Ero per la città, fra le viuzze - Atlante digitale del `900 letterario
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Ero per la città, fra le viuzze - Atlante digitale del `900 letterario
Atlante digitale del '900 letterario www.anovecento.net Ero per la città, fra le viuzze (da Sandro Penna, Poesie) Ero per la città, fra le viuzze dell’amato sobborgo. E mi imbattevo in cari visi sconosciuti . . . E poi, nella portineria dov’ero andato a cercare una camera, ho trovato . . . Ho trovato una cosa gentile. La madre mi parlava dell’affitto. Io ero ad altra riva. Il mio alloggio era ormai in paradiso. Il paradiso altissimo e confuso, che ci porta a bere la cicuta . . . Ma torniamo alla portineria, a quei sinceri modi dell’una, a quel vivo rossore . . . Ma supremo fra tutto era l’odore casto e gentile della povertà. Questa suggestiva poesia di Sandro Penna descrive l’arrivo del poeta in una comune ed umile portineria grazie alla quale riesce a vivere un «miracolo laico», un momento di epifania tramite il quale attinge a un barlume di assoluto e di verità. Attraverso l’osservazione di uno scenario sobrio fatto di viuzze e di vite semplici, l’autore ritrova qualcosa di puro, «l’odore / casto e gentile della povertà». È però l’esultanza di un unico attimo, che svanisce lasciando il poeta dinanzi alla condizione universale di dolore dell’uomo. Il «risveglio», che è uno degli elementi principali della poesia di Penna, ha il compito di far tornare il poeta nella realtà, facendo svanire le illusioni date dall’amore e dal piacere. Nei versi in esame un’altra componente fondamentale è il ricordo: si mescolano infatti una memoria viva ma anche lontana, un barlume di felicità proveniente dal passato e la frustrazione di vederlo sfuggire. Questa poesia di Penna dimostra il suo essere un «pendolo» (Garboli) oscillante tra dolcezza e malinconia con estrema semplicità ed umiltà: i due sentimenti, apparentemente inconciliabili, non si contrappongono nitidamente ma si sovrappongono donando al testo una preziosa unicità. Evidenti sono infatti alcuni contrasti tra elementi che rimandano alla gioia ed altri che richiamano la tristezza: i visi incontrati fra le viuzze sono «cari» ma di fatto «sconosciuti»; il «paradiso», che rappresenta un momento estatico, si rivela tutt’altro che rassicurante perché viene subito accostato alla «cicuta», che allude all’idea della morte. Una morte che evoca quella di Socrate, dunque una morte consapevole, ma non per questo meno dolorosa. In questa lirica si possono riconoscere immediatamente alcuni tratti pascoliani. Essa infatti, come spesso accade nei Poemetti di Pascoli, è caratterizzata da un andamento narrativo, rallentato dai puntini sospensivi che enfatizzano il momento contemplativo, come se il poeta volesse invitare il lettore a soffermarsi in una piacevole attesa. Anche le anafore contribuiscono a questa atmosfera www.anovecento.net sospesa («ho trovato… Ho trovato»; Ma… Ma»). Altro tratto tipicamente pascoliano è la rappresentazione di un ambiente umile e povero, ma autentico, che contribuisce ad un’epifania nella mente dell’io. Ma la dolcezza delle piccole cose descritta nel testo porta con sé anche i tratti malinconici della poesia crepuscolare. I toni sono infatti tristi e pacati, attraversati da un velo di delicatezza elegiaca. Il lessico si contrassegna per la presa di distanza sia da arcaismi e preziosismi sia dal registro dialettale: la lingua di Penna si rivela così una lingua media, selezionata con scrupolosità, concreta ed essenziale. Carattere significativo della lirica è la semantizzazione dello spazio bianco che rende graficamente un vuoto, il quale induce il lettore a una riflessione su ciò che è stato letto sino a quel punto e sulle proprie emozioni. Inoltre si serve dell’endecasillabo e non rinuncia alla rima. E tuttavia ci accorgiamo di una piccola irregolarità che sembra voler rivelare un’inquietudine di fondo: il verso 6 è infatti ipermetro e non a caso è quello in cui il poeta dichiara di aver partecipato di un evento straordinario nella sua semplicità («Ho trovato una cosa gentile»). Anche le rime evidenziano la volontà di rimanere su una linea di sobrietà. Esse compaiono solo due volte (vv. 4-5 e vv. 13-14) e mettono in relazione termini di uso comune: nel primo caso «andato» e «trovato»; nel secondo caso «rossore» e «odore», quasi ad evidenziare l’aspetto sensoriale dell’esperienza vissuta. esperienze vissute in prima persona, e si dimostra un poeta «fuori dalla realtà». Bibliografia: G. Di Fonzo, Sandro Penna: la luce e il silenzio, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1981; C. Garboli, Penna papers, Milano, Garzanti, 1984; L. Tassoni, L'angelo e il suo doppio: sulla poesia di Sandro Penna, Bologna, Gedit, 2004; Sandro Penna in Enciclopedia Treccani, s.v. Contributo: Flavia Pianese (classe V I, L.C. Virgilio, Roma) Sandro Penna in questo testo lascia affiorare un’immagine sfuggente di se stesso: illuso di essere felice, innamorato del mondo e della realtà, nasconde il suo lato più oscuro e moderno non solo al lettore ma anche a se stesso, riconoscendosi «prigioniero» della felicità, mentre trascrive dal presente, dalle www.anovecento.net