Lavoro minorile_3B_apr16

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Lavoro minorile_3B_apr16
Lavoro minorile
Dati UNICEF e Save the Children
Nel mondo sono circa 168 milioni i bambini intrappolati in impieghi che mettono a
rischio la loro salute mentale e fisica e li condannano a una vita senza svago né
istruzione.
Agli inizi degli anni ’80 la stima dei bambini sfruttati nel lavoro nel mondo era di 5
milioni. Non sappiamo se l’aumento di questa cifra sia dovuto a un effettivo aumento
della diffusione del fenomeno oppure alla maggiore informazione dovuta in quanto il
fenomeno è venuto maggiormente alla luce in tutta la sua grandezza. Forse sono
avvenute entrambe le cose.
Il fenomeno del lavoro minorile è concentrato soprattutto nelle aree più povere del
pianeta, in quanto sottoprodotto della povertà, che contribuisce anche a riprodurre.
Tuttavia, non mancano casi di bambini lavoratori anche nelle aree marginali del Nord del
mondo.
Da sempre l’UNICEF combatte la piaga del lavoro minorile e lo fa sulla base di una
posizione che tiene conto della natura complessa del fenomeno e delle condizioni
concrete in cui versa l’infanzia sfruttata.
In particolare l’UNICEF considera la differenza tra child labour (sfruttamento
economico in condizioni nocive per il benessere psico-fisico del bambino) e children’s
work (una forma di attività economica più leggera e tale da non pregiudicare l’istruzione
e la salute del minore).
Un bambino costretto a lavorare prima del tempo avrà il doppio delle difficoltà dei suoi
coetanei ad accedere a un lavoro dignitoso in età più adulta e correrà molti più rischi di
rimanere ai margini della società, in condizioni di sfruttamento.
Le forme peggiori del lavoro minorile
Nel mondo 74 milioni di bambini sono impiegati in varie forme di lavoro pericoloso,
come il lavoro in miniera, a contatto con
sostanze chimiche e pesticidi agricoli o con
macchinari pericolosi, in condizioni
igieniche poco sane e con scarso
nutrimento.
Alcuni di questi sono vittime delle peggiori
forme di sfruttamento: lavoro forzato
(pesante), prostituzione, violenza fisica,
deperimento fisico, compromissione della salute e mancanza di cure adeguate.
In media questi bambini lavorano dalle 12 alle 14 ore al giorno.
E’ il caso dei bambini impiegati nelle
miniere in Cambogia, nelle piantagioni di
tè nello Zimbabwe o che fabbricano
bracciali di vetro in India.
Tra le peggiori forme di lavoro minorile
rientra anche il lavoro di strada, ovvero
l’impiego di tutti qui bambini che, visibili
nelle metropoli asiatiche, latino-americane
e africane, cercano di sopravvivere raccogliendo rifiuti da riciclare o vendendo cibo e
bevande, oppure facendo i lavavetri o i lustrascarpe.
Nella sola città di Dakar, capitale del Senegal, sono 8.000 i bambini che vivono come
mendicanti.
Purtroppo questo fenomeno è presente anche in Italia, dove, oltre 145.000 ragazzi e
ragazze sotto i 15 anni, sono impegnati in attività lavorative nonostante il lavoro
minorile sia vietato dalla legge 977 del 1967. Di questi ragazzi circa 35.000 sono
decisamente sfruttati.
Altra faccia di questa tragica realtà è lo sfruttamento sessuale dei minori (e il relativo
turismo) che coinvolge un milione di bambini ogni anno.
Se le varie tipologie di lavoro minorile possono essere in qualche modo quantificate, una
più di altre è caratterizzata dall’invisibilità e sfugge a una valutazione statistica: si tratta
del lavoro domestico e familiare in cui sono impiegate soprattutto le bambine.
Che si tratti di lavoro in casa di altri (lavoro domestico) o in casa propria (lavoro
familiare), per le bambine esso diventa spesso una vera e propria forma di schiavitù che
le costringe a vivere nell’incubo della violenza e dell’abuso.
In alcuni paesi dell’Africa c’è addirittura il fenomeno del bambino-soldato: i bambini
vengono arruolati per combattere!
Comprendere il lavoro minorile
Con l’obiettivo di individuare soluzioni efficaci e di lungo periodo alla problematica del
lavoro minorile, l’UNICEF ha avviato l’Understanding Children’s Work (UCW), un
progetto di ricerca che ha consentito di “fotografare” con precisione la realtà del lavoro
minorile in diversi Paesi in via di sviluppo, orientando così le strategie finalizzate ad
affrontare il problema.
L’UNICEF riconosce che i principali interlocutori utili alla comprensione del fenomeno
del lavoro minorile sono gli stessi bambini
lavoratori.
Dare voce ai bambini vittime del lavoro
consente alle organizzazioni internazionali di
capire meglio il fenomeno e migliorare gli
interventi a favore dei bambini.
In effetti a partire dal 2002 si è verificata,
soprattutto in America Latina e Caraibi, una
diminuzione del 26% del numero di minori impiegati in lavori pericolosi.
Progressi più lenti si registrano invece in Africa Subsahariana (dove sono ancora 69
milioni i bambini impiegati in varie forme di child labour) e in Asia, dove i bambini
lavoratori sono 44 milioni.
Affrontare il problema del lavoro minorile
è di fondamentale importanza anche ai fini
del raggiungimento degli Obiettivi di
Sviluppo del Millennio 1 (eliminazione
della povertà estrema) e 2 (raggiungimento
dell’istruzione primaria universale).
OSM 1: Eliminare la povertà estrema e la fame
A livello globale, la prevalenza di bambini sottopeso di meno di
cinque anni è diminuita dal 31% al 26% tra il 1990 e il 2008.
OSM 2: Raggiungere l’istruzione primaria universale
Nel 2008 più di 100 milioni di bambini in età di scuola primaria non
frequentavano la scuola, e il 52% di loro era costituito da bambine.
Dei 100 milioni di bambini in età di scuola primaria che, secondo le
stime, non frequentano la scuola, circa 70 milioni vivono nei 33 paesi
colpiti da conflitti armati.
L’UNICEF ha istituito il 12 giugno la giornata mondiale contro lo sfruttamento
minorile nel mondo.
La situazione in Italia
In Italia ci sono 340 mila bambini e adolescenti costretti a lavorare.
Minori di sedici anni che hanno dovuto abbandonare gli studi, in quasi 30 mila casi sono
impiegati in attività pericolose per la loro salute e sicurezza.
Nel 2006 la legge italiana ha fissato a 16
anni l’età minima di accesso al lavoro.
Eppure secondo le ricerche nel nostro
Paese il 7 per cento dei minori nella fascia
di età tra i 7 e i 15 anni è coinvolto nel
fenomeno. Più in generale il picco di lavoro
minorile si registra tra gli adolescenti, in
quell’età di passaggio dalla scuola media alla
superiore, che vede in Italia uno dei tassi di
dispersione scolastica più elevati d’Europa.
Per un bambino su dieci la situazione è particolarmente grave. Circa 28 mila adolescenti
sono coinvolti nelle forme più drammatiche di lavoro minorile. Non è scorretto parlare
di sfruttamento, con orari notturni o con un impegno continuativo, con il rischio reale di
compromettere gli studi, di non avere neanche uno spazio minimo per il gioco e il
divertimento o per il necessario riposo.
Spesso è difficile vederli. Nel 45 per cento dei casi i minori sono impegnati in attività di
famiglia. Per gli altri, il settore di lavoro più comune è quello della ristorazione (43 per
cento), ma non mancano impieghi nell’artigianato (20 per cento) e in campagna (20 per
cento).
Dati preoccupanti, che a causa della crisi economica rischiano persino di peggiorare.
(immagine relativa ai
dati del 2013)