LA VELA GIOVANE

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LA VELA GIOVANE
LA VELA GIOVANE
C
’erano i “Flying Junior” a quei tempi, …e pochi anche quelli! Infatti,
fino a quando la Federazione Italiana Vela non decise di fare
l’operazione epocale, che sarà ricordata come quella delle “penne
arancione”, le scuole di vela italiane non avevano di certo scialato con i mezzi
a disposizione, pochi e malandati.
Ma andiamo con ordine, perché non è affatto scontato che tutti i lettori
sappiano cosa fu e cosa rappresentò l’iniziativa federale che, in un certo
modo, indirizzò e codificò il modo di promuovere ed insegnare la vela alle
Gianfranco Busatti
nuove generazioni.
Stiamo parlando della fine degli anni ’60, quelli del boom, delle
canzoni all’italiana, dello sbarco sulla luna. L’Italia cresceva e con essa la
voglia di tempo libero, di sport, di mare. La vela, sino ad allora veramente
privilegio di pochi, diventava pian piano uno dei tanti “oggetti del
desiderio” per le giovani generazioni. Ecco perché, a mio sommesso
avviso, l’operazione dei F.J. arancione, detti così per il colore dello scafo
e della penna della randa, fu epocale. Essa fu una risposta, tempestiva ed
indovinata, alle istanze di quei giovani dirigenti di Circolo che si
affannavano, spesso invano, per mettere in mare un po’ di ragazzi, ma
senza poter loro offrire una prospettiva, un percorso di crescita.
Naturalmente si sta parlando in special modo dei tanti circoli di provincia,
nati nell’immediato dopoguerra, senza tradizioni e senza una goccia di
sangue blu; dove tutto era da inventare, prima, e da realizzare poi.
Fu dura, ma entusiasmante. Ed ancora di più lo fu quando, qualche anno dopo, la comparsa
dell’Optimist sconvolse letteralmente il nostro pur sempre piccolo mondo, spostando
vertiginosamente all’indietro le lancette del tempo per tutte le generazioni di velisti a venire. La
vela diventava “Baby” grazie a questo brutto anatroccolo che si sarebbe conquistato, in pochi anni,
un posto di primissimo piano nella formazione dei più celebrati campioni. Chi avesse voglia di
frugare, “navigando”, negli archivi dell’associazione internazionale di questa classe, si stupirebbe
di scoprire, nell’ Albo d’Oro ormai lunghissimo, i nomi dei divi più noti del nostro Sport.
Pensate! Alla “Coppa Primavela”, nella sua prima edizione del 1985, parteciparono “ben” 44
giovanissimi equipaggi; allora un successo strepitoso, oggi un numero che deluderebbe qualunque
organizzatore di provincia.
La diffusione di questa barca, di facile trasporto, dal costo relativamente accessibile, di
grande sicurezza in mare e durata nel tempo, ha permesso la creazione di un segmento nuovo nel
panorama velico, inserendo nel gioco i bambini e, di conseguenza, le famiglie.
Il mondo circostante, quello degli istruttori, dei tecnici a tutti i livelli e, perché no, quello
degli imprenditori, ha ricevuto da questo fenomeno una scossa importante e si è sviluppato
rapidamente per rispondere alle nuove esigenze ed alle inaspettate opportunità.
Ma quanto era conosciuta, e quanto lo è oggi, la giovane vela italiana? Si sa, gli organi
d’informazione poca attenzione dedicano agli sport meno popolari, figuriamoci alle loro attività
giovanili. Quelli specializzati se ne ricordano soltanto se arrivano – e per fortuna succede spesso –
risultati brillanti, clamorosi, di rilevanza internazionale. Del resto è sempre stato così; è,
purtroppo, un problema di….fatturato.
Ciò malgrado, sarà per il passaparola, sarà per il potere di attrazione di questo sport così
differente, così affascinante, negli ultimi tre decenni il numero dei giovani praticanti si è almeno
decuplicato. E di questo va dato merito anche alla passione ed all’impegno di quella generazione
di trentenni e quarantenni – oggi nostalgici… vecchietti – che, alla dirigenza dei Circoli nautici,
spesero con passione tempo e risorse, talvolta con spirito pionieristico, per realizzare, almeno
attraverso i nuovi giovani, il loro sogno. Già, un sogno. Per tanti di loro, la cui giovinezza si era
dovuta confrontare, se non direttamente con la guerra, sicuramente con il duro periodo della
rinascita, la Vela era rimasta nel famoso “cassetto”, ché altre, e non poche, erano le priorità.
Poi, come si è detto, venne il ’60, il miracolo economico e tutto il resto. Il “consumismo”,
al contrario dei giornali sportivi, mise subito il suo occhio attento sulla vela, e… tutto cambiò.
LA VELA GIOVANE
Addio panini inzuppati di acqua salata e modeste aranciate, addio goffe cerate giallocanarino (per chi le aveva…), addio lunghe traversate a vela per arrivare sul campo di regata, far
la gara e tornare.
Il “Circo Azzurro”, un po’ invidioso, diciamolo, di quello “Bianco”, che per ovvii motivi era
più grande e prospero, si dette da fare e si adeguò alla svelta.
Cibi bilanciati, barrette energetiche ed integratori andarono a riempire gli ormai
indispensabili contenitori termici. Le patrie autostrade furono ben presto invase da “pulmini”
multicolori con a rimorchio carrelli stracarichi di barche e gommoni. I piazzali dei Circoli si
popolarono, ad ogni week-end, di decine e decine di vele bianche, di ragazzini talvolta vestiti come
astronauti e rigorosamente griffati, di aitanti e preparatissimi allenatori-chioccia nonché di…
motivatissimi genitori.
Le manifestazioni della Vela Giovane si moltiplicarono esponenzialmente e spesso assunsero
dimensioni impensabili, di complessa e difficile gestione.
Non pensi il lettore che la benevola ironia di queste ultime righe implichi un giudizio
negativo su di un fenomeno che ormai è sotto gli occhi di tutti. Non è così, anzi, attraverso alcuni
aspetti discutibili, e per certi versi “fisiologici”, se ne intuisce maggiormente la grande portata.
Anche la Federazione Italiana Vela, naturalmente, fu pronta a fare la sua parte. Disegnò i
percorsi di crescita, preparò i programmi di iniziazione e di perfezionamento, scelse le
imbarcazioni più idonee, organizzò i suoi centri di preparazione. Chi non ricorda i mitici corsi
“Olympia”? Chi ha dimenticato la “Lettera P”, la “Lettera L”, pubblicazioni ancora oggi valide? Chi
non ha conosciuto, almeno una volta il CPO di Livorno ? Chi non conserva, nella propria libreria,
una vecchia copia del “Manuale dell’Allievo”?
Col passare degli anni la Federazione ha compreso anche la necessità e l’importanza di
diversificare in qualche modo mezzi e metodi di preparazione, dotandosi di imbarcazioni che
consentissero la crescita delle nuove leve anche in altre specialità ed in ruoli diversi. Ed ecco
allora affacciarsi nel panorama giovanile ed affiancarsi al geniale Optimist nuove barche:
“L’Equipe”, un doppio di origine francese, il Laser con vela ridotta, la Tavola a Vela ed i Multiscafo
giovanili ed infine la Deriva Nazionale 555FIV.
Quest’ultima, frutto di un concorso nazionale, rappresenta
una vera svolta nel panorama dell’insegnamento velico. Essa nasce
da un concetto elementare, ma sino a qualche anno fa,
completamente trascurato: il bisogno, il desiderio ed il piacere,
specialmente sentito dai ragazzi, di stare insieme, di imparare
insieme e gareggiare insieme. Il piacere di poter dare, nel ruolo
più congeniale, il proprio contributo a bordo, in un gioco di
squadra coinvolgente e spesso entusiasmante. Questi motivi
spiegano perché questa barca originale, che si avvia verso i
duecento esemplari prodotti, piace subito ed istintivamente ai
ragazzi, malgrado qualche dotto “distinguo”.
Il resto è storia dei nostri tempi. Chi vi scrive l’ha vissuta
tutta questa storia, giorno per giorno, ed in gran parte da un
La deriva Federale 555FIV
osservatorio privilegiato. E si considera fortunato per questo.
Oggi la vela giovanile italiana dispone di una struttura organizzativa complessa e
consolidata. I giovani che vi si avvicinano trovano, nelle scuole federali, metodi di apprendimento
particolarmente studiati ed i percorsi di avviamento all’agonismo più adatti alle loro attitudini e
caratteristiche.
Essi possono, se vogliono, ricevere indicazioni ed indirizzi tecnici sulle Classi che,
potenzialmente, potrebbero condurli verso il traguardo della sfida olimpica. Essi vengono seguiti,
non solo dalle Società di appartenenza, sulle quali grava, insieme alle famiglie, il maggior onere
della loro formazione, ma anche da una struttura tecnica federale, dedicata, articolata e
specializzata. I più bravi e meritevoli vengono supportati ed agevolati nella preparazione tecnica,
nell’acquisto delle imbarcazioni, nella partecipazione all’attività agonistica nazionale ed
internazionale.
LA VELA GIOVANE
Alle Classi di apprendimento e perfezionamento, che abbiamo visto, subentrano, col
crescere dell’età e delle capacità, quelle definite di “Interesse Federale”. Come per esempio
l’ormai mitico “420”, il “Laser” nelle sue versioni giovanili, l”Europa”, il nuovissimo acrobatico
“29er”, il rinnovato multiscafo “HC16”, la Tavola Youth”.
Tutte queste barche, scelte dalla Federazione Italiana Vela fra le Classi a maggior diffusione
mondiale, sono in pratica propedeutiche alle Classi Olimpiche.
Una parte del bilancio federale è riservata alle attività giovanili, patrimonio e base
indispensabile per qualsiasi ambizione o progetto in chiave olimpica. Un’area dirigenziale, logistica
e tecnica è dedicata esclusivamente alla gestione di questo complesso mondo, popolato ormai da
più di trentamila giovani e giovanissimi.
In cambio i nostri ragazzi ci regalano, anno dopo anno, gratificazioni e soddisfazioni
indimenticabili, titoli mondiali ed europei, imprese individuali e di squadra. La vittoria del
Campionato Mondiale Giovanile per Nazioni nel 2006, il “Volvo Youth World Championship” dell’
ISAF, nelle acque inglesi, proprio dove si disputeranno le Olimpiadi del 2012, rappresenta un
traguardo storico, una consacrazione definitiva.
Non si contano gli apprezzamenti internazionali verso la scuola giovanile italiana, presa da
molti a modello. I nostri tecnici sono sempre più spesso richiesti all’estero per seminari e corsi di
formazione. Certamente merito della loro preparazione, ma anche riprova della validità di una
metodologia, di una struttura e di un’organizzazione efficiente. Molto si è fatto, molto resta da
fare.
Occorre innanzitutto avere adeguata coscienza di quanto sia vitale, per uno sport olimpico
qual è il nostro, poter disporre di un bacino d’utenza quanto più ricco e consistente possibile. E’
del tutto evidente che quanto più è vasto il “prato verde” tanto più facile sarà veder spuntare il
campione, il fuoriclasse.
E sarà altrettanto vitale curare e seguire l’evoluzione tecnica dei giovani talenti da parte di
chi, dopo averli scoperti e presi in carico, dovrà condurli al traguardo più importante, per loro e
per noi tutti.
Si dibatte molto, per esempio, sul fenomeno dell’abbandono, quel fenomeno che si registra
nella fase di passaggio dall’area giovanile a quella olimpica. Un momento così difficile e
problematico da causare effettivamente perdite ragguardevoli, sui numeri e sulla qualità.
Una serie di fattori, tutti importanti, sui quali vengono formulate analisi e diagnosi, di certo
tutte rispettabili, è all’origine, ogni anno, dell’allontanamento dalla vela agonistica – ma forse
sarebbe più giusto dire dalla vela olimpica - di un notevole numero di giovani, numero ritenuto da
molti eccessivo. È eccessivo? È fisiologico? In tanti hanno espresso idee, ipotesi, auspicato rimedi.
Non è possibile in questa sede soffermarci oltre. Diremo che il problema, complesso, esiste,
che non è di facile soluzione, ma che è necessario affrontarlo se vogliamo onorare pienamente il
nostro mandato e legittimare le nostre ambizioni.
Forse, se le risorse lo consentissero, andrebbero prese in maggior considerazione quelle
Società, e sono tante, che non inseguono miraggi di gloria, ma che hanno scelto la via del
reclutamento e della preparazione di giovani promesse, senza alcun fine economico, e che,
impotenti, le vedono sovente migrare verso casacche più prestigiose. Esse recitano nella Vela
italiana un ruolo fondamentale. Non vanno dimenticate, vanno incoraggiate e sostenute.
Vorrei terminare, dedicando a loro un pensiero finale, di fiducia ed ottimismo, un modesto
messaggio al nostro piccolo grande popolo.
Dal seme gettato, dal germoglio coltivato, si svilupperà una pianta che non morirà mai,
perché la passione per la vela è un sentimento irreversibile, che, malgrado la durezza, i sacrifici, le
difficoltà, genererà sempre un altro sentimento, raro e prezioso: la gioia di viverla e di
trasmetterla agli altri.
Dunque nulla andrà perduto del vostro e del nostro lavoro. È una ragione sufficiente per
continuare ad impegnarsi? Io credo di sì.
Gianfranco Busatti
Vice Presidente Vicario F.I.V.