2017.02.24 CdT L`Europa, l`Euro e il Franco di Lino Terlizzi

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2017.02.24 CdT L`Europa, l`Euro e il Franco di Lino Terlizzi
Corriere del Ticino
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dalla prima pagina
LINO TERLIZZI
L’Europa, l’euro e il franco
economia
L’europa, l’euro e il franco
DI LINO TERLIZZI
Sulla moneta unica europea, nata nel 1999, le profezie negative si sono accumulate. Già nel
2000 ci fu chi la definì carta straccia e dal 2010 c’è chi ogni anno ha previsto che di lì a poco
sarebbe andata in pezzi. In realtà l’euro ha mostrato, al di là delle oscillazioni, una tenuta di
fondo che ha stupito non solo i suoi critici ma anche alcuni tra i suoi sostenitori. Ciò non
significa che la moneta unica oggi non abbia problemi. Ma, al contrario di quanto ci dice la
narrazione prevalente, si tratta di problemi più politici che economici. Se l’euro salterà, sarà
soprattutto per motivi politici. Se l’euro resterà, sarà invece soprattutto per motivi economici.
Molti Paesi dell’Eurozona registrano l’avanzata di movimenti e partiti anti euro e anti Unione
europea. Nell’area si terranno quest’anno elezioni importanti e quelle in Francia in particolare
si preannunciano come rilevanti. È per questa via, soprattutto, che l’euro potrebbe trovare
nuovi ostacoli.
La moneta unica è nata da un lato dalla volontà politica di Paesi UE del Nord e del Sud
Europa di serrare i ranghi in vista delle sfide del futuro. Dall’altro lato da uno specifico
scambio economico. Per i Paesi a moneta più forte c’era l’opportunità di avere una valuta più
equilibrata, più favorevole per il loro export, di far venir meno le svalutazioni competitive di
altre monete dell’area. In cambio ci sarebbe stata solidarietà, seppur condizionata a obiettivi,
in caso di difficoltà. Per i Paesi a moneta debole e più indebitati c’era l’opportunità di avere
tassi di interesse più bassi, un’inflazione molto contenuta, la possibilità di aggiungere valore a
prodotti e servizi con una maggiore stabilità valutaria. In cambio avrebbero ridotto debiti e
deficit pubblici, seppure in modo graduale. Tensioni sono emerse attorno a questo scambio
soprattutto a partire dal 2008-2009, con la crisi internazionale dei debiti, e poi quando il
termometro dei mercati è scattato, facendo molto aumentare il differenziale tra i titoli pubblici
del Paese di riferimento, la Germania, e quelli dei Paesi più indebitati.
Ma le tensioni sono nate soprattutto perché lo scambio non ha funzionato come doveva nel
campo dei Paesi molto indebitati, che non hanno ridotto a sufficienza i debiti o li hanno
addirittura aumentati, nonostante i tassi di interesse bassi. Sottraendo così risorse da
destinare alla crescita economica e creando difficoltà alla moneta unica. Se si vuole capire
perché ancora ieri la cancelliera tedesca Merkel ha ribadito il no agli eurobond (che in pratica
metterebbero in comune il debito dei Paesi dell’Eurozona) e il sì alla responsabilità delle
singole nazioni, bisogna ricordare questa realtà. Lo stesso dicasi per il richiamo di Merkel a
una solidarietà nell’Eurozona praticata attraverso il Fondo salva-Stati, non con l’accettazione
di un indebitamento illimitato.
Lo scambio che sta alla base dell’euro, se verrà rispettato in futuro da tutti nell’essenziale,
manterrà la sua validità economica. Ciò che rende difficile la sua applicazione completa oggi
non è solo la recente avanzata di schieramenti anti moneta unica a prescindere. È anche
l’abitudine di Governi di vario colore politico che non intendono contenere spese pubbliche
eccessive, oltre che debiti pubblici che andavano già ridotti. Questa abitudine, che si collega
spesso a interessi elettorali di breve periodo, è pure un motivo politico delle difficoltà dell’euro.
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Corriere del Ticino
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La tesi secondo cui per rafforzare la crescita occorre comunque più spesa pubblica mostra
alcuni evidenti limiti. Intanto non si parla di una spesa attorno al 30% del PIL, come negli anni
Trenta, ma di una spesa che in Europa è attualmente in media vicina al 50% del PIL. Poi,
l’analisi dei dati sulla crescita economica (1,7% nell’area euro nel 2016) indica che questa è
più solida nei Paesi che rivedono la spesa eliminandone parti improduttive e distribuendola in
modo più efficiente, a sostegno di chi realmente ne ha bisogno e diminuendo il fardello del
debito, senza alzare pressioni fiscali che in molti casi sono già elevate.
Con euro o senza euro, queste questioni rimangono. L’euro però era ed è un’opportunità per
una serie di Paesi, anche da questo punto di vista. La Svizzera non fa parte dell’UE e ha suoi
meccanismi di freno dell’indebitamento, che in sostanza funzionano. Ma la Svizzera ha
rilevanti scambi con l’Eurozona e ha il franco, che è moneta molto forte e che con la
scomparsa eventuale dell’euro probabilmente sarebbe ancora più forte, con altri problemi per
l’export elvetico. Bisogna fare qui il tifo per la scomparsa della moneta unica europea? Anche
da questa angolatura, c’è da dubitarne. Un conto è decidere liberamente di non far parte di
un’unione monetaria. Un altro conto è sperare che in ogni caso esploda, con ondate che
possono colpire molti, anche tra i vicini.
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