Repressione

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Repressione
Repressione
J i tachet só ch’j i staset ot dis dé, ch’i si magneva al moschi...
Dopo gli eccidi d’aprile, maggio e giugno, sono mesi di relativa calma. Ai
tedeschi, impegnati ad arginare l’avanzata degli alleati e contemporaneamente,
ad organizzare la ritirata e la nuova linea di difesa a nord, manca
materialmente il tempo di occuparsi della rivolta che sta scoppiando nel
retrofronte.
Un bel momento, questo grano in grande parte fu salvato [anche se eravamo] in mezzo ai tedeschi...
avvicinandosi d’un mese il fronte [i tedeschi] avevano altre cose da fare... avevano altre cose da
fare. (Giulio Garoia - 1998)
[Forlì] 11 [giugno] = Colonne di autocarri transitano dirette al fronte con carico di mitragliatrici
contraeree; altre risalgono il Nord in un flusso e riflusso incessante; queste ultime costeggiano
l’Adriatico, le altre, secondo i cartelli indicatori, s’inoltrano da Cesena per la valle del Savio.
[Forlì] 14 [giugno] = I tedeschi di passaggio ora sostano e mandano all’aria le illusioni dei giorni
scorsi; chiedono ospitalità ai contadini, requisiscono ville ad uso dei comandi.
[Forlì] 18 [giugno] = I soldati tedeschi continua[no] ad affluire in gran numero, specie nei dintorni
della città; in un primo momento si credevano diretti a Verona, ora sembra che si debbano
concentrare a Rimini (...) sembra che rimarranno per pochi giorni ed altri verranno a sostituirli.
Frattanto requisiscono le biciclette anche presso i meccanici che le riparano, rubano.
[Forlì] 2 [luglio] = Continua l’andirivieni dei militari germanici nelle ville e vi giungono altre
colonne di cavalli: sono condotti tre per tre a mano da un soldato, ad intervalli di cinquanta metri.
La destinazione di chi parte è di continuo mutata; ordini e contrordini si susseguono, forse il segno
di un principio di disorganizzazione. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì).
Anche i fascisti hanno altro cui pensare, capito ormai che la guerra è
inevitabilmente perduta, si occupano soprattutto a salvare se stessi. I carabinieri
fuggono, la GNR si sfalda, nell’esercito si prospetta una nuova grande fuga
generale che solo a stento si riesce a trattenere.
Una cosa importante - andate a vedere sopra S. Sofia, verso il Falterona se vi sono dei carabinieri,
sono di quelli che hanno disertato le caserme per non andare in Germania. Non sarebbe forse
impossibile utilizzarli (Da una lettera di Renzo (Primo Dellacava) al comando dell’8a. brigata
Garibaldi - ISRFC 3/13 1593)
[Forlì ] 3 [luglio] = L’attività partigiana; gappista e sapista ha seminato il terrore fra i carabinieri,
alcuni dei quali cercano contatti con gli esponenti dell’antifascismo ed in particolare si
raccomandano ai capi comunisti, cercando, a loro volta, di favorirli. Il movimento politico
clandestino allarga sempre più la sfera dell’azione, le adesioni aumentano, i soccorsi fanno
raggiungere al bilancio elevate cifre. Si sa di notevoli somme versate da facoltosi e persino banche,
raccolte dal Comitato di Liberazione Nazionale e dai singoli partiti che lo compongono, per
mantenere in efficienza l’azione militare dell’8a. Brigata Garibaldi, nonché le formazioni che ne
integrano le attività, con gli atti di sabotaggio o di disturbo alle vie di comunicazione. (Dal diario di
Antonio Mambelli - Forlì)
In luglio però le cose cambiano. I tedeschi, raggiunta la linea Gotica,
cominciano a guardarsi le spalle, in montagna, per fare terra bruciata attorno ai
partigiani che minacciano le immediate retrovie, non esitano, a colpire
pesantemente le popolazioni (Tavolicci 22 luglio 1944, passo del Carnaio 25
luglio 1944, ecc.) e anche in pianura, cominciano a rispondere alla miriade di
azioni partigiane dirette ad impedire la requisizione del grano, con una serie di
feroci rappresaglie, che mettono in pratica le minacce più volte ripetute. A fine
agosto, quando saranno operative anche le nuove brigate nere, la repressione
sarà ancora più feroce.
Il 26 giugno, giorno in cui, all’aeroporto di Forlì, sono fucilati dai tedeschi dieci ostaggi,
catturati in precedenza a Piangipane, può essere considerata la data d’inizio di questa nuova
fase repressiva in pianura.
1 luglio 1944 - Un altro manifesto annunzia a Forlì, la fucilazione di 10 italiani, per atti di
sabotaggio; meglio come rappresaglia per atti di sabotaggio. (Dal diario di don Leo Bagnoli Cesena)
[Forlì] 1 [luglio] = La Questura riceve dal comandante tedesco l’ordine di requisire un forte
quantitativo di biciclette: oggi ne abbiamo visto a mucchi su due autocarri; lo stesso comando
affigge un manifesto con i nomi dei dieci martiri di Piangipane, fucilati il 26 andato nel nostro
Aereoporto. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì).
Motivo dell’eccidio, la ritorsione nei confronti di un’azione partigiana che ha causato il
deragliamento di un treno, carico di materiale bellico e di soldati tedeschi diretti al fronte, tra
Villanova e San Martino di Villafranca.
[Forlì] 25 [giugno] = L’asportazione di un tratto di binario nei pressi del ponte sul Montone,
operata dai partigiani nella notte, provoca il deragliamento di un treno carico di materiale bellico e
di tedeschi diretti al fronte: pare che vi siano morti e feriti. Il ponte è quello in ferro tra Villanova e
San Martino di Villafranca.
[Forlì] 26 [giugno] = A seguito del deragliamento del treno, di cui si è detto prima, i tedeschi hanno
fucilato all’aeroporto dieci ostaggi catturati in Piangipane il 22 corr. - Condotti ivi in prossimità di
una buca prodotta da una bomba aerea, le mani legate alla schiena con filo spinato, sono stati dai
tedeschi finiti a raffiche di mitragliatrice e dentro quella cacciati. Dai registri carcerari si rivela i
loro nomi: Nello Agusani - Domenico Babini - Giulio Benigni - Nello Buzzi - Colombo Lolli Francesco Mezzoli - Emilio Ravaglia - Costante Taroni - Giovanni Tasselli, tutti contadini o
braccianti agricoli residenti in Piangipane. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì).
Nel cesenate, la nuova fase repressiva ha inizio il 10 luglio con la fucilazione di Olimpio
Foschi, a Pievesestina. Olimpio Foschi, nato il 13 agosto 1923, era stato ufficiale dell’esercito
italiano e dopo l’8 settembre, assieme ai suoi soldati, aveva combattuto, a Roma, contro i
tedeschi. Giunto a casa entrò a far parte della 29a. Gap. Fermato dai tedeschi mentre
circolava, di notte, armato di bombe a mano, venne catturato e tenuto prigioniero per una
settimana circa, durante la quale si cercò di farlo parlare con tutti i mezzi. I Gap della zona, a
conoscenza del fatto, cercarono di liberarlo senza riuscirvi. E dubbio, però, se il tentativo sia
stato effettivamente portato a termine, come è riportato nel bollettino della 29a. gap, oppure
sia stato solamente un progetto, poi accantonato.
1 luglio 1944 - GAP attacca una guarnigione tedesca tentando la liberazione di un Gapista arrestato.
Nel tentativo un soldato tedesco veniva ucciso. Per rappresaglia il Gapista che si era tentato di
liberare viene fucilato dopo essere stato sottoposto a strazianti torture. (Bollettino n. 4 della 29a.
brigata – ISRFC ANPI Forlì)
10 luglio 1944 - A Pieve Sestina è stato passato per le armi dai tedeschi un giovane che aveva
bombe a mano in tasca e una tessera dell’Azione Cattolica. Di qui una severa perquisizione in casa
il parroco, fra molto spavento. Non hanno trovato nulla di sospetto. (Dal diario di don Leo Bagnoli Cesena)
11 [luglio] - Alcuni giorni fa, tedeschi di quartiere a Pieve Sestina fermarono nottetempo un
giovane di circa 22 anni e, avendogli trovate quattro bombe di marca inglese in tasca, lo fucilavano;
poiché aveva con sé la tessera dell’Azione Cattolica, da cui però era stato eliminato da un anno,
immediatamente facevano una perquisizione in canonica, frugando tutti i buchi. Questa notte, a un
chilometro dalla chiesa, un chiodo partigiano forava la gomma di un automezzo tedesco. E’ bastato
ciò perché i tedeschi invadessero le case adiacenti e percuotessero tutti gli uomini; hanno inoltre
ripetuta la perquisizione in casa di D. Dino De Cesari, senza trovar nulla, ma impaurendo lui e i suoi
familiari. Di ribelli ce ne sono molti a Pieve Sestina e assai esaltati. (Dal diario di don Pietro Burchi
- Gattolino)
Ormai alle strette, i tedeschi si fanno sempre più cattivi e il numero dei morti
comincia ad aumentare, tanto più che fra di loro è abbastanza comune l’idea
che gli italiani non siano altro che traditori e che come tali debbano essere
trattati. Le cose peggioreranno dopo il 20 luglio quando, come conseguenza
dell’attentato alla sua vita, Hitler imporrà alla Wehrmacht il controllo politico
delle SS.
[Forlì] 12 [luglio] = ... vi sono ufficiali che manifestano una cieca fiducia nella vittoria, nelle armi
segrete, nel capo, e non nascondono il loro disprezzo per noi ”traditori”, popolo abbietto e senza
onore. Uno di essi, dopo aver rifiutato un bicchiere di vino offertogli allo scopo di attenuare il rigore
nelle requisizioni, ha affermato che la guerra durerà “fino all’ultimo italiano”; si spiega quindi come
si ritengono in diritto di trattarci nella misura che loro talenta.
[Forlì] 19 [agosto] = In Forlì come in Ravenna pervengono al comando germanico numerose
denuncie anonime a carico di cittadini indicati pericolosi. Codesto sistema che può condurre a morte
per rancore personale, accresce il disprezzo germanico per gli italiani. Inoltre vi sono tra i civili
agenti della “Gestapo”. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Di fronte alla crisi evidente dei nazi-fascisti, i partigiani, convinti che la guerra
sia ormai alla fine, si fanno sempre più arditi. Il numero delle azioni aumenta e
si incominciano a colpire anche i tedeschi. Si innesca così una spirale di violenza
che andrà progressivamente in crescendo con l’avvicinarsi della linea del fronte.
Quando un tedesco è ucciso la repressione diventa feroce.
31 luglio 1944 - Stamani è affisso un manifesto del capo della divisione tedesca della zona Gen.
Hugendorff, il quale annuncia che, stante la poca collaborazione della cittadinanza nella lotta contro
le bande dei partigiani, che nelle province di Forlì e Ravenna compiono atti di sabotaggio contro i
tedeschi e sovente li assassinano, specialmente i militari, sceglierà ostaggi civili un po’ dovunque,
che manderà a morte, qualora si verifichino altre ostilità contro i tedeschi. (Dal diario di don Leo
Bagnoli - Cesena)
Con il crescere della tensione non ci si pensa due volte a sparare sulla gente.
Basta non fermarsi ad un posto di blocco per essere uccisi.
11 [luglio] - Ieri l’altro, a sera, i militi fascisti a S. Egidio, via del mercato, hanno passato per le
armi un uomo [Antonio Fantini] che non aveva ubbidito all’intimazione di fermarsi. (Dal diario di
don Pietro Burchi - Gattolino)
Il 10 luglio us. Verso le ore 20,30, in Cesena, mentre reparti della G.N.R. procedevano al fermo di
oltre 40 persone indiziate di saccheggio della raffineria Montecatini, danneggiata dai
bombardamenti aerei, veniva ucciso il contadino - ANTONIO FANTINI - perché non aveva
obbedito alla intimazione di fermarsi. (Dal Notiziario della Guardia nazionale repubblicana. 8
agosto 1944 - ISRFC GNR 1255)
[Forlì] 13 [luglio] = I tedeschi che operavano un rastrellamento in Savignano, per costringere la
popolazione a cooperare in lavori di difesa, hanno ucciso l’operaio Giuseppe Tosca a colpi di mitra
mentre con un altro, pure ammazzato, fuggiva.
[Forlì] 18 [agosto] = Gli agenti della forza pubblica hanno facoltà di usare le armi contro chi non si
fermi alla prima intimazione. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
I prigionieri vengono torturati e sempre più spesso, diventa realtà la minaccia di
applicare il rapporto di dieci a uno per l’uccisione di ogni soldato tedesco.
[Forlì] 16 [luglio] = A seguito di taglio di fili telefonici in Durazzanino, i tedeschi hanno preso 10
ostaggi, tra i quali il farmacista Boattini di Coccolia. (...) A seguito dell’arresto dell’operatore radio
Antonio Grimaldi, residente in Bari, con nome di Andrea Zanco fra i partigiani, e delle torture
inflittegli durante dieci giorni, i tedeschi hanno operato la cattura dei patriotti faentini Vittorio
Bellenghi e Bruno Neri, quest’ultimo rinomato calciatore della squadra nazionale. L’arresto è
avvenuto sul monte Gamogna, seguito dall’uccisione previa tortura inenarrabile: ai poveri martiri
sono stati strappati gli occhi, il cuore ed i testicoli. In Savigno, uccisi due tedeschi ad opera di
ignoti, è stato operato un rastrellamento e l’impiccagione di venti cittadini. (...) Per l’uccisione di tre
soldati i tedeschi hanno colpito oggi in Crespino sul Lamone con un’orrenda rappresaglia i cittadini.
Operato un rastrellamento hanno obbligato molti operai e contadini a scavarsi la fossa, alcuni
cadaveri sono stati arsi, arse alcune case coloniche, ucciso il parroco e due giovani strappati dalla
chiesa, ove erano rinchiusi i bambini e le donne (...) Altre stragi sono state compiute dai nazifascisti
nelle località vicine; il terrore è diffuso ovunque. Il vecchio parroco di Crespino, senza pietà tolto
dalla chiesa ove le donne e i fanciulli pregavano, si vedeva costretto a scavarsi la fossa ed a scavarla
ad altri tra gli insulti della soldataglia, che lo finiva con una fucilata. (Dal diario di Antonio
Mambelli - Forlì).
Il 14 luglio una raffica di mitra sparata da sconosciuti ferì gravemente un soldato tedesco di
pattuglia nei pressi di Longiano. I tedeschi, subito accorsi, scoprono un gruppo di giovani
nascosti in un campo di granturco, Grilli Attilio tenta la fuga ma i tedeschi gli sparano e
rimane ucciso, altri due si lasciano arrestare: Tarcisio Paolucci e Augusto Serpieri.
[Forlì] 18 [luglio] = Dopo alcune settimane di tortura in prigionia, i tedeschi fucilano del pari nel
cimitero di Roncofreddo, il partigiano ventenne Augusto Serpieri da Gatteo, della 29a. Gap. Per
azione di recupero armi nuove, inoltre, il partigiano Attilio Grilli dello stesso reparto.
[Forlì] 5 [agosto] = I tedeschi uccidono dietro il cimitero di Roncofreddo tre partigiani della 29a.
Brigata “G.A.P.”, catturati il 18 luglio mentre asportavano armi e a lungo torturati. Essi sono
Augusto Serpieri di Alessandro di anni venti, da Gatteo, Attilio Grilli di Giulio di anni 19 da
Longiano, Tarcisio Paolucci, di Angelo di anni 19, muratore pure da Longiano. (Dal diario di
Antonio Mambelli - Forlì).
Quel tragico giorno del 14 luglio del 1944 [Attilio Grilli] era stato con Serpieri e Paolucci in casa di
Ceccarelli [Romolo] (Rumlin). (Maria Grilli in: Longiano 1920-1946 / Ennio Lazzarini. - Cesena : Il
Ponte Vecchio, c1995)
Mi trovavo con un amico di nome Ferruccio assieme ai tre ragazzi martiri dieci minuti prima che li
arrestassero. C’eravamo lasciati lungo la strada che è sotto la villa dei Pini quando sentimmo gli
spari. In un primo momento pensammo che stavano provando le pistole che avevano con sé, ma poi
incontrammo un amico e ci disse che avevano ucciso il Grilli e arrestato Serpieri e Paolucci.
Tornammo subito a casa a nasconderci perché avevamo intuito che forse anche a noi sarebbe toccata
la stessa sorte. (Nello Venturi in: Longiano 1920-1946 / Ennio Lazzarini. - Cesena : Il Ponte
Vecchio, c1995)
Gli amici dei due prigionieri cercarono di organizzare la loro fuga con la collaborazione del
comandante dei carabinieri di Longiano, ma una spiata mandò tutto a monte. Tarcisio ed
Attilio, trasportati a Roncofreddo, sono fucilati il 4 agosto all’interno del cimitero.
I guai seri incominciarono veramente durante una riunione tenutasi a fondo valle nell’abitazione del
partigiano Ceccarelli Romolo. Di ritorno durante il tragitto una pattuglia di tre soldati tedeschi
venne attaccata da sconosciuti partigiani a colpi di mitra e un soldato tedesco rimase ucciso
mortalmente. Questo avvenne nel luglio del 1944, appena ci avvisarono scappammo nonostante
fossimo armati, per non compromettere tutta l’operazione ed i nostri piani. Ma un nostro collega
partigiano venne raggiunto da una raffica di mitra e morì quasi subito, non appena arrivai alla mia
abitazione una pattuglia della gendarmeria tedesca mi aspettava, mi prelevò portandomi sul luogo
dove era stato ucciso il partigiano, tempestandomi di domande, mi chiesero se lo conoscevo, ma io
risposi che eravamo andati a scuola insieme e nient’altro, ma la gendarmeria tutti i giorni mi voleva
nel loro ufficio per interrogarmi, intimandomi di non muovermi per nessun motivo dal paese.
Intanto due dei miei colleghi, furono presi durante la sparatoria e furono chiusi in caserma nella
cella dei prigionieri, i confronti durarono circa 15 giorni con pochissime possibilità di scamparla;
fortuna per me che i miei colleghi non mollarono e non fecero alcun nome. Anche Menghi [Sisto] si
trovò nelle mie stesse condizioni e gli interrogatori erano interminabili e vollero sapere da noi due
dove avevamo passato l’intero pomeriggio di quel giorno fatale, la cosa non fu semplice;
decidemmo una condotta unanime senza cercare di cadere nel tranello della gendarmeria tedesca e
aspettando che qualcosa mutasse per fare un’azione di forza per liberare i prigionieri. Il piano
sembrava che dovesse funzionare alla perfezione perché il maresciallo dei carabinieri che
comandava la caserma ci avrebbe consegnato tutte le chiavi della caserma e delle carceri. Al
maresciallo avremmo dato del denaro per scappare a Urbino in un posto segreto e noi con una
ventina di partigiani avremmo attaccato i tedeschi e liberato i partigiani. Ma purtroppo uno dei
nostri ebbe paura e fece la spia ai tedeschi, i prigionieri furono fucilati immediatamente davanti al
cimitero di Roncofreddo ed io e Menghi dovemmo subito rifugiarci in un luogo segreto per non
essere presi e fucilati, forse è stato meglio così perché Longiano sarebbe diventato un altra
Marzabotto. Comunque anche dal rifugio, tramite la radio, con Menghi, comunicavamo con le
brigate e segnalavamo le posizioni dove i tedeschi avevano depositi e concentramenti di S.S. e così
facemmo bombardare più volte. (Luciano Bruschi in: Longiano 1920-1946 / Ennio Lazzarini. Cesena : Il Ponte Vecchio, c1995)
Una sera arrivarono a casa mia 6 o 7 persone, non erano di Longiano avevano lunghe barbe e bene
armati, erano partigiani della pianura. Gli chiesi cosa volevano, mi dissero che erano venuti per
liberare i due ragazzi tenuti prigionieri dai tedeschi a Longiano. Subito mi arrabbiai spiegando loro
che se avessero fatto una cosa del genere, uccidendo qualche tedesco, Longiano sarebbe stato un
altra Marzabotto. Dopo un’intensa discussione riuscii a convincerli a ritornare a casa. C’era una sola
soluzione, loro dovevano fuggire da soli, poi tutti li avrebbero aiutati senza mettere a repentaglio la
vita di altre persone, poi una volta arrivati da me li avrei mandati con Micheloun [Egisto Della
Vittoria] attraverso Montenovo e Monte Farneto fino dove operavano gli altri gruppi di partigiani e
lì sarebbero stati al sicuro. (Romolo Ceccarelli in: Longiano 1920-1946 / Ennio Lazzarini. - Cesena
: Il Ponte Vecchio, c1995)
Serpieri e Paolucci furono presi e portati in prigione nella caserma che era in via S. Chiara, tutti i
giorni venivano portati al comando tedesco nella villa dei Pini per interrogarli (...) quando fecero il
confronto per il riconoscimento dei colpevoli il tedesco ferito non riconobbe i due longianesi per gli
attentatori, così i due giovani partigiani speravano nella salvezza. (Dino Serpieri in: Longiano 19201946 / Ennio Lazzarini. - Cesena : Il Ponte Vecchio, c1995)
Mercoledì sera 2 agosto 1944 il babbo di Serpieri Augusto va a trovare il figlio nella caserma dei
Carabinieri e gli porta qualcosa da mangiare, poi si ferma da Bartolini Silvio (Bagein). Egli gli
chiede come sta il figlio Augusto, e il padre risponde che sta bene e che presto lo lasceranno libero.
Giovedì 3 agosto 1944 il Bartolini (...) verso le 2 di notte sente una macchina fermarsi (...) sente
delle voci, socchiude la finestra e vede una macchina con alcuni Tedeschi che stanno caricando a
forza i due giovani prelevati dalla caserma. Al mattino corre voce che i Tedeschi sono passati da
Montiano e da Montenovo, si sono fermati a cercare un prete, uno si è rifiutato e l’altro non c’era.
Arrivano a Roncofreddo, si fermano in piazza dove vogliono fucilare i due ragazzi, ma il parroco e
le gente si oppongono, allora ripartono e si fermano davanti al cimitero, fanno scendere i due
giovani, gli fanno scavare una fossa (...) è il 4 agosto... (Silvio Bartolini in: Longiano 1920-1946 /
Ennio Lazzarini. - Cesena : Il Ponte Vecchio, c1995)
Nel caso in cui i colpevoli degli attentati contro le forze germaniche non vengano
individuati immediatamente è la gente del posto a farne le spese.
[Forlì] 25 [agosto] = Per il rinvenimento di un tedesco morto lungo la strada nei pressi della Chiesa
di S. Stefano di Fognano, pur ignorandosi la causa i nazifascisti hanno incendiato cinque case
coloniche, una completamente distrutta, ed i pagliai: tre contadini sono stati fucilati. (Dal diario di
Antonio Mambelli - Forlì)
Se l’azione è chiaramente dovuta ad estranei, per rappresaglia vengono uccisi
degli ostaggi, tenuti appositamente in carcere per essere prelevati in caso di
bisogno.
I primi dieci li hanno impiccati a... a Pievequinta. Poi, dopo, quattro li hanno impiccati a... a
Bagnile. Li venivano prendere dal di lì [dalle prigioni di Forlì]. (Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001)
Per l’uccisione di un soldato tedesco, il 20 luglio, sono impiccati quattro ostaggi, provenienti
dalle carceri di Forlì, due a Bagnile e due a San Giorgio.
19 [luglio] - Questa notte un tedesco è stato ucciso a Bagnile. Più uomini presi. (Dal diario di don
Pietro Burchi - Gattolino)
19 luglio 1944 - Questa notte un tedesco è stato ucciso a Bagnile. (Dal diario di don Leo Bagnoli Cesena)
OGGETTO: BAGNILE DI CESENA - OMICIDIO AD OPERA DI PARTIGIANI IN PERSONA
DEL CAPORAL MAGG. TEDESCO KOBER APPARTENENTE AL BATT. NE AUTIERI.
Alle ore 18 corr. m. a Bagnile di Cesena, tre partigiani esplodevano vari colpi di pistola
contro militari tedeschi uccidendo il nominato in oggetto, appartenente al battaglione tedesco autieri
accantonato nella località suddetta. Lo stesso comando germanico svolgeva indagini ed accertamenti
fermando tre civili, tutt’ora... risultano indiziati. (Lettera del questore di Forlì. 25 luglio 1944 ISRFC 2/B4 962)
Mentre due soldati tedeschi stanno tranquillamente chiacchierando con delle ragazze sotto il
porticato della famiglia Zamagna, nei pressi di Bagnile, tre partigiani in bicicletta si
avvicinano e cominciano a sparare. Il caporal maggiore Kober rimane subito ucciso, l’altro
soldato è a terra ferito e mentre uno dei partigiani si avvicina per finirlo, Armazia [Bondanini
(?)] moglie di un Zamagna, esce di corsa dalla casa, con un bambino in braccio e facendogli
schermo con il proprio corpo, implora i partigiani di andarsene. I tre scappano, il tedesco si
salva e salva a sua volta la vita a coloro che lo avevano protetto e probabilmente salva dalla
distruzione l’intero paese di Bagnile. Infatti, nonostante siano arrestati tre presunti sospetti:
Giuseppe Calbi, Gildo Giambi (
) e una altro rimasto sconosciuto, che
resteranno per una quarantina di giorni in prigione a Cesena, non è punito nessuno del posto
ma, per ritorsione, a monito dei colpevoli, sono impiccati quattro ostaggi, prelevati dalle
carceri di Forlì.
Calbi, di Bagnile, classe 1902 e un Giambi, di Pisignano, è venuto preso e ha detto che è venuto
dalla fidanzata lì, proprio vicino. La fidanzata ha confermato, però, questo Giambi e questo Calbi
han fatto un mese di prigione a Cesena. E questo Giambi era un pastore (…) Calbi (…) aveva
passato il bosco e si era sanguinato e per questa ragione qui l’hanno individuato e han pensato che
ci avesse a che fare qualcosa col fatto. (Berto Battelli – Incontro al quartiere Cervese Nord del 24
aprile 2003)
I quattro ostaggi sono: i fratelli Torello ed Augapito Latini, Pietro Maganza e Virgilio Lucci.
Torello Latini e Pietro Maganza sono impiccati a Bagnile, dove è avvenuto il fatto, Agapito
Latini e Virgilio Lucci a San Giorgio, dove è stato ritrovato un fucile mitragliatore, nascosto
in una stalla.
19 [luglio] - A Bagnile un Gap attacca due soldati tedeschi mentre chiedono documenti ad un
gapista. Nello scontro un soldato tedesco viene ucciso e l’altro gravemente ferito. Reazione nemica:
4 ostaggi sono stati impiccati nelle località vicina per ordine delle autorità tedesche. (Dal bollettino
n. 6 della 29a. brigata Gribaldi “Gastone Sozzi”. Zona di Cesena. – ISRFC ANPI Forlì)
[Forlì] 20 [luglio] = Sono impiccati a Bagnile di Cesena il falegname Pietro Maganza di anni 20 da
Vernate (Milano), e Torello Latini di Romualdo di anni 38, da Fabriano, commerciante in stoffe; la
stessa sorte subiscono Agostino [Agapito] Latini di anni 44, fratello del precedente commerciante
pure in stoffe, ed il contadino 68enne Virgilio Succi [no, Lucci] da Sassoferrato, questi ultimi due in
S. Giorgio di Cesena. Pretesto al nuovo misfatto l’aver trovato morto un tedesco in Bagnile, dovuta
la soppressione di costui a vendetta per aver egli ucciso il giorno prima nel luogo un vecchio per
strappargli la bicicletta; in S. Giorgio al rinvenimento di un mitra in un pagliaio. Pare che al
Maganza, torturato, si debba la confessione degli altri tre infelici, come lui rifornivano i partigiani.
(Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì).
22-23 luglio 1944 - Una notizia ferale è venuta da Bagnile: sono stati impiccati colà ben quattro
uomini ai rami di un albero. L’esecuzione è stata causata dall’uccisione di un tedesco. (Dal diario di
don Leo Bagnoli - Cesena)
23 [luglio] - Domenica: In seguito all’ammazzamento del tedesco a Bagnile, sono stati impiccati
quattro uomini foresti: due, uno anziano e grasso, e l’altro giovane e magro, al Botteghino in
parrocchia di S. Giorgio; due tra Bagnile e S. Martino (non molto lontano dal Circolo Fascista).
Ecco tutto il fatto: alcuni giorni fa, al calar della notte, si presentarono 3 individui in bicicletta dalla
famiglia Sirri [no, Zamagna], che è tra Bagnile e S. Martino, e chiesero la pompa; mentre
gliel’andavano a prendere, si diedero a sparare contro due tedeschi, ch’erano a conversazione sotto
il portico. Uno rimase morto, l’altro ferito, e fu salvato da morte sicura dai Sirri stessi che tennero
gli assassini; il quale, a sua volta, ha salvato i Sirri testimoniando la loro innocenza. Poi corsero via
a precipizio. I tedeschi non avendo scoperto i colpevoli, giovedì mattina menarono quattro
imprigionati, forse da Forlì, si fecero dare corda e scala dalle famiglie vicine al luogo destinato al
supplizio (Peza e Mariol), appesero la corda a un ramo, vi appoggiarono la scala, costrinsero le
vittime a salire questa, posero loro il laccio al collo e levarono la scala... venerdì sera i militi fascisti
li hanno presi giù. Prima di essere sospesi al ramo fatale maledissero Mussolini. Non cercarono il
sacerdote. Venerdì puzzavano terribilmente, erano sformati. (Dal diario di don Pietro Burchi Gattolino)
[I Latini] erano commercianti di stoffe di Fabriano, imprigionati ad Ancona perché avevano dato
stoffe per i partigiani e catturati per una spiata. Con loro vennero imprigionati i loro due commessi.
A Bagnile furono attaccati due tedeschi, uno rimase ucciso, vicino alla casa di Zamagna, l’altro
venne salvato da una Zamagna che gli si mise davanti con in braccio un bambino. I partigiani
scapparono. Il tedesco ferito fu curato in casa Zamagna e parlò poi in favore della famiglia, per cui
la rappresaglia non toccò persone del paese, ma furono uccisi questi quattro che vennero portati a
San Martino in Fiume e lì tenuti in prigione. Vennero impiccati due a Bagnile e due a San Giorgio.
(Confidenza di Colombo Fantini - 1999)
Dopo, una volta, j à mazè sti tri raghez. J à impichì... io non sono andata a vedere. A San Giorgio.
Giù verso a Bagnile, tra Bagnile... Quei tre ragazzi lì, li hanno impiccati proprio in un albero che
stava in un angolo della strada. Che tot la zenta j andeva avdei che l’era una roba! (Anonimo 1998)
Lamberto: A Bagnil (...) i n’eva... j eva impichì int j elbar a là...
Amedea: J à impichì. U j era nench un prit quad j impichet quii che lé. J i tachet só ch’j i staset ot
dis dé, ch’j i si magneva al moschi ... J i spicheva quand u i cascheva zó e’ col. J eva mazè un
tedesch. J eva mazè un tedesch e alora s’ i mazeva un tedesch i mazeva set o ot itaglien. U j era
nenca un prit.
Lamberto: L’era tota zenta... l’era tota zenta che j aveva ciapè, ch’j era in parson e ‘lora... j i
[purtet zó] da la roca ad Furlé. A cred da Furlé (...)
Vittorio: A que i tedesch i ngn’ à tuchè nisun.(...) A que i tedesch i ngn’ à tuchè. I partigen i ngn à
mai tiret, et che un caso del genere. Però c’era l’ordine tassativo che i tedeschi non bisognava
toccarli (...) E fot ch’i farmet un partigen, l’era armè e u i tiret in entar, un u l’à amazè e un l’era
armast frì gravemènt. (Lamberto (Bruno) Sama, Amedea Sama, Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998).
Erano attaccati allo stesso ramo che sporgeva sulla strada, sulla San Giorgio, così. Io lo ricordo bene
che quello anziano e grosso che (…) era la metà in più di quell’altro. L’altro era più mingherlino
(…) Io vedendolo così gli avrei dato una quarantina d’anni (…) Ricordo bene che c’avevano gli
occhi aperti e fu quello che mi fece impressione. Le corde ormai erano fisse alla carne… stretti che
non si vedevano più le corde, che i polsi si erano gonfiati. Mi sembra, scalzi e le mosche ci giravano
attorno era un caldo tremendo. In luglio… Che poi dopo, le sere e le notti dopo li avevo sempre
davanti. Ricordo che mio babbo mi tenne con lui nel suo letto no? Per un po’, di notte, perché li
avevo sempre davanti agli occhi. (Dino Battelli. – Incontro al quartiere Cervese Nord del 24 aprile
2003)
I fratelli Latini, commercianti di stoffe di Fabriano erano stati segnalati ai tedeschi da una
spia e catturati con l’accusa di aver rifornito i partigiani locali. Pietro Maganza, da Vernate
(Milano), era un disertore. Lo conferma l’amico Siro Fiocca di Binasco, che lo conosceva già
prima della partenza per il militare. Fiocca, inviato al fonte nelle Marche e rimasto ferito in
un bombardamento, lo incontrò mentre era ricoverato in ospedale, a Falconara, oppure a
Senigallia. Virgilio Lucci era di Sassoferrato, anche la sua cattura fu provocata da una spia
che denunciò ai tedeschi la sua attività a favore dei prigionieri alleati in fuga.
Lì, poi, conobbi quelli che hanno ucciso... che hanno impiccato laggiù... i fratelli Latini ... a Bagnile,
il 22 [no, il 20] li hanno ammazzati il 22 luglio, perché noi, fu il giorno che riuscimmo a scappare.
(...) e poi c’era un altro (...) a cred che i fratelli Latini fossero di Fabr[iano] o toscani o delle
Marche... Marchigiani a cred ch’i fos... ad Fabriano (...) Loro erano dentro perché avevan fatto un
rastrellamento, erano antifascisti... li conoscevano e li portarono in isolamento. Infatti mi chiesero...
A me avevano portato delle uova... avevo delle uova sode… avevano una gran fame, me le chiesero.
Che me mi ricordo come ci fossi adesso. Che le diedi tre uova no? E al mattino invece... No quel
mattino lì, dopo... No. Al mattino, sì. Era l‘ultimo giorno di prigione a Forlì quindi era la sera del 21
luglio del’44. Quindi li portarono... al mattino, li portaron via. Noi ci portarono a Bologna per
mandarci in Germania e invece loro li portarono... Lui e un altro [Virgilio Lucci], uno che era
grosso così, penso fosse ebreo. Io giocavo sempre a dama con lui nella sua cella. (Dino Amadori 1999)
Osta! I fratelli Latini! (...) I fratelli Latini li han portati il giorno prima che noi (...) alla notte ci
portarono via per portarci in Germania. Il giorno prima li han portati lì. Io mi ricordo perché uno dei
fratelli... quel giorno mi avevan portato delle uova sode... mi chiese... Allora in prigione... Ciou!
Avevamo già mangiato, non c’era più niente per nessuno e mi chiede “Non hai niente da
mangiare?” e allora gli portai due uova. E al mattino li portarono via. (...) Li avevano presi [e]
siccome lì c’era il fronte li portarono su. [Li avevano presi] perché erano degli antifascisti eran
conosciuti e anch s’ in era partigin quando uno era conosciuto che era contro... [C’erano altri con
loro?] Io mi ricordo loro due e anche un altro, un ebreo. Grosso che poteva essere un quintale e
venti. No, no, mi sbaglio! Lui era venuto prima perché giocavo a dama con lui (...) Lui lo hanno
impiccato laggiù a Bagnile assieme ai due fratelli Latini. Che si ruppe la corda e po’ il mitet só
d’arnov. Lui era delle Marche. (...) Giocavo a dama con lui. (Dino Amadori - 2000)
Chiesero se c’era qualcuno che gli poteva dar da mangiare (…) “Ah!” dico “Io, mi han portato oggi
10 12 uova e gli portai tre o quattro uova (…) i due fratelli ne presero due ciascuno (…) l’altro
[Pietro Maganza] io non l’ho mai visto. (Dino Amadori, Incontro quartiere Cervese Nord del 24
aprile 2003)
Lucci Virgilio è nato a Sassoferrato (AN) il 25.07.1876. Non era di razza ebrea ed è stato prelevato
da soldati tedeschi dalla sua casa nella frazione Coldellanoce sempre nel comune di Sassoferrato.
Questo avvenne presumibilmente nella prima quindicina del luglio 1944 dato che Sassoferrato
venne liberato il 26 luglio. Mia nonna (ora deceduta) mi raccontò che il fatto avvenne all’alba, i
tedeschi circondarono la casa prelevando mio nonno naturalmente senza dare spiegazioni. Da
racconti di persone del luogo il motivo sembra essere stato l’appoggio dato da mio nonno ad ex
prigionieri alleati che fuggiti dai campi di prigionia (aperti dopo l’8 settembre) vagavano nelle
nostre campagne per cercare di raggiungere il Sud. Mio nonno parlava benissimo l’inglese in quanto
era stato per molto tempo negli USA. Il suo nome venne fatto al comando tedesco da un noto
fascista del paese deceduto lo scorso anno. Questo è quanto risulta da racconti orali. Questa
comunque fu l’ultima razzia compiuta dai tedeschi dalle nostre parti e ne ho trovato traccia sulla
stampa clandestina “La Riscossa” e “Bandiera Rossa” (...) Mio nonno non conosceva i fratelli Latini
che lei giustamente identifica nativi di Fabriano e si è trovato per caso a far parte del gruppo
trasportato al carcere di Forlì. (...) Mio nonno era piuttosto robusto (circa 130 Kg) ed anche a me è
giunta notizia della rottura della corda. (Dalla lettera di Lucio Lucci a Maurizio Balestra.
Sassoferrato, 10-08-00)
A Col de la Noce, una grossa pattuglia nemica, faceva razzia di viveri e bestiame, portandosi con sé,
nella fuga una ventina di uomini. (Da: Ultime violenze tedesche in: La riscossa : organo del fronte
proletario marchigiano, n 14 del 31 luglio 1944)
Sassoferrato. – Nell’imminenza della loro fuga dalla nostra zona i tedeschi hanno ribadito la propria
insuperabile ferocia arrestando, in collaborazione con luridi fascisti, numerosi cittadini. Nelle case
degli arrestati è stata operata una tremenda razzia e molti degli arrestati, operai, dopo essere stati
picchiati a sangue, sono stati inviati in Germania. (Cittadini arrestati in massa dai nazisti, in:
Bandiera rossa : organo marchigiano del partito comunista italiano, n. 13 del 21 agosto 1944)
Agapito e Torello Latini, di 44 e 38 anni, erano due noti e apprezzati commercianti fabrianesi di
tessuti e confezioni (…) Il fatto iniziò il 10 giugno 1944 nella frazione Marena, un piccolo nucleo di
case sito a metà strada tra Fabriano e Sassoferrato, posto alle pendici del monte Cucco, versante
marchigiano, dove la famiglia Latini era sfollata in seguito ai bombardamenti, ospite della famiglia
Pigotti. Qui, Torello aveva trasferito il reparto ingrosso della sua azienda artigiana. (…) Leda Latini
ha ricordato che l’unico vero contatto che avemmo con i partigiani, in quel di Marena, fu quando
essi ci costrinsero nel mezzo della notte a consegnare denaro e vestiario utile per la vita all’aperto
in montagna. Causa una delazione, secondo taluni compiuta da Adriana Barocci, ex dipendente
dell’azienda, licenziata per motivi legati alla guerra, secondo altri opera di sleali concorrenti, i
nazisti vennero informati di una presunta attività cospirativa dei due fratelli. Per tale ragione, verso
la fine di maggio, i tedeschi si portarono una prima volta a Marena, minacciando i pochi residenti di
non aiutare in alcun modo i partigiani, se non volevano rischiare la vita. Quel giorno, però, tutto si
risolse per il meglio, non essendo i due fratelli in casa per motivi di famiglia. La sera del 10 giugno,
all’ora di cena, i soldati trovarono le famiglie al completo. (…) la pattuglia era composta di quattro
o cinque soldati e giunse con un camion a prelevare, lo si capì subito, oltre ad Agapito e Torello,
anche il loro cugino Remo, che curava il reparto sartoria, Nazzareno Boldrini e l’americano Joseph
Pigott, che faceva comodo ai tedeschi perché parlava inglese. Mentre i primi due vennero subito
fatti salire sul camion, Nazzareno, Remo e Joseph chiesero, ed ottennero, di poter prendere almeno
un minimo di indumenti, invece scapparono sul retro della casa (…) quasi contemporaneamente a
tali fatti, i soldati furono spaventati dal rombo degli aerei Alleati e ritennero conveniente partire
subito, lasciando a casa Pigott, Boldrini e Remo Latini. Prima di partire però, lanciarono alcune
bombe a mano, che (…) non colpirono alcuno dei residenti. Pasquale Fiaoni (…) factotum
dell’azienda, venne a sapere che i propri congiunti non si trovavano più nel carcere di Jesi, dove
erano stati trasportati in un primo momento, ma che erano stati portati in una località segreta. (…) le
prime notizie cominciarono ad arrivare molto tempo dopo, ad undici mesi di distanza dall’accaduto,
nel giugno del 1945. La moglie Leda ricevette, infatti, l’estratto conto di un prelievo (assai
consistente, di circa 20 mila lire), che il marito Torello aveva effettuato presso il Banco di Roma di
Como, città dove i due fratelli avevano molti affari e dunque un conto aperto. Successive
informazioni permisero di accertare che Torello Latini aveva effettuato un pagamento ad un
esosissimo avvocato di Forlì, a cui si era probabilmente rivolto per difendersi. (…) Torello, arrivato
a Forlì [il 12 giugno 1944] scrisse alla sua Signora un biglietto postale datato 13 luglio 1944, che
arrivò anch’ esso undici mesi dopo. Così si espresse: Carissima Leda, quanto prima spero di essere
interrogato e contemporaneamente di tornarmene a casa. Ti raccomando i bambini e saluta chi ti
chiede di me. Agapito inviò dalle carceri Giudiziarie di Forlì, datato 13 giugno 1944, analogo
biglietto postale al figlio Mario, a cui riferiva: Caro Mario, sto bene, ti raccomando di andare
sempre al lavoro, con la sicurezza di vedervi presto. Saluti e baci a tutti. Babbo. (Dall’intervento di
Terenzio Baldoni in occasione della Commemorazione dei caduti del 20/7/1944 a Bagnile e
Botteghino di S. Giorgio. Svoltasi il 26/10/2003 a cura del Comune di Cesena e del Quartiere
Cervese nord)
Ancora a Bagnile, il 26 luglio, è ucciso il renitente Antonio Cecchini. Residente a Bulgaria, si
era nascosto a casa dei nonni materni, i Solfrini, in un rifugio, costruito sotto un pagliaio. Dal
caldo fu spinto ad uscire e mentre si avvicinava al pozzo, per bere, scorto da una pattuglia di
tre fascisti, che passavano di lì in bicicletta, venne fermato. Alla domanda di esibire i
documenti, Cecchini rispose che sarebbe andato a prenderli in casa. Salito al primo piano
provò a fuggire buttandosi dalla finestra di dietro. Uno dei tre, però, lo stava già aspettando e
appena toccò terra, incominciò a sparare. Non fece più di cento metri. Morì lì vicino, tra i
filari di una vigna.
26 luglio - A Bagnile i tedeschi hanno ucciso stamattina certo Cecchini di Bulgaria, renitente alla
leva, là rifugiatosi presso parenti: gettatosi da una finestra per evitare la cattura, è stato fucilato. (Dal
diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
Il 26 luglio, presso una casa contadina di Bagnile, fu scorto un giovane che balzava dalla finestra
per scappare tra i campi, preso di mira dai militi fascisti e ucciso (Da: Memorie di Bagnile / Lazzaro
Rossi - dattiloscritto 1989)
Antonio Cecchini era a casa dei Solfrini. Era uno sfollato lì (…) e (…) a casa di questa famiglia,
c’era un comando tedesco (…) e vennero a fare un controllo e cercavano... non Cecchini ma
cercavano Solfrini (…) Gianni, che non era lì (…) e lui da la paura così… saltò da dietro casa (…)
nel letamaio, ma lo videro perché era socchiusa una porta, una finestra, un qualche cosa e poi… lo
ammazzarono lì. (Giancarlo Brighi – Incontro Quartiere Cervese Nord 24/04/2003)
Lo stesso giorno, a Carpinello, nel forlivese, dopo l’uccisione di un caporal maggiore tedesco,
viene consumata un’altra strage. Sono fucilati dieci ostaggi, prelevati dalle carceri di Forlì
[Forlì] 26 [luglio] = I tedeschi hanno consumato verso sera, nel luogo stesso dell’uccisione di un
loro caporale, avvenuta ieri, la rappresaglia sanguinosa prevista. Tolti dieci ostaggi dalle carceri, li
hanno condotti in autofurgone fino a Carpinello, fatti poi proseguire a piedi due per due ed in questo
ordine fucilati: gli infelici si sono abbattuti sulla strada di Pieve Quinta, nel fossato di destra e fino
nei campi in un supremo sforzo di fuga. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì).
Nella notte del 26 luglio, un caporale maggiore tedesco venne proditoriamente assassinato a circa 15
est. di Carpinello di Forlì. Egli fu fatto cadere in un filo di ferro teso attraverso la strada ed ucciso
con un colpo di pistola alla tempia. Per contromisura il 26 luglio vennero fucilati 10 partigiani e
comunisti sul luogo dell’assassinio. In considerazione di questo delitto e di atti di sabotaggio sulle
linee telefoniche tese al nord della città di Forlì, venne ordinato il fermo di un certo numero di
ostaggi contro i quali, nelle eventualità del ripetersi di atti di sabotaggio verrebbero prese misure di
rappresaglia. La popolazione viene nuovamente richiamata nel proprio interesse, a coadiuvare
affinché non abbiano a ripetersi atti contro le FF.AA. germaniche. Sulle eventuali denuncie verrà
tenuto il massimo riserbo. (Dall’Ordinanza del Comandante la piazza di Forlì del 28 luglio 1944. In:
Resistenza in Romagna / Sergio Flamigni, Luciano Marzocchi. - Milano : La Pietra, c1969, p. 301)
Su segnalazione del verbale dell’ufficio di stato civile il 28-7-1944 si procedé alla constatazione di
legge sugli uccisi di Pievequinta, in occasione delle quali furono riconosciute soltanto le salme di
Ridolfi Edgardo e Zoli Antonio. La Questura taceva e fu sollecitata nella maniera più energica per
telefono dal sottoscritto (ricordo benissimo la circostanza) per riferire l’accaduto. Solo in data del 1°
agosto la Questura si decise a inviare la nota del preciso tenore seguente: “dal locale comando
germanico Der Befehishaber der Sicherheitspolizei u. des SD in Italien Aussenkommando in Forlì, è
oggi pervenuto il seguente elenco di persone fucilate in Carpinello il 26-7-1944 in seguito
all’uccisione di un caporale dell’esercito tedesco avvenuta il giorno precedente nella stessa località.
1. PALLANTI William nato il 4-5-1904 a Londra domiciliato a Bibbiena;
2. ZOLI Antonio nato il 7-2-1915 a S. Martino in Strada ivi domic.to;
3. RIDOLFI Edgardo nato l’11-12-1904 a Campiano dom.to a Forlì;
4. LUCCHINI Antonio nato il 24-7-1904 a Sauris (Udine) ivi dom.to;
5. BABINI don Francesco nato il 19-11-1916 a Verghereto ivi dom.to;
6. BARTOLINI Riziero nato il 3-4-1926 a S. Piero in Bagno dom.to a Verghereto;
7. ROMEO Mario nato a Napoli il 16-5-1912 sfollato a Verghereto;
8. ZOLI Luigi nato l’11-11-1914 a Cotignola ivi domiciliato;
9. CAVINA Alfredo nato il 28-5-1903 a Castel Fiumanese domiciliato a Riolo Bagni;
10. MOLINA Biagio nato il 21-4-1907 a Tropea domicialito a Bologna”.
Il processo si trova ora in istruzione formale, ma si dubita di venire alla scoperta degli autori del
reato. (Dalla risposta del Procuratore del Regno A. Vaccari alla richiesta di informazioni fatta dalla
Federazione provinciale del PCI di Forlì. Datata 24 agosto 1945. In: Resistenza in Romagna / Sergio
Flamigni, Luciano Marzocchi. - Milano : La Pietra, c1969, p. 302)
Alla fine di luglio divenne operativa anche la brigata nera di Cesena e grazie
alle alla rete di spie su cui poteva contare, subito incominciò a dar la caccia al
comando della 29a. Gap, che sapeva orbitare nella zona compresa fra Ronta,
Bagnile e San Giorgio.
Il tentativo di dar fuoco ad una trebbiatrice, la notte del 31 luglio, portò i fascisti nuovamente
a Ronta.
1 agosto - Ieri a Ronta, durante una trebbiatura, ha cominciato a piovere; gli operai si sono ritirati in
casa e subito i ribelli appostati, si sono dati a sparare contro la casa stessa: 3 fascisti di guardia non
si sono arrischiati di reagire, poi hanno smesso da sé. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
… un gruppo di GAP tento di bruciare la macchina da battere nel aia Gabariel Abbondanza a Ronta
II, sentimmo delle scariche di mitra dalla borgata distante 400 500 metri, i fascisti di guardia
rispondevano al fuoco, i GAP sparavano sulle finestre per impedire ai loro di afacciarsi, ad un tratto
vedemmo tre GAP Budini Aurelio, Maraldi Marino e Fusconi Luciano, il capogruppo che si era
infilato sotto la macchina da battere e Fusconi Aldo, la miccia bagnata da uno scrosio di pioggia non
prese fuoco. (Ugolini Iolanda, trascritto da Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001)
... Piraccini Dante (...) so che ha partecipato anche lui nel tentativo di bruciare la trebbiatrice lì a
Ronta. E il tentativo é stato fatto, la miccia... gliel’ha portata proprio... Aldo Fusconi. Però pioveva
un’acqua che Dio la mandava dimodoché che ha dovuto... ha dovuto a tornare sui suoi passi,
coperto dal fuoco dei partigiani perché i fascisti l’avevano scoperto e... la macchina non ha bruciato.
Non ha bruciato. (...) il giorno dopo vennero giu circondarono la borgata, uomini e donne furono
portati alla Roccha. (...) Il rastrellamento fu effettuato di Domenica, il giorno prima i GAP Fusconi
Aldo, Maraldi Marino, Budini Aurelio, Fusconi Luciano tentarono di bruciare la trebiatrice nel aia
Abbondanza era in corso un temporale e non cerano operai e le guardie fasiste. Aldo con la bottiglia
si porto sotto la trebbiatrice e cerco a piu riprese di darci fuoco, ma la miccia sera bagnata e non
saccese, nel frattempo arriva Fafon Abbondanza e comincio a parlare forte, i fascisti dalla finestra se
ne accorsero e cominciarono a sparare, i tre GAP d’apoggio cominciarono a bersagliare le finestre
con sventagliate di mitra permettendo la ritirata di Aldo, la macchina non brucio perche Fafon si era
messo sotto, e per evitare una tragedia preferirono la ritirata. (Vittorio (Quarto) Fusconi manoscritto 2001)
Amedea: L’[XXX] la faseva la speja (...) I geva... i geva che e’ su cusen l’era un fasesta. La andeva
cun lo e la faseva la speja cun sté cusen (...). J i bruset la machina [trebbiatrice] nenca...
Vittorio: No in l’ à bruseda.
Amedea: J i tiret una bomba.
Vittorio: No. U j era e’ mi zé Aldo [Fusconi], l’aveva ‘zes la miccia e’ piuveva una gran acua la
miccia la si... la si spegnet (...)
Amedea: Sé mo e’ fo’ quèl… U j era e’ tu fradel [Luciano Fusconi] e u j era Auriglin Zicogna
[Aurelio Budini].
Vittorio: Sé. U j era Auriglin Zicogna e u j era nenca Marino [Maraldi], u j era nenca Marino.
Amedea: Dla Cella.
Vittorio: Dla Cella. (...) A sema me cun Renato, quand che i cminzet a tiré i fasesta e’ fis-civa al
palotoli e lor j avniva zó pr e’ fuson, no? I saltet ad qua e cun Renato me get “Ciou! Mo quest u n’
è miga fasesta!”. J aveva i mitra parché j à cupert la ritirata de’ mi zé Aldo [Fusconi] parché l’era
andè par brusé la machina e l’an é riusida. I li à brusedi indapartot, mo que a Ronta purtrop i ngn’
è ’rivet. Parchè e’ piuveva un’acua che Dio u la mandeva. E dop i fasesta i s’ n’è incurt. Cum e’ sia
stè a n’ e’ sò. E sembra che e’ [incomprensibile] Gabariel [Abbondanza] l’à vest e’ mi zé Aldo sota
la machina e ch’l’epa rugì “’Sa fet a lè!” e che i fasesta j epa santì e j epa tiré e alora chjitar j à
duvù arspond e j à tiré int al finestri di modo che... un bel moment j è duvù scapè par salvè la pela.
(Amedea Sama e Vittorio (Quarto) Fusconi 1998)
Dopo la sparatoria i fascisti, avvertiti telefonicamente, arrivarono subito da Cesena e
constatato quanto era successo, ripartirono senza alcuna rappresaglia. Era notte e non si
sentivano sicuri. I partigiani avrebbero potuto organizzare un’imboscata e Vittorio Fusconi
afferma che la cosa fu effettivamente tentata.
1 agosto - Un po’ più tardi è sceso da Cesena un camion di fascisti, poi sono tornati via. (Dal diario
di don Pietro Burchi - Gattolino)
E la zenta. Ciou! Que i s’era spavantè. “Ades i ven zó!” E i vins zó, dop. Mo comunque in faset
gnent. Enzi i ven zó pr e’ cantir e i truvet che lè int e’ fos... u j era un fos pr e’ travers... me aveva
pers un caricator. Aveva tolt só tri caricatur dla pistola... ch’ema di caricatur ch’u i faseva pó
Mellini [Aldo] e Maraldi [Augusto] a cred. (Aldo (Lorenzo)Fusconi - 1983)
Alla sera le solite macchine piene di fascisti arrivano a ronta era buio, i GAP bloccarono la strada
nascosti dietro i boschi, ma i fascisti fecero il giro della chiesa e andarono a S. Martino cambiando
strada del ritorno per S. Giorgio. (Ugolini Iolanda, trascritto da Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001)
Il 10 agosto, a Pievesestina, mentre sta preparando un attentato, muore Guerrino Zangheri, a
causa di un errore nell’uso dell’esplosivo. Per rappresaglia i tedeschi catturano e deportano in
Germania diverse persone dei dintorni.
[Forlì] 10 [agosto] = Nel collocare una mina sotto un ponte in Pieve Sestina (Cesena), muore il
gapista ventinovenne Guerrino Zangheri da S. Maria Nuova, appartenente alla 29a Brigata G.A.P.
(Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
18 [agosto] - Un otto giorni fa a Pieve Sestina un ribelle stava fissando una bomba a un filo tirato di
traverso sulla via per colpire gli automezzi tedeschi, quando è scoppiata e l’ha ucciso. I tedeschi
hanno sparso volantini ove è detto che saranno fucilati coloro che si trovano in possesso di armi, chi
aiuta i banditi, chi non li denunzia, chi da informazioni al nemico. I paesi ove si commetteranno
attentati contro i tedeschi saranno bruciati, i maschi dai 18 fucilati, le donne internate nei campi di
lavoro. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
Ci pregiamo di notificare che il giorno 17 agosto (...) è stato deportato da alcuni soldati tedeschi il
colono SEVERI LORENZO di Giuseppe, abitante in questa parrocchia in Via Colombara N° 89.
Causa della Deportazione - Nella prima quindicina dell’agosto 1944 in località Pievesestina, lungo
la provinciale “DISMANO” strada allora [trafficata] dalle colonne motorizzate tedesche, vennero
trovate da parte dei soldati tedeschi alcune bombe e mine, ivi collocate da partigiani, dei quali uno
nel maneggio delle medesime rimaneva ucciso. Ciò provocava la pronta rappresaglia della
soldataglia tedesca che compiva la deportazione di vari individui delle zone limitrofe, fra i quali
appunto è da elencarsi il nostro compaesano SEVERI LORENZO, del quale si ignora fino ad ora la
sorte. (Dalla richiesta di sussidio a favore della famiglia Severi fatta dal Comitato di villaggio di
Sant’Andrea in Bagnolo, diretta al CLN di Cesena - ISRFC 7/3 45)
Per alcuni atti di sabotaggio nella zona, avvenne un rastrellamento anche a S. Cristoforo, non so la
data esatta. Le guardie fasciste catturarono parecchi giovani, che erano a messa in chiesa, trasferiti,
con pericolo di vita, nella rocca di Cesena. Riuscirono a dimostrare la loro estraneità ai fatti, ma per
salvarsi furono costretti ad arruolarsi come operai nella Tod[t]. (Da: Memorie di San Cristoforo /
Lazzaro Rossi – dattiloscritto 1988)
I fascisti, che in quei giorni erano impegnati a rastrellare giovani da consegnare alla Todt,
passarono anche da Ronta, dove, sembra, fosse stata loro segnalata la presenza di Ernesto
Barbieri.
10 agosto 1944 - Argomento del giorno con relative preoccupazioni, è divenuto il rastrellamento e
sequestro di persone, sempre più intensificati, che vengono operati in città e campagne. Neppure gli
anziani validi, si possono stimare esenti; neppure noi sacerdoti. (Dal diario di don Leo Bagnoli Cesena)
A Ronta seconda i fascisti fermarono diverse persone. Fu fermato anche Aldo Fusconi
comandante del gruppo Gap della zona e come gli altri, costretto a mostrare i propri
documenti, ma i fascisti, interessati soprattutto ad individuare giovani renitenti e persone
valide da inviare al lavoro obbligatorio, non si accorsero di chi avevano tra le mani e lo
lasciarono andare, considerandolo troppo vecchio.
Seguirono le incursioni con macchine e camion arrivavano sempre dopo giorni di pioggia, erano
informati che i GAP erano costretti ad uscire dai rifugi, bloccavano sempre la Borgata di Ronta II in
una di queste scorribande i ricercati erano rimasti tutti accerchiati Ricci [Fabio] S maren [Primo
Pasolini] Aldo [Fusconi] e Duilio Fusconi e il gruppo GAP al completo, Aldo fu blocato nella
strada assieme a 5-6 amici di borgata, furono chiesti i documenti a tutti, Battistini [Augusto]
Controllava i documenti quando prese i documenti di Fusconi Aldo disse ma tu sei del 7 (1907) Vai
Via, Aldo giro l’angolo della prima casa e raggiunse i campi dove cera gia un gruppo nascosto,
garafoni [Guido] e due giovani fascisti raggiunse il piazzale dove cera la falegnameria e casa di
Fusconi Duilio bruciate, Cerano Duilio nella capanna rimasta in parte in piedi, Ugolini Libero e mio
fratello Gilberto [Fusconi] stavano guardando una pistola piccolissima e si chiedevano se
funzionasse, arrivo l’alt imperioso dei fascisti, uno urlo Ugolini non ti muovere, era un suo amico di
scuola, ma Libero con due salti guadagno il pasaggio fatto appositamente in caso di necessita e
scomparve dietro la capanna, due raffiche di mitra si stamparono sul muro senza colpirlo, lo videro
passare a falcate da atleta raggiunse la zia a S. Giorgio Duilio Fusconi passo da un finestrino non so
come fece e si nascose sopra una grossa pianta. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001)
Alcuni casi i fascisti Venivano giu quando aveva piovuto il giorno prima e la notte, loro sapevano
che [i partigiani e i renitanti] venivano a casa per ben due volte li bloccarono nella Borgata, Aldo
fusconi diede i documenti a Battistini [Augusto] che gli disse, sei del 7 Vai Via, il giorno dopo i
fascisti lo canzonavano avevi preso il comandante lo ai lasciato andare, stesso giorno Fusconi
Duilio fu bloccato nella capanna mentre i fascisti gridavano Ugolini [Libero] non ti muovere, lui
con due salti arrivò al pasaggio che da casa Fusconi portava a casa Maraldi, e come un fulmine
spari, Libero non fare, due raffiche di mitra sparate per uccidere, era un amico di scuola e della
premilitare, Libero atraverso i campi ando da sua zia a s. giorgio anche qui ce la mano della spia
(quando piove tornano a casa, a mezzogiorno li prendete tutti. (Vittorio (Quarto) Fusconi manoscritto 2001)
Tino: A l’ò sempra int la ment. Un dé l’era... e’ fo’ una zoiba... u j era l’abitudine che la zenta la
staseva int la burgheda. U j era e’ mi ba’ [Aldo Fusconi]... u j era tot... int la burgheda. L’ariva zó
una machina. In fa d’ora ad scapè lor...
Vittorio: I ciapet tot.
Tino: E’ tu por ba’... e’ tu por ba’ [Duilio Fusconi], e’ su fradel... Birocia ad Tibecia, ch’j era a ca’
sua quand i santet la confusion [e] i ciapet via. E ‘lora sti fasesta j era tri. Tri o quatar (...) j era tri
o quatar. Però int la streda u n’armanet ad che un. Chjit i daset dria a chjit. (...) In sta burgheda.
Tot sta zenta. E mi ba’ l’era... A i s’era nenca me. A l’ò int la ment. Dio Boja! Ch’a s’era a lè... E’
mi ba’ e’ guardeva sempra in schent. U j era Garafon [Guido Garaffoni]. U l’ cema. E’ dis “Ven a
que. ‘Sa guerdat te?” “Ah... gnent...” “Dam i documint!”. Alora a sté Garafon u i dà i documint.
Cherta d’identità Fusconi... E’ dis “Ma te che t’ci de’ set mo ‘sa guardita par scapè?” e u l’ manda
a ca’. U l’ manda via. L’ariva a ca’, u j è la mama, di gran rog. E alora e’ mi ba’ e’ zarcheva la
schela pr andé int i cop. In cla meza ca’ ch’j aveva brusé. “Vut s-cmet ch’i n’ um zerca piò” [dice
mio padre] e alora la mi mama di gran rog, e alora e’ tó só la bicicleta e u s’inveja par la streda e
fa dusent metar e pó dop e’ taja ad travers. (...) E get Sibireni [Aldo Sibirani] cun Garafon “T’avita
ciapè la peipa zoiba [e] t’at la si laseda scapè!”. Infati a la zoiba e’ mi ba’ l’era lé. Lo, a sò
cunvint, ch’ u l’ mandes via ch’l’aves paura. L’era armast da par lo. Chiit j era tot... tot in zir.
Vittorio: Va là che e’ tu ba’ u n’aveva la pistola a te degh me. L’era disarmè se no...
Tino: La pistola. U n’ puteva ziré sempra cun la pistola.
Vittorio: Ó capì, però... dop u n’ l’à punseda piò. (Tino e Vittorio Fusconi- 1998)
E’ fo’... e’ dé prema dla Madona de’ Mont, la Madona de’ Mont l’era la dmenga [no, un martedì]
um pè, e’ feragost. E fu la zobia [il giovedì precedente era il 10]. L’era spiuvanzé... una zobia
matena me... e alora inveci ad pasè ad travers, a degh “A pas a que da la streda”. Dop int e’ borgh
u j è un vièl che u s’ esterna a là. Degh “A vagh a pasè là pr e’ viel se no’ a m’ sporch tot”. Quant
a sò lè u j è tri quatar ch’j era a lè insdei (...) e a m’ inciacar a lè cun lou. U j era un che l’aveva di
baghen ch’u m’ à fat stè... e’ dis cun sti burdel “Avnì vdei i mi baghen, avnì ‘vdé”. E I s’inveja
avdei sti baghen. Ou! Tot int un moment am n’ incorz ch’u j è una machina a lè dninz, cun i mitra
punté! Putena Madona! (…) Alora chi du tri ch’j era propri in chev a la ca’ i scapa via e me a s’era
a lè int e’ mez, a n’ pos scapè né ad qua e mench ad là. E u j è Garafon [Guido Garaffoni], u j è. Me
a sò lè, e’ canton dla ca’ l’è qua, e là u j è una porta. Degh “A m’ spost un po’, a voi avdei s’l’è
vert la porta. Cla porta... a m’entr in ca’ e dop chi sà ch’ a n’ schepa”. In cl atum ch’a m’ volt e’
dis “Te du vet?”. Dis “Gnent, a m’ sò vultè ‘csé” “Fa avdei i documint!”. E alora a i faz avdei la
patenta. Fusconi... Dis “E la cherta d’identità t’ an la j é?” “No” degh “A la ò persa“ “Bisogna
ch’t’a la fega, parché u i vo la cherta d’identità. L’è bon nench la patenta mo comunque, u i vo
nench la cherta d’identità”. E me sicom int la cherta d’identita me aveva... Alora i faseva met... a j
antifasesta j i faseva met e’ did nir... e me a j aveva la [carta d’dentità] cun e’ did nir! E alora u j
era cal doni a lè ch’a m’ guardeva e… “Moh!”al faseva “Moh!”. E e’ fa “Ben! Va. Mo però vent a
fè la cherta d’identità che la patenta la vèl, mo la vèl e’ giost. U i vo la cherta d’identità. Va pu. T’
pu ‘ndè”. Me an c’era armè che s’a s’era armè a i tireva sobit. E alora me a m’ invei pianin pianin
e cal doni al faseva “Moh!”. “Putena Madona! Emench ch’a l’ staga zeti cal doni!”. E a m’ ariv a
sluntanè. (...) E’ get [Guido Garaffoni]... dop. Cun chjit du tri, e’ get “Parché a n’ uv presentì a là
só. Ch’à n’andì a lavurè. Andì int la Todt... Parché s’ avnì a là só, tra nun a s’ acapem mei. Tra
nun italien” e’ dis “Cun i tedesch l’è diferent mo tra nun italien a s’ sam da capì mei che cun i
tedesch” e u m’ dis “Va!”. E a m’ invei pianen. Mo apena che a sò ca’. Via! A ciap via. (Aldo
(Lorenzo) Fusconi - 1983)
Si seppe che Barbieri purtroppo era stato visto due giorni prima. I fascisti erano venuti di nuovo a
Ronta. (...) E ‘lora erano tutti puntati coi mitra davanti alla porta ad Silvio ad Dori. Il repubblicano
no! Antifascista. E avevano preso anche mio zio Aldo [Fusconi]. Mio padre [Duilio Fusconi] era
passato da un buco, un finestrino così, che cum l’epa fat... va be che era sottile... a passare da un
buco così e a fuggire... a nascondersi in mezzo i campi, come abbia fatto non lo so. (...) Ugolini
Libero che era assieme a me aveva una pistoletta, ma piccolina, che la faceva vedere a mio padre...
sta pistolina no? Che cosa poteva fare? Tutt’uno arrivarono due fascisti puntarono il mitra. Erano
amici di Ugolini che avevano fatto la premilitare assieme e gridarono “Non ti muovere Ugolini!
Non ti muovere!”. Ugolini aveva delle gambe come la giraffa e’ faset quatar selt e’ via! E saltò via.
Lì, avevano fatto un passaggio che si andava dalla mia zia la... la... la Cela o da Maraldi Renato, si
attraversava e in un batter d’occhio eri in mezzo al frumento via! E Ugolini saltò via così. Ma gli
altri [i fascisti] non si avventuravano più a andare dietro. Perché ci avevano lasciato la pelle i
fascisti lì dentro [alla campagna]. (Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998)
Io non le ho raccontato bene quando Garafon [Guido Garaffoni] prese il mio zio Aldo [Fusconi] lì
davanti alla borgata (...) Ah! E’stato lì... E’ stato lì... oramai eravamo alla fine, praticamente
eravamo... io non c’ero a casa ero ancora in prigione... é stato lì in agosto. (…) E mio zio Aldo era lì
assieme ad altri 5-6 e c’era Garaffoni che controllava... No era Battistini [Augusto] che controllava i
documenti no? E alora... “Vieni avanti” dice col mio zio “Vieni avanti te”. E [mio zio Aldo] u i
daset la cherta d’identità e Battistini u i get “Ma cosa vuoi te, sei del sette! Vai via di qui!”. E’ get.
“Te vai pure”. E mi zé… Ciou! L’aveva... Aveva la pistola però loro erano in quattro e quindi... E
quindi andò via e come arrivò a fare l’angolo... dopo era fatta. Perché lì dove passi eri già fuori. Eri
già fuori. (Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001)
I fascisti incominciavano a darsi veramente da fare e non solo a Cesena. In
quegli stessi giorni la brigata nera “Ettore Muti” di Ravenna, fucilava, nel
faentino, cinque giovani, sospettati di aver partecipato all’uccisione di un loro
commilitone e il battaglione “9 settembre”, composto di fascisti al servizio di
agenti segreti tedeschi (SD), stanziato a Castrocaro, stava tirando le fila
dell’operazione che, in breve, avrebbe portato alla cattura di Silvio Corbari e
alla distruzione dell’organizzazione creatasi attorno alla missione Ori di Radio
Zella.
[Forlì] 12 [agosto] - L’uccisione del Sirtori, detto “Urciaza”, in Rivalta di Faenza, attributa a
vendetta dei suoi camerati della b.n. come sovente avviene, ha dato pretesto ad una sanguinosa
reazione, ordinata dal comandate della “Muti” e segretario politico Raffaele Raffaelli, eseguita dai
militi alle dipendenze di un altro autentico brigante, di nome Raffaele Boschi. Compiuto il
rastrellamento di una settantina di persone nella zona; cinque di queste legate ai polsi insieme,
condotti nella villa S. Prospero, sede del comando di brigata, dopo una larva di processo sono stati
finiti a colpi di pistola a ridosso del muro cimiteriale. Solo una giovane, tale Verità [Annunziata],
che faceva parte del gruppo, rimasta ferita alle braccia e con supremo coraggio fingendosi morta; è
stata poi tratta in salvo da un ardito passante. Ecco il nome dei martiri: Luigi Sangiorgi di anni 33;
Giuseppe Savini di anni 35; Carlo Casalini di anni 50; Emilio Nanni di anni 35. (...) I restanti (...)
consegnati ai tedeschi sono stati tradotti alle carceri di Forlì. Il terrore regna in tutta la vallata del
Marzeno, per la ferocia del Raffaelli, che volle pure la fucilazione di altri innocenti. (Dal diario di
Antonio Mambelli - Forlì)
24 [agosto] - Il 18 è stato catturato in territorio di Modigliana il famoso Corbara [Silvio Corbari] e
impiccato in piazza: a sera è stato trasportato in Forlì con la fidanza e alcuni compagni attaccati ai
lampioni della Piazza grande (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
Il 13 agosto, a Gattolino, sono catturati e fucilati dalle SS i due partigiani
Renato Medri e Primo Targhini appartenenti al gruppo Mazzini. Un gruppo
Gap di tendenza repubblicana, che faceva parte della 29a. brigata.
Ci sono stati dei morti qui a Gattolino che facevano parte della formazione repubblicana dei
mazziniani. Li hanno presi lì vicino sotto un pagliaio di paglia, durante un rastrellamento e dopo li
hanno uccisi qui in un campo. (Sergio (Savolino) Mazzotti - 1983)
13-14 agosto 1944 - Le SS di Macerone, in un rastrellamento di partigiani a Gattolino, avendo
trovato armi in un nascondiglio, hanno fucilato Targhini Primo e Medri Renato e arrestato altri. Non
c’è pace in quella zona. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena)
Momento d’angoscia: pomeriggio 14 agosto 1944 – Sono nel cimitero di Gattolino, la mia
parrocchia nativa, a pregare sulla tomba di babbo e mamma. Chiedo al custode: “Per la strada non
ho visto una persona. Non si ode una voce. Che cos’è questo silenzio di paura, di terrore?” “Don
Armando non sa cos’è successo?” Non respiro per attendere la risposta. “Hanno fucilato Renato
Medri e Primo Targhini di Gattolino. “Un pianto, una preghiera. Faccio una velocissima corsa dal
cimitero al luogo della feroce esecuzione. A pochi metri dai due corpi giustiziati, due ordini secchi
secchi mi fermano. Osservo. Prego un istante. Un altro ordine perentorio mi impedisce di continuare
la preghiera per gli amici Renato Medri e Primo Targhini. (Da: Montecodruzzo : giorni e notti di un
antico borgo medievale / don Armando Moretti. – Cesena : Quaderni del Corriere cesenate, [s.d.]).
[La fornaia della Calabrona, era] la mamma di quel ragazzo che hanno ucciso sotto e’ fler dl’uva...
Che [loro] abitavano... a Gattolino. Che un fratello (...) faceva il barbiere lì a Gattolino e quest’altro
fratello [Primo Targhini] aveva 17-18 anni, che glielo ammazz[arono] davanti alla sua mamma. Che
c’aveva un coso d’uva davanti casa e c’hanno ammazzato i tedeschi il figlio e era il figlio del nostro
fornaio, che era il nostro inquilino (...) Il forno era nostro, però, loro [i Targhini], ci pagavano
l’affitto a noi. (Dina Nardini - 2000)
Ero in giro per Cesena, eravamo fuori dall’Arrigoni con un permesso dei tedeschi che era il famoso
permesso scritto in tedesco per la bicicletta, che non te la portassero via e questo si adoperava un
po’ sempre. Io, a Gattolino, ero lì dietro, quando fucilarono quei partigiani di Gattolino, noi ci
conoscevamo perché... Lì, ammazzarono quelli di Ponte Ruffio (il 19 agosto)… fra i quali c’era un
mio parente di Cesenatico che era un renitente di leva e questo permesso ci permetteva certi
contatti… certi incontri… Quando fecero il rastrellamento [a Gattolino] sono scappato… ci vuole
anche un po’ di fortuna nella vita, io l’ho avuta. Mi avevano preso i tedeschi, mi mandarono su,
qualcuno è morto, a fare delle buche verso S. Marino per la TODT e io scappai; dissi: “Un attimo,
vado a prendere un pezzo di pane lì…” e poi sono scappato dietro al posto dove hanno ammazzato
quelli di Gattolino. Ero in questo vialetto, c’era la campagna e a loro ho lasciato i documenti.
(Edoardo Gazza - dattiloscritto1984)
Ah! Battistini [Augusto] [...] che de’ ch’i mazet chi du ad Gatulen, e dop e’ daset dria a e’ mi
marid. Che eravamo fidanzati in quei momenti. Cun e’ mitra e’ sparet un colp ad mitra per fortuna
che e’ mi marid e’ faset d’ora da saltè un bosch e po’ una seva e po’ via, via andè ca’. Dop e’ mi
marid j i andet a ca’ i fasesta. Mo e’ mi marid l’aveva una ca’ da cuntaden a là int un mez, ma il
suo vicino di casa, ch’j era du cuntaden, c’aveva una terrazza, questa terrazza guardava proprio il
viale che veniva dalla strada, allora j avdet sta machinaza nira, j era i fasesta (...) e alora i s’ piazet
cun dó mitragli... dó mitra lo e e’ su fradel ad quest che que però, lou i turnet d’indria, i n’ avnet
aventi i fasesta. Cla volta che lè la andet ben. [Quando fu invece che gli spararono?] Cla volta che
lè e’ fo’ cla dmenga ch’i mazet chi du ad Gatulen e ‘lora i fasesta i zireva inenzi e indria e ‘lora lo
e’ vent da me... e’ vniva da me cun i calzunzin curt acsé, l’era una dmenga e nun a i gesum, t’an e’
sé ch’j à mazè quii ad Gatulen. A n’ fasesum d’ora ad dì csé ch’avdesun sta machina ad fasesta cla
s’afarmet. Lo e’ saltet un fos, pó e’ saltet ad dria d’un purton, da i mia e pó e’ curet a ca’ sua.
(Anonimo - 1998)
L’intervento dei tedeschi a Gattolino sembra sia stato causato da un’azione contro una
trebbiatrice, il 9 agosto, in cui uno degli operai addetti alla macchina era stato ucciso.
15 agosto - Ieri, domenica 13, le S.S. di stanza a Macerone hanno fatto un rastrellamento a
Gattolino di partigiani. Trovati in un nascondiglio con armi Targhini Primo, figlio del fornaio, e
Medri Renato. (...) Ragione di ciò l’incendio della trebbiatrice di Battistini provocato con una
bottiglia di benzina, mentre batteva Moretti Primo, da un partigiano con morte di un operaio colpito
da 3 pallottole di rivoltella il 9 dello stesso mese. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
I tedeschi, che erano sempre intervenuti direttamente solo nei casi in cui veniva coinvolto
qualcuno dei loro, demandando il resto alle autorità fasciste, ora, considerata la posta in gioco
ed il loro interesse, incominciarono a muoversi anche nei casi di sabotaggio alle trebbiatrici.
Anche pochi giorni prima, il 27 luglio, erano intervenuti, in un caso analogo, nella zona di
Montiano-Calisese.
27 luglio - A Montiano Gap attacca un gruppo di militi di guardia ad una trebbiatrice per controllare
il prodotto. Nello scontro un fascista [Augusto Belli] rimane ucciso. (Dal Bollettino n. 7 della 29a.
brigata Garibaldi “Gastone Sozzi” - Zona di Cesena – ISRFC ANPI Forlì)
28 luglio 1944 - Oggi un giovane di Calisese, tale Suzzi, è stato arrestato dai Tedeschi perché hanno
trovato un’arma fra i covoni nel suo campo. Viene tradotto in città al Comando tedesco presso la
solita Villa [villa Suzzi], vicino al gioco del pallone. Sarebbe stato fucilato se non fossero
intervenuti due sacerdoti: don Lino Mancini e don Aldo Casadei che conosce la lingua tedesca. Nel
frattempo un furioso bombardamento spaventa i teutonici. Il giovane viene rilasciato. (Dal diario di
don Leo Bagnoli - Cesena)
Da più di un mese, comunque, a Gattolino e dintorni, erano state segnalate diverse azioni
partigiane e la zona era sicuramente tenuta sotto controllo.
13 luglio - Nel tardo pomeriggio di ieri, due ribelli hanno disarmato a viva forza un soldato tedesco
in un punto della via Gattolino-Ruffio. Chiodi per forare le gomme degli autocarri sono stati
seminati alcuni giorni fa sulla via cervese.
17 luglio - Oggi alle ore 14 circa, in località Vialone, un tedesco, che si recava dalla famiglia
Montalti (Magon) a prendere il latte, è stato disarmato della pistola da un individuo in bicicletta, che
gli ha puntato la sua contro il fianco dicendo: Mi bisogna la vostra pistola. Il povero tedesco, solo e
non in posizione di difesa, gliel’ha data. Poi è andato per aiuto dai Guidi, ove sono altri tedeschi. E’
stata perquisita la casa di Minotti ed alcune altre nel Vialone. Ieri sera, verso le 11, alcuni
delinquenti si sono presentati alla Contessa, vedova Teodorani-Fabbri, sfollata qui a Gattolino in
casa del colono Bocchini Urbano, detto Lavanda, ed hanno voluto 4 mila lire. Alcuni erano
mascherati, e prima avevano fatto andare a letto i membri del colono vicino Benvenuti. (Dal diario
di don Pietro Burchi - Gattolino)
30 luglio 1944 - Scambio di fucilate fra un GAP e una pattuglia di militi di guardia ad una
trebbiatrice (Gattolino). (Bollettino n. 7 della 29a. brigata Garibaldi “Gastone Sozzi”. Zona di
Cesena – ISRFC ANPI Forlì)
4 agosto - Alcuni giorni fa, nel cuor della notte, sei o sette fuori legge in bicicletta si recarono alla
casa del mugnaio della Calabrina, Zoffoli: suonarono e bussarono sgarbatamente, e, non aprendo
nessuno (dentro c’era solo il padrone spaventato) se ne andarono tirando due bombe nel cortile. (Dal
diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
3 agosto 1944 - Gap effettua la perquisizione in casa di un fascista alla Calabrina. (Bollettino n. 7
della 29a. brigata Garibaldi “Gastone Sozzi”. Zona di Cesena – ISRFC ANPI Forlì)
5 [agosto] - Questa notte alcuni ribelli sono andati da Lorenzini alla Calabra ed han voluto denari:
partendo hanno sparato colpi di fucile e lanciato bombe a mano per atterrire la casa.
6 agosto - Stamattina, alcuni uomini vestiti da soldati italiani si sono fatti dare dal colono Mazzotti
Natale, via Ruffio, la cavalla e i finimenti, rivoltella alla mano. I ribelli han voluto danari dal
marchese Almerico Almerici, sfollato presso il colono Castori Adolfo, poco lontano di qui, e hanno
portato via armi e una macchina da scrivere a Biguzzi Mario, via Mariana (Calabrina). La macchina
di certo Montanari [Oddino], comunista di Macerone, è stata danneggiata dai ribelli, suoi amici, a S.
Giorgio. Prigionieri tedeschi briachi hanno ucciso due uomini (Bocchini) a Bulgaria. (Dal diario di
don Pietro Burchi - Gattolino)
7 agosto 1944 - Stanotte al parroco di Gattolino, don Pietro Burchi, si sono presentati individui
mascherati, i quali, dopo avere svaligiato la casa di cibarie, gli hanno sparato contro, ferendolo
fortunatamente solo alle gambe. Don Burchi (...) negli anni addietro, si era attirato molte odiosità a
causa di numerose denunce, contro i bestemmiatori della zona, verso i quali, a norma di legge,
faceva fare regolare processo. Per il suo zelo forse eccessivo tanti erano stati condannati, per quanto
lievemente a multe pecuniarie e spese processuali. Già recentemente era stato fatto oggetto di
attacchi, da parte di sconosciuti. Anche quest’ultimo attentato (secondo me), può mettersi in
relazione a quanto sopra. Si è saputo più tardi che il Burchi, che mai è stato in passato di idee
fasciste, fu costretto con la forza dai nazi-fascisti a montare con loro in macchina per indicare
l’ubicazione di alcune famiglie che essi cercavano. Non poté assolutamente sottrarsi sotto le
minacce. Queste famiglie ebbero uomini imprigionati e la colpa fu data al Parroco. (Dal diario di
don Leo Bagnoli - Cesena)
15 agosto - Scrivo dal letto, nell’Ospedale Bufalini trasferito nel palazzo della fondazione Almerici
a S. Anna. Domenica 6. c.m., alle ore 10,30 (di sera) circa, ero in tranquilla conversazione fuori
della porta del campanile con le famiglie dei due sfollati, quando si presentano improvvisamente
cinque individui armati, mascherati e truccati; ci fanno alzare le mani; ci rassicurano un po’, indi
due restano a piantonare le donne, gli altri tre accompagnano me e due sfollati di sesso maschile in
canonica passando per il davanti; appena entrati mi obbligano a consegnare loro le armi; poi due di
loro mi accompagnano di sopra, dove mi prendono tutti i soldi e un servizio di posate e forchette per
frutta. Rovistano per tuta la casa, cercano olio, prosciutti, ecc. tornano di sotto e ci riconducono tutti
e tre dove stavano le donne. Qui lasciano [a] tutti raccomandazione di tacere, ma vogliono ch’io li
accompagni per loro sicurezza fino al termine del viale: qui mi licenziano, ma appena voltato mi
sparano addosso 13 colpi di mitra, forandomi il braccio sinistro in modo leggero e rompendomi la
tibia e il perone verso il mezzo della gamba destra. Cado in terra; i malandrini fuggono, mia sorella
Aurora accorre gridando, la rincuoro, arrivano gli altri, mi prendono su, mi portano in casa,
fasciandomi alla meglio. Si va per un cavallo e un’ora dopo mezzanotte sono in letto dell’Ospedale.
Il martedì mi si fanno i raggi, tira la gamba e ingessa. E ora sono qui... (Dal diario di don Pietro
Burchi - Gattolino)
Il giorno del rastrellamento sembrò che i tedeschi andassero a colpo sicuro, dirigendosi senza
esitazioni verso il pagliaio, sotto il quale era scavato il rifugio dove i partigiani erano nascosti.
Questo fece pensare ad una spiata.
Chi du che lè [Medri e Targhini] l’è stè cheusa (...) ch’j à truvè di mitra, dal bombi men, dal pistoli,
sota un pajer ad paja. Pó j à ciapè sti du raghez. (...) i fasesta par avé truvè quest che que j à ‘vu
una spieda acsé... da una ragaza... da una ragazza che abitava sempre a Gattolino, l’à j à fat una
spieda e j à mazè sti du raghez propi a lè da chent a ca’. E l’era du raghez ch’j era du partigen.
(Anonimo - 1998)
Quand ch’i mazet chi burdel (...) me a s’era... a geva l’es a tarsent metar, quatarzent metar, masé lè
insen cun d’jitar a lè int un rifugio. Però i tedesch i n’ariveva... J arivet a mità... e che grupet ad
ca’ du sema nun i n’ e’ sorvegliet par gnint. [Fu una spiata?] Me a pens che fos ona spieda. Perché
se no’... Cum a fai andè lè? Via! (...) Dop la liberazion (...) i panseva che fos dal doni a lè a
Gatulen [delle spie]. Ch’j i andet pó ca’... Che me a s’era in Germania e quest an e’ sò... I tiret
qualcosa... a n’ e’ sò, dal bombi in ca’... e l’avnet mort una bes-cia, i get... Me, dop, a fo’ interoghè
nenca me (...) da la polizia. Dop, finì la guera, pasè e’ front. “Me” degh “a s’era in Germania. A
sò andè via, e’ front u n’era ancora pasè. A sò vnu ca’ dop un an! Me” degh “a n’ e’ sò ste fat che
que, insoma!”. Me quand ch’a i s’era me, j era int e’ grop ad Mazini, sti burdel. E quii ch’i sareb
andé a là a ca’ [di queste presunte spie] i sareb stè dla perta de’ grop ad Mazini, però i num i ngn’
é, ecco! [Chi c’era nel gruppo con loro?] (...) u j era un Senni (...) una masa t’ an i cnusiva
(Armando Faraoni - 2000)
Io mi ricordo che mi disse Targhini e Medri “Ah! Vieni a dormire con noi questa notte.” (...) anche
loro erano di leva perché uno era del 23 mi sembra, l’altro era del 19, del 20, 19-20. E dopo cosa
succede? Che io andai a dormire con loro e dopo la mattina venne il rastrellamento. Fu una spia fu...
che ci hanno preso. (Romeo Motta - 1983)
Un giorno una spia fece inviare a Gambettola [Gattolino] dei tedeschi. Purtroppo due nostri amici
non fecero in tempo a fuggire (si chiamavano Renato Medri e Primo Targhini). Perquisiti e trovati
con delle armi vennero fucilati immediatamente sulla soglia di casa, poi furono presi in ostaggio i
genitori e i parenti di altri ragazzi che erano riusciti a fuggire. (Natalina Calisesi in: : Donne di
Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975)
Assieme a Medri e a Targhini è catturato anche Romeo Motta, anche lui un partigiano, ma
trovato senz’armi e messo a confronto con gli altri due, fu da loro scagionato e si salvò.
Romeo, assieme al fratello Livio è portato a Cesena e rinchiuso nel carcere della rocca, di lì
sarà trasferito a Forlì e quindi deportato in Germania, mentre Livio sarà costretto a lavorare
per la TODT. Nei giorni successivi altri li seguiranno. Fra questi Elmo Farnedi e Armando
Faraoni che saranno deportati assieme a Romeo Motta. Con loro anche Malvina Rocchi, la
madre del partigiano Pietro Pironi, catturato in montagna, nel rastrellamento d’aprile e
deportato. Sarà rilasciata e poco dopo gli giungerà la notizia della morte del figlio, il 29 agosto
1944, in Germania, per taglio della testa.
15 agosto - Verso le 12,30 sono stati fucilati. Molte armi trovate nel palazzo di Pironi Terzo
[fratello del partigiano Pietro Pironi] (pistole, bombe, fucili): catturati la Rocchi Malvina, madre di
Pironi Terzo, e Belletti Dino, zio di Senni Elvezio, ricercati, nascostisi nel soffitto. Catturati i due
Motta, Romeo e Livio, i due Riciputi, e Farnedi Elmo. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
Lavoravo la terra quando mi chiamavano (...) andavo con mio babbo che purtroppo quel mio arresto
che mi fecero a Gattolino aveva messo in imbarazzo la mia famiglia... Aveva messo in pericolo...
perché, mi arrestarono il fratello [Livio Motta], mi hanno arrestato la sorella, e... mi volevano
fucilare il padre qui a Calabrina i fascisti... Io dopo mi son buttato fuori alla campagna. [Dove vi
hanno preso?] A Gattolino, sempre a Gattolino (...) [Eravate armati?] Sì, quei due [che] erano con
me erano armati, avevano le pistole... Io invece non avevo niente... e allora [i tedeschi] dice chi era
questo qui? E loro dichiararono che le armi erano sue. Che lui non aveva armi sue. Che io non ero
responsabile di quel fatto e infatti io non... non ne avevo, dico la verità, delle armi in quel periodo.
(...) Ah! Quando sono stato preso, m’hanno preso nel rifugio e poi c’hanno caricato... loro due li
hanno uccisi e me m’hanno portato lì di fronte allo spaccio... m’hanno interrogato e allora viene un
caporale... un soldato, era caporale (...) era un fascista che l’aveva mandato Moreschini [Pier
Francesco], che io lavoravo sotto la tenuta di Moreschini qui a San Giorgio. E alora disse che io
andavo sempre a lavorare insieme il mio capo squadra che io avevo, dichiarò che io andavo a
lavorare e non m’hanno ucciso. Però cosa succede? Mi portano in prigione a Cesena, alla rocca e lì
sono stato... [Prima al palazzo del capitano?] Sì, ma al capitano più che parte andavano
all’interrogatorio (...) Mi ricordo, una volta, al capitano, che avevo le manette e mi picchiarono in
faccia e io mi ricordo che da quante che me ne avevano date non le sentivo più (...) sto una notte e
un giorno lì al palazzo del capitano, chiuso lì dentro a una piccola stanza... Però dopo si portarono a
là su nella rocca e dove c’era anche mio fratello lì dentro e quelli di Gattolino. Altri due: Faraoni
Armando di Gattolino e poi c’era Farnedi [Elmo] di Gattolino (...) e così s’è sempre sotto
interrogatorio. Sempre sotto battuta, sempre sotto battuta (...) M’avevano arrestato una sorella che
l’avevano portata a Bellaria in una colonia. M’avevano arrestato il fratello, era stato con me in
prigione. Dopo, loro, lui lo son venuto a prendere e l’hanno portato a lavorare nella Todt, a là vicino
a Pesaro. C’era il fronte a là vicino a Pesaro, Rimini da quelle parti là... [I suoi fratelli erano a
conoscenza della sua attività?] Di me? Ah! Sì che erano a conoscenza. Ah! Lo sapevano. (...) e il
mio padre lo avevano tentato di ucciderlo qui al mulino di Calabrina e l’ora (...) cosa ho fatto? Ho
detto “Tanto per me la vita è così... morto io morti tutti”, avevo sempre avuto quell’idea lì...
(Romeo Motta - 1983)
[Romeo Motta] il ciapet propi insem cun lou. J era a durmì lè e’ pó dop i tedesch j andet a razè ch’j
era int una pajera ad paja e i truvet sté mitra. J i faset guastè tot la pajera e j truvet e’ mitra. J i
tiret eh! Chi du i j à mazè e (...) l’è stè cun me in Germania, Motta Romeo [lo presero prigioniero].
E j i purtet a lè int e’ spazi ad Gatulen, a là ad dria. U j era un porgat. J i mitet a lè, u j era un
porgat, j i interoghet. U j era un interprit de’ Masron, quest e’ scureva e’ tedesch... E dop, chi
burdel ch’j è murt, j i get “Lou [Motta] l’erma u n’ e’ saveva”. Il tiret da perta. Chjit du j amazet e
lo [Motta] Il purtet a e’ cmand tedesch ch’l’era pó a... Sant Dmidar? (...) Dop un dé i m’ ciapet
nenca me. (...) me an c’era cun lou. (...) me, l’è vnu e’ fat, parché a s’era a là int al baterji, a sò
scapè e alora pó dop i m’ zarcheva nenca me e l’è avnù sté fat... (...) Dop un dé i m’ ciapet nenca
me. I m’ purtet a là só e vdet che u j era sté Farneti [Elmo] ch’l’era un oman... L’aveva quarent’en
lo. Ch’l’era de’ dó. E sté Motta. (...) Farneti... Elmo. Lo i l’aveva vest che l’era propi lè, int e’
crucivia du ch’u s’ svulzeva i fat e du ch’e’ staseva sté Mota, ch’l’era da la finestra. E ‘lora il
ciamet e il purtet via. [Ma lui c’entrava qualcosa?] No. E ‘lora e’ ven che dop a du dé, un dé, tri
dé... i m’ ciapa nenca me e ‘lora i m’ porta a là só. A m’arcord che i faset... Cumé dì? Trata mel! E
lou j i tulet via e j i purtet int la Roca e me i m’ tnet a lè che i m’ interoghet e pó tot la nota stuglè a
là ma tera, cun al gambi là só d’in elt e al brazi ‘csé. Lighì. Un scador a que... int e’ barbet (....) e a
m’ sfargheva a lè. E cun ona sentinela. Dop, a la matena, i m’ siujet e i m’ mandet zó a pè cun i
tedesch u j era du sentineli. Me daventi e lurit ad dria. E i m’ purtet int la roca. (Armando Faraoni 2000)
Nei giorni successivi furono ricercati altri giovani e al posto del figlio, fu incarcerata anche
Silvia Casetti, madre di Oddo Biasini.
... successe che nel ponte di Ruffio uccisero 7 persone, erano tutti marinai, ci fu una spiata,
arrivarono i fascisti e li ammazzarono tutti e Oddo Biasini fece un’azione, non mi ricordo quale,
allora i fascisti andarono a cercarlo, lui non c’era, presero sua madre, la portarono via, ma per poco.,
poi la rilasciarono. (Pietro Barducci - dattiloscritto 1983)
La “spia”, sul momento, venne identificata in Pietro Burchi, il parroco del paese, che per il
suo carattere piuttosto scontroso si era attirato parecchie antipatie e che in precedenza, era
già stato accusato di avere segnalato ai tedeschi alcuni giovani renitenti e minacciato. La notte
del 7 agosto don Pietro era stato ferito alle gambe, a colpi di mitra, da un gruppo di partigiani
e si pensò, che, per vendetta, egli avesse fatto i nomi dei partigiani della zona ed indicato ai
tedeschi i loro nascondigli. Sfollato a Casalbono, il 14 settembre venne prelevato da una
pattuglia partigiana e condotto alla sede del comando dell’8a. brigata Garibaldi, a Pieve di
Rivoschio e lì, sottoposto al giudizio dei comandanti della brigata. Ritenuto innocente del fatto
fu liberato.
3 settembre - Domenica: I bombardamenti di ieri mi hanno costretto a sfollare da Cesena e
rifugiarmi a Casalbono presso mio cognato Poloni Arturo. Ho sempre la gamba ingessata.
14 [settembre] - Giovedì: Un gruppo di partigiani circonda la casa e mi conducono, mio malgrado,
a Pieve di Rivoschio per essere interrogato dal loro comando. Mi accompagna il cognato Arturo e
certo Canali Aldo, i quali, però, prima di arrivare alla meta, vengono licenziati. L’ultimo tratto di
strada vien fatto su una treggia con cesta. Giunto verso l’Ave Maria con febbre (dopo cinque ore di
viaggio massacrante sono interrogato brevemente da un ufficiale e poi mi mettono a dormire in una
capanna sulla paglia. Mi serviranno da materazzo i cuscini che m’avevano dato da mettere sotto il
piede e di coperta la mia veste.
23 [settembre] - Sabato: Al pomeriggio sono esaminato giudizialmente da un tribunale di tre
signori, tra cui il comandante della brigata Garibaldi, Pietro [Ilario Tabarri], e tosto rimesso in
libertà. Nei nove giorni che sono restato tra i partigiani sono stato trattato bene. Rispetto, cure, buon
nutrimento. Il 19 certo dott. Maccolini di Meldola mi leva l’ingessatura e medica la gamba scrostata
in un punto, con mia grande soddisfazione. Parecchi partigiani mi visitavano spesso ascoltandomi e
consolandomi. Uno di Pieve di Rivoschio (io mi trovavo precisamente in frazione Campo Fiore,
nella casa detta Palazzo, a un’ora di cammino di distanza dalla chiesa) prese le mie parti e mi difese
in modo aperto. Le accuse erano ch’io fossi una spia dei tedeschi, che avessi fatto uccidere dagli
stessi i giovani Targhini e Medri di cui sopra, che fossi un ufficiale della Milizia, che avessi chiesto
in confessione a una mamma notizia dei suoi due figli e, avutele, li avrei fatti catturare, ecc. E’
inutile dire che soprattutto i primi giorni della mia prigionia furono di terrore. Temevo da un
momento all’altro di essere fucilato; in seguito mi accorsi di trovarmi tra uomini ponderati, decisi a
veder chiaro nella faccenda e non disposti a credere a d accuse più o meno vaghe, e soprattutto a
non agire senza la sicurezza della reità dell’accusato, e mi confortai alquanto. (Dal diario di don
Pietro Burchi - Gattolino)
In un secondo tempo si accusò una ragazza che si dice fosse stata respinta da Renato, ma la
verità non si è mai potuta sapere.
Il marchio di don Burchi [Pietro], qui, era che lui era un fascista e che lui non si è adoperato...
Perché la moglie del tabaccaio, la mattina, quando interrogavano il Targhini [Primo], il Medri
[Renato] e il Motta [Romeo], lei andò lassù che gli disse il suo marito “Dai, va là, va da e’ prit! Lo
l’à dal cnuscenzi, l’à dal ‘micizi…” e via e via… Andò su e… Lo [don Burchi] e’ get “Ah no! Non
posso far niente. Loro lo sapevano, non sono dei bambini!”. Queste furono le parole che lei
tornando a casa la get cun e’ su marid ch’l’era Piin Benvenuti. Pio Benvenuti. La i get “Ciou! Lo u
m’ à det acsé” L’Adilina la i get “Ciou! E’ prit u m’ à det quest, quest e quest…” “Osta! Mo ‘lora
cm a fasemi?”. E andarono a chiamare quello che alora era il postino che aveva due belle figlie
l’Elsa e la Venera. Che quand ona la è bela j i va dria tot. Quindi u ngn andeva sol i fasesta o i
tedesch (…) Lei era innamorata di Renato. Così almeno la gente dice. Però un dé Renato (…) u i get
un dé: “Sta bona…” Perché lui, sto Renato, in quei giorni lì era un po’ al di fuori degli altri. Vestiva
bene, aveva il gramofono, la macchina fotografica... Era un po’… E ‘lora e’ get “Va là che te t’ é
trop fasesta ch’i t’ zira da tond a ca’!” (…) Poi dopo un po’ avenne sto fatto e ‘lora j à sempra
pansè che lou j epa fat la speja. (…) Lou al s’è sempra zurèti che lou mai e’ mond a glj avreb fat
quest che que. U j è un ent chi l’eva sospetè che non era troppo serio che era di Villa Calabra (…) si
mischiva un po’ con tutti. Pelo. (Paolo Biguzzi - Incontro al Quartiere Cervese Nord del
24/04/2003)
I partigiani del gruppo Mazzini, vista la pericolosità della situazione, decisero di abbandonare
la zona e si trasferirono a Montecodruzzo, dove alcuni dei loro si erano già installati, sin dai
primi di agosto e lì, rimasero ad attendere l’arrivo degli alleati.
Le numerose perquisizioni, i rastrellamenti e le rappresaglie ci costarono la perdita di due uomini,
Renato Medri e Primo Targhini, l’arresto di altri venti, alcuni dei quali furono torturati, e la
carcerazione di famigliari di nostri organizzati resisi irreperibili. Fu perciò deciso che una
quarantina di noi, mancando le armi per i rimanenti, si concentrasse nella zona di Montecodruzzo
formando una Unità partigiana. (Dalla Relazione sull’attività partigiana militare svolta dal Gruppo
di Azione Patriottica “Giuseppe Mazzini” - in Cesena libera : note e documenti per una storia della
resistenza nel cesenate / a cura di Walter Zanotti. - Cesena, 1975)
Un giorno una spia fece inviare a Gattolino dei tedeschi. Purtroppo due nostri amici non fecero in
tempo a fuggire (si chiamavano Renato Medri e Primo Targhini): perquisiti e trovati con delle armi,
vennero fucilati immediatamente sulla soglia di casa, poi furono presi in ostaggio i genitori e i
parenti di altri ragazzi che erano riusciti a fuggire. Noi fummo più fortunati: avvertiti
immediatamente, riuscimmo a scappare e a raggiungere Monte Codruzzo. Eravamo parecchi, così ci
dividemmo in gruppi sparsi qua e là presso famiglie di contadini come sfollati, ma sempre collegati
fra di noi. (Natalina Calisesi in: Donne di Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975)
A Rimini, il rastrellamento che seguì l’attacco ad una trebbiatrice controllata
dai tedeschi portò alla cattura di diverse persone, fra queste un giovane
gappista, che sottoposto a tortura svelò l’esistenza di un gruppo, la cui base si
trovava presso i ruderi della caserma ducale. Lì, furono catturati Mario
Cappelli, Luigi Nicolò e Adelio Paglierani, poi impiccati, il 16 agosto 1944, in
piazza Giulio Cesare, a Rimini.
[Forlì] 16 [agosto] = Dopo torture e sevizie i tedeschi impiccano ad un trave incastellato, eretto in
piazza Giulio Cesare in Rimini, tre giovani, trovati in possesso di armi: Gino Cappelli di 19 anni,
Luigi Nicolò di Giuseppe di 21 anni e Adelio Pagliarani di 20 anni, studente del nostro Istituto
Industriale, la piazza è deserta il terrore è diffuso. Assassino morale dei martiri è il maresciallo di
marina Paolo Tacchi, segretario del fascio di Rimini, comandante effettivo della b.n. del luogo, per
la caccia ai partigiani in collaborazione con i tedeschi.
[Forlì] 17 [agosto] = Gli impiccati di Rimini restano esposti in piazza. (Dal diario di Antonio
Mambelli - Forlì)
Ignoti malfattori hanno commesso un nuovo atto di sabotaggio in danno della popolazione
civile che è sotto la protezione di questo Comando: una trebbiatrice da grano è stata incendiata.
Il Comando Militare Germanico della Difesa Costiera ha preso i seguenti provvedimenti.
1) Arresto di 10 ostaggi
2) Il Comando delle squadre d’Azione della Brigata Nera e il Commissario straordinario del
Comune di Rimini provvederanno a far rimborsare la somma di L. 100.000 (centomila) al
proprietario della trebbiatrice. Le 100.000 lire predette saranno versate da parte dei cittadini
abbienti indiziati per sentimenti antinazionali (...)
3) Obbligo di sorveglianza delle macchine trebbiatrici da parte del personale di macchina e dei
compagni delle squadre adibite ai lavori di trebbiatura
(...)
Essendo il secondo grave atto di sabotaggio che si verifica nell’ambito del Comune di
Rimini a distanza di breve tempo, si avvertono i cittadini che per l’avvenire, nell’ipotesi di nuovi
casi gravi di sabotaggio, gli ostaggi saranno senz’altro passati per le armi. (Dall’Ordinanza del
Comando germanico delle difesa costiera di Rimini. 12 agosto 1944. Firmato dal Comandante
Christiani. In: La provincia di Forlì nella resistenza e guerra di liberazione : immagini e documenti /
Istituto storico della resistenza. Forlì. - Forlì, 1979)
Il Comanado militare Germanico della Difesa Costiera di Rimini ha condannato a morte per
impiccagione i seguenti ribelli:
NICOLO’ LUIGI di Giuseppe - nato l’8 giugno 1922, residente a Rimini
PAGLIARANI ADELIO di Attilio - nato il 29 maggio 1925, residente a Rimini
CAPPELLI MARIO di Enrico - nato il 21 aprile 1925, residente a Rimini
colpevoli di ammassamento clandestino di armi e munizioni a fine terroristico e di reati di
sabotaggio e attentati contro cose e persone.
La condanna è stata eseguita stamane in Piazza G. Cesare. E’ doloroso che i cittadini di Rimini,
allineatisi coi nemici della Nazione, si siano macchiati di delitti contro l’integrità della Patria e
contro la stessa loro Città, che gli angloamericani hanno martoriato con 92 incursioni e colla quasi
totale distruzione.
La triste ingloriosa fine di costoro sia d’esempio e di remora a chiunque insegni che non è col
terrorismo e col sabotaggio che si difende la Patria e si cammina verso un avvenire migliore, ma col
combattimento contro l’invasore già alle porte della nostra terra, col lavoro e colla disciplina, colla
fede sino all’ultimo nell’alleanza che il tradimento di pochi non ha spezzato, poiché la nazione si
può ancora salvare solo durando sulla via dell’onore e del sacrificio. Ricordo anche che attentati e
fatti di sabotaggio comportano rappresaglie severe a carico della popolazione civile e il
prelevamento di ostaggi, sui quali, in caso di mancata scoperta dei colpevoli, le Autorità militari
germaniche eserciteranno le penalità comminate. E’ quindi delittuoso e ingeneroso da parte dei veri
responsabili esporre innocenti a queste rappresaglie che possono andare sino alla pena di morte: rappresaglie che per gli ostaggi già prelevati - e ora rilasciati - sono state revocate solo perché i
colpevoli sono stati arrestati. (Avviso del municipio di Rimini. 16 agosto 1944. Firmato dal
Commissario straordinario Ughi - In: La provincia di Forlì nella resistenza e guerra di liberazione :
immagini e documenti / Istituto storico della resistenza. Forlì. - Forlì, 1979)
I tre impiccati a Rimini erano lì [in prigione a Forlì]. E io li ho riconosciuti, si immagini un po’,
dopo tanti anni facevo parte del comitato federale della federazione giovanile comunista e andai a
Forlì a una riunione. Mi trovai davanti nel corridoio le fotografie dei tre impiccati. Erano tre (...) che
facevano parte del gruppo di, di coso... di Edo Bertaccini, che erano stati presi armati a Rimini e poi
sono stati impiccati in piazza e adesso la piazza Tre martiri è intitolata a loro. Io rimasi scioccato da
queste fotografie. Io non sapevo che fossero morti. Non lo sapevo. L’ho saputo dopo tanti anni
insomma. (Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001)
I tre erano stati partigiani dell’8a. brigata Garibaldi, nella squadra comandata da Edo
Bertaccini. Fatti prigionieri durante il rastrellamento d’aprile, che distrusse l’8a. brigata
Garibaldi e condannati alla deportazione, erano fuggiti dal treno che li stava portando in
Germania, nei pressi di Faenza. Quindi, fatto ritorno a Rimini, erano rimasti nascosti.
Quii... quii ad Remin, trì. J era scapè... j era scapè che j i mandeva in Germania. J era scapè dria a
Faenza che j aveva cavè un’èsa d’int e’ vagon de’ treno. J era scapè e j i à ciapè armè in piaza a
Remin e j i à impichì a Remin. J è stè piò ad quarenta-zinquenta dé ad dentra in galera cun nun (...)
a lé [a] la roca a Furlé (...) Capelli [Mario Cappelli] un u s’ ciameva. (Vittorio (Quarto) Fusconi 2001)
Il 19 di agosto, presso il ponte di Ruffio, vengono trovati i corpi di otto ragazzi
fucilati: Arnaldo Gazza, Romano Giorgetti, Rino Liverani, Dino Ricci, Giuseppe
Poggiali, Angelo Prodi, Sascia Hakim, Guglielmo Zanuccoli. I più vestono la
divisa da marinaio.
Io, in ferrovia, andai in servizio in stazione di Gambettola, [lungo la strada] ho trovato i partigiani
fucilati sul ponte di Ruffio, quattro di qua e quattro di là... (Jaures Amadori in: che tutti i giorni ne
morivano tanti come c’è la malattia delle galline : 1940-1945 / Istituto per la storia delle resistenza e
dell’età contemporanea. Ufficio di Cesena. - Cesena, [1999])
19 [agosto] - Questa notte presso il Ponte di Ruffio i tedeschi hanno ammazzato otto individui, che
pare siano marinai italiani. Trovati sul far del giorno legati insieme. (Dal diario di don Pietro Burchi
- Gattolino)
Mi ricordo un giorno al ponte di Ruffio, vennero uccisi dei soldati. 7-8 furono fucilati sul posto,
perché trovati lì fuori orario. (Urbano Danesi - dattiloscritto 1984)
Ero in giro per Cesena, eravamo fuori dall’Arrigoni con un permesso dei tedeschi che era il famoso
permesso scritto in tedesco per la bicicletta, che non te la portassero via e questo si adoperava un
po’ sempre (…) , che era un renitente di leva e questo permesso ci permetteva certi contatti… certi
incontri… (Edoardo Gazza - dattiloscritto1984)
19 agosto 1944 - Stamani, chi veniva dalla strada di Cesenatico, verso Cesena, poteva vedere 8
corpi di giovani italiani uccisi, sul ponte di Ruffio. Erano vestiti da marinai. A quanto riferiscono,
sono stati fucilati stanotte dai tedeschi, trattandosi, secondo questi di ribelli. La città freme di
sdegno e di pietà. Si erano presentati il giorno prima al parroco di Ruffio, chiedendo del pane. I
corpi disgraziati erano crivellati di ferite.
20 agosto 1944 - Degli otto italiani uccisi ieri notte, raccontano che i più erano di stanza a Ravenna
e qualcuno di Cesenatico, fra cui un Maresciallo di porto. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena)
In agosto, a Cesenatico avviene la fuga di otto marinai in servizio, capeggiati dal Sergente Poggiali
di Ravenna, amico di mio fratello, più volte stato a casa mia a Gattolino. Il 18 agosto fanno sosta
presso una casa al Ponte di Ruffio. Durante la notte, salvi i due di guardia che si danno alla fuga,
vengono massacrati, non si sa bene da chi, trovati al mattino gli otto marinai quasi irriconoscibili.
(...) resta un mistero la strage, forse una spiata. (...) Non pare che fossero state le SS di stanza a
Macerone, e nemmeno i fascisti di Cesena, secondo alcune testimonianze, pare quelli di Forlì. (Da:
Memorie di Cesenatico / Lazzaro Rossi - dattiloscritto 1988)
[Forlì] 4 [settembre] = I tedeschi in una casa colonica di ponte Ruffio (Cesena), uccidono otto
marinai italiani che avevano abbandonato il servizio in Cesenatico per raggiungere i partigiani sui
monti di Verghereto e le linee alleate. Non riusciti nel tentativo vagano nelle campagne
rifocillandosi presso i contadini: non hanno opposto resistenza alla cattura. (Dal diario di Antonio
Mambelli - Forlì)
Nel gennaio del ’44 un gruppo di giovani di leva si rivolse al maresciallo Giuseppe Poggiali,
comandante del semaforo militare di Cesenatico, perché questi si adoperasse per farli
rimanere vicino a casa. Poggiali ci riuscì ed i giovani restarono in zona come addetti ai
semafori militari di Cesenatico e di Porto Corsini. Tutto andò liscio sino alla metà di luglio,
quando il comando tedesco decise lo smantellamento dei semafori militari. Di fronte alla
prospettiva di partire per il nord, il maresciallo Poggiali e i suoi uomini, decisero di disertare e
si diressero a Filetto di Ravenna, dove rimasero nascosti nella casa della famiglia Prodi.
Nel gennaio 44, un gruppo di giovani di leva anziché prestare servizio militare fuori zona, si
rivolsero al Maresciallo Poggiali [Giuseppe] Comandante del Semaforo Militare di Cesenatico per
essere inquadrati nel servizio militare Marittimo di questa zona. Il gruppo fu immediatamente
inviato a Venezia per fare figurare la loro appartenenza alle forze Armate della R.S.I. - Dopo alcuni
giorni di permanenza a Venezia, il gruppo venne trasferito al Semaforo Militare di Cesenatico e di
Porto Corsini, sempre al comando del Maresciallo Poggiali. La loro permanenza a Cesenatico si
protrasse fino alla metà del luglio 44. In seguito alla avanzata delle truppe alleate provenienti dal
Sud, il Comando Tedesco decise lo smantellamento dei Semafori Militari, in conseguenza di ciò, gli
addetti al servizio militare marittimo furono avvisati dai rispettivi Comandanti che si doveva partire
per il Nord sempre nel servizio militare. Di fronte a questa nuova prospettiva, il Maresciallo
Poggiali ritenne giunto il momento di rifiutarsi assieme ai suoi militari di prestare servizio
permanente nelle Forze armate della R.S.I. Infatti propose ai suoi uomini di organizzare la
diserzione; così fu deciso, prepararono un motofurgoncino con i relativi zaini per raggiungere la
zona di Ravenna, mentre stavano per partire arrivò una pattuglia tedesca la quale non era certamente
a conoscenza delle intenzioni della diserzione del gruppo, invitò i marittimi a seguirli al Comando
che si trovava di stanza alla “Villa Bianca” in Viale dei Mille a Cesenatico. Mentre il motofurgone
sostava davanti al Comando Tedesco, il Maresciallo Poggiali si rivolse ai militari chiedendo se
avevano fame, gli interessati un po’ perplessi risposero subito di sì, avuta questa risposta il Poggiali
si rivolse alla Sentinella del Comando Tedesco chiedendogli il permesso di poter andare con i suoi
uomini a prendere un po’ di pane al vicino forno, la sentinella acconsentì e immediatamente il
Poggiali mise in moto il motofurgone dirigendosi per la strada di Montaletto di Cervia per la meta
destinata che era la zona di Filetto di Ravenna nella casa colonica della famiglia Prodi. (Gino
Gusella in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della resistenza nel territorio del
Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988)
24 [agosto] - Erano marinai di stanza a Cesenatico, che i tedeschi volevano fare andare a Venezia,
ed essi scelsero di fuggire. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
Partimmo da Cesenatico con un furgone di tipo Benelli. Eravamo in sette, compreso un tedesco,
scaricato poi a un certo punto. Strada facendo facemmo rifornimento di viveri, con difficoltà in
quanto erano razionati. Arrivammo quindi a casa Prodi assistiti in tutto per tutto. Ci aiutarono a
nascondere il furgone coprendolo di terra e offrendoci da mangiare. (Tonino Magalotti in: La scelta
: odissea di otto marinai a Ponte Ruffio di Cesena - Filmato a cura dell’ANPI di Cesenatico)
In agosto i rastrellamenti divennero più frequenti e la zona di Filetto troppo pericolosa. Il
gruppo, quindi, decise di spostarsi in montagna per aggregarsi all’8a. brigata Garibaldi. Il
maresciallo Poggiali, tramite il partigiano Gino Ricci di Cesenatico e Fariselli da poco
divenuto comandante di zona, prese contatto con Aldo Fusconi di Ronta, responsabile dei
collegamenti fra la 29a. Gap e l’8a. brigata.
Per sfuggire ai rastrellamenti che da tempo erano molto frequenti, di giorno ci nascondevano fra i
frutteti. Ma allora c’era anche la canapa, che serviva bene la canapa. In quanto poi a dormire si
andava dove si poteva: fra i cespugli, i frutteti... nascosti. (Tonino Magalotti in: La scelta : odissea
di otto marinai a Ponte Ruffio di Cesena - Filmato a cura dell’ANPI di Cesenatico)
Qui i disertori vi rimasero per circa un mese, poi quando la permanenza a Filetto si era fatta
impossibile causa i continui rastrellamenti dei nazi-fascisti, tramite il partigiano Ricci Dino di
Cesenatico ed il Maresciallo Poggiali e Fariselli, si decise di raggiungere la zona operativa dell’ 8°
Brigata Garibaldi... (Gino Gusella in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della
resitenza nel territorio del Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico,
1988)
Il M.llo Poggiali ci rifugiò presso i suoi parenti a Filetto per un paio di mesi, ma la situazione era
ormai insostenibile. (Gino Gusella in: Ebrei in Romagna : 1938-1945. Dalle leggi razziali allo
sterminio. - Ravenna : Longo, 1991)
Aldo Fusconi incontrò il gruppo dei marinai a Montaletto per un primo approccio. I marinai
si presentarono armati e in divisa fingendo di essere ancora in servizio per potersi spostare
sulle strade senza problemi. Non conoscendoli direttamente, Fusconi si riservò di prendere su
di loro ulteriori informazioni e li consigliò di ritornare da dove erano erano venuti, una volta
sistemate le cose, avrebbe poi trovato lui il modo di avvertirli.
Me... u j era un maresial ad Ravena e j i era set-ot suldè, u m’ pè, ch’i vleva andè só in muntagna.
Eva ‘vu un colegament cun lou a qua a e’ Muntalet. Alora lou i vleva savei un presapoch cum l’era
a là só... Degh “Stasì da santì no’ v’cardì che andiva a là só... ch’andiva int ona caserma cum a si
a Ravena. A là só pó” degh ”andì a là sota tra la pgneda... o durmì int ona stala o...”. Lou j aveva
intenzion d’andè só... Ch’j aveva la Moto Guzzi... d’andè só cun la Moto Guzzi. “Un s’ pò andè só.
Gnenca armè!”. Alora in che mument che lè i s’ mandeva sò disarmè, i s’ mandeva sò. “Gnenca
armè”. Degh. “Comunque vuit ades andè zó a Ravena, andè... e pó me a m’ incarich ades ad tó
un’infurmazion e quand a sarò pront... vuit no’ v’ spustì da Ravena. Stasì lè. ‘Pena ch’a sò pront a
v’ e’ mand dì me”. (Aldo (Lorenzo)Fusconi - 1998)
Poi un giorno si fermo un furgone di marinai parlarono con Aldo e poi furono fatti allontanare era
troppo pericoloso Ronta e la via Ravenate. Poi abbiamo saputo della strage di Ruffio (Intervista a
Iolanda Ugolini, Atos e Gisella Fusconi, manoscritto di Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001)
La Vicenda dolorosa dei Marinai di Cesenatico mandati a Ronta per avere il lasciapassare per
andare in montagna, Fusconi Aldo era responsabile del Collegamento fra la 29.B.GAP e la
Garibaldi, si fermarono a Ronta col loro furgone in piedi Vestiti di Bianco, cosi era impossibile
superare i posti di blocco nazifascisti, Aldo li consigliò di andare Via subito di li perché troppo
Pericoloso, e li aveva invitati ad andare a Longiano da una famiglia sicura. L’ufficiale mostro un
lasciapassare e sentendo lui poteva andare dove Voleva, non andarono a Longiano nella casa sicura
e si Fermarono a Ruffio, la solita spiata e le belve fasciste commettono l’ultimo massacro. (Vittorio
(Quarto) Fusconi - manoscritto 2001)
Giornata molto calda ad Agosto inoltrato verso le tre del pomeriggio ci accorgiamo di una cosa
insolita, un furgone pieno di marinai in piedi nel cassone si fermarono nella strada davanti alla
borgata di Ronta II e chiedono con noi ragazzetti dove poter trovare Aldo Fusconi noi ci
guardammo bene dal dirlo eravamo abituati oramai a quei furgoni che venivano giù e caricavano
nella borgata tutti, bambini donne e vecchi portati a cesena e interrogati da Garafoni e altri. Ma il
comandante sese dalla gabina e ci disse che loro volevano andare in montagna, e questo non era
possibile senza il consenso di Aldo perche era l’ufficiale di collegamento con 8° B. Garibaldi, allora
uno di noi ando dietro alla Borgata e trovo il gruppo di Gapisti che erano nascosti vicino a un
rifugio, Dino riferì dei marinai loro si divisero a ventaglio per evitare eventuali sorprese (...) Con
una certa cautela Aldo Fusconi coperto dalle armi dei GAP si avvicino al ufficiale, sentito la
richiesta rispose che in quelle condizioni non era possibile andare in montagna, che necessitavano
vestiti in Borghese perche così non sarebbero mai passati fra le maglie nazifasciste, detto questo li
invito di lasciare subito la strada di appartarsi dietro alle case. Quindi furono chiesti da chi erano
stati indirizzati a Ronta molto controllata dai Fascisti, il comandante disse che era in contatto con
dei pescatori che erano venuti a Ronta con le barche per pescare i corpi dei giovani gettati nel fiume
fra i pescatori cera un cugino dei Fusconi pero lui era di Cesenatico, e loro col furgone vennero da
Cervia? Aldo disse loro che prima di tutto dovevano lasciare la zona subito diede il consiglio di
spostarsi a Montiano zona tranquilla, il giorno dopo avrebbero iniziato il cammino per mettersi in
contatto con gl’uomini della 8° Garibaldi. (Da: I marinai assassinati a Ruffio / di Vittorio (Quarto)
Fusconi - manoscritto 2001)
Le informazioni sui marinai sarebbero dovute arrivare a Fusconi attraverso l’ostetrica di
Piangipane, ma le informazioni tardavano ad arrivare.
E ‘lora u j era la belia ad Pienzpen ch’la daseva a glj infurmazion sora a quist che que. E ‘lora sta
belia l’an à incora mandè nisona infurmazion. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983)
Tino: Sté barbir de’ Zeznatich [Fariselli...] l’era quel ch’e’ duveva purtè só agli infurmazion da la
belia... da la levatrice ad San Zaccaria... par dè e’ benestare che dé ch’j aveva d’avnì só pr andè só
in muntagna, i mariner. (Tino Fusconi -1998)
Probabilmente le informazioni riguardanti i marinai avevano preso una strada diversa da
quella prevista. Il 14 agosto, un messaggio che sicuramente riguardava anche il gruppo dei
marinai, transitò per Case Frini, nascosto fra i capelli di una donna e raggiunse Macerone, da
dove, poi, avrebbe dovuto arrivare a Cesenatico.
Il 14 Agosto 1944, arrivò al nostro comando un ordine (ciclostilato) della massima importanza,
dopo averne [p]reso visione era da inviare al distaccamento di Macerone, e poi a sua volta lo
dovevamo passare a Cesenatico. Leggemmo detto documento e poi incaricammo la nostra staffetta
di portarlo a destinazione, fu ripiegato e rotolato per ridurlo al minimo volume e per mezzo di uno
spillo lo nascondemmo fra i capelli di una donna che subito partì. L’aspettai con ansia per sapere se
l’importante documento fosse arrivato a destinazione. L’attesa fu snervante e lunga. Finalmente la
vidi arrivare sorridente, capii che era andato tutto bene. La mattina del 18 Agosto [no, del 19]
sapemmo di un’orribile e mostruoso fatto che era accaduto nella nostra zona, 8 Partigiani erano stati
fucilati sul ponte di Ruffio da fascisti. Subito una nostra staffetta fu inviata sul posto per prendere
visione dell’accaduto, lo spettacolo che le si presentò agli occhi la fece inorridire, erano stati
massacrati senza pietà. Si trattava dei nostri compagni Partigiani e precisamente: GAZZA
ARNALDO – GIORGETTI ROMANO – LIVERANI RINO – RICCI RINO – M.LLO POGGIALI
GIUSEPPE – PRODI ANGELO – SASCIA AKIM – ZANUCCOLI GUGLIELMO – Erano diretti
in montagna all’8 A. BRIGATA GARIBALDI. Le disposizioni scritte nella predetta circolare
importante, parlavano anche di loro. (dattiloscritto di Nello Sanulli riportato in: Documenti per una
storia della resistenza in Provincia di Forlì. – Comune di Cesena / ANPI. Forlì, ISR Forlì. – Forlì,
[1983?])
I marinai, ricercati come disertori, avevano fretta di andarsene e dopo essere stati respinti da
Aldo Fusconi, presero nuovamente contatto con Fariselli. Questi, invece di aspettare la
documentazione necessaria, li inviò nuovamente da Fusconi, che sapeva trovarsi a Badia di
Longiano, assieme ad un altro compagno, Antonio Zoffoli, in attesa di un partigiano da
accompagnare in brigata. I due vennero a sapere solo all’ultimo momento, dal partigiano che
li aveva appena raggiunti, che dietro di lui stava arrivando anche il gruppo dei marinai e
vedendoli, in divisa ed armati di tutto punto, Fusconi e Zoffoli pensarono immediatamente ad
un tradimento e si spaventarono. Poi l’equivoco si chiarì.
Un dé a sò là só sempra dria ‘d sta cisina (...) un de’ Ziznatich [Fariselli] e’ get [che] l’eva un da
mandè só. A degh “Sé. Mandal só”. Alora e’ ven só stu e pó e’ fa “Guerda ch’i ven só nenca i
mariner”. A lè d’un moment a vegh avnì só sta squedra. J aveva dó Guzzi, cun sté furgon, cun tot
sti mitro... Me avet una paura! A sema me e sté Turin de’ Bosch. E Turin de’ Bosch, sté Zoffoli
[Antonio], l’era un mi aiutent, parchè a n’ vleva ciapè, parché degh “A là l’è stredi ch’a n’ li
cnos...”. E get “Te ciapa e me dop a i vengh me cun te a fet streda, a cumpagnet”. (...) L’era un mi
aiutent. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983)
I marinai avevano fretta di andarsene ma il problema restava: Fusconi, senza adeguate
informazioni sul loro conto, per ragioni di sicurezza non poteva accompagnarli in brigata. Li
consigliò quindi di ritornare a Ravenna, da dove pensava provenissero, che al momento giusto
li avrebbe fatti avvisare. Questi insistettero e dissero di voler rimanere in zona, magari
nascosti in una casa da lui indicata. Anche questo non si poteva fare. Fusconi non poteva
indicare nessuno che li potesse aiutare, perché, senza ulteriori informazioni sul loro conto, non
poteva rischiare di mettere in pericolo altri compagni e continuò ad insistere perché
ritornassero a Ravenna. Poi Fusconi andò a riferire al comando come si erano svolti i fatti.
Alora u j era nench sté Turin [Antonio Zoffoli] a lè che dé. A lè dria a la cisa e e’ fa “Dì. Cm a s’
fal a que?” “Puren, me a n’ i pos mandè invel. Me a n’ i pos mandé só!” “Dì. Que burdel... vuit
l’onica cosa l’è ch’andiva dlet a Ravena, du ch’a si duvnù. A gi ch’a putì zirè ch’a si in piena
regola. Sa si in regola andì dlet a Ravena che ‘des apena pusebil a v’ mand a ciamè... a v’ mand”.
“Mo no. A n’avì una ca’ ch’a cnusiva, ch’a putama andé?” “Me” degh “dal ca’ a n’ n’ ò .” Me a
n’ pos a mandei int una ca’, una squedra acsé che a n’ e’ sò chi ch’i s’ sia. Che e’ maresial
l’aveva... sé... u n’ aveva una gran nomina. Parchè prema j era a Ziznatich. Alora i s’ inveia e
[incomprensibile] i s’ aferma a lé al Casoni, prema de’ Masron (...) e i va lè in sta ca’. U j è una
ca’ a lè, i va lè... Me alora a vagh sobit [a e’ cmand]. Chi j era a lè? U j era Oddino Montanari un
chep (...) u j era Barbieri [Ernesto]. Alora a vagh da lou e a i cont (...) A Degh “J eva d’avnì só
quand che me aveva l’ordin da Ravena, lou j è vnu só incua. Me” degh “a ngn’ j ò putù mandé só”.
“Te fat ben, te fat!” i fa “E ‘ndu j et mandé?” “A j ò det ch’i s’ vaga a ca’. A Ravena”. Inveci mo,
lou i s’ farmet a lè da sté cuntaden. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983)
Vittorio: (...) e tu ba’ u n’i puteva mandè só.
Tino: No! No! Mandè só no! Lo u n’i puteva mandè só.
Vittorio: L’era lo. L’era e’ su ba’ e’ responsabil dei collegament per l’8a. brigata Garibaldi e la
29a. Gap. (Tino e Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998)
A questo punto le testimonianze si fanno confuse, perché Gino Gusella, uno dei due
sopravvissuti di quel gruppo, racconta le cose diversamente da Aldo Fusconi, affermando che
la guida che incontrarono a Badia, li consigliò, sì, di tornare a Cesenatico per rifornirsi di
armi, ma non di rimanervi, in attesa istruzioni. Anzi, racconta che fu loro fissato un
appuntamento preciso, per il 18 agosto, a Ruffio, dove una staffetta sarebbe rimasta ad
attenderli dalle 10 del mattino sino a mezzogiorno. Ma a Badia incontrarono Aldo Fusconi e
questi nega di aver parlato loro in tal senso. Allora chi può averlo fatto? Forse si videro
nuovamente con Fariselli e potrebbe essere stato lui a fissare quell’appuntamento. Se così
fosse, si potrebbe anche spiegare come, Fariselli, una volta catturato dai fascisti, fosse in grado
di rivelare il nascondiglio dei marinai.
... così avvenne, raggiungendo come prima tappa di trasferimento la zona di Badia di Longiano, lì
furono ricevuti da una staffetta la quale li doveva accompagnare fino a Pieve di Rivoschio. Prima di
partire la staffetta, constatando che il gruppo non era sufficientemente armato, li consigliò di recarsi
a Cesenatico per rifornirsi di armi; così fecero raggiungendo di notte il punto prestabilito che era l’
essiccatoio vicino al Palazzone dove era sfollata la famiglia del Gusella, si rifornirono delle armi
necessarie dopodiché si avviarono in direzione di Ruffio di Cesena dove ad attenderli ci doveva
essere una staffetta che poi non si fece trovare, dalle ore 10 del mattino alle ore 12 del giorno
18/08/44, si fermarono in casa del colono Pieri alla destra del Ponte di Ruffio, in questa casa furono
raggiunti da altri tre partigiani dei quali un ebreo, in totale gli ospiti della casa colonica erano dieci.
(Gino Gusella in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della resistenza nel territorio
del Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988)
In un’altra testimonianza, lo stesso Gusella, afferma che l’appuntamento non era a Ruffio, ma
presso una casa colonica di Badia e lì e non a casa del colono Pieri di Ruffio, si aggregarono al
gruppo Arnaldo Gazza, l’ebreo Sciascia Hakim e un terzo giovane renitente. Ma i tre non
potevano trovarsi lì per caso, qualcuno doveva averceli indirizzati? Chi? Fusconi? Fariselli?
O qualcun altro? La loro provenienza (Bellaria e Cesenatico) fa pensare ancora a Fariselli. E
la guida che dovevano incontrare i marinai chi era? E perché non si presentò? Forse, la guida,
ancora una volta, avrebbe dovuto essere Aldo Fusconi, che, spaventato dalle possibili
conseguenze della cattura di Fariselli, avvenuta nel frattempo, preferì, invece, tenersi alla
larga, trascurando così di avvisare il gruppo del pericolo. Fusconi, che era in attesa di ordini,
forse li aveva ricevuti proprio quello stesso giorno, da Fariselli, che, in mattinata, si era recato
a casa sua e poi era stato catturato dai fascisti sulla via di casa.
Il 17 agosto 1944 ci portammo con un motofurgone verso la zona della 19a. [29a.] Brigata Garibaldi
a Badia di Cesena; si unì a noi un gruppetto di tre giovani, uno di Bellaria, uno di Cesenatico e
Sciascia (Isaak) Hakim che erano nascosti nella zona. Essendo quasi disarmati, fummo rinviati al
porto a prendere delle armi per ritrovarci la mattina dopo in una casa colonica di Badia ove ci
avrebbe atteso una guida. Ma la guida per tutto il giorno non si vide; in serata decidemmo di cercare
di attraversare il fronte - eravamo ancora in divisa militare. (Gino Gusella in Ebrei in Romagna :
1938-1945. Dalle leggi razziali allo sterminio. - Ravenna : Longo, 1991)
Difficile sapere come andarono veramente i fatti. Quello che sembra certo è, che prima di
essere segnalati a Ruffio, i marinai passarono per Ronta. Quando? Il 17 verso sera mentre da
Badia di Longiano stavano facendo ritorno a Cesenatico? O la mattina del 18 andando nella
direzione opposta? Ma se, come si pensa, erano in cerca di Fusconi e se Fariselli, fu catturato
dai fascisti nel primo pomeriggio del 17, possibile che nessuno abbia pensato di avvertirli del
pericolo cui stavano andando incontro?
Dop, clet dé, lou i pasa da que. I fa e’ zir ch’i m’ zarcheva a me pó, i m’ zarcheva. I n’ um truvet.
(Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983)
Tino: Dop i mariner j avnet só d’l’istes. A l’ò sempra int la ment. Ch’j avnet só da Ronta.
Vittorio: Amo i zarcheva e’ tu ba’.
Tino: J aveva un furgon nenca lou. Dó Guzzi. Alora s’ eral la VV? Tot in divisa. I paset da Ronta.
Che e’ mi ba’ a l’ò sempra santì cuntè “Me cun lor a m’ sò incuntrè la só ‘dri Ronta. Però a j
aveva un po’ ad sudizione nenca me parché aglj infurmazion... lou i vleva andé só in muntagna.
Nun in muntagna a ngn’ i putema mandè senza l’es sicur. Quand j é là só un grop ad set o ot
personi. Armè cum j é...” J aveva du mutur, du mutur... un furgon e ‘lora diciamo “… nun... a s’
putem... nun a sam regoler”. E’ cmandent di mariner e’ get “Nun a sam regoler“ e alora sa faset?
I s’ farmet int ona ca’...
Vittorio: Ma... [u] j cunsigljet d’andè só vers a Lunzen...
Tino: Lou i s’ farmet a Rofia.
Vittorio: Invece i s’ farmet a Rofia. (Tino e Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998)
Quei marinai lì passarono da Ronta a cercare il mio zio Aldo perché lui era responsabile di
collegamento con l’8a. brigata Garibaldi. Non lo trovarono e poi dopo ricevettero l’ordine di andare
su verso... coso... verso Montiano... verso Montiano. Perché non potevano mandarli su. Perché era
successo che in un primo momento con la Garibaldi avevano subito una perdita enorme perché
s’erano infiltrati dei fascisti e alla mattina li trovavano che i partigiani quei gruppi che si dividevano
in cinque-sei, li trovavano morti e loro non li mandavano più su a casaccio ma volevano sapere chi
erano. E allora questi qui insomma (...) erano dieci, sul furgone, in piedi, erano molto vistosi. E
allora furono consigliati di andare su. Andarono su e poi, dopo, la sera tornarono giù, lì dove li
hanno uccisi, a Ruffio. Una spiata li ha cosati lì. E’ stato un disastro (Vittorio (Quarto) Fusconi 1998)
Parché [i marinai] j avnet só, j avnet a Ronta da e’ por Fusconi (..) e me a mi atruvet nenca me a là
zó [a Martorano]. (Otello Sbrighi- 1998)
Tempo prima Fariselli voleva portare giù dei giovani di leva che volevano andare su in montagna.
Erano marinai, ricordo che li vidi passare, ero stato a Ronta alla riunione di Fusconi [Duilio]
responsabile di quella zona. (Otello Sbrighi - dattiloscritto 1983)
Però, quando il gruppo dei marinai fu visto passare da Ronta forse non era in cerca di Aldo
Fusconi, come lui poi pensò successivamente, ma di un loro compagno, Urbano Rossi, amico
di Poggiali, che avrebbe dovuto fuggire con loro ma che si era fermato a Ronta, per salutare la
famiglia. Dopo tutto, i marinai, come potevano sapere dove trovare Fusconi? Lui, così attento
a rispettare le regole della clandestinità, di certo non aveva lasciato il suo indizzo.
Mio fratello Urbano era sottufficiale di marina, stretto amico del Poggiali di Ravenna, che veniva
spesso in moto a casa nostra a Gattolino, secondo me una perla di giovane. Orbene, io stato assente
per sette anni da prima della guerra, ormai il fronte alla Linea Gotica, Urbani di servizio a Rimini,
stato sepolto due volte dai bombardamenti, si ritirò a Cesenatico, dove prestava servizio l’amico
sottufficiale Poggiali. Venne l’ordine di rientrare in sede a Venezia, ma Urbano volle prima andare a
salutare i genitori a Gattolino e la moglie Maria Benaglia, a Ronta con figliolini, nipote del parroco.
(...) Da Cesenatico partirono con un furgone Poggiali e diversi marinai, in sosta poi al Ponte di
Ruffio, secondo la logica in attesa di Urbano Rossi. (...) Corsa subito la voce dell’eccidio, il fratello
Urbano [Rossi] non si mosse da Ronta, ma giorni dopo, lui nascosto nella soffitta della chiesa,
giunsero i fascisti a cercarlo, minacciata di morte la moglie Maria, che si mise ad urlare. Urbano
venne giù e si presentò, subito preso, a Cesena caricato con altri su autocarro per raggiungere
Venezia. A Ponte Lagoscuro trovarono la strada sbarrata, può darsi dai tedeschi, e Urbano riuscì a
scappare, poi ritornato a Ronta, rimasto nascosto fino alla liberazione. (Da: Memorie di Ruffio /
Lazzaro Rossi - dattiloscritto 1990)
La sera del venerdì, 18 agosto, il gruppo è segnalato nei dintorni di Ruffio. E’ lì, in una casa di
contadini, i Pieri, vicino al ponte, che i marinai decidono di passare la notte.
24 [agosto] - Venerdì 18 sul tardi si presentarono al parroco di Ruffio, D. Egisto Barbanti, alcuni
marinai chiedendo pane; si ebbero in risposta che del pane in canonica ce n’era al massimo per uno
o due: cui quelli soggiunsero: ve ne avrete a pentire. Si rivolsero poi ad altri e, infine, si fermarono
dal colono ch’è tra il ponte e il camposanto e mangiarono e bevettero, avendo con sé l’occorrente
senza cioè voler niente dall’ospite. Consumato il pasto, malgrado il manifestato dolore del
contadino, si posero a dormire sotto il portico, non senza aver messo uno di guardia. (Dal diario di
don Pietro Burchi - Gattolino)
Come mai il comandante non ando nel posto prestabilito e si fermo a pochi chilometri da Cesena in
una strada battuta da tedeschi e fascisti? Lui aveva esibito un lasciapassare che nessuno lo avrebbe
fermato ma le spie cerano a Ronta. Bagnile, S. Giorgio la casa circondata il comandante sibi il suo
lasciapassare ma come era stato avvertito non servi furono massacrati dalla Banda Garafoni nella
notte, si salvo uno di loro rimase coperto dai corpi dei suoi conmpagni. Nell’ambito della [vicenda]
Vi furono accuse perche non si diede il lasciapassare ai marinai, ma cosi vestiti tutto di bianco sopra
quel furgone dove sarebbero arrivati? Erano successi casi lasciati passare con troppa leggerezza
fascisti travestiti avevano massacrato il gruppo assegnato, e i casi non furonopochi. Di chi la
responsabilita del ufficiale di collegamento Con 8° Brigata Fusconi Aldo, o piuttosto del ufficiale
che sentendosi sicuro col permesso in suo posesso commise una leggerezza pagata con la vita? (Da:
I marinai assassinati a Ruffio / di Aldo (Quarto) Fusconi - manoscritto - 2001)
Mia sorella Maria, andata a fare spesa a Ruffio, notò un marinaio, che era andato a bussare alla
canonica per avere un po’ di pane, ma Don Barbanti non ne aveva. Si avvicinò e chiese del fratello.
Quello seppe dirle che dovevano rientrare a Venezia, e che Poggiali e Rossi volevano ubbidire agli
ordini, ma loro no, pensato di scappare in montagna coi partigiani. Maria gli regalò mille lire. (Da:
Memorie di Ruffio / Lazzaro Rossi - dattiloscritto 1990)
Ma perché a Ruffio e non a Badia, o dintorni, dove sembra si fossero fermati in un primo
momento e dove, probabilmente, erano stati indirizzati da Fusconi e dove, comunque,
avrebbero potuto trovare degli aiuti? A Ruffio, a quanto risulta, non c’era nessuna casa base
che facesse capo all’organizzazione partigiana. Lì, forse, come sospetta, Lazzaro Rossi, i
marinai erano in attesa di Urbano Rossi, che doveva fuggire con loro e che lì, a Ruffio, aveva
anche una sorella, Maria.
Da Cesenatico partirono con un furgone Poggiali e diversi marinai, in sosta poi al Ponte di Ruffio,
secondo la logica in attesa di Urbano Rossi (Da: Memorie di Ruffio / Lazzaro - dattiloscritto 1990)
Intanto, nella tarda mattinata del 17, Fariselli, il comandante della zona di Cesenatico,
recatosi a Ronta da Aldo Fusconi, viene preso dai Fascisti. Un caso? Una spiata? Una finta
cattura? Comunque, sia che fosse un infiltrato o perché costretto con la violenza, Fariselli
parlò e fece i nomi di diverse persone: quelli dei suoi compagni di Cesenatico, quello di
Scevola Franciosi, con cui sicuramente aveva avuto dei contatti e di altri; rivelò dov’era il
deposito delle armi e dell’esplosivo, che lui stesso aveva collaborato a nascondere, a Ronta, a
casa dei Buccelli e molto probabilmente, diede anche indicazioni su dove poteva essere
nascosto il gruppo dei marinai in fuga.
Alora, a la matena, e’ ven quel de’ Ziznatich. E’ ven zó pr avnì que ca’ mia. Quand ch’l’è lè da cla
ca’ che lè u l’ ciapet i fasesta, u l’ ciapet. Alora lo e’ freghet gnacuel... Quel de’ Ziznatich. (...) A la
nota i vins a lè e i mazet tot [j mariner]. U s’ un saivet un, u m’ pè (...) [Fariselli] l’era un pez che al
cnuseva me. Mo però me... u m’ daseva di suspet. Che poteva avere (...) una trentina d’anni (...) mo
comunque l’era un ch’u n’ um piaseva a me. Parchè u m’ la faseva tropa fazila... tropa. E’ a i
l’aveva det me cun i nost dirigint A i get“Guerda che me Farisel u n’ um pis una masa!”. E
verament u i caschet in entar e e’ faset amazè tot quii che là só e e’ faset lighì tot cal burdeli da
que, e’ faset. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983)
Me a cnusceva tot i partigen da que. (...) Ricci Fabio, i Campena, st’Odino Montanari a qua... quii
ad Ziznatich parché j avniva a ciapè j ordin da qua. Il comando. Dop i daset e’ cmand a... cm a s’
ciameval a là... l’è quel ch’u j à fat amazè tot... i puret. L’è ‘d Fur[lé]... il ciapet, e’... get gnacuel...
sotto pressione... Fariselli. [Ma di che zona aveva il comando?] Ad Zeznatich... Parché [i marinai] j
avnet só, j avnet a Ronta da e’ por Fusconi (...) e me am j atruvet nenca me a là zó. Sé. I mariner...
E lo sapevo che e’ chep l’era lo. A savami gnacuel. Lo i l’à da ‘vé ciapè e preso alle strette (...) l’à
det qualche cosa che l’à compromes gnacuel... Dop j i mazet a là zó a e’ pont ad Rofia. (Otello
Sbrighi - 1998)
Vittorio: Ta t’arcurd di mariner? (...)
Tino: A l’ò int la ment che.... Quel e’ fo’ una zoiba [Giovedì 17], a sami a magné atorn a la [tevla]
e’ magnet a ca’ mia e’ barb... il ciameva e’ barbir de’ Zeznatich. Dop, me u n’ é ch’a saves st’al
cosi che que, dop, me a l’ò santì parché e’ mi ba’ [Aldo Fusconi] al santiva a ciacarè. Ste barbir
de’ Zeznatich l’era quel ch’e’ duveva purtè só agli infurmazion da la Belia... da la levatrice ad San
Zaccaria... par dè e’ benestare che dé ch’j aveva d’avnì só pr andè só in muntagna, i mariner. Ste
barbir de’ Ziznatich e’ magna d’atorn a la tevla cun nun, in ca’. E po’ u s’ inveja. Quant l’à fat
tarsent metar... e’ ven zó la machina di fasesta. I l’eva vest a scapè da ca’ mia e il purtet via... Lo u
s’ ved che l’à ciacarè... Parché dop a... Almeno da quel ch’ò sempra santì da e’ mi ba’ “Lo bisogna
ch’l’epa ciacarè parché l’è sparì e un s’é vest piò”.
Vittorio: Insomma j è ‘vnù tó la Giuseppina [Manuzzi] che il saveva ch’la faseva la stafeta
partigena. Al sureli ‘d Strenga [Ester e Quinta Buccelli].
Tino: Quel l’è stè dop.
Vittorio: Ah! L’è stè lo. U li à denunciedi lo. Quel il sa via! (Tino e Vittorio (Quarto) Fusconi 1998)
Ma Fariselli come poteva sapere dove erano nascosti i marinai? Forse, come abbiamo gia
ipotizzato, era stato lui stesso a indirizzarli a Ruffio, oppure, lo aveva saputo da Fusconi, che
aveva incontrato quel mattino stesso? Ma lo stesso Fusconi come faceva a sapere dove erano
nascosti se dopo l’incontro di Badia non non li aveva più incontrati?
La scoperta del nascondiglio venne fatta in seguito al fermo del Fariselli il giorno 17 agosto in
località Gattolino di Cesena, il quale portato al comando della Brigata Nera di Cesena, sottoposto a
stringente interrogatorio e a botte e torture, svelò il nascondiglio dei dieci partigiani. (Gino Gusella
in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della resistenza nel territorio del Comune di
Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988)
E’ probabile che Fariselli, riguardo ai marinai, abbia potuto dare solo informazioni generiche,
informazioni, che lo stesso giorno, furono, probabilmente, confermate da un’altra spiata, più
precisa. Lo stesso, lo vedremo, succederà in altre occasioni. Elia Sacchetti, che in quei giorni
abitava in una casa colonica vicino al ponte di Ruffio, sospetta che nei dintorni ci fosse, in
effetti, qualcuno che faceva la spia.
Mi vennero a cercare i tedeschi a casa ma non c’ero, c’era mia sorella. C’era qualcuno che soffiava
lì in giro, evidentemente qualcuno ce l’aveva con noi, allora avvisarono i tedeschi di venirci a
prendere, per lavorare… come pelare le patate. (Elia Sacchetti – dattiloscritto 1984)
Rino Biguzzi, che quella sera fu portato al comando della brigata nera, perché, ritornando in
ritardo dal lavoro, non aveva rispettato il coprifuoco, si accorse che i fascisti erano in allarme
e che doveva esserci qualcosa di grosso nell’aria. Altre volte, come quella sera e per gli stessi
motivi, aveva violato il coprifuoco, ma lo avevano sempre fatto passare senza farci caso.
Andando giù per la pescheria sopra c’è pure il voltone. Sopra c’era sempre, nella strada che va alla
rocca due tre col fucile (...) che facevano la guardia. “Alt! Chi sei!” “Ah! Sono uno... un operaio
della centrale” “Dai, va là, passa”. Quella sera “Alt!”. E spararono (...) Mi portarono su. Dissero tu
vieni in caserma. In caserma su alla caserma Ordelaffi. Feci tutto il giro e andando su venne giù una
macchina che c’era dentro proprio la cricca degli assassini. C’era Garaffoni [Guido], c’era (...)...
Colombo [Valducci], c’era proprio la cricca. Erano un sette-otto. Passarono, guardarono... Poi si
vede che fecero il giro della piazza Aguselli. Tornarono indietro. Intanto io arrivai su. C’era il
capo... il tenente di guardia insomma. La guardia dice “Chi è qui?” “Ah! Quest l’è un che ven da...”
Pum. Mi diede due ceffoni. Intanto per incominciare. “Dai passa di là...” E da di dietro di me arriva
già su la macchina... che io li avevo visti (...) “Chi è questo che avete preso?” “Ma...” dice “Qua...
Un disertore”. Una roba così disse. (...) Mariulin, c’era Mariulin. Bazzocchi [Mario]. (...) Era uno
della combriccola nostra che eravamo lì al [bar] Centrale, che era un giocatore di bigliardo, un
grande giocatore di bigliardo. Avevamo una confidenza proprio... proprio amici. Ma l’era a lè,
l’era. “Mariulin” degh “ A sò me!” Perché, al pomeriggio la stessa squadra identica. Con la stessa
macchina erano venuti in centrale. Verso le tre e mezza le quattro del pomeriggio per fare
un’ispezione [alla centrale elettrica della Brenzaglia]. Li andai ad aprire io. (...) Dico “Sono io”
dico. ”Ah! Lasciatelo stare questo che lo conosciamo noi”. Perché al pomeriggio loro mi avevano
visto lassù che avevo aperto il portone (...) Dà che (...) che [fra] questi qui non mi conosce nessuno.
Me an e’ sò quel che potesse succedere. E mi lasciarono... e mi lasciarono andare. Loro andarono...
quella sera lì... andarono a coso... a Ponte Ruffio e ammazzarono quegli otto partigiani (...) Di cui
uno di quelli. Sebastiano Sacchetti, mi sembra che si chiamasse, era un mio collega che lavorava
con me a Predappio [alla Caproni], all’officina. [No, non faceva parte del gruppo dei marinai, ma fu
catturato pochi giorni dopo assieme ad altri e fucilato alla rocca di Cesena]. (Rino Biguzzi - 1999)
Una volta conosciuto il nascondiglio dei fuggiaschi i fascisti della brigata nera di Cesena e le
SS di stanza a Macerone si recarono immediatamente sul posto. Uno dei marinai rimasto fuori
di guardia o ad attendere l’eventuale arrivo della staffetta, si accorse della loro presenza solo
all’ultimo istante e costretto a fuggire per salvarsi, non riuscì ad avvertire gli altri che
dormivano tranquilli. Catturati, i nove sono legati insieme fra loro e condotti sul ponte di
Ruffio dove sono immediatamente fucilati.
... furono sorpresi verso le ore 22 del 18 agosto, la Brigata Nera di Cesena al comando di Garaffoni
Guido e di Valducci Colombo e con alcuni tedeschi li arrestò in nove in quanto il decimo si era
portato fuori della casa colonica per vedere se trovava la staffetta, così i nove furono legati con della
corda dietro alla schiena, e con le cinghie dei pantaloni militari gli legarono le braccia dietro e li
portarono immediatamente sul ponte di Ruffio per essere fucilati, e così avvenne verso le 23 del 18
agosto; dopo eseguita la fucilazione, il Gusella racconta che i cadaveri furono separati una parte a
sinistra e una parte a destra per accettarsi dell’ avvenuta morte, chi esalava gli ultimi respiri gli
veniva dato il colpo di grazia con un colpo alla nuca. (Gino Gusella in: Contributi per la redazione
di una mappa dei luoghi della resistenza nel territorio del Comune di Cesenatico / Salvatore De
Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988)
Tino: J era armè. J aveva al sentineli. Però... lou, cunvint. Quand ch’u j è ‘ndè i fasesta... cunvint
d’es regoler. J era regoler. Però lou i n’ e’ saveva ch’u j era stè la sufieda. E’ cmandent u i
cunsgnet agli ermi... u s’ un salvet un ch’u i scapet e clet ch’u s’ butet zó par frì.
Vittorio: L’era armast splì sota i su cumpegn. L’è dé Zeznatich e u i ven ancora a truvei.
Tino: Int e’ Pont ad Rofia. (Tino e Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998)
Quando uccisero... al ponte di Ruffio, io ero dalla finestra... la mia casa me l’avevano bombardata
allora andammo ad abitare là, vicino al ponte... Era una notte con un gran caldo, io e mia madre ci
affacciammo per prendere aria e c’era questa squadra di fascisti che ci dicevano di chiudere e di
andare via; dalla finestra di dietro, dopo mezz’ora sentiamo gli spari e la mattina si seppe che
avevano ucciso questi ragazzi. [Cosa diceva la gente di quanto era successo?] Era dispiaciuta,
impaurita, c’era un gran dire in giro... Non è che si potesse proprio parlare, però si diceva che erano
dei delinquenti, perché si era capito bene che erano stati i fascisti, noi li abbiamo visti quando siamo
passati per la strada, c’era Mariolino [Mario Bazzocchi] con loro. (Elia Sacchetti - dattiloscritto
1984)
Si ritiene che un falso partigiano di Cesenatico, oppure catturato e costretto a dire cosa sapeva dei
marinai, di fatto, a mio avviso, i fascisti vennero a sapere che quei marinai volevano disertare. Non
si spiega altrimenti. Furono ospitati dal colono Aurelio Pieri, che abitava nei pressi del ponte (...)
Questi marinai se la dormicchiavano sotto il porticato, posto uno di guardia, ma all’improvviso, può
darsi scavalcato il Pisciatello più su, comparvero con le armi in mano, sicché il marinaio di
sentinella riuscì a scappare senza dare l’allarme. Furono catturati, legati insieme e spinti sul Ponte,
catturato pure il colono Pieri, a stento salvata la vita (...) Raggiunto il ponte, furono allineati, colpiti
a morte. Anche la sorella Maria [Rossi] udì la sparatoria, così la famiglia Gasperoni. Ciò avvenne
nella notte del 18 agosto 1944. (Da: Memorie di Ruffio / Lazzaro Rossi - dattiloscritto 1990)
Il sottufficiale di Marina POGGIALI GIUSEPPE unitamente ad altri militari che avevano disertato
dal reparto, si era rifugiato in un’abitazione nei pressi di Ruffio, in attesa di poter raggiungere l’8a.
Brigata Garibaldi con il cui comando si era messo in collegamento. Scoperto in seguito a delazione
veniva catturato armato unitamente ai suoi compagni e massacrati sul Ponte di Ruffio da un reparto
di SS e da elementi fascisti. (Informazione del Comitato di liberazione nazionale di Cesena al
Comitato di liberazione nazionale di Ravenna, datata 3 dicembre 1945. - Archivio di stato di
Cesena. Archivio CLN, 1945 cat. 8: partigiani e gapisti, fasc. 8)
24 [agosto] - Ma a un tratto arrivano i tedeschi della S.S. di Macerone, li disarmano, legano le mani
dietro la schiena, conducono via, essendo la notte fonda, e fucilano alla schiena sul ponte di Ruffio,
trascinando poi alcuni cadaveri da un lato, alcuni dall’altro per non ingombrare la via. Quello di
guardia si nascose. Se avesse dato l’allarme sarebbe stato ucciso anche lui. Dopo circa due ore va a
chiamare D. Egisto perché estremasse i morti. D. Egisto s’impaura credendo trattarsi di un tranello,
date le minacce di cui era stato oggetto la sera. Sono fatte venire altre persone e donne e tutti si
recano al luogo della tragedia. I tedeschi non c’erano più. I morti sono chiamati e scossi, ma non
rispondono. Fattosi giorno, d’ordine del Pretore vengono spogliati e a sera dietro interessamento del
parroco, portati sui birocci, in casse, taluno con un lenzuolo sopra, al cimitero. I morti sono stati
otto, compreso il comandante, un certo maresciallo di Ravenna. Salvi la sentinella e un secondo, che
faceva da guida, forse la spia, forzata o no. (...) Avevano un camioncino. Nessuna sevizia. Erano
orrendi in viso, perché, caduti, erano stati trascinati ai lati della strada. (Dal diario di don Pietro
Burchi - Gattolino)
Sull’eccidio di Ruffio non si sa altro, ma secondo Leila Montanari, morta anni fa, seppe dirmi che
non erano stati i fascisti di Cesena, il mattino dopo trovatasi alla Casa del fascio di Cesena, notata la
sorpresa dei presenti, ignari della vicenda tragica, ma può darsi non presenti gli esecutori, da non
escludere dei fascisti di Cesenatico, come sospetta Tito Neri. (Da: Memorie di Ruffio / Lazzaro dattiloscritto 1990)
A casa si parlava sì. Come il fatto che ammazzarono quelli a Ruffio... al ponte di Ruffio. Lì. Si
parlava anche di un certo Savoia che si conosceva, che abitava a Macerone dove dicevano che era
quello che teneva il motore acceso per non far rumore per non fare sentire gli urli... quando
ammazzarono quelli. (Roberto Rocchi - 2004)
Si salvarono in due: Tonino Magalotti, che quando arrivarono i nazi-fascisti era fuori dalla
casa e Gino Gusella, che, ferito, si finse morto.
Ma arrivarono le Brigate Nere; uno di noi fuggì, gli altri nove fummo legati a catena ed a due per
due, io con Hakim, condotti al Ponte di Ruffio sulla strada tra Cesenatico e Cesena e fucilati; io mi
salvai perché mi copriva il corpo di Hakim cui ero legato, rimasi ferito e fui l’unico superstite.
(Gino Gusella in Ebrei in Romagna : 19381945. Dalle leggi razziali allo sterminio. - Ravenna :
Longo, 1991)
... un tedesco gli alzò la testa prendendolo per i capelli e visto che non dava segni di vita lo lasciò
andare. I Nazi-Fascisti accertatosi dell’ avvenuta morte di tutti se ne andarono, immediatamente il
Gusella si alzò dal mucchio dei compagni morti con ferite al braccio abbondanti, ebbe la forza di
calarsi dentro al rio Pisciatello per raggiungere una famiglia di sua conoscenza nella Borgata di
Villa Casone dalla quale ricevette le prime cure e poi vagando per i campi accanto alla casa dei
Sintoni fino al mattino del 19. Nascosto tra i cespugli uscì verso le 5 del mattino in direzione di
Montaletto, incontrò due donne che lo riconobbero e lo curarono avvisando nel contempo la
famiglia, che accorse immediatamente per portarlo in un rifugio più sicuro in quanto la zona di
Montaletto era infestata dai Tedeschi. Travestito da donna assieme alla madre raggiunse il rifugio
della famiglia a Cesenatico nell’ ex essiccatoio, rimanendo nascosto sotto terra fino alla liberazione
di Cesenatico. (Gino Gusella in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della resistenza
nel territorio del Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988)
Ebbene, un marinaio, ferito grave, si diede per morto, quindi sopravvissuto. Non si sa bene, ma può
darsi il marinaio di Guardia, avvenuto l’eccidio, visto coi suoi occhi, si recò alla Canonica e avvertì
Don Barbanti di recarsi al Ponte, poi scomparso. Il parroco credette di riconoscere nella voce il
marinaio che era andato a chiedere il pane. Solo alcune ore dopo, insieme ad alcune donne, il
parroco si recò al Ponte, travati i marinai assassinati, può darsi anche il ferito grave. Ritornando
dalla prigionia a Tito Neri, ebbe modo di parlare con il marinaio salvato, il quale seppe dirgli che il
giorno dopo, giunti i parenti dei caduti, se la presero con lui, vista bruttina. (Da: Memorie di Ruffio
/ Lazzaro Rossi - dattiloscritto 1990)
I fascisti si servirono delle rivelazioni di Fariselli per organizzare una vasta operazione
repressiva a cui, come sembra risultare dalle testimonianze, contribuirono anche altri
informatori, che, di volta in volta, vennero a confermare, nei dettagli, quanto questi aveva già
anticipato.
La notte, fra il 18 e il 19 agosto, la stessa della strage di ponte Ruffio, sempre su
indicazione di Fariselli, i fascisti andarono a S. Tommaso, alla ricerca del
comandante partigiano Scevola Franciosi. Anche in questo caso, Fariselli,
poteva dare solo informazioni generiche e fu quindi qualcun altro a confermare
che proprio quella sera, Franciosi era andato a trovare sua madre e lo si poteva
trovare in casa.
Io non mi ero mai fermato a casa di mia madre, però lei quella sera mi disse di fermarmi per
mangiare e riposarmi una notte. Io mi fermai e proprio quella sera vennero a cercarmi. Io penso
questo “Perché non andarono in altre case ma vennero nella casa dove mi trovavo?”. Quella sera
quindi stavo dormendo a casa dove era rifugiata mia madre e c’erano anche i miei nipotini in casa.
In quei momenti non è che si dormisse molto profondamente, la tensione nervosa era tale che non ti
consentiva di riposar intensamente per cui io sentii che qualcuno stava scavalcando la rete attorno
alla villa dove era rifugiata mia madre e vidi che erano in divisa. Cercai di uscire dal retro ma nel
corridoio della villa incontrai la figlia del maggiore che era il proprietario della casa e disse che i
fascisti erano anche dietro la casa… Lei spense la candela e chiamò la donna di servizio, di nome
Virginia, perché le portasse dei fiammiferi, intanto loro bussavano alla porta dicendo “Aprite!
Aprite!” Erano fascisti e tedeschi. Pensai di nascondermi sotto la rete [del letto] e i miei nipotini
sopra a dormire. Quando entrarono nella camera di mia madre c’era il marito e i due nipotini che
riposavano, quindi erano tutti e quattro nella camera. Loro cercavano Franciosi. Mia madre si era
risposata, quindi nello stato di famiglia era Ricci e lo fece vedere loro. Perquisirono la villa e non
mi trovarono. Mi si era anche spaccato il vetro dell’orologio e mi ferii al polso… Ricordo che a
pochi centimetri dal naso vedevo gli scarponi dei militi. Ebbi fortuna, non solo, ma mezz’ora dopo
che se ne erano andati rientrava una squadra [di partigiani] che era andata a rastrellare delle armi
oltre Montenovo e non si s’incontrarono, altrimenti chissà come sarebbe andata a finire! (Franciosi
Scevola – dattiloscritto 1984)
Nella stessa notte [in cui avvenne la strage di Ponte Ruffio] i fascisti si recarono all’improvviso a
casa di un nostro comandante (a S. Tommaso) per arrestarlo e fucilarlo. Esso si salvò nascondendosi
attaccato alle reti del letto con sopra due bambini. In quella difficile posizione vedeva gli stivali dei
fascisti che gli giravano attorno e sentiva le grida bestiali che essi lanciavano. In tale situazione fu il
coraggio e l’energia della mamma che costrinse i fascisti ad andarsene, così suo figlio fu salvo. (…)
Più tardi sapemmo che una spia ci aveva traditi, e al momento opportuno essa ebbe quello che si
meritava. I partigiani caduti a Ponte Ruffio furono vendicati.. (Nello Sanulli – dattiloscritto in:
Documenti per una storia della resistenza in Provincia di Forlì. – Comune di Cesena / ANPI. Forlì,
ISR Forlì. – [1983?])
Una sera Franciosi [Scevola] era a San Tommaso nella villa … e ci fu una spiata che Franciosi era lì
(…) e alora Franciosi era lì quella sera, era lì (…) e alora l’ariva Garafon… [Guido Garaffoni]
erano tredici-quatordici macchine di fascisti no? Cercavano sté Franciosi. Avevano avuto una
spiata che Franciosi era lì, in quella villa… era di notte e alora noi (...) per mezzo di collegamento
si avertì che Franciosi era… era circondato no? E alora partivamo tutti no? Partivamo da San
Tommaso tutti con delle pistole o delle mitragliatrici che le aveva poi sté… quello che era il
comandante lì di San Tommaso, che era nei carabinieri… questo Ridolfi [Guerrino] e circondammo,
non vicino ma un po’ da lontano, la villa. Perché se lo prendono ci spariamo e almeno che non lo
portan via. [Eravamo] una ventina. E alora quando vanno aprire. Suonano il campanello e dice “Chi
è?” “Siamo i fascisti e cerchiamo Franciosi”. Dice “Qui… qui non ci sono i Franciosi”. E lui era nel
letto che dormiva. E alora cosa fa quella signora… erano in due le signore lì no? Sente così, [lui]
c’era. “Vengono in casa e lo trovano” [pensò], no? Lo mettono sotto il matarazzo e sopra mettono i
suoi bambini a dormire e ‘lora entrano in casa e guardano dappertutto (…) e lui era tra la rete e... e
matarazzo. Due ore eh! (…) Appena che furono andati via Franciosi e’ scapet. (…) noi li intorno. E
fu pó sté Ridolfi parché Ridolfi l’avet ... non so… una telefonata oppure… e disse “Guarda che van
su... van su da Franciosi”. E Franciosi era lì e ‘lora. [C’era stata una spiata di uno del posto?] Sì. Sì.
Per forza. (Mario Baldini - 1983)
Il 19 i fascisti della brigata nera sono a Case Frini per catturare due staffette.
Il giorno dopo i fascisti piombarono nella nostra frazione (Case Frini) per arrestare due staffette; una
non era in casa e quindi sfuggì all’arresto; l’altra fu arrestata e portata in carcere. La partigiana
arrestata sapeva tutto sullo svolgimento dei partigiani del nostro distaccamento e quindi per noi
poteva correre un rischio pericoloso. Ma la fede ed il coraggio della nostra staffetta era alto e le
bastonate dei fascisti non sono valse a farla parlare su quello che sapeva di segreto. Così tutti noi
fummo salvi e potemmo continuare il lavoro e le nostre azioni partigiane. (Nello Sanulli –
dattiloscritto in: Documenti per una storia della resistenza in Provincia di Forlì. – Comune di
Cesena / ANPI. Forlì, ISR Forlì. – [1983?])
La mattina del 20 i fascisti si recarono anche a casa dei Sintoni (
) a
Villalta, dove catturano uno dei fratelli, Urbano. Più tardi ritornarono e presero
anche il fratello Gino. Lo stesso giorno, sempre grazie alla delazione di Fariselli,
i fascisti individuarono alcuni fra i più attivi elementi del gruppo Gap di
Cesenatico: Adamo Arcangeli e Dino Ricci; a Bagnarola, nell’abitazione di
Cecchini, catturarono insieme Gino Cecchini, Sebastiano Sacchetti, Oberdan
Trombetti, Gino Quadrelli. Tutti furono rinchiusi nelle carceri della rocca di
Cesena. Nei giorni successivi vennero presi anche Dario Sintoni, fratello dei
primi due, Iris Casadio, la moglie del quarto fratello, Antonio (Duilio), entrambi
deportati in Germania e la sorella, Clara, rilasciata successivamente. Antonio
(Duilio), fermato dai fascisti, si salvò con la fuga.
Pare per aver trovato armi nascoste, i militi fascisti riuscirono a catturare il trentenne Gino Cecchini
di Bagnarola, condotto in carcere nella Rocca di Cesena. Mi è stato raccontato che giorni dopo,
scortato da due giovani militi, Gino fu ricondotto a casa, può darsi a prendere indumenti, o per una
inchiesta, davanti all’abitazione i due cesenati assassini Sibirani [Aldo] e Garaffoni [Guido]. La
madre disperata venne incoraggiata dai due giovani, assicurando che non sarebbe successo niente e
che il figlio sarebbe stato ben presto liberato, ma ella fu colta da svenimento. (…) Gino Cecchini
non ritornò più, di certo torturato in carcere affinché rivelasse i nomi dei compagni partigiani, ciò
che da eroe non fece, poi fucilato davanti alla Rocca con altri, tra cui i due fratelli Sintoni di
Santaghè. (Da: Memorie di Bagnarola / Lazzaro Rossi – dattiloscritto 1989)
Il giorno dopo [il 19 agosto], a Cesenatico, sono prelevati alcuni antifascisti trasferiti nella Rocca di
Cesena: Gino Quadrelli, Adamo Arcangeli, Sebastiano Sacchetti, Dino Ricci, Venanzio Fusconi,
Dino [no, Gino] Cecchini e anche i fratelli Gino e Urbano Sintoni di Gattolino. Furono seviziati e
torturati, poi fucilati nel gioco del pallone presso la Rocca (Da: Memorie di Cesenatico / di Lazzaro
Rossi- dattiloscritto 1988)
… a seguito di delazione di un cittadino del posto, vennero arrestati di notte colti di sorpresa nella
abitazione del Cecchini [Gino] dai brigatisti neri di Cesena al comando di Garaffoni Guido. Furono
arrestati il Trombetti [Oberdan], il Quadrelli [Gino] e Sacchetti Sebastiano, i quali furono portati
nella Rocca di Cesena e passati per le armi nel settembre nello Sferisterio della Rocca assieme ad
altri cinque di Cesena. (Oreste Dardari in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della
resistenza nel territorio del Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico,
1988)
La mattina del 20 Agosto 1944, verso le ore 5, la brigata nera di Cesena al comando di Garaffoni,
con un camion di 30 brigatisti, circondarono la casa colonica dei Sintoni arrestando il fratelli
Urbano e Gino Sintoni. Trasportati assieme ad altri 6 nelle carceri mandamentali di Cesena. La
detenzione degli 8 arrestati durò 10 giorni, prima di essere fucilati subirono inenarrabili torture. La
fucilazione avvenne la mattina de l4 settembre, alle ore 5. I corpi martoriati dei partigiani furono
portati al cimitero di Cesena per permettere ai familiari il loro riconoscimento e la sepoltura (Bruni
Lelli. Testimonianza dell’eccidio allo sferisterio di Cesena. Comitato di villaggio di S. Giorgio –
Arch. di Stato. Cesena, Comune di Cesena 1945, cat. 8 partigiani e gapisti, fasc. 8)
Alcuni di loro, pochi giorni prima, avevano organizzato l’affondamento di due barconi nel
porto canale di Cesenatico, per sottrarli ai tedeschi.
Il primo gruppo partigiano costituitisi a Cesenatico composto dai seguenti: Trombetti Oberdan, capo
gruppo, Cecchini Pino [no, Gino], Sacchetti Sebastiano, Quadrelli Gino e Dardari Oreste; vennero a
conoscenza che il Comando Tedesco di Cesenatico avrebbe deciso l’affondamento di due barconi da
trasporto all’imbocco del Porto canale per impedire un eventuale ingresso di navi alleate. I due
barconi si trovavano ormeggiati all’altezza del vecchio mercato del pesce vicino al Comando della
guardia di finanza. Per impedire ai tedeschi di mettere in atto la loro decisione il gruppo partigiano
decise l’affondamento dei due barconi nel posto dove erano ormeggiati, affidando l’incarico al
Dardari, il quale la sera del 23 luglio [prob. 15 agosto] ’44 verso le ore 11, munito di una trivella,
effettuò una serie di buchi i quali provocarono il lento affondamento dei due barconi. (…) Le barche
a vela e a motore ormeggiate nel porto canale erano circa una trentina; alcuni proprietari le
autoaffondarono per non farle utilizzare dai tedeschi, le rimanenti furono affondate dai tedeschi.
(Oreste Dardari in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della “resistenza” nel
territorio del comune di Cesenatico / Salvatore de Lucia … [et al.]. – Cesenatico, 1988)
15/6/44 [prob. 15/8/1944] – CESENATICO – Una squadra GAP affonda mediante ordigni
esplosivi due barconi e un motoscafo al servizio dei tedeschi. (Dal Bollettino Ufficiale del Comando
29a. brigata Garibaldi Gap “Gastone Sozzi” n. 2 – ISRFC ANPI Forlì)
Il 22 agosto sono uccisi Ernesto Barbieri, segretario del CLN cesenate e
Colombo Barducci. I due, assieme ad altri partigiani, avevano partecipato ad
una riunione politica che si era tenuta nella casa dei Barducci (
) dove
poi si erano attardati, per aiutare la famiglia a pulire il pozzo. I fascisti,
informati esattamente del giorno e del luogo in cui si sarebbe tenuta la riunione,
arrivati nei pressi della casa, chiesero ad una donna che stava pascolando delle
pecore lungo la strada, se si trovavano nel posto giusto, ad una sua risposta
affermativa si sparpagliarono e prepararono le armi. Visto il gruppo di uomini
al lavoro, incominciarono subito a sparare. I partigiani, la cui vista era impedita
da un campo di granturco (cosa, di cui, Barbieri, sembra, si fosse lamentato),
non si accorsero del loro arrivo. Ai primi colpi provarono a scappare ma
Ernesto e Colombo furono immediatamente colpiti. Venanzio (Urbano) Fusconi,
che si trovava con loro ed era riuscito a nascondersi, fu scovato e potato alla
sede del fascio, con lui altri due della famiglia Barducci, Pietro ed il cognato di
Pietro Barducci (Sbrighi?). Questi ultimi, il giorno dopo, vennero rilasciati.
Venanzio, invece sarà torturato per più giorni e poi fucilato nei pressi del
carcere, assieme agli altri partigiani catturati nei giorni precedenti.
23 agosto 1944 - Nelle nostre campagne è stato ucciso dai fascisti un vecchio militante comunista,
certo Barbieri, e la sua famiglia imprigionata. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena)
23 [agosto] - Ieri sera a S. Giorgio gendarmi tedeschi hanno ucciso due giovinotti.
24 [agosto] - Il 22 sono stati i fascisti di Cesena che uccisero un certo comunista, da tempo
ricercato, di nome Barbieri. Fu trovato da un amico presso il caseificio intento a sgomberare il
pozzo. Ucciso lui e l’amico che l’ospitava. Altri tre della famiglia ospitanti in prigione. (Dal diario
di don Pietro Burchi - Gattolino)
E’ stato il 22 agosto 1944, io e Barbieri Silvano, cinque minuti prima eravamo insieme, avevamo
comprato del tabacco per fare delle sigarette, eravamo lungo questa strada morta, a un mezzo
chilometro abbiamo sentito dei colpi, anche lì è andata bene per noi. Quando abbiamo saputo del
fatto siamo rimasti male, perché con lui [Ernesto Barbieri] si parlava spesso, era affabile e buono,
quella è stato fatica mandarla giù. (Ferdinando (Delio) Della Strada - dattiloscritto 1984)
Il CLN di Cesena aveva come responsabile Ernesto Barbieri... che fu ammazzato dai fascisti, io a
quella riunione c’ero stato mezz’ora prima nella casa di Barducci... Avevo visto questa donna che
pascolava lungo la strada con due pecore e fu ammazzato per delazione di questa sprovveduta di
San Giorgio. [Chi c’era alla riunione?] C’era Barbieri [Ernesto], i due fratelli Barducci [Pietro e
Colombo], c’ero io, c’era [Aldo] Mellini, c’era Strenga [Enrico Buccelli], Fusconi [Duilio], M... La
perdita di Barducci e Barbieri avvenne per delazione. [Di questa donna?] No. Il comandante dei
partigiani di Cesenatico, Fariselli, era stato [catturato]. Loro [i Gap] fecero prima o dopo la
riunione, non lo so. Noi facemmo una riunione di carattere politico e poi tagliai la corda e venni a
casa mentre rimasero i militari a discutere i loro problemi. Persero quindi del tempo a discutere,
arrivarono i fascisti... e questa donna poi la impiccarono... Ma si deve imputare la perdita di Barbieri
a questo Fariselli (...) Dopo la morte di Barbieri diventò Fusconi [Duilio] segretario del CLN di
Cesena. (Otello Sbrighi - dattiloscritto 1983)
... la sorella di Faberi (...) aveva avuto il fidanzato ucciso [Venanzio (Urbano) Fusconi]... lo presero
da Barducci e poi lo ammazzarono davanti alla prigione. (Nello Della Strada - dattiloscritto 1983)
A s’era stè a la riunion a là a Sanzorz, a la riunion du che j amazet e’ por Barbieri [Ernesto]. Che
era il presidente del CLN di Cesena. U s’ ved ch’j aveva avù informazioni (…) E insoma che al
riunion a li fasema da sté Bardoz [Barducci]. Me a i s’era stè nench dagli elt volti. Tra e‘ caned.
Dal volti a ca’. Dal volti tra e’ caned. Sgond s’ t’ avdita qualcadona… Parché u j era la speja. E la
speja u la faset una meza sgrazida (…) un po’ sioca (…) I malizia ad questa che que… (…) Lia
forse j i eva dè e’ compit ad guardè… (…) Lou j era avnù zó a colp sicur (…) parché ogni paes lou j
aveva chi tri quatar fasesta, o più o meno via… ch’j i daseva dal notizi… J arivet zó. Me, la riunion
a la avema finida. Me a m’avnet a ca’. Me e e’ por Strenga [Enrico Buccelli] a s’ avnesm a ca’ in
bicicleta tot du. (…) Inveci dop a un quert d’ora (…) j arivet zó sti fasesta. J i sorprendet propri
(…) U j era nenca Aldo Mellini, i due fratelli Barducci [Colombo e Pietro]. I n’ amazet un
[Colombo Barducci]. (…) J amazet Barbieri Ernesto. Bardoz… Colombo. Basta. E Mellini l’arivet a
instichis tra e’ caned e (…) u n’ fu ciapè. Ma sema set o ot. Prima. (Otello Sbrighi – 1998)
Fis-cin. Fusconi Urbano [(Venanzio)] è stato uno che è stato preso qui a Ronta [a casa] ad Barducci
Colombo (...) Barbieri [Ernesto] e Barducci [Colombo] furono uccisi sul fatto con la mitragliata,
mentre lui lo presero e lo portarono alla rocca. Lui e Pirin ‘d Maciulet un altro fratello di S..., del
morto della casa. Lo portano alla rocca. Alla rocca prima fu torturato, seviziato dai fascisti, che poi
lo dettero in mano ai tedeschi, addirittura... Io mi sono già informato (...) con questo Sbrighi mi
sono informato e ha detto quando l’hanno visto era massacrato [incomprensibile], ai tedeschi non
disse una parola. Questo qui era un ragazzo che andava a scuola a Cesena. Era del ’23. ‘44. Aveva
ventun anni. Questo qui era abbastanza intelligente, abbastanza... era quello che preparava le
molotov. (Vittorio (Quarto) Fusconi nell’intervista a Maraldi Nazario - [S.d. 1997(?)])
Mio fratello [Colombo Barducci] scappò via, aveva paura e gli spararono addosso, così pure
Barbieri [Ernesto], invece Fusconi [Venanzio (Urbano)] si era nascosto. Lo trovarono e lo portarono
su nella sede del fascio, insieme a me e mio cognato. Mio cognato lo rilasciarono subito,
m’interrogarono due volte e poi rilasciarono anche me. [Cosa volevano sapere?] Cosa avevamo
fatto, cosa pensavamo di fare... ecc., dei nomi... [Vi torturarono?] No, il giorno dopo mi
rilasciarono. Invece Fusconi lo torturarono e lo uccisero nel campo della Rocca. (Pietro Barducci dattiloscritto 1983)
... nel podere di (Palunzen) Sbrighi, ci sono stati in questo rifugio Fusconi Duilio e il figlio Vittorio
uscito da poco dalla prigione di Forli, quel giorno avevano ucciso a Ronta dalla famiglia Barducci,
Ernesto Barbieri Barducci Colombo, arrestati Fusconi Urbano di S. Martino comissario della 29° B.
GAP Gastone Sozzi, fu una spiata erano intenti a pulire il pozzo del aqua per disinfettarlo, fu
l’ultimo crimine compiuto dai fascisti nella zona della bassa Cesenate, e fu un duro colpo per la
Resistenza, perdeva uno dei più combattivi, Rappresentanti, faceva parte del CNL di Cesena come
rappresentante del PCI. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto - 2001)
Eravamo nel podere Bianchi tutto ad un [tratto] sentimmo delle scariche di mitra e delle urla, Cera
anche mio figlio Quarto tornato dalla Prigione di Forlì suo padre lo chiamo e camminando veloci fra
i campi ci rifugiammo da Palunzen, ci misero in un rifugio scavato sotto il viale l’entrata era in un
fosso rimanemmo li due giorni e una notte, informate della morte di Barbieri Ernesto Barducci
Colombo l’arresto di Fusconi Urbano massacrato alla Rocca di Cesena. Fu l’ultimo crimine
comesso dalla banda Garafoni. (Intervista a Iolanda Ugolini, Atos e Gisella Fusconi, manoscritto di
Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001)
Lamberto: ... e alora que da Maciulet [Barducci]... j è ad Ronta nenca lou... j era ad Ronta... u j era
caschè un chilo ad cherna int e’ poz. L’era e’ poz da bei. Da be l’acua. J era dria ch’i sgumbreva e’
poz j era quatr o zenqv, ch’i sgumbreva sté poz e j arivet lou da, da... an e’ sò... da spesa, e alora
“Fermatevi!”. E’ fot quand i mazet e’ su fiol... quèl... cm a s’ ciemal?
Amedea: E’ marid dla Culomba, Maciulet .(...) I mazet nench Ernest.
Lamberto: I mazet nenca Barbieri, mo e’ fiol cm a s’ ciameval.... Colombo ... Barducci.
Amedea: Però u n’ era lo quel ch’faseva, l’era e’ su fradel...
Lamberto: L’era e’ su fradel ch’i zarcheva. E e’ su fradel il carghet. Il purtet a Cesena. E dato ch’u
j era suzest che barachin che lé, dop, j i daset a la mola e’ su fradel e e’ vins a ca’. (...)
Amedea: Nench quèl il ciapet. Quel ad San Marten. Fusconi Urbano. Che il mandet in parson, che
la su murosa la l’andeva sempra a truvè e j i caveva un’ ongia tot i dé... un’ ongia di pia, un’ ongia
a dé... j i cavet vent ongi prema ad fèl murì.
Lamberto: Lo l’era ad San Marten.
Amedea: E’ puren. L’era un piò bel zovan. Bel zovan...
(Lamberto (Bruno) Sama e Amedea Sama - 1998)
Io l’unica cosa che ricordo venni comunque a casa [dalla prigione]... venni a casa in tempo che il
giorno dopo uccisero Barbieri, Colombo Barducci e presero coso... e presero Urbano Fusconi lì a
Ronta. Ai confini tra San Giorgio e Ronta. Loro furono uccisi il 22 di agosto. (Vittorio (Quarto)
Fusconi - 1998)
La morte di Barbieri e di Barducci e la cattura di Venanzio (Urbano) Fusconi è probabile che
non si debba imputare a Fariselli o almeno, non completamente. Se Fariselli fosse stato a
conoscenza della riunione che si doveva tenere dai Barducci, una volta saputo della sua
cattura, per ragioni di sicurezza, si sarebbe provveduto immediatamente a spostarla in un
altro luogo. Sarebbe stato un grave errore se questo non fosse stato fatto ed è difficile che
Ernesto Barbieri, descritto come un uomo estremamente attento e prudente, sia potuto cadere
in un errore così banale. Ci fu invece qualcuno che indicò esattamente ai fascisti l’ora ed il
luogo dell’incontro. Una spia, che, come pensa la gente del posto, abitava nei pressi dei
Barducci, qualcuno che a quei tempi poteva disporre di un telefono e che riuscì a comunicare
ai fascisti il momento giusto per intervenire.
L’eccidio di Barbieri Ernesto e Barducci Colombo fu una spia di S. Giorgio telefono chi erano da
Maciulet a pulire il pozzo arrivarono con la macchina cominciarono a sparare, caddero i due intenti
a fuggire, arrestarono il fratello di Colombo e Urbano Fusconi commissario della 29 B. GAP ando
incontro a una fine atroce assieme ad altri otto Condannati a morte alla rocca di Cesena. (Vittorio
(Quarto) Fusconi - manoscritto 2001)
Disgrazie ce ne sono capitate, ma era anche per avere poca fortuna, ad esempio l’uccisione di
Barducci capitò per combinazione… Il destino a volte! Erano andati a sentire da un contadino
vicino Radio Londra e non c’era la corrente quel giorno, quindi vennero a casa. Pensarono allora di
pulire il pozzo e arrivarono i fascisti. [Loro non li sentirono arrivare?] Tiravano l’acqua e non
sentirono, non fecero a tempo a mettersi in salvo, gli furono addosso… [Nello Della Strada,
dattiloscritto – 1983)
A lè, l’è stè sempra de’ ’44 (...) l’era cheld (...) me e Barbieri Silvano, parchè a sami sempra me e lo
ch’a sami sempra insem. [A] sema scapé da lè da la ca’ che geva es zenqv minud. Dì! A fasesum
temp da ca’ sua a ‘rivè a ca’ ad Silvano. U i geva l’es un mez chilometro pr e’ ré, a fasesum prest.
A sami in sdei a l’ombra de’ pajer, ch’l’era un cheld ch’u sa l’Os-cia... a santesum al rafichi (...) e
dop un po’ l’era suzest sté fat che que (...) Era stato che lì, una spia precisa... perché bisogna che
[la] sipa steda precisa... Loro eran dietro che pulivano il pozzo e int e’ tiré i faseva de’ malan (...)
la ca’, longh a la streda, u j era e’ cantir du che u j era de’ furmanton ch’l’era elt che mai. E lou i
s’ presentet cun sté furgon j era in tri... quatr o zenqv in sté furgon. Lou (...) la ca’ la era propi dria
la streda... i sgumbreva e’ poz... e quand che i fu in peta i s’ mitet a tiré e j i mazet. Un int l’èra.
Clet ad dria dla ca’ (...) E dop, e’ por Fis-cin, no? Fusconi [Venanzio (Urbano)] il ciapet e il purtet
int la roca e dop i l’à mazè là só int la roca. E’ fot ona spieda (...) quel che lé l’è steda ona spieda
propi pracisa avnì da cl’ora che lé... pracisa. Lou j à telefonè int e’ moment che... e alora a savem
nench chi... chi aveva e’ telefan... parché alora i telefan i s’ cunteva cun al didi. Alora a Sanzorz j
era tri o du, non ricordo, però un ad chi tri che lé l’è stè. Ta n’ i scap d’in entar e fra l’etar un l’era
int la republichina. Chjit du j era di sinpatizint se non di iscret. In scapa da lé. (...) E dire che
quest’uomo qui... Barbieri... era un uomo tanto preciso, con una paura... Quant cla riunion che lo u
s’ get che i faset sota sta pienta int e’ bosch. U m’ get cun me “Di! Quand t’ pas da lè fermat.
Guerda che u j a da les dal cechi. Tuli só. Splesli. Parché s’ e’ pasa queicadun a que i dobita ch’u i
sipa stè...” Tanto per dire la preoccupazione ch’l’aveva par tot stal robi che que e l’è ‘ndè a murì
int l’utum... (Ferdinando (Delio) Della Strada - 1998)
In quegli stessi giorni, il 25 agosto, a seguito dell’uccisione di un milite, avvenuta
otto giorni prima, sul ponte degli Allocchi, a Ravenna, sono prelevati dal
carcere dodici ostaggi e uccisi dai fascisti della brigata nera “Ettore Muti”, sul
luogo dell’attentato.
[Forlì] 25 [agosto] = In seguito dell’uccisione del milite Bedeschi, detto “Cattiveria”, è avvenuto un
vasto rastrellamento nel ravennate. Dodici infelici rilevati dalle carceri, dopo aver subito torture,
condotti al ponte degli Allocchi nella circonvallazione di Ravenna all’alba di stamane sono stati
soppressi a raffiche di mitragliatrici, due impiccati: ecco i loro nomi (...) Edmondo Toschi, Augusto
Graziani, Valsano Sirilli, Pietro Zotti, Raniero Ranieri, Aristodemo Sangiorgi, Domenico Diranni,
Giordano Vallicelli (...), Michele Pascoli, prof. Mario Montanari, Lina Vacchi. Umberto Ricci, detto
“Napoleone” da Massalombarda, impiccato insieme alla donna. Ha comandato il plotone il
segretario del Fascio, Giacomo Andreani. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Ore 4,40. I fascisti prelevano dal carcere di via Port’Aurea dodici prigionieri. Tra loro c’è Natalina
Vacchi, l’operaia della ditta Callegari arrestata nella sera del 17, otto giorni prima (…) Gli altri
prigionieri portati via sono il professor Mario Montanari, dirigente del partito d’azione ravennate, il
vecchio antifascista Michele Pascoli, il giovane gappista Umberto Ricci, il contadino Aristodemo
Sangiorgi, l’industriale di Porto Corsini Edmondo Toschi, il commerciante Valsano Sirilli, il
fornaio Domenico Di Janni, il tipografo Augusto Graziani che era il capo nucleo della brigata
partigiana “Terzo Lori”, il fattorino delle Poste Giordano Vallicelli e altri due, Ranieri Raniero e
Pietro Zotti. Tranne che per la Vacchi e Ricci, i fascisti della “Muti” ignoravano se gli altri siano
membri della Resistenza: li hanno catturati solo qualche giorno prima nelle retate seguite – tra la
notte del 17 e la giornata del 18 – all’uccisione del brigatista della “Muti” Cativeria, avvenuta nel
pomeriggio di giovedì 17. Cattiveria, che transitava in sella alla sua moto sul ponte degli Allocchi
per recarsi a casa delle fidanzata in via Passo Buole, era stato ammazzato alla 19,30 da un ciclista
che lo aveva centrato alla testa con un solo, preciso colpo di pistola. La morte del brigatista noto per
la sua crudeltà aveva scatenato un feroce rastrellamento in cui non meno di una sessantina di
persone erano state prese a casaccio come sospette di antifascismo. Poi nel pomeriggio del 24, in un
salone del palazzo di Governo in piazza Littorio, alcuni fra i maggiori esponenti del Prf di Salò
avevano selezionato le persone da uccidere per rappresaglia. (…) Fra tutti erano stati scelti quei
dodici nomi: in testa Ricci e Vacchi, poi gli altri. A far fuori Cativeria erano stati proprio loro,
Umberto e Lina. Quella sera di giovedì Napoleone [Umberto Ricci] aveva un appuntamento con
Lina, la staffetta che era anche la responsabile del servizio sanitario partigiano. Quando arrivò sul
ponte degli Allocchi, pedalando tranquillo sulla sua bicicletta, la ragazza gli si avvicinò dicendogli
in fretta “vai via subito! Sta arrivando Cativeria, è pericoloso stare qui”. Ricci il fascista non solo lo
conosceva, ma gli dava la caccia da tempo. “Indicamelo” dice Napoleone. “E’ quello che sta
arrivando in moto, in divisa”. Ricci: “Va bene, vai avanti e aspettami. Voglio vederlo bene poi ti
raggiungo”. Invece ha deciso di cogliere al volo l’occasione. Lungo la strada di circonvallazione che
immette al ponte degli Allocchi in quel momento c’è un po’ di traffico, gente che va e viene in
bicicletta, pedoni. La moto del fascista avanza rombando e sta per imboccare il ponte a passo
d’uomo. Napoleone s’avvicina, spara il suo colpo: Cativeria cade, la moto schizza via. Pedalando
poi con calma, il gappista si accoda al traffico sul viale. Ma è stato sfortunato, dietro a lui
sopraggiungeva una macchina con a bordo tre tedeschi che hanno visto la scena: accelerano, gli
sono addosso e lo bloccano. Il gappista viene consegnato ai fascisti della “Muti”, che lo portano alla
Sacca. (…) Ore 5,10. (…) E’ la strage. I brigatisti neri ammazzano a raffiche di mitra, dopo averli
fatti ammassare contro il muro della casa, nove degli ostaggi. Uno, Mario Montanari, poco prima
aveva cercato di fuggire e il brigatista nero Sergio Morigi gli era corso dietro, lo aveva raggiunto
sull’argine del canaletto e freddato sparandogli in testa. (…) Umberto e Lina devono guardar morire
gli altri. Poi un fascista afferra Napoleone, lo porta sotto il palo e, aiutato dagli altri, lo impicca:
Lina è rimasta l’ultima. Le si avvicina proprio il capomanipolo Morigi, l’afferra a un braccio ma lei
si divincola, “Non mi toccare!” sibila. Va da sola al palo, sale da sola sullo sgabello e da sola infila
la testa nel cappio. Urla qualcosa e un attimo dopo Morigi dà un calcio allo sgabello. (Da: Gli anni
di Bulow / Cesare de Simone. – Milano Mursia, c1996)
Il 27 agosto la brigata nera di Cesena, sempre grazie alle indicazioni di Fariselli,
è alla ricerca dell’esplosivo sottratto ai tedeschi, a Gambettola. Fariselli che li
accompagna, sa che è stato nascosto fra Ronta e San Giorgio dai Della Strada
ma non conosce il luogo esatto. Le ricerche non danno alcun esito e i Della
Strada sono lasciati liberi
[Forlì] 28 [agosto] = Rastrellamento in Ronta e Martorano con la partecipazione della b.n. (Dal
diario di Antonio Mambelli - Forlì)
... i fascisti arrestarono il commissario politico del distaccamento di Cesenatico: Fariselli. Temendo
per la propria vita finì per assecondare le richieste dei fascisti e indicò il luogo dove si trovava una
parte delle mine [trafugate dal treno, a Gambettola]: il podere del mezzadro Della Strada Leopoldo.
Avevamo sotterrato le mine lungo un filare di viti. La staffetta Clara Della Strada successivamente
raccontò: “... a casa mia arrivarono molti fascisti muniti di zappe; chiesero a mio padre e a mio
fratello Edo dove erano seppellite le mine. Risposero che non sapevano nulla. I fascisti
accompagnati da Fariselli, il quale conosceva il nome del podere ma non il luogo esatto in cui erano
sepolti i fusti, cominciarono a scavare lungo un filare di viti. Aprirono uno scavo di circa una
ventina di metri e quando smisero di scavare si trovavano appena a tre o quattro metri dall’obiettivo.
delusi, obbligarono mio babbo e mio fratello a scavare una grande fossa dietro casa. Terminato
questo premonitore lavoro furono condotti sull’aia, davanti a casa. I fascisti rinchiusero in casa noi
donne e i bambini poi si rivolsero al babbo dicendogli che l’avrebbero fucilato per primo e
successivamente, uno alla volta gli altri, non risparmiando le donne e i bambini se non avesse
parlato. Non ricevendo risposta ricondussero il babbo presso la fossa e dall’interno dell’abitazione
udimmo una raffica di mitra. Tornarono sull’aia per prelevare mio fratello e il cugino [Ferdinando
(Giovanni)] e ripeterono l’operazione. Successivamente i fascisti minacciarono di fucilazione noi
donne e di fucilare poi anche i bambini, se non avessimo rivelato il luogo dov’era sepolto
l’esplosivo. Immaginammo che ci avrebbero fucilati anche se avessimo detto quanto volevano per
cui rispondemmo che non sapevamo nulla (...) e che Fariselli era ricorso alla menzogna per salvare
se stesso. A questo punto (...) se ne andarono. Immediatamente uscimmo di casa (...) convinti di
trovare il babbo, il fratello e il cugino assassinati. Fortunatemente erano incolumi. Questi ci
raccontarono che prima di portare mio fratello Edo e poi mio cugino Giovanni (Min) dietro casa,
avevano gettato della terra entro la fossa come se vi fosse stato sepolto il babbo. Invece si trattava di
una macabra messa in scena al solo scopo di estorcere la confessione. (Diario di anonimo – ISREC
ANPI Cesena)
Hanno fatto un disastro... dal principio all’ultimo, quando sono stati lontano dal... dalle armi due
metri, hanno smesso. La prima volta portarono via il babbo, io non ero in casa, c’erano le mie
sorelle. Fecero fare una buca, poi lo misero al muro e spararono di qua e di là dal muro. Poi lo
riportarono là, gli fecero murare la buca, nascondevano lui e facevano altrettanto con un altro.
Questo è successo in aprile [na, in agosto], a casa mia. Nessuno parlò, perché non c’era niente da
dire anche se uccidevano... Tanto che tu dicessi, come se non dicevi era uguale... [Quindi a casa
vostra c’erano delle armi?] Un po’ di tutto. [Giornali ne distribuivate?] Sì, c’era il posto in un
pagliaio e avevamo una cassa di armi in un posto lontano da casa 150 metri circa. (Clara Della
Strada - 1984)
Poi è si diressero dai Buccelli e lì andarono a colpo sicuro, perché lo stesso
Fariselli li aveva aiutati a nascondere l’esplosivo. Enrico Buccelli (
) non
è in casa, al suo posto sono arrestate le sorelle, Ester (Terza) e Quinta, entrambe
staffette partigiane. La terza, Vittoria (Alba), si salvò, perché, saputo che i
fascisti stavano per arrivare era andata ad avvertire alcuni partigiani, che
quella sera erano attesi a cena.
Una perta [dell’esplosivo rubato a Gambettola] a la purtesm a que a Ronta e dop quel u l’avet pó i
fasestar. Cun una spieda i l’avet lou. I l’avet. Du vagun a n’ tulesum... [Dove era nascosto?] A qui
da coso... a là da Buccelli [Enrico]. E alora nun a j avami un da Ziznatich a j avami. Alora quel de’
Ziznatich... (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983)
In seguito alla confessione di Fariselli i fascisti si recarono anche in casa del partigiano Strenga
[Enrico Buccelli] e la perquisirono. Non trovarono nulla nell’abitazione, ma nel campo e al punto
giusto rinvennero i fusti contenenti una parte dell’esplosivo. Vennero arrestate Terzina e Quinta
Buccelli, due sorelle di Strenga sempre su indicazione di Fariselli prelevarono un’altra nostra
staffetta: la Giuseppina Manuzzi ad Tambarlen. Queste tre donne furono sottoposte a lunghi e
pesanti interrogatori, ma non rivelarono quanto sapevano. (...) furono però inviate nei campi di
sterminio in Germania. Del Fariselli si apprese che era partito per il Nord assieme ai fascisti. La
notizia non fu accertata. Corse la voce che fosse stato fucilato dai fascisti stessi. (Diario di anonimo
– ISREC ANPI Cesena)
La spia che fece arrestare le stafette partigiane, Manuzzi Giuseppina, e le sorelle Bucelli era di
Cesenatico, arrestato dai fascisti denuncio tutti quelli che avevano contatti con lui. (Vittorio
(Quarto) Fusconi - manoscritto 2001)
Quando quelli della repubblichina di Cesena andarono nella casa dei Buccelli, che quel traditore di
Cesenatico che si chiamava Fariselli portò un carico di armi che una notte le abbiamo seppellite
tutte lungo un campo, no? E fatto delle botti che abbiamo lavorato tutta una notte che c’era un
compagno di Cesena (...) che faceva lo stagnino. Abbiamo fatto delle botti... lo chiamavano di
soprannome Beffi.... per nasconderle le armi (...) Dopo due tre giorni questo Fariselli che aveva
trasportato le armi lì in questa casa... Non lo so se lui l’hanno preso e che non abbia resistito... Lui
ha parlato. Vennero giù i fascisti. C’era tutta la banda del comando. C’era Garaffoni [Guido]. C’era
Sibirani [Aldo] tutti loro no? A questi Buccelli ci bruciarono la casa. Ci portarono via tutto quello
che avevano. Ci bruciarono la casa e poi c’avevano la mucca, la legarono dietro il furgone (...) e poi
andarono su al comando con la mucca dietro al furgone... che si eran messi i tovaglioli così e
andavano con la mucca dietro al furgone. (Giuseppe Alessandri - 1984)
Lavoravamo per le brigate gapiste che avevano nella zona i loro rifugi. Nascondevamo le armi,
procuravamo viveri, vestiario, portavamo stampa e avvisi a seconda della necessità. Quando i
gapisti dovevano partire per un’azione, noi portavamo loro le armi e le munizioni necessarie; al loro
ritorno le andavamo a ritirare per nasconderle e ospitavamo in casa quei partigiani che avevano la
necessità di non farsi notare. Queste erano le cose di tutti i giorni; anche ora ripensandoci non le
considero tanto eccezionali. Ciò che invece mi sono rimasti impressi sono gli avvenimenti che da
quel tragico giorno di agosto del 1944 mi coinvolsero fino oltre la liberazione d’Italia. Era il 27 il
agosto del 1944. Avevo appena finito di preparare la cena per i partigiani che quella sera sarebbero
dovuti venire a casa mia, quando arrivò una donna dal paese per dirci che a S. Giorgio, una frazione
che confina con Ronta, i fascisti avevano ucciso due capi partigiani, Barbieri Ernesto e Barducci
Colombo, e che stavano facendo un rastrellamento. Una delle mie sorelle [Vittoria]
immediatamente corse ad avvisare gli altri perché non venissero a casa nostra e restassero in
guardia, che quando tutto fosse passato li avremmo avvertiti. All’improvviso ci trovammo in casa
un gruppo di fascisti che cercavano mio fratello [Enrico] per ucciderlo come avevano fatto con gli
altri. Fra di loro c’era un uomo, che fino [ad] allora aveva collaborato coi partigiani e che ci
conosceva. Era stato preso e aveva parlato. Non avendo trovato mio fratello, portarono via me e una
mia sorella [Quinta], l’altra [Vittoria] era riuscita a fuggire. Io fui presa di sorpresa con i piedi a
mollo nella tinozza intenta a lavarmeli. L’altra mia sorella tentò la fuga, ma fu fermata proprio dal
traditore [Fariselli]. (Ester (Terza) Buccelli in: Donne di Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975)
I partigiani di Ronta, avvertiti all’ultimo momento provarono a tendere un’imboscata ai
fascisti nei pressi della casa dei Buccelli ma il tentativo a andò a vuoto a causa dell’intervento
di un russo, Un collaboratore dei tedeschi, che si era installato nella casa. Il russo impedì ai
fascisti di entrare a forza e li costrinse a procurarsi un permesso di perquisizione. I fascisti se
ne andarono dalla casa troppo presto e il contrattempo non permise ai partigiani di appostarsi
adeguatamente. Quando i fascisti ritornarono erano cresciuti di numero. Troppi per essere
affrontati.
Quella volta lì (...) in questa casa c’era un mongolo. Uno di quei mongoli che erano usciti dai campi
di concentramento e poi i tedeschi se li erano portati dietro. C’era un mongolo e la prima volta,
arrivarono giù i fascisti e non li fa entrare. Lui non vuole che entrino in casa (...) I fascisti vanno su
a prendere l’ordine per entrare in questa casa. Questo mongolo li dovette fare entrare. Se il mongolo
li avesse fatti entrare la prima volta i compagni di Ronta si erano piazzati con un fucile mitragliatore
a una distanza di pochi metri, nascosti fra un campo di frumento no? Che facevano fuori la brigata
nera di Cesena. Quel mongolo, lui, facendo il suo dovere, lui, impedì di farli entrare in casa e dopo
non ci fu più modo di fare questa azione perché (...) i fascisti si erano rafforzati ancora di più... [e]
non ci fu più modo di fare quell’azione lì (...) Loro (...) si sapeva. C’era forse qualcheduno che
aveva forse una qualche conoscenza fra di loro... che si sapeva qualche cosa. (Giuseppe Alessandri 1984)
Quella sera i fascisti non poterono perquisire la casa, perché un tedesco insediato in casa nostra non
lo permise fino a quando non fossero stati presenti i suoi superiori. Così fummo portati nella Rocca
di Cesena dove ci bastonarono a sangue. Il giorno dopo ci riportarono a Ronta per terminare la
perquisizione. Senza di noi non avrebbero potuto entrare in casa; ma arrivati davanti a casa nostra ci
lasciarono fuori entrando da soli e noi fummo riportate alla Rocca. Ancora ci torturarono per
ottenere informazioni sui partigiani e soprattutto su nostro fratello [Enrico Biccelli]. Ritenute
pericolose sovversive, fummo destinate ai campi di concentramento in Germania e trasferite alle
carceri di Forlì. Da quel momento per noi iniziò un vero e proprio calvario. (Ester (Terza) Buccelli
in: Donne di Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975)
Sono ricercate anche le altre staffette partigiane della zona. Clara della Strada,
avvisata in tempo, riuscì a scappare a Pievequinta, mentre Giuseppina Manuzzi,
fu catturata. Sarà deportata in Germania assieme ad Ester e Quinta Buccelli e
alla moglie di Sintoni Antonio Duilio, Iris Casadio, l’ostetrica di Villalta,
catturata una settimana prima, poco dopo la cattura di Urbano e Gino Sintoni.
Vennero giù e una arrivò da me dicendo: hanno messo dentro... era una di Gattolino, vai subito a
nasconderti. Presi la bicicletta e via a Pievequinta, uno davanti mi disse: vai nella tal casa a
Pievequinta perché ti portano via! Infatti riuscii ad uscire ma le sorelle Buccelli... la Giuseppina
[Manuzzi]... le portarono in Germania tutte e tre. Io stetti via 40 giorni da casa (...) Pievequinta era
un posto molto antifascista. Io ero la cameriera laggiù, mi chiamavano la cameriera, perché nel
rifugio ci stetti un po’ di giorni, poi dicevano “Noi prendiamo una cameriera, con la carenza di
gente... sono tutti militari...” dicevano. Infatti lavoravo come cameriera in quella casa. (Clara della
Strada - dattiloscritto 1984)
Le staffette a Ronta ce ne avevamo 4 o 5 una era la Manuzzi Peppina [Giuseppina], che dopo poi è
stata portata in Germania, la Buccelli Quinta... erano tre sorelle [Quinta, Ester e Vittoria], la figlia di
Della Strada [Clara] che era poi la moglie di Ricci [Fabio], era diventata. [A] Cesena da noi non
c’era niente, era tutto spostato qui a Ronta. Tutto il comando era qui a Ronta. Ronta. Ba[gnile]... Il
centro era Ronta. Qui da me e mio fratello [Duilio]. (...) Farisel (...) Il ciapa a lé e lo e’ caghet
gnacuel. In mod che i vins zó e ‘sa t’ toi? J tó al munizion ch’ l’era splì a lè da Strenga [Enrico
Buccelli]. I ciapet tot dó al su sureli [Ester e Quinta Buccelli], i ciapet la Pepina ad Tambarlen
[Giuseppina Manuzzi], ch’l’era una stafeta, e j i mandet in Germania lou, j i mandet. E lou
[Fariselli] e’ stet a là só cun lou [i fascisti] e l’è andè via cun lou. Un s’ è savù piò gnent. (Aldo
(Lorenzo) Fusconi - 1998)
Per il tradimento di uno di Cesenatico Vengono arrestate le stafette partigiane, Manuzzi Giuseppina
e le sorelle Bucelli, saranno interrogate e spedite in campo di concentramento in Germania, per
fortuna sono Ritornate dopo un anno alle loro case. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001)
Vengono portate via la Peppina Manuzzi. Le sorelle Bucelli ritorneranno un anno dopo dai campi di
concentramento in Germania la Maraldi Mariana, Sama Amedeia Irma Piraccini portavano via armi,
e volantini sino a Gambettola. (Intervista a Iolanda Ugolini, Atos e Gisella Fusconi, manoscritto di
Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001)
Io facevo da staffetta nella mia zona di residenza mantenendo continui contatti con i partigiani. In
uno dei rastrellamenti fu catturato un partigiano di Cesenatico che, interrogato, rivelò tutto quanto
sapeva, compresi i nomi di alcune persone antifasciste. Era l’agosto del 1944. In conseguenza alle
sue rivelazioni furono arrestate diverse persone fra le quali anch’io. Alcuni furono uccisi subito,
altri portati alla casa del fascio di Cesena. Io e le altre ragazze di Ronta, anch’esse staffette, fummo
interrogate e torturate dal capo fascista Garaffoni [Guido]. Restammo rinchiuse 10 giorni nelle
carceri di Cesena. Fummo poi inviate a Forlì dove restammo per due giorni e successivamente
trasferite a Carpi (Modena) in un campo di concentramento, dove venivano rinchiusi
momentaneamente tutti coloro che erano destinati ai campi di concentramento in Germania.
(Manuzzi Giuseppina in: Donne di Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975)
Quand a só là a Innsbruch a scalem zó. Alora i s’aveva abandunè alora t’an andita piò via. A lè u j
era sté Motta [Romeo], u j era... u j era la Pepina, la Manuzzi, u j era al sureli [Ester e Quinta
Buccelli] ‘d Strenga [Enrico Buccelli] (...) a sami in zenqv. (Armando Faraoni - 2000)
E dopo (...) mi portarono a Forlì, insieme alle Buccelli, quelli di Cesenatico (...) c’erano anche le
sorelle di Sintoni [Clara Sintoni, che poi sarà rilasciata e Iris Casadio, la moglie di Antonio (Duilio)
Sintoni]. E dopo, tutti assieme c’hanno portato alla Caterina Sforza di Forlì, in caserma. (Romeo
Motta - 1983)
Int la roca u j era... Osta! J i era. U j era chi du ch’j à mazé... I Sintoni (...) Nun a sema da perta mo
lou... j aveva truvé dagli ermi in ca’. Parché lou i staseva là ad dria de’ Masron j era cuntaden.
Però i lavureva a Milen, j era organizé zà... j era de’ dog. Lou j era int e’ grop ad Garibaldi, la 29a
brigata... (Armando Faraoni - 2000)
Per essere sicuri che nessuno potesse scappare, quel giorno furono caricati su un camion tutti
gli abitanti di Ronta seconda e portati a Cesena, alla casa del fascio per accertamenti.
Amedea: … la Tambarlena ch’i la mandet in Germania, la Pepina [Giuseppina Manuzzi] (…) la è
steda piò d’un an a là in Germania… a glj è stedi al pureni… Amo! Degh. La surela ad
quèl…[Enrico Buccelli] che dé ch’i s’ ciapet tot e i s’ mandet só, i gli eva mesi int una cambra e j
eva fat e’ nod int la [incomprensibile] sti fasestar… cun dal slepi ch’j i daseva sti fasesta! Cla piò
mischina… parché a n’ vleva dì gnent… a n’ e’ vleva dì al surgeli [Ester e Quinta Buccelli] ‘d
Strenga [Enrico Buccelli]… Ogni slepa al paseva da un canton… da un canton a lè i li mandeva int
e’ canton a là. (…) [Quando eravamo su alla Casa del fascio] Avdesum a pasè la Pepina ma a ngn’ i
guardesum miga… Da la paura. A sam a là sò tot dret… Me a s’era nenca schelza! I s’eva purtè só
i fasesta… l’è stè che dé che lè ch’i ciapet la Pepina e cal burdeli…
Vittorio: I carghet tot e’ furgon! Che dé ch’i carghet tot e’ furgon…
Amedea: Tot! I s’ carghet tot! “Via! Carghji tot!”. I s’ carghet tot e i s’ purtet a lè da e’ Pèpa. Dop,
nench la mi ma’ i geva ch’i la purteva in Germania. La mi ma’ [Assunta Ugolini] la get “Sa tulì só
la mi fiola a vengh nenca me!” “E alora carga nench cla vciaza!” j i get a la mi ma’ (…) in sté
camion. Gusto, Dario…. i carghet tot e’ borgh! Quii ch’i truvet a lè j i carghet tot! (…) Me, dop, i
m’ mandet a ca’ a la sera. “E la tua mamma la mandiamo in Germania” i m’ get, e i la tnet a là só. I
la vleva mandè in Germania. (Amedea Sama e Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998)
Una spiata precisa ci aveva colti tutti di sorpresa mentre stavamo mangiando nel podere di Maraldi
Renato ci salvo l’alt intimato a Budini Pietro che stava saltando la rete, si fece appena in tempo a
scappare e raggiungere i Rifugi nascosti nei Campi della famiglia Bianchi, erano 3 rifugi per dieci
quindici persone. (…) Come dico sopra alla domenica mattina presto circondarono la borgata di
Ronta II e fecero uscire tutti dalle case, uomini donne vecchi e giovani furono amassati nel camion
portati alla roccha venivano interrogati, fra tutti questi cera Sama Amedeia sorella del caduto Fausto
Sama. Maraldi Marina, Fusconi Gilberto, quasi tutti furono rilasciati il giorno dopo. Questi tre non
furono rilasciati. (...) le spiate (...) denunciavano i posti precisi dove a mezzogiorno si riunivano per
mangiare (...) noi eravamo a trecento metri, in mezzo a due filari di uva era il terreno di Maraldi
Renato vicino alla Borgata di Ronta II que[i] gridi ci indico i fascisti e fugimmo, 4 nel rifugio
scavato nel pozzo e tutti gl’altri a casa di Manuzzi Paolo dove Cera un altro rifugio scavato sotto il
Viale ci si entrava dal fosso l’entrata era coperta da arbusti, lontano da casa molto sicuro, i fascisti
vennero giu fra i filari e trovarono i piatti delle rimanenze, mia madre con le figlie piccole Pierina
10 anni e Gisella 4 anni si diresse verso la borgata, e davanti alla casa di Sama Bruno fu fermata da
4 militi della M Dalmata e chiese il nome suo e del marito, mi chiamo Valentini Assunta (mia
madre aveva due nomi come tutti e Iolanda) Mio marito e volontario in africa da 4 anni I militi
salutarono e ritornarono alla ravvenate, Arrivarono gl’altri quatro con Budini Pietro, salirono sul
camion e sulla balila tornando verso Cesena. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001)
... a la dmenga a [i] sama tot... me, Ricci [Fabio] (...) Fis-cin [Venanzio (Urbano) Fusconi, no, era
stato catturato pochi giorni prima] um pè, e’ mi fradel [Duilio] tot chi burdel da que j era tot
partigen, chi burlescot da que. Ema magné là tra du flir olta a lè ad ciota... ad là de’ (…) borgh...
(…) ema magné... e a degh “Va là. A m’ vagh a ca’ ch’ a m’ vagh a dè ona laveda... una pulida che
dop a vagh via. “O la Madona! A sò lé ch’a m’ sugh, a vegh che l’ariva e’ furgon di fasesta.
“Porca Madona! So i fat!. Mo me j eva vest. Ch’eva fat un bus d’ad dria, ch’a scapeva d’ad dria a
scapeva, in ches ad perequal. E i fa “Cor sobit ad dria che lor j à un bus ad dria!”. Me quand ch’a
sò ad dria ch’a sent ch’i dis “Cor ad dria” me a m’ bot, ch’u j era e’ fos a là ‘d dria, u j era di
erbajun, a m’ instech sota sti erbaiun. Lou int e’ fazès [a] guardè che u j era la reda metallica, i
ved ch’ u j è tri quatar zuvan ch’j cor via olta a là. Lou i s’ cred l’è lo ch’l’è scapè a olta a là. “Cor
d’ int e’ borgh, cor d’ int e’ borgh ch’e’ ven vi là!” e i scapet, e i curet int e’ borgh. E me, intent, u j
era una sfuleda a que, a vegh che la è lè sta burdela e a i degh “Dì, burdela, porta la schela lè int
la cambra ad là”. I l’eva bruseda, mo u j era restè un gnoch ad sufeta. “Porta la schela a lè che a
vagh só int la sufeta, a m’ met a lè”. Quand che la ved ch’ a sò lé, che lia [la moglie], la s’ cardeva
ch’ a fos scapè via, la s’ caza int i rog! “Porca Madona!”. Alora me u j era... a selt.. a pas par la
finestra ad dria, pó’ la finestra ad ninz e pó lè u j è la reda, a selt la reda ch’u j era e’ furmanton a
lè, e pó a m’ met a la veta d’una pienta a m’ met, par no’ andè a caminé d’atond a là ad travers.
Parché me an e’ saveva chi j fos. A m’ met a la veta ad sta pienta e avdeva tot... tot e’ muviment da
sta pienta... In ciapet un furgon pin... tot! Vec, doni, burdel... quii ch’a glj era a lè, e pó j i purtet só.
Po’ j vins zo dlet. In vins a to un ent furgon, ma ad nun in ciapet nisun j n’s’ ciapet. J i à tnu a là so
e pó’ dop j i à dè la mola a nota, u m’ pè. J i à dè la mola. J vleva savei quii ch’j era, chi magneva a
là ad travers, parché u j era stè la spieda. Parché la j era a que dria, u s’ ved, la speja. Dop pó a
l’avam scoperta, dop. I vleva savei chi ch’a j era a magné. Mo me a i get “Sa i giva pó mo nench
quii ch’a j era… Tent al saviva, a j sama nun a magné, lou il sa, u n’ era gnent”. Lou in vuls di
gnent. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983)
Dop una volta j è ‘vnu zo. J è ‘vnù zó. Me a s’era cun i sua [i Fusconi] ch’i magneva là int un fos, in
quel dla Manghina e a santesum dal s-ciuptedi e a saltet só la reda. Me a aveva di pen ch’andeva a
lavè int e’ mesar e lou i laset i piat a lè, ch’i magneva e via via. I s’ maset tra che gren du ch’i
putet. Me a n’ e’ sò. An m’ arcord piò. Me a vins olta int e’ vnì olta u j era Cello e Griglin in sdei
int e’ poz da la Cella. “Mo burdel u j è i fasesta!”. A n’ puteva dì fort. “Curi via! Curi via!”. (...)
Me i m’ incuntret [I fascisti] olta lè da ca’ mia. “In dove sei stata?” “Int e’ mesar a lavè di pen
andeva”. In dialet. A scureva in dialet. Aveva di cavel tiret só csé, schelza, parché aveva d’avnì visé
chi burdel ch’j era a lè int e’ poz, che se j i ciapeva j amazeva tot du e alora... “E des du andì?” e’
fa “Ah! A m’ vegn a ca’”. La ca’... a steva a lè, a m’andeva a ca’. “Pasa a là int la streda!”. I m’
mandet a là int la streda. A lè dninz u j era dal metragli, u j era un ch’l’aveva un oc sol però e’
mireva sempra acsé. A l’ò ancora int la ment. “Ades, se non dici dove sei stata ti spariamo!”. Me a
m’ tiret só al mi suteni [sopra la testa]. Aveva treg en. “Sparì quant a vlì” a get “e’ mench ch’a n’
vega!”. I m’ nun faset gnent. I s’ mitet a rid e i m’ nun faset gnent. Pó i s’ mandet só tot. Tot e’
borgh a là só . Du ch’u j è e’ Pèpa ades. A pasesum d’ad drida. (...) Tot e’ borgh. U j era enca i
vec. I s’ carghet tot. Tot par quant a sema. Nench la mi ma’... Nench la mi ma’ ch’i la vleva... Me i
m’ mandet a ca’ la sera e [a] la mi mama j i get “Te t’ vé in Germania parché ogni volta ch’avnem
a qua, dé sempra fora” “Amo” dis “un fiol um s’ è fughé int e’ fiom e a n’ ò un da s[alvé]” u j era
lo [Lamberto] “E me, quant a v’ vegh vuit a n’ pos stè cius[a] in ca’” la i get. “Adesso ti mandiamo
in Germania”. Dop u s’ ved ch’i à dmande infurmazion (...) e in l’à mandeda gnent. Però e’ fot e’ dé
ch’i ciapet la Pepina e ch’i ciapet cal burdeli ad Strenga. (Amedea Sama - 1998)
Athos Fusconi, figlio di Duilio, è catturato insieme agli altri abitanti di Ronta seconda, i
fascisti della brigata nera colsero l’occasione per consegnargli un biglietto da far pervenire a
suo padre, da sempre sospettato di avere rapporti con la resistenza. Sul biglietto era proposta
una tregua, i fascisti si dichiaravano disponibili a trattare. I partigiani interpretarono questo
approccio come un tranello e non diedero risposta. Forse non era un tranello, forse, in buona
fede, i fascisti cesenati sapendo di essere ormai alla fine, erano veramente disposti a venire a
patti, per concordare un cessate il fuoco che permettesse loro di organizzare il proprio
trasferimento al nord. Impossibile saperlo. Quello che successe la settimana seguente sembrò
dare ragione ai partigiani.
La mattina dopo arrivarono con macchine e camion e caricarono tutti quelli chè trovarono, il camion
strapieno di uomini e donne, tra loro cera che mio fratello Atos che cercava di allontanarsi, ma
stavolta i fasisti informati avevano prima circondato la borgata e nessuno sfuggi, li portarono alla
sede del fascio e garafoni [Guido Garaffoni] li interrogo e minaccio uno ad uno, i piu furono
rilasciati il giorno dopo Atos Fusconi dopo 5 giorni, portava un messaggio di fasisti rivolti ai
partigiani per un incontro per cessare la strage di innocenti, era evidente erano alla fine volevano
prendere in trappola i capi della resistenza che loro sapevano che si erano concentrati in modo
particolare a Ronta e Bagnile - S. Martino era il posto di Minon [Giacomo Rolandi] e le spie erano
di più, cerano a Ronta e S Giorgio (...) la retata della borgata di Ronta II era stata segnalata da una
spia del posto. (Ugolini Iolanda, trascritto da Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001)
Tino: (…) A la dmenga a sam atorna la tevla ch’a magnem, che dop, a lè in ca’ mia u j era enca la
zia, la Gusta. E scapa fora la mi cusena e’ la dis “Sé, sé, u j è i fasesta int la streda!”. Porca
Madona! Ad dria da la finestra u j era un fusadin ch’l’era acsé. Mo u j era di erbajun chi era elt...
L’ariva [e’ mi ba’] e [u] s’infila a lè… Sti faseta, ma j era un brench… j era un brench… Prema i
piaza un mitragliator ch’l’era longh ch’u sa l’Os-cia. Là stes int l’era e’ punteva in s’ la porta. Me
a sò lè che a i guardeva acsé. Punté la porta. E’ dis “Te burdèl scapa da lé!” L’era e’ Gag ad
Sanzili. I perquises gnacuel e gnent, in trova gnent e’ pó i va zó int e’ borgh. Mo dop int e’ borgh al
vousi al s’era zà stesi. Lou [la famiglia di Vittorio] j aveva la tevla aparceda a tarsent metar da lè.
Vittorio: Int e’ fos tra du flir.
Tino: J aveva la tevla aparceda alora.
Vittorio: I tiret a Pirin ‘d Zicogna no? J i get “Alt! Alt!”.
Tino: Sé, sé.
Vittorio: E fo’ par quel che nun a scapesum e i scapet tot via.
Tino: Alora (...) e’ mi ba’ l’è int e’ borgh. E va via da ca’ mia e’ va int e’ borgh. A sam a lé in ca’
e’ ven la mi ‘vsena la dis “Pia! Pia! U j è Aldo... U j è Aldo ch’e’ zerca la schela!”. E mi ba’ quand
l’eva vest tot sta baluda ad fasesta... Scapè? Du ch’l’andeva? E alora a me [e’] dis “A vagh in ca’.
A vagh só int la sufeta”. E nenca a lé una gran confusion in cà. Di gran rog. ‘Sa fal e’ mi ba’? E’
selta la reda ch’l’è a tarsent metar e po' u j era una pienta, e’ va [a] la veta d’una pienta e u n’ s’
muvet da lè. Cla dmenga che lè i purtet só... I faset du viaz cun i furgun. Cun e’ furgon. J aveva e’
furgon e’ la machina. Tot quii ch’u j era... E get Sibireni [Aldo Sibirani] cun Garafon [Guido
Garaffoni] “T’avita ciapé la Peipa zoiba ta t’ la si laseda scapé!” Infati a la zoiba e’ mi ba’ l’era
lè. Lo, a sò cunvint, ch’u l’ mandes via ch’l’aves paura. L’era armast da par lo. Chjit j era tot.... tot
in zir.
Vittorio: Va là che e’ tu ba’ u n’aveva la pistola, a te degh me. L’era disarmè se no’...
Tino: La pistola. U n’ puteva ziré sempra cun la pistola.
Vittorio: Ó capì. Pperò... dop un l’à punseda piò.
Tino: J i purtet só. Tot i vec. Parché j i ciapet tot. Ch’i purtet só? Athos?
Vittorio: Athos e’ mi fradel.
Tino: E su fradel. l’aveva un po’... l’aveva dla scola lo e’ ‘lora il tnet a là só lo. Gnent. Quant i l’à
tnu só? Par gnent?
Vittorio: Lo il mulet sobat che l’aveva da fè da intermedieri che chi s’incuntreva. J era arivat ormai
a la fen. Te capì? I l’aveva cunvint eh! Il cnet purtè via ad forza. U i vleva fè incuntrè a toti i cost. Il
mandet a la Pievquenta, du ch’l’era sempra stè parché lo e’ puren, un s’ atruveva ben a ca’. (Tino
e Vittorio (Quarto) Fusconi) - 1998)
... eravamo alla fine e i fasisti volevano intavolare trattative con i capi della resistenza per cessare il
bagno di sangue che di mese in mese si faceva sempre più sanguinoso. Cosa avessero detto [a mio
fratello Athos] non lo so, ma vennero a casa convinti di fare l’incontro, si capiva che era l’ultimo
tentativo di una trappola per eliminare quelli che non erano riusciti a prendere, mio fratello fu
accompagnato a Pievequinta dalla famiglia Savoia dove e sempre stato da da[l] 29 Aprile 44, e
famiglia FIORI dove si rifugiava mio padre (...) Infatti pochi giorni dopo (...) Fusconi Urbano
[Vennazio] del gruppo GAP di Ronta. Torturato a morte fu fucilato assieme ad altri 5 compagni alla
Rocca di Cesena. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001).
Il 1 settembre, non si sa in quali circostanze, fu catturato, Oriano o Casadei del
Gap di San Zaccaria. Il suo nome probabilmente, non è Oriano, ma Onorio,
come è riportato nell’Albo d’oro dei caduti della guerra di liberazione della
provincia di Forlì.
[Forlì] 1 [settembre] = E’ impiccato dai tedeschi Oriano Casadei dei gap di S. Zaccaria. (Dal diario
di Antonio Mambelli - Forlì)
CASADEI Onorio di Amedeo, nato a Predappio il 16-3-23. Giovane e ardimentoso Gappista,
cadeva in mano tedesca l’1-9-44, sopportò ogni sorta di tortura ma non parlò. Esasperati dal suo
deciso contegno, lo tradussero nelle carceri di Forlì da dove non si ebbe più notizie. (Da: Albo d’oro
dei caduti nella guerra di liberazione / Provincia di Forlì, ANPI provinciale; compilato da Roberto
Mella. – [S.l. : s.d.] (Modena : Soc. tipografica modenese)
Casadei Onorio Di Amedeo. Nato a Predappio il 16 marzo 1923, residente a Forlì, frazione di
Brancolino, mezzadro, primo di tre fratelli, celibe. Riconosciuto partigiano della 29° brigata gap con
ciclo operativo dal 10 gennaio al 30 novembre 1944. Arrestato il 1 settembre 1944, fu incarcerato a
Forlì e poi deportato in Germania. Risulta morto a Bruex il 16 gennaio 1945. (Da: Elenco dei caduti
delle formazioni partigiane 8° Brigata Garibaldi - 29° Brigata G.A.P. “Gastone Sozzi” - Brigata
S.A.P. - Battaglione Corbari - Sito internet ISRFC )
Il 4 settembre, i partigiani catturati a fine agosto, sono fucilati allo sferisterio
della Rocca di Cesena.
[Forlì] 4 [settembre] = Un altro eccidio è stato compiuto dai nazifascisti nella Rocca di Cesena,
con la fucilazione di otto partigiani o ritenuti tali. Ecco i nomi degli infelici:
Oberdan Trombetti
Sebastiano Sacchetti
Gino Cecchini
Urbano Fusconi
Adamo Arcangeli
Gino Quadrelli
Urbano Sintoni
Gino Sintoni
di Augusto
di Pompeo
di Pietro
di Giuseppe
di Guido
di Achille
di Primo
di Primo
di a. 31 da Bologna
di a. 32 da Cesenatico
di a. 33 da Cesenatico
di a. 21 da Ronta
di a. 24 da Cesenatico
di a. 31 da Rimini
meccan. di a. 37 da Macerone
colon. Di a. 32 da Macerone.
Quest’ultimo era commissario politico del Distacc. “E” del 2° Battaglione di Cesena: Erano stati
arrestati dalla b.n. e sottoposti a sevizie durante una settimana. (Dal diario di Antonio Mambelli Forlì)
Quando hanno ucciso i fratelli Sintoni eravamo lì dentro dico “Questa notte è la sua, domani notte è
la nostra”. Perché lì non c’era tanto da pensare. Dopo invece m’hanno portato all’interrogazione...
(Romeo Motta - 1983)
4 settembre 1944 - Poco prima della mezzanotte, da parte dei nazi-fascisti, sono stati fucilati e
mitragliati 8 individui nel gioco del pallone, pare prelevati dalle vicine carceri, lasciati esposti fino
alle 11 del mattino. Quattro sono stati riconosciuti nativi di Cesenatico. Molta impressione e tutta la
città depreca l’eccidio. Dicono che le povere vittime portavano sul corpo segni di sevizie.
Ridiventiamo barbari. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena)
27 settembre - Vengo a sapere che il 3 settembre, nel gioco del pallone della rocca i nazi-fascisti
ammazzarono otto antifascisti, tra cui due Sintoni [Urbano e Gino] di S. Agata (Gattolino). (Dal
diario di don Pietro Burchi - Gattolino)