shaer saed - Funzione Pubblica Cgil

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SHAER SAED
Shaer Saed *
LAVORATORI E SINDACATO
IN PALESTINA
Conversazione a cura di Enzo Bernardo
e Rosa Pavanelli
Quale Stato
Qual è la oggi situazione dei lavoratori palestinesi nei Territori Occupati e in Israele?
Shaer Saed
In Palestina la situazione per le lavoratrici e i lavoratori è molto
difficile, molto dura. Come sapete abbiamo dal 2000 un nuovo
Codice del lavoro 1 che stabilisce relazioni tripartite e rafforza la
contrattazione collettiva. Ma, d’altra parte, i datori di lavoro
sono uguali in ogni parte del mondo, e sono sempre tali anche
quando sono palestinesi. La verità è che noi soffriamo il fatto
che il Codice del lavoro non è pienamente applicato, proprio a
causa della pressione che gli imprenditori esercitano sull’Autorità palestinese. Un esempio: il Codice del lavoro prevede l’esistenza di tribunali del lavoro. Ad oggi le Corti non sono state
*
Shaer Saed è il segretario generale della PGFTU (Palestine General
Federation of Trade Unions), che è il maggiore sindacato confederale palestinese nato nel 1965, che ora conta circa 300.000 iscritti. È organizzato in 13
federazioni di categoria ed è rappresentato per la maggior parte in
Cisgiordania. A Gaza il PGFTU è stato costretto a chiudere le sue sedi nel 2007
durante il conflitto tra Hamas e Fatah.
Shaer è stato incontrato nella sede nazionale di Nablus, in Cisgiordania,
durante un incontro con i sindacati mediterranei dei servizi pubblici.
Enzo Bernardo è dell’Ufficio internazionale della F P C GIL ; Rosa
Pavanelli è segretaria nazionale della FP CGIL.
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Fino a questa data vigeva la legge giordana in Cisgiordania e quella egiziana a Gaza (NdR).
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ancora formate. Forse i primi cinque giudici saranno nominati
nelle prossime settimane. Ma questo ritardo è molto grave perché pregiudica l’applicazione dello stesso Codice del lavoro.
Mancano, a dire la verità, anche alcune norme su settori decisivi, come la salute e la sicurezza sui posti di lavoro, la formazione.
E poi si aggiungono anche problemi nuovi…
Quali?
Abbiamo più di qualche problema con le organizzazioni internazionali che lavorano in Palestina. Un caso molto importante e
molto emblematico è quello dell’UNRWA 2, che ha deciso di
licenziare 312 lavoratrici e lavoratori che operavano nei progetti dei servizi medici e sociali di emergenza nei campi dei rifugiati. A questa organizzazione chiediamo di revocare questa decisione. Abbiamo il sostegno della Confederazione sindacale
internazionale (CSI) e dei sindacati mondiali come l’Internazionale dei servizi pubblici (ISP). Questi organismi dell’ONU impediscono l’iscrizione al sindacato a coloro che lavorano con loro.
Diritto che è invece garantito dalle nostre leggi. Alla fine quest’assenza di diritto all’iscrizione al sindacato, che è poi sintomo
della volontà di sfruttare chi lavora, impedisce al sindacato di
intervenire nelle vertenze legali che questi lavoratori hanno con
le organizzazioni internazionali.
L’UNRWA licenzia 312 lavoratori e lavoratrici su 1082 dipendenti, proprio quelli che si vogliono iscrivere al sindacato. Si usa
come pretesto la crisi finanziaria dell’agenzia dell’ONU. Si dice
che il motivo è la riorganizzazione della struttura del programma
di emergenza in Cisgiordania. Ma non esiste nessuna ragione
finanziaria. Anzi, l’UNRWA dice: – Se non vi rivolgete al sindacato o ai tribunali, vi aiuteremo presso altre agenzie. Se non
accettate le nostre condizioni sarete cacciati…
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UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees
in the Near East) è agenzia dell’ONU alle dipendenze dirette del Segretario
generale e riferisce all’Assemblea generale (NdR).
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Queste pressioni non riguardano solo l’UNRWA. Nella sanità
la stessa cosa capita ai lavoratori che dipendono da una multinazionale della sanità a Betlemme, dove lo sciopero è giudicato
illegale.
Qual è la situazione dei lavoratori palestinesi in Israele?
In Israele ci sono 50.000 lavoratori palestinesi legali, ma circa
27.000 sono ‘illegali’, o meglio, sono privi di documenti legali.
Chi difende i diritti di questi lavoratori? In Israele e in Palestina
i datori di lavoro sono contrari, anzi respingono l’idea di dare i
documenti ai lavoratori ‘illegali’. Dovrebbero applicare il salario minimo, ad esempio, e non hanno certo voglia di farlo.
Un altro grande problema riguarda quei lavoratori palestinesi
che operano nelle aree industriali di confine e nelle 30.000 colonie, che per il diritto internazionale – lo ricordo – sono illegittime.
Come hanno segnalato molte ONG israeliane, per questi lavoratori non esistono diritti. Anzi, quelli che esercitano intermediazione
del lavoro, palestinesi anch’essi, nelle loro lettere di assunzione
fanno firmare un documento in cui per lavorare nelle colonie i
lavoratori rinunciano ai propri diritti. In sostanza, i sindacati non
possono entrare negli insediamenti, colonie che sono sul nostro
territorio e in cui noi non possiamo entrare.
La situazione di questi lavoratori è molto grave.
Guadagnano 300-320 sheqel 3 al giorno (tra i 56 e i 60 dollari al
giorno). Ma solo 60 sheqel (12 euro circa) vanno ai lavoratori,
il resto lo intascano gli intermediari e le forze di sicurezza. Del
resto, questi lavoratori incontrano enormi difficoltà per andare
nei loro posti di lavoro, per muoversi dai Territori alle colonie.
Devono partire all’una di notte per poter sperare di superare i
check point alle sei e arrivare in orario nei loro luoghi di lavoro.
E questo, ogni giorno.
Ora tutti ci spiegano, anche i sindacati israeliani, che dietro
tutto questo c’è l’imperativo della sicurezza. C’è l’ossessione della
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Uno shekel israeliano = 0.271356 dollari USA (NdR).
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sicurezza dietro il muro della vergogna 4, il muro della discriminazione, un muro che è peggiore di quello di Berlino, che divide persino le famiglie. C’è la parola sicurezza dietro i 622 check point e barriere, check point che dividono il paese, al punto che per fare una
decina di metri ci si possono mettere anche quattro ore. Noi condanniamo ogni violenza, ma come ha affermato di recente anche
l’Organizzazione internazionale del lavoro, c’è una sproporzione tra
le minacce e la punizione collettiva inflitta a un intero popolo.
Ma, chiedo, di quale sicurezza si parla se poi Israele ha nel suo
territorio 30.000 lavoratori illegali? Si tratta in realtà di una
punizione collettiva, inflitta a un intero popolo, come dimostra
la situazione di Gaza, dove in una striscia di qualche centinaio
di chilometri sono chiusi, dal 15 giugno 2007, in una prigione a
cielo aperto, centinaia di migliaia di persone.
La situazione del lavoro in Palestina è molto grave. In
Cisgiordania il tasso di disoccupazione è del 20%. A Gaza è del
44,8%, con un aumento del 16% rispetto allo scorso anno. E dal
2007, a Gaza, 45.000 lavoratori hanno perso il lavoro. Abbiamo
oltre 350.000 disoccupati su una popolazione che non raggiunge i
tre milioni. E quando parliamo di occupazione il più delle volte si
tratta di un lavoro precario e aleatorio. Noi chiediamo all’Autorità palestinese più investimenti e più lavoro. L’Autorità palestinese
resta il maggiore datore di lavoro nei Territori (circa 140.000 persone), ma non sempre garantisce lo stipendio ai suoi impiegati.
Cosa pensate della possibilità di cooperazione con Histadrut 5 e con il
sindacato israeliano dopo l’accordo siglato nel 2008?
Cosa chiediamo noi a Histadrut? Innanzi tutto abbiamo un
accordo del 1995 con Histadrut per la difesa, in Israele, dei nostri
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La barriera di separazione corre per 725 chilometri ed è costruita, per
l’86%, in territorio palestinese. Alla fine, se la situazione restasse immutata, si
calcola che la Palestina perderebbe oltre il 9,8% del suo territorio (in cui si trovano molte zone fertili e risorse d’acqua) (NdT).
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La Histadrut (Hahistadrout haklalit shel ha’ovdim be’Eretz Yisra’el,
Associazione generale dei lavoratori della Terra d’Israele) è la principale orga-
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lavoratori. Un accordo rimasto inapplicato fino al luglio del
2008 6 che ora, grazie anche alla CSI, è diventato operativo.
Ma questo accordo va ancora sviluppato. E poi non si applica né ai lavoratori delle colonie né a quelli ‘illegali’. So che
Histadrut afferma che
esiste una decisione della Corte suprema
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israeliana del 2007 per l’applicazione della legge israeliana nelle
colonie; ma certo questa sentenza non è valida per i lavoratori
palestinesi.
Recentemente una colonia di oltre 35.000 abitanti ha sostenuto il diritto di applicare norme contrattuali più basse di quelle israeliane. Nei riguardi dei i lavoratori ‘illegali’ è molto facile
per i datori di lavoro ignorare ogni diritto. Questi lavoratori
senza documenti lavorano nei settori delle costruzioni, nei servizi di pulizia, nei ristoranti. Noi sappiamo che almeno 5.000 di
loro lavorano, magari stagionalmente, tre mesi o meno, e che
dormono sotto i ponti o nei cimiteri di Tel Aviv. Sapete che
fanno i datori di lavoro quando i lavoratori hanno finito il loro
lavoro? Chiamano la polizia, o l’esercito, gli dicono dove vivono e li fanno arrestare o espellere. Questo succede ogni giorno,
per centinaia di persone ogni mese.
Ma torniamo a quello che noi chiediamo a Histadrut.
Vogliamo risposte chiare, diteci che cosa pensate su questi
quattro punti: primo, la posizione del sindacato israeliano
sull’occupazione dei Territori; secondo, la loro posizione sul
muro della vergogna. Se loro vogliono costruirsi un muro, lo
facciamo, ma sulla loro terra, non sulla nostra, non distrugganizzazione sindacale dei lavoratori israeliani. È affiliata alla Confederazione
sindacale internazionale (NdR).
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L’accordo del luglio 2008 prevede il rimborso da parte di Histadrut al
PGFTU delle quote sindacali pagate dai lavoratori palestinesi dal 1993, l’assistenza legale del sindacato israeliano ai lavoratori palestinesi in Israele e la formazione nel campo della salute e sicurezza (NdT).
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Nel gennaio 2007 l’Alta Corte israeliana, sconfessando alcune decisioni prese in precedenza, ha stabilito che per i palestinesi che lavorano negli
insediamenti non ci possono essere diverse forme di contratti di lavoro derivanti dalla provenienza territoriale. La decisione, sostenuta dalla ONG israeliana Kav Laoved e da Histadrut aveva incontrato l’opposizione
dell’Avvocatura dello Stato (NdT).
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no le viti o gli alberi d’olivo, non rubino l’acqua; terzo, la
posizione sulle colonie e sugli insediamenti; quarto, la posizione sulla soluzione due popoli due stati
Histadrut si è dichiarata d’accordo sulla soluzione due popoli due
Stati…
Certo, oggi persino Netanyahu è d’accordo sulla soluzione due
popoli, due Stati. Bene, ma in che modo ci arriviamo? Histadrut
ci dia risposte chiare su questi punti. Dopo la risoluzione su Gaza
del gennaio 2009, insistiamo per avere risposte chiare.
Soprattutto nel Regno Unito, ma non solo, sono emerse molte proposte di boicottaggio sindacale verso Israele. Dal boicottaggio dei prodotti a quello degli scambi tra sindacato o tra accademici. Che pensate del boicottaggio?
Sulla questione del boicottaggio la nostra posizione è molto
chiara. Non chiediamo a nessuna organizzazione nazionale o
internazionale di boicottare Israele. Noi ricordiamo che
Israele viola tutte le leggi internazionali, sul muro, sulle colonie, come ha riconosciuto recentemente Obama. E diciamo
che la comunità internazionale deve reagire per fermare la
politica che abbiamo visto in opera a Gaza con l’attacco
israeliano 8. Si dice: congeliamo gli insediamenti. È la posizione più debole che si può prendere, ma prendiamola e facciamola rispettare! Ripeto, noi non chiediamo a nessuno di
boicottare Israele. Ma non siamo contrari all’idea di boicottare i prodotti che arrivano dalle colonie e dagli insediamenti, che restano illegittimi alla luce del diritto internazionale,
oppure di boicottare la vendita di armi, come ha fatto recentemente il governo britannico.
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L’invasione israeliana di Gaza ha avuto luogo tra il 27 dicembre 2008 e il
18 gennaio 2009 (NdR).
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Sappiamo che la situazione a Gaza è ancora molto difficile per voi.
Quali sono i vostri rapporti con Hamas?
I nostri rapporti con Hamas a Gaza non sono migliorati. Quanto
è successo a Gaza è stato, e resta, inaccettabile. Noi condanniamo
quello che ha fatto Hamas a Gaza. Hamas arresta i sindacalisti e
ne chiude gli uffici. Per aprire un nostro ufficio abbiamo usato il
nome dell’Internazionale dei servizi, che ci ha permesso di restare
sul territorio. Ma ad oggi l’assenza del PGFTU a Gaza impedisce a
200.000 lavoratori di ricevere l’assicurazione sanitaria.
Ci sono influenze di altri paesi su Hamas e questo non ci
aiuta a trovare una soluzione. Hamas deve innanzitutto ritirarsi
e questo imperativo fa capire che non c’è all’orizzonte un accordo possibile a breve termine. Hamas in realtà vuole distruggere
il sindacato.
Ma diciamoci altrettanto chiaramente che l’attacco a Gaza
da parte di Israele ha aiutato molto Hamas a rafforzarsi attraverso la critica di tutto quello che ha fatto l’Autorità palestinese.
Noi siamo contrari a qualsiasi forma di violenza. Ma il governo
israeliano parla con le sua azioni di guerra e non con azioni di
pace. Il ministro degli Esteri, Lieberman, sostiene l’espulsione
dei palestinesi verso i paesi arabi.
Questo estremismo rende impossibile la pace.
(Luglio 2009).
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