato e come riflesso in celebri testi letterari imbullonati a scaffali metallici, pagine di riviste d’arte con foto di sculture greche mutile, idoli africani, immagini tratte da riviste mediche con stampe di operazioni o di cura dei feriti. La politica, argomento pur ineludibile, nell’intera mostra non era trattata attraverso contenuti espliciti, e comunque se ciò avveniva, questi eran presto trasfigurati: così i calchi di parziali elementi dell’aula bunker del processo al gruppo di Autonomia Operaia, di Rossella Biscotti alla Neue Galerie, con il sottofondo delle voci registrate dei protagonisti, diventavano purissimi lacerti di un sogno perduto ed avevano la potenza e la suggestione di rovine classiche. Monumentale, sebbene in tutt’altra maniera, anche l’installazione di Lara Favaretto alla Hauptbanhof: un accumulo di rottami e di oggetti di scarto industriale con all’interno inserite forme geometriche pure in cemento a sostituire altrettanti elementi sottratti ed esposti altrove in forma museale. Un insieme che, pur rifuggendo ogni compromesso estetico diventava sontuoso sia sotto il sole sfolgorante che sotto le nuvole più minacciose, e oscillava tra il senso di permanenza e d’impermanenza, tra un qualcosa di denso, di eloquente ed il nulla. La volontà della curatrice di non appesantire la mostra di un indirizzo ideologico, più evidente in altre edizioni, lasciava agli artisti più spazio per concentrarsi su altri tipi di entità, le cose e la materia. Così nel parco barocco di Karlsaue, il progetto di Pierre Huygue, Untitled, era un percorso da compiere intorno a un mucchio di compost quindi dove materia eterogenea si è accumulata e trasformata nel tempo – per incontrare presenze inquietanti, animate e inanimate: una scultura con un alveare al posto della testa, un cane (anzi due?) con la zampa dipinta, frutti velenosi, piante di marijuana, tutti elementi indominabili, perché l’evoluzione della natura, la sessualità, le piante, reazioni chimiche come le muffe, fan parte di una contingenza della quale Huygue vuol essere solo testimone. 22/12/12 11:58 Interventi che resistono alla sedimentazione di un discorso, come d’altronde, pur nella diversità, quelli effimeri (e assolutamente non documentabili) di Tino Seghal, presente a Kassel con This variation. Più cupamente connessi al tema della guerra il bel video di Omer Fast, Continuity, e quello di Clemens von Wedemeyer: Muster (Rushes) esplorazione giocata su tre registri - la musica, il corpo e il linguaggio - intorno all’imprigionamento e alla liberazione, in uno stesso luogo, il monastero di Breitenau, ma in momenti diversi della storia. Artisti giovani e quasi sconosciuti erano mescolati ad altri assai noti (come non citare la grandezza di Kenthridge), ma anche a nomi ormai consacrati del Novecento: emblematica la presenza delle opere di Fabio Mauri col re-enacment, nei giorni dell’inaugurazione, della performance Che cos’è la filosofia. Heidegger e la questione tedesca. Concerto da tavolo (1989). Laura Lombardi Rossella Biscotti, The trial, 2010-2012, Neue Gallerie Nella pagina a sinistra, in basso: Theaster Gates, 12 Ballads for Huguenot House, 2012, Huguenot House The brain, Fridericianum (in primo piano un’opera di Giuseppe Penone, Essere fiume, 1998 e sullo sfondo Nature morte di Giorgio Morandi e altro) 29 mostre internazionali impaginato Academy n.14.indd 29 22/12/12 11:58 Dalla docenza alla Direzione: cosa motiva un professore a dirigere l’Accademia? Essere “Docente”, permette di svolgere una missione particolare, forse la più completa per chi opera creativamente con gli altri, poiché si acquisisce continua conoscenza. Essere “Direttore”, consente di produrre un’opera d’arte immateriale. Nel caso dell’Accademia di Roma abbiamo realizzata una Riforma che solo 5 anni or sono sembrava impossibile. Riforma significa dare una nuova forma all’idea di sempre. Secondo me, le idee nel tempo si appesantiscono con sovrastrutture di ogni tipo. Perciò, conviene utilizzare il metodo tagli e cuci, un passo avanti e due indietro finché si raggiunge l’originale punto di riferimento e, una volta raggiunta l’essenza, si può dare di nuovo forma all’idea di sempre. Naturalmente, è un processo mentale, ma non del tutto. Dunque, Direttore secondo me significa non solo gestire o governare, ma raccogliere gli input che provengono dagli altri organi istituzionali, farne una sintesi e promuoverne l’evoluzione. Perciò penso che l’opera svolta sia meno individuale e più di tipo collegiale. Il che richiede una certa dose di responsabilità, diventa una missione più complessa e ci si gratifica quando si raggiunge l’obiettivo d’aver fatto qualcosa per il bene comune. accademia di roma 30 Gerardo Lo Russo con il Presidente Cesare Romiti Gerardo Lo Russo e la sua esperienza di Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Roma 5 pezzi facili di Barbara Tosi Parafrasando il titolo di un film americano degli anni settanta egregio Direttore vorrei farti cinque domande e comincerei dalla fine, ovvero, cosa c’è di facile nel dirigere un Accademia? - Well, that’s the easier way for learning English and the Divina Commedia! Siccome c’è la necessità della continua ricerca di autocontrollo e di un po’ di relax mentale, ho memorizzato facilmente un fumetto inglese e qualche canto dell’Inferno durante la guida in auto ogni mattina. Due ore tutti i giorni per cinque anni, sono state un esercizio magnifico, per affrontare con calma le cose della direzione! Ed ho imparato, l’inglese! impaginato Academy n.14.indd 30 È un’idea di come dovrebbe essere un’ Accademia? E quale è la tua? Da studente pensavo che l’Accademia mi avesse dovuto offrire i mezzi e gli strumenti per imparare i trucchi del mestiere. Poi, grazie all’Accademia ho capito che era più importante cercare di esprimersi, a prescindere dalla tecnica. Infine, insegnando, ho registrato che dove il flusso dei saperi e delle opinioni è maggiormente diversificato si può trovare più facilmente la propria strada. Nel bene e nel male! Vedi, cercando nei testi antichi ho letto che 2300 anni fa, nell’Accademia di Alessandria d’Egitto, gli scettici scrivevano che i loro colleghi erano polemici, invidiosi, gelosi e quant’altro. Nel dopoguerra Palma Bucarelli visitando una mostra di un liceo a Cinecittà sosteneva: “… questi, sì che sono dei bravi artisti, non come quegli sciagurati dell’Accademia!” Io la penso diversamente. Dico che l’Accademia è ciò che è nel bene e nel male. Un po’ come il V° canto dell’Inferno: l’Amore, la cosa più forte che c’è, guarda caso sta all’Inferno! Così, l’Arte: la cosa più bella che c’è sta in Accademia! Siccome sono innamorato dell’Arte, dico che l’Accademia è il laboratorio privilegiato per lo sviluppo della conoscenza, poiché qui si manifestano liberamente tutte le diversità di opinioni e di sensibilità. Anche innovative, per la crescita della collettività. Faccio un esempio: abbiamo realizzato “Accademia in Campo”, una sorta di festival delle potenzialità didattiche ed espressive che si praticano in Accademia: mostre, performance, installazioni, video, e conferenze. Abbiamo ipotizzato che i saperi dell’arte 22/12/12 11:58 se valorizzati nel modo dovuto possono diventare una potente risorsa economica per il nostro Paese. Basti l’esempio di Canova. Duecento anni orsono incastonò nelle mura del suo studio reperti di marmo antico trovati nei prati. La gente guardava con un nuova visione i pezzi di braccia, torsi, piedi e visi di pregiato marmo statuario. Da quel momento è nata la fruizione pubblica dei beni culturali, oggi una risorsa di turismo privilegiato in uso in tutto il mondo. Noi sappiamo che i saperi dell’arte non sono solo oggetti, sculture, pitture, ma anche processi con i quali si operano progetti, quindi: la didattica nelle accademie, nelle università, nei conservatori. L’Italia è piena di istituzioni del genere, potrebbero divenire il nostro oro, petrolio o banca. Perché non disporre delle nostre istituzioni per ospitare tanti, tantissimi studenti stranieri fino a far sviluppare una sorta di Economia del Bello? La tua esperienza in questi anni a Roma in qualità di Direttore, sei al secondo mandato, come la valuti. Anche se mi porto dietro qualche peso di troppo, debbo dire anche per mie colpe, non riesco ad immaginare un percorso di vita più dinamico e ricco di esperienze. Perciò la valuto semplicemente straordinaria. La augurerei a tutti quelli che desiderano fare un viaggio intenso tra le anime umane. impaginato Academy n.14.indd 31 31 accademia di roma Lo rifaresti? Quale consiglio daresti a chi avesse l’oneroso proposito di candidarsi alle prossime elezioni? No! E’ giusto che si sperimentino altre sfaccettature dell’idea di Accademia. Sicuramente sarà un ulteriore arricchimento di conoscenza. Quando parlo di conoscenza non intendo solo quella di tipo estetico, che comunque si insegna, oppure le tecniche che si acquisiscono, ma parlo dei saperi sottili dell’arte. Secondo me i cosiddetti saperi dell’arte sono anche quelli che si espletano nel comportamento di vita quotidiana: parlando, confrontandosi ed ascoltando gli altri. Anzi, le cose che ricordo con maggiore emozione in Accademia, sia da studente, che da docente e da direttore, sono quelle pregnanti di straordinaria carica di vitalità umana. Le angosce ascoltate di chi cerca confuso la propria strada, diventano prove d’amore quando la si è trovata. E naturalmente, per quelli che sanno, non c’è bisogno di aggiungere altro. Un consiglio: agire dando l’esempio. 22/12/12 11:58 32 Conversazione con Paola Pezzi ex studenti di Elisabetta Longari In occasione della mostra personale alla Galleria Fabbri arte contemporanea a Milano a cura di Federico Sardella. Davanti ai suoi nuovi lavori in feltro, più organici e meno oggettuali, vere e proprie strutture proliferanti che fioriscono come muffe e licheni in punti inattesi sulla parete, e sembrano sbucarne fuori, invadendone la superficie in modo discreto ma sostanziale, la domanda più immediata è: Che cosa è contato di più nella tua formazione? La natura? L’arte? L’arte, certo, ma anche la natura, forse di più. Molti dicono “quanto ricorda un nido quel lavoro!”, altri parlano degli anelli di crescita degli alberi e di alveari o concrezioni coralline... Certo, poi c’è lo studio... Il mio lavoro comunque si gioca su un filo molto sottile tra l’istintività e il pensiero. C’è sempre un filo teso. Certo la componente sensuale del tuo lavoro, soprattutto attuale, è molto alta. Infatti devo sempre eseguire i lavori io con le mie mani per restare in stretto contatto con il materiale... Sei stata una di quelle bambine che osservava le forme naturali e che raccoglieva pietre e reperti di varia provenienza? Il mio approccio all’arte me lo ricordo come atavico e naturale. Da quando ero piccola... non mi sono difatti mai posta il problema di cosa fare da grande, era scontato. Passavo davvero la più parte del mio impaginato Academy n.14.indd 32 tempo a disegnare e cancellare, disegnare e cancellare, disegnare e cancellare... Perché cancellavi? Il foglio era il mio campo d’azione,cancellavo perché mi venivano in mente altre idee e quindi dovevo modificare le precedenti. Ma alllora non mi bastava la pittura, mi piaceva anche molto la materia... il percorso da allora, e tuttora, è rappresentato dal mettere progressivamente a fuoco “il mio fuoco”, capire e approfondire quello che reputi che ti appartenga. E tra i maestri che non hai conosciuto direttamente, degli artisti che hanno fatto la storia dell’arte, a chi hai guardato? Chi senti più vicino? Mi piaceva molto Mario Merz. Ricordo di essere stata a Rimini a vedere una sua grande mostra... e sentivo moltissimo la manualità che aveva, ad esempio quando manipolava i pani di creta,quando disegnava tutti quegli animali e l’infilzava con i tubi al neon, ma 22/12/12 11:58 La scelta dei tuoi materiali, soprattutto dal 2000 in poi, presuppone un’attitudine ludica nei confronti degli oggetti prosaici a portata di mano: le matite, le passamanerie, il feltro... Il tuo lavoro in questo senso mi ricorda Boetti. E banalmente il fatto che Giorgio Colombo segua il tuo lavoro da tempo me ne da una specie di conferma indiretta! Prendevo gli oggetti del fare, i gessetti, le matite, i reperti del quotidiano... in questi lavori c’è certamente anche uno spirito boettiano... Poi i lavori con le mani...dove entra la figura,cioè la mano che compie l’opera...i primi feltri invece nascono dopo un viaggio in India, insieme alla “valanga di mani”, opere che mantengono questa tensione interna forte... Un senso cromatico acceso affianca una ricerca più ascetica sul monocromo, due facce del tuo lavoro... entrambi affascinanti... Vero, verissimo, come ti dicevo prima c’è sempre una tensione: in questo caso, mi capita di esplodere nel colore e subito dopo di avere bisogno di concentrarmi nel monocromo, per riequilibrare le forze in campo. In questa fase infatti tolgo di mezzo gli apparati afferenti alla sfera del pittorico per mettere a nudo la struttura delle forme. All’osso. ci sono tanti altri, ad esempio Beuys, proprio anche per il suo legame fortissimo con la natura, per come la viveva, la esponeva, la rispettava, la concepiva come opere d’arte. E la pittura di Nicola De Maria... anche se non c’è davvero nessuno che riconosco come maestro, però da ognuno ho preso quello che mi interessava ai fini del mio lavoro. La storia dell’arte, il susseguirsi delle grandi opere che ci hanno preceduto sono sempre una grande fonte d’energia e scoperta. La tua prima mostra personale fu da Toselli tra il 1989 e il 1990, non è così? Ricordo perfettamente i lavori esposti. Li senti lontani e diversi oppure consanguinei con questi? M’interessa la tua percezione se ti volgi al passato... Ma, il mio “filo” l’ho certamente trovatio lì, nei lavori di quel periodo... c’era già dentro tutto...nel 1987 è nata “la mia cosa”, che conteneva un po’ la rielaborazione delle istanze più importanti che erano allora nell’aria, l’arte povera, la land art.... Mi ricordo quelle bende che fasciavano la terra, e dalla terra venivano ricoperte... Se pensi che alla fine degli anni ottanta, senza galleria, senza conoscere minimamente il mondo dell’arte, sono stata selezionata al premio Premio Saatchi and Saatchi e ho fatto la prima mostra a Londra... E dunque come ti è arrivato quell’invito? Non mi ricordo... Poi sono successe cose belle, cose brutte, come in ogni storia. impaginato Academy n.14.indd 33 Anche se io le ricordo come forme più imbavagliate, isolate, chiuse. Anche se usi ancora le bende come materiale è l’uso diverso che ne fai, nel modo di occupare lo spazio. Le tue sculture di allora mi ricordavano, per dimensione e forma, delle teste, creavano una strana specie di effetto specchio con lo spettatore. Era quasi un fronteggiarsi, uno a uno. Ed era certamente interessante vedere questa scultura a parete, ma era certamente un modo diverso di relazionarsi allo spazio. Là c’erano forme chiuse, qui in espansione virtualmente infinita. Erano anche più terrestri, più dure, più pesanti, ma avevano un loro sapore atemporale per certi versi, contenevano l’elemento tempo. Erano come dei reperti senza tempo né storia, né passato né presente, erano come un grumo che irradiava ugualmente, le si completava con l’immaginazione, come i miei lavori più recenti. Irradiavano sulla parete coinvolgendo lo spazio attorno a loro. Sì, ma in un altro modo, ribadisco, in queste ultime sculture sento una specie di flusso, un’energia diversa, una circolarità cosmica, che là invece risultava assente o bloccata in un nucleo stretto e compatto nella sua chiusura enigmatica. Certo il lavoro doveva trasformarsi e sbocciare. Dovevo liberarmi di tante cose. Ma il lavoro è in perenne trasformazione e liberazione. Alla casa degli artisti hai solamente esposto nel 1985 oppure l’hai frequentata a lungo? Ora che è stata sgombrata dalla giunta Moratti è un pezzo di memoria importante della pratica dell’arte in questa città ma ormai reciso. Cosa ricordi? Come ne parleresti a chi non l’ha mai conosciuta e vissuta? No, sai, non l’ho mai frequentata. Ci ha chiamato Fabro a esporre lì ma non ho mai partecipato alle attività, anche perché vigeva un po’ una specie di regime integralista dell’arte in cui mi trovavo abbastanza a disagio… (Sai, ad esempio per loro era inammissibile fare un disegno in libertà!) 33 ex studenti Che ricordi hai di Brera, dell’Accademia? Sai che a Brera non ci sono mai più tornata? Comunque l’esperienza di studio a Milano per me ha rappresentato molto, soprattutto perché venivo da una città di provincia, Brescia, e dopo aver fatto la Scuola d’arte a Mantova, sono approdata in quella che a me parve allora una metropoli... e qui, tra scambi di vedute con artisti, galleristi, addetti ai lavori, critici... è stato uno choc tremendo, disorientante per via della sensazione vertiginosa di uno spalancamento enorme di mondi e di possibilità. Poi piano piano si chiariva la coscienza del mio posto in tutto questo. Il primo anno è stato davvero di studio, anche delle persone che avevo intorno come dei maestri. Avevo scelto a caso il professore di Pittura, che in prima battuta era Terruso, ma poi, dal secondo anno, quando è arrivato Luciano Fabro, anche io mi unii a quel mare di studenti che si è trasferito in massa a frequentare il suo corso. Tra i miei compagni ricordo in particolare Dimitrios Kozaris, Liliana Moro e Mario Airò.Il mio professore di Storia dell’Arte era Zeno Birolli e Flaminio Gualdoni. Dai miei maestri ho appreso appunto “la strada maestra” dell’arte, e ho anche in parte dovuto difendere la mia natura perché la tendenza del docente è sempre facilmente quella di indirizzare automaticamente lo studente verso quella che è la propria personale idea dell’arte. Sono delle strutture primarie con forte capacità generativa, sempre in espansione reale o soltanto potenziale, che poi è la stessa cosa. Sono virtualmente enormi, infinite, come i cerchi nell’acqua. Sì, hanno una forza germinale, potrebbero sempre diventare altro. Non c’è bisogno che le mie opere siano grandi, contengono una capacità espansiva mentale... E nascono da un atteggiamento contrario a quello di tanti miei coetanei, ovvero la mia ricerca è quella di contenere lo spazio, giocandolo tutto dentro all’opera che però condiziona, contamina profondamente lo spazio dell’ambiente, lo trasforma, un po’ come le mie prime sculture. Ma tu disegni le forme prima di farle, per studiarle e progettarle? No, faccio dei collage, con diversi materiali, a posteriori, come dei “ritratti di sculture”. Per il resto prendo appunti su quadernetti, fermo ipotesi che si fanno formando, fermo le idee. 22/12/12 11:58 34 Francesco Paolo Arbore Essendo collezionista di opere d’arte ed inserendo spesso quadri e sculture all’interno dei nostri progetti e delle nostre realizzazioni, ho sempre cercato di conoscere gli artisti ed avere un rapporto amichevole in modo da far realizzare opere specifiche e personalizzate per i miei clienti. Architetto Arbore ci racconta come è nata la sua passione per l’arte? siti d’arte Gli anni della mia formazione scolastica presso il Liceo artistico di Bari sono stati decisivi per la conoscenza e poi la passione per l’arte. Al termine delle superiori ero davanti ad un bivio: potevo scegliere se frequentare l’Accademia di Belle Arti o la Facoltà di Architettura. Ho scelto di diventare architetto, ma non ho mai abbandonato l’interesse verso l’arte di cui ho continuato a nutrirmi nel tempo: ho iniziato a collezionare dalle grandi grafiche di artisti americani a opere grandi quanto un francobollo ed ho sempre cercato di trasferire questa passione nel mio lavoro, creando un connubio tra arte e l’architettura. Quando ha acquistato e ristrutturato questa casa quali obiettivi si è posto? Nel 1995 ho acquistato l’appartamento ed un vecchio frantoio a pianterreno che facevano parte dello stesso stabile. L’idea è stata quella di trasformarli rispettivamente nella mia casa e nello studio professionale. Trattandosi di un’architettura storica, l’approccio è stato quello del restauro conservativo che ha cercato di tutelare il più possibile i caratteri originari dell’architettura e di renderli sempre distinguibili anche all’interno di un ambiente “contemporaneo”. Il recupero funzionale degli spazi originari e la scelta di inserire materiali e colori neutri hanno agevolato l’inserimento degli arredi contemporanei e delle opere d’arte senza creare dissonanze fra loro e l’architettura. Lei opera in Puglia ma svolge il suo lavoro professionale in giro per il mondo, ci può fare una sintetica carrellata delle sue maggiori realizzazioni? impaginato Academy n.14.indd 34 In quasi 35 anni di vita professionale, il mio studio ha gestito ed affrontato una grande varietà di situazioni progettuali, confrontandosi di volta in volta con contesti geografici, culturali ed architettonici completamente diversi. L’approccio è sempre stato quello di un’architettura integrata con la storia locale, mai avulsa dal luogo in cui si trovava di cui cercava di interpretare e riproporre in chiave moderna gli elementi caratterizzanti. Seguendo questa logica ci siamo confrontati con la realtà americana di Los Angeles, New York, Palm Beach e Miami e con il mondo arabo come il Qatar, dove la nostra professionalità si è inserita pregevolmente all’interno di un contesto completamente diverso. Numerosissime sono state anche le esperienze in Italia ed in Puglia, in cui ci siamo confrontati con altre problematiche. Molto spesso abbiamo operato in contesti dove l’architettura è fortemente legata alla storia e gli interventi effettuati sono stati di tipo conservativo e di tutela dell’importanza storica del contesto. Anche nelle esperienza delle nuove realizzazioni in contesti non storicizzati come le zone di espansione residenziale e quelle industriali, l’approccio progettuale è stato mirato all’utilizzo di tecnologie e materiali contemporanei, garantendo spazi ed architetture molto semplici ed esasperatamente funzionali. Ogni progetto del mio studio è un lavoro “sartoriale”, cucito addosso a ciascun luogo, architettura e committenza. Negli ultimi anni abbiamo creato anche una società di general contractor per garantire la qualità dell’esecuzione oltre quella della progettazione. Carla Accardi ha disegnato esclusivamente per lei la porta di accesso alla sua abitazione, un simbolo importante dal quale si capisce la sua attenzione a circondarsi di opere speciali e possibilmente pensate espressamente per un contesto specifico oppure per una persona specifica, è così? Adotta questo principio anche nelle realizzazioni architettoniche per i suoi clienti? 22/12/12 11:58 35 Essendo collezionista di opere d’arte ed inserendo spesso quadri e sculture all’interno dei nostri progetti e delle nostre realizzazioni, ho sempre cercato di conoscere gli artisti ed avere un rapporto amichevole in modo da far realizzare opere specifiche e personalizzate per i miei clienti. La realizzazione della porta di accesso alla terrazza giardino della mia abitazione disegnata da Carla Accardi è la conferma di tale filosofia lavorativa. E’ stato un caro amico artista comune che mi ha offerto la possibilità di farmi realizzare un disegno personalizzato con dedica da Carla Accardi. La sua casa è permeata di luce e di opere d’arte di grandi dimensioni che respirano nello spazio, si capisce che lei cerca un dialogo fra l’architettura e l’arte, quest’ultima per lei è una maniera per completare uno spazio architettonico in senso decorativo? Non considerando l’opera d’arte come un complemento di arredo, ma un elemento fondamentale e caratterizzante le mie architetture, valuto l’inserimento già dalle prime fasi progettuali in modo da esaltarne il valore e facendo cogliere ai miei clienti l’importanza della scelta. impaginato Academy n.14.indd 35 All’ingresso della casa, scultura in ferro di Gaetano Grillo 22/12/12 11:58 36 La porta in cristallo e alluminio disegnata da Carla Accardi. Vista della camera da letto con letto “S.W. Bed” di P. Starck e alla parete grande quadro ovale di Gaetano Grillo. impaginato Academy n.14.indd 36 22/12/12 11:58 37 Giardino interno con porta di accessi disegnata da Carla Accardi, scultura di Michele Zaza, poltrone, divano e sgabelli di Tokujin Yoshioka. Vista del soggiorno con divano “Royalton” di P.Starck, poltrona “Egg” di A. Jacobsen, a parete, trittico di G. Grillo e sculture di F. Menolascina. impaginato Academy n.14.indd 37 22/12/12 11:58 38 siti d’arte Vista della veranda con tavoli “Thali” di Miki Astori e sedute “Lord Yo” di P. Starck, sullo sfondo scultura di Gianfranco Pardi Ristrutturazione MeliorBanca, Piazza della Borsa, Milano. All’ingresso “Vaso polisemico” di G. Grillo e pannello in bronzo di A. Pomodo impaginato Academy n.14.indd 38 22/12/12 11:58 o Pardi Alberto Garutti didascalia / caption RECINZIONE, 2012. Acciaio 3 moduli: 250 x 200 x 6 cm. cad. Courtesy Franco Soffiantino Contemporary Art Production impaginato Academy n.14.indd 39 un’azione contiene e richiama l’altra senza stabilire una rigorosa sequenza causa-effetto, ma che ben si traduce nell’idea di arte circolare messa in atto da Alberto Garutti. Anna Comino DIDASCALIE, 2012. stampa digitale su fogli di carta colorati, pile di fogli 43,5 x 64 cm. altezze variabili (particolare). Courtesy Massimo Minini. una mostra Il gioco di “scatole” che c’è alla base dell’opera di Alberto Garutti prevede che tutti gli elementi coinvolti nel processo che siamo soliti chiamare “Arte”, dimentichino le regole e siano disposti a mutare di ruolo nel corso del tempo. La mostra didascalia / caption si basa proprio su questa variazione di prospettiva che vede simultaneamente coinvolti opera-artista-spettatore-luogo. Il meccanismo che Garutti innesca ogni volta, parte dal semplice presupposto che chi è osservatore oggi di una realtà nella quale non è immerso fisicamente ma solo attraverso la contemplazione, diventerà (forse) soggetto primario del lavoro successivo, quindi esso stesso opera, e sarà esposto o posizionato per essere visibile da un nuovo ciclo di potenziali visitatori-protagonisti-opera. Alberto Garutti si riserva il compito della regia, cioè scegliere il posto (prevalentemente un’architettura, ma anche un ambiente esterno), coinvolgere coloro che usufruiscono di questo luogo, bloccarli nel lavoro, e restituirli al pubblico, sia esso il frequentatore di mostre o il comune cittadino che casualmente si imbatte nell’installazione. A completare il procedimento si aggiunge la parola che, in forma di didascalia o di targa (in molti casi, l’unica testimonianza tangibile dell’avvenuta trasformazione di un oggetto, di un evento, di una struttura, in opera d’arte), svela e integra il senso dell’operazione. L’antologica al PAC di Milano raccoglie trent’anni di interventi più o meno provocatori, ricostruendo l’attività dell’artista anche attraverso una serie di progetti, alcuni dei quali mai realizzati, e una nutrita documentazione fotografica e video relativa agli allestimenti pubblici. Apre e, nello stesso tempo, chiude il percorso espositivo l’invasiva opera inedita “In queste sale 28 microfoni registrano tutte le parole che gli spettatori pronunceranno. Un libro a loro dedicato le raccoglierà”. Personale dipendente e visitatore sono costantemente sorvegliati e spiati in ogni loro manifestazione sonora o verbale. La consapevolezza di essere sotto osservazione falsa le reazioni e i commenti portando ad espressioni forzatamente trattenute, volutamente plateali o al silenzio, ma solo in un tempo successivo ne verrà data testimonianza a chi cercherà di ritrovarsi nella miriade di frasi spezzate (e quindi nell’opera) o chi, completamente estraneo, si limiterà ad osservare. E così si ritorna al gioco di scatole, in cui 39 22/12/12 11:58 40 X l’Universo Invisibile un percorso fra astronomia e arte Milano – Ex Chiesa di San Carpoforo e negozi della zona Brera Merate – Villa Confalonieri e negozi del centro storico mostre Settembre – Ottobre 2012 La luce ad alte energie e la sua capacità di svelare, attraverso satelliti in orbita nello spazio, parti dell’universo invisibili all’occhio umano, sono state il tema di X L’Universo Invisibile, un evento artistico multidisciplinare che ha permesso di approfondire da molteplici punti di vista, estetici, formali, semantici, etici, l’atteggiamento dell’uomo e dei linguaggi artistici nei confronti dell’universo e delle sue componenti più misteriose. Il progetto, che ha voluto sottolineare il dialogo intenso fra arte e astronomia contemporanea e che ha visto protagoniste due storiche istituzioni della vita artistica e culturale lombarda, l’Accademia di Belle Arti di Brera e l’INAF – Osservatorio Astronomico di Brera, si è articolato in due proposte espositive e diverse iniziative culturali: a Milano, dal 12 settembre al 2 ottobre 2012 presso l’ex-Chiesa di San Carpoforo e nei negozi adiacenti della zona Brera e a Merate, dal 13 ottobre al 27 presso l’antica Villa Confalonieri e i negozi del centro storico. Un percorso fra cinquanta opere degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera e oltre 20 tra modelli di satelliti, strumenti e immagini astronomiche curato per la parte artistica da Alessandra Angelini, docente dell’Accademia di Belle Arti di Brera e per la parte scientifica da Stefano Sandrelli e Monica Sperandio dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Brera. L’evento è stato organizzato in occasione del 50° anniversario della nascita dell’astronomia X e del 250° anniversario della fondazione dell’Osservatorio Astronomico di Brera, che oggi fa parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. “L’espressione artistica è spesso in grado di cogliere e ritrasmettere emozionalmente l’aspetto non visibile e multiforme del reale” racconta impaginato Academy n.14.indd 40 Alessandra Angelini “ed è proprio sulla capacità di vedere l’invisibile che accomuna scienza e arte che abbiamo desiderato esprimerci. La ricerca scientifica ci propone continue e nuove conoscenze sulla natura del cosmo che riguardano in definitiva la vita di tutti noi. L’arte e la cultura hanno il compito fondamentale di accostare l’umanità al dato scientifico e di stimolarne una visione critica e consapevole attraverso la sensibilità poetica. Possiamo definire X L’Universo Invisibile, non solo una mostra, ma un momento di effettiva ricerca intorno a due fondamentali aspetti del sapere, l’Arte e la Scienza. Per questo i nostri studenti, come momento preparatorio alla loro produzione artistica, hanno partecipato a una decina di incontri scientifici organizzati dall’INAFOsservatorio Astronomico di Brera allo scopo di conoscere e approfondire, attraverso le parole degli scienziati, quali sono gli strumenti più avanzati della moderna Astronomia.” Alessandra Angelini http://www.brera.inaf.it/UniversoInvisibile/ 22/12/12 11:58 Random/28 Urbino, Palazzo Ducale Sale del Castellare 41 Si è tenuta ad Urbino la mostra Random/28, allestita nelle attigue Sale del Castellare, fino al 22 novembre. In rigoroso ordine alfabetico, i ventotto giovani artisti in formazione - Stefano Baldinelli, Güliz Baydemir, Giuseppe Bonito, Giorgia Cegna, Gabriele Cesaretti, Maria Teresa Corbucci, Annalisa D’Annibale, Corrada Di Pasquale, Carlo Esposito, Paolo Farci, Laura Fonsa, Emanuele Gagnoni, Ilaria Gasparroni, Antonio Malaspina, Davide Mancini Zanchi, Roberto Memoli, Miriam Pascale, Jessica Pelucchini, Dario Picariello, Elisa Pietrelli, Francesco Poletti, Elettra Quintini, Antonio Rastelli, Cecilia Ripesi, Sonia Senese, Shio Takahashi, Nara Tomassini, presentano lavori eterogenei, diversi per stile, contenuto, sensibilità estetica. Sono introdotti da Angela Sanna, curatrice con Bruno Ceci della mostra e del catalogo, il cui progetto grafico e il coordinamento editoriale sono parimenti affidati a due studenti, Luca La Ferlita e Caterina Lani. Random/28 rilancia l’idea della vitalità ‘randomica’ quale sinonimo di casualità prolifica nella creazione artistica contemporanea. Questo termine che si è ormai diffuso a macchia d’olio scavalcando la propria accezione informatico-scientifica, si è già imposto, sia linguisticamente che semanticamente, non soltanto nell’ideazione di questa e di altre iniziative culturali, ma anche nella definizione di numerosi campi tra loro diversissimi, dai motori di ricerca ai siti web, dalla statistica alla impaginato Academy n.14.indd 41 accademia di urbino Promossa dall’Accademia urbinate con il patrocinio della Regione Marche, della Provincia di Pesaro e Urbino e della Città di Urbino Assessorato alla Cultura, l’esposizione ha presentato opere di 28 studenti, numero indicato nel titolo Random, riproposto per questa nuova raccolta, nella quale personalità di stintesi nell’ultimo anno accademico espongono accanto ad altre già note, con il coinvolgimento di tutte le scuole in cui si articola l’offerta formativa: Decorazione, Grafica, Pittura, Scultura, Nuove Tecnologie dell’arte; Scenografia espone collettivamente il progetto per Il signor Bruschino di Rossini, scene e costumi realizzati in occasione del R.O.F. 2012. matematica, dall’arte alla musica, arricchendosi di nuove valenze fino a sostituirsi, in alcuni casi, al suo corrispettivo italiano, ‘casuale’. Nella mostra, questa componente si riflette simbolicamente in un sistema variegato, nel quale le idee e le opere concorrono a delineare un percorso complesso, una mappa articolata, dove si incrociano opere tridimensionali e pittoriche, video e installazioni, fotografie e lavori di scena, soluzioni grafiche e collage. Una metodologia rigorosa e allo stesso tempo duttile valorizza l’eterogeneità, base della didattica e della pratica artistica dell’Accademia, dove tradizione e innovazione convivono senza forti contrapposizioni: un insieme di visioni multiformi e di memorie confluiscono verso obiettivi comuni, nei quali emergono vocazioni dai tratti fortemente caratterizzati che si trasformano in identità. Mettere insieme nella stessa mostra opere molto diverse tra loro può essere considerato alla stregua di un’operazione artistica, nel senso che il curatore deve pensare e progettare in modo creativo. Per questo, Random/28 può essere giudicata come un’opera in quanto coordinata e curata con i mezzi propri dell’arte: in essa è possibile scorgere chiari elementi di natura poetica situati all’interno di una struttura dinamica che si relaziona con gli aspetti più classici della pratica artistica. Tuttavia, se nel sistema dell’arte è necessaria una linea espressiva che accomuni più artisti in modo che si rafforzi l’importanza di un argomento o di un linguaggio, all’opposto, in una comunità come l’Accademia, il rifiuto di ogni possibile univocità è fondamentale, poiché esso coincide con la libertà di ricerca artistica che deve essere sempre al centro dell’attività creativa di ogni giovane artista. In questa seconda raccolta randomica non sono ordine e disordine a essere opposti, ma è messa in discussione l’imposizione di un ordine sul caos. L’evento, maturato in un tempo della riflessione e nello spazio della ricerca, è tanto più sorprendente perché dà voce a ventotto giovani speranze, certamente alle prese con la vocazione ed il desiderio di cercarsi e trovarsi nella difficile esperienza dei linguaggi dell’arte. Non è casuale se da qualche tempo i linguaggi dell’arte hanno ricominciato a parlare in un certo luogo, vale a dire nell’Accademia di Belle Arti di Urbino, la cui storia non ci riporta ad anni lontanissimi, ma che ha saputo conquistarsi una sua inconfondibile identità. 22/12/12 11:58 42 CANTIERE DEL ‘900 – Opere dalle collezioni Intesa Sanpaolo Di Gaetano Centrone recensioni maestri storici Nello scorso ottobre è stato aperto al pubblico Cantiere del ‘900, un imponente allestimento della collezione Intesa Sanpaolo nella storica sede della Banca Commerciale in Piazza della Scala, con una raccolta di opere delle più influenti personalità dell’arte italiana del secondo Novecento. Abbiamo intervistato per l’occasione Andrea Massari, già docente di Diritto del Lavoro, e dal 2011 responsabile del patrimonio artistico Intesa Sanpaolo e direttore delle Gallerie d’Italia. Direttore, abbiamo visitato la collezione del Novecento di Intesa Sanpaolo e siamo rimasti letteralmente impressionati. Una ricchezza esaustiva che raccoglie il meglio della nostra storia dell’arte recente che forse nessuna istituzione museale può annoverare in Italia. Quanto è stata duro il vostro lavoro nel selezionare solo centocinquanta opere tra le oltre tremila che compongono la collezione? E con quali criteri ha proceduto, oltre all’ovvio discorso dell’includere gli artisti dalla fama consolidata? La doverosa premessa è che qualsiasi realizzazione di un percorso museale sconta una lunga fase di preparazione, di studio, di catalogazione e approfondimento dei materiali. La creazione di un nuovo museo o anche l’allestimento di una mostra temporanea ha un senso in quanto la comunità scientifica possa identificarvi una operazione di valorizzazione del patrimonio, un disegno educativo mirato alla diffusione della conoscenza. Così abbiamo iniziato anni fa la complessa impresa di elaborazione del catalogo ragionato delle nostre collezioni del ‘900 che, finalmente, a breve vedrà la luce. Attraverso questa preliminare e necessaria attività di studio, coordinata dal prof. Francesco Tedeschi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, abbiamo raggiunto una piena consapevolezza del valore, anche storico, della nostra raccolta, delle sue caratteristiche, come delle sue lacune, proprie del resto di qualsiasi operazione collezionistica condotta negli anni da attori differenti e con obiettivi non univoci. La selezione delle opere, la cui qualità ha trovato garanzia nella curatela scientifica del prof. Tedeschi, è stata certamente laboriosa impaginato Academy n.14.indd 42 ma, una volta stabilita la rotta, forse più semplice del previsto. Nostro obiettivo, per questo primo allestimento, era quello di offrire una sorta di epitome dell’arte italiana del secondo novecento, nel cui ambito potessero trovare spazio non solo i movimenti, le tendenze, i protagonisti maggiori dell’epoca, ma anche quelle figure, quelle testimonianze, magari sino ad ora considerate di contorno, che in realtà hanno contribuito a identificare, ad arricchire, a completare una stagione importante della nostra produzione artistica. Il nostro intento è stato quello di rivalutare un patrimonio spesso conosciuto solo per la presenza di alcuni capolavori, ma che non aveva ancora ottenuto adeguata considerazione nel suo insieme. Ci è parso anche particolarmente felice il titolo dato all’esposizione, Cantiere del ‘900, che rende abbastanza bene l’idea dei lavori in corso. Come è nato e a cosa si riferisce esattamente? Al cantiere della collezione ancora da rifinire? O fa riferimento alla storia delle idee, dando quella caratterizzazione transeunte inevitabilmente legata all’arte di un determinato periodo storico. Nelle sedi museali aperte in precedenza dalla nostra banca, non si era mai posto il problema di denominare i diversi allestimenti di materiali, quantunque già si presentassero accostamenti inusuali come, ad esempio, quelli delle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, dove la raccolta di icone russe è integrata dalla esposizione, in spazi distinti, delle opere del ‘700 veneto. Nel caso delle Gallerie d’Italia di Piazza della Scala, invece, si è pensato di distinguere da subito gli spazi destinati in maniera stabile alla presentazione delle opere dell’Ot- 22/12/12 11:58 tocento (i Palazzi Anguissola e Brentani) da quelli rielaborati nella sede storica della Banca Commerciale Italiana in funzione dell’esposizione della collezione novecentesca e dell’allestimento di mostre temporanee. Se il titolo individuato per il percorso dell’Ottocento s’inserisce nei canoni della tradizione (“Da Canova a Boccioni”), si è invece voluto pensare a una titolazione dell’allestimento di Palazzo Beltrami che, da un lato, evocasse l’immagine di un luogo in continua evoluzione, un concetto di “non finito”, dove si sperimentano diversi percorsi di indagine e si prospettano sempre nuovi progetti, dall’altro implicasse la necessità di ulteriori ricerche sull’arte di un secolo in gran parte ancora inesplorata. Cantiere del ‘900 ben rappresenta, a nostro giudizio, entrambi gli aspetti, garantendo quella fisionomia aperta e articolata che dovrà improntare i futuri allestimenti. Come si configurerà lo spazio espositivo in futuro? Sarebbe un peccato spostare anche una sola delle opere attualmente in mostra. Ma come riuscirete a conciliare questo con l’altrettanto valida necessità di mostrare al grande pubblico i lavori attualmente custoditi nel caveau? Saranno sempre mostre ad ingresso libero? Quanto detto sopra credo abbia già chiarito il nostro intento di voler condividere nel modo più completo e diffuso la nostra collezione e ciò si renderà possibile sia attraverso la periodica variazione del percorso principale – pur nella salvaguardia del suo rigore scientifico – sia tramite il contemporaneo allestimento di uno o più percorsi di approfondimento monografici su singoli autori, temi, movimenti, epoche. Il caveau, mirabilmente reinterpretato dall’arch. De Lucchi, fungerà da “stanza di compensazione” per consentirci di realizzare tali operazioni. Per quanto concerne, infine, la gratuità dell’ingresso, verrà certamente mantenuta fino all’autunno del 2013, quando al riguardo faremo nuove riflessioni, anche tenendo presente la posizione delle principali istituzioni museali cittadine. 43 SE... Esauriente ma non dispersiva nella sua ricchezza, ben organizzata ma non noiosa e, soprattutto, capace di andare al cuore della questione: questa è la mostra di Grazia Varisco che, curata da Giorgio Verzotti, è stata allestita negli spazi della Permanente. Una rassegna che restituisce con chiarezza, pur rifuggendo ogni schematica semplificazione, tutto il senso della ricerca dell’artista milanese. Le sue prime opere, “nate quasi di nascosto nell’aula di Funi a Brera” nel 1957 - lavori materici di ascendenza informale che in questa occasione, finalmente, abbiamo potuto conoscere – ci introducono ad un percorso esauriente, che si snoda per temi, pur nel sostanziale rispetto dell’evoluzione cronologica del lavoro: dalle Tavole magnetiche agli Schemi luminosi variabili, dai Reticoli frangibili alle Extrapagine, fino alle opere più recenti, che si collocano più risolutamente in una dimensione di aperta dialettica con lo spazio circostante, quello spazio inteso come “campo attivo” di cui parla Elisabetta Longari nel suo saggio in catalogo. Nel compiere questo percorso, che ci obbliga alla partecipazione, oltre ogni atteggiamento passivamente contemplativo, possiamo cogliere il senso di una ricerca sempre attuale e affascinante; quel impaginato Academy n.14.indd 43 significato profondo che è, in qualche misura, racchiuso nel titolo di questa mostra: Se... È la stessa Varisco a suggerire questa chiave di lettura, spiegando come l’atteggiamento dubbioso, cioè aperto e disponibile, è un abito della sua mente, un modo di vivere, prima ancora che di essere artista. Un dubbio che non si traduce nell’incertezza, nella sospensione intesa come inattività, o nella passività; al contrario, che va inteso in senso costruttivo, come rifiuto del dogmatismo della regola, dell’asfissiante torpore dell’abitudine. La parola d’ordine diventa allora disponibilità: Varisco ci invita sempre, seppur con apparente leggerezza, ad un atteggiamento aperto e ci mette nella condizione di accogliere una serie, potenzialmente infinita, di possibilità visive e percettive. L’artista, infatti, si riconosce in quanto scriveva Belloli, quando sosteneva che è “un principio di instabilità e di incertezza strutturale che permette a Grazia Varisco di inverare il proposito platonico: ‘se vi offro delle probabilità non chiedetemi di più’”. recensioni GRAZIA VARISCO Al Museo della Permanente di Milano Cristina Casero 22/12/12 11:58 Joseph Beuys, “Der Spiegel”, 1979 Joseph Beuys, “Salvatore Sic”, 1979, carta e feltro, cm 33,8 x 49. 44 Per la prima volta in Marocco il lavoro di uno degli artisti più emblematici del XX secolo. Presso la storica galleria Venise Cadre di Casablanca sono esposte ben 150 opere di Joseph Beuys, per la curatela di Antonio d’Avossa Beuys ici. La rivoluzione è qui Angelomichele Risi, “Sic Beuys”, 1980 1 aprile, Napoli, fotografia. recensioni maestri storici di Melissa Provezza Beuys ici è il significativo titolo di una mostra che presenta per la prima volta in Marocco il lavoro di uno degli artisti più emblematici del XX secolo. Presso la storica galleria Venise Cadre di Casablanca sono esposte ben 150 opere di Joseph Beuys, per la curatela di Antonio d’Avossa (esperto dell’opera del Maestro e docente di storia dell’arte contemporanea all’Accademia di belle arti di Brera). “La rivoluzione siamo noi” insegnava Joseph Beuys (Krefeld 1921 - Düsseldorf 1986) guidato dall’idea di una rivoluzione sociale innescata dal potere di trasformazione dell’arte. Artista della reazione, con impegno politico, sociale ed ecologico ha risposto ai traumi storici dei suoi anni (dalla seconda guerra mondiale agli shock petroliferi, dalla crisi economica alla Guerra Fredda…). Ponendo al centro della sua ricerca l’uomo e la sua energia creativa, ha rivendicato la democratizzazione dell’arte con instancabile spirito di condivisione. Le sue opere nascevano spesso da azioni reali, attraverso l’utilizzo di vari media e travalicando le definizioni tradizionali di genere. Beuys ha attraversato il territorio della scultura, della performance e dell’arte concettuale, pur attribuendo valore pregnante ai materiali di cui si è servito. Ha creato un simbolismo ricco e potente intorno alla sua opera, che impaginato Academy n.14.indd 44 comprendeva la sua stessa vita e il suo essere uomo nella società. Nonostante sia spesso complesso esporre il suo lavoro – così come riconosce lo stesso curatore della mostra – Beuys ici è un’esposizione che ripercorre nella sua interezza l’attività dell’artista tedesco e ne trasmette la portata universale. Un allestimento museale sorprende il visitatore, tra multipli e manifesti autografati, tra video e disegni originali: opere realizzate dal 1969 al 1985, anni in cui l’artista era impegnato nel partito dei Verdi in Germania. Come ben testimoniano i lavori esposti, grande importanza aveva per Beuys l’utilizzo del mezzo pubblicitario: veicolo privilegiato per la possibilità di parlare alle masse dando forma visiva alle proprie idee. Provenienti da diverse collezioni e rappresentativi di una produzione molto ampia sono i multipli, che l’artista stesso definiva vehicle art: “idee e memorie permanenti, punti di riferimento, monumenti trasportabili”. L’ampio respiro dell’esposizione e il taglio di carattere museale sembrano rivelare l’intento culturale – non meramente commerciale – della galleria Venise Cadre, la più antica del Marocco. l titolo emblematico della mostra ci ricorda quanto la lezione beuysiana continui tutt’oggi ad essere riferimento nella ricerca sulla creazione. 22/12/12 11:58 sando acqua sul volto di un “condannato” messo a testa in giù, lo porta in brevissimo tempo al limite dell’annegamento. Prassi che nelle giuste dosi può essere anche un gioco di erotismo estremo. Da qui l’ambiguità di queste ragazze nude che sembrano morte, ma potrebbero anche solo galleggiare appena sotto il pelo dell’acqua di una vasca o piscina. L’opera però non finisce qui, perché l’immagine è stampata su una grande tela esposta inclinata sopra una enorme cornice di legno bianco, che diventa essa stessa installazione ambientale, come una macchina celibe alla Duchamp. Tanto più se aggirando quell’ostacolo scopriamo sul retro e sul recto della tela, strani disegni neri, figure ossessive, tracciate a china, quasi inconsciamente, da Pieroni in momenti di pausa, mentre è seduto al bar o al ristorante. Strane creature informi, irte di aculei, come cactus zoomorfi, che sembrano incubi ancestrali resi visibili dalla mano che scorre frenetica in un automatismo psichico, libero e liberatorio. Inoltre, alle cornici Pieroni appende i più svariati oggetti, dai colatoi per la pasta a alle stoviglie d’alluminio dismesse acquistate al Balòn. Il mercato dei robivecchi di Torino, nella città e nel quartiere dove questo artista romano si è trasferito a vivere, lavorare e a insegnare come docente di Pittura all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino (Istituto di Alta Cultura dove attualmente ha anche il ruolo di vicedirettore). Alla Galleria Allegretti Contemporanea di Torino una personale di Claudio Pieroni WATERBOARDING Questa ed altre analoghe immagini di nudi femminili sommersi dall’acqua in un gioco mortale e sensuale di Waterbording, sono le gigantografie stampate su tela che costituiscono il nucleo centrale della mostra che la galleria Allegretti dedica all’artista romano Claudio Pieroni, da sabato 10 novembre al 25 dicembre. Il titolo, Waterboarding, evoca senza giri di parole quella crudele pratica di tortura che ver- impaginato Academy n.14.indd 45 Tanto con i suoi migliori studenti dell’Accademia Albertina ha costituito un attivissimo sodalizio di lavoro denominato Gruppo Radici, e insieme a loro sta lavorando ormai da un anno all’interno del Carcere Minorile di Torino Ferrante Aporti, perché è convinto che l›Arte è “l›unico strumento che risparmia gli Uomini dal destino”. recensioni Il waterboarding, com’è normalmente descritto, prevede che la persona sia legata ad un’asse inclinata, con i piedi in alto e la testa in basso. Coloro che svolgono l’interrogatorio bloccano le braccia e le gambe alla persona in modo che non possa assolutamente muoversi, e le coprono la faccia. In alcune descrizioni, la persona è imbavagliata e qualche tipo di tessuto ne copre il naso e la bocca; in altre, la faccia è avvolta nel cellophane. A questo punto, colui che svolge l’interrogatorio a più riprese vuota dell’acqua sulla faccia della persona. A seconda del tipo di preparazione, l’acqua può entrare effettivamente nelle vie aeree oppure no; l’esperienza fisica di trovarsi sotto un’onda d’acqua sembra essere secondaria rispetto all’effetto psicologico. La mente crede di stare per affogare. Una ragazza nuda s’intravede appena sott’acqua. Una immagine a colori, scura e sfocata, che però ci fa vedere con chiarezza un bel corpo giovane e sensuale col segno chiaro sulla pelle lasciato dall’abbronzatura in corrispondenza degli slip. Come l’Ofelia protagonista dell’Amleto di Shakespeare, così ben raffigurata dal pittore preraffaellita britannico John Everett Millais, la ragazza giace immobile come morta appena sotto la superficie trasparente e vibrante dell’acqua. A chi gli chiede perché ha scelto di fermarsi a Torino, lui, che dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Roma, ha girato il mondo e ha lavorato e insegnato in tante altre Accademie d’Italia, risponde senza tentennamenti: “perché Torino è la Capitale d’Italia dell’arte contemporanea”. Poi ci ricorda di aver vissuto a Torino già negli anni ottanta, frequentando e diventando amico di artisti come Mario e Marisa Merz. Pur senza essere, né tantomeno voler essere, un emulo o un epigono del Poverismo, Pieroni ha elaborato una sua ben precisa linea post-concettuale, in parte ispirata al suo vissuto nomade, ma in parte intellettualmente connotata dalla volontà di far dialogare arte e scienza. Come ben constatiamo, ad esempio, in altri suoi lavori recenti costruiti utilizzando vecchi meccanismi di orologio, cavalletti da fotografo e svariati objets trouvee. Un po’ post-dadaista, un po’ neo-costruttivista, Pieroni è angosciato e affascinato da tutto ciò che è estremo e border line. Ama gli artisti per eccesso come Leonardo, Caravaggio e Gino De Dominicis. 45 Guido Curto Galleria Allegretti Contemporanea Via San Francesco d’Assisi, 14 I, Torino 22/12/12 11:58 LUIGI ONTANI / AnderSennoSogno Museo Hendrik Christian Andersen La mostra AnderSennoSogno di Luigi Ontani, a cura di Luca Lo Pinto, allestita negli spazi del museo Henrik Christian Andersen di Roma (21 novembre 2012 - 24 febbraio 2013), è concepita come un viaggio alla scoperta delle opere meno note dell’artista, il quale, per l’occasione, giunge a spingere l’immaginazione oltre ogni limite, mescolando melanconia e humor in un gioco che da solo è sufficiente ad illuminare gessi, pitture e disegni conservate nelle sale. Sappiamo che Henrik Christian Andersen (1872-1940) era un sognatore affascinato dalle grandiose forme e dalle utopie, e che nonostante le ambizioni, le sue ossessioni si annullavano nella resa di modeste opere di ispirazione classica. Contestualmente, conosciamo la prolifera produzione di Luigi Ontani (1943), svolta vagliando molteplici direzioni formali e di pensiero, che muovono dall’interesse per l’arte dei musei al mondo mitologico, dall’adesione apparentemente trash verso il ciarpame senza importanza all’azione performativa dei tableaux vivants, fino alla assimilazione rielaborata di costumi delle civiltà extra-occidentali. Proprio questa particolarità, porta a concentrarci sulla diversità dei linguaggi dei due artisti, percepibili soprattutto al piano terra, nella gipsoteca del museo, dove le statue di Andersen, nonostante il loro gigantismo manierato, sembrano fare da sfondo alla mitografia voluttuosa delle maschere musicali di Ontani. Si tratta di maschere prodotte a Bali negli ultimi quindici anni in un allestimento speciale, che disposte sulle monumentali statue di Andersen, guidano il percorso nella direzione del teatro e dello spettacolo, secondo un procedimento che unisce la figurazione e l’espressione sonora. Il curatore della mostra, Luca Lo Pinto, ha motivato questa scelta con la fascinazione e l’interesse manifestato da Luigi Ontani per le opere conservate nel museo. Di certo per Ontani, guardare e abitare- seppure per breve- questi spazi- ha significato ricostruire e svelare con assoluta libertà la propria immaginazione antropomorfa, fortemente mistica e narcisista. Tutto questo è visibile soprattutto nel piano superiore del museo, dove si articola un vero excursus della sua lunga e laboriosa attività artistica, a cominciare dalle opere giovanili poco note o inedite degli anni Sessanta e Settanta fino alle più recenti, dove il suo corpo appare e scompare in mille personaggi, stabilendo relazioni con mondi lontani ed altri vicinissimi, in cui la realtà si sovrappone e si fonde con la fantasia. 46 Rosanna Ruscio recensioni maestri storici Danilo Lisi / LA GEOMETRIA DEL DIVINO Danilo Lisi La geometria del divino impaginato Academy n.14.indd 46 Danilo Lisi è uno di quegli architetti che ha impostato la ricerca degli spazi nel rispetto delle forme semplici e assolute. Il gusto per le composizioni geometrizzanti, di cui potremmo tracciare una storia nell’architettura mondiale, ha sullo sfondo l’opposizione tra le grandi misure e le minime porzioni: le zone d’ordine rigorose e le scansioni di piccoli volumi che puntellano interi piani e alleggeriscono le superfici, secondo un procedimento logico-geometrico, direi quasi metafisico. La forma circolare e quella elementare del cubo, con la loro esatta sfaccettatura e la loro capacità di accogliere la luce, costituiscono il modello di perfezione con cui cristallizzare il senso del sacro, così come si può vedere nell’ultimo progetto realizzato a Frosinone: la Chiesta di San Paolo Apostolo. In quest’opera, ogni concetto si rivela duplice: da una parte l’esattezza razionale dei volumi, e dall’altra, uno spazio gremito di particolari densi di significati, dalle finestrelle strette agli arredi dell’interno. Si può dire che in quest’opera, ci si trova dinnanzi due percorsi divergenti che corrispondono a due tipi diversi di conoscenza: una che si muove nell’assolutezza di una razionalità rigorosa, di cui si riconosce il pregio nello sforzo di adeguarsi alle coordinate urbane del territorio, l’altra che si muove nel tentativo di scorporare “quella totalità esperibile” con segni minimi e incisivi: forme astratte, vettori di forza che più che disturbare, restituiscono una vitalità sensibile ad ogni volume e ad ogni superficie. Proprio questa ricchezza d’intenti ed attese, è secondo gli studiosi che hanno scritto nel catalogo dedicato all’edificio, la caratteristica più interessante dell’operato di Danilo Lisi: vedere l’architettura come un “sistema di sistemi”, in cui ogni sistema singolo condiziona gli altri e né condizionato. Rosanna Ruscio 22/12/12 11:58 Vittorio Falletti Maurizio Maggi I musei Massimo Melotti impaginato Academy n.14.indd 47 Francesco Tedeschi In copertina, scanzonata e molto pertinente, un’opera di Grazia Varisco che consiste nell’installazione della scritta “2000” che dal pavimento sale sulle pareti occupandone un angolo con ritmo scattante verso l’altro. Tedeschi ci regala ben dodici anni dopo il duemila, in un altro anno anch’esso bisestile, il suo diario fatto di brevi note che tutte hanno per sfondo riflessioni a partire da qualcosa che ha strettamente a che fare con l’arte e con la vita quotidiana dello scrivente. Come gli sia nata l’idea affascinante e balzana, che per chi conosce direttamente il prof. Tedeschi risulta davvero assai balzana, è difficile dire. Roberto Pinto, durante la presentazione del volume al DOCVA di Milano, si rifà al bisogno di liberarazione dal carcere della filologia imposta dagli studi storico-artistici in ambito accademico universitario. Fermo restando che il motore di questo volume è nascosto e resta tale, bisogna considerare le modalità con cui se ne è venuta a formare la struttura. Tedeschi si era imposto un’unica regola ferrea: scrivere giorno per giorno, e dichiara di non avere mai “barato”. Per il resto, tolto il vincolo della continuità temporale, gli argomenti toccati presentano una gamma vastissima di sapori, perché, non solo Tedeschi non affronta soltanto il lavoro degli artisti visivi, pur essendo com’è ovvio questi in maggioranza, ma dedica a volte la sua scrittura rabdomantica anche a scrittori, registi e musicisti. Se spesso è la data a fornire la scintilla - l’autore si ricorda che quel determinato giorno ricorre il compleanno di un certo artista- , a volte invece non è chiaro da dove scaturisca la catena di pensieri, e ciò rende il mosaico ancora più ricco e inatteso. Questo insieme di “confessioni” svelano una notevole mobilità dell’attenzione del loro autore, considerando le sue scelte tanto dal punto di vista della varietà degli ambiti espressivi di ricerca e degli approcci poetici quanto da quello dell’appartenenza generazionale degli artisti. Anche se sono dichiarate le personali antiche solidarietà, queste note superano la dimensione meramente autobiografica mentre offrono lo spaccato culturale di un’epoca da cui ci separa già più di un decennio. 47 recensioni Verrebbe da chiedersi come mai fra tutte le istituzioni culturali i musei siano oggi quelle maggiormente al centro dell’attenzione. Paradossalmente, dalla seconda metà del secolo scorso, i musei si sono talmente trasformati che, solo apparentemente, ricordano l’istituzione del secolo dei lumi, empirica e positivista. Oggi esaltati a opere d’arte globali dalle archistar, visti come possibili motori di sviluppo del territorio, rivisitati con funzionalità da centro culturale, snaturati in un’ottica di spettacolarizzazione alla stregua di parchi a tema, il museo da istituzione polverosa e immutabile, si sta trasformando nel testimone dell’evoluzione culturale e sociale del nostro tempo. Una prima fase si è avuta grazie al combinato disposto di una società che sempre più ha accentuato le proprie caratteristiche consumistiche con l’impatto delle nuove tecnologie. Da un lato si sono rese possibili nuove modalità di fruizione del museo mentre dall’altro, a volte, si costituiva una deriva della spettacolarizzazione con esiti spesso grotteschi. Ma le motivazioni che hanno fatto sì che il museo abbia riconquistato il centro della scena culturale non si possono limitare ad un’evoluzione di adattamento e di risposta a nuove esigenze. La questione fondamentale è un’altra ed è costituita proprio dall’essenza stessa del museo. Non si tratta semplicemente di una variazione di modalità espositiva determinata dai nostri tempi, segnati dalla spettacolarizzazione, ma, ben più profondamente, di un processo in atto che va a modificare la percezione dei beni materiali che il museo racchiude. Spesso coloro che prendono in considerazione i musei non tengono conto che hanno a che fare con un soggetto che racchiude beni che costituiscono la basa stessa della società. Beni che, perso il loro valore d’uso, acquisiscono un alto valore simbolico e che, al di là della funzione espositiva, concorrono a rafforzare non solo la memoria di una comunità ma a creare quell’immaginario collettivo, quell’insieme di valori che, ordinati in una cosmologia, rappresentano l’identità stessa di una società. Il cambiamento epocale in atto, determinato dalle nuove tecnologie, verso una società globalizzata, e basato su un’alta componente digitale sarà la grande sfida che il museo dovrà affrontare. Una sfida che, con il passaggio dal materiale al virtuale, pone in discussione l’essenza stessa del bene simbolico. Pertanto è quanto mai necessario comprendere la macchina museale, una macchina complessa, non certo marginale, che influenza più di quanto comunemente si crede lo sviluppo di una società. In “I musei”, edito da il Mulino, Vittorio Falletti e Maurizio Maggi, l’uno docente e l’altro ricercatore, riescono a dare una visione complessiva di come il museo si è nel tempo trasformato da luogo essenzialmente espositivo a istituzione che affronta problematiche che vanno dalla ricerca e conservazione all’esposizione e alla fruizione, alla formazione e all’intrattenimento culturale. Oggi il museo, come sottolineano gli autori, è divenuto una macchina culturale che rivendica un ruolo primario nella società e che necessita di adeguate risorse, strutture e professionalità. Il volume, dopo aver tracciato un profilo storico dell’istituzione, prende in considerazione la varietà dei musei come realtà complesse. Si analizzano le principali forme organizzative, le tendenze del marketing dei beni culturali, le nuove problematiche e opportunità della museografia, la comunicazione culturale. Per gli autori i musei a fronte delle profonde trasformazioni sociali, demografiche, tecnologiche e economiche, hanno saputo rispondere al cambiamento in atto dimostrando di essere realtà vive e funzionali. Oggi la sfida è con l’evoluzione sempre più globalizzata della società e con la capacità comunicativa di internet. Se il mondo del virtuale permette una conoscenza sempre più diffusa e possibilità ancora insondate, il museo ha ancora molto da dire con la sua capacità di approfondimento e, soprattutto, come custode e tramite di accesso al patrimonio simbolico collettivo, base e identità di ogni gruppo sociale. Elisabetta Longari 22/12/12 11:58 MASSIMILIANO PATRIARCA La superficie che accoglie la pittura è uno spazio in grado d’influenzare la fruizione di un’opera. La stessa opera assume differenti sfumature in base al contesto nella quale è situata. La mia ricerca parte dall’analisi e dall’elaborazione di fondi ripetuti in maniera seriale (pattern) come nelle carte da parati, laddove le raffinate decorazioni damascate e floreali diventano protagoniste tanto quanto il piccolo frammento di pittura che accolgono. Nelle primissime esperienze di questo lavoro applicavo piccoli e preziosi dipinti sulle tavole decorate con carta da parati. Nella fase successiva la carta di fattura industriale viene sostituita dal paziente lavoro di intaglio e successiva colorazione dei segni incisi, aggiungendo una dimensione manuale alla serialità del pattern. Nelle ultime ricerche la decorazione e la pittura finiscono per compenerarsi l’una nell’altra, creando una sinergia tra fondo e soggetti dipinti. Massimiliano Patriarca nasce a Como nel 1984. Frequenta il Liceo Artistico Paritario G. Terragni e l’Accademia di Belle Arti di Brera, diplomandosi nel 2009. Collabora come assistente nello studio di Nicola Salvatore. Vive e lavora a Dizzasco (CO). 48 Damien - 2011 - incisione e olio su tavola - cm. 140 x 100 Suono morbido - 2011 - acrilico, olio e incisione su tavola - cm 30 x 30 - 2011 academy segnala Gilbert & George - 2011 acrilico, olio e incisione su tavola cm. 70 x 50 impaginato Academy n.14.indd 48 22/12/12 11:58 www.editricelimmagine.it - [email protected] ARTECULTURATURISMO Z.I. via Antichi Pastifici B/12 - 70056 Molfetta (Ba) - T + 39 080 3381123 - F + 39 080 3381251 VALLE D’AOSTA Spelgatti Colori, Aosta. PIEMONTE Edilcoloranti, Novara · Lombardi Marco, Torino · Colorificio Moderno, Torino · Colorificio Monviso, Cuneo · Arte e colore, Biella · Villa Mario, Borgosesia (VC) · Morandi Giuseppe, Omegna (VB) · Colorificio Verbanese, Verbania Intra (VB) · Colorificio Fontana, Ivrea (TO) · Casa dei colori, Pinerolo (TO) · Casa della cornice, Brandizzo (TO) · Colorificio Mp, Chivasso (TO) · Mazzoni, Cirié (TO) · Colore Amico, Villardora (TO) · Il centro di Marco Botta, Candelo (BI), · Athena , Cirié (TO). UNCONVEN TIONAL 30 COLORI NON CONVENZIONALI LIGURIA Creative Center, La Spezia · Muller Francesco, Genova · Albe Ligure, Genova Pegli · Gianfranco & Marta, Sarzana (SP) · Podestà Elio, Genova · Bottega d’arte Sabbadini, Chiavari (GE) · Vigo Luigi, Sanremo (IM) · Petrucci Angelo, Crevari-Genova. LOMBARDIA Centro Belle Arti, Muggiò (MB) · Pellegrini, Milano · Nuovo Centro Giardinaggio Pilastro, Desio (MB) · Tucci Service Colorificio, Milano · Il Colorificio, Abbiategrasso (MI) · L’Eliografica, Milano · Colorificio Beato Angelico, Milano · Biemme Colori, Cormano (MI) · Urka Import, Busnago (MI) · Fillegno Spa, Concorezzo (MI) · Marelli Maurizio, Milano · Pentacolor, Giussano (MB) · Zinna Giovanni, Lissone (MB) · Colorificio Adige, Milano · Centro Arte, Vigevano (PV) · Nuova Carcolor, S. Martino Siccomario (PV) · Colorificio Lombardo, Bergamo · La Bottega del Colore, Cantù (CO) · Colorificio Vanzulli, Bollate (MI) · C&M di Mazza, Como · Lo-Mar, Bergamo · Colorificio Luinese, Luino (VA) · A. Rebesco Riproduzione Disegni, Busto Arsizio (VA) · Utility, Vergiate (VA) · Colorificio Centrale, Sondrio · Arte Shop, Boltiere (BG) · De Vanna Giovanni, Legnano (MI) · Fratelli Limonta, Casatenovo (LC) · Ideatre, Robbiate (LC) · De Tomasi Angelo Belle Arti, Varese · Colorificio Bresciano, Brescia · Nadia Color, Iseo (BS) · Colorificio Fossati, Brescia · Ingros Carta Giustacchini, Brescia · Effea, Bagnolo Mella (BS) · Valtrompia, Gardone Val Trompia (BS) · Colorificio Lorenzoli, Darfo Boario Terme (BS) · Mariani Fabio, Lissone (MB) · Colorificio De Carli, Varedo (MI) · Punto Arte, Milano · Manzoni Claudio, Milano · Colorificio Iris, Lecco · Colorificio Esseci, Dalmine (BG) · Tiziana De Molli, Angera (VA) · Checchi colori, Gallarate (VA) · Colorificio Gaetano, Chiari (BS) · Colorificio Freddi, Mantova · Colorificio Moderno, Mantova. HI-LIGHTING COLORI LUMINOSI TRASPARENTI LIMPIDI TRASLUCENTI TRENTINO ALTO ADIGE L’arte di Laura Paissan, Trento. FRIULI VENEZIA GIULIA Nuova Edilcolor, Trieste · Quadricolor, Trieste · Electa Color Store, Fagagna (UD) · Colori Danilo, Pordenone (PN) · Modesto Colori, Codroipo (UD) · Centro Colori, Gorizia · Belle Arti De Marchi, Cervignano Del Friuli (UD). ULTRAVIVID SECONDO PREMIO NAZIONALE MAIMERI PER LA PITTURA www.maimeri.it in collaborazione con Mabef H 599 n FLASH YELLOW Fluorescent Dye fixed on Resin MADE IN ITALY 13 copertina academy - Copia.indd 4 MADE IN ITALY COLORCAMERA, Serena Morina, HD su tela, uno dei 12 vincitori del PRIMO PREMIO NAZIONALE MAIMERI PER LA PITTURA COLORI ACCESI VIVI ULTRACONCENTRATI VENETO Ciolli Roberta, Sanguinetto (VR) · Zeus, Garda (VR) · Maraia, Verona · Colorificio Alla Porta, Verona · Centro Cornici, Verona · Color Line, Thiene (VI) · Colorificio 2M, Marostica (VI) · Bottega dell’arte, Venezia · Emporio del Colore, Montebelluna (TV) · Arte e Colore, Abano Terme (PD) · Angeloni Fine Arts, Mestre (VE) · L’artificio Battagin, Padova · Colorificio Savna, Padova · Artemisia, Treviso · Comedil Color, Creazzo (VI) · Ruberti - Corradini, Sommacampagna, (VR) · La Beppa, Venezia · Arte e Colore, Spinea (VE). EMILIA ROMAGNA Mesticheria Bolognese, Bologna · La Corniceria, Montecchio Emilia (RE) · Pratico, Lugo (RA) · La Politecnica, Ravenna · Marchesi, Parma · Bazzani, Piacenza · Mesticheria Casadei, Forlì (FC) · Centrocolor, Riccione (RN) · Artart, Bologna · Bazar del Pittore, Bologna · Unicolor, Modena · Corbara Marino, Cesena (FC) · L’artistica, Bologna · Stil Color, Felino (PR) · Punto Color, Ponte Taro Fontevivo (PR) · Colorarte, Parma · Il Pennello, Ferrara · Colorline, Bologna · Maccaferri Arreda Art & Co., Pieve di Cento (BO) · Color Decor, Villamarina di Cesena (FC) · Nerio Colori, Lugo (RA) · Colori in luce, Correggio (RE) · Nonsolobianco, Cattolica (RN) · Color Arte Cornici, Modena. TOSCANA Zecchi Colori Belle Arti, Firenze · Bosi Carlo, Firenze · Casa del Pittore, Livorno · Ditta Vagelli, Pontedera (PI) · Barsotti Giuseppe, Carrara (MS) · Colorificio Cappelli, Empoli (FI) · Ugo Ercoli Belle Arti, Firenze · Paoli, Lucca · Belle Arti Fabrizzi, Poggibonsi (SI) · Effegi, Grosseto · Marsino Vernici Belle Arti, Pistoia · Centro Color, Follonica (GR) · Cartoleria Lory, Firenze · Fratelli Rigacci, Firenze · Mastro Artista, Arezzo · Paperbook, Prato. UMBRIA Montmatre, Perugia · Arti & Colori, Terni · Ferramenta dei Trinci, Foligno (PG) · Arte a Parte, Foligno (PG) · La Nuova Parati, Perugia · Centro Parati, Terni · Bragiola, Perugia · G.T. Color, Fossombrone (PU). MARCHE Cluana Color, Civitanova Marche (MC) · Cartolibreria Botticelli, Porto San Giorgio (AP) · Nuova So.I.Ma., Macerata (MC) · Amicucci Gianpaolo, Urbino (PU) · Angelucci A., Pesaro (PU) · Cartolibreria Buona Stampa, Urbino (PU) · Il Registro, Fabriano (AN) · Colorgroup, Magliano di Tenna (AP) · Libreria Cavour, Macerata · Fratelli Cocchetti, Fermo (AP) · Longhini Vernici, Fano (PU) · Storani Nello, Osimo (AN) · Peverelli Annamaria, Senigallia (AN) · Il matitone, Ascoli Piceno · Irno Rumori & figlio, Ancona · Tuttocolori, San Benedetto del Tronto (AP). LAZIO Sprint, Roma · Gioia Arte, Roma · Vertecchi, Roma · Ditta Funiciello Alfredo, Roma · Centro Carta Pizzino, Roma · Fratelli Agostinelli, Roma · Fratelli Cavalieri, Nettuno (RM) · Dieffe, Roma · Elioemme, Ciampino (RM) · Agostinelli Arte, Roma · Klimt Art, Viterbo · L’arte del Colore, Roma · Ars Graphica Art-Ware, Frosinone · Office Today, Viterbo · Arte e Creatività, Roma · Malule, Roma · Tipografia Zirizzotti, Frosinone · La Partenope, Roma · Globe di Iannone, Fondi (LT). ABRUZZO Tonino, Teramo · Ottovolante, Teramo · Ferramenta Sisti, Vasto (CH) · Soqquadro, Teramo · Cosmocolor, Montesilvano Sp. (PE) · Eurocolor, Lanciano (CH) · Iacuone, Pescara · Cartoleria dello stadio, San Salvo (CH) · Multicolor, Pescara. MOLISE Tecnocolor, Campobasso. CAMPANIA Giosi, Napoli · La Boheme, Scafati (SA) · Color Mix by MP, Atripalda (AV) · Perrone Alfredo, Battipaglia (SA) · Meddi, S. Maria Capua Vetere (CE) · Cartolibreria Iannelli, Benevento · Figliolia Giovanni, Salerno · Volpe Monica, Pozzuoli (NA) · Visal, Pomigliano D’arco (NA) · Pentacolor, Vallo della Lucania (SA) · Delart, S. Giovanni Vesuviano (NA) · Ferramenta Ferrente Aniello, Torre del Greco (NA) · Termoelettra Giordano, Torre Annunziata (NA) · DG Computers, Benevento · Cucciniello Salvatore, Salerno · Colori & Decori, Lioni (AV). PUGLIA Lotito Gaetano, Foggia · La Libreria, Monopoli (BA) · Cornici Paglia, Foggia · Comar, Lecce · Galli Francesco, Taranto · Galleria Belle Arti, Lecce · D’Ambrosio Vincenzo, Trani (BT) · Artecolor, Foggia · Piccoli Vittorio Color Casa, Manfredonia (FG). CALABRIA Casa del Colore, Vibo Valentia · Fantasie d’arte, Catanzaro · La Sfera, Catanzaro Lido. SICILIA Punto Arte, Noto (SR) · A.G. Cornici, Caltagirone (CT) · Sabatino Prodotti Siderurgici, Enna · Color Shop, Giarre (CT) · Rifatto Rosetta, S. Teresa di Riva (ME) · Arredabrico, Comiso (RG) · Fratelli Baglione, Barcellona (ME) · Cicero, Modica e Ragusa · Morganti Giuseppe, Vittoria (RG) · Leonino Giuseppe, Capo d’Orlando (ME) · Belle Arti, Milazzo (ME) · Art Fantasy, Palermo · Cavallaro Ferramenta, Palermo · Arti e Grafica, Bagheria (PA) · Arte e Hobby, Messina · Artisticamente, Acireale (CT) · Cartolibreria Troisi Loredana, Agrigento · Libreria Pirola Maggioli, Favara (AG) · Tuttocolori, Grammichele (CT) · Masag, Partinico (PA) · Saladino Settimo, Palermo. SARDEGNA Cadoni Sergio, Oristano · Incas Pisano, Cagliari · Cartaria Valdy, Cagliari · Fa.Bri. Color, Sassari · Soru Margherita, Macomer. 21/12/12 16:26