Giornale del 28/02

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Giornale del 28/02
IL DOLORE PIU’ GRANDE
.
http://rosemaryok.skyrock.com/
Sommario:
* Il dolore più grande
* IL consumo culturale
* La motivazione
* Leggende del Tibet
* Farmasalute
* La donna nella letter.
* De religione
* Onomastica e topo…
* Proverbi e detti
* Nino Martoglio
* Apuleio:Metamorfosi
* Come ragionano le d.
* Dall’Etica: L’amicizia
* Una prov.da scoprire
* I tragici Greci
* Mitolog. Greco-latina
* Vero o Falso
* Piatti tip. della Camp
* La donna nella storia
* Profilo critico
* Giocando con i class.
* Leviora
Giornale n.ro 1
del 28/02/09
di Flaviano Calenda (*)
Quello della Passione è un argomento che riguarda tutta la storia
dell’umanità. Gesù, fino al compimento della sua agonia, ha sofferto tormenti
inflittigli dagli uomini e quelli che gli derivano dall’aver preso su di sé i peccati
del mondo (1 Pt 2,24; Is 53,4). Gesù, la benedizione vivente ed infinita,
essendosi fatto peccatore per tutti, deve pagare per tutti. La morte fisica è così
la conseguenza di quella spirituale dell’ uomo, che causa la separazione da
Dio. Secondo Cullmann, sarebbe questa morte, la causa dell’angoscia di Cristo
nell'Orto del Getsemani, più che la crocifissione in sé e ciò che comportava.
Egli non può vincere la morte che morendo realmente, abbandonandosi alla
grande distruggitrice. «Mio Dio! mio Dio, perché mi hai abbandonato?», David
Granfield commenta: «Il peso del peccato del mondo, l'identificazione completa
di Gesù con i peccatori implicano un abbandono reale da parte del Padre. In
questo grido di abbandono è rivelato il pieno orrore del peccato dell'uomo».
Solo l'amore può spingere ad un simile sacrificio. Il Cristo sofferente è una
manifestazione straordinaria della misericordia divina, una rivelazione sconvolgente degli effetti del peccato e delle sue raccapriccianti conseguenze; Maria
partecipa alla sorte di Gesù, segno contraddetto, poiché su di lei piomberà,
come una spada, il dolore più grande (Lc 2,35).
Ai piedi della croce, il dolore di Maria è la conseguenza della sua vita di
fede come serva del Signore. In virtù di ciò, Giovanni Paolo II, richiamandosi
alla propria esperienza, descrive l’accoglienza e l’affidamento a Maria come
una reciproca abitazione ed interpersonale ospitalità. Affidandosi filialmente a
Maria, infatti, il cristiano, come l’apostolo Giovanni, accoglie «fra le sue cose
proprie» la Madre di Cristo e la fa regina della propria vita interiore, avvalendosi
della sua "materna carità", quella con la quale la Madre del Redentore si prende cura dei fratelli del Figlio suo, alla cui rigenerazione e formazione ella coopera. Non per niente Giovanni Paolo II esorta: « Rivolgetevi fiduciosi a Maria (1), "
Rifugio dei peccatori ", perché ci difenda contro l'ostinazione nel peccato e
contro la schiavitù di satana. Pregate con fede, affinché gli uomini conoscano e
riconoscano " l'unico vero Dio e colui che Egli ha mandato, Gesù Cristo" (cfr Gv
17, 3). In questa preghiera si esprime il vostro amore per gli uomini, che desidera il bene più grande per ciascuno." In nessun momento e in nessun periodo
storico - specialmente in un'epoca così critica come la nostra - la Chiesa può
dimenticare la preghiera che è grido alla misericordia di Dio dinanzi alle molteplici forme di male che gravano sull'umanità e la minacciano» [Giovanni Paolo
II, Dives in misericordia,15, rg.5-7] .(2)
__________
1) Giovanni Paolo II, visita pastorale in Polonia, Zakopane, sabato 7 giugno 1997.
2) Commento alla lauda “IL NAZARENO” di Franco Pastore.
.(*) Nato a S.Marzano S.S., ha frequentato il liceo di Badia di Cava. Laureato in Teologia, Filosofia e Pedagogia, ha insegnato Storia della Chiesa presso l’Istituto di Scienze religiose della
Diocesi. Ha ricoperto molteplici incarichi compreso quello di Vicario Foraneo. Attualmente è
parroco della Chiesa madre di Pagani e docente di religione. nel Liceo scientifico di quella città.
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IL CONSUMO CULTURALE DEI GIOVANI
di
NATALE AMMATURO(*)
Una ricerca empirica a Napoli e Salerno
________
(5° parte – I significati degli oggetti ) “ …Il consumo culturale giovanile
può costituire per le scienze della società un campo esplorativo piuttosto recente,
nel cui ambito si possono indagare vissuti motivazionali di grande significatività
valoriale…” In sostanza, la sociologia dei processi culturali e la psicologia sociale
possono, attraverso una osservazione comparata, costruire un nuovo paradigma
“sui significati degli oggetti nella vita delle persone”, per il ruolo che questi ultimi
rivestono nella quotidianità di ciascun individuo. In genere, si è solidificata la
tendenza a considerare “cultura” tutto ciò che riguarda valori e mondi di pensiero,
come a voler liberare il concetto da ogni suo rapporto con i beni materiali, che
vanno intesi, invece, come “segmenti storici” ed espressione della culturalità.
Infatti, in una ricerca di L. Ruggerone, si evidenzia la possibilità di
percorrere, per ogni oggetto, una sorta di biografia culturale che approda al
valore simbolico dello stesso, in un fertile confronto tra valenza di significati e
significatività valoriale; al esempio, il telefonino, un maglione di cashmir ed una
camicia particolare diventano indicatori di posizione sociale, una manifestazione
culturale di differenziazione simbolica. Così per tutti gli oggetti, intesi appunto
come elementi simbolici di valenza sociale: i piercing, i tatuaggi e così via. Sono
altresì identificabili e fruibili come beni immateriali e quindi manifestazione
culturale: la musica, la pittura ed il consumo di prodotti multimediali.
Va da sé che maggiore rilevanza ha assunto l’osservazione sul consumo
culturale riferito ad oggetti che appartengono al mondo relazionale, anche se
l’abbigliamento dei giovani non è da sottovalutare, se si vuole conoscere la loro
identità ed il loro mondo relazionale. Riducendo sempre più gli spazi della loro fisicità,
i giovani vivono insieme attraverso comunicazioni continue di tipo mediatica. Nella
società della comunicazione, essi instaurano con la tecnologia un rapporto simbiotico,
ne gestiscono i codici ed i linguaggi e fanno dei media spazi di condivisione e di
comunicazione di idee, simboli e valori. (continua)
(*) N. Ammaturo, prof. ordinario di Sociologia presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Ateneo
salernitano, fondatore e direttore della rivista “RES - Ricerca e Sviluppo per le politiche sociali”, è coordinatore del gruppo di ricerca dell’Università di Salerno per il progetto CAENDI (Cooperation Action of the
European Network of Territorial Intelligence).
2
DDAALLLLAA PPSSIICCOOLLOOGGIIAA DDIINNAAMMIICCAA : ““LLAA TTEEOORRIIAA DDEELLLLAA MMOOTTIIVVAAZZIIOONNEE””
di
Doriana Pastore
Riflettendo su concetti evoluzionistici, della genetica e della biologia molecolare,
Emde evidenzia come sono la complessità e la flessibilità a caratterizzare lo sviluppo infantile. “ Il bambino viene al mondo con un repertorio di comportamenti,
forniti dall’ evoluzione, che si attivano nel contesto della relazione col caregiver”.
La complessità e la flessibilità, fin dalla nascita, quindi, costituiscono quelle caratteristiche funzionali che permettono al bambino di interagire con l’ambiente, mentre invece la rigidità sarebbe non adattiva. Ciò è alla base del paradosso dello sviluppo del sé: contrariamente alla tendenza di studiare il sé nel suo differenziarsi dall’altro, vi è la
necessità di uno sviluppo di una psicologia del noi, che consideri invece lo sviluppo del sé in
relazione con l’altro. Il sistema se viene esteso includendo la dimensione del noi, sviluppando un
modello in cui vengono considerati “..tre aspetti dinamici del sistema sé: a) l’esperienza del sé,
l’esperienza dell’altro e l’esperienza di sé con l’altro o noi”.
Similmente a Blatt, anche Emde pone la costituzione delle rappresentazioni di sé e dell’altro
alla base di uno sviluppo di un sé che sfocia nella formazione di un sistema sé - altro. Sia Blatt che
Emde riconoscono l’importanza degli studi di Bowlby, riguardo all’attaccamento, come sistema
motivazionale primario e condividono la sua visione dello sviluppo: un processo che presenta agli
inizi varie possibilità di crescita e dove la strada intrapresa è determinata dalla qualità delle interazioni, che l’individuo intrattiene nel suo ambiente. Blatt, in tutto il uso lavoro, fa riferimento al lavoro di
Bowlby ed al tutto il corpus di ricerche che da esso deriva. Egli condivide con Stern (1985) l’idea, che
il concetto di attaccamento di Bowlby abbia diversi livelli di lettura, “…un pattern di comportamenti,
un sistema motivazionale, l’esperienza soggettiva del bambino sottoforma di Internal Working Models
,la relazione tra madre e bambino” (Stern, 1985, pag. 25)- e che esso, insieme a tutti gli studi
successivi della Main e colleghi, diano dei grandi contributi per una maggiore comprensione dei
processi di sviluppo normale e patologico (e.g. Blatt e Blass, 1996; Blatt e Levy, 2003 ). Blatt fa
spesso accenno ad altri autori, non psicoanalisti, tra i quali McClelland. Quest’ultimo ha sviluppato la
“teoria della motivazione al successo”, al fine di analizzare le prestazioni in ambito di lavoro.
Secondo l’autore, nonostante l’uomo abbia molte esigenze, il “bisogno di successo” ed il “bisogno
di affiliazione” sono gli elementi critici, che determinano i livelli di performance (Avallone, 1998). Le
persone nelle quali prevale il bisogno di successo sono spinte verso la promozione personale, sono
centrate sul proprio compito, preferendo lavorare da soli, piuttosto che in gruppo e ricevere una valutazione diretta e precisa del loro operato. Le persone, nelle quali prevale invece il bisogno di affiliazione, sono portate alla ricerca di buone relazioni sociali, piuttosto che di successo personale.
La teoria della motivazione ha molti problemi di misurazione e di applicabilità. Blatt sembra
apprezzarne soprattutto l’intuizione teorica, evidenziando soltanto come anche McClelland individui
nel bisogno di attaccamento ed in quello di definizione di sé, che spinge invece all’autoaffermazione,
le spinte che motivano la crescita individuale. Le dinamiche tra i due bisogni sono molto diverse da
quelle poste da Blatt, infatti, in McClelland i due bisogni sono in opposizione, dove uno debba prevalere sull’altro. Nel modello di Blatt invece, la definizione di sé e bisogno di appartenenza sono dialetticamente interagenti, tendenti verso una sempre maggiore integrazione. Piuttosto, secondo Blatt,
avremo invece personalità orientate alla ricerca di affiliazione, piuttosto che nella definizione di sé,
quando intercorrono disturbi durante lo sviluppo: problemi all’interno di una o dell’altra linea di sviluppo spingono l’individuo a ricercare di recuperare laddove c’è un problema, a discapito dell’altra
linea di sviluppo. Per cui avremo “personalità anaclitiche”, caratterizzate primariamente da preoccupazioni riguardo le relazioni interpersonali, e “personalità introiettive”, focalizzate primariamente
su problemi riguardo definizione di sé e sull’essere ammirati e rispettati (Blatt e Shichmann,1983).
Concludendo, dicendola con Blatt, lo sviluppo della personalità può essere visto come un
processo, che comprende tutto l’arco di vita e che si evolve da una complessa e dialettica transazione tra due processi di sviluppo di base.
DORIANA PASTORE, nata a Benevento il 28 luglio del 1975, ha compiuto gli studi superiori a Nocera Inf. (Sa) e si è laureata in
Psicologia nell’Ateneo Napoletano. Attualmente vive a New HAven, nel Connecticut (USA), ove sta continuando gli studi.
Pubblicazioni: “Senso di appartenenza e la definizione di sé”.
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L’Accademia
Internazionale
Il Convivio
indice la IVª Ediz.
2009 del Premio
Artistico
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"LiberArte"
per la promozione
dell’arte e la
cultura e del
territorio di
Mattinata (FG).
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LE 1000 PERSONE PIÙ
CREATIVE Del 2009 in
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FRIOZZI
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Pittrice
di
PASTORANO (CE)
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Per comunicazioni:
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L’ARECHI DUE
Amore e storia
longobarda
-------DRAMMA STORICO
Di FRANCO PASTORE
ATROFIE DERMO-EPIDEMICHE, SMAGLIATURE
Da farmasalute.it
Sono uno degli inestetismi più diffusi tra le donne, sicuramente
tra i più antipatici, e possono colpire tutte: le grasse e le magre, le
sedentarie e le più sportive, le adolescenti e le quarantenni. Insomma,
esattamente come la cellulite, non fanno distinzioni e non hanno età.
Ma cosa sono le smagliature o, per dirla in termini tecnici, le atrofie
dermo-epidermiche a strie? Sono alterazioni che colpiscono lo strato
più profondo della cute, il derma. Si tratta di vere e proprie cicatrici,
che si formano in seguito alla frattura delle fibre di collagene. In queste
aree avviene un cedimento e sull’epidermide compaiono lievi
depressioni che all’inizio sono di colore rosso-violaceo, poi assumono
una sfumatura biancastra.
A provocare la comparsa delle smagliature sono soprattutto le
situazioni in cui la pelle è sottoposta a una tale tensione da lacerarsi:
aumento repentino di peso, crescita improvvisa, gravidanza. Ma fra le
cause ci sono anche le variazioni ormonali tipiche dell’adolescenza e
della menopausa, una dieta sregolata, lo stress e la disidratazione. Le
zone interessate dalle smagliature (generalmente addome, fianchi,
seno, glutei, interno cosce e interno braccia) sono atrofizzate, cioè
inattive, ed è difficile riportare la cute alle sue normali condizioni. Ad
oggi, far sparire del tutto le smagliature è impossibile. Si possono però
ottenere dei miglioramenti significativi e, soprattutto, si possono
prevenire. Come? Intanto seguendo un’alimentazione equilibrata,
consumando frutta e verdura, ricche di oligoelementi e vitamine A, C
ed E. Altri accorgimenti: evitare alterazioni di peso consistenti in poco
tempo, bere almeno un litro e mezzo di acqua al giorno, evitare
lunghissimi bagni caldi, perché favoriscono il rilassamento dei tessuti e
seccano la pelle. Infine, sia per la prevenzione sia per il trattamento, è
indispensabile applicare sulle zone interessate prodotti specifici in
grado di mantenere la pelle elastica, ben idratata e capaci di migliorare il processo di rigenerazione e di cicatrizzazione cutanea.
Fondamentale è la costanza: creme e gel vanno applicati tutti i
giorni, preferibilmente sulla pelle pulita così sarà maggiormente in
grado di ricevere i principi attivi. Meglio prima procedere con un
peeling che la liberi dalle cellule morte che fungono da barriera e
compromettono la penetrazione in profondità del trattamento. In
gravidanza, è preferibile utilizzare prodotti con formulazioni esenti da
potenziali allergeni e, se possibile, anche da derivati della petrolchimica, alcool, parabeni, coloranti sintetici e proteine animali. Tutto questo
perché il corpo della futura madre reagisce in modo estremamente
sensibile a tutti gli stimoli esterni, come conseguenza dell’impegno
della natura di proteggere una vita in formazione. La dicitura “dermatologicamente testato”, sull’etichetta, è già un’ottima garanzia.
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UNO SGUARDO AL MONDO
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dell Tibeett 西藏
Mi Lihua scrive che il Tibet "abbonda di leggende come la sorgente abbonda di acqua". "Se ti
rivolgessi a un nativo per conoscere il nome di un lago o di una cima, egli ti racconterebbe
probabilmente anche una leggenda sul quel luogo".I tibetologi che hanno studiato la letteratura
popolare e gli annali, di solito hanno attribuito i testi dei miti, le leggende e le saghe, o al genere
della "storia" o a quello delle "fiabe". In realtà è spesso impossibile classificarli in maniera così
univoca perché vi si riflettono realtà assai diverse: in questi testi troviamo nozioni scientifiche o
avvenimenti storici inseriti in un contesto di valori o perfino di desideri, esposti in situazioni di vita
ora reale, ora utopica, il tutto a volte composto con intenti educativi, a volte ispirato da
un'interpretazione basata su una particolare visione del mondo. I racconti contenuti negli annali
e nelle tradizioni popolari tibetane sono spesso più significativi per la conoscenza della cultura
tibetana di quanto non lo siano molti trattati scientifici. Appunto per questo, …sono…più di una
semplice … letteratura "fiabesca". Infatti i miti e le leggende, che parlano della preistoria o della
protostoria o che raccontano di determinati personaggi o avvenimenti storici: ai miti sulla
creazione fino alle leggende sulla ricerca del Dalai Lama…propongono l'abbozzo di una storia
culturale e religiosa del Tibet, scritta dal punto di vista mistico-religioso dei suoi abitanti. I luoghi
e le persone di cui narrano questi miti e queste leggende sono ben noti agli amici del Tibet, ma
le "storie" qui proposte sono perlopiù sconosciute, perché… apprese nel dialogo diretto con gli
abitanti del posto. (Andreas Gruschke)
I CINQUE INNAMORATI
Un mercante aveva una bellissima moglie, della quale si innamorarono perdutamente quattro
mercenari ed il loro capo. Quando chiesero alla donna un appuntamento, ella indicò a tutti come
luogo un albero di fichi, altissimo e non lontano dalla città, sul quale dovevano salire ed
attenderla, che li avrebbe raggiunti non appena avesse avuto l’occasione di lasciare la casa.
Secondo le sue indicazioni, il primo mercenario avrebbe atteso su di un ramo a nord, il secondo
su di un ramo a sud, il terzo su di un ramo ad est , il quarto ad ovest ed il loro capo l’avrebbe
attesa arrampicandosi al centro del gigantesco fico. Il marito, adiratosi contro la donna, la
picchiò e la legò ad un colonna; così i cinque innamorati attesero invano sulla pianta per tutta la
notte. Quando riuscì a raggiungere il fico, si rese conto che non poteva certo giacere con tutti e
cinque, allora promise solennemente che avrebbe concesso i suoi favori a chi di loro le avesse
portato i fiori più belli. Il giardino dei fiori era situato nel palazzo reale ed aveva ed aveva un
guardiano al quale erano stati mozzati naso ed orecchie. I mercenari andarono da lui e pensarono di ottener fiori con qualche complimento ed infatti il primo disse:
- Come ricresce la canna, ricrescerà anche il tuo naso, offri qualche fiore a chi te lo chiede…-.
- Come ricresce l’erba Kuça falciata, disse il secondo,così ricrescerà anche il tuo naso, offrimi
qualche fiore, ti prego…-.
- Come ricrescono le erbe Dnrva Virana, disse il terzo, così ricrescerà anche il tuo naso, dammi
qualche fiore, per favore…-.
- Come ricrescono capelli e barba, disse il quarto, ricrescerà anche il tuo naso, dammi qualche
fiore, per cortesia…Purtroppo, il guardiano non li considerò affatto e negò ai quattro mercenari anche il più piccolo
fiore. Il loro capo, allora, si portò anch’egli nel giardino e così disse:
- Chiunque ti abbia chiesto fiori, dicendoti che il naso ti crescerà, ti ha mentito spudoratamente.
Sappi che rimarrai così per sempre: i nasi non ricrescono…- Il guardiano pensò subito che
costui, a differenza degli altri, gli aveva detto il vero e così gli offrì in dono i fiori più belli del suo
giardino. Con questi, il capo dei mercenari si recò all’appuntamento con la donna del mercante
ed soggiacque con lei, godendo ampiamente dei suoi favori.
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LA DONNA NELLA LETTERATURA
BECCHINA
Il sogno di Cecco Angiolieri
In una città così piccola come Siena,le classi sociali erano molto sentite, ma Cecco, figlio
del banchiere del papa Gregorio IX, all’età di venticinque anni, fu tra il popolo che trovò la
ragazza dei suoi sogni. Si chiamava Becchina (Domenichina) ed era figlia di Benci, il cuoiaio. La
trovava bellissima, "una rosa novella" che avrebbe resuscitato un morto ed odorava di femmina.
Cecco la desiderava, ma era timido, anche se focoso di temperamento e l'approccio fu difficile,
tanto più che Becchina era la fierezza in persona. Presto tutti se ne accorsero, compreso il
padre. La figlia di Benci il cuoiaio? avrà detto e pensato: giammai!. Dello stesso parere era la
madre. Ma il ragazzo era ormai prigioniero del suo amore ed irremovibile. Il padre, per star nel
\ sicuro, strinse i cordoni della borsa e la cosa si confaceva alla sua taccagneria. Cecco era un
giudice severo: "Continua a maledirmi (scrive, 36) perché ho rotto un bicchiere dieci anni fa"... .
La società patriarcale, faceva il padre padrone di tutto. Alla fine, Becchina non rimediò alcun
regalo dal suo innamorato. Lo diciamo perché questa oscura ragazza di settecento anni fa è
stata, a gran distanza, una delle donne più calunniate della storia letteraria. Così Cecco scoprì
che c'è l'Inferno in terra. E che d'amore non si muore, come il conte Ugolino scoprì che non si
muore di dolore. Pensa al suicidio. Becchina si decide per l'umiltà, come si diceva. Passano gli
anni. Nell''88 scoppia la guerra tra Firenze e Arezzo, e Siena manda rinforzi a Firenze: messer
Angiolieri trova doveroso arruolarsi e parte per il fronte con suo figlio. Forse si batterono a
Campaldino; ma a Cecco non importava niente di Firenze e di Arezzo. Al ritorno, le cose non
cambiano, allora si confida con suo padre, lo prega, cerca di fargli capire che cosa sono l'amore
e la felicità. L’uomo non capiva, sapeva solo che suo figlio non poteva sposare la figlia del cuoiaio. Anche il cuoiaio la pensava e così molti altri del giro. Tutti, anche per invidia verso messer
Angiolieri, erano per l'ordine e contro l'amore. Ma Becchina capiva. "Amor che a nullo amato
amar perdona" è un detto eterno, ma relativo, ed ella non poteva uscire dalla logica matrimoniale . Le mura d'una città medioevale non solo difendevano, ma chiudevano, imprigionavano.
Cecco, col semplicismo della logica e della passione, sapeva che bastava che il padre provvedesse di suo alla mancata dote della ragazza. Figurarsi; c'era di mezzo, oltre al sangue blu, il
puntiglio, il pregiudizio, l'avarizia, lo spirito d'autorità e… forse l'odio. Ci sono vecchi che odiano i
giovani anche se sono figli, e quasi non desiderano essere amati.
Eppure l'amore tentò di rompere ogni indugio. Ci furono discorsi intimi ed appassionati,
che Cecco riassunse nel più sorprendente dei suoi mimi (39, qui il IV) deve esserci stata una
chiara e schietta richiesta di matrimonio. Allora: Cecco, l'umiltà tua m'ha sì rimossa, // che
giammai ben né gioia il mio cor sente, // se di te nove mesi non vo grossa. Con tale sincerità,
Becchina prorompe nel più popolaresco, carnale, femminile romanticismo: Gli si diede davvero?
No. Quella che i professori definiscono una mercenaria, era vergine. Cecco era gran gentiluomo? No, era troppo autentico. E' l'amore che è gentiluomo. E per giunta beffato dagli eventi. Ma
si baciarono. Un bacio sulla mano aveva fatto di Cecco una specie di idealista felice, orgoglioso
della bellezza e della gloria dell'amore. Poi ci fu il gran giorno dei baci appassionati . Cecco ne
fece una specie di lapide con tanto di data: E fu di giungno venti dì all'entrante, // anni mille
dugento novantuno. Il cuore trionfava, ma la muraglia restava. La clandestinità era difficile, ma ci
fu. Un giorno, Becchina, lontana tre giornate di cammino, lo invitò da lei, e quel giorno – così è
la vita - Cecco non disponeva di un cavallo. Chi la crede una trovata dello stile "comico" ride di
poco, ma soprattutto conosce poco la vita, la poesia che è vita e le maledette iatture della
gioventù. Poi ci fu una specie di tradimento: apparente perché operato dal sesso e non dall'amore, e il sesso non è altrettanto gentiluomo. Ovviamente lo riferiscono a Becchina, troppo donna e
reattiva per tollerare. Intanto i due casati preparavano due matrimoni preventivi. I soliti nemici
riferiscono a Cecco la cosa nel modo peggiore. Intanto a Becchina non restava che fingere la più
solida indifferenza, per tirare avanti. Cecco crede sia un matrimonio d'amore e grida “al soliti
nemici riferirono a Cecco la cosa nel modo peggiore. Intanto a Becchina, per tirare avanti, non
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Tradimento!”. Pensa di morire, poi, teme le pene dell'Inferno e finge di darla vinta al "babbo":
si sposerà anche lui. "Or moglie vo' com'io odio il gaudente" e Cecco si sposa per manifestare
il suo odio per il frate gaudente. Giura di spassarsela, dopo, almeno potrà spendere. Se sarà
infelice prenderà in giro l'infelicità mettendosi una maschera di allegria. Si preparavano due
matrimoni: Il padre avrà certamente procurato alla nuova coppia un alloggio distante, per
vedere il meno possibile figlio e nuora. La povera moglie doveva sorbirsi da sola questo Cecco
che l'aveva sposata per vendetta contro suo padre, contro Becchina. Spendeva quanto poteva, ma si accorse che le donne costano care: ci vogliono gioielli ed altro. La generosità paterna era disperatamente scarsa, e le nuove passioni, restano deluse. A casa, sua moglie, secondo lui, non faceva che strillare e lo supplicava di fare economia, di amministrare la sua
roba, di "far masserizia”. Siamo nell''85 circa, Cecco è nel fiore degli anni. La sua "malinconia"
e il suo odio per l'universo hanno l'energia dell'età. Scrive ora il sonetto celeberrimo: S'io fosse
foco, arderei 'l mondo; ma essendo solamente Cecco, non gli restava che ingaglioffirsi più che
poteva. E trovò il tempo di soffrire anche per Becchina: la povera ragazza aveva avuto in sorte
il peggiore dei mariti. Intanto i debiti crescevano e il padre era sempre vivo. Toccava gli ottanta
o giù di lì ma non dava segno di andarsene. Doveva essere immortale, come il padre d'un altro
Cecco, omonimo, confidente e compagno di sventura. Questo pensiero finì per diventare la
suprema speranza di Cecco, e quando il sogno si realizzò, nel modo improvviso con cui
avvengono le cose troppo attese, Cecco scrisse il più trionfale dei suoi sonetti, dopo quello dei
baci di Becchina. Non si disperin quelli de lo Inferno: non è eterno come si dice. Mandò anche
un sonetto a Dante, senza ricevere risposta Ma quando seppe, nel 1302, che era rovinato e
sbandito, gliene mandò un altro un po' sgangherato, in cui fingeva di trovare certa contraddizione logica in un sonetto della Vita Nova. Si era verso la fine del secolo. Cecco si godeva
l'ozio, se non la vita, fatalisticamente preoccupato del calo delle finanze. Finì come un grosso
cane che non si vede più in giro. Un documento c'informa che la famiglia rifiutò l'eredità: pare
che i debiti superassero troppo l'asse ereditario, ma che ci fosse ben poco da salvare del
buon nome del padre.
DE RELIGIŌNE
DOTTRINE, TRADIZIONI, SEMANTICA
SAMARITANI: dall'ebraico ‫ש ֶמרִים‬
ַ shamerim, cioè "osservanti della Legge",sono i
discendenti delle due tribù del Regno di Giuda erano i "veri" e "puri" ebrei dopo l'Esilio
babilonese, i samaritani erano i discendenti unicamente degli stranieri pagani deportati
in Israele nel 721 a.C., per sostituire le popolazioni ebraiche totalmente deportate.
sono i membri di una comunità ebraica in Terrasanta comprendente 654 membri
(popolazione censita nel 2003), di cui 346 abitano in Israele, nella città di Holon, e 308
a Kiryat Luza (vicino a Nablus) in Palestina. L'omonima città e regione (Samaria, oggi
Nablus in Cisgiordania) da loro prende il nome.
Oggi una piccola comunità di un migliaio di samaritani, di lingua araba, ancora
guidata da una gerarchia sacerdotale, sacrifica l'agnello pasquale sul monte Garizim,
luogo santo samaritano da oltre due millenni, vicino a Nablus. I Samaritani possiedono
una loro versione del Pentateuco, che interpretano letteralmente, e anche se non
considerano i Profeti e gli Agiografi come testi sacri, credono nel messia e nella
resurrezione.
Buona parte delle discordanze fra la versione samaritana del Pentateuco e
quella giudaica mira peraltro a stabilire sul monte Garizim, anziché sul Monte del
Tempio di Gerusalemme, il "vero" luogo del culto di YHWH. Come altri settari posteriori, quali i Sadducei e i Caraiti, anche i samaritani possiedono un loro calendario.
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DAVIDE: Il nome deriva dall'ebraico antico Dawidh e significa «l'amato da Dio, il
diletto», più precisamente deriva dal verbo yàdad, che significa amare. Venne poi
tradotto in greco Dayéd ed in latino Dayid. È uno dei nomik più usati in Italia ed
annovera tra i personaggi illustri: Davide re e profeta e Davide di Svezia.
DEBORA: Deriva dal nome ebraico Deborah, tradotto in greco come Debbora o
Deborra ed in latino come Debora. Il significato originario è "ape".
DARIO: Deriva dal persiano Darajavaush (o Darayavaush), nome tradizionale della
dinastia dei re Achemenidi, poi grecizzato in Dareios, e di qui nel latino Darius;
significa "che mantiene il bene, che ha in sé il bene". Personaggi importanti: Davide di
Persia,
L’APPIA: La via Appia Antica è una strada romana che collegava Roma a Brindisi, il
più importante porto per la Grecia e l'Oriente nel mondo dell'antica Roma. L'Appia è
probabilmente la più famosa strada romana di cui siano rimasti i resti, la sua
importanza viene confermata dal soprannome con il quale i Romani la chiamavano:
regina viarum. I lavori per la costruzione iniziarono nel 312 a.C., per volere del
censore Appio Claudio Cieco (Appius Claudius Caecus, appartenente alla Gens
Claudia).
VERONA: il nome potrebbe derivare dall'etrusco Vera, probabile nome di persona, ma
anche da un sostrato pregallico (moltissimi fiumi e fiumiciattoli portano ancora oggi
nomi derivati da radici preceltiche come *ver- e *var-); dal termine latino ver ( primavera).Secondo una leggenda, il capo gallico Brenno, chiamò il nuovo centro abitato Vae
Roma, cioè Maledetta Roma, che poi si trasformò in Verona.
L’ANGOLO DELLA TENEREZZA: di Franco Pastore
LE TUE MANI
Come soffice nube,
quell’onda di recluso piacere,
nel silenzio del cuore,
chiedeva pace.
Amore e sofferenza,
sul tuo viso,
senza l’ombra struggente
d’un sorriso.
Come un giorno di marzo, eri,
col ricordo
dell’inverno ancora,
col sole nella pioggia
e la speranza
d’una bell’aurora.
Un tuo sospiro
Accolse
briciole di desiderio,
gesti sconnessi
naufragati nel nulla,
mentre taceva tutto,
ma non le tue mani.
8
DAGLI APPUNTI DI DORA: DETTI ANTICHI E MODI DI DIRE
Dora Sirica
• Quanne si’ povero, si’ pell’e ossa, te manca ‘o pane ‘e te
spunteche ‘st’uòsse.
• 'ntrélleca ‘a vita, ‘ndrélleca ‘o dente e dìnt’a sacca ce sta ‘o
viente.
• Tuculèa tuculèa ca ‘o sasìcce s’arrecrèa, si te stanch’’e
tuculià, ‘o sasìcce lascio’ sta
• ‘Nu magliuòppele tengh ‘ncuòrpe, sule còllere e juòrne stuòrte; m’abbuffàte pure ‘a panza, dìnt‘a vita nun c’è criànza.
Traduzione e commento: La fame è una brutta bestia e si
accompagna sempre alla povertà: nemmeno la soddisfazione di
rosicchiare gli ossi, come fanno i cani. In tal modo non c’e qualità
di vita; nemmeno l’amore è piacevole nell’indigenza. Se poi si
aggiungono i dispiaceri della vita, il quadro è completo e tutto
diviene difficile a sopportarsi.
Antonio della
Rocca
IMPULSEART
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POETILANDIA
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La città dei
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Aspetti semantici e socio-antropologici, implicanze greco-latine:
SPUNTECHE: dal verbo transitivo spuntecare, molto usato
nell’entroterra campano fino ad un trentennio fa. Dalle caratteristiche onomatopeiche, deriva dal participio passato del verbo
latino pungo: punctum, con una s detrattiva. Significherebbe
togliere la punta, spuntare, ma è più usata come nei significati di
spiluccare, rimediare qualcosa per placare la fame, dibattersi nel
bisogno, mangiucchiare, rosicchiare, pulirsi le ossa.
NTRELLECA’: sinonimo del napoletano tremmulià, da cui
‘ntremmulià e poi ntrellecà, col significato di tremolare lievemente, con caratteristiche onomatopeiche. Tutti dal latino trēmere.
Derivati: ‘ntrellecamiénte.
TUCULIARE: smuovere con levità, cullare, muovere con dolcezza. Etimologicamente, dal participio latino tactu(m) più un infisso
attenuativo ed un suffisso frequentativo del tipo tac(t)uliare>taculi-are >tucu-li-are. Derivati: tuculiata, tuculiamiénto, tuculata,
tuccata. Ab antiquo,ovviamente, la radice è greca,da tύptω (tupto):
colpire, percuotere, battere, scuotere.
Modi di dire:
-Quanne ‘a femmena tuculéa, trova sempe chi arrecréa.
- Marzo tuculéa ‘e aprìle s’e carréa.
- Nisciuno ‘a tuculèa e chélla sona. (la tammorra)
ARRECREA: rifl. arrecriarsi, come il napoletano addecriarsi, vengono entrambi dal latino ad-recreare provar piacere o dare piacere, nella forma non riflessiva.
In poesia:
Me fa arrecrià ‘na cosa sola,
m’’a porta Filumena quànne vola
‘ndé brazze mje e tantu me cunsòla…
(anonimo dell’800)
9
I TAMBURANOVA
______
ErmannoPastore
voce e tammorra
Nuccia Paolillo
voce e ballo
Cristiana Cesarano
voce e ballo
Michele Barbato e
Giovanni del Sorbo
chitarre
A. Benincasa
Bassoacustico
Pasquale Benincasa
percussioni
Enrico Battaglia
mandolino e violino.
SASÌCCE : termine campano, in nap. Sauciccia; dal tardo latino
salsicia, dall’aggettivo salsicium = salato, con raddoppio d’influsso: salsiccia, da cui salsiccia ed il popolare sausiccia.
MALLUÒPPOLO: una specie di gomitolo, o comunque un groviglio filamentoso, riferito a lana o peli più suffisso. Da mallus =
fiocco di lana. Usato anche in modo figurato, per indicare stress,
dispiacere, qualcosa che non si riesce a digerire o a dimenticare.
In lingua è usato nella forma mallòppo, nel senso di refurtiva,
risultato di un’azione criminosa.
‘NCUÒRPE: in corpo, dentro, intimamente; dal latino in- corpore,
per troncamento e fusione del prefisso con la parola, da cui
incorpo(re) ed ancora ‘ncuòrpo.
CÒLLERE: collera, ira, dispiacere; dal latino cholera(m) = bile,
con raddoppio consonantico. Da cui, pigliàrse collera equivale a
dispiacersi.
Un
UN INCONTRO
FELICE
CON LA MUSICA
DELLA NOSTRA
TERRA
ALTRA MUSA
c|âvvÉÄÉftÄÉààÉ
c|âvvÉÄÉftÄÉààÉ
ÄxààxÜtÜ|É
ABBUFFATE: dal latino bufo-onis rospo, da cui buffare ed il popolare abbuffare, cioè gonfiarsi come il rospo, a mo’ del rospo.
Usato anche in senso metaforico, cioè gonfio di bile, di malcontento, adirato, pronto a scoppiare, ad esplodere per la rabbia; ma
anche gonfio, sazio. Derivati: abbuffamiento, abbuffata.
PANZA: sostantivo femminile, dal latino pàntice(m) con sincope
centrale pan(ti)cia , e metaplasmo pancia c>z panzia, da cui
panza. Derivati: panzata, panzarotto, panzone, panzanella.
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Direttore responsabile: Francesco Piccolo
Vicedirettore: Eugenio Mucio
Redazione: via Rosa Jemma, 2 – Centro
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10
OMAGGIO AD UN GRANDE POETA:
NATALIZIU
L'AMURI*
-Mamma, mammuzza, si 'n avissi a tia, - Mamma, chi veni a diri 'nnamuratu?
ju 'ntra 'stu munnu, mi sintissi persu;
- ...Vóldíri... un omu ca si fa l'amuri.
ti vogghiu beni chiù di l'Universu,
- E amuri chi vóldiri? –
chiù di la vista e chiù di l'arma mia.
...E' un gran piccatu;
Si lu me' sensu ancora non s’ha persu, è 'na bugía dí l'omu tradituri!
lu vidi, mamma è pirchi pensu a tia:
- Mamma..., 'un è tantu giustu 'ssu dittatu...
a tia ca si' la megghiu puisia;
ca tradímenti non nn'ha fattu, Turi!
e di la' puisia lu megghiu versu!"
- Turiddu?... E chi ti dissi, 'ssu sfurcatu?
- Mi díssi... ca prí mía muria d'amuri!
Oggi ricurri ancora la to' festa
- Ah, 'stu birbanti!... E tu, chí ci dicisti?...
ed ju, chi non mi scordu la jurnata,
- Nenti! ... Lu taliai ccu l'occhi storti...
t'offro l'umili miu, solitu cantu.
- E poi?... - Mi nni trasii tutta affruntata!...
Tu dunami la solita vasata,
- Povira figghia mia! ... Bonu facisti! ...
e po' fammi durmiri ccu la testa
E... lu cori? - Mi batti forti fortí...
supra lu pettu to' amurusu e santu!
- Chissu è l'amuri, figghia scialarata!
Nato a Belpasso, il 3 dicembre 1870, da un giornalista ex garibaldino, Nino Martoglio abbandona le sue ambizioni
di diventare capitano di marina e fonda, nel 1899, a soli 19 anni, un settimanale umoristico e satirico scritto anche in
dialetto siciliano, il D'Artagnan, dove pubblica tutte le sue poesie, raccolte in seguito per gran parte nella raccolta
Centona, molto apprezzate da Giosuè Carducci, soprattutto per il verismo descrittivo delle bellezze dell'isola. Si
dedicò con al teatro e, nel 1901, creò la Compagnia Drammatica Siciliana, con l'intento di rendere famoso a livello
nazionale il teatro dialettale siciliano e, nell'aprile 1903, giunsero ad esibirsi con successo a Milano. Muore a
Catania, 15 settembre 1921.
L’ANGOLO DELLE BAGGIANATE
ISOLANTE: abitante solitario di un’isola.
ISTRIONE: un istrice molto grosso.
INTERFERIRE: ferire con parolacce i tifosi dell’Inter.
INSTABILE: stare all’interno di uno stabile.
INDULTO: indiano maggiorenne, adulto.
INFERMIERI: infermi ieri, oggi tutti guariti.
HAMBURGHER: abitante di Amburgo.
TASSA: la compagna del tasso.
ABBAINO: l’abbaiare di cane molto piccolo.
11
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Appuulleeiioo
Le metamorfosi dello scrittore Apuleio, col Satyricon di Petronio, costituiscono l'unica
testimonian-za del romanzo antico in lingua latina. Le Metamorfosi chiamate da sant'Agostino
nel De civitate Dei (XVlll, 18) Asinus aureus (L'asino d'oro), si compongono di 11 libri. Per quei
critici che, come vedremo a breve, tendono ad interpretare il romanzo seguendo una chiave di
lettura mistagogica (Apuleio descriverebbe metaforicamente il proprio percorso di conversione al
culto di Iside), già il numero di libri avrebbe valore magico, richiamando il numero dei giorni
richiesti per l’iniziazione misterica: dieci di purificazione ed uno dedicato al rito religioso. l’impianto dell’opera presenta effettivamente due ‘macrostrutture’, la prima delle quali comprende i primi
dieci libri, mentre la seconda coincide con l’ultimo. In effetti, è ancora in atto il dibattito critico
sulla congruenza o meno del libro XI rispetto al resto dell’opera: per quelli che insistono sulla
lettura mistagogica del romanzo, quest’ultimo libro si tratterebbe dell’allegoria d’un percorso di
espiazione, che l’io-narrante ( Apuleio) ha faticosamente attraversato fino a giungere alla verità
redentrice del culto isiaco; ed alcuni si sono spinti talmente oltre, da ricondurre ogni riferimento
disseminato nell’opera ad allusione della redenzione finale. Al contrario, per altri, l’XI libro non
sarebbe altro che un’appendice artificiosa e slegata rispetto all’elemento comico e ludico della
parte dell’opera che precede. Questi ultimi , ricordano, infatti, come assioma, la premessa cui
invita l’autore: «Lector intende: laetaberis», ovvero,«Lettore, presta attenzione: ti divertirai».
Se poi intendiamo l’invito in senso ‘subliminale’, la verità è ben più profonda: «Lettore, tendi (la
tua anima): troverai la gioia (interiore)». In questo caso, ci troviamo di fronte ad doppia chiave di
lettura ed il delectare si rivelerebbe funzionale al docere. Di qui, una diversa considerazionee
artistica e letteraria dell’opera: se esso è davvero un ‘romanzo di formazione’, allora presenta un
tessuto connettivo ben saldo nel suo simbolismo; se, invece, è semplicemente un romanzo
d’intrattenimento e la frattura tra l’ultimo libro e gli altri viene vista come insanabile, allora il piano
ludico e quello mistico finirebbero per interferire e sovrapporsi, disturbando ogni possibilità di
organica costruzione del mondo evocato dallo scrittore. La faccenda addirittura si complica,
quando le due macrostrutture sono, a loro volta, attraversate dalle sequenze narrative, scandite
da due episodi simmetrici, che segnano le svolte fondamentali della vicenda: le due metamorfosi
da uomo ad asino, da asino ad uomo del protagonista.
RIASSUNTO DELL’OPERA (seconda parte:libro III)
Fatto giorno, è arrestato e condotto al tribunale in mezzo alla folla che lo sta a guardare, invece
che con ira, con grandi risate. Per la gran calca, l’udienza è trasferita in teatro. L’accusatore ha
parole di esecrazione per l’efferato straniero; Lucio si difende calorosamente e invoca la pietà
dei giudici; ma quando gli è ordinato di sollevare di sua mano il manto che copre i corpi dei tre
uccisi, in mezzo alla frenetica ilarità del pubblico, si accorge che sono tre otri gonfi con le tracce
dei suoi colpi di spada. In quel giorno a Hypata ricorre la festa del deus Risus, del dio del ridere,
che si celebra con qualche nuova trovata: e Lucio ne ha subìta la prova. La mortificazione è
grande, ma l'amore dell’ancella gli restituisce l’allegrezza. Essa gli promette, inoltre, di svelargli i
segreti intimi della padrona. Dopo qualche tempo, infatti, accorre e gli annunzia che la padrona,
vanamente desiderosa di trarre a sé un giovane Beota [ nativo della Beozia] che essa amava, si
sarebbe mutata in uccello per volare sotto questa forma presso di lui. Per le fessure della porta,
Lucio assiste alla prodigiosa trasformazione: la maliarda, spalmatosi tutto il corpo con una
pomata, si tramuta in gufo e vola via. Lucio, riavutosi dallo stupore, vuole trasformarsi anche lui,
e scongiura Fotide che l’assista; ma la fanciulla scambia per errore il vasetto dell’unguento e
Lucio si trasforma, non in gufo, ma in un asino, che conserva, tuttavia, il sentimento umano.
Fotide consola il malcapitato: basta masticare delle rose [simbolo di rigenerazione] per riprendere la figura umana; essa ne avrebbe portato alla prima luce del giorno. Intanto l’uomo-asino se
ne va nel luogo che ora più gli conviene: la stalla, dov’è il suo cavallo e l’asino di Milone.
12
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• Meglio essere amata da un vecchio che fare la serva ad un giovane;
• Un marìo vecio è meglio che gnente (proverbio veneziano);
• Il marito giovane di rado è fedele;
• Buona oca, cattivo papero;
• Qualsiasi donna in grado di leggere e di intendere il contratto di
matrimonio e lo contrae, ne merita poi le conseguenze;
• Chi tene maritu viécchio, ‘nzàcca lu pepe.
• L’ommo pelùso è auriuso, l’ommo furzuto è guliuso.
ù
* CONSIDERAZIONI:
Come scrive Natalia Aspesi, l’uomo ha rafforzato il suo potere, in
questi ultimi anni. Infatti, con la libertà delle donne, è riuscito ad
ottenere la sua libertà: con meno doveri e meno responsabilità, che
prima gli venivano dall’essere arbitro unico della famiglia e della
società. Il nostro matrimonio, sottolinea Elisabeth Cady Stanton, è
soltanto un legame esteriore imposto dal costume, dall’interesse e
dalla necessità, ma non ha nulla a che vedere con l’amicizia e
l’amore. Nel periodo del corteggiamento, incalza Germaine Greer,
con freddo cinismo, l’uomo cerca di rendersi indispensabile, almeno
quanto lo è la donna per un uomo ed arriva a metterla incinta al solo
scopo di distruggere la sua autosufficienza. (G.G.- L’eunuco
femmina- 1972)
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In collaborazione con i Comuni di Agugliano, Camerata Picena e
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Regione Marche e la Provincia di Ancona organizza
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13
L’AMICIZIA
di Aristotele di Stagira
Nato a Stagira, nel 384 a.C. ai confini con la Macedonia, fu allievo di Platone dall’età di 17 anni e ne
frequentò l'Accademia per venti. Dopo la morte del maestro, nel 347 a. C., lasciò Atene e fondò una propria
scuola ad Asso, nella Troade. Nel 342 venne chiamato da Filippo II re di Macedonia per fare da istitutore al
figlio, il grande Alessandro Magno. Nel 336, quando Alessandro salì al trono, ritornò ad Atene e fondò il suo
Liceo, una scuola filosofica che per un certo periodo superò in prestigio l'Accademia platonica. Con la morte di
Alessandro ed il diffondersi di un clima antimacedone, venne costretto all'esilio nella Calcide, dove morì nel 322
a.C. Aristotele fu il primo grande organizzatore del sapere, suoi i primi ragguagli storico-teoretici sui
presocratici, sue le prime raccolte organiche del sapere logico, fisico e biologico; grande osservatore della
natura, non dimenticò di cimentarsi in importanti studi sull'etica e sulla retorica. Il suo metodo di indagine venne
preso a modello dalla Scolastica, per i cristiani diventò “l’ipse dixit” nel campo delle scienze, della metafisica e
della cosmologia. Per questo motivo la filosofia di Aristotele, diversamente da quelle di molti altri pensatori greci,
rimase viva lungo tutto il corso del medioevo grazie alla tradizione teologica cristiana, che fece proprie molte
delle conclusioni più importanti del suo pensiero (si pensi a Tommaso d'Aquino).Le sue opere riguardarono la
logica,l’etica, la linguistica, la fisica e la biologia. L’amicizia riguarda l’VIII ed il IX libro dell’Etica Nimomachea.
DALL’ETICA NIMOMACHEA(*)
L’Amicizia è una cosa non soltanto necessaria, ma anche bella", in quanto "nessuno
sceglierebbe di vivere senza amici, anche se fosse provvisto in abbondanza di tutti gli altri
beni": "L'amicizia è una virtù o s'accompagna alla virtù; inoltre essa è cosa necessarissima per
la vita. Infatti nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni (e
infatti sembra che proprio i ricchi e coloro che posseggono cariche e poteri abbiano soprattutto
bisogno di amici; infatti quale utilità vi è in questa prosperità, se è tolta la possibilità di beneficare, la quale sorge ed è lodata soprattutto verso gli amici? O come essa potrebbe esser
salvaguardata e conservata senza amici? Infatti quanto più essa è grande, tanto più è
malsicura). E si ritiene che gli amici siano il solo rifugio nella povertà e nelle altre disgrazie; e
ai giovani l'amicizia è d'aiuto per non errare, ai vecchi per assistenza e per la loro insufficienza
ad agire a causa della loro debolezza, a quelli che sono nel pieno delle forze per le belle
azioni". Tre sono le specie dell'amicizia a seconda che sia fondata sul piacere reciproco,
sull'utile o sulla virtù: "Tre dunque sono le specie di amicizie, come tre sono le specie di qualità
suscettibili d'amicizia: e a ciascuna di esse corrisponde un ricambio di amicizia non nascosto.
E coloro che si amano reciprocamente si vogliono reciprocamente del bene, riguardo a ciò per
cui si amano. Quelli dunque che si amano reciprocamente a causa dell'utile non si amano per
se stessi, bensì in quanto deriva loro reciprocamente un qualche bene; similmente anche
quelli che si amano a causa del piacere. (...) L'amicizia perfetta è quella dei buoni e dei simili
nella virtù. Costoro infatti si vogliono bene reciprocamente in quanto sono buoni, e sono buoni
di per sé; e coloro che vogliono bene agli amici proprio per gli amici stessi sono gli autentici
amici (infatti essi sono tali di per se stessi e non accidentalmente); quindi la loro amicizia dura
finché essi sono buoni, e la virtù è qualcosa di stabile; e ciascuno è buono sia in senso
assoluto sia per l'amico. Infatti i buoni sono sia buoni in senso assoluto, sia utili reciprocamente".
Mentre quella fondata sul piacere e sull'utile si rivela accidentale e cessa quando il
piacere o l'utile vengono meno, quella invece fondata sulla virtù è perfetta ed è la più stabile e
ferma. Ci sono poi tante specie di amicizia, quante sono le comunità organizzate della società
civile; ma in ultima istanza è nella comunità politica, che ha per fine l'utile comune, che devono
essere individuate le condizioni più generali dell'amicizia. E per ogni tipo di configurazione
istituzionale si hanno forme diverse di amicizia. " (continua)
_____________
Andropos
(*) L'opera, divisa in dieci libri, venne così intitolata perché fu il figlio di Aristotele, Nicomaco, a raccogliere e divulgare le
lezioni tenute dal padre. Soprattutto nei libri V, VI e vi si notano frequenti interpolazioni e manipolazioni dovute a discepoli del
maestro e a successivi compilatori. L'opera fu pubblicata perla prima volta, insieme al corpus delle altre opere aristoteliche, da
Andronico di Rodi (50-60 a.C.).
14
L’ELDORADO
Di Renato Nicodemo
Si sa che Orellana, ufficiale di Pizarro,diceva
di aver scoperto l’ Eldorado tra il fiume delle
Amazzoni e l’Orinoco.
Se l’ardito conquistatore fosse vissuto in Italia non avrebbe dovuto navigare tanto per
raggiungere il paese dorato, perché l’avrebbe scoperto a
due passi dalla Spagna.
L’Italia di qualche anno fa, infatti, è stata un vero Eldorado anche se non abbiamo la fortuna di avere un vulcano
che vomita oro, come il Galeras, nelle Ande colombiane,
che contiene nelle sue viscere un giacimento d’oro, e durante le sue eruzioni vomita pepite.
Qui,da noi, tutto è stato d’oro, dai trasporti alle banane,
dagli appalti alle carceri, alle lenzuola, agli affari in genere.
Dopo il terremoto nell’Italia Meridionale anche le ruspe
diventarono d’oro.
Nella U.S.L. n. 21 di Cagliari scoppiò la vicenda dei peni
d’oro per via di certe protesi pagate, manco a dirlo, a peso
d’oro.
I peni? Si, i peni! E speriamo che i corrispondenti femminili siano più a buon mercato!.
I bambini, da parte loro, hanno l’Orzoro.
Adoratori di un Dio d’oro, navighiamo, non c’è che dire, in
un mare d’oro! (Cf G.Arciniegas, Il mare d’oro).
Il destino a volte è beffardo: mentre in altre parti del
globo si muore di fame, da noi si rischia di morire di oro,
come il re Mida. Ma se il figlio di Cibele poté salvarsi bagnandosi nel fiume Pattolo, noi, se vogliamo salvarci allo
stesso modo, rischiamo di morire lo stesso per l’inquinamento delle acque, fluviali e non.
Renato Nicodemo: nato a Laurito, è laureato in Pedagogia e Dirigente
scolastico. Abilitato per l’insegnamento delle lettere, è autore di articoli pedagogicodidattici, di legislazione scolastica e noterelle. Appassionato di studi mariani, cura la
pagina mariana di alcune riviste cattoliche. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni;
qui di seguito alcuni titoli: La Vergine nel Corano, La Vergine nella Divina
Commedia, Antologia mariana, Umile ed Alta, Il bel pae-se, I nuovi programmi della
scuola elementare, Verso i nuovi Orientamenti ed altro.
Orellana
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LETTERARI
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via Nuova S.Antonio
97015 Modica (RG)
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IL
NAZARENO
----
Lauda in quattro
movimenti
di
Franco Pastore
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Musiche:
E. Pastore
Immagini:
P. Liguori
Presentazione:
A.Mirabella
Commenti:
R.Nicodemo
F.Calenda
---VVeessuuvviioowweebb..ccoom
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_________________________________
Cultura, Arte,
Archeologia
vesuviana
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di A.Langella
15
Salerno, una provincia da scoprire
Piaggine Sottane, era detto così per distinguerlo da Piaggine
Soprane di cui era frazione con il nome di Casaletto di Piaggine
da cui deriva il gentilizio "casalettari". Oggi, Piaggine sottane si
chiama Valle dell’angelo, da un’antica grotta dedicata al culto di
S.Michele Arcangelo. Nel 1995, chi scrive dedicò a questo comune
un testo di liriche sulle bellezze notevoli del luogo; ma l’amministrazione ha ignorato la pubblicazione.
Oggi, col nome di Piaggine, viene indicato un Comune di
2.056 abitanti come da censimento del 1991. Le origini del sito
risalgono intorno all’anno mille, ma fu nell’anno 1159 che vi si
stabilì una comunità religiosa di Benedettini, che eresse una
chiesa, ancora esistente, dedicata a San Pietro, al di là del ponte
sul fiume Calore.
La Chiesa Parrocchiale di S. Nicola di Mirra risale, invece, al
1500 e dello stesso periodo è la cappella dedicata a S. Maria del
Carmine, nella quale è conservata una magnifica Pala dell’Assunta.
Annesso ad essa è il convento dei Cappuccini, del quale rimane
solo il chiostro. L’antico nome del Comune era Chiaine, dai detriti
che portavano le piogge nei mesi invernali, ma successivamente
venne trasformato in Piaine, per una serie di spiaggette sulle rive
del fiume calore, da cui l’attuale Piaggine.
Un tempo Piaggine Soprane, con Piaggine Sottane, faceva parte di
Laurino e nel Gonfalone è rappresentato uno scudo, lo stem-ma dei
Pepoli, su cui sono raffigurati due leoni con le zampe posteriori su
tre monti, il tutto sormontato da tre stelle, mentre sopra lo scudo
spicca una corona con cinque torri.
Piaggine è un ridente paese situato nel cuore del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano ed offre un ambiente naturale
ancora incontaminato, caratterizzato dalle belle sorgenti del Ca-lore
e dalla flora e la fauna del monte Cervati.
Notevoli le tradizioni religiose ed i luoghi di culto, situati in alto
sui monti, come la Grotta della Madonna della Neve sul monte
Cervati e la cappella dell’Assunta sul costone del monte Motola. In
paese invece si festeggiano la Madonna delle Grazie (2 luglio), la
Madonna del Carmine (16 luglio), e Santa Filomena (23 agosto).
Suggestiva, poi, la doverosa visita alla vicina “Roscigno vecchia”,
dove è possibile visitare un interes sante museo agricolo.
Andropos
Piaggine
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RICERCA e SVILUPPO
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LE POLITICHE
SOCIALI
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Natale Ammaturo
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E..II..M
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NAONISART
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POESIE E
RACCONTI.IT
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SAULE KILAITE
e Picasso Strings
http://www.saule.it/
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16
I TRAGICI GRECI
A cura di Franco Pastore
Che cos'era il teatro tragico per i Greci? Una rappresentazione drammatica dell'esistenza, ma soprattutto la "realtà poetica" della polis. Sommi
artefici della straordinaria produzione tragica furono Eschilo, Sofocle ed Euripide, che in modo differente interpretarono la coscienza religiosa e la gloria
di cui viveva Atene, mettendo a nudo le ansie e le miserie, del popolo greco
e rappresentando tutta l'anima e lo spirito di una civiltà. Il motivo della tragedia greca è lo stesso dell'epica, cioè il mito, ma dal punto di vista della comunicazione essa sviluppa mezzi del tutto nuovi: il mythos (µύθος, racconto) si
fonde con l'azione, cioè con la rappresentazione diretta (δρᾶµα, dramma,
deriva da δρὰω, agire), in cui il pubblico vede con i propri occhi i personaggi
che compaiono come entità distinte che agiscono autono-mamente sulla
scena (σκηνή, in origine il tendone dei banchetti), provvisti ciascuno di una
propria dimensione psicologica. Rimangono però molti punti oscuri sull'origine della tragedia, a partire dall'etimologia stessa della parola trago(i)día
(τραγῳδία): si distinguono in essa le radici di τράγος "capro" e ᾄδω "cantare",
quindi il "canto del capro", forse in riferimento al capretto consegnato in premio al vincitore della competizione tragica.
ESCHILO (in greco Αἰσχύλος)
Nacque ad Eleusi, nell’Attica, da famiglia aristocratica, nel 525-24 a C.. La
sua adolescenza fu segnata dai tragici, ma al contempo grandiosi, avvenimenti che sconvolsero la vita di tutta la cittadinanza ateniese: la tirannia
di Ippia ultimo dei pisistradi era caduta nel 510, nel 508 Clistene presentò
alla cittadinanza la sua riforma che introdusse nella città la democrazia,
dal 490, i persiani cercano di sottomettere le città stato della Grecia, un
lasso di tempo di oltre 10 anni in cui alla fine e con sforzi titanici i Greci
sconfissero defini-tivamente la Persia. Tra le sue opere ricordiamo: Sette
contro Tebe, Le supplici, Le Eumenidi, l'Orestea. A Siracusa, poi, fece
rappresentare I Persiani e scrisse le Etnee in onore della nuova città. Nel
456 a.C partì per Gela, dove morì. Sul suo epitaffio non furono ricordate
le vittorie in ambito teatrale, ma i meriti come combattente a Maratona.
Eschilo è considerato il padre della tragedia antica. A lui viene attribuita
l'introduzione della maschera, dei coturni e del secondo attore, inoltre è
con lui che prende l'avvio “la trilogia legata": tre opere tragiche "legate"
dal punto di vista contenutistico. Nell'Orestea, infatti, (pervenutaci per
intero), viene messa in scena la saga della stirpe degli Atridi, dall'uccisione di Agamennone alla liberazione finale del matricida Oreste.
I SETTE CONTRO TEBE
L’opera tragica narrava le sciagure della casa di Laio e di Edipo. Eteocle
figlio di Edipo regna su Tebe. Egli annuncia al popolo che, secondo una
profezia di Tiresia, Tebe sarà assalita quella notte. Un nunzio intanto, che
ha assistito nel campo nemico al giuramento dei sette guerrieri che
guideranno l'assalto alle sette porte della città, ha riconosciuto tra essi
Polinice, fratello del re. Sarà Eteocle stesso a difendere nella battaglia la
settima porta contro Polinice. Tebe è salva, ma i fratelli si sono reciprocamente uccisi. I nuovi signori di Tebe vietano che il traditore Polinice venga
sepolto, ma Antigone, sorella degli uccisi, convince con appassionate
parole la più debole sorella Ismene e parte degli astanti a onorare con lei
il cadavere di Polinice.
Eschilo
CONCERTI e
SPETTACOLI
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MIMI’ PALMIERO
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MITOLOGIA, DAL GRECO MITHOS E LOGOS ( DISCORSO SUL MITO )
NARRA DEGLI ANTICHI DEI E MITI DEL MONDO ANTICO .
Fetonte, figlio di Elios e della ninfa Climene, per verificare l’affetto del padre, lo pregò di
lasciargli guidare il carro del Sole: ma, a causa della sua inesperienza, perse il controllo del carro, i
cavalli si imbizzarrirono e corsero all'impazzata per la volta celeste: prima salirono troppo in alto,
bruciando un tratto del cielo che divenne la Via Lattea, quindi scesero troppo vicino alla terra,
devastando la Libia che divenne un deserto. Fetonte intanto cominciava a pentirsi della sua
richiesta. Cosa gli era venuto in mente di salire su quel cocchio ? la Terra da lassù era piccola,
piccola, solo a guardarla gli girava la testa e si sentiva svenire. Come se non bastasse il paesaggio
lì attorno era tremendamente inquietante; ovunque il cielo era seminato di mostruose creature le
Orse, il Leone, il Cancro. Quando lo Scorpione gli si profilò davanti col poderoso pungiglione il
ragazzo entrò definitivamente in panico e finì col mollare del tutto le redini del cocchio solare. A
quel punto la situazione cominciò veramente a precipitare, il cocchio, dopo aver cozzato contro
qualche astro, iniziò a scendere verso la Terra. Fu una tragedia; le fiammate solari incendiarono,
prima le montagne, poi le colline ed infine i prati. Molti fiumi e molti laghi si prosciugarono, i vulcani
risentendo del gran calore iniziarono a eruttare lava.
Zeus, adiratosi, per salvare la terra scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde alle foci del
fiume Eridano, nell'odierna Crespino sul Po. Le sue sorelle, spaventate, piansero abbondanti
lacrime con viso afflitto e vennero trasformate dagli dei in pioppi biancheggianti. Anche Cnido il re
dei Liguri, amico fraterno di Fetonte, pianse supplicando Zeus di concedere allo sfortunato
giovinetto almeno una sepoltura. Il padre degli dei non aveva nessuna intenzione di perdonare
quello sconsiderato, in compenso, apprezzò così tanto il gesto del re che decise di accogliere
Cnido tra i cieli a simbolo eterno dell'amicizia tra gli uomini. Il re si tramutò allora in un bellissimo
cigno che, con pochi battiti delle sue immense ali, giunse tra le stelle dove creò la costellazione del
Cigno.
Approfondimenti letterari:
- Dante, Divina Commedia, Purgatorio IV, 71-72, riferendosi all'eclittica:- Come la strada che mal non
seppe carreggiar Fetòn “.
- Climene è anche il nome di un'asteroide, che ha preso il nome dalla Climene mitologica.
PAROLE NUOVE E…QUELLE FAMIGERATE
FIDELIZZARE: rendere una persona cliente o utente affezionato ed abituale di un certo
prodotto o servizio;
ESSERE ALLA FRUTTA: sostituisce le espressioni : abbiamo toccato il fondo, essere
all’osso. Per dire di aver esaurito tutte le risorse e di non aver vie d’uscita;
BOTTEGONE: sede del Pci e del Pdsi, oggi dei Ds. Il termine deriva dal nome di via delle
Botteghe Oscure, ove si trovano gli uffici del partito;
BURGHERIA: tavola calda che vende hamburger.
CAMICIE VERDI: quelle indossate dal servizio d’ordine della Lega;
BOLLINIZZARE: costringere ad usare i bollini, mentre il mettere i bollini si dine bollinare;
BISCIOPOLI: sede centrale della Fininvest, ora Mediaset, da Bisciòne.
18
PIATTI TIPICI DELLA CAMPANIA
A cura di Rosa Maria Pastore
Cenni storici - Terra degli Ausoni (Aurunci) e degli Opici, verso l'VIII sec. a.C., fu invasa, sulle coste dai Greci, che fondarono
la città di Cuma e Partenope ( rifondata poi come Neapolis tra la fine del VI e l'inizio del V secolo a.C) . Ma nel VI sec., le zone
interne della regione furono occupate dagli Etruschi, che diedero vita ad una lega di dodici città con a capo Capua. Nella seconda
metà del V sec. a.C., iniziò l'invasione dei Sanniti, che conquistarono Capua (nel 440 circa) e Cuma (425 circa). Gli invasori
imposero il loro dominio e la loro lingua, diventando così un solo popolo: gli Osci. Quando una seconda ondata scese dalle
montagne per invadere la Campania, Capua si rivolse a Roma per essere difesa (343 a.C.). Iniziarono allora le guerre sannitiche
(343-290 a.C.), il cui esito fu l'occupazione romana di tutta la regione, sia interna che costiera, con la fondazione di numerose
colonie. Con la discesa di Annibale, a nulla valse organizzarsi contro Roma, durante la seconda guerra punica, la regione subì un
profondo processo di romanizzazione, e solo Napoli e Pompei conservarono le loro radici elleniche. Dopo aver fatto parte, con il
Lazio, della prima regione d'Italia, la Campania divenne sotto Diocleziano una provincia a sé, mantenendo la sua unità anche
sotto gli Ostrogoti e i Bizantini. Con l'occupazione longobarda di Benevento (570 circa), la regione fu divisa tra il ducato di
Benevento, comprendente Capua e Salerno e Napoli e la regione costiera centrale. Amalfi, invece, arricchitasi coi traffici marittimi,
riuscì nei sec. IX-XI a divenire un fiorente ducato indipendente. Dopo la definitiva conquista di Napoli, da parte dei Normanni, nel
1139, la Campania, nei sec. XII e XIII, fu compresa nel regno di Sicilia, divenendo prima un possedimento degli Angioini e poi
degli Aragonesi. Dal 1503 al 1707, fu dominio della Spagna e, subito dopo, degli Austriaci (dal 1707 al 1734). sotto. Con l'avvento
al trono di Napoli di Carlo VII di Borbone (1734), si ha il regno di Napoli e Sicilia, e poi del Regno delle Due Sicilie. Con l’unità
d'Italia (1860), inizia-rono per Napoli enormi problemi economici e politici, che raggiunsero il culmine nel 1884, quando una grave
epidemia di colera decimò la popolazione. Nella Seconda Guerra Mondiale, gli Alleati effettuarono un sanguinoso sbarco a
Salerno (9 settembre 1943) e presero Napoli, quando ormai la città era stata già evacuata dai Tedeschi.
Questa fusione di radici culturali, di usi e costumi di popoli diversi, ha avuto una influenza benefica sulla bellezza delle donne
campane e sull’arte culinaria, che può contare sia sulle ricchezze di un mare pescoso, che sulle coltivazioni di frutta, ortaggi, delle
pianure. A ciò si aggiungono i magnifici prodotti del latte, i fichi e le olive del Cilento,gli agrumi della costiera amalfitana,i funghi ed
i formaggi dell’alta valle del Cervati, i prodotti bufalini della valle del Sele ed i salumi del piagginese.
PRANZIAMO NEL SALERNITANO
Piaggine è un ridente paese situato nel cuore del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di
Diano ed offre un ambiente naturale ancora incontaminato, caratterizzato dalle belle
sorgenti del Calore e dalla flora e la fauna del monte Cervati. Le origini del sito
risalgono intorno all’anno mille, ma fu nell’anno 1159 che vi si stabilì una comunità
religiosa di Benedettini, che eresse una chiesa, ancora esistente, dedicata a San Pietro,
al di là del ponte sul fiume Calore.
Un Primo piatto:
LA CICCIATA
Ingredienti e preparazione (per 4 persone):
Mettere a bagno, il giorno prima, tutti i tipi di cereali e di legumi a disposizione. Lessarli
poi separatamente e salare a fine cottura. In un tegame soffriggere uno spicchio d’aglio e
del peperoncino forte in abbondante olio d’oliva, aggiungere i legumi grondanti del loro
sugo e far insaporire. Servire caldo su pane biscottato integrale o pane integrale raffermo.
________________
Consiglio:
- Pane casereccio dell’alta valle del Calore (Cilento )
- Olio extravergine di oliva delle colline di Agropoli
- Fagioli di Controne
19
Un secondo piatto:
CAPRETTO ARROSTITO
Ingredienti e preparazione ( per 4 persone):
In un piatto mescolare aceto, olio, origano e sale, bagnarvi i pezzi di capretto e quindi
disporli sulla brace non molto viva. Rigirare continuando ad inumidire la carne con un
mazzetto di origano intinto nel condimento.
Un contorno:
PATATE AL VINO
Ingredienti e preparazione ( per 4 persone):
Soffriggere una cipolla di media grandezza nell’olio; aggiungere 1 chilo di patate
sbucciate e tagliate a pezzi grossi. Girare un po’ le patate nell’olio e poi coprirle con 1
litro di vino bianco. Far cuocere a fuoco lento finché non resta che un bel sughetto
denso.
Un dolce:
ZEPPOLE
Ingredienti e preparazione (per 4 persone):
Preparare un impasto con 500 grammi di farina, 2 uova, 50 grammi di burro sciolto, un
dado di lievito sciolto in 50grammi di latte, 3 cucchiai di zucchero, un pizzico di sale, 3
patate lesse e schiacciate, la scorza di un limone grattugiata. Formare delle ciambelle e
farle lievitare 2 ore. Farle cuocere nell’olio bollente a fuoco moderato e passarle, infine,
nello zucchero.
VINO:
CILENTO DOC ROSSO
Ha colore rosso rubino, odore vinoso e caratteristico e sapore asciutto e corposo. La
gradazione minima è di 12°, con invecchiamento obbligatorio di un anno. E’ ottimo con
l’arrosto, anche se eccelle in unione ai fusilli al sugo di castrato, piatto tipico della
cucina cilentana, peperoni imbottiti, melanzane ripiene o in parmigiana, formaggi di media
stagionatura semipiccanti; particolarmente indicato con spiedini di braciolette di maialino e
capretto o costate d'agnello scottadito.
Colore: rosso rubino;
Odore: vinoso, caratteristico;
Sapore: delicato, asciutto;
Vitigni: Aglianico (60-75 %), Piedirosso/Primitivo (15-20 %), Barbera (10-20 %), altri (10 %);
Gradazione alcolica min.: 11,50 %;
_______________
La cucina della Campania “I nostri chef”, Il Mattino - Gastronomia salernitana di A. Talarco, ed. Salernum - Cucina dalla A
alla Z di L. Carnacina, Fabbri Editori - Le mille e una… ricetta, S. Fraia Editore - Mille ricette, Garzanti - L’antica cucina
della Campania , Il Mattino - Giorni ricchi d’ una cucina povera, ricette della cucina cilentana di Stellato/M. F. Noce,
Galzerano editore.
20
Vero o falso?
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Fin dai tempi più antichi, i legumi sono stati tenuti in gran conto come riserva
concentrata di cibo per l’inverno e le eventuali carestie; a conferma di ciò, nell’Antico
Testamento troviamo scritto che per un piatto di appetitose lenticchie Esaù cedette tutti i
suoi diritti di primogenitura al fratello Giacobbe.
Le proprietà dietetiche
Indipendentemente dalla loro varietà, i legumi secchi hanno tutti un grande valore nutritivo,
essendo ricchi di proteine simili a quelle della carne, di zuccheri facilmente assimilabili, di
fosforo e altri sali. Essi però sono quasi privi di grassi, per cui non possono essere
considerati un alimento completo.
Hanno il grande vantaggio di conservarsi a lungo inalterati e di costituire quindi un cibo di
riserva in ogni circostanza. Alla famiglia dei legumi secchi appartengono: i fagioli secchi, le
lenticchie, i ceci, i piselli secchi e le fave secche.
I legumi secchi in cucina: la preparazione
I legumi secchi sono verdure disidratate con procedimenti diversi; prima di cuocerli perciò
è necessario rendere loro l’acqua che hanno perduto.
Per far questo bisogna metterli a bagno per un certo tempo, che varia dalle sei alle nove
ore. In ogni caso, è buona regola mettere i legumi a bagno fin dalla sera prima per averli,
al mattino, già ammorbiditi e pronti per essere cucinati. Del resto, un bagno anche più
prolungato non porta nessun inconveniente. Prima di metterli a bagno liberarli da ogni
possibile impurità; coprirli poi con acqua fredda o appena tiepida, e, specie se l’acqua è
troppo ricca di calcio, aggiungere un pizzico di bicarbonato di soda, che corregge il difetto
dell’acqua “dura”. L’aggiunta in questi casi è necessaria, perché il carbonato di calcio
contenuto nell’acqua, combinato con la legumina dei fagioli o dei ceci, forma un composto
insolubile che impedisce la normale cottura.
Al mattino, scolare l’acqua che è servita per la macerazione e procedere alla cottura dei
legumi.
La cottura
Se eseguita alla perfezione, la cottura dei legumi secchi deve rendere la buccia degli
stessi tenera e perfettamente commestibile. In alcune zone di campagna si usa ancora la
cottura nel fiasco: i fagioli vengono messi in un fiasco spagliato con acqua fredda e il
fiasco viene posato sulla brace. L’ebollizione, molto lenta, viene prolungata per due ore
circa.
Per un risultato perfetto l’ebollizione non deve essere interrotta neppure per un
istante e deve essere perfettamente regolare per tutta la durata della cottura. È certo che
se l’acqua smette di bollire la buccia dei fagioli o dei ceci rimarrà comunque dura. L’altro
accorgimento riguarda il sale, che non deve essere aggiunto all’acqua in cui bolliranno i
legumi: il sale si aggiunge solamente a cottura avvenuta. Una volta cotti, i legumi vanno
lasciati nel loro brodo di cottura da cui si toglieranno, per scolarli, solo al momento di
servirli o di farli insaporire secondo una determinata ricetta.
____________
Enciclopedia della donna, Fratelli Fabbri Editori
21
GIOCANDO CON I CLASSICI:
Esopo: La volpe con la pancia piena
Esopo visse nel VI sec. a.C., nella
epoca di Creso e Pisistrato.
Le sue opere ebbero una grandissima influenza sulla cultura occidentale: le sue favole sono tutt'oggi
estremamente popolari e note. Della sua vita si
conosce pochissimo, e alcuni studiosi hanno
persino messo in dubbio che il corpus di favole
che gli viene attribuito sia opera di un unico
autore. Secondo la tradizione, Esopo giunse in
Grecia come schiavo.
Una volpe affamata, vedendo, nel cavo di una
quercia, del pane e della carne lasciativi da
qualche pastore, vi entrò dentro e li mangiò. Ma
quando ebbe la pancia piena, non riuscì più a
venir fuori, e prese a sospirare e a gemere.
Un’altra volpe che passava a caso di là, udì i suoi
lamenti e le si avvicinò, chiedendogliene il
motivo. Quando seppe l’accaduto: “E tu resta lì",
le disse, “finché non sarai ritornata com’eri
quando c’entrasti: così ne uscirai facilmente .
Questa favola mostra che il tempo risolve le
difficoltà.
________
FEDRO- Favole – dal libro prima
Libera riduzione della favola in napoletano
‘O CANE FEDELE ddii FFrraannccoo PPaassttoorree
‘A VOLPE ABBUFFATA
‘Na volpe
ca teneva famme assaie,
truvàie pane e carne
‘ndà ‘na quercia.
Senza pensà
e pe’ risolv’e guaie,
cumme ‘a ‘na fésse,
se rignette ‘a mèrce.
Ma quanne avett’ascì
ca panza chiéna,
era si’ grossa
ca paréva prèna.
Se disperàie
‘a povera criatura,
AZIENDE – PROFESSIONISTI -
tutt’angustiata
‘ndà pertòsa scura,
e suspirànne
già pensave ‘a morte,
ca l’aveve purtate
‘a mala sciòrte.
Ma ‘n’ata volpe
ca passave ‘a llà,
chiamandola
semènte e baccalà,
- Aspette ‘a digerì,
‘e dicette, ‘oi fessa,
‘e ghièsce do’ pertùse
ambrèsse, ambrèsse!______
F. Pastore: “FEDRO ED ESOPO in napoletano”
ASSOCIAZIONE
CULTURALE
ONLINE
SERVICE
TELECOM
GuizArt
ALITALIA
http://www.info412.it/
http://www.guizart.com
NUMERI TELEFONICI
http://www.alitalia.com/US_EN/
22
UNA DO NNA NE LL A ST O RI A:
EVA DUARTE DE PERON
Ultima di quattro figli illegittimi di un piccolo proprietario terriero, Juan
Duarte e della sua cuoca Juana Ibarguren, nel 1926, alla morte del padre,
per Eva e la famiglia inizia un lungo periodo di miseria e di stenti che migliora solo quando Juana conosce un esponente del partito radicale argentino.La famiglia si trasferisce nella cittadina di Junin. All'età di quindici, grazie all'aiuto del cantante di tango Agustín Magaldi, si stabilì nella vicina
Buenos Aires, dove divenne attrice di radio e cinema.
Grazie al matrimonio con Perón, celebrato il 9 dicembre 1945 Eva divenne una
celebrità. La donna aveva conosciuto il futuro presidente mentre lavorava a Radio El
Mundo nel 1944, durante una raccolta fondi per le vittime di un terremoto. Juan Domingo
Perón, ammiratore del fascismo e di Benito Mussolini, rientrato in Argentina dopo un
soggiorno in Italia di due anni, dal 1938 al 1940, dove aveva seguito un programma di
aggiornamento militare presso il comando delle truppe di montagna a Trento, era allora
agli inizi della sua carriera. La loro relazione sentimentale divenne poi anche politica,
quando Eva, il 17 ottobre 1945, guidò la manifestazione per la liberazione del generale
Perón, arrestato per le sue attività contrarie agli interessi militari. Nel 47 Eva si battè con
successo per il voto alle donne ed iniziò una lunga tournée in Europa. Il 6 giugno fu
accolta in Spagna come una regina; di una bellezza sfolgorante, fu accolta personalmente
dal generalissimo Franco, il quale le consegnò la gran croce d’Isabella la Cattolica, la più
prestigiosa onorificenza spagnola. A Roma fu ricevuta dal Papa. Al ritorno, al porto di
Buenos Aires, più di un milione di persone l’accolsero festanti dal porto alle strade della
capitale. Ciò la ripagò ampiamente della freddezza dimostrata dalla corte inglese.
Successivamente, reagendo ad una ulteriore umiliazione da parte dell’Organizzazione di
Beneficenza Argentina, non esitò a stornare i fondi in una nuova organizzazione che
portava il suo nome: la “Fonfazione Evita Peron”, che fece tanto bene ai malati ed ai
poveri dell’Argentina, attraverso la costruzione di ospedali, scuole, case di riposo e la lotta
contro la lebbra. In solo due anni, furono spesi oltre 50 milioni di dollari.
Morì il 26 luglio 1952, ad appena trentatré anni, dopo una lunga battaglia contro un
cancro uterino. Evita aveva rifiutato di lasciarsi curare: non voleva restare confinata a letto
quando intorno c'era gente che aveva bisogno di lei! Forse, aveva l'oscuro timore che la si
volesse allontanare da quel potere che aveva conquistato così faticosamente. Le sue
condizioni peggiorarono, aggravate dal fatto che non mangiava quasi niente ed il 3
novembre 1952 fu ricoverata ed operata. Si rimise lentamente, ma le metastasi del male
ripresero a tormentarla pochi mesi dopo. Il 7 maggio 1952, compiva 33 anni, pesava solo
trentasette chili ed era debolissima, ma decisa come sempre. Alcuni testimoni riferirono
che si era trasferita in una camera distante da quella del marito affinché le sue urla di
dolore non lo disturbassero. Dopo la morte, il suo corpo fu imbalsamato ed esposto fino a
che nel 1955 un golpe militare fece espellere il marito dal potere. Il corpo fu allora
trasportato e interrato nel 1957 a Milano con il nome fittizio di Maria Maggi per poi, nel
1971, essere inumato in Spagna, sede dell'esilio di Perón, che intanto si era risposato con
Isabel Martinez Cuartas. Con la reintegrazione del Generale alla presidenza argentina
anche il corpo della defunta moglie fu ritrasportato in Sudamerica ed esposto nuovamente.
Evita fu sepolta definitivamente nella cappella della famiglia Duarte nel cimitero della
Recoleta a Buenos Aires
23
LA PAGINA MEDICA
Una pillola per cancellare i brutti ricordi
Un farmaco per cancellare i brutti ricordi: uno stupro, un lutto cocente o
semplicemente la bocciatura a un esame. Un gruppo di scienziati ha scoperto
come evitare che i ricordi traumatici si riattivino negli esseri umani. Potrebbe essere
la soluzione per chi soffre di stress post-traumatici, non riesce a superare memorie
dolorose o soffre di fobie ricorrenti. Ma e' già polemica, perché c'é chi solleva dubbi
etici sul farmaco che "minaccia l'identità dell'essere umano". Non solo:
medicalizzare la sofferenza potrebbe impedire di imparare dai propri errori.
Un'equipe di scienziati olandesi sostiene di esser riuscita a cancellare i cattivi
ricordi usando un farmaco beta-bloccante, comunemente usato per i pazienti che
hanno problemi cardiaci.
Alcuni esperimenti sugli animali avevano già dimostrato che tali farmaci - che
bloccano i recettori beta-adrenergici, una classe di recettori associati alla proteina
G - possono interferire sul modo in cui il cervello rielabora la memoria di eventi
dolorosi. Nel nuovo studio - apparso sull'edizione Internet della rivista 'Nature
Neuroscience'- il professore Merel Kindt ha testato il farmaco su una sessantina
tra uomini e donne, sofferenti di aracnofobia, la paura dei ragni.
Al gruppo sono state mostrate foto di ragni e contemporaneamente somministrate
lievi scosse elettriche. Il giorno dopo i volontari sono stati divisi in due gruppi: ad
uno e' stato dato il beta-bloccante, all'altro una pillola placebo; quindi ai due gruppi
sono stati mostrate di nuovo le immagini dei ragni. I ricercatori registravano il livello
di paura facendo risuonare lievi rumori e registrando in che modo i volontari
battevano gli occhi. Ebbene, il gruppo a cui era stato il farmaco beta-bloccante
sbatteva le ciglia in modo molto più lieve.
Il test é stato ripetuto anche il giorno successivo, e quelli sottoposti al
farmaco sono apparsi ancora meno spaventati. Il farmaco sembrerebbe dunque
interferire sul modo in cui il cervello ricrea un ricordo doloroso; e in via teorica
potrebbe cancellare il ricordo di eventi traumatici e anche aiutare i pazienti a
superare fobie, ossessioni, disordini alimentari e addirittura blocchi sessuali.
Immediate le critiche: "Rimuovere i cattivi ricordi non è come togliere una verruca o
un neo", ha detto Daniel Sokol, docente di Etica Medica alla St George's,
University of London: "Cancellare il passato doloroso muta la nostra individualità
perchè l'essere umano è legato ai propri ricordi".
Non solo: "Le vittime di violenza potrebbero voler cancellare il ricordo del
doloroso evento, e in tal modo perdere la capacità di riconoscere i responsabili", ha
rincarato la dose John Harris, dell'University of Manchester. Con il rischio
ulteriore, ventilato da Paul Farmer, responsabile di un'organizzazione, Mind, che si
occupa di salute mentale, "di cancellare insieme ai cattivi ricordi, anche quelli più
(Da Paginemediche.it)
belli".
24
SCHERZIAMO CON L’ANTROPOLOGIA:
La nascita e l’uso dei pantaloni
T
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S
Il processo
__________________
Il nome viene da quello dell'omonimo personaggio della
Commedia dell'arte, Pantalone, il cui abbigliamento era per
l'appunto caratterizzato da pantaloni lunghi, a differenza della moda
del tempo, che prevedeva calzoni al ginocchio.
Sconosciuti presso i Sumeri, Babilonesi, Sumeri, Egizi ed
Etruschi, comparvero in Grecia, indossati, a mo’ di brache, dagli
attori del teatro comico ed erano considerati ridicoli. Solo più tardi,
giunsero a Roma al tempo delle invasioni barbariche, con gli
uomini del nord, ovviamente spinti a coprirsi con brache le gambe,
per la rigidità del clima delle loro regioni. Tuttavia, il mondo romano
le rifiutò sempre, tanto che l’imperatore Arcadio, nel 395 d.C. ed
Onorio dopo di lui le proibirono per decreto.
Quindi, le brache furono le antenate dei pantaloni e consistevano in una specie di calzamaglia a gambe staccate, tenute su
da un minigonnellino stretto in vita.
Fu intorno all’anno mille che le brache furono unite da due
triangoli di stoffa: uno sui genitali e l’altro sul didietro, la brachétta,
che all’epoca fece molto scalpore, perché evidenziava la zona dei
genitali. Dal trecento al seicento, i pantaloni assunsero le fogge più
varie: corti, lunghi, stretti, larghissimi, a sbuffo, chiusi a lacci, o
addirittura frastagliati come quelli dei lanzichenecchi, nel 1500.
Nel rinascimento, i più diffusi erano quelli in due pezzi: una
parte superiore (la cosciale) ed una parte inferiore, come una vera
e propria calza. A metà secolo comparvero i primi modelli con le
tasche.
Nel seicento, ritornarono lunghi ed aderenti, ma con
l’avanzare del gusto barocco acquistarono increspature e riccioli,
tanto da somigliare a gonne da donna. Solo a fine secolo ritornarono aderenti e terminavano al di sotto del ginocchio. Questa moda si
diffuse particolarmente sotto Luigi XIV, col nome di culottes, e
dominò per tutto il secolo successivo.
Dopo il 1820, riprese la moda dei pantaloni a tubo e solo
nel 1850, l’abbottonatura passò dai fianchi al davanti.
Nei primi anni del 900 venne la moda dei pantaloni alla
zuava, usato nello sport e nei viaggi, poi , nel intorno al 1965 venne
la moda dei pantaloni a zampa d’elefante.
Oggi, prevale il pantalone alla disgraziata, strappato un po’
dovunque; comunque la moda interpreta anche la decadenza culturale d’ogni tempo.
Un eccezionale
ed artistico
fumetto di
Paolo Liguori
Ediz. “andropos
in the world”
__________________
40 PAGINE
DI STORIA,
DI
AVVENIMENTI
TRAVOLGENTI,
SAPIENTEMENTE
ARRICCHITI
DI PATHOS
E DI MISTERO.
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IL GUSTO
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Franco Pastore
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Sala Conf. Cam.Deput.
25
LEVIORA
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Dante e Virgilio all’inferno Dante e Virgilio girano per l'Inferno. Arrivano al girone dei sodomiti dove si vedono i dannati
che camminano sulla sabbia infuocata sotto una pioggia di fuoco. Mentre Dante sta passando
arriva un diavolone che lo piglia per il colletto e lo sbatte sotto la pioggia di fuoco.
"Ahi! -grida Dante uscendo di corsa - non vedi che sono Dante?".
Ma il diavolone lo ripiglia e lo sbatte nella sabbia rovente. "Ahia! -urla Dante- diglielo tu Virgilio
che io sono Dante!". Ma il diavolone imperturbabile: "Non importa, "dante" o "prendente" la
pena è la stessa!".
San Pietro ed i tre peccatori –
Un italiano, un turco ed uno scozzese muoiono e si trovano di fronte a San Pietro che dice:
"Voi meritate di andare all'Inferno, ma oggi sono molto buono e perciò vi concedo una seconda
possibilità e vi farò tornare sulla Terra. Ma dovrete rinunciare al vostro più grande vizio.
Tu, italiano, dovrai dire no alla gola! Tu, scozzese, dovrai dire no all'avarizia! Tu, turco, dovrai
dire di no alla sodomia!".
Ritornati sulla Terra i tre arrivano davanti ad un ristorante. L'italiano vede le splendide portate,
prova a resistere, ma alla fine entra.
Gli altri due: "No! Non lo fare! Ricordati di San Pietro!", ma l'italiano entra e, appena varcata la
soglia... paff... scompare.
Gli altri due proseguono, e lo scozzese vede per terra un portafoglio gonfio di soldi. Anche lui
tenta di resistere, ma alla fine decide di prenderlo. Il turco gli grida: "No! Non farlo!". Ma lo
scozzese non resiste alla tentazione e, proprio mentre si china a raccogliere il portafoglio...paff
... scompare il turco.
Sfogliando una margherita Su una collinetta una romantica fanciulla sfoglia con aria sognante una margherita: “M’ama…
non m’ama… m’ama, non m’ama……”.
Sale un baldo giovane sulla collinetta, la prende per mano e vanno via insieme, felici.
Il giorno dopo, la stessa romantica fanciulla con aria un po’ meno sognante, sfoglia un’altra
margherita: “Mamma… non mamma… mamma… non mamma…”.
In Paradiso –
Un terrorista dell´IRA si presenta davanti a San Pietro alle porte del Paradiso. San Pietro lo
guarda e dice: “Sei pazzo?! ma con che coraggio mi chiedi di entrare qui dopo tutto quello che
hai fatto??”
Il terrorista: “Io non ho nessuna intenzione di entrare, siete voi che avete dieci minuti di tempo
per uscire…”.
Freddure •
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Il granoturco alla pannocchia: “Non ci lasceremo MAIS !”
Cosa fa una mucca di legno? Il latte compensato.
disse la funga al fungo: - Non fare il porcino! -.
Le vie del Signore sono infinite. E' la segnaletica che lascia a desiderare.
La lana di vetro? È quella che si fa con le pecore di Murano.
La mela al verme: "Non parlare, bacami !".
La supposta disse al missile: "Beato te che vai in cielo..."
26
LILIANA LUCKI
Nata in San Miguel Pcia. di Bs. Asse, la Lucki ha frequentato la Scuola Nazionale di belle arti “Augusto BoR a d i c a t a i n M a r e d e l l ' A r g e n t o i n 1 9lognini”
8 3 e n t rdella
a n e l lCapitale
' o f f i c i n a Federale.
d i J u a n L Successivamente,
a r r e a 1 9 8 4 - 1 9 8 6 . si è
C o n t i n u o d a n d o c l a s s i a b a m b i n i d iperfezionata
t a p p a p r i m a rnell'officina
i a e d a d u l t i din edisegno
l l a c o m pdi
r e nEnrique
s i o n e d eValderlla
pittura e la sua storia. Scrisse ed illustro libri infantili personalizzati da1980. Progetto
e l a v o r o c o n m a t e r i a l e d i d a t t i c o d i rey.
a r t e Ha
p e r frequentato
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p a l i d a d V iSamos
c e n t e L Pagano
o p e z - M ue
n i Felipe
c i p a l i d Noé.
ad
Nel
Quilmes - Scuola Inglese
1983 entra nell'officina di Juan Larrea 1984 -1986.
Impegnata nell’insegnamento della storia della pittura
e della sua comprensione a bambini di scuola primaria
ed ad adulti, ha scritto ed illustrato libri per l’infanzia
dal 1980. Ha partecipato, fin da piccola a concorsi ed
esposizioni.
http://lilianalucki.blogspot.com/
L’ASSOCIAZIONE CULTURALE ARTISTI RIUNITI,
Con il Patrocinio: del Comune di Lecce, della Provincia di Lecce e della Regione Puglia,
promuove l’edizione 2009 del
1^ CONCORSO INTERNAZIONALE DI POESIA
“CONTEMPORANEI D’AUTORE”
[email protected] www.artistiriuniti.com
Vesuvioweb.com
cultura, arte, ricerche di sapore antropologico, sulla vasta area tra il vulcano ed il mare,
archeologia vesuviana .
La porta di Capotorre – Villa Angelica – Le torri aragonesi – Vico Equense e Sorrento
[email protected] http://www.vesuvioweb.com
Il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna
ed il Centro Internazionale della Canzone d’Autore presentano:
Laboratorio di Poesia
Laboratorio della Canzone d’Autore
Primo incontro: MARTEDI’ 24 FEBBRAIO 2009 ore 15.00
Aula Magna, Accademia di Belle Arti di Bologna, via delle belle arti 54.
Nasce la redazione beneventana de
“Il Bene Comune”
A promuoverla sarà l’associazione FUTURIDEA
Ufficio Stampa Futuridea – tel. 0824372267 – 3394455829 – e-mail [email protected] – www.futuridea.eu
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- Comune di San Valentino Torio - Comune di Pagani E. M. Carminello ad Arco - Ente Cultura Universale N.T.E. - E. M. SS. Corpo di Cristo
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure…” (Costit. della Repubblica Italiana, Art. 21 )
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