Repressione
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Repressione
Repressione J i tachet só ch’j i staset ot dis dé, ch’i si magneva al moschi... Dopo gli eccidi d’aprile, maggio e giugno, sono mesi di relativa calma. Ai tedeschi, impegnati ad arginare l’avanzata degli alleati e contemporaneamente, ad organizzare la ritirata e la nuova linea di difesa a nord, manca materialmente il tempo di occuparsi della rivolta che sta scoppiando nel retrofronte. Un bel momento, questo grano in grande parte fu salvato [anche se eravamo] in mezzo ai tedeschi... avvicinandosi d’un mese il fronte [i tedeschi] avevano altre cose da fare... avevano altre cose da fare. (Giulio Garoia - 1998) [Forlì] 11 [giugno] = Colonne di autocarri transitano dirette al fronte con carico di mitragliatrici contraeree; altre risalgono il Nord in un flusso e riflusso incessante; queste ultime costeggiano l’Adriatico, le altre, secondo i cartelli indicatori, s’inoltrano da Cesena per la valle del Savio. [Forlì] 14 [giugno] = I tedeschi di passaggio ora sostano e mandano all’aria le illusioni dei giorni scorsi; chiedono ospitalità ai contadini, requisiscono ville ad uso dei comandi. [Forlì] 18 [giugno] = I soldati tedeschi continua[no] ad affluire in gran numero, specie nei dintorni della città; in un primo momento si credevano diretti a Verona, ora sembra che si debbano concentrare a Rimini (...) sembra che rimarranno per pochi giorni ed altri verranno a sostituirli. Frattanto requisiscono le biciclette anche presso i meccanici che le riparano, rubano. [Forlì] 2 [luglio] = Continua l’andirivieni dei militari germanici nelle ville e vi giungono altre colonne di cavalli: sono condotti tre per tre a mano da un soldato, ad intervalli di cinquanta metri. La destinazione di chi parte è di continuo mutata; ordini e contrordini si susseguono, forse il segno di un principio di disorganizzazione. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì). Anche i fascisti hanno altro cui pensare, capito ormai che la guerra è inevitabilmente perduta, si occupano soprattutto a salvare se stessi. I carabinieri fuggono, la GNR si sfalda, nell’esercito si prospetta una nuova grande fuga generale che solo a stento si riesce a trattenere. Una cosa importante - andate a vedere sopra S. Sofia, verso il Falterona se vi sono dei carabinieri, sono di quelli che hanno disertato le caserme per non andare in Germania. Non sarebbe forse impossibile utilizzarli (Da una lettera di Renzo (Primo Dellacava) al comando dell’8a. brigata Garibaldi - ISRFC 3/13 1593) [Forlì ] 3 [luglio] = L’attività partigiana; gappista e sapista ha seminato il terrore fra i carabinieri, alcuni dei quali cercano contatti con gli esponenti dell’antifascismo ed in particolare si raccomandano ai capi comunisti, cercando, a loro volta, di favorirli. Il movimento politico clandestino allarga sempre più la sfera dell’azione, le adesioni aumentano, i soccorsi fanno raggiungere al bilancio elevate cifre. Si sa di notevoli somme versate da facoltosi e persino banche, raccolte dal Comitato di Liberazione Nazionale e dai singoli partiti che lo compongono, per mantenere in efficienza l’azione militare dell’8a. Brigata Garibaldi, nonché le formazioni che ne integrano le attività, con gli atti di sabotaggio o di disturbo alle vie di comunicazione. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) In luglio però le cose cambiano. I tedeschi, raggiunta la linea Gotica, cominciano a guardarsi le spalle, in montagna, per fare terra bruciata attorno ai partigiani che minacciano le immediate retrovie, non esitano, a colpire pesantemente le popolazioni (Tavolicci 22 luglio 1944, passo del Carnaio 25 luglio 1944, ecc.) e anche in pianura, cominciano a rispondere alla miriade di azioni partigiane dirette ad impedire la requisizione del grano, con una serie di feroci rappresaglie, che mettono in pratica le minacce più volte ripetute. A fine agosto, quando saranno operative anche le nuove brigate nere, la repressione sarà ancora più feroce. Il 26 giugno, giorno in cui, all’aeroporto di Forlì, sono fucilati dai tedeschi dieci ostaggi, catturati in precedenza a Piangipane, può essere considerata la data d’inizio di questa nuova fase repressiva in pianura. 1 luglio 1944 - Un altro manifesto annunzia a Forlì, la fucilazione di 10 italiani, per atti di sabotaggio; meglio come rappresaglia per atti di sabotaggio. (Dal diario di don Leo Bagnoli Cesena) [Forlì] 1 [luglio] = La Questura riceve dal comandante tedesco l’ordine di requisire un forte quantitativo di biciclette: oggi ne abbiamo visto a mucchi su due autocarri; lo stesso comando affigge un manifesto con i nomi dei dieci martiri di Piangipane, fucilati il 26 andato nel nostro Aereoporto. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì). Motivo dell’eccidio, la ritorsione nei confronti di un’azione partigiana che ha causato il deragliamento di un treno, carico di materiale bellico e di soldati tedeschi diretti al fronte, tra Villanova e San Martino di Villafranca. [Forlì] 25 [giugno] = L’asportazione di un tratto di binario nei pressi del ponte sul Montone, operata dai partigiani nella notte, provoca il deragliamento di un treno carico di materiale bellico e di tedeschi diretti al fronte: pare che vi siano morti e feriti. Il ponte è quello in ferro tra Villanova e San Martino di Villafranca. [Forlì] 26 [giugno] = A seguito del deragliamento del treno, di cui si è detto prima, i tedeschi hanno fucilato all’aeroporto dieci ostaggi catturati in Piangipane il 22 corr. - Condotti ivi in prossimità di una buca prodotta da una bomba aerea, le mani legate alla schiena con filo spinato, sono stati dai tedeschi finiti a raffiche di mitragliatrice e dentro quella cacciati. Dai registri carcerari si rivela i loro nomi: Nello Agusani - Domenico Babini - Giulio Benigni - Nello Buzzi - Colombo Lolli Francesco Mezzoli - Emilio Ravaglia - Costante Taroni - Giovanni Tasselli, tutti contadini o braccianti agricoli residenti in Piangipane. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì). Nel cesenate, la nuova fase repressiva ha inizio il 10 luglio con la fucilazione di Olimpio Foschi, a Pievesestina. Olimpio Foschi, nato il 13 agosto 1923, era stato ufficiale dell’esercito italiano e dopo l’8 settembre, assieme ai suoi soldati, aveva combattuto, a Roma, contro i tedeschi. Giunto a casa entrò a far parte della 29a. Gap. Fermato dai tedeschi mentre circolava, di notte, armato di bombe a mano, venne catturato e tenuto prigioniero per una settimana circa, durante la quale si cercò di farlo parlare con tutti i mezzi. I Gap della zona, a conoscenza del fatto, cercarono di liberarlo senza riuscirvi. E dubbio, però, se il tentativo sia stato effettivamente portato a termine, come è riportato nel bollettino della 29a. gap, oppure sia stato solamente un progetto, poi accantonato. 1 luglio 1944 - GAP attacca una guarnigione tedesca tentando la liberazione di un Gapista arrestato. Nel tentativo un soldato tedesco veniva ucciso. Per rappresaglia il Gapista che si era tentato di liberare viene fucilato dopo essere stato sottoposto a strazianti torture. (Bollettino n. 4 della 29a. brigata – ISRFC ANPI Forlì) 10 luglio 1944 - A Pieve Sestina è stato passato per le armi dai tedeschi un giovane che aveva bombe a mano in tasca e una tessera dell’Azione Cattolica. Di qui una severa perquisizione in casa il parroco, fra molto spavento. Non hanno trovato nulla di sospetto. (Dal diario di don Leo Bagnoli Cesena) 11 [luglio] - Alcuni giorni fa, tedeschi di quartiere a Pieve Sestina fermarono nottetempo un giovane di circa 22 anni e, avendogli trovate quattro bombe di marca inglese in tasca, lo fucilavano; poiché aveva con sé la tessera dell’Azione Cattolica, da cui però era stato eliminato da un anno, immediatamente facevano una perquisizione in canonica, frugando tutti i buchi. Questa notte, a un chilometro dalla chiesa, un chiodo partigiano forava la gomma di un automezzo tedesco. E’ bastato ciò perché i tedeschi invadessero le case adiacenti e percuotessero tutti gli uomini; hanno inoltre ripetuta la perquisizione in casa di D. Dino De Cesari, senza trovar nulla, ma impaurendo lui e i suoi familiari. Di ribelli ce ne sono molti a Pieve Sestina e assai esaltati. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Ormai alle strette, i tedeschi si fanno sempre più cattivi e il numero dei morti comincia ad aumentare, tanto più che fra di loro è abbastanza comune l’idea che gli italiani non siano altro che traditori e che come tali debbano essere trattati. Le cose peggioreranno dopo il 20 luglio quando, come conseguenza dell’attentato alla sua vita, Hitler imporrà alla Wehrmacht il controllo politico delle SS. [Forlì] 12 [luglio] = ... vi sono ufficiali che manifestano una cieca fiducia nella vittoria, nelle armi segrete, nel capo, e non nascondono il loro disprezzo per noi ”traditori”, popolo abbietto e senza onore. Uno di essi, dopo aver rifiutato un bicchiere di vino offertogli allo scopo di attenuare il rigore nelle requisizioni, ha affermato che la guerra durerà “fino all’ultimo italiano”; si spiega quindi come si ritengono in diritto di trattarci nella misura che loro talenta. [Forlì] 19 [agosto] = In Forlì come in Ravenna pervengono al comando germanico numerose denuncie anonime a carico di cittadini indicati pericolosi. Codesto sistema che può condurre a morte per rancore personale, accresce il disprezzo germanico per gli italiani. Inoltre vi sono tra i civili agenti della “Gestapo”. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Di fronte alla crisi evidente dei nazi-fascisti, i partigiani, convinti che la guerra sia ormai alla fine, si fanno sempre più arditi. Il numero delle azioni aumenta e si incominciano a colpire anche i tedeschi. Si innesca così una spirale di violenza che andrà progressivamente in crescendo con l’avvicinarsi della linea del fronte. Quando un tedesco è ucciso la repressione diventa feroce. 31 luglio 1944 - Stamani è affisso un manifesto del capo della divisione tedesca della zona Gen. Hugendorff, il quale annuncia che, stante la poca collaborazione della cittadinanza nella lotta contro le bande dei partigiani, che nelle province di Forlì e Ravenna compiono atti di sabotaggio contro i tedeschi e sovente li assassinano, specialmente i militari, sceglierà ostaggi civili un po’ dovunque, che manderà a morte, qualora si verifichino altre ostilità contro i tedeschi. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) Con il crescere della tensione non ci si pensa due volte a sparare sulla gente. Basta non fermarsi ad un posto di blocco per essere uccisi. 11 [luglio] - Ieri l’altro, a sera, i militi fascisti a S. Egidio, via del mercato, hanno passato per le armi un uomo [Antonio Fantini] che non aveva ubbidito all’intimazione di fermarsi. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Il 10 luglio us. Verso le ore 20,30, in Cesena, mentre reparti della G.N.R. procedevano al fermo di oltre 40 persone indiziate di saccheggio della raffineria Montecatini, danneggiata dai bombardamenti aerei, veniva ucciso il contadino - ANTONIO FANTINI - perché non aveva obbedito alla intimazione di fermarsi. (Dal Notiziario della Guardia nazionale repubblicana. 8 agosto 1944 - ISRFC GNR 1255) [Forlì] 13 [luglio] = I tedeschi che operavano un rastrellamento in Savignano, per costringere la popolazione a cooperare in lavori di difesa, hanno ucciso l’operaio Giuseppe Tosca a colpi di mitra mentre con un altro, pure ammazzato, fuggiva. [Forlì] 18 [agosto] = Gli agenti della forza pubblica hanno facoltà di usare le armi contro chi non si fermi alla prima intimazione. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) I prigionieri vengono torturati e sempre più spesso, diventa realtà la minaccia di applicare il rapporto di dieci a uno per l’uccisione di ogni soldato tedesco. [Forlì] 16 [luglio] = A seguito di taglio di fili telefonici in Durazzanino, i tedeschi hanno preso 10 ostaggi, tra i quali il farmacista Boattini di Coccolia. (...) A seguito dell’arresto dell’operatore radio Antonio Grimaldi, residente in Bari, con nome di Andrea Zanco fra i partigiani, e delle torture inflittegli durante dieci giorni, i tedeschi hanno operato la cattura dei patriotti faentini Vittorio Bellenghi e Bruno Neri, quest’ultimo rinomato calciatore della squadra nazionale. L’arresto è avvenuto sul monte Gamogna, seguito dall’uccisione previa tortura inenarrabile: ai poveri martiri sono stati strappati gli occhi, il cuore ed i testicoli. In Savigno, uccisi due tedeschi ad opera di ignoti, è stato operato un rastrellamento e l’impiccagione di venti cittadini. (...) Per l’uccisione di tre soldati i tedeschi hanno colpito oggi in Crespino sul Lamone con un’orrenda rappresaglia i cittadini. Operato un rastrellamento hanno obbligato molti operai e contadini a scavarsi la fossa, alcuni cadaveri sono stati arsi, arse alcune case coloniche, ucciso il parroco e due giovani strappati dalla chiesa, ove erano rinchiusi i bambini e le donne (...) Altre stragi sono state compiute dai nazifascisti nelle località vicine; il terrore è diffuso ovunque. Il vecchio parroco di Crespino, senza pietà tolto dalla chiesa ove le donne e i fanciulli pregavano, si vedeva costretto a scavarsi la fossa ed a scavarla ad altri tra gli insulti della soldataglia, che lo finiva con una fucilata. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì). Il 14 luglio una raffica di mitra sparata da sconosciuti ferì gravemente un soldato tedesco di pattuglia nei pressi di Longiano. I tedeschi, subito accorsi, scoprono un gruppo di giovani nascosti in un campo di granturco, Grilli Attilio tenta la fuga ma i tedeschi gli sparano e rimane ucciso, altri due si lasciano arrestare: Tarcisio Paolucci e Augusto Serpieri. [Forlì] 18 [luglio] = Dopo alcune settimane di tortura in prigionia, i tedeschi fucilano del pari nel cimitero di Roncofreddo, il partigiano ventenne Augusto Serpieri da Gatteo, della 29a. Gap. Per azione di recupero armi nuove, inoltre, il partigiano Attilio Grilli dello stesso reparto. [Forlì] 5 [agosto] = I tedeschi uccidono dietro il cimitero di Roncofreddo tre partigiani della 29a. Brigata “G.A.P.”, catturati il 18 luglio mentre asportavano armi e a lungo torturati. Essi sono Augusto Serpieri di Alessandro di anni venti, da Gatteo, Attilio Grilli di Giulio di anni 19 da Longiano, Tarcisio Paolucci, di Angelo di anni 19, muratore pure da Longiano. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì). Quel tragico giorno del 14 luglio del 1944 [Attilio Grilli] era stato con Serpieri e Paolucci in casa di Ceccarelli [Romolo] (Rumlin). (Maria Grilli in: Longiano 1920-1946 / Ennio Lazzarini. - Cesena : Il Ponte Vecchio, c1995) Mi trovavo con un amico di nome Ferruccio assieme ai tre ragazzi martiri dieci minuti prima che li arrestassero. C’eravamo lasciati lungo la strada che è sotto la villa dei Pini quando sentimmo gli spari. In un primo momento pensammo che stavano provando le pistole che avevano con sé, ma poi incontrammo un amico e ci disse che avevano ucciso il Grilli e arrestato Serpieri e Paolucci. Tornammo subito a casa a nasconderci perché avevamo intuito che forse anche a noi sarebbe toccata la stessa sorte. (Nello Venturi in: Longiano 1920-1946 / Ennio Lazzarini. - Cesena : Il Ponte Vecchio, c1995) Gli amici dei due prigionieri cercarono di organizzare la loro fuga con la collaborazione del comandante dei carabinieri di Longiano, ma una spiata mandò tutto a monte. Tarcisio ed Attilio, trasportati a Roncofreddo, sono fucilati il 4 agosto all’interno del cimitero. I guai seri incominciarono veramente durante una riunione tenutasi a fondo valle nell’abitazione del partigiano Ceccarelli Romolo. Di ritorno durante il tragitto una pattuglia di tre soldati tedeschi venne attaccata da sconosciuti partigiani a colpi di mitra e un soldato tedesco rimase ucciso mortalmente. Questo avvenne nel luglio del 1944, appena ci avvisarono scappammo nonostante fossimo armati, per non compromettere tutta l’operazione ed i nostri piani. Ma un nostro collega partigiano venne raggiunto da una raffica di mitra e morì quasi subito, non appena arrivai alla mia abitazione una pattuglia della gendarmeria tedesca mi aspettava, mi prelevò portandomi sul luogo dove era stato ucciso il partigiano, tempestandomi di domande, mi chiesero se lo conoscevo, ma io risposi che eravamo andati a scuola insieme e nient’altro, ma la gendarmeria tutti i giorni mi voleva nel loro ufficio per interrogarmi, intimandomi di non muovermi per nessun motivo dal paese. Intanto due dei miei colleghi, furono presi durante la sparatoria e furono chiusi in caserma nella cella dei prigionieri, i confronti durarono circa 15 giorni con pochissime possibilità di scamparla; fortuna per me che i miei colleghi non mollarono e non fecero alcun nome. Anche Menghi [Sisto] si trovò nelle mie stesse condizioni e gli interrogatori erano interminabili e vollero sapere da noi due dove avevamo passato l’intero pomeriggio di quel giorno fatale, la cosa non fu semplice; decidemmo una condotta unanime senza cercare di cadere nel tranello della gendarmeria tedesca e aspettando che qualcosa mutasse per fare un’azione di forza per liberare i prigionieri. Il piano sembrava che dovesse funzionare alla perfezione perché il maresciallo dei carabinieri che comandava la caserma ci avrebbe consegnato tutte le chiavi della caserma e delle carceri. Al maresciallo avremmo dato del denaro per scappare a Urbino in un posto segreto e noi con una ventina di partigiani avremmo attaccato i tedeschi e liberato i partigiani. Ma purtroppo uno dei nostri ebbe paura e fece la spia ai tedeschi, i prigionieri furono fucilati immediatamente davanti al cimitero di Roncofreddo ed io e Menghi dovemmo subito rifugiarci in un luogo segreto per non essere presi e fucilati, forse è stato meglio così perché Longiano sarebbe diventato un altra Marzabotto. Comunque anche dal rifugio, tramite la radio, con Menghi, comunicavamo con le brigate e segnalavamo le posizioni dove i tedeschi avevano depositi e concentramenti di S.S. e così facemmo bombardare più volte. (Luciano Bruschi in: Longiano 1920-1946 / Ennio Lazzarini. Cesena : Il Ponte Vecchio, c1995) Una sera arrivarono a casa mia 6 o 7 persone, non erano di Longiano avevano lunghe barbe e bene armati, erano partigiani della pianura. Gli chiesi cosa volevano, mi dissero che erano venuti per liberare i due ragazzi tenuti prigionieri dai tedeschi a Longiano. Subito mi arrabbiai spiegando loro che se avessero fatto una cosa del genere, uccidendo qualche tedesco, Longiano sarebbe stato un altra Marzabotto. Dopo un’intensa discussione riuscii a convincerli a ritornare a casa. C’era una sola soluzione, loro dovevano fuggire da soli, poi tutti li avrebbero aiutati senza mettere a repentaglio la vita di altre persone, poi una volta arrivati da me li avrei mandati con Micheloun [Egisto Della Vittoria] attraverso Montenovo e Monte Farneto fino dove operavano gli altri gruppi di partigiani e lì sarebbero stati al sicuro. (Romolo Ceccarelli in: Longiano 1920-1946 / Ennio Lazzarini. - Cesena : Il Ponte Vecchio, c1995) Serpieri e Paolucci furono presi e portati in prigione nella caserma che era in via S. Chiara, tutti i giorni venivano portati al comando tedesco nella villa dei Pini per interrogarli (...) quando fecero il confronto per il riconoscimento dei colpevoli il tedesco ferito non riconobbe i due longianesi per gli attentatori, così i due giovani partigiani speravano nella salvezza. (Dino Serpieri in: Longiano 19201946 / Ennio Lazzarini. - Cesena : Il Ponte Vecchio, c1995) Mercoledì sera 2 agosto 1944 il babbo di Serpieri Augusto va a trovare il figlio nella caserma dei Carabinieri e gli porta qualcosa da mangiare, poi si ferma da Bartolini Silvio (Bagein). Egli gli chiede come sta il figlio Augusto, e il padre risponde che sta bene e che presto lo lasceranno libero. Giovedì 3 agosto 1944 il Bartolini (...) verso le 2 di notte sente una macchina fermarsi (...) sente delle voci, socchiude la finestra e vede una macchina con alcuni Tedeschi che stanno caricando a forza i due giovani prelevati dalla caserma. Al mattino corre voce che i Tedeschi sono passati da Montiano e da Montenovo, si sono fermati a cercare un prete, uno si è rifiutato e l’altro non c’era. Arrivano a Roncofreddo, si fermano in piazza dove vogliono fucilare i due ragazzi, ma il parroco e le gente si oppongono, allora ripartono e si fermano davanti al cimitero, fanno scendere i due giovani, gli fanno scavare una fossa (...) è il 4 agosto... (Silvio Bartolini in: Longiano 1920-1946 / Ennio Lazzarini. - Cesena : Il Ponte Vecchio, c1995) Nel caso in cui i colpevoli degli attentati contro le forze germaniche non vengano individuati immediatamente è la gente del posto a farne le spese. [Forlì] 25 [agosto] = Per il rinvenimento di un tedesco morto lungo la strada nei pressi della Chiesa di S. Stefano di Fognano, pur ignorandosi la causa i nazifascisti hanno incendiato cinque case coloniche, una completamente distrutta, ed i pagliai: tre contadini sono stati fucilati. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Se l’azione è chiaramente dovuta ad estranei, per rappresaglia vengono uccisi degli ostaggi, tenuti appositamente in carcere per essere prelevati in caso di bisogno. I primi dieci li hanno impiccati a... a Pievequinta. Poi, dopo, quattro li hanno impiccati a... a Bagnile. Li venivano prendere dal di lì [dalle prigioni di Forlì]. (Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001) Per l’uccisione di un soldato tedesco, il 20 luglio, sono impiccati quattro ostaggi, provenienti dalle carceri di Forlì, due a Bagnile e due a San Giorgio. 19 [luglio] - Questa notte un tedesco è stato ucciso a Bagnile. Più uomini presi. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) 19 luglio 1944 - Questa notte un tedesco è stato ucciso a Bagnile. (Dal diario di don Leo Bagnoli Cesena) OGGETTO: BAGNILE DI CESENA - OMICIDIO AD OPERA DI PARTIGIANI IN PERSONA DEL CAPORAL MAGG. TEDESCO KOBER APPARTENENTE AL BATT. NE AUTIERI. Alle ore 18 corr. m. a Bagnile di Cesena, tre partigiani esplodevano vari colpi di pistola contro militari tedeschi uccidendo il nominato in oggetto, appartenente al battaglione tedesco autieri accantonato nella località suddetta. Lo stesso comando germanico svolgeva indagini ed accertamenti fermando tre civili, tutt’ora... risultano indiziati. (Lettera del questore di Forlì. 25 luglio 1944 ISRFC 2/B4 962) Mentre due soldati tedeschi stanno tranquillamente chiacchierando con delle ragazze sotto il porticato della famiglia Zamagna, nei pressi di Bagnile, tre partigiani in bicicletta si avvicinano e cominciano a sparare. Il caporal maggiore Kober rimane subito ucciso, l’altro soldato è a terra ferito e mentre uno dei partigiani si avvicina per finirlo, Armazia [Bondanini (?)] moglie di un Zamagna, esce di corsa dalla casa, con un bambino in braccio e facendogli schermo con il proprio corpo, implora i partigiani di andarsene. I tre scappano, il tedesco si salva e salva a sua volta la vita a coloro che lo avevano protetto e probabilmente salva dalla distruzione l’intero paese di Bagnile. Infatti, nonostante siano arrestati tre presunti sospetti: Giuseppe Calbi, Gildo Giambi ( ) e una altro rimasto sconosciuto, che resteranno per una quarantina di giorni in prigione a Cesena, non è punito nessuno del posto ma, per ritorsione, a monito dei colpevoli, sono impiccati quattro ostaggi, prelevati dalle carceri di Forlì. Calbi, di Bagnile, classe 1902 e un Giambi, di Pisignano, è venuto preso e ha detto che è venuto dalla fidanzata lì, proprio vicino. La fidanzata ha confermato, però, questo Giambi e questo Calbi han fatto un mese di prigione a Cesena. E questo Giambi era un pastore (…) Calbi (…) aveva passato il bosco e si era sanguinato e per questa ragione qui l’hanno individuato e han pensato che ci avesse a che fare qualcosa col fatto. (Berto Battelli – Incontro al quartiere Cervese Nord del 24 aprile 2003) I quattro ostaggi sono: i fratelli Torello ed Augapito Latini, Pietro Maganza e Virgilio Lucci. Torello Latini e Pietro Maganza sono impiccati a Bagnile, dove è avvenuto il fatto, Agapito Latini e Virgilio Lucci a San Giorgio, dove è stato ritrovato un fucile mitragliatore, nascosto in una stalla. 19 [luglio] - A Bagnile un Gap attacca due soldati tedeschi mentre chiedono documenti ad un gapista. Nello scontro un soldato tedesco viene ucciso e l’altro gravemente ferito. Reazione nemica: 4 ostaggi sono stati impiccati nelle località vicina per ordine delle autorità tedesche. (Dal bollettino n. 6 della 29a. brigata Gribaldi “Gastone Sozzi”. Zona di Cesena. – ISRFC ANPI Forlì) [Forlì] 20 [luglio] = Sono impiccati a Bagnile di Cesena il falegname Pietro Maganza di anni 20 da Vernate (Milano), e Torello Latini di Romualdo di anni 38, da Fabriano, commerciante in stoffe; la stessa sorte subiscono Agostino [Agapito] Latini di anni 44, fratello del precedente commerciante pure in stoffe, ed il contadino 68enne Virgilio Succi [no, Lucci] da Sassoferrato, questi ultimi due in S. Giorgio di Cesena. Pretesto al nuovo misfatto l’aver trovato morto un tedesco in Bagnile, dovuta la soppressione di costui a vendetta per aver egli ucciso il giorno prima nel luogo un vecchio per strappargli la bicicletta; in S. Giorgio al rinvenimento di un mitra in un pagliaio. Pare che al Maganza, torturato, si debba la confessione degli altri tre infelici, come lui rifornivano i partigiani. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì). 22-23 luglio 1944 - Una notizia ferale è venuta da Bagnile: sono stati impiccati colà ben quattro uomini ai rami di un albero. L’esecuzione è stata causata dall’uccisione di un tedesco. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) 23 [luglio] - Domenica: In seguito all’ammazzamento del tedesco a Bagnile, sono stati impiccati quattro uomini foresti: due, uno anziano e grasso, e l’altro giovane e magro, al Botteghino in parrocchia di S. Giorgio; due tra Bagnile e S. Martino (non molto lontano dal Circolo Fascista). Ecco tutto il fatto: alcuni giorni fa, al calar della notte, si presentarono 3 individui in bicicletta dalla famiglia Sirri [no, Zamagna], che è tra Bagnile e S. Martino, e chiesero la pompa; mentre gliel’andavano a prendere, si diedero a sparare contro due tedeschi, ch’erano a conversazione sotto il portico. Uno rimase morto, l’altro ferito, e fu salvato da morte sicura dai Sirri stessi che tennero gli assassini; il quale, a sua volta, ha salvato i Sirri testimoniando la loro innocenza. Poi corsero via a precipizio. I tedeschi non avendo scoperto i colpevoli, giovedì mattina menarono quattro imprigionati, forse da Forlì, si fecero dare corda e scala dalle famiglie vicine al luogo destinato al supplizio (Peza e Mariol), appesero la corda a un ramo, vi appoggiarono la scala, costrinsero le vittime a salire questa, posero loro il laccio al collo e levarono la scala... venerdì sera i militi fascisti li hanno presi giù. Prima di essere sospesi al ramo fatale maledissero Mussolini. Non cercarono il sacerdote. Venerdì puzzavano terribilmente, erano sformati. (Dal diario di don Pietro Burchi Gattolino) [I Latini] erano commercianti di stoffe di Fabriano, imprigionati ad Ancona perché avevano dato stoffe per i partigiani e catturati per una spiata. Con loro vennero imprigionati i loro due commessi. A Bagnile furono attaccati due tedeschi, uno rimase ucciso, vicino alla casa di Zamagna, l’altro venne salvato da una Zamagna che gli si mise davanti con in braccio un bambino. I partigiani scapparono. Il tedesco ferito fu curato in casa Zamagna e parlò poi in favore della famiglia, per cui la rappresaglia non toccò persone del paese, ma furono uccisi questi quattro che vennero portati a San Martino in Fiume e lì tenuti in prigione. Vennero impiccati due a Bagnile e due a San Giorgio. (Confidenza di Colombo Fantini - 1999) Dopo, una volta, j à mazè sti tri raghez. J à impichì... io non sono andata a vedere. A San Giorgio. Giù verso a Bagnile, tra Bagnile... Quei tre ragazzi lì, li hanno impiccati proprio in un albero che stava in un angolo della strada. Che tot la zenta j andeva avdei che l’era una roba! (Anonimo 1998) Lamberto: A Bagnil (...) i n’eva... j eva impichì int j elbar a là... Amedea: J à impichì. U j era nench un prit quad j impichet quii che lé. J i tachet só ch’j i staset ot dis dé, ch’j i si magneva al moschi ... J i spicheva quand u i cascheva zó e’ col. J eva mazè un tedesch. J eva mazè un tedesch e alora s’ i mazeva un tedesch i mazeva set o ot itaglien. U j era nenca un prit. Lamberto: L’era tota zenta... l’era tota zenta che j aveva ciapè, ch’j era in parson e ‘lora... j i [purtet zó] da la roca ad Furlé. A cred da Furlé (...) Vittorio: A que i tedesch i ngn’ à tuchè nisun.(...) A que i tedesch i ngn’ à tuchè. I partigen i ngn à mai tiret, et che un caso del genere. Però c’era l’ordine tassativo che i tedeschi non bisognava toccarli (...) E fot ch’i farmet un partigen, l’era armè e u i tiret in entar, un u l’à amazè e un l’era armast frì gravemènt. (Lamberto (Bruno) Sama, Amedea Sama, Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998). Erano attaccati allo stesso ramo che sporgeva sulla strada, sulla San Giorgio, così. Io lo ricordo bene che quello anziano e grosso che (…) era la metà in più di quell’altro. L’altro era più mingherlino (…) Io vedendolo così gli avrei dato una quarantina d’anni (…) Ricordo bene che c’avevano gli occhi aperti e fu quello che mi fece impressione. Le corde ormai erano fisse alla carne… stretti che non si vedevano più le corde, che i polsi si erano gonfiati. Mi sembra, scalzi e le mosche ci giravano attorno era un caldo tremendo. In luglio… Che poi dopo, le sere e le notti dopo li avevo sempre davanti. Ricordo che mio babbo mi tenne con lui nel suo letto no? Per un po’, di notte, perché li avevo sempre davanti agli occhi. (Dino Battelli. – Incontro al quartiere Cervese Nord del 24 aprile 2003) I fratelli Latini, commercianti di stoffe di Fabriano erano stati segnalati ai tedeschi da una spia e catturati con l’accusa di aver rifornito i partigiani locali. Pietro Maganza, da Vernate (Milano), era un disertore. Lo conferma l’amico Siro Fiocca di Binasco, che lo conosceva già prima della partenza per il militare. Fiocca, inviato al fonte nelle Marche e rimasto ferito in un bombardamento, lo incontrò mentre era ricoverato in ospedale, a Falconara, oppure a Senigallia. Virgilio Lucci era di Sassoferrato, anche la sua cattura fu provocata da una spia che denunciò ai tedeschi la sua attività a favore dei prigionieri alleati in fuga. Lì, poi, conobbi quelli che hanno ucciso... che hanno impiccato laggiù... i fratelli Latini ... a Bagnile, il 22 [no, il 20] li hanno ammazzati il 22 luglio, perché noi, fu il giorno che riuscimmo a scappare. (...) e poi c’era un altro (...) a cred che i fratelli Latini fossero di Fabr[iano] o toscani o delle Marche... Marchigiani a cred ch’i fos... ad Fabriano (...) Loro erano dentro perché avevan fatto un rastrellamento, erano antifascisti... li conoscevano e li portarono in isolamento. Infatti mi chiesero... A me avevano portato delle uova... avevo delle uova sode… avevano una gran fame, me le chiesero. Che me mi ricordo come ci fossi adesso. Che le diedi tre uova no? E al mattino invece... No quel mattino lì, dopo... No. Al mattino, sì. Era l‘ultimo giorno di prigione a Forlì quindi era la sera del 21 luglio del’44. Quindi li portarono... al mattino, li portaron via. Noi ci portarono a Bologna per mandarci in Germania e invece loro li portarono... Lui e un altro [Virgilio Lucci], uno che era grosso così, penso fosse ebreo. Io giocavo sempre a dama con lui nella sua cella. (Dino Amadori 1999) Osta! I fratelli Latini! (...) I fratelli Latini li han portati il giorno prima che noi (...) alla notte ci portarono via per portarci in Germania. Il giorno prima li han portati lì. Io mi ricordo perché uno dei fratelli... quel giorno mi avevan portato delle uova sode... mi chiese... Allora in prigione... Ciou! Avevamo già mangiato, non c’era più niente per nessuno e mi chiede “Non hai niente da mangiare?” e allora gli portai due uova. E al mattino li portarono via. (...) Li avevano presi [e] siccome lì c’era il fronte li portarono su. [Li avevano presi] perché erano degli antifascisti eran conosciuti e anch s’ in era partigin quando uno era conosciuto che era contro... [C’erano altri con loro?] Io mi ricordo loro due e anche un altro, un ebreo. Grosso che poteva essere un quintale e venti. No, no, mi sbaglio! Lui era venuto prima perché giocavo a dama con lui (...) Lui lo hanno impiccato laggiù a Bagnile assieme ai due fratelli Latini. Che si ruppe la corda e po’ il mitet só d’arnov. Lui era delle Marche. (...) Giocavo a dama con lui. (Dino Amadori - 2000) Chiesero se c’era qualcuno che gli poteva dar da mangiare (…) “Ah!” dico “Io, mi han portato oggi 10 12 uova e gli portai tre o quattro uova (…) i due fratelli ne presero due ciascuno (…) l’altro [Pietro Maganza] io non l’ho mai visto. (Dino Amadori, Incontro quartiere Cervese Nord del 24 aprile 2003) Lucci Virgilio è nato a Sassoferrato (AN) il 25.07.1876. Non era di razza ebrea ed è stato prelevato da soldati tedeschi dalla sua casa nella frazione Coldellanoce sempre nel comune di Sassoferrato. Questo avvenne presumibilmente nella prima quindicina del luglio 1944 dato che Sassoferrato venne liberato il 26 luglio. Mia nonna (ora deceduta) mi raccontò che il fatto avvenne all’alba, i tedeschi circondarono la casa prelevando mio nonno naturalmente senza dare spiegazioni. Da racconti di persone del luogo il motivo sembra essere stato l’appoggio dato da mio nonno ad ex prigionieri alleati che fuggiti dai campi di prigionia (aperti dopo l’8 settembre) vagavano nelle nostre campagne per cercare di raggiungere il Sud. Mio nonno parlava benissimo l’inglese in quanto era stato per molto tempo negli USA. Il suo nome venne fatto al comando tedesco da un noto fascista del paese deceduto lo scorso anno. Questo è quanto risulta da racconti orali. Questa comunque fu l’ultima razzia compiuta dai tedeschi dalle nostre parti e ne ho trovato traccia sulla stampa clandestina “La Riscossa” e “Bandiera Rossa” (...) Mio nonno non conosceva i fratelli Latini che lei giustamente identifica nativi di Fabriano e si è trovato per caso a far parte del gruppo trasportato al carcere di Forlì. (...) Mio nonno era piuttosto robusto (circa 130 Kg) ed anche a me è giunta notizia della rottura della corda. (Dalla lettera di Lucio Lucci a Maurizio Balestra. Sassoferrato, 10-08-00) A Col de la Noce, una grossa pattuglia nemica, faceva razzia di viveri e bestiame, portandosi con sé, nella fuga una ventina di uomini. (Da: Ultime violenze tedesche in: La riscossa : organo del fronte proletario marchigiano, n 14 del 31 luglio 1944) Sassoferrato. – Nell’imminenza della loro fuga dalla nostra zona i tedeschi hanno ribadito la propria insuperabile ferocia arrestando, in collaborazione con luridi fascisti, numerosi cittadini. Nelle case degli arrestati è stata operata una tremenda razzia e molti degli arrestati, operai, dopo essere stati picchiati a sangue, sono stati inviati in Germania. (Cittadini arrestati in massa dai nazisti, in: Bandiera rossa : organo marchigiano del partito comunista italiano, n. 13 del 21 agosto 1944) Agapito e Torello Latini, di 44 e 38 anni, erano due noti e apprezzati commercianti fabrianesi di tessuti e confezioni (…) Il fatto iniziò il 10 giugno 1944 nella frazione Marena, un piccolo nucleo di case sito a metà strada tra Fabriano e Sassoferrato, posto alle pendici del monte Cucco, versante marchigiano, dove la famiglia Latini era sfollata in seguito ai bombardamenti, ospite della famiglia Pigotti. Qui, Torello aveva trasferito il reparto ingrosso della sua azienda artigiana. (…) Leda Latini ha ricordato che l’unico vero contatto che avemmo con i partigiani, in quel di Marena, fu quando essi ci costrinsero nel mezzo della notte a consegnare denaro e vestiario utile per la vita all’aperto in montagna. Causa una delazione, secondo taluni compiuta da Adriana Barocci, ex dipendente dell’azienda, licenziata per motivi legati alla guerra, secondo altri opera di sleali concorrenti, i nazisti vennero informati di una presunta attività cospirativa dei due fratelli. Per tale ragione, verso la fine di maggio, i tedeschi si portarono una prima volta a Marena, minacciando i pochi residenti di non aiutare in alcun modo i partigiani, se non volevano rischiare la vita. Quel giorno, però, tutto si risolse per il meglio, non essendo i due fratelli in casa per motivi di famiglia. La sera del 10 giugno, all’ora di cena, i soldati trovarono le famiglie al completo. (…) la pattuglia era composta di quattro o cinque soldati e giunse con un camion a prelevare, lo si capì subito, oltre ad Agapito e Torello, anche il loro cugino Remo, che curava il reparto sartoria, Nazzareno Boldrini e l’americano Joseph Pigott, che faceva comodo ai tedeschi perché parlava inglese. Mentre i primi due vennero subito fatti salire sul camion, Nazzareno, Remo e Joseph chiesero, ed ottennero, di poter prendere almeno un minimo di indumenti, invece scapparono sul retro della casa (…) quasi contemporaneamente a tali fatti, i soldati furono spaventati dal rombo degli aerei Alleati e ritennero conveniente partire subito, lasciando a casa Pigott, Boldrini e Remo Latini. Prima di partire però, lanciarono alcune bombe a mano, che (…) non colpirono alcuno dei residenti. Pasquale Fiaoni (…) factotum dell’azienda, venne a sapere che i propri congiunti non si trovavano più nel carcere di Jesi, dove erano stati trasportati in un primo momento, ma che erano stati portati in una località segreta. (…) le prime notizie cominciarono ad arrivare molto tempo dopo, ad undici mesi di distanza dall’accaduto, nel giugno del 1945. La moglie Leda ricevette, infatti, l’estratto conto di un prelievo (assai consistente, di circa 20 mila lire), che il marito Torello aveva effettuato presso il Banco di Roma di Como, città dove i due fratelli avevano molti affari e dunque un conto aperto. Successive informazioni permisero di accertare che Torello Latini aveva effettuato un pagamento ad un esosissimo avvocato di Forlì, a cui si era probabilmente rivolto per difendersi. (…) Torello, arrivato a Forlì [il 12 giugno 1944] scrisse alla sua Signora un biglietto postale datato 13 luglio 1944, che arrivò anch’ esso undici mesi dopo. Così si espresse: Carissima Leda, quanto prima spero di essere interrogato e contemporaneamente di tornarmene a casa. Ti raccomando i bambini e saluta chi ti chiede di me. Agapito inviò dalle carceri Giudiziarie di Forlì, datato 13 giugno 1944, analogo biglietto postale al figlio Mario, a cui riferiva: Caro Mario, sto bene, ti raccomando di andare sempre al lavoro, con la sicurezza di vedervi presto. Saluti e baci a tutti. Babbo. (Dall’intervento di Terenzio Baldoni in occasione della Commemorazione dei caduti del 20/7/1944 a Bagnile e Botteghino di S. Giorgio. Svoltasi il 26/10/2003 a cura del Comune di Cesena e del Quartiere Cervese nord) Ancora a Bagnile, il 26 luglio, è ucciso il renitente Antonio Cecchini. Residente a Bulgaria, si era nascosto a casa dei nonni materni, i Solfrini, in un rifugio, costruito sotto un pagliaio. Dal caldo fu spinto ad uscire e mentre si avvicinava al pozzo, per bere, scorto da una pattuglia di tre fascisti, che passavano di lì in bicicletta, venne fermato. Alla domanda di esibire i documenti, Cecchini rispose che sarebbe andato a prenderli in casa. Salito al primo piano provò a fuggire buttandosi dalla finestra di dietro. Uno dei tre, però, lo stava già aspettando e appena toccò terra, incominciò a sparare. Non fece più di cento metri. Morì lì vicino, tra i filari di una vigna. 26 luglio - A Bagnile i tedeschi hanno ucciso stamattina certo Cecchini di Bulgaria, renitente alla leva, là rifugiatosi presso parenti: gettatosi da una finestra per evitare la cattura, è stato fucilato. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Il 26 luglio, presso una casa contadina di Bagnile, fu scorto un giovane che balzava dalla finestra per scappare tra i campi, preso di mira dai militi fascisti e ucciso (Da: Memorie di Bagnile / Lazzaro Rossi - dattiloscritto 1989) Antonio Cecchini era a casa dei Solfrini. Era uno sfollato lì (…) e (…) a casa di questa famiglia, c’era un comando tedesco (…) e vennero a fare un controllo e cercavano... non Cecchini ma cercavano Solfrini (…) Gianni, che non era lì (…) e lui da la paura così… saltò da dietro casa (…) nel letamaio, ma lo videro perché era socchiusa una porta, una finestra, un qualche cosa e poi… lo ammazzarono lì. (Giancarlo Brighi – Incontro Quartiere Cervese Nord 24/04/2003) Lo stesso giorno, a Carpinello, nel forlivese, dopo l’uccisione di un caporal maggiore tedesco, viene consumata un’altra strage. Sono fucilati dieci ostaggi, prelevati dalle carceri di Forlì [Forlì] 26 [luglio] = I tedeschi hanno consumato verso sera, nel luogo stesso dell’uccisione di un loro caporale, avvenuta ieri, la rappresaglia sanguinosa prevista. Tolti dieci ostaggi dalle carceri, li hanno condotti in autofurgone fino a Carpinello, fatti poi proseguire a piedi due per due ed in questo ordine fucilati: gli infelici si sono abbattuti sulla strada di Pieve Quinta, nel fossato di destra e fino nei campi in un supremo sforzo di fuga. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì). Nella notte del 26 luglio, un caporale maggiore tedesco venne proditoriamente assassinato a circa 15 est. di Carpinello di Forlì. Egli fu fatto cadere in un filo di ferro teso attraverso la strada ed ucciso con un colpo di pistola alla tempia. Per contromisura il 26 luglio vennero fucilati 10 partigiani e comunisti sul luogo dell’assassinio. In considerazione di questo delitto e di atti di sabotaggio sulle linee telefoniche tese al nord della città di Forlì, venne ordinato il fermo di un certo numero di ostaggi contro i quali, nelle eventualità del ripetersi di atti di sabotaggio verrebbero prese misure di rappresaglia. La popolazione viene nuovamente richiamata nel proprio interesse, a coadiuvare affinché non abbiano a ripetersi atti contro le FF.AA. germaniche. Sulle eventuali denuncie verrà tenuto il massimo riserbo. (Dall’Ordinanza del Comandante la piazza di Forlì del 28 luglio 1944. In: Resistenza in Romagna / Sergio Flamigni, Luciano Marzocchi. - Milano : La Pietra, c1969, p. 301) Su segnalazione del verbale dell’ufficio di stato civile il 28-7-1944 si procedé alla constatazione di legge sugli uccisi di Pievequinta, in occasione delle quali furono riconosciute soltanto le salme di Ridolfi Edgardo e Zoli Antonio. La Questura taceva e fu sollecitata nella maniera più energica per telefono dal sottoscritto (ricordo benissimo la circostanza) per riferire l’accaduto. Solo in data del 1° agosto la Questura si decise a inviare la nota del preciso tenore seguente: “dal locale comando germanico Der Befehishaber der Sicherheitspolizei u. des SD in Italien Aussenkommando in Forlì, è oggi pervenuto il seguente elenco di persone fucilate in Carpinello il 26-7-1944 in seguito all’uccisione di un caporale dell’esercito tedesco avvenuta il giorno precedente nella stessa località. 1. PALLANTI William nato il 4-5-1904 a Londra domiciliato a Bibbiena; 2. ZOLI Antonio nato il 7-2-1915 a S. Martino in Strada ivi domic.to; 3. RIDOLFI Edgardo nato l’11-12-1904 a Campiano dom.to a Forlì; 4. LUCCHINI Antonio nato il 24-7-1904 a Sauris (Udine) ivi dom.to; 5. BABINI don Francesco nato il 19-11-1916 a Verghereto ivi dom.to; 6. BARTOLINI Riziero nato il 3-4-1926 a S. Piero in Bagno dom.to a Verghereto; 7. ROMEO Mario nato a Napoli il 16-5-1912 sfollato a Verghereto; 8. ZOLI Luigi nato l’11-11-1914 a Cotignola ivi domiciliato; 9. CAVINA Alfredo nato il 28-5-1903 a Castel Fiumanese domiciliato a Riolo Bagni; 10. MOLINA Biagio nato il 21-4-1907 a Tropea domicialito a Bologna”. Il processo si trova ora in istruzione formale, ma si dubita di venire alla scoperta degli autori del reato. (Dalla risposta del Procuratore del Regno A. Vaccari alla richiesta di informazioni fatta dalla Federazione provinciale del PCI di Forlì. Datata 24 agosto 1945. In: Resistenza in Romagna / Sergio Flamigni, Luciano Marzocchi. - Milano : La Pietra, c1969, p. 302) Alla fine di luglio divenne operativa anche la brigata nera di Cesena e grazie alle alla rete di spie su cui poteva contare, subito incominciò a dar la caccia al comando della 29a. Gap, che sapeva orbitare nella zona compresa fra Ronta, Bagnile e San Giorgio. Il tentativo di dar fuoco ad una trebbiatrice, la notte del 31 luglio, portò i fascisti nuovamente a Ronta. 1 agosto - Ieri a Ronta, durante una trebbiatura, ha cominciato a piovere; gli operai si sono ritirati in casa e subito i ribelli appostati, si sono dati a sparare contro la casa stessa: 3 fascisti di guardia non si sono arrischiati di reagire, poi hanno smesso da sé. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) … un gruppo di GAP tento di bruciare la macchina da battere nel aia Gabariel Abbondanza a Ronta II, sentimmo delle scariche di mitra dalla borgata distante 400 500 metri, i fascisti di guardia rispondevano al fuoco, i GAP sparavano sulle finestre per impedire ai loro di afacciarsi, ad un tratto vedemmo tre GAP Budini Aurelio, Maraldi Marino e Fusconi Luciano, il capogruppo che si era infilato sotto la macchina da battere e Fusconi Aldo, la miccia bagnata da uno scrosio di pioggia non prese fuoco. (Ugolini Iolanda, trascritto da Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001) ... Piraccini Dante (...) so che ha partecipato anche lui nel tentativo di bruciare la trebbiatrice lì a Ronta. E il tentativo é stato fatto, la miccia... gliel’ha portata proprio... Aldo Fusconi. Però pioveva un’acqua che Dio la mandava dimodoché che ha dovuto... ha dovuto a tornare sui suoi passi, coperto dal fuoco dei partigiani perché i fascisti l’avevano scoperto e... la macchina non ha bruciato. Non ha bruciato. (...) il giorno dopo vennero giu circondarono la borgata, uomini e donne furono portati alla Roccha. (...) Il rastrellamento fu effettuato di Domenica, il giorno prima i GAP Fusconi Aldo, Maraldi Marino, Budini Aurelio, Fusconi Luciano tentarono di bruciare la trebiatrice nel aia Abbondanza era in corso un temporale e non cerano operai e le guardie fasiste. Aldo con la bottiglia si porto sotto la trebbiatrice e cerco a piu riprese di darci fuoco, ma la miccia sera bagnata e non saccese, nel frattempo arriva Fafon Abbondanza e comincio a parlare forte, i fascisti dalla finestra se ne accorsero e cominciarono a sparare, i tre GAP d’apoggio cominciarono a bersagliare le finestre con sventagliate di mitra permettendo la ritirata di Aldo, la macchina non brucio perche Fafon si era messo sotto, e per evitare una tragedia preferirono la ritirata. (Vittorio (Quarto) Fusconi manoscritto 2001) Amedea: L’[XXX] la faseva la speja (...) I geva... i geva che e’ su cusen l’era un fasesta. La andeva cun lo e la faseva la speja cun sté cusen (...). J i bruset la machina [trebbiatrice] nenca... Vittorio: No in l’ à bruseda. Amedea: J i tiret una bomba. Vittorio: No. U j era e’ mi zé Aldo [Fusconi], l’aveva ‘zes la miccia e’ piuveva una gran acua la miccia la si... la si spegnet (...) Amedea: Sé mo e’ fo’ quèl… U j era e’ tu fradel [Luciano Fusconi] e u j era Auriglin Zicogna [Aurelio Budini]. Vittorio: Sé. U j era Auriglin Zicogna e u j era nenca Marino [Maraldi], u j era nenca Marino. Amedea: Dla Cella. Vittorio: Dla Cella. (...) A sema me cun Renato, quand che i cminzet a tiré i fasesta e’ fis-civa al palotoli e lor j avniva zó pr e’ fuson, no? I saltet ad qua e cun Renato me get “Ciou! Mo quest u n’ è miga fasesta!”. J aveva i mitra parché j à cupert la ritirata de’ mi zé Aldo [Fusconi] parché l’era andè par brusé la machina e l’an é riusida. I li à brusedi indapartot, mo que a Ronta purtrop i ngn’ è ’rivet. Parchè e’ piuveva un’acua che Dio u la mandeva. E dop i fasesta i s’ n’è incurt. Cum e’ sia stè a n’ e’ sò. E sembra che e’ [incomprensibile] Gabariel [Abbondanza] l’à vest e’ mi zé Aldo sota la machina e ch’l’epa rugì “’Sa fet a lè!” e che i fasesta j epa santì e j epa tiré e alora chjitar j à duvù arspond e j à tiré int al finestri di modo che... un bel moment j è duvù scapè par salvè la pela. (Amedea Sama e Vittorio (Quarto) Fusconi 1998) Dopo la sparatoria i fascisti, avvertiti telefonicamente, arrivarono subito da Cesena e constatato quanto era successo, ripartirono senza alcuna rappresaglia. Era notte e non si sentivano sicuri. I partigiani avrebbero potuto organizzare un’imboscata e Vittorio Fusconi afferma che la cosa fu effettivamente tentata. 1 agosto - Un po’ più tardi è sceso da Cesena un camion di fascisti, poi sono tornati via. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) E la zenta. Ciou! Que i s’era spavantè. “Ades i ven zó!” E i vins zó, dop. Mo comunque in faset gnent. Enzi i ven zó pr e’ cantir e i truvet che lè int e’ fos... u j era un fos pr e’ travers... me aveva pers un caricator. Aveva tolt só tri caricatur dla pistola... ch’ema di caricatur ch’u i faseva pó Mellini [Aldo] e Maraldi [Augusto] a cred. (Aldo (Lorenzo)Fusconi - 1983) Alla sera le solite macchine piene di fascisti arrivano a ronta era buio, i GAP bloccarono la strada nascosti dietro i boschi, ma i fascisti fecero il giro della chiesa e andarono a S. Martino cambiando strada del ritorno per S. Giorgio. (Ugolini Iolanda, trascritto da Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001) Il 10 agosto, a Pievesestina, mentre sta preparando un attentato, muore Guerrino Zangheri, a causa di un errore nell’uso dell’esplosivo. Per rappresaglia i tedeschi catturano e deportano in Germania diverse persone dei dintorni. [Forlì] 10 [agosto] = Nel collocare una mina sotto un ponte in Pieve Sestina (Cesena), muore il gapista ventinovenne Guerrino Zangheri da S. Maria Nuova, appartenente alla 29a Brigata G.A.P. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) 18 [agosto] - Un otto giorni fa a Pieve Sestina un ribelle stava fissando una bomba a un filo tirato di traverso sulla via per colpire gli automezzi tedeschi, quando è scoppiata e l’ha ucciso. I tedeschi hanno sparso volantini ove è detto che saranno fucilati coloro che si trovano in possesso di armi, chi aiuta i banditi, chi non li denunzia, chi da informazioni al nemico. I paesi ove si commetteranno attentati contro i tedeschi saranno bruciati, i maschi dai 18 fucilati, le donne internate nei campi di lavoro. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Ci pregiamo di notificare che il giorno 17 agosto (...) è stato deportato da alcuni soldati tedeschi il colono SEVERI LORENZO di Giuseppe, abitante in questa parrocchia in Via Colombara N° 89. Causa della Deportazione - Nella prima quindicina dell’agosto 1944 in località Pievesestina, lungo la provinciale “DISMANO” strada allora [trafficata] dalle colonne motorizzate tedesche, vennero trovate da parte dei soldati tedeschi alcune bombe e mine, ivi collocate da partigiani, dei quali uno nel maneggio delle medesime rimaneva ucciso. Ciò provocava la pronta rappresaglia della soldataglia tedesca che compiva la deportazione di vari individui delle zone limitrofe, fra i quali appunto è da elencarsi il nostro compaesano SEVERI LORENZO, del quale si ignora fino ad ora la sorte. (Dalla richiesta di sussidio a favore della famiglia Severi fatta dal Comitato di villaggio di Sant’Andrea in Bagnolo, diretta al CLN di Cesena - ISRFC 7/3 45) Per alcuni atti di sabotaggio nella zona, avvenne un rastrellamento anche a S. Cristoforo, non so la data esatta. Le guardie fasciste catturarono parecchi giovani, che erano a messa in chiesa, trasferiti, con pericolo di vita, nella rocca di Cesena. Riuscirono a dimostrare la loro estraneità ai fatti, ma per salvarsi furono costretti ad arruolarsi come operai nella Tod[t]. (Da: Memorie di San Cristoforo / Lazzaro Rossi – dattiloscritto 1988) I fascisti, che in quei giorni erano impegnati a rastrellare giovani da consegnare alla Todt, passarono anche da Ronta, dove, sembra, fosse stata loro segnalata la presenza di Ernesto Barbieri. 10 agosto 1944 - Argomento del giorno con relative preoccupazioni, è divenuto il rastrellamento e sequestro di persone, sempre più intensificati, che vengono operati in città e campagne. Neppure gli anziani validi, si possono stimare esenti; neppure noi sacerdoti. (Dal diario di don Leo Bagnoli Cesena) A Ronta seconda i fascisti fermarono diverse persone. Fu fermato anche Aldo Fusconi comandante del gruppo Gap della zona e come gli altri, costretto a mostrare i propri documenti, ma i fascisti, interessati soprattutto ad individuare giovani renitenti e persone valide da inviare al lavoro obbligatorio, non si accorsero di chi avevano tra le mani e lo lasciarono andare, considerandolo troppo vecchio. Seguirono le incursioni con macchine e camion arrivavano sempre dopo giorni di pioggia, erano informati che i GAP erano costretti ad uscire dai rifugi, bloccavano sempre la Borgata di Ronta II in una di queste scorribande i ricercati erano rimasti tutti accerchiati Ricci [Fabio] S maren [Primo Pasolini] Aldo [Fusconi] e Duilio Fusconi e il gruppo GAP al completo, Aldo fu blocato nella strada assieme a 5-6 amici di borgata, furono chiesti i documenti a tutti, Battistini [Augusto] Controllava i documenti quando prese i documenti di Fusconi Aldo disse ma tu sei del 7 (1907) Vai Via, Aldo giro l’angolo della prima casa e raggiunse i campi dove cera gia un gruppo nascosto, garafoni [Guido] e due giovani fascisti raggiunse il piazzale dove cera la falegnameria e casa di Fusconi Duilio bruciate, Cerano Duilio nella capanna rimasta in parte in piedi, Ugolini Libero e mio fratello Gilberto [Fusconi] stavano guardando una pistola piccolissima e si chiedevano se funzionasse, arrivo l’alt imperioso dei fascisti, uno urlo Ugolini non ti muovere, era un suo amico di scuola, ma Libero con due salti guadagno il pasaggio fatto appositamente in caso di necessita e scomparve dietro la capanna, due raffiche di mitra si stamparono sul muro senza colpirlo, lo videro passare a falcate da atleta raggiunse la zia a S. Giorgio Duilio Fusconi passo da un finestrino non so come fece e si nascose sopra una grossa pianta. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001) Alcuni casi i fascisti Venivano giu quando aveva piovuto il giorno prima e la notte, loro sapevano che [i partigiani e i renitanti] venivano a casa per ben due volte li bloccarono nella Borgata, Aldo fusconi diede i documenti a Battistini [Augusto] che gli disse, sei del 7 Vai Via, il giorno dopo i fascisti lo canzonavano avevi preso il comandante lo ai lasciato andare, stesso giorno Fusconi Duilio fu bloccato nella capanna mentre i fascisti gridavano Ugolini [Libero] non ti muovere, lui con due salti arrivò al pasaggio che da casa Fusconi portava a casa Maraldi, e come un fulmine spari, Libero non fare, due raffiche di mitra sparate per uccidere, era un amico di scuola e della premilitare, Libero atraverso i campi ando da sua zia a s. giorgio anche qui ce la mano della spia (quando piove tornano a casa, a mezzogiorno li prendete tutti. (Vittorio (Quarto) Fusconi manoscritto 2001) Tino: A l’ò sempra int la ment. Un dé l’era... e’ fo’ una zoiba... u j era l’abitudine che la zenta la staseva int la burgheda. U j era e’ mi ba’ [Aldo Fusconi]... u j era tot... int la burgheda. L’ariva zó una machina. In fa d’ora ad scapè lor... Vittorio: I ciapet tot. Tino: E’ tu por ba’... e’ tu por ba’ [Duilio Fusconi], e’ su fradel... Birocia ad Tibecia, ch’j era a ca’ sua quand i santet la confusion [e] i ciapet via. E ‘lora sti fasesta j era tri. Tri o quatar (...) j era tri o quatar. Però int la streda u n’armanet ad che un. Chjit i daset dria a chjit. (...) In sta burgheda. Tot sta zenta. E mi ba’ l’era... A i s’era nenca me. A l’ò int la ment. Dio Boja! Ch’a s’era a lè... E’ mi ba’ e’ guardeva sempra in schent. U j era Garafon [Guido Garaffoni]. U l’ cema. E’ dis “Ven a que. ‘Sa guerdat te?” “Ah... gnent...” “Dam i documint!”. Alora a sté Garafon u i dà i documint. Cherta d’identità Fusconi... E’ dis “Ma te che t’ci de’ set mo ‘sa guardita par scapè?” e u l’ manda a ca’. U l’ manda via. L’ariva a ca’, u j è la mama, di gran rog. E alora e’ mi ba’ e’ zarcheva la schela pr andé int i cop. In cla meza ca’ ch’j aveva brusé. “Vut s-cmet ch’i n’ um zerca piò” [dice mio padre] e alora la mi mama di gran rog, e alora e’ tó só la bicicleta e u s’inveja par la streda e fa dusent metar e pó dop e’ taja ad travers. (...) E get Sibireni [Aldo Sibirani] cun Garafon “T’avita ciapè la peipa zoiba [e] t’at la si laseda scapè!”. Infati a la zoiba e’ mi ba’ l’era lé. Lo, a sò cunvint, ch’ u l’ mandes via ch’l’aves paura. L’era armast da par lo. Chiit j era tot... tot in zir. Vittorio: Va là che e’ tu ba’ u n’aveva la pistola a te degh me. L’era disarmè se no... Tino: La pistola. U n’ puteva ziré sempra cun la pistola. Vittorio: Ó capì, però... dop u n’ l’à punseda piò. (Tino e Vittorio Fusconi- 1998) E’ fo’... e’ dé prema dla Madona de’ Mont, la Madona de’ Mont l’era la dmenga [no, un martedì] um pè, e’ feragost. E fu la zobia [il giovedì precedente era il 10]. L’era spiuvanzé... una zobia matena me... e alora inveci ad pasè ad travers, a degh “A pas a que da la streda”. Dop int e’ borgh u j è un vièl che u s’ esterna a là. Degh “A vagh a pasè là pr e’ viel se no’ a m’ sporch tot”. Quant a sò lè u j è tri quatar ch’j era a lè insdei (...) e a m’ inciacar a lè cun lou. U j era un che l’aveva di baghen ch’u m’ à fat stè... e’ dis cun sti burdel “Avnì vdei i mi baghen, avnì ‘vdé”. E I s’inveja avdei sti baghen. Ou! Tot int un moment am n’ incorz ch’u j è una machina a lè dninz, cun i mitra punté! Putena Madona! (…) Alora chi du tri ch’j era propri in chev a la ca’ i scapa via e me a s’era a lè int e’ mez, a n’ pos scapè né ad qua e mench ad là. E u j è Garafon [Guido Garaffoni], u j è. Me a sò lè, e’ canton dla ca’ l’è qua, e là u j è una porta. Degh “A m’ spost un po’, a voi avdei s’l’è vert la porta. Cla porta... a m’entr in ca’ e dop chi sà ch’ a n’ schepa”. In cl atum ch’a m’ volt e’ dis “Te du vet?”. Dis “Gnent, a m’ sò vultè ‘csé” “Fa avdei i documint!”. E alora a i faz avdei la patenta. Fusconi... Dis “E la cherta d’identità t’ an la j é?” “No” degh “A la ò persa“ “Bisogna ch’t’a la fega, parché u i vo la cherta d’identità. L’è bon nench la patenta mo comunque, u i vo nench la cherta d’identità”. E me sicom int la cherta d’identita me aveva... Alora i faseva met... a j antifasesta j i faseva met e’ did nir... e me a j aveva la [carta d’dentità] cun e’ did nir! E alora u j era cal doni a lè ch’a m’ guardeva e… “Moh!”al faseva “Moh!”. E e’ fa “Ben! Va. Mo però vent a fè la cherta d’identità che la patenta la vèl, mo la vèl e’ giost. U i vo la cherta d’identità. Va pu. T’ pu ‘ndè”. Me an c’era armè che s’a s’era armè a i tireva sobit. E alora me a m’ invei pianin pianin e cal doni al faseva “Moh!”. “Putena Madona! Emench ch’a l’ staga zeti cal doni!”. E a m’ ariv a sluntanè. (...) E’ get [Guido Garaffoni]... dop. Cun chjit du tri, e’ get “Parché a n’ uv presentì a là só. Ch’à n’andì a lavurè. Andì int la Todt... Parché s’ avnì a là só, tra nun a s’ acapem mei. Tra nun italien” e’ dis “Cun i tedesch l’è diferent mo tra nun italien a s’ sam da capì mei che cun i tedesch” e u m’ dis “Va!”. E a m’ invei pianen. Mo apena che a sò ca’. Via! A ciap via. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983) Si seppe che Barbieri purtroppo era stato visto due giorni prima. I fascisti erano venuti di nuovo a Ronta. (...) E ‘lora erano tutti puntati coi mitra davanti alla porta ad Silvio ad Dori. Il repubblicano no! Antifascista. E avevano preso anche mio zio Aldo [Fusconi]. Mio padre [Duilio Fusconi] era passato da un buco, un finestrino così, che cum l’epa fat... va be che era sottile... a passare da un buco così e a fuggire... a nascondersi in mezzo i campi, come abbia fatto non lo so. (...) Ugolini Libero che era assieme a me aveva una pistoletta, ma piccolina, che la faceva vedere a mio padre... sta pistolina no? Che cosa poteva fare? Tutt’uno arrivarono due fascisti puntarono il mitra. Erano amici di Ugolini che avevano fatto la premilitare assieme e gridarono “Non ti muovere Ugolini! Non ti muovere!”. Ugolini aveva delle gambe come la giraffa e’ faset quatar selt e’ via! E saltò via. Lì, avevano fatto un passaggio che si andava dalla mia zia la... la... la Cela o da Maraldi Renato, si attraversava e in un batter d’occhio eri in mezzo al frumento via! E Ugolini saltò via così. Ma gli altri [i fascisti] non si avventuravano più a andare dietro. Perché ci avevano lasciato la pelle i fascisti lì dentro [alla campagna]. (Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998) Io non le ho raccontato bene quando Garafon [Guido Garaffoni] prese il mio zio Aldo [Fusconi] lì davanti alla borgata (...) Ah! E’stato lì... E’ stato lì... oramai eravamo alla fine, praticamente eravamo... io non c’ero a casa ero ancora in prigione... é stato lì in agosto. (…) E mio zio Aldo era lì assieme ad altri 5-6 e c’era Garaffoni che controllava... No era Battistini [Augusto] che controllava i documenti no? E alora... “Vieni avanti” dice col mio zio “Vieni avanti te”. E [mio zio Aldo] u i daset la cherta d’identità e Battistini u i get “Ma cosa vuoi te, sei del sette! Vai via di qui!”. E’ get. “Te vai pure”. E mi zé… Ciou! L’aveva... Aveva la pistola però loro erano in quattro e quindi... E quindi andò via e come arrivò a fare l’angolo... dopo era fatta. Perché lì dove passi eri già fuori. Eri già fuori. (Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001) I fascisti incominciavano a darsi veramente da fare e non solo a Cesena. In quegli stessi giorni la brigata nera “Ettore Muti” di Ravenna, fucilava, nel faentino, cinque giovani, sospettati di aver partecipato all’uccisione di un loro commilitone e il battaglione “9 settembre”, composto di fascisti al servizio di agenti segreti tedeschi (SD), stanziato a Castrocaro, stava tirando le fila dell’operazione che, in breve, avrebbe portato alla cattura di Silvio Corbari e alla distruzione dell’organizzazione creatasi attorno alla missione Ori di Radio Zella. [Forlì] 12 [agosto] - L’uccisione del Sirtori, detto “Urciaza”, in Rivalta di Faenza, attributa a vendetta dei suoi camerati della b.n. come sovente avviene, ha dato pretesto ad una sanguinosa reazione, ordinata dal comandate della “Muti” e segretario politico Raffaele Raffaelli, eseguita dai militi alle dipendenze di un altro autentico brigante, di nome Raffaele Boschi. Compiuto il rastrellamento di una settantina di persone nella zona; cinque di queste legate ai polsi insieme, condotti nella villa S. Prospero, sede del comando di brigata, dopo una larva di processo sono stati finiti a colpi di pistola a ridosso del muro cimiteriale. Solo una giovane, tale Verità [Annunziata], che faceva parte del gruppo, rimasta ferita alle braccia e con supremo coraggio fingendosi morta; è stata poi tratta in salvo da un ardito passante. Ecco il nome dei martiri: Luigi Sangiorgi di anni 33; Giuseppe Savini di anni 35; Carlo Casalini di anni 50; Emilio Nanni di anni 35. (...) I restanti (...) consegnati ai tedeschi sono stati tradotti alle carceri di Forlì. Il terrore regna in tutta la vallata del Marzeno, per la ferocia del Raffaelli, che volle pure la fucilazione di altri innocenti. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) 24 [agosto] - Il 18 è stato catturato in territorio di Modigliana il famoso Corbara [Silvio Corbari] e impiccato in piazza: a sera è stato trasportato in Forlì con la fidanza e alcuni compagni attaccati ai lampioni della Piazza grande (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Il 13 agosto, a Gattolino, sono catturati e fucilati dalle SS i due partigiani Renato Medri e Primo Targhini appartenenti al gruppo Mazzini. Un gruppo Gap di tendenza repubblicana, che faceva parte della 29a. brigata. Ci sono stati dei morti qui a Gattolino che facevano parte della formazione repubblicana dei mazziniani. Li hanno presi lì vicino sotto un pagliaio di paglia, durante un rastrellamento e dopo li hanno uccisi qui in un campo. (Sergio (Savolino) Mazzotti - 1983) 13-14 agosto 1944 - Le SS di Macerone, in un rastrellamento di partigiani a Gattolino, avendo trovato armi in un nascondiglio, hanno fucilato Targhini Primo e Medri Renato e arrestato altri. Non c’è pace in quella zona. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) Momento d’angoscia: pomeriggio 14 agosto 1944 – Sono nel cimitero di Gattolino, la mia parrocchia nativa, a pregare sulla tomba di babbo e mamma. Chiedo al custode: “Per la strada non ho visto una persona. Non si ode una voce. Che cos’è questo silenzio di paura, di terrore?” “Don Armando non sa cos’è successo?” Non respiro per attendere la risposta. “Hanno fucilato Renato Medri e Primo Targhini di Gattolino. “Un pianto, una preghiera. Faccio una velocissima corsa dal cimitero al luogo della feroce esecuzione. A pochi metri dai due corpi giustiziati, due ordini secchi secchi mi fermano. Osservo. Prego un istante. Un altro ordine perentorio mi impedisce di continuare la preghiera per gli amici Renato Medri e Primo Targhini. (Da: Montecodruzzo : giorni e notti di un antico borgo medievale / don Armando Moretti. – Cesena : Quaderni del Corriere cesenate, [s.d.]). [La fornaia della Calabrona, era] la mamma di quel ragazzo che hanno ucciso sotto e’ fler dl’uva... Che [loro] abitavano... a Gattolino. Che un fratello (...) faceva il barbiere lì a Gattolino e quest’altro fratello [Primo Targhini] aveva 17-18 anni, che glielo ammazz[arono] davanti alla sua mamma. Che c’aveva un coso d’uva davanti casa e c’hanno ammazzato i tedeschi il figlio e era il figlio del nostro fornaio, che era il nostro inquilino (...) Il forno era nostro, però, loro [i Targhini], ci pagavano l’affitto a noi. (Dina Nardini - 2000) Ero in giro per Cesena, eravamo fuori dall’Arrigoni con un permesso dei tedeschi che era il famoso permesso scritto in tedesco per la bicicletta, che non te la portassero via e questo si adoperava un po’ sempre. Io, a Gattolino, ero lì dietro, quando fucilarono quei partigiani di Gattolino, noi ci conoscevamo perché... Lì, ammazzarono quelli di Ponte Ruffio (il 19 agosto)… fra i quali c’era un mio parente di Cesenatico che era un renitente di leva e questo permesso ci permetteva certi contatti… certi incontri… Quando fecero il rastrellamento [a Gattolino] sono scappato… ci vuole anche un po’ di fortuna nella vita, io l’ho avuta. Mi avevano preso i tedeschi, mi mandarono su, qualcuno è morto, a fare delle buche verso S. Marino per la TODT e io scappai; dissi: “Un attimo, vado a prendere un pezzo di pane lì…” e poi sono scappato dietro al posto dove hanno ammazzato quelli di Gattolino. Ero in questo vialetto, c’era la campagna e a loro ho lasciato i documenti. (Edoardo Gazza - dattiloscritto1984) Ah! Battistini [Augusto] [...] che de’ ch’i mazet chi du ad Gatulen, e dop e’ daset dria a e’ mi marid. Che eravamo fidanzati in quei momenti. Cun e’ mitra e’ sparet un colp ad mitra per fortuna che e’ mi marid e’ faset d’ora da saltè un bosch e po’ una seva e po’ via, via andè ca’. Dop e’ mi marid j i andet a ca’ i fasesta. Mo e’ mi marid l’aveva una ca’ da cuntaden a là int un mez, ma il suo vicino di casa, ch’j era du cuntaden, c’aveva una terrazza, questa terrazza guardava proprio il viale che veniva dalla strada, allora j avdet sta machinaza nira, j era i fasesta (...) e alora i s’ piazet cun dó mitragli... dó mitra lo e e’ su fradel ad quest che que però, lou i turnet d’indria, i n’ avnet aventi i fasesta. Cla volta che lè la andet ben. [Quando fu invece che gli spararono?] Cla volta che lè e’ fo’ cla dmenga ch’i mazet chi du ad Gatulen e ‘lora i fasesta i zireva inenzi e indria e ‘lora lo e’ vent da me... e’ vniva da me cun i calzunzin curt acsé, l’era una dmenga e nun a i gesum, t’an e’ sé ch’j à mazè quii ad Gatulen. A n’ fasesum d’ora ad dì csé ch’avdesun sta machina ad fasesta cla s’afarmet. Lo e’ saltet un fos, pó e’ saltet ad dria d’un purton, da i mia e pó e’ curet a ca’ sua. (Anonimo - 1998) L’intervento dei tedeschi a Gattolino sembra sia stato causato da un’azione contro una trebbiatrice, il 9 agosto, in cui uno degli operai addetti alla macchina era stato ucciso. 15 agosto - Ieri, domenica 13, le S.S. di stanza a Macerone hanno fatto un rastrellamento a Gattolino di partigiani. Trovati in un nascondiglio con armi Targhini Primo, figlio del fornaio, e Medri Renato. (...) Ragione di ciò l’incendio della trebbiatrice di Battistini provocato con una bottiglia di benzina, mentre batteva Moretti Primo, da un partigiano con morte di un operaio colpito da 3 pallottole di rivoltella il 9 dello stesso mese. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) I tedeschi, che erano sempre intervenuti direttamente solo nei casi in cui veniva coinvolto qualcuno dei loro, demandando il resto alle autorità fasciste, ora, considerata la posta in gioco ed il loro interesse, incominciarono a muoversi anche nei casi di sabotaggio alle trebbiatrici. Anche pochi giorni prima, il 27 luglio, erano intervenuti, in un caso analogo, nella zona di Montiano-Calisese. 27 luglio - A Montiano Gap attacca un gruppo di militi di guardia ad una trebbiatrice per controllare il prodotto. Nello scontro un fascista [Augusto Belli] rimane ucciso. (Dal Bollettino n. 7 della 29a. brigata Garibaldi “Gastone Sozzi” - Zona di Cesena – ISRFC ANPI Forlì) 28 luglio 1944 - Oggi un giovane di Calisese, tale Suzzi, è stato arrestato dai Tedeschi perché hanno trovato un’arma fra i covoni nel suo campo. Viene tradotto in città al Comando tedesco presso la solita Villa [villa Suzzi], vicino al gioco del pallone. Sarebbe stato fucilato se non fossero intervenuti due sacerdoti: don Lino Mancini e don Aldo Casadei che conosce la lingua tedesca. Nel frattempo un furioso bombardamento spaventa i teutonici. Il giovane viene rilasciato. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) Da più di un mese, comunque, a Gattolino e dintorni, erano state segnalate diverse azioni partigiane e la zona era sicuramente tenuta sotto controllo. 13 luglio - Nel tardo pomeriggio di ieri, due ribelli hanno disarmato a viva forza un soldato tedesco in un punto della via Gattolino-Ruffio. Chiodi per forare le gomme degli autocarri sono stati seminati alcuni giorni fa sulla via cervese. 17 luglio - Oggi alle ore 14 circa, in località Vialone, un tedesco, che si recava dalla famiglia Montalti (Magon) a prendere il latte, è stato disarmato della pistola da un individuo in bicicletta, che gli ha puntato la sua contro il fianco dicendo: Mi bisogna la vostra pistola. Il povero tedesco, solo e non in posizione di difesa, gliel’ha data. Poi è andato per aiuto dai Guidi, ove sono altri tedeschi. E’ stata perquisita la casa di Minotti ed alcune altre nel Vialone. Ieri sera, verso le 11, alcuni delinquenti si sono presentati alla Contessa, vedova Teodorani-Fabbri, sfollata qui a Gattolino in casa del colono Bocchini Urbano, detto Lavanda, ed hanno voluto 4 mila lire. Alcuni erano mascherati, e prima avevano fatto andare a letto i membri del colono vicino Benvenuti. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) 30 luglio 1944 - Scambio di fucilate fra un GAP e una pattuglia di militi di guardia ad una trebbiatrice (Gattolino). (Bollettino n. 7 della 29a. brigata Garibaldi “Gastone Sozzi”. Zona di Cesena – ISRFC ANPI Forlì) 4 agosto - Alcuni giorni fa, nel cuor della notte, sei o sette fuori legge in bicicletta si recarono alla casa del mugnaio della Calabrina, Zoffoli: suonarono e bussarono sgarbatamente, e, non aprendo nessuno (dentro c’era solo il padrone spaventato) se ne andarono tirando due bombe nel cortile. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) 3 agosto 1944 - Gap effettua la perquisizione in casa di un fascista alla Calabrina. (Bollettino n. 7 della 29a. brigata Garibaldi “Gastone Sozzi”. Zona di Cesena – ISRFC ANPI Forlì) 5 [agosto] - Questa notte alcuni ribelli sono andati da Lorenzini alla Calabra ed han voluto denari: partendo hanno sparato colpi di fucile e lanciato bombe a mano per atterrire la casa. 6 agosto - Stamattina, alcuni uomini vestiti da soldati italiani si sono fatti dare dal colono Mazzotti Natale, via Ruffio, la cavalla e i finimenti, rivoltella alla mano. I ribelli han voluto danari dal marchese Almerico Almerici, sfollato presso il colono Castori Adolfo, poco lontano di qui, e hanno portato via armi e una macchina da scrivere a Biguzzi Mario, via Mariana (Calabrina). La macchina di certo Montanari [Oddino], comunista di Macerone, è stata danneggiata dai ribelli, suoi amici, a S. Giorgio. Prigionieri tedeschi briachi hanno ucciso due uomini (Bocchini) a Bulgaria. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) 7 agosto 1944 - Stanotte al parroco di Gattolino, don Pietro Burchi, si sono presentati individui mascherati, i quali, dopo avere svaligiato la casa di cibarie, gli hanno sparato contro, ferendolo fortunatamente solo alle gambe. Don Burchi (...) negli anni addietro, si era attirato molte odiosità a causa di numerose denunce, contro i bestemmiatori della zona, verso i quali, a norma di legge, faceva fare regolare processo. Per il suo zelo forse eccessivo tanti erano stati condannati, per quanto lievemente a multe pecuniarie e spese processuali. Già recentemente era stato fatto oggetto di attacchi, da parte di sconosciuti. Anche quest’ultimo attentato (secondo me), può mettersi in relazione a quanto sopra. Si è saputo più tardi che il Burchi, che mai è stato in passato di idee fasciste, fu costretto con la forza dai nazi-fascisti a montare con loro in macchina per indicare l’ubicazione di alcune famiglie che essi cercavano. Non poté assolutamente sottrarsi sotto le minacce. Queste famiglie ebbero uomini imprigionati e la colpa fu data al Parroco. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) 15 agosto - Scrivo dal letto, nell’Ospedale Bufalini trasferito nel palazzo della fondazione Almerici a S. Anna. Domenica 6. c.m., alle ore 10,30 (di sera) circa, ero in tranquilla conversazione fuori della porta del campanile con le famiglie dei due sfollati, quando si presentano improvvisamente cinque individui armati, mascherati e truccati; ci fanno alzare le mani; ci rassicurano un po’, indi due restano a piantonare le donne, gli altri tre accompagnano me e due sfollati di sesso maschile in canonica passando per il davanti; appena entrati mi obbligano a consegnare loro le armi; poi due di loro mi accompagnano di sopra, dove mi prendono tutti i soldi e un servizio di posate e forchette per frutta. Rovistano per tuta la casa, cercano olio, prosciutti, ecc. tornano di sotto e ci riconducono tutti e tre dove stavano le donne. Qui lasciano [a] tutti raccomandazione di tacere, ma vogliono ch’io li accompagni per loro sicurezza fino al termine del viale: qui mi licenziano, ma appena voltato mi sparano addosso 13 colpi di mitra, forandomi il braccio sinistro in modo leggero e rompendomi la tibia e il perone verso il mezzo della gamba destra. Cado in terra; i malandrini fuggono, mia sorella Aurora accorre gridando, la rincuoro, arrivano gli altri, mi prendono su, mi portano in casa, fasciandomi alla meglio. Si va per un cavallo e un’ora dopo mezzanotte sono in letto dell’Ospedale. Il martedì mi si fanno i raggi, tira la gamba e ingessa. E ora sono qui... (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Il giorno del rastrellamento sembrò che i tedeschi andassero a colpo sicuro, dirigendosi senza esitazioni verso il pagliaio, sotto il quale era scavato il rifugio dove i partigiani erano nascosti. Questo fece pensare ad una spiata. Chi du che lè [Medri e Targhini] l’è stè cheusa (...) ch’j à truvè di mitra, dal bombi men, dal pistoli, sota un pajer ad paja. Pó j à ciapè sti du raghez. (...) i fasesta par avé truvè quest che que j à ‘vu una spieda acsé... da una ragaza... da una ragazza che abitava sempre a Gattolino, l’à j à fat una spieda e j à mazè sti du raghez propi a lè da chent a ca’. E l’era du raghez ch’j era du partigen. (Anonimo - 1998) Quand ch’i mazet chi burdel (...) me a s’era... a geva l’es a tarsent metar, quatarzent metar, masé lè insen cun d’jitar a lè int un rifugio. Però i tedesch i n’ariveva... J arivet a mità... e che grupet ad ca’ du sema nun i n’ e’ sorvegliet par gnint. [Fu una spiata?] Me a pens che fos ona spieda. Perché se no’... Cum a fai andè lè? Via! (...) Dop la liberazion (...) i panseva che fos dal doni a lè a Gatulen [delle spie]. Ch’j i andet pó ca’... Che me a s’era in Germania e quest an e’ sò... I tiret qualcosa... a n’ e’ sò, dal bombi in ca’... e l’avnet mort una bes-cia, i get... Me, dop, a fo’ interoghè nenca me (...) da la polizia. Dop, finì la guera, pasè e’ front. “Me” degh “a s’era in Germania. A sò andè via, e’ front u n’era ancora pasè. A sò vnu ca’ dop un an! Me” degh “a n’ e’ sò ste fat che que, insoma!”. Me quand ch’a i s’era me, j era int e’ grop ad Mazini, sti burdel. E quii ch’i sareb andé a là a ca’ [di queste presunte spie] i sareb stè dla perta de’ grop ad Mazini, però i num i ngn’ é, ecco! [Chi c’era nel gruppo con loro?] (...) u j era un Senni (...) una masa t’ an i cnusiva (Armando Faraoni - 2000) Io mi ricordo che mi disse Targhini e Medri “Ah! Vieni a dormire con noi questa notte.” (...) anche loro erano di leva perché uno era del 23 mi sembra, l’altro era del 19, del 20, 19-20. E dopo cosa succede? Che io andai a dormire con loro e dopo la mattina venne il rastrellamento. Fu una spia fu... che ci hanno preso. (Romeo Motta - 1983) Un giorno una spia fece inviare a Gambettola [Gattolino] dei tedeschi. Purtroppo due nostri amici non fecero in tempo a fuggire (si chiamavano Renato Medri e Primo Targhini). Perquisiti e trovati con delle armi vennero fucilati immediatamente sulla soglia di casa, poi furono presi in ostaggio i genitori e i parenti di altri ragazzi che erano riusciti a fuggire. (Natalina Calisesi in: : Donne di Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975) Assieme a Medri e a Targhini è catturato anche Romeo Motta, anche lui un partigiano, ma trovato senz’armi e messo a confronto con gli altri due, fu da loro scagionato e si salvò. Romeo, assieme al fratello Livio è portato a Cesena e rinchiuso nel carcere della rocca, di lì sarà trasferito a Forlì e quindi deportato in Germania, mentre Livio sarà costretto a lavorare per la TODT. Nei giorni successivi altri li seguiranno. Fra questi Elmo Farnedi e Armando Faraoni che saranno deportati assieme a Romeo Motta. Con loro anche Malvina Rocchi, la madre del partigiano Pietro Pironi, catturato in montagna, nel rastrellamento d’aprile e deportato. Sarà rilasciata e poco dopo gli giungerà la notizia della morte del figlio, il 29 agosto 1944, in Germania, per taglio della testa. 15 agosto - Verso le 12,30 sono stati fucilati. Molte armi trovate nel palazzo di Pironi Terzo [fratello del partigiano Pietro Pironi] (pistole, bombe, fucili): catturati la Rocchi Malvina, madre di Pironi Terzo, e Belletti Dino, zio di Senni Elvezio, ricercati, nascostisi nel soffitto. Catturati i due Motta, Romeo e Livio, i due Riciputi, e Farnedi Elmo. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Lavoravo la terra quando mi chiamavano (...) andavo con mio babbo che purtroppo quel mio arresto che mi fecero a Gattolino aveva messo in imbarazzo la mia famiglia... Aveva messo in pericolo... perché, mi arrestarono il fratello [Livio Motta], mi hanno arrestato la sorella, e... mi volevano fucilare il padre qui a Calabrina i fascisti... Io dopo mi son buttato fuori alla campagna. [Dove vi hanno preso?] A Gattolino, sempre a Gattolino (...) [Eravate armati?] Sì, quei due [che] erano con me erano armati, avevano le pistole... Io invece non avevo niente... e allora [i tedeschi] dice chi era questo qui? E loro dichiararono che le armi erano sue. Che lui non aveva armi sue. Che io non ero responsabile di quel fatto e infatti io non... non ne avevo, dico la verità, delle armi in quel periodo. (...) Ah! Quando sono stato preso, m’hanno preso nel rifugio e poi c’hanno caricato... loro due li hanno uccisi e me m’hanno portato lì di fronte allo spaccio... m’hanno interrogato e allora viene un caporale... un soldato, era caporale (...) era un fascista che l’aveva mandato Moreschini [Pier Francesco], che io lavoravo sotto la tenuta di Moreschini qui a San Giorgio. E alora disse che io andavo sempre a lavorare insieme il mio capo squadra che io avevo, dichiarò che io andavo a lavorare e non m’hanno ucciso. Però cosa succede? Mi portano in prigione a Cesena, alla rocca e lì sono stato... [Prima al palazzo del capitano?] Sì, ma al capitano più che parte andavano all’interrogatorio (...) Mi ricordo, una volta, al capitano, che avevo le manette e mi picchiarono in faccia e io mi ricordo che da quante che me ne avevano date non le sentivo più (...) sto una notte e un giorno lì al palazzo del capitano, chiuso lì dentro a una piccola stanza... Però dopo si portarono a là su nella rocca e dove c’era anche mio fratello lì dentro e quelli di Gattolino. Altri due: Faraoni Armando di Gattolino e poi c’era Farnedi [Elmo] di Gattolino (...) e così s’è sempre sotto interrogatorio. Sempre sotto battuta, sempre sotto battuta (...) M’avevano arrestato una sorella che l’avevano portata a Bellaria in una colonia. M’avevano arrestato il fratello, era stato con me in prigione. Dopo, loro, lui lo son venuto a prendere e l’hanno portato a lavorare nella Todt, a là vicino a Pesaro. C’era il fronte a là vicino a Pesaro, Rimini da quelle parti là... [I suoi fratelli erano a conoscenza della sua attività?] Di me? Ah! Sì che erano a conoscenza. Ah! Lo sapevano. (...) e il mio padre lo avevano tentato di ucciderlo qui al mulino di Calabrina e l’ora (...) cosa ho fatto? Ho detto “Tanto per me la vita è così... morto io morti tutti”, avevo sempre avuto quell’idea lì... (Romeo Motta - 1983) [Romeo Motta] il ciapet propi insem cun lou. J era a durmì lè e’ pó dop i tedesch j andet a razè ch’j era int una pajera ad paja e i truvet sté mitra. J i faset guastè tot la pajera e j truvet e’ mitra. J i tiret eh! Chi du i j à mazè e (...) l’è stè cun me in Germania, Motta Romeo [lo presero prigioniero]. E j i purtet a lè int e’ spazi ad Gatulen, a là ad dria. U j era un porgat. J i mitet a lè, u j era un porgat, j i interoghet. U j era un interprit de’ Masron, quest e’ scureva e’ tedesch... E dop, chi burdel ch’j è murt, j i get “Lou [Motta] l’erma u n’ e’ saveva”. Il tiret da perta. Chjit du j amazet e lo [Motta] Il purtet a e’ cmand tedesch ch’l’era pó a... Sant Dmidar? (...) Dop un dé i m’ ciapet nenca me. (...) me an c’era cun lou. (...) me, l’è vnu e’ fat, parché a s’era a là int al baterji, a sò scapè e alora pó dop i m’ zarcheva nenca me e l’è avnù sté fat... (...) Dop un dé i m’ ciapet nenca me. I m’ purtet a là só e vdet che u j era sté Farneti [Elmo] ch’l’era un oman... L’aveva quarent’en lo. Ch’l’era de’ dó. E sté Motta. (...) Farneti... Elmo. Lo i l’aveva vest che l’era propi lè, int e’ crucivia du ch’u s’ svulzeva i fat e du ch’e’ staseva sté Mota, ch’l’era da la finestra. E ‘lora il ciamet e il purtet via. [Ma lui c’entrava qualcosa?] No. E ‘lora e’ ven che dop a du dé, un dé, tri dé... i m’ ciapa nenca me e ‘lora i m’ porta a là só. A m’arcord che i faset... Cumé dì? Trata mel! E lou j i tulet via e j i purtet int la Roca e me i m’ tnet a lè che i m’ interoghet e pó tot la nota stuglè a là ma tera, cun al gambi là só d’in elt e al brazi ‘csé. Lighì. Un scador a que... int e’ barbet (....) e a m’ sfargheva a lè. E cun ona sentinela. Dop, a la matena, i m’ siujet e i m’ mandet zó a pè cun i tedesch u j era du sentineli. Me daventi e lurit ad dria. E i m’ purtet int la roca. (Armando Faraoni 2000) Nei giorni successivi furono ricercati altri giovani e al posto del figlio, fu incarcerata anche Silvia Casetti, madre di Oddo Biasini. ... successe che nel ponte di Ruffio uccisero 7 persone, erano tutti marinai, ci fu una spiata, arrivarono i fascisti e li ammazzarono tutti e Oddo Biasini fece un’azione, non mi ricordo quale, allora i fascisti andarono a cercarlo, lui non c’era, presero sua madre, la portarono via, ma per poco., poi la rilasciarono. (Pietro Barducci - dattiloscritto 1983) La “spia”, sul momento, venne identificata in Pietro Burchi, il parroco del paese, che per il suo carattere piuttosto scontroso si era attirato parecchie antipatie e che in precedenza, era già stato accusato di avere segnalato ai tedeschi alcuni giovani renitenti e minacciato. La notte del 7 agosto don Pietro era stato ferito alle gambe, a colpi di mitra, da un gruppo di partigiani e si pensò, che, per vendetta, egli avesse fatto i nomi dei partigiani della zona ed indicato ai tedeschi i loro nascondigli. Sfollato a Casalbono, il 14 settembre venne prelevato da una pattuglia partigiana e condotto alla sede del comando dell’8a. brigata Garibaldi, a Pieve di Rivoschio e lì, sottoposto al giudizio dei comandanti della brigata. Ritenuto innocente del fatto fu liberato. 3 settembre - Domenica: I bombardamenti di ieri mi hanno costretto a sfollare da Cesena e rifugiarmi a Casalbono presso mio cognato Poloni Arturo. Ho sempre la gamba ingessata. 14 [settembre] - Giovedì: Un gruppo di partigiani circonda la casa e mi conducono, mio malgrado, a Pieve di Rivoschio per essere interrogato dal loro comando. Mi accompagna il cognato Arturo e certo Canali Aldo, i quali, però, prima di arrivare alla meta, vengono licenziati. L’ultimo tratto di strada vien fatto su una treggia con cesta. Giunto verso l’Ave Maria con febbre (dopo cinque ore di viaggio massacrante sono interrogato brevemente da un ufficiale e poi mi mettono a dormire in una capanna sulla paglia. Mi serviranno da materazzo i cuscini che m’avevano dato da mettere sotto il piede e di coperta la mia veste. 23 [settembre] - Sabato: Al pomeriggio sono esaminato giudizialmente da un tribunale di tre signori, tra cui il comandante della brigata Garibaldi, Pietro [Ilario Tabarri], e tosto rimesso in libertà. Nei nove giorni che sono restato tra i partigiani sono stato trattato bene. Rispetto, cure, buon nutrimento. Il 19 certo dott. Maccolini di Meldola mi leva l’ingessatura e medica la gamba scrostata in un punto, con mia grande soddisfazione. Parecchi partigiani mi visitavano spesso ascoltandomi e consolandomi. Uno di Pieve di Rivoschio (io mi trovavo precisamente in frazione Campo Fiore, nella casa detta Palazzo, a un’ora di cammino di distanza dalla chiesa) prese le mie parti e mi difese in modo aperto. Le accuse erano ch’io fossi una spia dei tedeschi, che avessi fatto uccidere dagli stessi i giovani Targhini e Medri di cui sopra, che fossi un ufficiale della Milizia, che avessi chiesto in confessione a una mamma notizia dei suoi due figli e, avutele, li avrei fatti catturare, ecc. E’ inutile dire che soprattutto i primi giorni della mia prigionia furono di terrore. Temevo da un momento all’altro di essere fucilato; in seguito mi accorsi di trovarmi tra uomini ponderati, decisi a veder chiaro nella faccenda e non disposti a credere a d accuse più o meno vaghe, e soprattutto a non agire senza la sicurezza della reità dell’accusato, e mi confortai alquanto. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) In un secondo tempo si accusò una ragazza che si dice fosse stata respinta da Renato, ma la verità non si è mai potuta sapere. Il marchio di don Burchi [Pietro], qui, era che lui era un fascista e che lui non si è adoperato... Perché la moglie del tabaccaio, la mattina, quando interrogavano il Targhini [Primo], il Medri [Renato] e il Motta [Romeo], lei andò lassù che gli disse il suo marito “Dai, va là, va da e’ prit! Lo l’à dal cnuscenzi, l’à dal ‘micizi…” e via e via… Andò su e… Lo [don Burchi] e’ get “Ah no! Non posso far niente. Loro lo sapevano, non sono dei bambini!”. Queste furono le parole che lei tornando a casa la get cun e’ su marid ch’l’era Piin Benvenuti. Pio Benvenuti. La i get “Ciou! Lo u m’ à det acsé” L’Adilina la i get “Ciou! E’ prit u m’ à det quest, quest e quest…” “Osta! Mo ‘lora cm a fasemi?”. E andarono a chiamare quello che alora era il postino che aveva due belle figlie l’Elsa e la Venera. Che quand ona la è bela j i va dria tot. Quindi u ngn andeva sol i fasesta o i tedesch (…) Lei era innamorata di Renato. Così almeno la gente dice. Però un dé Renato (…) u i get un dé: “Sta bona…” Perché lui, sto Renato, in quei giorni lì era un po’ al di fuori degli altri. Vestiva bene, aveva il gramofono, la macchina fotografica... Era un po’… E ‘lora e’ get “Va là che te t’ é trop fasesta ch’i t’ zira da tond a ca’!” (…) Poi dopo un po’ avenne sto fatto e ‘lora j à sempra pansè che lou j epa fat la speja. (…) Lou al s’è sempra zurèti che lou mai e’ mond a glj avreb fat quest che que. U j è un ent chi l’eva sospetè che non era troppo serio che era di Villa Calabra (…) si mischiva un po’ con tutti. Pelo. (Paolo Biguzzi - Incontro al Quartiere Cervese Nord del 24/04/2003) I partigiani del gruppo Mazzini, vista la pericolosità della situazione, decisero di abbandonare la zona e si trasferirono a Montecodruzzo, dove alcuni dei loro si erano già installati, sin dai primi di agosto e lì, rimasero ad attendere l’arrivo degli alleati. Le numerose perquisizioni, i rastrellamenti e le rappresaglie ci costarono la perdita di due uomini, Renato Medri e Primo Targhini, l’arresto di altri venti, alcuni dei quali furono torturati, e la carcerazione di famigliari di nostri organizzati resisi irreperibili. Fu perciò deciso che una quarantina di noi, mancando le armi per i rimanenti, si concentrasse nella zona di Montecodruzzo formando una Unità partigiana. (Dalla Relazione sull’attività partigiana militare svolta dal Gruppo di Azione Patriottica “Giuseppe Mazzini” - in Cesena libera : note e documenti per una storia della resistenza nel cesenate / a cura di Walter Zanotti. - Cesena, 1975) Un giorno una spia fece inviare a Gattolino dei tedeschi. Purtroppo due nostri amici non fecero in tempo a fuggire (si chiamavano Renato Medri e Primo Targhini): perquisiti e trovati con delle armi, vennero fucilati immediatamente sulla soglia di casa, poi furono presi in ostaggio i genitori e i parenti di altri ragazzi che erano riusciti a fuggire. Noi fummo più fortunati: avvertiti immediatamente, riuscimmo a scappare e a raggiungere Monte Codruzzo. Eravamo parecchi, così ci dividemmo in gruppi sparsi qua e là presso famiglie di contadini come sfollati, ma sempre collegati fra di noi. (Natalina Calisesi in: Donne di Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975) A Rimini, il rastrellamento che seguì l’attacco ad una trebbiatrice controllata dai tedeschi portò alla cattura di diverse persone, fra queste un giovane gappista, che sottoposto a tortura svelò l’esistenza di un gruppo, la cui base si trovava presso i ruderi della caserma ducale. Lì, furono catturati Mario Cappelli, Luigi Nicolò e Adelio Paglierani, poi impiccati, il 16 agosto 1944, in piazza Giulio Cesare, a Rimini. [Forlì] 16 [agosto] = Dopo torture e sevizie i tedeschi impiccano ad un trave incastellato, eretto in piazza Giulio Cesare in Rimini, tre giovani, trovati in possesso di armi: Gino Cappelli di 19 anni, Luigi Nicolò di Giuseppe di 21 anni e Adelio Pagliarani di 20 anni, studente del nostro Istituto Industriale, la piazza è deserta il terrore è diffuso. Assassino morale dei martiri è il maresciallo di marina Paolo Tacchi, segretario del fascio di Rimini, comandante effettivo della b.n. del luogo, per la caccia ai partigiani in collaborazione con i tedeschi. [Forlì] 17 [agosto] = Gli impiccati di Rimini restano esposti in piazza. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Ignoti malfattori hanno commesso un nuovo atto di sabotaggio in danno della popolazione civile che è sotto la protezione di questo Comando: una trebbiatrice da grano è stata incendiata. Il Comando Militare Germanico della Difesa Costiera ha preso i seguenti provvedimenti. 1) Arresto di 10 ostaggi 2) Il Comando delle squadre d’Azione della Brigata Nera e il Commissario straordinario del Comune di Rimini provvederanno a far rimborsare la somma di L. 100.000 (centomila) al proprietario della trebbiatrice. Le 100.000 lire predette saranno versate da parte dei cittadini abbienti indiziati per sentimenti antinazionali (...) 3) Obbligo di sorveglianza delle macchine trebbiatrici da parte del personale di macchina e dei compagni delle squadre adibite ai lavori di trebbiatura (...) Essendo il secondo grave atto di sabotaggio che si verifica nell’ambito del Comune di Rimini a distanza di breve tempo, si avvertono i cittadini che per l’avvenire, nell’ipotesi di nuovi casi gravi di sabotaggio, gli ostaggi saranno senz’altro passati per le armi. (Dall’Ordinanza del Comando germanico delle difesa costiera di Rimini. 12 agosto 1944. Firmato dal Comandante Christiani. In: La provincia di Forlì nella resistenza e guerra di liberazione : immagini e documenti / Istituto storico della resistenza. Forlì. - Forlì, 1979) Il Comanado militare Germanico della Difesa Costiera di Rimini ha condannato a morte per impiccagione i seguenti ribelli: NICOLO’ LUIGI di Giuseppe - nato l’8 giugno 1922, residente a Rimini PAGLIARANI ADELIO di Attilio - nato il 29 maggio 1925, residente a Rimini CAPPELLI MARIO di Enrico - nato il 21 aprile 1925, residente a Rimini colpevoli di ammassamento clandestino di armi e munizioni a fine terroristico e di reati di sabotaggio e attentati contro cose e persone. La condanna è stata eseguita stamane in Piazza G. Cesare. E’ doloroso che i cittadini di Rimini, allineatisi coi nemici della Nazione, si siano macchiati di delitti contro l’integrità della Patria e contro la stessa loro Città, che gli angloamericani hanno martoriato con 92 incursioni e colla quasi totale distruzione. La triste ingloriosa fine di costoro sia d’esempio e di remora a chiunque insegni che non è col terrorismo e col sabotaggio che si difende la Patria e si cammina verso un avvenire migliore, ma col combattimento contro l’invasore già alle porte della nostra terra, col lavoro e colla disciplina, colla fede sino all’ultimo nell’alleanza che il tradimento di pochi non ha spezzato, poiché la nazione si può ancora salvare solo durando sulla via dell’onore e del sacrificio. Ricordo anche che attentati e fatti di sabotaggio comportano rappresaglie severe a carico della popolazione civile e il prelevamento di ostaggi, sui quali, in caso di mancata scoperta dei colpevoli, le Autorità militari germaniche eserciteranno le penalità comminate. E’ quindi delittuoso e ingeneroso da parte dei veri responsabili esporre innocenti a queste rappresaglie che possono andare sino alla pena di morte: rappresaglie che per gli ostaggi già prelevati - e ora rilasciati - sono state revocate solo perché i colpevoli sono stati arrestati. (Avviso del municipio di Rimini. 16 agosto 1944. Firmato dal Commissario straordinario Ughi - In: La provincia di Forlì nella resistenza e guerra di liberazione : immagini e documenti / Istituto storico della resistenza. Forlì. - Forlì, 1979) I tre impiccati a Rimini erano lì [in prigione a Forlì]. E io li ho riconosciuti, si immagini un po’, dopo tanti anni facevo parte del comitato federale della federazione giovanile comunista e andai a Forlì a una riunione. Mi trovai davanti nel corridoio le fotografie dei tre impiccati. Erano tre (...) che facevano parte del gruppo di, di coso... di Edo Bertaccini, che erano stati presi armati a Rimini e poi sono stati impiccati in piazza e adesso la piazza Tre martiri è intitolata a loro. Io rimasi scioccato da queste fotografie. Io non sapevo che fossero morti. Non lo sapevo. L’ho saputo dopo tanti anni insomma. (Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001) I tre erano stati partigiani dell’8a. brigata Garibaldi, nella squadra comandata da Edo Bertaccini. Fatti prigionieri durante il rastrellamento d’aprile, che distrusse l’8a. brigata Garibaldi e condannati alla deportazione, erano fuggiti dal treno che li stava portando in Germania, nei pressi di Faenza. Quindi, fatto ritorno a Rimini, erano rimasti nascosti. Quii... quii ad Remin, trì. J era scapè... j era scapè che j i mandeva in Germania. J era scapè dria a Faenza che j aveva cavè un’èsa d’int e’ vagon de’ treno. J era scapè e j i à ciapè armè in piaza a Remin e j i à impichì a Remin. J è stè piò ad quarenta-zinquenta dé ad dentra in galera cun nun (...) a lé [a] la roca a Furlé (...) Capelli [Mario Cappelli] un u s’ ciameva. (Vittorio (Quarto) Fusconi 2001) Il 19 di agosto, presso il ponte di Ruffio, vengono trovati i corpi di otto ragazzi fucilati: Arnaldo Gazza, Romano Giorgetti, Rino Liverani, Dino Ricci, Giuseppe Poggiali, Angelo Prodi, Sascia Hakim, Guglielmo Zanuccoli. I più vestono la divisa da marinaio. Io, in ferrovia, andai in servizio in stazione di Gambettola, [lungo la strada] ho trovato i partigiani fucilati sul ponte di Ruffio, quattro di qua e quattro di là... (Jaures Amadori in: che tutti i giorni ne morivano tanti come c’è la malattia delle galline : 1940-1945 / Istituto per la storia delle resistenza e dell’età contemporanea. Ufficio di Cesena. - Cesena, [1999]) 19 [agosto] - Questa notte presso il Ponte di Ruffio i tedeschi hanno ammazzato otto individui, che pare siano marinai italiani. Trovati sul far del giorno legati insieme. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Mi ricordo un giorno al ponte di Ruffio, vennero uccisi dei soldati. 7-8 furono fucilati sul posto, perché trovati lì fuori orario. (Urbano Danesi - dattiloscritto 1984) Ero in giro per Cesena, eravamo fuori dall’Arrigoni con un permesso dei tedeschi che era il famoso permesso scritto in tedesco per la bicicletta, che non te la portassero via e questo si adoperava un po’ sempre (…) , che era un renitente di leva e questo permesso ci permetteva certi contatti… certi incontri… (Edoardo Gazza - dattiloscritto1984) 19 agosto 1944 - Stamani, chi veniva dalla strada di Cesenatico, verso Cesena, poteva vedere 8 corpi di giovani italiani uccisi, sul ponte di Ruffio. Erano vestiti da marinai. A quanto riferiscono, sono stati fucilati stanotte dai tedeschi, trattandosi, secondo questi di ribelli. La città freme di sdegno e di pietà. Si erano presentati il giorno prima al parroco di Ruffio, chiedendo del pane. I corpi disgraziati erano crivellati di ferite. 20 agosto 1944 - Degli otto italiani uccisi ieri notte, raccontano che i più erano di stanza a Ravenna e qualcuno di Cesenatico, fra cui un Maresciallo di porto. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) In agosto, a Cesenatico avviene la fuga di otto marinai in servizio, capeggiati dal Sergente Poggiali di Ravenna, amico di mio fratello, più volte stato a casa mia a Gattolino. Il 18 agosto fanno sosta presso una casa al Ponte di Ruffio. Durante la notte, salvi i due di guardia che si danno alla fuga, vengono massacrati, non si sa bene da chi, trovati al mattino gli otto marinai quasi irriconoscibili. (...) resta un mistero la strage, forse una spiata. (...) Non pare che fossero state le SS di stanza a Macerone, e nemmeno i fascisti di Cesena, secondo alcune testimonianze, pare quelli di Forlì. (Da: Memorie di Cesenatico / Lazzaro Rossi - dattiloscritto 1988) [Forlì] 4 [settembre] = I tedeschi in una casa colonica di ponte Ruffio (Cesena), uccidono otto marinai italiani che avevano abbandonato il servizio in Cesenatico per raggiungere i partigiani sui monti di Verghereto e le linee alleate. Non riusciti nel tentativo vagano nelle campagne rifocillandosi presso i contadini: non hanno opposto resistenza alla cattura. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Nel gennaio del ’44 un gruppo di giovani di leva si rivolse al maresciallo Giuseppe Poggiali, comandante del semaforo militare di Cesenatico, perché questi si adoperasse per farli rimanere vicino a casa. Poggiali ci riuscì ed i giovani restarono in zona come addetti ai semafori militari di Cesenatico e di Porto Corsini. Tutto andò liscio sino alla metà di luglio, quando il comando tedesco decise lo smantellamento dei semafori militari. Di fronte alla prospettiva di partire per il nord, il maresciallo Poggiali e i suoi uomini, decisero di disertare e si diressero a Filetto di Ravenna, dove rimasero nascosti nella casa della famiglia Prodi. Nel gennaio 44, un gruppo di giovani di leva anziché prestare servizio militare fuori zona, si rivolsero al Maresciallo Poggiali [Giuseppe] Comandante del Semaforo Militare di Cesenatico per essere inquadrati nel servizio militare Marittimo di questa zona. Il gruppo fu immediatamente inviato a Venezia per fare figurare la loro appartenenza alle forze Armate della R.S.I. - Dopo alcuni giorni di permanenza a Venezia, il gruppo venne trasferito al Semaforo Militare di Cesenatico e di Porto Corsini, sempre al comando del Maresciallo Poggiali. La loro permanenza a Cesenatico si protrasse fino alla metà del luglio 44. In seguito alla avanzata delle truppe alleate provenienti dal Sud, il Comando Tedesco decise lo smantellamento dei Semafori Militari, in conseguenza di ciò, gli addetti al servizio militare marittimo furono avvisati dai rispettivi Comandanti che si doveva partire per il Nord sempre nel servizio militare. Di fronte a questa nuova prospettiva, il Maresciallo Poggiali ritenne giunto il momento di rifiutarsi assieme ai suoi militari di prestare servizio permanente nelle Forze armate della R.S.I. Infatti propose ai suoi uomini di organizzare la diserzione; così fu deciso, prepararono un motofurgoncino con i relativi zaini per raggiungere la zona di Ravenna, mentre stavano per partire arrivò una pattuglia tedesca la quale non era certamente a conoscenza delle intenzioni della diserzione del gruppo, invitò i marittimi a seguirli al Comando che si trovava di stanza alla “Villa Bianca” in Viale dei Mille a Cesenatico. Mentre il motofurgone sostava davanti al Comando Tedesco, il Maresciallo Poggiali si rivolse ai militari chiedendo se avevano fame, gli interessati un po’ perplessi risposero subito di sì, avuta questa risposta il Poggiali si rivolse alla Sentinella del Comando Tedesco chiedendogli il permesso di poter andare con i suoi uomini a prendere un po’ di pane al vicino forno, la sentinella acconsentì e immediatamente il Poggiali mise in moto il motofurgone dirigendosi per la strada di Montaletto di Cervia per la meta destinata che era la zona di Filetto di Ravenna nella casa colonica della famiglia Prodi. (Gino Gusella in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della resistenza nel territorio del Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988) 24 [agosto] - Erano marinai di stanza a Cesenatico, che i tedeschi volevano fare andare a Venezia, ed essi scelsero di fuggire. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Partimmo da Cesenatico con un furgone di tipo Benelli. Eravamo in sette, compreso un tedesco, scaricato poi a un certo punto. Strada facendo facemmo rifornimento di viveri, con difficoltà in quanto erano razionati. Arrivammo quindi a casa Prodi assistiti in tutto per tutto. Ci aiutarono a nascondere il furgone coprendolo di terra e offrendoci da mangiare. (Tonino Magalotti in: La scelta : odissea di otto marinai a Ponte Ruffio di Cesena - Filmato a cura dell’ANPI di Cesenatico) In agosto i rastrellamenti divennero più frequenti e la zona di Filetto troppo pericolosa. Il gruppo, quindi, decise di spostarsi in montagna per aggregarsi all’8a. brigata Garibaldi. Il maresciallo Poggiali, tramite il partigiano Gino Ricci di Cesenatico e Fariselli da poco divenuto comandante di zona, prese contatto con Aldo Fusconi di Ronta, responsabile dei collegamenti fra la 29a. Gap e l’8a. brigata. Per sfuggire ai rastrellamenti che da tempo erano molto frequenti, di giorno ci nascondevano fra i frutteti. Ma allora c’era anche la canapa, che serviva bene la canapa. In quanto poi a dormire si andava dove si poteva: fra i cespugli, i frutteti... nascosti. (Tonino Magalotti in: La scelta : odissea di otto marinai a Ponte Ruffio di Cesena - Filmato a cura dell’ANPI di Cesenatico) Qui i disertori vi rimasero per circa un mese, poi quando la permanenza a Filetto si era fatta impossibile causa i continui rastrellamenti dei nazi-fascisti, tramite il partigiano Ricci Dino di Cesenatico ed il Maresciallo Poggiali e Fariselli, si decise di raggiungere la zona operativa dell’ 8° Brigata Garibaldi... (Gino Gusella in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della resitenza nel territorio del Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988) Il M.llo Poggiali ci rifugiò presso i suoi parenti a Filetto per un paio di mesi, ma la situazione era ormai insostenibile. (Gino Gusella in: Ebrei in Romagna : 1938-1945. Dalle leggi razziali allo sterminio. - Ravenna : Longo, 1991) Aldo Fusconi incontrò il gruppo dei marinai a Montaletto per un primo approccio. I marinai si presentarono armati e in divisa fingendo di essere ancora in servizio per potersi spostare sulle strade senza problemi. Non conoscendoli direttamente, Fusconi si riservò di prendere su di loro ulteriori informazioni e li consigliò di ritornare da dove erano erano venuti, una volta sistemate le cose, avrebbe poi trovato lui il modo di avvertirli. Me... u j era un maresial ad Ravena e j i era set-ot suldè, u m’ pè, ch’i vleva andè só in muntagna. Eva ‘vu un colegament cun lou a qua a e’ Muntalet. Alora lou i vleva savei un presapoch cum l’era a là só... Degh “Stasì da santì no’ v’cardì che andiva a là só... ch’andiva int ona caserma cum a si a Ravena. A là só pó” degh ”andì a là sota tra la pgneda... o durmì int ona stala o...”. Lou j aveva intenzion d’andè só... Ch’j aveva la Moto Guzzi... d’andè só cun la Moto Guzzi. “Un s’ pò andè só. Gnenca armè!”. Alora in che mument che lè i s’ mandeva sò disarmè, i s’ mandeva sò. “Gnenca armè”. Degh. “Comunque vuit ades andè zó a Ravena, andè... e pó me a m’ incarich ades ad tó un’infurmazion e quand a sarò pront... vuit no’ v’ spustì da Ravena. Stasì lè. ‘Pena ch’a sò pront a v’ e’ mand dì me”. (Aldo (Lorenzo)Fusconi - 1998) Poi un giorno si fermo un furgone di marinai parlarono con Aldo e poi furono fatti allontanare era troppo pericoloso Ronta e la via Ravenate. Poi abbiamo saputo della strage di Ruffio (Intervista a Iolanda Ugolini, Atos e Gisella Fusconi, manoscritto di Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001) La Vicenda dolorosa dei Marinai di Cesenatico mandati a Ronta per avere il lasciapassare per andare in montagna, Fusconi Aldo era responsabile del Collegamento fra la 29.B.GAP e la Garibaldi, si fermarono a Ronta col loro furgone in piedi Vestiti di Bianco, cosi era impossibile superare i posti di blocco nazifascisti, Aldo li consigliò di andare Via subito di li perché troppo Pericoloso, e li aveva invitati ad andare a Longiano da una famiglia sicura. L’ufficiale mostro un lasciapassare e sentendo lui poteva andare dove Voleva, non andarono a Longiano nella casa sicura e si Fermarono a Ruffio, la solita spiata e le belve fasciste commettono l’ultimo massacro. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001) Giornata molto calda ad Agosto inoltrato verso le tre del pomeriggio ci accorgiamo di una cosa insolita, un furgone pieno di marinai in piedi nel cassone si fermarono nella strada davanti alla borgata di Ronta II e chiedono con noi ragazzetti dove poter trovare Aldo Fusconi noi ci guardammo bene dal dirlo eravamo abituati oramai a quei furgoni che venivano giù e caricavano nella borgata tutti, bambini donne e vecchi portati a cesena e interrogati da Garafoni e altri. Ma il comandante sese dalla gabina e ci disse che loro volevano andare in montagna, e questo non era possibile senza il consenso di Aldo perche era l’ufficiale di collegamento con 8° B. Garibaldi, allora uno di noi ando dietro alla Borgata e trovo il gruppo di Gapisti che erano nascosti vicino a un rifugio, Dino riferì dei marinai loro si divisero a ventaglio per evitare eventuali sorprese (...) Con una certa cautela Aldo Fusconi coperto dalle armi dei GAP si avvicino al ufficiale, sentito la richiesta rispose che in quelle condizioni non era possibile andare in montagna, che necessitavano vestiti in Borghese perche così non sarebbero mai passati fra le maglie nazifasciste, detto questo li invito di lasciare subito la strada di appartarsi dietro alle case. Quindi furono chiesti da chi erano stati indirizzati a Ronta molto controllata dai Fascisti, il comandante disse che era in contatto con dei pescatori che erano venuti a Ronta con le barche per pescare i corpi dei giovani gettati nel fiume fra i pescatori cera un cugino dei Fusconi pero lui era di Cesenatico, e loro col furgone vennero da Cervia? Aldo disse loro che prima di tutto dovevano lasciare la zona subito diede il consiglio di spostarsi a Montiano zona tranquilla, il giorno dopo avrebbero iniziato il cammino per mettersi in contatto con gl’uomini della 8° Garibaldi. (Da: I marinai assassinati a Ruffio / di Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001) Le informazioni sui marinai sarebbero dovute arrivare a Fusconi attraverso l’ostetrica di Piangipane, ma le informazioni tardavano ad arrivare. E ‘lora u j era la belia ad Pienzpen ch’la daseva a glj infurmazion sora a quist che que. E ‘lora sta belia l’an à incora mandè nisona infurmazion. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983) Tino: Sté barbir de’ Zeznatich [Fariselli...] l’era quel ch’e’ duveva purtè só agli infurmazion da la belia... da la levatrice ad San Zaccaria... par dè e’ benestare che dé ch’j aveva d’avnì só pr andè só in muntagna, i mariner. (Tino Fusconi -1998) Probabilmente le informazioni riguardanti i marinai avevano preso una strada diversa da quella prevista. Il 14 agosto, un messaggio che sicuramente riguardava anche il gruppo dei marinai, transitò per Case Frini, nascosto fra i capelli di una donna e raggiunse Macerone, da dove, poi, avrebbe dovuto arrivare a Cesenatico. Il 14 Agosto 1944, arrivò al nostro comando un ordine (ciclostilato) della massima importanza, dopo averne [p]reso visione era da inviare al distaccamento di Macerone, e poi a sua volta lo dovevamo passare a Cesenatico. Leggemmo detto documento e poi incaricammo la nostra staffetta di portarlo a destinazione, fu ripiegato e rotolato per ridurlo al minimo volume e per mezzo di uno spillo lo nascondemmo fra i capelli di una donna che subito partì. L’aspettai con ansia per sapere se l’importante documento fosse arrivato a destinazione. L’attesa fu snervante e lunga. Finalmente la vidi arrivare sorridente, capii che era andato tutto bene. La mattina del 18 Agosto [no, del 19] sapemmo di un’orribile e mostruoso fatto che era accaduto nella nostra zona, 8 Partigiani erano stati fucilati sul ponte di Ruffio da fascisti. Subito una nostra staffetta fu inviata sul posto per prendere visione dell’accaduto, lo spettacolo che le si presentò agli occhi la fece inorridire, erano stati massacrati senza pietà. Si trattava dei nostri compagni Partigiani e precisamente: GAZZA ARNALDO – GIORGETTI ROMANO – LIVERANI RINO – RICCI RINO – M.LLO POGGIALI GIUSEPPE – PRODI ANGELO – SASCIA AKIM – ZANUCCOLI GUGLIELMO – Erano diretti in montagna all’8 A. BRIGATA GARIBALDI. Le disposizioni scritte nella predetta circolare importante, parlavano anche di loro. (dattiloscritto di Nello Sanulli riportato in: Documenti per una storia della resistenza in Provincia di Forlì. – Comune di Cesena / ANPI. Forlì, ISR Forlì. – Forlì, [1983?]) I marinai, ricercati come disertori, avevano fretta di andarsene e dopo essere stati respinti da Aldo Fusconi, presero nuovamente contatto con Fariselli. Questi, invece di aspettare la documentazione necessaria, li inviò nuovamente da Fusconi, che sapeva trovarsi a Badia di Longiano, assieme ad un altro compagno, Antonio Zoffoli, in attesa di un partigiano da accompagnare in brigata. I due vennero a sapere solo all’ultimo momento, dal partigiano che li aveva appena raggiunti, che dietro di lui stava arrivando anche il gruppo dei marinai e vedendoli, in divisa ed armati di tutto punto, Fusconi e Zoffoli pensarono immediatamente ad un tradimento e si spaventarono. Poi l’equivoco si chiarì. Un dé a sò là só sempra dria ‘d sta cisina (...) un de’ Ziznatich [Fariselli] e’ get [che] l’eva un da mandè só. A degh “Sé. Mandal só”. Alora e’ ven só stu e pó e’ fa “Guerda ch’i ven só nenca i mariner”. A lè d’un moment a vegh avnì só sta squedra. J aveva dó Guzzi, cun sté furgon, cun tot sti mitro... Me avet una paura! A sema me e sté Turin de’ Bosch. E Turin de’ Bosch, sté Zoffoli [Antonio], l’era un mi aiutent, parchè a n’ vleva ciapè, parché degh “A là l’è stredi ch’a n’ li cnos...”. E get “Te ciapa e me dop a i vengh me cun te a fet streda, a cumpagnet”. (...) L’era un mi aiutent. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983) I marinai avevano fretta di andarsene ma il problema restava: Fusconi, senza adeguate informazioni sul loro conto, per ragioni di sicurezza non poteva accompagnarli in brigata. Li consigliò quindi di ritornare a Ravenna, da dove pensava provenissero, che al momento giusto li avrebbe fatti avvisare. Questi insistettero e dissero di voler rimanere in zona, magari nascosti in una casa da lui indicata. Anche questo non si poteva fare. Fusconi non poteva indicare nessuno che li potesse aiutare, perché, senza ulteriori informazioni sul loro conto, non poteva rischiare di mettere in pericolo altri compagni e continuò ad insistere perché ritornassero a Ravenna. Poi Fusconi andò a riferire al comando come si erano svolti i fatti. Alora u j era nench sté Turin [Antonio Zoffoli] a lè che dé. A lè dria a la cisa e e’ fa “Dì. Cm a s’ fal a que?” “Puren, me a n’ i pos mandè invel. Me a n’ i pos mandé só!” “Dì. Que burdel... vuit l’onica cosa l’è ch’andiva dlet a Ravena, du ch’a si duvnù. A gi ch’a putì zirè ch’a si in piena regola. Sa si in regola andì dlet a Ravena che ‘des apena pusebil a v’ mand a ciamè... a v’ mand”. “Mo no. A n’avì una ca’ ch’a cnusiva, ch’a putama andé?” “Me” degh “dal ca’ a n’ n’ ò .” Me a n’ pos a mandei int una ca’, una squedra acsé che a n’ e’ sò chi ch’i s’ sia. Che e’ maresial l’aveva... sé... u n’ aveva una gran nomina. Parchè prema j era a Ziznatich. Alora i s’ inveia e [incomprensibile] i s’ aferma a lé al Casoni, prema de’ Masron (...) e i va lè in sta ca’. U j è una ca’ a lè, i va lè... Me alora a vagh sobit [a e’ cmand]. Chi j era a lè? U j era Oddino Montanari un chep (...) u j era Barbieri [Ernesto]. Alora a vagh da lou e a i cont (...) A Degh “J eva d’avnì só quand che me aveva l’ordin da Ravena, lou j è vnu só incua. Me” degh “a ngn’ j ò putù mandé só”. “Te fat ben, te fat!” i fa “E ‘ndu j et mandé?” “A j ò det ch’i s’ vaga a ca’. A Ravena”. Inveci mo, lou i s’ farmet a lè da sté cuntaden. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983) Vittorio: (...) e tu ba’ u n’i puteva mandè só. Tino: No! No! Mandè só no! Lo u n’i puteva mandè só. Vittorio: L’era lo. L’era e’ su ba’ e’ responsabil dei collegament per l’8a. brigata Garibaldi e la 29a. Gap. (Tino e Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998) A questo punto le testimonianze si fanno confuse, perché Gino Gusella, uno dei due sopravvissuti di quel gruppo, racconta le cose diversamente da Aldo Fusconi, affermando che la guida che incontrarono a Badia, li consigliò, sì, di tornare a Cesenatico per rifornirsi di armi, ma non di rimanervi, in attesa istruzioni. Anzi, racconta che fu loro fissato un appuntamento preciso, per il 18 agosto, a Ruffio, dove una staffetta sarebbe rimasta ad attenderli dalle 10 del mattino sino a mezzogiorno. Ma a Badia incontrarono Aldo Fusconi e questi nega di aver parlato loro in tal senso. Allora chi può averlo fatto? Forse si videro nuovamente con Fariselli e potrebbe essere stato lui a fissare quell’appuntamento. Se così fosse, si potrebbe anche spiegare come, Fariselli, una volta catturato dai fascisti, fosse in grado di rivelare il nascondiglio dei marinai. ... così avvenne, raggiungendo come prima tappa di trasferimento la zona di Badia di Longiano, lì furono ricevuti da una staffetta la quale li doveva accompagnare fino a Pieve di Rivoschio. Prima di partire la staffetta, constatando che il gruppo non era sufficientemente armato, li consigliò di recarsi a Cesenatico per rifornirsi di armi; così fecero raggiungendo di notte il punto prestabilito che era l’ essiccatoio vicino al Palazzone dove era sfollata la famiglia del Gusella, si rifornirono delle armi necessarie dopodiché si avviarono in direzione di Ruffio di Cesena dove ad attenderli ci doveva essere una staffetta che poi non si fece trovare, dalle ore 10 del mattino alle ore 12 del giorno 18/08/44, si fermarono in casa del colono Pieri alla destra del Ponte di Ruffio, in questa casa furono raggiunti da altri tre partigiani dei quali un ebreo, in totale gli ospiti della casa colonica erano dieci. (Gino Gusella in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della resistenza nel territorio del Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988) In un’altra testimonianza, lo stesso Gusella, afferma che l’appuntamento non era a Ruffio, ma presso una casa colonica di Badia e lì e non a casa del colono Pieri di Ruffio, si aggregarono al gruppo Arnaldo Gazza, l’ebreo Sciascia Hakim e un terzo giovane renitente. Ma i tre non potevano trovarsi lì per caso, qualcuno doveva averceli indirizzati? Chi? Fusconi? Fariselli? O qualcun altro? La loro provenienza (Bellaria e Cesenatico) fa pensare ancora a Fariselli. E la guida che dovevano incontrare i marinai chi era? E perché non si presentò? Forse, la guida, ancora una volta, avrebbe dovuto essere Aldo Fusconi, che, spaventato dalle possibili conseguenze della cattura di Fariselli, avvenuta nel frattempo, preferì, invece, tenersi alla larga, trascurando così di avvisare il gruppo del pericolo. Fusconi, che era in attesa di ordini, forse li aveva ricevuti proprio quello stesso giorno, da Fariselli, che, in mattinata, si era recato a casa sua e poi era stato catturato dai fascisti sulla via di casa. Il 17 agosto 1944 ci portammo con un motofurgone verso la zona della 19a. [29a.] Brigata Garibaldi a Badia di Cesena; si unì a noi un gruppetto di tre giovani, uno di Bellaria, uno di Cesenatico e Sciascia (Isaak) Hakim che erano nascosti nella zona. Essendo quasi disarmati, fummo rinviati al porto a prendere delle armi per ritrovarci la mattina dopo in una casa colonica di Badia ove ci avrebbe atteso una guida. Ma la guida per tutto il giorno non si vide; in serata decidemmo di cercare di attraversare il fronte - eravamo ancora in divisa militare. (Gino Gusella in Ebrei in Romagna : 1938-1945. Dalle leggi razziali allo sterminio. - Ravenna : Longo, 1991) Difficile sapere come andarono veramente i fatti. Quello che sembra certo è, che prima di essere segnalati a Ruffio, i marinai passarono per Ronta. Quando? Il 17 verso sera mentre da Badia di Longiano stavano facendo ritorno a Cesenatico? O la mattina del 18 andando nella direzione opposta? Ma se, come si pensa, erano in cerca di Fusconi e se Fariselli, fu catturato dai fascisti nel primo pomeriggio del 17, possibile che nessuno abbia pensato di avvertirli del pericolo cui stavano andando incontro? Dop, clet dé, lou i pasa da que. I fa e’ zir ch’i m’ zarcheva a me pó, i m’ zarcheva. I n’ um truvet. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983) Tino: Dop i mariner j avnet só d’l’istes. A l’ò sempra int la ment. Ch’j avnet só da Ronta. Vittorio: Amo i zarcheva e’ tu ba’. Tino: J aveva un furgon nenca lou. Dó Guzzi. Alora s’ eral la VV? Tot in divisa. I paset da Ronta. Che e’ mi ba’ a l’ò sempra santì cuntè “Me cun lor a m’ sò incuntrè la só ‘dri Ronta. Però a j aveva un po’ ad sudizione nenca me parché aglj infurmazion... lou i vleva andé só in muntagna. Nun in muntagna a ngn’ i putema mandè senza l’es sicur. Quand j é là só un grop ad set o ot personi. Armè cum j é...” J aveva du mutur, du mutur... un furgon e ‘lora diciamo “… nun... a s’ putem... nun a sam regoler”. E’ cmandent di mariner e’ get “Nun a sam regoler“ e alora sa faset? I s’ farmet int ona ca’... Vittorio: Ma... [u] j cunsigljet d’andè só vers a Lunzen... Tino: Lou i s’ farmet a Rofia. Vittorio: Invece i s’ farmet a Rofia. (Tino e Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998) Quei marinai lì passarono da Ronta a cercare il mio zio Aldo perché lui era responsabile di collegamento con l’8a. brigata Garibaldi. Non lo trovarono e poi dopo ricevettero l’ordine di andare su verso... coso... verso Montiano... verso Montiano. Perché non potevano mandarli su. Perché era successo che in un primo momento con la Garibaldi avevano subito una perdita enorme perché s’erano infiltrati dei fascisti e alla mattina li trovavano che i partigiani quei gruppi che si dividevano in cinque-sei, li trovavano morti e loro non li mandavano più su a casaccio ma volevano sapere chi erano. E allora questi qui insomma (...) erano dieci, sul furgone, in piedi, erano molto vistosi. E allora furono consigliati di andare su. Andarono su e poi, dopo, la sera tornarono giù, lì dove li hanno uccisi, a Ruffio. Una spiata li ha cosati lì. E’ stato un disastro (Vittorio (Quarto) Fusconi 1998) Parché [i marinai] j avnet só, j avnet a Ronta da e’ por Fusconi (..) e me a mi atruvet nenca me a là zó [a Martorano]. (Otello Sbrighi- 1998) Tempo prima Fariselli voleva portare giù dei giovani di leva che volevano andare su in montagna. Erano marinai, ricordo che li vidi passare, ero stato a Ronta alla riunione di Fusconi [Duilio] responsabile di quella zona. (Otello Sbrighi - dattiloscritto 1983) Però, quando il gruppo dei marinai fu visto passare da Ronta forse non era in cerca di Aldo Fusconi, come lui poi pensò successivamente, ma di un loro compagno, Urbano Rossi, amico di Poggiali, che avrebbe dovuto fuggire con loro ma che si era fermato a Ronta, per salutare la famiglia. Dopo tutto, i marinai, come potevano sapere dove trovare Fusconi? Lui, così attento a rispettare le regole della clandestinità, di certo non aveva lasciato il suo indizzo. Mio fratello Urbano era sottufficiale di marina, stretto amico del Poggiali di Ravenna, che veniva spesso in moto a casa nostra a Gattolino, secondo me una perla di giovane. Orbene, io stato assente per sette anni da prima della guerra, ormai il fronte alla Linea Gotica, Urbani di servizio a Rimini, stato sepolto due volte dai bombardamenti, si ritirò a Cesenatico, dove prestava servizio l’amico sottufficiale Poggiali. Venne l’ordine di rientrare in sede a Venezia, ma Urbano volle prima andare a salutare i genitori a Gattolino e la moglie Maria Benaglia, a Ronta con figliolini, nipote del parroco. (...) Da Cesenatico partirono con un furgone Poggiali e diversi marinai, in sosta poi al Ponte di Ruffio, secondo la logica in attesa di Urbano Rossi. (...) Corsa subito la voce dell’eccidio, il fratello Urbano [Rossi] non si mosse da Ronta, ma giorni dopo, lui nascosto nella soffitta della chiesa, giunsero i fascisti a cercarlo, minacciata di morte la moglie Maria, che si mise ad urlare. Urbano venne giù e si presentò, subito preso, a Cesena caricato con altri su autocarro per raggiungere Venezia. A Ponte Lagoscuro trovarono la strada sbarrata, può darsi dai tedeschi, e Urbano riuscì a scappare, poi ritornato a Ronta, rimasto nascosto fino alla liberazione. (Da: Memorie di Ruffio / Lazzaro Rossi - dattiloscritto 1990) La sera del venerdì, 18 agosto, il gruppo è segnalato nei dintorni di Ruffio. E’ lì, in una casa di contadini, i Pieri, vicino al ponte, che i marinai decidono di passare la notte. 24 [agosto] - Venerdì 18 sul tardi si presentarono al parroco di Ruffio, D. Egisto Barbanti, alcuni marinai chiedendo pane; si ebbero in risposta che del pane in canonica ce n’era al massimo per uno o due: cui quelli soggiunsero: ve ne avrete a pentire. Si rivolsero poi ad altri e, infine, si fermarono dal colono ch’è tra il ponte e il camposanto e mangiarono e bevettero, avendo con sé l’occorrente senza cioè voler niente dall’ospite. Consumato il pasto, malgrado il manifestato dolore del contadino, si posero a dormire sotto il portico, non senza aver messo uno di guardia. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Come mai il comandante non ando nel posto prestabilito e si fermo a pochi chilometri da Cesena in una strada battuta da tedeschi e fascisti? Lui aveva esibito un lasciapassare che nessuno lo avrebbe fermato ma le spie cerano a Ronta. Bagnile, S. Giorgio la casa circondata il comandante sibi il suo lasciapassare ma come era stato avvertito non servi furono massacrati dalla Banda Garafoni nella notte, si salvo uno di loro rimase coperto dai corpi dei suoi conmpagni. Nell’ambito della [vicenda] Vi furono accuse perche non si diede il lasciapassare ai marinai, ma cosi vestiti tutto di bianco sopra quel furgone dove sarebbero arrivati? Erano successi casi lasciati passare con troppa leggerezza fascisti travestiti avevano massacrato il gruppo assegnato, e i casi non furonopochi. Di chi la responsabilita del ufficiale di collegamento Con 8° Brigata Fusconi Aldo, o piuttosto del ufficiale che sentendosi sicuro col permesso in suo posesso commise una leggerezza pagata con la vita? (Da: I marinai assassinati a Ruffio / di Aldo (Quarto) Fusconi - manoscritto - 2001) Mia sorella Maria, andata a fare spesa a Ruffio, notò un marinaio, che era andato a bussare alla canonica per avere un po’ di pane, ma Don Barbanti non ne aveva. Si avvicinò e chiese del fratello. Quello seppe dirle che dovevano rientrare a Venezia, e che Poggiali e Rossi volevano ubbidire agli ordini, ma loro no, pensato di scappare in montagna coi partigiani. Maria gli regalò mille lire. (Da: Memorie di Ruffio / Lazzaro Rossi - dattiloscritto 1990) Ma perché a Ruffio e non a Badia, o dintorni, dove sembra si fossero fermati in un primo momento e dove, probabilmente, erano stati indirizzati da Fusconi e dove, comunque, avrebbero potuto trovare degli aiuti? A Ruffio, a quanto risulta, non c’era nessuna casa base che facesse capo all’organizzazione partigiana. Lì, forse, come sospetta, Lazzaro Rossi, i marinai erano in attesa di Urbano Rossi, che doveva fuggire con loro e che lì, a Ruffio, aveva anche una sorella, Maria. Da Cesenatico partirono con un furgone Poggiali e diversi marinai, in sosta poi al Ponte di Ruffio, secondo la logica in attesa di Urbano Rossi (Da: Memorie di Ruffio / Lazzaro - dattiloscritto 1990) Intanto, nella tarda mattinata del 17, Fariselli, il comandante della zona di Cesenatico, recatosi a Ronta da Aldo Fusconi, viene preso dai Fascisti. Un caso? Una spiata? Una finta cattura? Comunque, sia che fosse un infiltrato o perché costretto con la violenza, Fariselli parlò e fece i nomi di diverse persone: quelli dei suoi compagni di Cesenatico, quello di Scevola Franciosi, con cui sicuramente aveva avuto dei contatti e di altri; rivelò dov’era il deposito delle armi e dell’esplosivo, che lui stesso aveva collaborato a nascondere, a Ronta, a casa dei Buccelli e molto probabilmente, diede anche indicazioni su dove poteva essere nascosto il gruppo dei marinai in fuga. Alora, a la matena, e’ ven quel de’ Ziznatich. E’ ven zó pr avnì que ca’ mia. Quand ch’l’è lè da cla ca’ che lè u l’ ciapet i fasesta, u l’ ciapet. Alora lo e’ freghet gnacuel... Quel de’ Ziznatich. (...) A la nota i vins a lè e i mazet tot [j mariner]. U s’ un saivet un, u m’ pè (...) [Fariselli] l’era un pez che al cnuseva me. Mo però me... u m’ daseva di suspet. Che poteva avere (...) una trentina d’anni (...) mo comunque l’era un ch’u n’ um piaseva a me. Parchè u m’ la faseva tropa fazila... tropa. E’ a i l’aveva det me cun i nost dirigint A i get“Guerda che me Farisel u n’ um pis una masa!”. E verament u i caschet in entar e e’ faset amazè tot quii che là só e e’ faset lighì tot cal burdeli da que, e’ faset. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983) Me a cnusceva tot i partigen da que. (...) Ricci Fabio, i Campena, st’Odino Montanari a qua... quii ad Ziznatich parché j avniva a ciapè j ordin da qua. Il comando. Dop i daset e’ cmand a... cm a s’ ciameval a là... l’è quel ch’u j à fat amazè tot... i puret. L’è ‘d Fur[lé]... il ciapet, e’... get gnacuel... sotto pressione... Fariselli. [Ma di che zona aveva il comando?] Ad Zeznatich... Parché [i marinai] j avnet só, j avnet a Ronta da e’ por Fusconi (...) e me am j atruvet nenca me a là zó. Sé. I mariner... E lo sapevo che e’ chep l’era lo. A savami gnacuel. Lo i l’à da ‘vé ciapè e preso alle strette (...) l’à det qualche cosa che l’à compromes gnacuel... Dop j i mazet a là zó a e’ pont ad Rofia. (Otello Sbrighi - 1998) Vittorio: Ta t’arcurd di mariner? (...) Tino: A l’ò int la ment che.... Quel e’ fo’ una zoiba [Giovedì 17], a sami a magné atorn a la [tevla] e’ magnet a ca’ mia e’ barb... il ciameva e’ barbir de’ Zeznatich. Dop, me u n’ é ch’a saves st’al cosi che que, dop, me a l’ò santì parché e’ mi ba’ [Aldo Fusconi] al santiva a ciacarè. Ste barbir de’ Zeznatich l’era quel ch’e’ duveva purtè só agli infurmazion da la Belia... da la levatrice ad San Zaccaria... par dè e’ benestare che dé ch’j aveva d’avnì só pr andè só in muntagna, i mariner. Ste barbir de’ Ziznatich e’ magna d’atorn a la tevla cun nun, in ca’. E po’ u s’ inveja. Quant l’à fat tarsent metar... e’ ven zó la machina di fasesta. I l’eva vest a scapè da ca’ mia e il purtet via... Lo u s’ ved che l’à ciacarè... Parché dop a... Almeno da quel ch’ò sempra santì da e’ mi ba’ “Lo bisogna ch’l’epa ciacarè parché l’è sparì e un s’é vest piò”. Vittorio: Insomma j è ‘vnù tó la Giuseppina [Manuzzi] che il saveva ch’la faseva la stafeta partigena. Al sureli ‘d Strenga [Ester e Quinta Buccelli]. Tino: Quel l’è stè dop. Vittorio: Ah! L’è stè lo. U li à denunciedi lo. Quel il sa via! (Tino e Vittorio (Quarto) Fusconi 1998) Ma Fariselli come poteva sapere dove erano nascosti i marinai? Forse, come abbiamo gia ipotizzato, era stato lui stesso a indirizzarli a Ruffio, oppure, lo aveva saputo da Fusconi, che aveva incontrato quel mattino stesso? Ma lo stesso Fusconi come faceva a sapere dove erano nascosti se dopo l’incontro di Badia non non li aveva più incontrati? La scoperta del nascondiglio venne fatta in seguito al fermo del Fariselli il giorno 17 agosto in località Gattolino di Cesena, il quale portato al comando della Brigata Nera di Cesena, sottoposto a stringente interrogatorio e a botte e torture, svelò il nascondiglio dei dieci partigiani. (Gino Gusella in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della resistenza nel territorio del Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988) E’ probabile che Fariselli, riguardo ai marinai, abbia potuto dare solo informazioni generiche, informazioni, che lo stesso giorno, furono, probabilmente, confermate da un’altra spiata, più precisa. Lo stesso, lo vedremo, succederà in altre occasioni. Elia Sacchetti, che in quei giorni abitava in una casa colonica vicino al ponte di Ruffio, sospetta che nei dintorni ci fosse, in effetti, qualcuno che faceva la spia. Mi vennero a cercare i tedeschi a casa ma non c’ero, c’era mia sorella. C’era qualcuno che soffiava lì in giro, evidentemente qualcuno ce l’aveva con noi, allora avvisarono i tedeschi di venirci a prendere, per lavorare… come pelare le patate. (Elia Sacchetti – dattiloscritto 1984) Rino Biguzzi, che quella sera fu portato al comando della brigata nera, perché, ritornando in ritardo dal lavoro, non aveva rispettato il coprifuoco, si accorse che i fascisti erano in allarme e che doveva esserci qualcosa di grosso nell’aria. Altre volte, come quella sera e per gli stessi motivi, aveva violato il coprifuoco, ma lo avevano sempre fatto passare senza farci caso. Andando giù per la pescheria sopra c’è pure il voltone. Sopra c’era sempre, nella strada che va alla rocca due tre col fucile (...) che facevano la guardia. “Alt! Chi sei!” “Ah! Sono uno... un operaio della centrale” “Dai, va là, passa”. Quella sera “Alt!”. E spararono (...) Mi portarono su. Dissero tu vieni in caserma. In caserma su alla caserma Ordelaffi. Feci tutto il giro e andando su venne giù una macchina che c’era dentro proprio la cricca degli assassini. C’era Garaffoni [Guido], c’era (...)... Colombo [Valducci], c’era proprio la cricca. Erano un sette-otto. Passarono, guardarono... Poi si vede che fecero il giro della piazza Aguselli. Tornarono indietro. Intanto io arrivai su. C’era il capo... il tenente di guardia insomma. La guardia dice “Chi è qui?” “Ah! Quest l’è un che ven da...” Pum. Mi diede due ceffoni. Intanto per incominciare. “Dai passa di là...” E da di dietro di me arriva già su la macchina... che io li avevo visti (...) “Chi è questo che avete preso?” “Ma...” dice “Qua... Un disertore”. Una roba così disse. (...) Mariulin, c’era Mariulin. Bazzocchi [Mario]. (...) Era uno della combriccola nostra che eravamo lì al [bar] Centrale, che era un giocatore di bigliardo, un grande giocatore di bigliardo. Avevamo una confidenza proprio... proprio amici. Ma l’era a lè, l’era. “Mariulin” degh “ A sò me!” Perché, al pomeriggio la stessa squadra identica. Con la stessa macchina erano venuti in centrale. Verso le tre e mezza le quattro del pomeriggio per fare un’ispezione [alla centrale elettrica della Brenzaglia]. Li andai ad aprire io. (...) Dico “Sono io” dico. ”Ah! Lasciatelo stare questo che lo conosciamo noi”. Perché al pomeriggio loro mi avevano visto lassù che avevo aperto il portone (...) Dà che (...) che [fra] questi qui non mi conosce nessuno. Me an e’ sò quel che potesse succedere. E mi lasciarono... e mi lasciarono andare. Loro andarono... quella sera lì... andarono a coso... a Ponte Ruffio e ammazzarono quegli otto partigiani (...) Di cui uno di quelli. Sebastiano Sacchetti, mi sembra che si chiamasse, era un mio collega che lavorava con me a Predappio [alla Caproni], all’officina. [No, non faceva parte del gruppo dei marinai, ma fu catturato pochi giorni dopo assieme ad altri e fucilato alla rocca di Cesena]. (Rino Biguzzi - 1999) Una volta conosciuto il nascondiglio dei fuggiaschi i fascisti della brigata nera di Cesena e le SS di stanza a Macerone si recarono immediatamente sul posto. Uno dei marinai rimasto fuori di guardia o ad attendere l’eventuale arrivo della staffetta, si accorse della loro presenza solo all’ultimo istante e costretto a fuggire per salvarsi, non riuscì ad avvertire gli altri che dormivano tranquilli. Catturati, i nove sono legati insieme fra loro e condotti sul ponte di Ruffio dove sono immediatamente fucilati. ... furono sorpresi verso le ore 22 del 18 agosto, la Brigata Nera di Cesena al comando di Garaffoni Guido e di Valducci Colombo e con alcuni tedeschi li arrestò in nove in quanto il decimo si era portato fuori della casa colonica per vedere se trovava la staffetta, così i nove furono legati con della corda dietro alla schiena, e con le cinghie dei pantaloni militari gli legarono le braccia dietro e li portarono immediatamente sul ponte di Ruffio per essere fucilati, e così avvenne verso le 23 del 18 agosto; dopo eseguita la fucilazione, il Gusella racconta che i cadaveri furono separati una parte a sinistra e una parte a destra per accettarsi dell’ avvenuta morte, chi esalava gli ultimi respiri gli veniva dato il colpo di grazia con un colpo alla nuca. (Gino Gusella in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della resistenza nel territorio del Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988) Tino: J era armè. J aveva al sentineli. Però... lou, cunvint. Quand ch’u j è ‘ndè i fasesta... cunvint d’es regoler. J era regoler. Però lou i n’ e’ saveva ch’u j era stè la sufieda. E’ cmandent u i cunsgnet agli ermi... u s’ un salvet un ch’u i scapet e clet ch’u s’ butet zó par frì. Vittorio: L’era armast splì sota i su cumpegn. L’è dé Zeznatich e u i ven ancora a truvei. Tino: Int e’ Pont ad Rofia. (Tino e Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998) Quando uccisero... al ponte di Ruffio, io ero dalla finestra... la mia casa me l’avevano bombardata allora andammo ad abitare là, vicino al ponte... Era una notte con un gran caldo, io e mia madre ci affacciammo per prendere aria e c’era questa squadra di fascisti che ci dicevano di chiudere e di andare via; dalla finestra di dietro, dopo mezz’ora sentiamo gli spari e la mattina si seppe che avevano ucciso questi ragazzi. [Cosa diceva la gente di quanto era successo?] Era dispiaciuta, impaurita, c’era un gran dire in giro... Non è che si potesse proprio parlare, però si diceva che erano dei delinquenti, perché si era capito bene che erano stati i fascisti, noi li abbiamo visti quando siamo passati per la strada, c’era Mariolino [Mario Bazzocchi] con loro. (Elia Sacchetti - dattiloscritto 1984) Si ritiene che un falso partigiano di Cesenatico, oppure catturato e costretto a dire cosa sapeva dei marinai, di fatto, a mio avviso, i fascisti vennero a sapere che quei marinai volevano disertare. Non si spiega altrimenti. Furono ospitati dal colono Aurelio Pieri, che abitava nei pressi del ponte (...) Questi marinai se la dormicchiavano sotto il porticato, posto uno di guardia, ma all’improvviso, può darsi scavalcato il Pisciatello più su, comparvero con le armi in mano, sicché il marinaio di sentinella riuscì a scappare senza dare l’allarme. Furono catturati, legati insieme e spinti sul Ponte, catturato pure il colono Pieri, a stento salvata la vita (...) Raggiunto il ponte, furono allineati, colpiti a morte. Anche la sorella Maria [Rossi] udì la sparatoria, così la famiglia Gasperoni. Ciò avvenne nella notte del 18 agosto 1944. (Da: Memorie di Ruffio / Lazzaro Rossi - dattiloscritto 1990) Il sottufficiale di Marina POGGIALI GIUSEPPE unitamente ad altri militari che avevano disertato dal reparto, si era rifugiato in un’abitazione nei pressi di Ruffio, in attesa di poter raggiungere l’8a. Brigata Garibaldi con il cui comando si era messo in collegamento. Scoperto in seguito a delazione veniva catturato armato unitamente ai suoi compagni e massacrati sul Ponte di Ruffio da un reparto di SS e da elementi fascisti. (Informazione del Comitato di liberazione nazionale di Cesena al Comitato di liberazione nazionale di Ravenna, datata 3 dicembre 1945. - Archivio di stato di Cesena. Archivio CLN, 1945 cat. 8: partigiani e gapisti, fasc. 8) 24 [agosto] - Ma a un tratto arrivano i tedeschi della S.S. di Macerone, li disarmano, legano le mani dietro la schiena, conducono via, essendo la notte fonda, e fucilano alla schiena sul ponte di Ruffio, trascinando poi alcuni cadaveri da un lato, alcuni dall’altro per non ingombrare la via. Quello di guardia si nascose. Se avesse dato l’allarme sarebbe stato ucciso anche lui. Dopo circa due ore va a chiamare D. Egisto perché estremasse i morti. D. Egisto s’impaura credendo trattarsi di un tranello, date le minacce di cui era stato oggetto la sera. Sono fatte venire altre persone e donne e tutti si recano al luogo della tragedia. I tedeschi non c’erano più. I morti sono chiamati e scossi, ma non rispondono. Fattosi giorno, d’ordine del Pretore vengono spogliati e a sera dietro interessamento del parroco, portati sui birocci, in casse, taluno con un lenzuolo sopra, al cimitero. I morti sono stati otto, compreso il comandante, un certo maresciallo di Ravenna. Salvi la sentinella e un secondo, che faceva da guida, forse la spia, forzata o no. (...) Avevano un camioncino. Nessuna sevizia. Erano orrendi in viso, perché, caduti, erano stati trascinati ai lati della strada. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Sull’eccidio di Ruffio non si sa altro, ma secondo Leila Montanari, morta anni fa, seppe dirmi che non erano stati i fascisti di Cesena, il mattino dopo trovatasi alla Casa del fascio di Cesena, notata la sorpresa dei presenti, ignari della vicenda tragica, ma può darsi non presenti gli esecutori, da non escludere dei fascisti di Cesenatico, come sospetta Tito Neri. (Da: Memorie di Ruffio / Lazzaro dattiloscritto 1990) A casa si parlava sì. Come il fatto che ammazzarono quelli a Ruffio... al ponte di Ruffio. Lì. Si parlava anche di un certo Savoia che si conosceva, che abitava a Macerone dove dicevano che era quello che teneva il motore acceso per non far rumore per non fare sentire gli urli... quando ammazzarono quelli. (Roberto Rocchi - 2004) Si salvarono in due: Tonino Magalotti, che quando arrivarono i nazi-fascisti era fuori dalla casa e Gino Gusella, che, ferito, si finse morto. Ma arrivarono le Brigate Nere; uno di noi fuggì, gli altri nove fummo legati a catena ed a due per due, io con Hakim, condotti al Ponte di Ruffio sulla strada tra Cesenatico e Cesena e fucilati; io mi salvai perché mi copriva il corpo di Hakim cui ero legato, rimasi ferito e fui l’unico superstite. (Gino Gusella in Ebrei in Romagna : 19381945. Dalle leggi razziali allo sterminio. - Ravenna : Longo, 1991) ... un tedesco gli alzò la testa prendendolo per i capelli e visto che non dava segni di vita lo lasciò andare. I Nazi-Fascisti accertatosi dell’ avvenuta morte di tutti se ne andarono, immediatamente il Gusella si alzò dal mucchio dei compagni morti con ferite al braccio abbondanti, ebbe la forza di calarsi dentro al rio Pisciatello per raggiungere una famiglia di sua conoscenza nella Borgata di Villa Casone dalla quale ricevette le prime cure e poi vagando per i campi accanto alla casa dei Sintoni fino al mattino del 19. Nascosto tra i cespugli uscì verso le 5 del mattino in direzione di Montaletto, incontrò due donne che lo riconobbero e lo curarono avvisando nel contempo la famiglia, che accorse immediatamente per portarlo in un rifugio più sicuro in quanto la zona di Montaletto era infestata dai Tedeschi. Travestito da donna assieme alla madre raggiunse il rifugio della famiglia a Cesenatico nell’ ex essiccatoio, rimanendo nascosto sotto terra fino alla liberazione di Cesenatico. (Gino Gusella in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della resistenza nel territorio del Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988) Ebbene, un marinaio, ferito grave, si diede per morto, quindi sopravvissuto. Non si sa bene, ma può darsi il marinaio di Guardia, avvenuto l’eccidio, visto coi suoi occhi, si recò alla Canonica e avvertì Don Barbanti di recarsi al Ponte, poi scomparso. Il parroco credette di riconoscere nella voce il marinaio che era andato a chiedere il pane. Solo alcune ore dopo, insieme ad alcune donne, il parroco si recò al Ponte, travati i marinai assassinati, può darsi anche il ferito grave. Ritornando dalla prigionia a Tito Neri, ebbe modo di parlare con il marinaio salvato, il quale seppe dirgli che il giorno dopo, giunti i parenti dei caduti, se la presero con lui, vista bruttina. (Da: Memorie di Ruffio / Lazzaro Rossi - dattiloscritto 1990) I fascisti si servirono delle rivelazioni di Fariselli per organizzare una vasta operazione repressiva a cui, come sembra risultare dalle testimonianze, contribuirono anche altri informatori, che, di volta in volta, vennero a confermare, nei dettagli, quanto questi aveva già anticipato. La notte, fra il 18 e il 19 agosto, la stessa della strage di ponte Ruffio, sempre su indicazione di Fariselli, i fascisti andarono a S. Tommaso, alla ricerca del comandante partigiano Scevola Franciosi. Anche in questo caso, Fariselli, poteva dare solo informazioni generiche e fu quindi qualcun altro a confermare che proprio quella sera, Franciosi era andato a trovare sua madre e lo si poteva trovare in casa. Io non mi ero mai fermato a casa di mia madre, però lei quella sera mi disse di fermarmi per mangiare e riposarmi una notte. Io mi fermai e proprio quella sera vennero a cercarmi. Io penso questo “Perché non andarono in altre case ma vennero nella casa dove mi trovavo?”. Quella sera quindi stavo dormendo a casa dove era rifugiata mia madre e c’erano anche i miei nipotini in casa. In quei momenti non è che si dormisse molto profondamente, la tensione nervosa era tale che non ti consentiva di riposar intensamente per cui io sentii che qualcuno stava scavalcando la rete attorno alla villa dove era rifugiata mia madre e vidi che erano in divisa. Cercai di uscire dal retro ma nel corridoio della villa incontrai la figlia del maggiore che era il proprietario della casa e disse che i fascisti erano anche dietro la casa… Lei spense la candela e chiamò la donna di servizio, di nome Virginia, perché le portasse dei fiammiferi, intanto loro bussavano alla porta dicendo “Aprite! Aprite!” Erano fascisti e tedeschi. Pensai di nascondermi sotto la rete [del letto] e i miei nipotini sopra a dormire. Quando entrarono nella camera di mia madre c’era il marito e i due nipotini che riposavano, quindi erano tutti e quattro nella camera. Loro cercavano Franciosi. Mia madre si era risposata, quindi nello stato di famiglia era Ricci e lo fece vedere loro. Perquisirono la villa e non mi trovarono. Mi si era anche spaccato il vetro dell’orologio e mi ferii al polso… Ricordo che a pochi centimetri dal naso vedevo gli scarponi dei militi. Ebbi fortuna, non solo, ma mezz’ora dopo che se ne erano andati rientrava una squadra [di partigiani] che era andata a rastrellare delle armi oltre Montenovo e non si s’incontrarono, altrimenti chissà come sarebbe andata a finire! (Franciosi Scevola – dattiloscritto 1984) Nella stessa notte [in cui avvenne la strage di Ponte Ruffio] i fascisti si recarono all’improvviso a casa di un nostro comandante (a S. Tommaso) per arrestarlo e fucilarlo. Esso si salvò nascondendosi attaccato alle reti del letto con sopra due bambini. In quella difficile posizione vedeva gli stivali dei fascisti che gli giravano attorno e sentiva le grida bestiali che essi lanciavano. In tale situazione fu il coraggio e l’energia della mamma che costrinse i fascisti ad andarsene, così suo figlio fu salvo. (…) Più tardi sapemmo che una spia ci aveva traditi, e al momento opportuno essa ebbe quello che si meritava. I partigiani caduti a Ponte Ruffio furono vendicati.. (Nello Sanulli – dattiloscritto in: Documenti per una storia della resistenza in Provincia di Forlì. – Comune di Cesena / ANPI. Forlì, ISR Forlì. – [1983?]) Una sera Franciosi [Scevola] era a San Tommaso nella villa … e ci fu una spiata che Franciosi era lì (…) e alora Franciosi era lì quella sera, era lì (…) e alora l’ariva Garafon… [Guido Garaffoni] erano tredici-quatordici macchine di fascisti no? Cercavano sté Franciosi. Avevano avuto una spiata che Franciosi era lì, in quella villa… era di notte e alora noi (...) per mezzo di collegamento si avertì che Franciosi era… era circondato no? E alora partivamo tutti no? Partivamo da San Tommaso tutti con delle pistole o delle mitragliatrici che le aveva poi sté… quello che era il comandante lì di San Tommaso, che era nei carabinieri… questo Ridolfi [Guerrino] e circondammo, non vicino ma un po’ da lontano, la villa. Perché se lo prendono ci spariamo e almeno che non lo portan via. [Eravamo] una ventina. E alora quando vanno aprire. Suonano il campanello e dice “Chi è?” “Siamo i fascisti e cerchiamo Franciosi”. Dice “Qui… qui non ci sono i Franciosi”. E lui era nel letto che dormiva. E alora cosa fa quella signora… erano in due le signore lì no? Sente così, [lui] c’era. “Vengono in casa e lo trovano” [pensò], no? Lo mettono sotto il matarazzo e sopra mettono i suoi bambini a dormire e ‘lora entrano in casa e guardano dappertutto (…) e lui era tra la rete e... e matarazzo. Due ore eh! (…) Appena che furono andati via Franciosi e’ scapet. (…) noi li intorno. E fu pó sté Ridolfi parché Ridolfi l’avet ... non so… una telefonata oppure… e disse “Guarda che van su... van su da Franciosi”. E Franciosi era lì e ‘lora. [C’era stata una spiata di uno del posto?] Sì. Sì. Per forza. (Mario Baldini - 1983) Il 19 i fascisti della brigata nera sono a Case Frini per catturare due staffette. Il giorno dopo i fascisti piombarono nella nostra frazione (Case Frini) per arrestare due staffette; una non era in casa e quindi sfuggì all’arresto; l’altra fu arrestata e portata in carcere. La partigiana arrestata sapeva tutto sullo svolgimento dei partigiani del nostro distaccamento e quindi per noi poteva correre un rischio pericoloso. Ma la fede ed il coraggio della nostra staffetta era alto e le bastonate dei fascisti non sono valse a farla parlare su quello che sapeva di segreto. Così tutti noi fummo salvi e potemmo continuare il lavoro e le nostre azioni partigiane. (Nello Sanulli – dattiloscritto in: Documenti per una storia della resistenza in Provincia di Forlì. – Comune di Cesena / ANPI. Forlì, ISR Forlì. – [1983?]) La mattina del 20 i fascisti si recarono anche a casa dei Sintoni ( ) a Villalta, dove catturano uno dei fratelli, Urbano. Più tardi ritornarono e presero anche il fratello Gino. Lo stesso giorno, sempre grazie alla delazione di Fariselli, i fascisti individuarono alcuni fra i più attivi elementi del gruppo Gap di Cesenatico: Adamo Arcangeli e Dino Ricci; a Bagnarola, nell’abitazione di Cecchini, catturarono insieme Gino Cecchini, Sebastiano Sacchetti, Oberdan Trombetti, Gino Quadrelli. Tutti furono rinchiusi nelle carceri della rocca di Cesena. Nei giorni successivi vennero presi anche Dario Sintoni, fratello dei primi due, Iris Casadio, la moglie del quarto fratello, Antonio (Duilio), entrambi deportati in Germania e la sorella, Clara, rilasciata successivamente. Antonio (Duilio), fermato dai fascisti, si salvò con la fuga. Pare per aver trovato armi nascoste, i militi fascisti riuscirono a catturare il trentenne Gino Cecchini di Bagnarola, condotto in carcere nella Rocca di Cesena. Mi è stato raccontato che giorni dopo, scortato da due giovani militi, Gino fu ricondotto a casa, può darsi a prendere indumenti, o per una inchiesta, davanti all’abitazione i due cesenati assassini Sibirani [Aldo] e Garaffoni [Guido]. La madre disperata venne incoraggiata dai due giovani, assicurando che non sarebbe successo niente e che il figlio sarebbe stato ben presto liberato, ma ella fu colta da svenimento. (…) Gino Cecchini non ritornò più, di certo torturato in carcere affinché rivelasse i nomi dei compagni partigiani, ciò che da eroe non fece, poi fucilato davanti alla Rocca con altri, tra cui i due fratelli Sintoni di Santaghè. (Da: Memorie di Bagnarola / Lazzaro Rossi – dattiloscritto 1989) Il giorno dopo [il 19 agosto], a Cesenatico, sono prelevati alcuni antifascisti trasferiti nella Rocca di Cesena: Gino Quadrelli, Adamo Arcangeli, Sebastiano Sacchetti, Dino Ricci, Venanzio Fusconi, Dino [no, Gino] Cecchini e anche i fratelli Gino e Urbano Sintoni di Gattolino. Furono seviziati e torturati, poi fucilati nel gioco del pallone presso la Rocca (Da: Memorie di Cesenatico / di Lazzaro Rossi- dattiloscritto 1988) … a seguito di delazione di un cittadino del posto, vennero arrestati di notte colti di sorpresa nella abitazione del Cecchini [Gino] dai brigatisti neri di Cesena al comando di Garaffoni Guido. Furono arrestati il Trombetti [Oberdan], il Quadrelli [Gino] e Sacchetti Sebastiano, i quali furono portati nella Rocca di Cesena e passati per le armi nel settembre nello Sferisterio della Rocca assieme ad altri cinque di Cesena. (Oreste Dardari in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della resistenza nel territorio del Comune di Cesenatico / Salvatore De Lucia ... [et al.]. - Cesenatico, 1988) La mattina del 20 Agosto 1944, verso le ore 5, la brigata nera di Cesena al comando di Garaffoni, con un camion di 30 brigatisti, circondarono la casa colonica dei Sintoni arrestando il fratelli Urbano e Gino Sintoni. Trasportati assieme ad altri 6 nelle carceri mandamentali di Cesena. La detenzione degli 8 arrestati durò 10 giorni, prima di essere fucilati subirono inenarrabili torture. La fucilazione avvenne la mattina de l4 settembre, alle ore 5. I corpi martoriati dei partigiani furono portati al cimitero di Cesena per permettere ai familiari il loro riconoscimento e la sepoltura (Bruni Lelli. Testimonianza dell’eccidio allo sferisterio di Cesena. Comitato di villaggio di S. Giorgio – Arch. di Stato. Cesena, Comune di Cesena 1945, cat. 8 partigiani e gapisti, fasc. 8) Alcuni di loro, pochi giorni prima, avevano organizzato l’affondamento di due barconi nel porto canale di Cesenatico, per sottrarli ai tedeschi. Il primo gruppo partigiano costituitisi a Cesenatico composto dai seguenti: Trombetti Oberdan, capo gruppo, Cecchini Pino [no, Gino], Sacchetti Sebastiano, Quadrelli Gino e Dardari Oreste; vennero a conoscenza che il Comando Tedesco di Cesenatico avrebbe deciso l’affondamento di due barconi da trasporto all’imbocco del Porto canale per impedire un eventuale ingresso di navi alleate. I due barconi si trovavano ormeggiati all’altezza del vecchio mercato del pesce vicino al Comando della guardia di finanza. Per impedire ai tedeschi di mettere in atto la loro decisione il gruppo partigiano decise l’affondamento dei due barconi nel posto dove erano ormeggiati, affidando l’incarico al Dardari, il quale la sera del 23 luglio [prob. 15 agosto] ’44 verso le ore 11, munito di una trivella, effettuò una serie di buchi i quali provocarono il lento affondamento dei due barconi. (…) Le barche a vela e a motore ormeggiate nel porto canale erano circa una trentina; alcuni proprietari le autoaffondarono per non farle utilizzare dai tedeschi, le rimanenti furono affondate dai tedeschi. (Oreste Dardari in: Contributi per la redazione di una mappa dei luoghi della “resistenza” nel territorio del comune di Cesenatico / Salvatore de Lucia … [et al.]. – Cesenatico, 1988) 15/6/44 [prob. 15/8/1944] – CESENATICO – Una squadra GAP affonda mediante ordigni esplosivi due barconi e un motoscafo al servizio dei tedeschi. (Dal Bollettino Ufficiale del Comando 29a. brigata Garibaldi Gap “Gastone Sozzi” n. 2 – ISRFC ANPI Forlì) Il 22 agosto sono uccisi Ernesto Barbieri, segretario del CLN cesenate e Colombo Barducci. I due, assieme ad altri partigiani, avevano partecipato ad una riunione politica che si era tenuta nella casa dei Barducci ( ) dove poi si erano attardati, per aiutare la famiglia a pulire il pozzo. I fascisti, informati esattamente del giorno e del luogo in cui si sarebbe tenuta la riunione, arrivati nei pressi della casa, chiesero ad una donna che stava pascolando delle pecore lungo la strada, se si trovavano nel posto giusto, ad una sua risposta affermativa si sparpagliarono e prepararono le armi. Visto il gruppo di uomini al lavoro, incominciarono subito a sparare. I partigiani, la cui vista era impedita da un campo di granturco (cosa, di cui, Barbieri, sembra, si fosse lamentato), non si accorsero del loro arrivo. Ai primi colpi provarono a scappare ma Ernesto e Colombo furono immediatamente colpiti. Venanzio (Urbano) Fusconi, che si trovava con loro ed era riuscito a nascondersi, fu scovato e potato alla sede del fascio, con lui altri due della famiglia Barducci, Pietro ed il cognato di Pietro Barducci (Sbrighi?). Questi ultimi, il giorno dopo, vennero rilasciati. Venanzio, invece sarà torturato per più giorni e poi fucilato nei pressi del carcere, assieme agli altri partigiani catturati nei giorni precedenti. 23 agosto 1944 - Nelle nostre campagne è stato ucciso dai fascisti un vecchio militante comunista, certo Barbieri, e la sua famiglia imprigionata. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) 23 [agosto] - Ieri sera a S. Giorgio gendarmi tedeschi hanno ucciso due giovinotti. 24 [agosto] - Il 22 sono stati i fascisti di Cesena che uccisero un certo comunista, da tempo ricercato, di nome Barbieri. Fu trovato da un amico presso il caseificio intento a sgomberare il pozzo. Ucciso lui e l’amico che l’ospitava. Altri tre della famiglia ospitanti in prigione. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) E’ stato il 22 agosto 1944, io e Barbieri Silvano, cinque minuti prima eravamo insieme, avevamo comprato del tabacco per fare delle sigarette, eravamo lungo questa strada morta, a un mezzo chilometro abbiamo sentito dei colpi, anche lì è andata bene per noi. Quando abbiamo saputo del fatto siamo rimasti male, perché con lui [Ernesto Barbieri] si parlava spesso, era affabile e buono, quella è stato fatica mandarla giù. (Ferdinando (Delio) Della Strada - dattiloscritto 1984) Il CLN di Cesena aveva come responsabile Ernesto Barbieri... che fu ammazzato dai fascisti, io a quella riunione c’ero stato mezz’ora prima nella casa di Barducci... Avevo visto questa donna che pascolava lungo la strada con due pecore e fu ammazzato per delazione di questa sprovveduta di San Giorgio. [Chi c’era alla riunione?] C’era Barbieri [Ernesto], i due fratelli Barducci [Pietro e Colombo], c’ero io, c’era [Aldo] Mellini, c’era Strenga [Enrico Buccelli], Fusconi [Duilio], M... La perdita di Barducci e Barbieri avvenne per delazione. [Di questa donna?] No. Il comandante dei partigiani di Cesenatico, Fariselli, era stato [catturato]. Loro [i Gap] fecero prima o dopo la riunione, non lo so. Noi facemmo una riunione di carattere politico e poi tagliai la corda e venni a casa mentre rimasero i militari a discutere i loro problemi. Persero quindi del tempo a discutere, arrivarono i fascisti... e questa donna poi la impiccarono... Ma si deve imputare la perdita di Barbieri a questo Fariselli (...) Dopo la morte di Barbieri diventò Fusconi [Duilio] segretario del CLN di Cesena. (Otello Sbrighi - dattiloscritto 1983) ... la sorella di Faberi (...) aveva avuto il fidanzato ucciso [Venanzio (Urbano) Fusconi]... lo presero da Barducci e poi lo ammazzarono davanti alla prigione. (Nello Della Strada - dattiloscritto 1983) A s’era stè a la riunion a là a Sanzorz, a la riunion du che j amazet e’ por Barbieri [Ernesto]. Che era il presidente del CLN di Cesena. U s’ ved ch’j aveva avù informazioni (…) E insoma che al riunion a li fasema da sté Bardoz [Barducci]. Me a i s’era stè nench dagli elt volti. Tra e‘ caned. Dal volti a ca’. Dal volti tra e’ caned. Sgond s’ t’ avdita qualcadona… Parché u j era la speja. E la speja u la faset una meza sgrazida (…) un po’ sioca (…) I malizia ad questa che que… (…) Lia forse j i eva dè e’ compit ad guardè… (…) Lou j era avnù zó a colp sicur (…) parché ogni paes lou j aveva chi tri quatar fasesta, o più o meno via… ch’j i daseva dal notizi… J arivet zó. Me, la riunion a la avema finida. Me a m’avnet a ca’. Me e e’ por Strenga [Enrico Buccelli] a s’ avnesm a ca’ in bicicleta tot du. (…) Inveci dop a un quert d’ora (…) j arivet zó sti fasesta. J i sorprendet propri (…) U j era nenca Aldo Mellini, i due fratelli Barducci [Colombo e Pietro]. I n’ amazet un [Colombo Barducci]. (…) J amazet Barbieri Ernesto. Bardoz… Colombo. Basta. E Mellini l’arivet a instichis tra e’ caned e (…) u n’ fu ciapè. Ma sema set o ot. Prima. (Otello Sbrighi – 1998) Fis-cin. Fusconi Urbano [(Venanzio)] è stato uno che è stato preso qui a Ronta [a casa] ad Barducci Colombo (...) Barbieri [Ernesto] e Barducci [Colombo] furono uccisi sul fatto con la mitragliata, mentre lui lo presero e lo portarono alla rocca. Lui e Pirin ‘d Maciulet un altro fratello di S..., del morto della casa. Lo portano alla rocca. Alla rocca prima fu torturato, seviziato dai fascisti, che poi lo dettero in mano ai tedeschi, addirittura... Io mi sono già informato (...) con questo Sbrighi mi sono informato e ha detto quando l’hanno visto era massacrato [incomprensibile], ai tedeschi non disse una parola. Questo qui era un ragazzo che andava a scuola a Cesena. Era del ’23. ‘44. Aveva ventun anni. Questo qui era abbastanza intelligente, abbastanza... era quello che preparava le molotov. (Vittorio (Quarto) Fusconi nell’intervista a Maraldi Nazario - [S.d. 1997(?)]) Mio fratello [Colombo Barducci] scappò via, aveva paura e gli spararono addosso, così pure Barbieri [Ernesto], invece Fusconi [Venanzio (Urbano)] si era nascosto. Lo trovarono e lo portarono su nella sede del fascio, insieme a me e mio cognato. Mio cognato lo rilasciarono subito, m’interrogarono due volte e poi rilasciarono anche me. [Cosa volevano sapere?] Cosa avevamo fatto, cosa pensavamo di fare... ecc., dei nomi... [Vi torturarono?] No, il giorno dopo mi rilasciarono. Invece Fusconi lo torturarono e lo uccisero nel campo della Rocca. (Pietro Barducci dattiloscritto 1983) ... nel podere di (Palunzen) Sbrighi, ci sono stati in questo rifugio Fusconi Duilio e il figlio Vittorio uscito da poco dalla prigione di Forli, quel giorno avevano ucciso a Ronta dalla famiglia Barducci, Ernesto Barbieri Barducci Colombo, arrestati Fusconi Urbano di S. Martino comissario della 29° B. GAP Gastone Sozzi, fu una spiata erano intenti a pulire il pozzo del aqua per disinfettarlo, fu l’ultimo crimine compiuto dai fascisti nella zona della bassa Cesenate, e fu un duro colpo per la Resistenza, perdeva uno dei più combattivi, Rappresentanti, faceva parte del CNL di Cesena come rappresentante del PCI. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto - 2001) Eravamo nel podere Bianchi tutto ad un [tratto] sentimmo delle scariche di mitra e delle urla, Cera anche mio figlio Quarto tornato dalla Prigione di Forlì suo padre lo chiamo e camminando veloci fra i campi ci rifugiammo da Palunzen, ci misero in un rifugio scavato sotto il viale l’entrata era in un fosso rimanemmo li due giorni e una notte, informate della morte di Barbieri Ernesto Barducci Colombo l’arresto di Fusconi Urbano massacrato alla Rocca di Cesena. Fu l’ultimo crimine comesso dalla banda Garafoni. (Intervista a Iolanda Ugolini, Atos e Gisella Fusconi, manoscritto di Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001) Lamberto: ... e alora que da Maciulet [Barducci]... j è ad Ronta nenca lou... j era ad Ronta... u j era caschè un chilo ad cherna int e’ poz. L’era e’ poz da bei. Da be l’acua. J era dria ch’i sgumbreva e’ poz j era quatr o zenqv, ch’i sgumbreva sté poz e j arivet lou da, da... an e’ sò... da spesa, e alora “Fermatevi!”. E’ fot quand i mazet e’ su fiol... quèl... cm a s’ ciemal? Amedea: E’ marid dla Culomba, Maciulet .(...) I mazet nench Ernest. Lamberto: I mazet nenca Barbieri, mo e’ fiol cm a s’ ciameval.... Colombo ... Barducci. Amedea: Però u n’ era lo quel ch’faseva, l’era e’ su fradel... Lamberto: L’era e’ su fradel ch’i zarcheva. E e’ su fradel il carghet. Il purtet a Cesena. E dato ch’u j era suzest che barachin che lé, dop, j i daset a la mola e’ su fradel e e’ vins a ca’. (...) Amedea: Nench quèl il ciapet. Quel ad San Marten. Fusconi Urbano. Che il mandet in parson, che la su murosa la l’andeva sempra a truvè e j i caveva un’ ongia tot i dé... un’ ongia di pia, un’ ongia a dé... j i cavet vent ongi prema ad fèl murì. Lamberto: Lo l’era ad San Marten. Amedea: E’ puren. L’era un piò bel zovan. Bel zovan... (Lamberto (Bruno) Sama e Amedea Sama - 1998) Io l’unica cosa che ricordo venni comunque a casa [dalla prigione]... venni a casa in tempo che il giorno dopo uccisero Barbieri, Colombo Barducci e presero coso... e presero Urbano Fusconi lì a Ronta. Ai confini tra San Giorgio e Ronta. Loro furono uccisi il 22 di agosto. (Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998) La morte di Barbieri e di Barducci e la cattura di Venanzio (Urbano) Fusconi è probabile che non si debba imputare a Fariselli o almeno, non completamente. Se Fariselli fosse stato a conoscenza della riunione che si doveva tenere dai Barducci, una volta saputo della sua cattura, per ragioni di sicurezza, si sarebbe provveduto immediatamente a spostarla in un altro luogo. Sarebbe stato un grave errore se questo non fosse stato fatto ed è difficile che Ernesto Barbieri, descritto come un uomo estremamente attento e prudente, sia potuto cadere in un errore così banale. Ci fu invece qualcuno che indicò esattamente ai fascisti l’ora ed il luogo dell’incontro. Una spia, che, come pensa la gente del posto, abitava nei pressi dei Barducci, qualcuno che a quei tempi poteva disporre di un telefono e che riuscì a comunicare ai fascisti il momento giusto per intervenire. L’eccidio di Barbieri Ernesto e Barducci Colombo fu una spia di S. Giorgio telefono chi erano da Maciulet a pulire il pozzo arrivarono con la macchina cominciarono a sparare, caddero i due intenti a fuggire, arrestarono il fratello di Colombo e Urbano Fusconi commissario della 29 B. GAP ando incontro a una fine atroce assieme ad altri otto Condannati a morte alla rocca di Cesena. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001) Disgrazie ce ne sono capitate, ma era anche per avere poca fortuna, ad esempio l’uccisione di Barducci capitò per combinazione… Il destino a volte! Erano andati a sentire da un contadino vicino Radio Londra e non c’era la corrente quel giorno, quindi vennero a casa. Pensarono allora di pulire il pozzo e arrivarono i fascisti. [Loro non li sentirono arrivare?] Tiravano l’acqua e non sentirono, non fecero a tempo a mettersi in salvo, gli furono addosso… [Nello Della Strada, dattiloscritto – 1983) A lè, l’è stè sempra de’ ’44 (...) l’era cheld (...) me e Barbieri Silvano, parchè a sami sempra me e lo ch’a sami sempra insem. [A] sema scapé da lè da la ca’ che geva es zenqv minud. Dì! A fasesum temp da ca’ sua a ‘rivè a ca’ ad Silvano. U i geva l’es un mez chilometro pr e’ ré, a fasesum prest. A sami in sdei a l’ombra de’ pajer, ch’l’era un cheld ch’u sa l’Os-cia... a santesum al rafichi (...) e dop un po’ l’era suzest sté fat che que (...) Era stato che lì, una spia precisa... perché bisogna che [la] sipa steda precisa... Loro eran dietro che pulivano il pozzo e int e’ tiré i faseva de’ malan (...) la ca’, longh a la streda, u j era e’ cantir du che u j era de’ furmanton ch’l’era elt che mai. E lou i s’ presentet cun sté furgon j era in tri... quatr o zenqv in sté furgon. Lou (...) la ca’ la era propi dria la streda... i sgumbreva e’ poz... e quand che i fu in peta i s’ mitet a tiré e j i mazet. Un int l’èra. Clet ad dria dla ca’ (...) E dop, e’ por Fis-cin, no? Fusconi [Venanzio (Urbano)] il ciapet e il purtet int la roca e dop i l’à mazè là só int la roca. E’ fot ona spieda (...) quel che lé l’è steda ona spieda propi pracisa avnì da cl’ora che lé... pracisa. Lou j à telefonè int e’ moment che... e alora a savem nench chi... chi aveva e’ telefan... parché alora i telefan i s’ cunteva cun al didi. Alora a Sanzorz j era tri o du, non ricordo, però un ad chi tri che lé l’è stè. Ta n’ i scap d’in entar e fra l’etar un l’era int la republichina. Chjit du j era di sinpatizint se non di iscret. In scapa da lé. (...) E dire che quest’uomo qui... Barbieri... era un uomo tanto preciso, con una paura... Quant cla riunion che lo u s’ get che i faset sota sta pienta int e’ bosch. U m’ get cun me “Di! Quand t’ pas da lè fermat. Guerda che u j a da les dal cechi. Tuli só. Splesli. Parché s’ e’ pasa queicadun a que i dobita ch’u i sipa stè...” Tanto per dire la preoccupazione ch’l’aveva par tot stal robi che que e l’è ‘ndè a murì int l’utum... (Ferdinando (Delio) Della Strada - 1998) In quegli stessi giorni, il 25 agosto, a seguito dell’uccisione di un milite, avvenuta otto giorni prima, sul ponte degli Allocchi, a Ravenna, sono prelevati dal carcere dodici ostaggi e uccisi dai fascisti della brigata nera “Ettore Muti”, sul luogo dell’attentato. [Forlì] 25 [agosto] = In seguito dell’uccisione del milite Bedeschi, detto “Cattiveria”, è avvenuto un vasto rastrellamento nel ravennate. Dodici infelici rilevati dalle carceri, dopo aver subito torture, condotti al ponte degli Allocchi nella circonvallazione di Ravenna all’alba di stamane sono stati soppressi a raffiche di mitragliatrici, due impiccati: ecco i loro nomi (...) Edmondo Toschi, Augusto Graziani, Valsano Sirilli, Pietro Zotti, Raniero Ranieri, Aristodemo Sangiorgi, Domenico Diranni, Giordano Vallicelli (...), Michele Pascoli, prof. Mario Montanari, Lina Vacchi. Umberto Ricci, detto “Napoleone” da Massalombarda, impiccato insieme alla donna. Ha comandato il plotone il segretario del Fascio, Giacomo Andreani. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Ore 4,40. I fascisti prelevano dal carcere di via Port’Aurea dodici prigionieri. Tra loro c’è Natalina Vacchi, l’operaia della ditta Callegari arrestata nella sera del 17, otto giorni prima (…) Gli altri prigionieri portati via sono il professor Mario Montanari, dirigente del partito d’azione ravennate, il vecchio antifascista Michele Pascoli, il giovane gappista Umberto Ricci, il contadino Aristodemo Sangiorgi, l’industriale di Porto Corsini Edmondo Toschi, il commerciante Valsano Sirilli, il fornaio Domenico Di Janni, il tipografo Augusto Graziani che era il capo nucleo della brigata partigiana “Terzo Lori”, il fattorino delle Poste Giordano Vallicelli e altri due, Ranieri Raniero e Pietro Zotti. Tranne che per la Vacchi e Ricci, i fascisti della “Muti” ignoravano se gli altri siano membri della Resistenza: li hanno catturati solo qualche giorno prima nelle retate seguite – tra la notte del 17 e la giornata del 18 – all’uccisione del brigatista della “Muti” Cativeria, avvenuta nel pomeriggio di giovedì 17. Cattiveria, che transitava in sella alla sua moto sul ponte degli Allocchi per recarsi a casa delle fidanzata in via Passo Buole, era stato ammazzato alla 19,30 da un ciclista che lo aveva centrato alla testa con un solo, preciso colpo di pistola. La morte del brigatista noto per la sua crudeltà aveva scatenato un feroce rastrellamento in cui non meno di una sessantina di persone erano state prese a casaccio come sospette di antifascismo. Poi nel pomeriggio del 24, in un salone del palazzo di Governo in piazza Littorio, alcuni fra i maggiori esponenti del Prf di Salò avevano selezionato le persone da uccidere per rappresaglia. (…) Fra tutti erano stati scelti quei dodici nomi: in testa Ricci e Vacchi, poi gli altri. A far fuori Cativeria erano stati proprio loro, Umberto e Lina. Quella sera di giovedì Napoleone [Umberto Ricci] aveva un appuntamento con Lina, la staffetta che era anche la responsabile del servizio sanitario partigiano. Quando arrivò sul ponte degli Allocchi, pedalando tranquillo sulla sua bicicletta, la ragazza gli si avvicinò dicendogli in fretta “vai via subito! Sta arrivando Cativeria, è pericoloso stare qui”. Ricci il fascista non solo lo conosceva, ma gli dava la caccia da tempo. “Indicamelo” dice Napoleone. “E’ quello che sta arrivando in moto, in divisa”. Ricci: “Va bene, vai avanti e aspettami. Voglio vederlo bene poi ti raggiungo”. Invece ha deciso di cogliere al volo l’occasione. Lungo la strada di circonvallazione che immette al ponte degli Allocchi in quel momento c’è un po’ di traffico, gente che va e viene in bicicletta, pedoni. La moto del fascista avanza rombando e sta per imboccare il ponte a passo d’uomo. Napoleone s’avvicina, spara il suo colpo: Cativeria cade, la moto schizza via. Pedalando poi con calma, il gappista si accoda al traffico sul viale. Ma è stato sfortunato, dietro a lui sopraggiungeva una macchina con a bordo tre tedeschi che hanno visto la scena: accelerano, gli sono addosso e lo bloccano. Il gappista viene consegnato ai fascisti della “Muti”, che lo portano alla Sacca. (…) Ore 5,10. (…) E’ la strage. I brigatisti neri ammazzano a raffiche di mitra, dopo averli fatti ammassare contro il muro della casa, nove degli ostaggi. Uno, Mario Montanari, poco prima aveva cercato di fuggire e il brigatista nero Sergio Morigi gli era corso dietro, lo aveva raggiunto sull’argine del canaletto e freddato sparandogli in testa. (…) Umberto e Lina devono guardar morire gli altri. Poi un fascista afferra Napoleone, lo porta sotto il palo e, aiutato dagli altri, lo impicca: Lina è rimasta l’ultima. Le si avvicina proprio il capomanipolo Morigi, l’afferra a un braccio ma lei si divincola, “Non mi toccare!” sibila. Va da sola al palo, sale da sola sullo sgabello e da sola infila la testa nel cappio. Urla qualcosa e un attimo dopo Morigi dà un calcio allo sgabello. (Da: Gli anni di Bulow / Cesare de Simone. – Milano Mursia, c1996) Il 27 agosto la brigata nera di Cesena, sempre grazie alle indicazioni di Fariselli, è alla ricerca dell’esplosivo sottratto ai tedeschi, a Gambettola. Fariselli che li accompagna, sa che è stato nascosto fra Ronta e San Giorgio dai Della Strada ma non conosce il luogo esatto. Le ricerche non danno alcun esito e i Della Strada sono lasciati liberi [Forlì] 28 [agosto] = Rastrellamento in Ronta e Martorano con la partecipazione della b.n. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) ... i fascisti arrestarono il commissario politico del distaccamento di Cesenatico: Fariselli. Temendo per la propria vita finì per assecondare le richieste dei fascisti e indicò il luogo dove si trovava una parte delle mine [trafugate dal treno, a Gambettola]: il podere del mezzadro Della Strada Leopoldo. Avevamo sotterrato le mine lungo un filare di viti. La staffetta Clara Della Strada successivamente raccontò: “... a casa mia arrivarono molti fascisti muniti di zappe; chiesero a mio padre e a mio fratello Edo dove erano seppellite le mine. Risposero che non sapevano nulla. I fascisti accompagnati da Fariselli, il quale conosceva il nome del podere ma non il luogo esatto in cui erano sepolti i fusti, cominciarono a scavare lungo un filare di viti. Aprirono uno scavo di circa una ventina di metri e quando smisero di scavare si trovavano appena a tre o quattro metri dall’obiettivo. delusi, obbligarono mio babbo e mio fratello a scavare una grande fossa dietro casa. Terminato questo premonitore lavoro furono condotti sull’aia, davanti a casa. I fascisti rinchiusero in casa noi donne e i bambini poi si rivolsero al babbo dicendogli che l’avrebbero fucilato per primo e successivamente, uno alla volta gli altri, non risparmiando le donne e i bambini se non avesse parlato. Non ricevendo risposta ricondussero il babbo presso la fossa e dall’interno dell’abitazione udimmo una raffica di mitra. Tornarono sull’aia per prelevare mio fratello e il cugino [Ferdinando (Giovanni)] e ripeterono l’operazione. Successivamente i fascisti minacciarono di fucilazione noi donne e di fucilare poi anche i bambini, se non avessimo rivelato il luogo dov’era sepolto l’esplosivo. Immaginammo che ci avrebbero fucilati anche se avessimo detto quanto volevano per cui rispondemmo che non sapevamo nulla (...) e che Fariselli era ricorso alla menzogna per salvare se stesso. A questo punto (...) se ne andarono. Immediatamente uscimmo di casa (...) convinti di trovare il babbo, il fratello e il cugino assassinati. Fortunatemente erano incolumi. Questi ci raccontarono che prima di portare mio fratello Edo e poi mio cugino Giovanni (Min) dietro casa, avevano gettato della terra entro la fossa come se vi fosse stato sepolto il babbo. Invece si trattava di una macabra messa in scena al solo scopo di estorcere la confessione. (Diario di anonimo – ISREC ANPI Cesena) Hanno fatto un disastro... dal principio all’ultimo, quando sono stati lontano dal... dalle armi due metri, hanno smesso. La prima volta portarono via il babbo, io non ero in casa, c’erano le mie sorelle. Fecero fare una buca, poi lo misero al muro e spararono di qua e di là dal muro. Poi lo riportarono là, gli fecero murare la buca, nascondevano lui e facevano altrettanto con un altro. Questo è successo in aprile [na, in agosto], a casa mia. Nessuno parlò, perché non c’era niente da dire anche se uccidevano... Tanto che tu dicessi, come se non dicevi era uguale... [Quindi a casa vostra c’erano delle armi?] Un po’ di tutto. [Giornali ne distribuivate?] Sì, c’era il posto in un pagliaio e avevamo una cassa di armi in un posto lontano da casa 150 metri circa. (Clara Della Strada - 1984) Poi è si diressero dai Buccelli e lì andarono a colpo sicuro, perché lo stesso Fariselli li aveva aiutati a nascondere l’esplosivo. Enrico Buccelli ( ) non è in casa, al suo posto sono arrestate le sorelle, Ester (Terza) e Quinta, entrambe staffette partigiane. La terza, Vittoria (Alba), si salvò, perché, saputo che i fascisti stavano per arrivare era andata ad avvertire alcuni partigiani, che quella sera erano attesi a cena. Una perta [dell’esplosivo rubato a Gambettola] a la purtesm a que a Ronta e dop quel u l’avet pó i fasestar. Cun una spieda i l’avet lou. I l’avet. Du vagun a n’ tulesum... [Dove era nascosto?] A qui da coso... a là da Buccelli [Enrico]. E alora nun a j avami un da Ziznatich a j avami. Alora quel de’ Ziznatich... (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983) In seguito alla confessione di Fariselli i fascisti si recarono anche in casa del partigiano Strenga [Enrico Buccelli] e la perquisirono. Non trovarono nulla nell’abitazione, ma nel campo e al punto giusto rinvennero i fusti contenenti una parte dell’esplosivo. Vennero arrestate Terzina e Quinta Buccelli, due sorelle di Strenga sempre su indicazione di Fariselli prelevarono un’altra nostra staffetta: la Giuseppina Manuzzi ad Tambarlen. Queste tre donne furono sottoposte a lunghi e pesanti interrogatori, ma non rivelarono quanto sapevano. (...) furono però inviate nei campi di sterminio in Germania. Del Fariselli si apprese che era partito per il Nord assieme ai fascisti. La notizia non fu accertata. Corse la voce che fosse stato fucilato dai fascisti stessi. (Diario di anonimo – ISREC ANPI Cesena) La spia che fece arrestare le stafette partigiane, Manuzzi Giuseppina, e le sorelle Bucelli era di Cesenatico, arrestato dai fascisti denuncio tutti quelli che avevano contatti con lui. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001) Quando quelli della repubblichina di Cesena andarono nella casa dei Buccelli, che quel traditore di Cesenatico che si chiamava Fariselli portò un carico di armi che una notte le abbiamo seppellite tutte lungo un campo, no? E fatto delle botti che abbiamo lavorato tutta una notte che c’era un compagno di Cesena (...) che faceva lo stagnino. Abbiamo fatto delle botti... lo chiamavano di soprannome Beffi.... per nasconderle le armi (...) Dopo due tre giorni questo Fariselli che aveva trasportato le armi lì in questa casa... Non lo so se lui l’hanno preso e che non abbia resistito... Lui ha parlato. Vennero giù i fascisti. C’era tutta la banda del comando. C’era Garaffoni [Guido]. C’era Sibirani [Aldo] tutti loro no? A questi Buccelli ci bruciarono la casa. Ci portarono via tutto quello che avevano. Ci bruciarono la casa e poi c’avevano la mucca, la legarono dietro il furgone (...) e poi andarono su al comando con la mucca dietro al furgone... che si eran messi i tovaglioli così e andavano con la mucca dietro al furgone. (Giuseppe Alessandri - 1984) Lavoravamo per le brigate gapiste che avevano nella zona i loro rifugi. Nascondevamo le armi, procuravamo viveri, vestiario, portavamo stampa e avvisi a seconda della necessità. Quando i gapisti dovevano partire per un’azione, noi portavamo loro le armi e le munizioni necessarie; al loro ritorno le andavamo a ritirare per nasconderle e ospitavamo in casa quei partigiani che avevano la necessità di non farsi notare. Queste erano le cose di tutti i giorni; anche ora ripensandoci non le considero tanto eccezionali. Ciò che invece mi sono rimasti impressi sono gli avvenimenti che da quel tragico giorno di agosto del 1944 mi coinvolsero fino oltre la liberazione d’Italia. Era il 27 il agosto del 1944. Avevo appena finito di preparare la cena per i partigiani che quella sera sarebbero dovuti venire a casa mia, quando arrivò una donna dal paese per dirci che a S. Giorgio, una frazione che confina con Ronta, i fascisti avevano ucciso due capi partigiani, Barbieri Ernesto e Barducci Colombo, e che stavano facendo un rastrellamento. Una delle mie sorelle [Vittoria] immediatamente corse ad avvisare gli altri perché non venissero a casa nostra e restassero in guardia, che quando tutto fosse passato li avremmo avvertiti. All’improvviso ci trovammo in casa un gruppo di fascisti che cercavano mio fratello [Enrico] per ucciderlo come avevano fatto con gli altri. Fra di loro c’era un uomo, che fino [ad] allora aveva collaborato coi partigiani e che ci conosceva. Era stato preso e aveva parlato. Non avendo trovato mio fratello, portarono via me e una mia sorella [Quinta], l’altra [Vittoria] era riuscita a fuggire. Io fui presa di sorpresa con i piedi a mollo nella tinozza intenta a lavarmeli. L’altra mia sorella tentò la fuga, ma fu fermata proprio dal traditore [Fariselli]. (Ester (Terza) Buccelli in: Donne di Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975) I partigiani di Ronta, avvertiti all’ultimo momento provarono a tendere un’imboscata ai fascisti nei pressi della casa dei Buccelli ma il tentativo a andò a vuoto a causa dell’intervento di un russo, Un collaboratore dei tedeschi, che si era installato nella casa. Il russo impedì ai fascisti di entrare a forza e li costrinse a procurarsi un permesso di perquisizione. I fascisti se ne andarono dalla casa troppo presto e il contrattempo non permise ai partigiani di appostarsi adeguatamente. Quando i fascisti ritornarono erano cresciuti di numero. Troppi per essere affrontati. Quella volta lì (...) in questa casa c’era un mongolo. Uno di quei mongoli che erano usciti dai campi di concentramento e poi i tedeschi se li erano portati dietro. C’era un mongolo e la prima volta, arrivarono giù i fascisti e non li fa entrare. Lui non vuole che entrino in casa (...) I fascisti vanno su a prendere l’ordine per entrare in questa casa. Questo mongolo li dovette fare entrare. Se il mongolo li avesse fatti entrare la prima volta i compagni di Ronta si erano piazzati con un fucile mitragliatore a una distanza di pochi metri, nascosti fra un campo di frumento no? Che facevano fuori la brigata nera di Cesena. Quel mongolo, lui, facendo il suo dovere, lui, impedì di farli entrare in casa e dopo non ci fu più modo di fare questa azione perché (...) i fascisti si erano rafforzati ancora di più... [e] non ci fu più modo di fare quell’azione lì (...) Loro (...) si sapeva. C’era forse qualcheduno che aveva forse una qualche conoscenza fra di loro... che si sapeva qualche cosa. (Giuseppe Alessandri 1984) Quella sera i fascisti non poterono perquisire la casa, perché un tedesco insediato in casa nostra non lo permise fino a quando non fossero stati presenti i suoi superiori. Così fummo portati nella Rocca di Cesena dove ci bastonarono a sangue. Il giorno dopo ci riportarono a Ronta per terminare la perquisizione. Senza di noi non avrebbero potuto entrare in casa; ma arrivati davanti a casa nostra ci lasciarono fuori entrando da soli e noi fummo riportate alla Rocca. Ancora ci torturarono per ottenere informazioni sui partigiani e soprattutto su nostro fratello [Enrico Biccelli]. Ritenute pericolose sovversive, fummo destinate ai campi di concentramento in Germania e trasferite alle carceri di Forlì. Da quel momento per noi iniziò un vero e proprio calvario. (Ester (Terza) Buccelli in: Donne di Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975) Sono ricercate anche le altre staffette partigiane della zona. Clara della Strada, avvisata in tempo, riuscì a scappare a Pievequinta, mentre Giuseppina Manuzzi, fu catturata. Sarà deportata in Germania assieme ad Ester e Quinta Buccelli e alla moglie di Sintoni Antonio Duilio, Iris Casadio, l’ostetrica di Villalta, catturata una settimana prima, poco dopo la cattura di Urbano e Gino Sintoni. Vennero giù e una arrivò da me dicendo: hanno messo dentro... era una di Gattolino, vai subito a nasconderti. Presi la bicicletta e via a Pievequinta, uno davanti mi disse: vai nella tal casa a Pievequinta perché ti portano via! Infatti riuscii ad uscire ma le sorelle Buccelli... la Giuseppina [Manuzzi]... le portarono in Germania tutte e tre. Io stetti via 40 giorni da casa (...) Pievequinta era un posto molto antifascista. Io ero la cameriera laggiù, mi chiamavano la cameriera, perché nel rifugio ci stetti un po’ di giorni, poi dicevano “Noi prendiamo una cameriera, con la carenza di gente... sono tutti militari...” dicevano. Infatti lavoravo come cameriera in quella casa. (Clara della Strada - dattiloscritto 1984) Le staffette a Ronta ce ne avevamo 4 o 5 una era la Manuzzi Peppina [Giuseppina], che dopo poi è stata portata in Germania, la Buccelli Quinta... erano tre sorelle [Quinta, Ester e Vittoria], la figlia di Della Strada [Clara] che era poi la moglie di Ricci [Fabio], era diventata. [A] Cesena da noi non c’era niente, era tutto spostato qui a Ronta. Tutto il comando era qui a Ronta. Ronta. Ba[gnile]... Il centro era Ronta. Qui da me e mio fratello [Duilio]. (...) Farisel (...) Il ciapa a lé e lo e’ caghet gnacuel. In mod che i vins zó e ‘sa t’ toi? J tó al munizion ch’ l’era splì a lè da Strenga [Enrico Buccelli]. I ciapet tot dó al su sureli [Ester e Quinta Buccelli], i ciapet la Pepina ad Tambarlen [Giuseppina Manuzzi], ch’l’era una stafeta, e j i mandet in Germania lou, j i mandet. E lou [Fariselli] e’ stet a là só cun lou [i fascisti] e l’è andè via cun lou. Un s’ è savù piò gnent. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1998) Per il tradimento di uno di Cesenatico Vengono arrestate le stafette partigiane, Manuzzi Giuseppina e le sorelle Bucelli, saranno interrogate e spedite in campo di concentramento in Germania, per fortuna sono Ritornate dopo un anno alle loro case. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001) Vengono portate via la Peppina Manuzzi. Le sorelle Bucelli ritorneranno un anno dopo dai campi di concentramento in Germania la Maraldi Mariana, Sama Amedeia Irma Piraccini portavano via armi, e volantini sino a Gambettola. (Intervista a Iolanda Ugolini, Atos e Gisella Fusconi, manoscritto di Vittorio (Quarto) Fusconi - 2001) Io facevo da staffetta nella mia zona di residenza mantenendo continui contatti con i partigiani. In uno dei rastrellamenti fu catturato un partigiano di Cesenatico che, interrogato, rivelò tutto quanto sapeva, compresi i nomi di alcune persone antifasciste. Era l’agosto del 1944. In conseguenza alle sue rivelazioni furono arrestate diverse persone fra le quali anch’io. Alcuni furono uccisi subito, altri portati alla casa del fascio di Cesena. Io e le altre ragazze di Ronta, anch’esse staffette, fummo interrogate e torturate dal capo fascista Garaffoni [Guido]. Restammo rinchiuse 10 giorni nelle carceri di Cesena. Fummo poi inviate a Forlì dove restammo per due giorni e successivamente trasferite a Carpi (Modena) in un campo di concentramento, dove venivano rinchiusi momentaneamente tutti coloro che erano destinati ai campi di concentramento in Germania. (Manuzzi Giuseppina in: Donne di Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975) Quand a só là a Innsbruch a scalem zó. Alora i s’aveva abandunè alora t’an andita piò via. A lè u j era sté Motta [Romeo], u j era... u j era la Pepina, la Manuzzi, u j era al sureli [Ester e Quinta Buccelli] ‘d Strenga [Enrico Buccelli] (...) a sami in zenqv. (Armando Faraoni - 2000) E dopo (...) mi portarono a Forlì, insieme alle Buccelli, quelli di Cesenatico (...) c’erano anche le sorelle di Sintoni [Clara Sintoni, che poi sarà rilasciata e Iris Casadio, la moglie di Antonio (Duilio) Sintoni]. E dopo, tutti assieme c’hanno portato alla Caterina Sforza di Forlì, in caserma. (Romeo Motta - 1983) Int la roca u j era... Osta! J i era. U j era chi du ch’j à mazé... I Sintoni (...) Nun a sema da perta mo lou... j aveva truvé dagli ermi in ca’. Parché lou i staseva là ad dria de’ Masron j era cuntaden. Però i lavureva a Milen, j era organizé zà... j era de’ dog. Lou j era int e’ grop ad Garibaldi, la 29a brigata... (Armando Faraoni - 2000) Per essere sicuri che nessuno potesse scappare, quel giorno furono caricati su un camion tutti gli abitanti di Ronta seconda e portati a Cesena, alla casa del fascio per accertamenti. Amedea: … la Tambarlena ch’i la mandet in Germania, la Pepina [Giuseppina Manuzzi] (…) la è steda piò d’un an a là in Germania… a glj è stedi al pureni… Amo! Degh. La surela ad quèl…[Enrico Buccelli] che dé ch’i s’ ciapet tot e i s’ mandet só, i gli eva mesi int una cambra e j eva fat e’ nod int la [incomprensibile] sti fasestar… cun dal slepi ch’j i daseva sti fasesta! Cla piò mischina… parché a n’ vleva dì gnent… a n’ e’ vleva dì al surgeli [Ester e Quinta Buccelli] ‘d Strenga [Enrico Buccelli]… Ogni slepa al paseva da un canton… da un canton a lè i li mandeva int e’ canton a là. (…) [Quando eravamo su alla Casa del fascio] Avdesum a pasè la Pepina ma a ngn’ i guardesum miga… Da la paura. A sam a là sò tot dret… Me a s’era nenca schelza! I s’eva purtè só i fasesta… l’è stè che dé che lè ch’i ciapet la Pepina e cal burdeli… Vittorio: I carghet tot e’ furgon! Che dé ch’i carghet tot e’ furgon… Amedea: Tot! I s’ carghet tot! “Via! Carghji tot!”. I s’ carghet tot e i s’ purtet a lè da e’ Pèpa. Dop, nench la mi ma’ i geva ch’i la purteva in Germania. La mi ma’ [Assunta Ugolini] la get “Sa tulì só la mi fiola a vengh nenca me!” “E alora carga nench cla vciaza!” j i get a la mi ma’ (…) in sté camion. Gusto, Dario…. i carghet tot e’ borgh! Quii ch’i truvet a lè j i carghet tot! (…) Me, dop, i m’ mandet a ca’ a la sera. “E la tua mamma la mandiamo in Germania” i m’ get, e i la tnet a là só. I la vleva mandè in Germania. (Amedea Sama e Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998) Una spiata precisa ci aveva colti tutti di sorpresa mentre stavamo mangiando nel podere di Maraldi Renato ci salvo l’alt intimato a Budini Pietro che stava saltando la rete, si fece appena in tempo a scappare e raggiungere i Rifugi nascosti nei Campi della famiglia Bianchi, erano 3 rifugi per dieci quindici persone. (…) Come dico sopra alla domenica mattina presto circondarono la borgata di Ronta II e fecero uscire tutti dalle case, uomini donne vecchi e giovani furono amassati nel camion portati alla roccha venivano interrogati, fra tutti questi cera Sama Amedeia sorella del caduto Fausto Sama. Maraldi Marina, Fusconi Gilberto, quasi tutti furono rilasciati il giorno dopo. Questi tre non furono rilasciati. (...) le spiate (...) denunciavano i posti precisi dove a mezzogiorno si riunivano per mangiare (...) noi eravamo a trecento metri, in mezzo a due filari di uva era il terreno di Maraldi Renato vicino alla Borgata di Ronta II que[i] gridi ci indico i fascisti e fugimmo, 4 nel rifugio scavato nel pozzo e tutti gl’altri a casa di Manuzzi Paolo dove Cera un altro rifugio scavato sotto il Viale ci si entrava dal fosso l’entrata era coperta da arbusti, lontano da casa molto sicuro, i fascisti vennero giu fra i filari e trovarono i piatti delle rimanenze, mia madre con le figlie piccole Pierina 10 anni e Gisella 4 anni si diresse verso la borgata, e davanti alla casa di Sama Bruno fu fermata da 4 militi della M Dalmata e chiese il nome suo e del marito, mi chiamo Valentini Assunta (mia madre aveva due nomi come tutti e Iolanda) Mio marito e volontario in africa da 4 anni I militi salutarono e ritornarono alla ravvenate, Arrivarono gl’altri quatro con Budini Pietro, salirono sul camion e sulla balila tornando verso Cesena. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001) ... a la dmenga a [i] sama tot... me, Ricci [Fabio] (...) Fis-cin [Venanzio (Urbano) Fusconi, no, era stato catturato pochi giorni prima] um pè, e’ mi fradel [Duilio] tot chi burdel da que j era tot partigen, chi burlescot da que. Ema magné là tra du flir olta a lè ad ciota... ad là de’ (…) borgh... (…) ema magné... e a degh “Va là. A m’ vagh a ca’ ch’ a m’ vagh a dè ona laveda... una pulida che dop a vagh via. “O la Madona! A sò lé ch’a m’ sugh, a vegh che l’ariva e’ furgon di fasesta. “Porca Madona! So i fat!. Mo me j eva vest. Ch’eva fat un bus d’ad dria, ch’a scapeva d’ad dria a scapeva, in ches ad perequal. E i fa “Cor sobit ad dria che lor j à un bus ad dria!”. Me quand ch’a sò ad dria ch’a sent ch’i dis “Cor ad dria” me a m’ bot, ch’u j era e’ fos a là ‘d dria, u j era di erbajun, a m’ instech sota sti erbaiun. Lou int e’ fazès [a] guardè che u j era la reda metallica, i ved ch’ u j è tri quatar zuvan ch’j cor via olta a là. Lou i s’ cred l’è lo ch’l’è scapè a olta a là. “Cor d’ int e’ borgh, cor d’ int e’ borgh ch’e’ ven vi là!” e i scapet, e i curet int e’ borgh. E me, intent, u j era una sfuleda a que, a vegh che la è lè sta burdela e a i degh “Dì, burdela, porta la schela lè int la cambra ad là”. I l’eva bruseda, mo u j era restè un gnoch ad sufeta. “Porta la schela a lè che a vagh só int la sufeta, a m’ met a lè”. Quand che la ved ch’ a sò lé, che lia [la moglie], la s’ cardeva ch’ a fos scapè via, la s’ caza int i rog! “Porca Madona!”. Alora me u j era... a selt.. a pas par la finestra ad dria, pó’ la finestra ad ninz e pó lè u j è la reda, a selt la reda ch’u j era e’ furmanton a lè, e pó a m’ met a la veta d’una pienta a m’ met, par no’ andè a caminé d’atond a là ad travers. Parché me an e’ saveva chi j fos. A m’ met a la veta ad sta pienta e avdeva tot... tot e’ muviment da sta pienta... In ciapet un furgon pin... tot! Vec, doni, burdel... quii ch’a glj era a lè, e pó j i purtet só. Po’ j vins zo dlet. In vins a to un ent furgon, ma ad nun in ciapet nisun j n’s’ ciapet. J i à tnu a là so e pó’ dop j i à dè la mola a nota, u m’ pè. J i à dè la mola. J vleva savei quii ch’j era, chi magneva a là ad travers, parché u j era stè la spieda. Parché la j era a que dria, u s’ ved, la speja. Dop pó a l’avam scoperta, dop. I vleva savei chi ch’a j era a magné. Mo me a i get “Sa i giva pó mo nench quii ch’a j era… Tent al saviva, a j sama nun a magné, lou il sa, u n’ era gnent”. Lou in vuls di gnent. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983) Dop una volta j è ‘vnu zo. J è ‘vnù zó. Me a s’era cun i sua [i Fusconi] ch’i magneva là int un fos, in quel dla Manghina e a santesum dal s-ciuptedi e a saltet só la reda. Me a aveva di pen ch’andeva a lavè int e’ mesar e lou i laset i piat a lè, ch’i magneva e via via. I s’ maset tra che gren du ch’i putet. Me a n’ e’ sò. An m’ arcord piò. Me a vins olta int e’ vnì olta u j era Cello e Griglin in sdei int e’ poz da la Cella. “Mo burdel u j è i fasesta!”. A n’ puteva dì fort. “Curi via! Curi via!”. (...) Me i m’ incuntret [I fascisti] olta lè da ca’ mia. “In dove sei stata?” “Int e’ mesar a lavè di pen andeva”. In dialet. A scureva in dialet. Aveva di cavel tiret só csé, schelza, parché aveva d’avnì visé chi burdel ch’j era a lè int e’ poz, che se j i ciapeva j amazeva tot du e alora... “E des du andì?” e’ fa “Ah! A m’ vegn a ca’”. La ca’... a steva a lè, a m’andeva a ca’. “Pasa a là int la streda!”. I m’ mandet a là int la streda. A lè dninz u j era dal metragli, u j era un ch’l’aveva un oc sol però e’ mireva sempra acsé. A l’ò ancora int la ment. “Ades, se non dici dove sei stata ti spariamo!”. Me a m’ tiret só al mi suteni [sopra la testa]. Aveva treg en. “Sparì quant a vlì” a get “e’ mench ch’a n’ vega!”. I m’ nun faset gnent. I s’ mitet a rid e i m’ nun faset gnent. Pó i s’ mandet só tot. Tot e’ borgh a là só . Du ch’u j è e’ Pèpa ades. A pasesum d’ad drida. (...) Tot e’ borgh. U j era enca i vec. I s’ carghet tot. Tot par quant a sema. Nench la mi ma’... Nench la mi ma’ ch’i la vleva... Me i m’ mandet a ca’ la sera e [a] la mi mama j i get “Te t’ vé in Germania parché ogni volta ch’avnem a qua, dé sempra fora” “Amo” dis “un fiol um s’ è fughé int e’ fiom e a n’ ò un da s[alvé]” u j era lo [Lamberto] “E me, quant a v’ vegh vuit a n’ pos stè cius[a] in ca’” la i get. “Adesso ti mandiamo in Germania”. Dop u s’ ved ch’i à dmande infurmazion (...) e in l’à mandeda gnent. Però e’ fot e’ dé ch’i ciapet la Pepina e ch’i ciapet cal burdeli ad Strenga. (Amedea Sama - 1998) Athos Fusconi, figlio di Duilio, è catturato insieme agli altri abitanti di Ronta seconda, i fascisti della brigata nera colsero l’occasione per consegnargli un biglietto da far pervenire a suo padre, da sempre sospettato di avere rapporti con la resistenza. Sul biglietto era proposta una tregua, i fascisti si dichiaravano disponibili a trattare. I partigiani interpretarono questo approccio come un tranello e non diedero risposta. Forse non era un tranello, forse, in buona fede, i fascisti cesenati sapendo di essere ormai alla fine, erano veramente disposti a venire a patti, per concordare un cessate il fuoco che permettesse loro di organizzare il proprio trasferimento al nord. Impossibile saperlo. Quello che successe la settimana seguente sembrò dare ragione ai partigiani. La mattina dopo arrivarono con macchine e camion e caricarono tutti quelli chè trovarono, il camion strapieno di uomini e donne, tra loro cera che mio fratello Atos che cercava di allontanarsi, ma stavolta i fasisti informati avevano prima circondato la borgata e nessuno sfuggi, li portarono alla sede del fascio e garafoni [Guido Garaffoni] li interrogo e minaccio uno ad uno, i piu furono rilasciati il giorno dopo Atos Fusconi dopo 5 giorni, portava un messaggio di fasisti rivolti ai partigiani per un incontro per cessare la strage di innocenti, era evidente erano alla fine volevano prendere in trappola i capi della resistenza che loro sapevano che si erano concentrati in modo particolare a Ronta e Bagnile - S. Martino era il posto di Minon [Giacomo Rolandi] e le spie erano di più, cerano a Ronta e S Giorgio (...) la retata della borgata di Ronta II era stata segnalata da una spia del posto. (Ugolini Iolanda, trascritto da Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001) Tino: (…) A la dmenga a sam atorna la tevla ch’a magnem, che dop, a lè in ca’ mia u j era enca la zia, la Gusta. E scapa fora la mi cusena e’ la dis “Sé, sé, u j è i fasesta int la streda!”. Porca Madona! Ad dria da la finestra u j era un fusadin ch’l’era acsé. Mo u j era di erbajun chi era elt... L’ariva [e’ mi ba’] e [u] s’infila a lè… Sti faseta, ma j era un brench… j era un brench… Prema i piaza un mitragliator ch’l’era longh ch’u sa l’Os-cia. Là stes int l’era e’ punteva in s’ la porta. Me a sò lè che a i guardeva acsé. Punté la porta. E’ dis “Te burdèl scapa da lé!” L’era e’ Gag ad Sanzili. I perquises gnacuel e gnent, in trova gnent e’ pó i va zó int e’ borgh. Mo dop int e’ borgh al vousi al s’era zà stesi. Lou [la famiglia di Vittorio] j aveva la tevla aparceda a tarsent metar da lè. Vittorio: Int e’ fos tra du flir. Tino: J aveva la tevla aparceda alora. Vittorio: I tiret a Pirin ‘d Zicogna no? J i get “Alt! Alt!”. Tino: Sé, sé. Vittorio: E fo’ par quel che nun a scapesum e i scapet tot via. Tino: Alora (...) e’ mi ba’ l’è int e’ borgh. E va via da ca’ mia e’ va int e’ borgh. A sam a lé in ca’ e’ ven la mi ‘vsena la dis “Pia! Pia! U j è Aldo... U j è Aldo ch’e’ zerca la schela!”. E mi ba’ quand l’eva vest tot sta baluda ad fasesta... Scapè? Du ch’l’andeva? E alora a me [e’] dis “A vagh in ca’. A vagh só int la sufeta”. E nenca a lé una gran confusion in cà. Di gran rog. ‘Sa fal e’ mi ba’? E’ selta la reda ch’l’è a tarsent metar e po' u j era una pienta, e’ va [a] la veta d’una pienta e u n’ s’ muvet da lè. Cla dmenga che lè i purtet só... I faset du viaz cun i furgun. Cun e’ furgon. J aveva e’ furgon e’ la machina. Tot quii ch’u j era... E get Sibireni [Aldo Sibirani] cun Garafon [Guido Garaffoni] “T’avita ciapé la Peipa zoiba ta t’ la si laseda scapé!” Infati a la zoiba e’ mi ba’ l’era lè. Lo, a sò cunvint, ch’u l’ mandes via ch’l’aves paura. L’era armast da par lo. Chjit j era tot.... tot in zir. Vittorio: Va là che e’ tu ba’ u n’aveva la pistola, a te degh me. L’era disarmè se no’... Tino: La pistola. U n’ puteva ziré sempra cun la pistola. Vittorio: Ó capì. Pperò... dop un l’à punseda piò. Tino: J i purtet só. Tot i vec. Parché j i ciapet tot. Ch’i purtet só? Athos? Vittorio: Athos e’ mi fradel. Tino: E su fradel. l’aveva un po’... l’aveva dla scola lo e’ ‘lora il tnet a là só lo. Gnent. Quant i l’à tnu só? Par gnent? Vittorio: Lo il mulet sobat che l’aveva da fè da intermedieri che chi s’incuntreva. J era arivat ormai a la fen. Te capì? I l’aveva cunvint eh! Il cnet purtè via ad forza. U i vleva fè incuntrè a toti i cost. Il mandet a la Pievquenta, du ch’l’era sempra stè parché lo e’ puren, un s’ atruveva ben a ca’. (Tino e Vittorio (Quarto) Fusconi) - 1998) ... eravamo alla fine e i fasisti volevano intavolare trattative con i capi della resistenza per cessare il bagno di sangue che di mese in mese si faceva sempre più sanguinoso. Cosa avessero detto [a mio fratello Athos] non lo so, ma vennero a casa convinti di fare l’incontro, si capiva che era l’ultimo tentativo di una trappola per eliminare quelli che non erano riusciti a prendere, mio fratello fu accompagnato a Pievequinta dalla famiglia Savoia dove e sempre stato da da[l] 29 Aprile 44, e famiglia FIORI dove si rifugiava mio padre (...) Infatti pochi giorni dopo (...) Fusconi Urbano [Vennazio] del gruppo GAP di Ronta. Torturato a morte fu fucilato assieme ad altri 5 compagni alla Rocca di Cesena. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001). Il 1 settembre, non si sa in quali circostanze, fu catturato, Oriano o Casadei del Gap di San Zaccaria. Il suo nome probabilmente, non è Oriano, ma Onorio, come è riportato nell’Albo d’oro dei caduti della guerra di liberazione della provincia di Forlì. [Forlì] 1 [settembre] = E’ impiccato dai tedeschi Oriano Casadei dei gap di S. Zaccaria. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) CASADEI Onorio di Amedeo, nato a Predappio il 16-3-23. Giovane e ardimentoso Gappista, cadeva in mano tedesca l’1-9-44, sopportò ogni sorta di tortura ma non parlò. Esasperati dal suo deciso contegno, lo tradussero nelle carceri di Forlì da dove non si ebbe più notizie. (Da: Albo d’oro dei caduti nella guerra di liberazione / Provincia di Forlì, ANPI provinciale; compilato da Roberto Mella. – [S.l. : s.d.] (Modena : Soc. tipografica modenese) Casadei Onorio Di Amedeo. Nato a Predappio il 16 marzo 1923, residente a Forlì, frazione di Brancolino, mezzadro, primo di tre fratelli, celibe. Riconosciuto partigiano della 29° brigata gap con ciclo operativo dal 10 gennaio al 30 novembre 1944. Arrestato il 1 settembre 1944, fu incarcerato a Forlì e poi deportato in Germania. Risulta morto a Bruex il 16 gennaio 1945. (Da: Elenco dei caduti delle formazioni partigiane 8° Brigata Garibaldi - 29° Brigata G.A.P. “Gastone Sozzi” - Brigata S.A.P. - Battaglione Corbari - Sito internet ISRFC ) Il 4 settembre, i partigiani catturati a fine agosto, sono fucilati allo sferisterio della Rocca di Cesena. [Forlì] 4 [settembre] = Un altro eccidio è stato compiuto dai nazifascisti nella Rocca di Cesena, con la fucilazione di otto partigiani o ritenuti tali. Ecco i nomi degli infelici: Oberdan Trombetti Sebastiano Sacchetti Gino Cecchini Urbano Fusconi Adamo Arcangeli Gino Quadrelli Urbano Sintoni Gino Sintoni di Augusto di Pompeo di Pietro di Giuseppe di Guido di Achille di Primo di Primo di a. 31 da Bologna di a. 32 da Cesenatico di a. 33 da Cesenatico di a. 21 da Ronta di a. 24 da Cesenatico di a. 31 da Rimini meccan. di a. 37 da Macerone colon. Di a. 32 da Macerone. Quest’ultimo era commissario politico del Distacc. “E” del 2° Battaglione di Cesena: Erano stati arrestati dalla b.n. e sottoposti a sevizie durante una settimana. (Dal diario di Antonio Mambelli Forlì) Quando hanno ucciso i fratelli Sintoni eravamo lì dentro dico “Questa notte è la sua, domani notte è la nostra”. Perché lì non c’era tanto da pensare. Dopo invece m’hanno portato all’interrogazione... (Romeo Motta - 1983) 4 settembre 1944 - Poco prima della mezzanotte, da parte dei nazi-fascisti, sono stati fucilati e mitragliati 8 individui nel gioco del pallone, pare prelevati dalle vicine carceri, lasciati esposti fino alle 11 del mattino. Quattro sono stati riconosciuti nativi di Cesenatico. Molta impressione e tutta la città depreca l’eccidio. Dicono che le povere vittime portavano sul corpo segni di sevizie. Ridiventiamo barbari. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) 27 settembre - Vengo a sapere che il 3 settembre, nel gioco del pallone della rocca i nazi-fascisti ammazzarono otto antifascisti, tra cui due Sintoni [Urbano e Gino] di S. Agata (Gattolino). (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)