Generalità sulle malattie infettive

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Generalità sulle malattie infettive
CAPITOLO
32
Generalità
sulle malattie infettive
G. Bartolozzi
Le estese campagne di vaccinazione, l’avvento della chemioterapia specifica, il controllo delle riserve animali,
l’imponente avanzamento della cultura medica in generale e pediatrica in particolare, insieme al miglioramento
delle condizioni generali (e quindi anche alimentari) della
popolazione hanno contribuito a ridurre i pericoli e la
diffusione delle malattie infettive.
In Italia, nel 2008 (Annuario Statistico Italiano, 2011)
sono morte per malattie infettive e parassitarie (tubercolosi compresa) 8.393 persone, corrispondenti allo 0,86%
del totale delle morti, con un quoziente di mortalità, su
100.000 persone, di 14 morti. Nei soggetti di età inferiore
a 1 anno i morti sono stati 25 e fra i soggetti di età compresa tra 1-14 anni, i morti sono stati 21; per questo motivo
le malattie infettive, al primo posto come causa di morte
fino a qualche decina di anni fa, sono finite negli ultimi
posti, dopo gli incidenti, i tumori, le malattie del sistema
nervoso, le malattie del sistema circolatorio, le malattie del
sistema respiratorio, le malattie dell’apparato digerente,
le malattie delle ghiandole endocrine e le malformazioni
congenite (ISTAT, Annuario Statistico Italiano, 2011).
Appena 35 anni fa, nel 1960, i morti per malattie infettive
erano ancora 13.900 (il 2,9% del totale delle morti) e di
questi, 2.746 erano soggetti in età pediatrica.
Contemporaneamente al controllo di molte infezioni,
stiamo assistendo, negli ultimi decenni, alla comparsa
di alcune situazioni patologiche, su base infettiva, che
sollevano numerosi e importanti problemi terapeutici,
come la violenta comparsa delle infezioni da HIV (virus
dell’immunodeficienza umana) e la diffusione delle infezioni opportunistiche in molti pazienti trattati con farmaci
citotossici, in soggetti con malattie maligne o in pazienti
sottoposti a trapianti di organo o all’inserzione di protesi
in seno al torrente sanguigno (cardiochirurgia, chirurgia
vascolare, chirurgia dell’idrocefalo). Da ricordare anche
il progressivo allungamento della vita di pazienti con malattie croniche gravi (fibrosi cistica in primis) e l’aumento
costante, apparentemente inarrestabile, della vita media.
D’altra parte, l’uso, spesso indiscriminato, di antibiotici
ha contribuito alla comparsa di ceppi resistenti, ultima
in ordine di tempo la resistenza dello pneumococco agli
antibiotici ␤-lattamici, che fortunatamente almeno per ora
risparmia il nostro Paese.
Microrganismi nuovi, qualche decennio fa sconosciuti
o poco conosciuti, si sono dimostrati recentemente causa
di malattie nell’uomo: Legionella pneumophila, Borrelia
burgdorferi, Rochalimaea henselae, Vibrio cholerae non
O1 ed Helicobacter pylori fra i batteri; l’HIV, l’HCV (virus
dell’epatite C) e l’HEV (virus dell’epatite E), il parvovirus
B19, i papovavirus umani, il virus Ebola, gli arbovirus (virus Dengue, virus West Nilus, Chikungunya), gli hantavirus, l’herpes virus 6, 7 e 8, i metapnemovirus, i norovirus,
una variante dei coronavirus, fra i virus; Cryptosporidium
parvum, Pneumocystis carinii per i protozoi, ne sono gli
esempi più importanti.
Interazione ospite-microrganismo
Ci siamo ormai tutti resi conto che nelle infezioni i fattori
genetici giocano un ruolo molto importante: il passaggio
da infezione a malattia e il modo stesso del manifestarsi
di una malattia infettiva infatti non dipendono solo dal
tipo e dalla virulenza dell’agente infettivo ma anche dal
modo di reagire del soggetto.
Quando soggetti suscettibili vengano colpiti dallo stesso
agente, le modalità e quindi anche l’entità della risposta
variano da un paziente all’altro in modo completamente
diverso: esiste, in seno alla stessa malattia, un ventaglio
di quadri clinici, ognuno con le sue varianti, che sono attribuibili al tipo di risposta del singolo soggetto, in stretta
dipendenza dalle sue caratteristiche genetiche. Ne consegue
che fra 100 persone, soggette alla stessa aggressione batterica, è possibile che qualcuno non si ammali nemmeno
e che altri presentino quadri clinici diversi: ci sarà chi ha
più febbre e chi meno, chi avrà segni e sintomi particolari
e infine chi mostrerà determinate complicazioni.
Il bambino che frequenta l’asilo nido o la scuola materna è particolarmente soggetto alle malattie infettive virali
delle vie aeree superiori (otiti, sinusiti, faringiti) e inferiori
(polmoniti), come le infezioni delle tratto gastrointestinale
(diarrea da agenti virali e batterici, virus dell’epatite A),
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della cute (impetigine, scabbia, pediculosi, dermatofizie)
e dei batteri capsulati (pneumococchi, meningococchi,
Haemophilus influenzae tipo B).
Difese di superficie: la colonizzazione
Il primo contatto fra agente infettivo e ospite avviene
a livello delle superfici cutanee o mucose. La maggior
parte di queste difese iniziali è costituita da difese di
barriera, non specificatamente dirette verso singoli agenti
infettivi: si tratta di barriere meccaniche come l’epitelio
pavimentoso composto della cute o il flusso dei liquidi
delle secrezioni (per esempio intestinali) ed escrezioni
(per esempio le urine) che prevengono l’infezione, dovuta
a uno qualsiasi degli agenti patogeni. Si tratta anche di
barriere chimiche, come l’acidità dello stomaco o dell’urina. La presenza della stessa microflora, formata da agenti
non patogeni, sulla superficie delle mucose (cavo orale,
intestino) impedisce la colonizzazione da parte di agenti
patogeni per l’azione competitiva sulle risorse ambientali.
Alcuni meccanismi complessi, come lo starnuto, la deglutizione a glottide chiusa, la tosse e in parte la stessa broncocostrizione contribuiscono a impedire le infezioni delle
vie aeree.
Biofilm
Da una decina di anni è risultato che le condizioni reali, con
le quali i microrganismi si organizzano e si moltiplicano sulle
mucose nel nostro organismo, sono rappresentate da piccole
colonie, protette dal biofilm, che è costuito da un insieme di
cellule batteriche, adese in modo irreversibile sulla sua superficie, la cui matrice extracellulare, di natura proteica e polisaccardica, prende il nome di limo. Canali, pieni di acqua, sono
presenti nel biofilm, con la funzione di un sistema circolatorio
primitivo.
I microrganismi che si trovano all’interno del biofilm comunicano fra loro attraverso segnali molecolari: i batteri che non
emettono questi segnali non formano il biofilm e vengono
facilmente aggrediti dalle difese di superficie delle mucose.
I batteri che sono all’interno del biofilm possono essere dei
comuni saprofiti ma possono improvvisamente trasformarsi
in patogeni e aggredire i tessuti vicini. Gli stessi antibiotici
hanno un minore effetto batteriostatico o battericida sugli
agenti infettivi, situati all’interno del biofilm, che li difende
anche dai disinfettanti e dalle difese immunitarie dell’ospite.
Queste conoscenze sollevano la necessità di impedire o di contrastare la formazione del biofilm, come è possibile ottenere con
l’N-acetilcisteina e con la vaccinazione.
Le colonizzazioni del cavo orale sono quelle nelle quali più
spesso di riscontra la comparsa del biofilm. In particolare, nei
bambini con otite media è stato riscontrato il biofilm sulle adenoidi, che può rappresentare una riserva batterica.
Biofilm si trovano sulle valvole cardiache infettate, nell’otite
media, nella placca dentaria e nelle vie aeree di soggetti con
fibrosi cistica.
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Esistono inoltre sulle mucose sistemi immuni di difesa di
superficie: immunoglobuline IgA secretorie, macrofagi specializzati, linfociti, sia isolati sia raccolti in ammassi (tonsille
orofaringee, placche del Payer) che prevengono l’aderenza
e la penetrazione del microrganismo. I patogeni non sono
indifferenti a questi sistemi di difesa e hanno preparato
evoluti sistemi che permettono loro l’aggancio alle superfici
con le quali sono venuti a contatto: si tratta di apparati
altamente specializzati, come i pili dell’Escherichia coli uropatogeno, i siti leganti del virus di Epstein-Barr e dell’HIV
e molti altri. Altri agenti producono enzimi che inattivano
le IgA secretorie o disturbano la motilità ciliare.
Va ricordato che alcuni microrganismi, potenzialmente
patogeni, sono capaci di vivere simbioticamente con il nostro organismo, colonizzando le superfici mucose, ma non
superandole e quindi non infettando il soggetto (Escherichia coli, pneumococchi, meningococchi e altri). Molti
agenti, poco dopo aver colonizzato le superfici mucose
(pneumococchi, meningococchi, per esempio), sono capaci
di dare infezione e malattia, altri, più di frequente, dopo
settimane o mesi dall’inizio della colonizzazione, scompaiono per essere sostituiti da altri. La colonizzazione può
risultare un fenomeno favorevole per gli umani, perché
con grande frequenza l’organismo umano è capace, dopo
la colonizzazione, di montare difese umorali e cellulari che
gli potranno essere utili in caso di infezione o di malattia
da parte dello stesso agente patogeno.
La durata della colonizzazione è diversa da un agente
infettivo a un altro: può andare da qualche settimana a
qualche mese. Per esempio, per lo Staphylococcus aureus
meticillino resistente è stato visto che, a distanza di un
anno da un’iniziale positività, ben il 48,89% dei pazienti
era ancora positivo e, dopo 4 anni, il 21,2% rimaneva
colonizzato.
Invasione: infezione e malattia
Gli agenti infettivi che si attaccano alle superfici mucose, o
che siano presenti nelle soluzioni di continuità della cute,
sono in grado di passare oltre e di invadere le strutture
profonde. È attraverso queste vie che inizia l’infezione.
Colonizzazione: è una situazione nella quale esiste, a livello della cute o delle mucose, una flora normale o potenzialmente patologica, che si moltiplica a basso ritmo, senza
rappresentare un pericolo per il portatore. La colonizzazione
non determina fenomeni di infiammazione, anche se può
indurre un grado minimo di risposta immunologica.
Infezione: significa moltiplicazione degli agenti infettivi
in liquidi o in tessuti, che normalmente dovrebbero essere
sterili, dovuta a microrganismi potenzialmente pericolosi.
L’infezione nell’ospite immunocompetente determina infiammazione e risposta immune. L’infezione in senso stretto
non si accompagna a sintomi o segni.
Malattia infettiva: significa presenza di sintomi e segni
in corso di un’infezione.
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Una volta raggiunto il torrente circolatorio o una parte
dell’organismo, normalmente sterile, l’agente infettivo
deve fare i conti con i sistemi di difesa innati (umorale e
cellulare aspecifici) e con quelli immuno-specifici, fortemente integrati fra loro (immunità adattiva).
I patogeni che si moltiplicano all’interno delle cellule
(Mycobacterium, Mycoplasma, Chlamydia, Listeria, Salmonella per i batteri, Toxoplasma, Leishmania e Cryptococcus, Hystoplasma per i protozoi e per i funghi) sono
combattuti prevalentemente dall’immunità cellulare, che
comprende i linfociti T e B, i macrofagi e le cellule natural
killer. Questi meccanismi di difesa sono importanti anche
verso molti altri agenti infettivi, siano essi virus o batteri.
Le citochine (dette anche linfochine), secrete da molte di
queste cellule, potenziano le difese immunitarie dell’ospite
e stimolano la risposta infiammatoria, compresa la febbre,
la produzione di proteine della fase acuta e la proliferazione dei granulociti: alcune di esse sono state impiegate
nel trattamento di alcune malattie infettive.
I patogeni extracellulari (stafilococchi, streptococchi,
agenti provvisti di capsula ed Escherichia coli) sono attaccati dai sistemi di difesa naturali aspecifici e dal sistema
immune adattivo. Questi sistemi, che comprendono la cascata del complemento, gli anticorpi e le cellule fagocitarie
(neutrofili e macrofagi), sono strettamente integrati fra
loro: per esempio, i granulociti neutrofili fagocitano meglio il microrganismo quando questo sia stato opsonizzato
(preparato per la fagocitosi) dai componenti del complemento e/o dagli anticorpi specifici.
I microrganismi hanno preparato una grande varietà
di strategie per superare le difese dell’organismo. Molti
germi sono provvisti di capsula, costituita da polisaccaridi, che permette loro di sfuggire ai meccanismi di difesa
dell’ospite e di proliferare, almeno finché l’organismo non
sintetizzi anticorpi specifici diretti contro i polisaccaridi
della loro capsula. Lo streptococco gruppo B e alcuni
sierogruppi del meningococco hanno una capsula che
contiene acido sialico, uno zucchero la cui presenza sulla
superficie del microrganismo permette di sfuggire all’attacco di alcuni componenti del complemento (cioè a difese
non specifiche).
Alcuni microrganismi agiscono producendo esotossine
(agenti del tetano e della difterite), o enzimi, che facilitano
l’invasione dell’ospite e spesso sono responsabili dello stato stesso di malattia. I ceppi patogeni (cioè i ceppi che sono
capaci di dare malattia) del vibrione del colera sintetizzano
una tossina ben conosciuta che, attraverso un recettore,
entra nell’enterocita e in via enzimatica attiva il sistema
adenilatociclasi della cellula del paziente con aumento
della sintesi di AMP (Adenosine MonoPhosphate) ciclico.
Questa attivazione porta a un’abbondante secrezione di
acqua e di elettroliti da parte dell’enterocita, cui è legata
la diarrea acquosa, caratteristica del colera.
Alcune particolari situazioni dell’organismo umano
influenzano in modo evidente la suscettibilità alle infezioni
e alle malattie locali o sistemiche: fra queste, in primo luo-
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go la diminuzione o l’assenza delle immunoglobuline, le
alterazioni congenite dell’immunità cellulare, le mutazioni
dei recettori Toll-like, la malnutrizione, l’agranulocitosi,
i difetti dei componenti del complemento, le emopatie, la
somministrazione di steroidi, i trattamenti oncologici, la
presenza di corpi estranei e l’ostruzione dei condotti di
qualsiasi organo cavo.
Delle varie cellule e dei vari tessuti, organi o apparati,
che compongono il corpo umano, ogni microrganismo
invade una parte specifica, verso la quale ha un particolare tropismo. Questo tipico tropismo è un elemento essenziale nel condizionare l’aspetto clinico delle malattie e
nell’aiutare a differenziarle l’una dall’altra, ma esso è anche
importante per il ciclo vitale stesso del microrganismo e
per le implicazioni che ha sul sistema immune dell’ospite.
Il sistema nervoso centrale, per esempio, è fortemente
protetto dalle modificazioni dell’ambiente da una barriera ematocerebrale che impedisce o limita l’entrata delle
cellule infiammatorie, dei patogeni e delle macromolecole
(antibiotici, per esempio) nello spazio subaracnoideo. Per
superare questa barriera alcuni microrganismi hanno sviluppato particolari strategie: i virus della rabbia e dell’herpes simplex, per esempio, raggiungono il sistema nervoso
centrale, seguendo il decorso dei nervi; altri, come alcuni
germi capsulati (meningococco, pneumococco, emofilo),
posseggono componenti sulla loro superficie che permettono di superare la barriera ematoliquorale con facilità.
Fortunatamente non tutte le infezioni danno malattia.
Probabilmente, nella maggior parte dei casi l’infezione
viene superata in modo inapparente, grazie all’efficienza
dei sistemi di difesa, aspecifici e specifici, e alla scarsa
virulenza dell’agente patogeno. Per molti agenti infettivi
l’infezione asintomatica è l’evenienza più frequente; basti
pensare al virus dell’epatite A, al virus della poliomielite,
ma anche allo pneumococco, al meningococco, a Haemophilus influenzae, per i quali la malattia rappresenta
un’eccezione più che la regola. Per altri agenti, come il
virus del morbillo e Bordetella pertussis, l’infezione si
identifica assai spesso con la malattia. Tuttavia, che si
tratti di infezione o di malattia, il microrganismo attiva
tutti i meccanismi di difesa che nella maggior parte dei
casi durano per sempre.
Anche la malattia infettiva, nella quale l’agente infettante rappresenta un elemento fondamentale, condizionante
per l’insorgenza dei sintomi, risente, come si è visto, in
modo evidente delle modalità di risposta dell’ospite, cioè
della infinita variabilità con la quale l’organismo risponde
all’infezione: ne deriva che con lo stesso inoculum (per
esempio di Salmonella typhi), la maggior parte dei soggetti
non presenta sintomi o segni mentre altri hanno i segni di
un’infezione intestinale banale e altri ancora presentano il
grave quadro delle salmonellosi maggiori. La tubercolosi
rappresenta un altro esempio evidente dell’importanza
della risposta dell’ospite. Negli ultimi anni si è assistito a
un continuo fiorire di ricerche sulle caratteristiche genetiche dell’ospite nei confronti delle malattie infettive.
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Dunque, i quadri clinici delle malattie infettive, anche
quando dovute allo stesso agente, sono infiniti e possono
andare da forme fulminanti a malattie che compromettono
la vita nel corso di qualche giorno, a situazioni di media
e lieve entità, fino alle forme d’infezione completamente
asintomatiche, che si dimostrano solo con un’indagine
sierologica (Tabella 32.1).
Nel complesso bisogna tener conto che la risposta all’infezione è in qualche modo legata all’età: l’anziano non
solo presenta quadri clinici più frequenti e più gravi ma ha
anche aspetti distintivi delle malattie nei confronti della
presentazione clinica, dei risultati di laboratorio, dell’epidemiologia, del trattamento e del controllo dell’infezione.
Le ragioni di questa aumentata suscettibilità comprendono
elementi epidemiologici, l’immunosenescenza e la malnutrizione, insieme a un largo numero di modificazioni
fisiologiche e anatomiche, legate all’età avanzata.
A questo si aggiunga che naturalmente, o magari anche
per l’influenza di particolari situazioni ambientali, il microrganismo con gli anni attenua la sua virulenza o in altri
casi la potenzia. Gli esempi in proposito sono numerosi:
lo streptococco ␤-emolitico gruppo A ha perso gran parte
TAB EL L A 32 .1
della sua virulenza negli ultimi decenni, salvo riacquistarla in zone geografiche ristrette. La sifilide di oggi è
completamente diversa da un punto di vista clinico da
quella che imperversò in tutta Europa nei primi decenni
del Cinquecento. Questo mutamento della fisionomia di
una stessa malattia viene comunemente indicato con il
nome di patomorfosi. C’è chi aspetta anche per l’HIV una
spontanea tendenza verso una minore patogenicità.
I microrganismi sono agenti estremamente mutevoli
per cui è possibile che, nonostante la scoperta di nuovi
vaccini e di sempre nuovi antibiotici, gli agenti patogeni
continueranno a sviluppare nuove strategie in una lotta
dinamica senza fine contro l’uomo e gli altri animali.
I cicli stagionali di molte malattie infettive sono stati
nel passato attribuiti a modificazioni delle condizioni
atmosferiche, alla prevalenza e alla virulenza del patogeno
e a comportamenti dell’ospite. A ben guardare alcune
osservazioni sulla stagionalità sono difficili da conciliare
con queste considerazioni: sono da ricordare la comparsa
simultanea di epidemie in regioni geografiche diverse,
alla stessa latitudine, il rilievo di patogeni al di fuori della
stagionalità, senza che insorga un’epidemia e l’esistenza
Definizioni di malattia settica
Situazione clinica
Caratteristiche
Batteriemia
Setticemia
Sindrome della risposta infiammatoria
generale (SIRS)
Presenza di batteri nel sangue, come dimostrato dalla coltura o dalla PCR
Presenza di microbi e delle loro tossine nel sangue
Due o più delle seguenti condizioni
• febbre o ipotermia
• tachipnea (>il numero fisiologico di respiri per l’età)
• tachicardia (>90 bpm)
• leucocitosi (>12.000/␮L)
• leucopenia
SIRS di provata o sospetta eziologia microbica
Sepsi con uno o più segni di sofferenza di organo
• cardiovascolare: pressione arteriosa sistolica ≤90 mmHg o pressione arteriosa media ≤70 mmHg,
che risponde alla somministrazione endovena di liquidi
• renale: emissione di urina inferiore 0,5 mL/kg per ora, nonostante la somministrazione di liquidi
• respiratoria: Pa02/Fi02 ≤250 o, se il polmone è l’unico organo disfunzionante, ≤200
• ematologica: conta delle piastrine <80.000/␮L o 50% di diminuzione nella conta delle piastrine
dal livello più alto nei tre giorni precedenti
• acidosi metabolica non spiegata: a pH ≤7,3 o un deficit di basi ≥5 mEq/L e un livello di lattato
nel plasma >1,5 volte il limite del normale, riportato dal laboratorio
• resuscitazione adeguata di liquidi: pressione differenziale dell’arteria polmonare ≤12 mmHg o
pressione venosa centrale ≥8 mmHg
Sepsi con ipotensione (pressione arteriosa sistolica ≤90 mmHg o 40 mmHg meno della pressione
arteriosa normale del paziente) per almeno 1 ora, nonostante un’adeguata somministrazione di liquidi,
ovvero necessità di farmaci vasopressori per mantenere la pressione sistolica ≥90 mmHg o pressione
arteriosa media ≥70 mmHg
Shock settico che dura >1 ora e non risponde alla somministrazione di liquidi o di farmaci pressori
Disfunzione di più di un organo, che richiede un intervento per mantenere l’omeostasi
Sepsi
Sepsi grave (sindrome settica)
Shock settico
Shock settico refrattario
Sindrome da disfunzione multiorgano
(MODS)
Malattia critica/relativa insufficienza
di corticosteroidi (CIRCI)
Attività corticosteroidea inadeguata per la gravità della malattia del paziente; va sospettata quando
l’ipotensione non cessa con la somministrazione di liquidi
(Da: Munford RS: Novel therapies for septic shock over the past 4 decades, JAMA Jul 13;306(2):194-9, 2011.)
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di modificazioni stagionali, nonostante ampie variazioni
nel tempo e nel comportamento degli umani. Al contrario,
un aumento nella suscettibilità della popolazione ospite,
legata al ciclo annuale luce/buio e mediata dal comportamento della secrezione di melatonina, può spiegarci alcuni
aspetti non ancora chiariti della stagionalità delle malattie
infettive. Molte prove indicano che le modificazioni fisiologiche, indotte dal fotoperiodo, sono tipiche di molte
specie di mammiferi, incluso l’uomo. Ammesso che tali
modificazioni fisiologiche siano alla base della resistenza
umana alle malattie infettive per gran parte dell’anno
e che queste modificazioni possano essere identificate e
modificate, le conseguenze terapeutiche e preventive possono essere notevoli.
Le infezioni delle apparecchiature per gli accessi vascolari (aghi di acciaio, cateteri sintetici di plastica) sono
tanto più frequenti quanto più a lungo rimangano in situ.
Per alcune di loro è previsto che rimangano per anni, come
le apparecchiature per l’idrocefalo. Esse possono essere
rappresentate da infezioni localizzate o da infezioni del
torrente sanguigno, dovute al catetere.
L’espansione delle ricerche su internet ha portato alla
nascita di numerosi siti riguardanti le malattie infettive.
Nel box sono riportati i principali indirizzi.
Informazioni
Linee guida ufficiali della Società Americana di Malattie Infettive:
www.idsociety.org
Informazioni, distinte per aree geografiche dei CDC di Atlanta:
www.cdc.gov.travel
Linee guida sulla prevenzione di malattie sessualmente trasmesse, infezioni da HIV e tubercolosi: www.cdc.gov/hiv/dhap.htm
Estratti dalle pubblicazioni Cochrane: www.cochrane.org
Risposte all’infezione
La suscettibilità e il modo di rispondere all’infezione sono dipendenti dalle caratteristiche del soggetto e, come
abbiamo visto, dall’età.
Le malattie del gruppo TORCH (toxoplasmosi, altre
infezioni come sifilide, rosolia, infezioni da citomegalovirus e da virus dell’herpes simplex) sono completamente
diverse quando si manifestino nell’embrione, nel feto o
nella madre: soprattutto, sono diversissimi la loro evoluzione e i loro esiti.
Un’altra caratteristica, tipica del neonato e del lattante
dei primi mesi, consiste in una larga sovrapponibilità di
sintomi per malattie completamente diverse da un punto
di vista eziologico. Qualunque sia l’agente causale, per
esempio nella TORCH, il neonato risponde con poca
febbre, ittero, difficoltà respiratoria, crisi di apnea e cianosi, rifiuto ad alimentarsi, irritabilità o letargia, tremori,
convulsioni.
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Delle numerose risposte del bambino all’infezione
verranno considerati solo alcuni punti:
• la febbre;
• le risposte metaboliche;
• le risposte endocrine;
• le reazioni linfoghiandolari;
• le risposte del sistema nervoso;
• le risposte dell’apparato digerente.
Febbre
La febbre è un’elevazione della temperatura corporea al
di sopra delle normali variazioni del ritmo circadiano; essa
deriva da un cambiamento dell’assetto (punto di equilibrio) del termostato del centro termoregolatore, localizzato
nell’ipotalamo anteriore.
Potrebbe essere anche definita come uno stato di elevata
temperatura corporea, che è spesso, ma non necessariamente, parte delle risposte difensive degli animali, e quindi
anche degli umani, all’invasione di qualcosa di animato (microrganismo) o di inanimato, riconosciuto come patogeno
o estraneo all’ospite.
In linea di massima può essere definita febbre una temperatura, misurata all’ascella, in bocca o nel retto, che al mattino
superi i 37,2 °C e nel pomeriggio i 37,7 °C.
L’uomo e molti animali sono omeotermi, sono cioè
capaci di mantenere la temperatura corporea costante,
nonostante le variazioni della temperatura dell’ambiente:
questa capacità è dovuta al centro termoregolatore che
bilancia la produzione di calore dei tessuti (principalmente
muscoli e fegato) con la dispersione di calore, che avviene prevalentemente attraverso la cute (vasodilatazione e
sudorazione).
La febbre è una risposta complessa, integrata fra sistema nervoso autonomo e sistema neuroendocrino in
risposta a vari stimoli. Quando insorge la febbre questa
azione di bilancio si è spostata a favore della produzione
di calore; per questo motivo aumenta la temperatura del
corpo.
Nel bambino normale avvengono variazioni della temperatura corporea dal mattino alla sera, con oscillazioni
più ampie di quelle dell’adulto: non solo esistono notevoli
differenze da un soggetto all’altro, ma, per quanto di grado
minore, anche nello stesso soggetto da un giorno all’altro.
Nel bambino la media della temperatura nelle 24 ore è di
36,8 °C, con variazioni mattino-sera ± 0,4 °C: nadir alle
6 del mattino e zenith fra le 16 e le 18. Il massimo della
temperatura normale, misurata all’ascella o nel cavo orale,
è di 37,2 °C alle 6 del mattino e di 37,7 °C alle 16: questi
valori corrispondono al 99° centile. Una temperatura
superiore a 37,2 °C al mattino e superiore a 37,7 °C al
pomeriggio viene di conseguenza definita come febbre. Le
variazioni fra il massimo e il minimo della temperatura
nello stesso soggetto sono di 0,5 °C. Tuttavia in alcuni
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soggetti, dopo il superamento di una malattia febbrile, la
variazione giornaliera può essere superiore anche a 1 °C
(a questa situazione viene dato comunemente il nome di
febbricola), anche per qualche settimana; ciononostante,
essa mantiene il regolare ritmo circadiano, a differenza
della febbre vera e propria che, pur mantenendo il ritmo
circadiano, ha variazioni giornaliere non prevedibili e
costantemente più elevate.
Per via rettale la temperatura corporea ha ugualmente
un ritmo circadiano ma il livello è superiore di 0,4 °C rispetto a quella misurata nel cavo orale, probabilmente da
attribuire alla respirazione attraverso la bocca e il naso;
comunemente la valutazione della temperatura rettale
viene considerata come il metodo più accurato per conoscere quale sia la temperatura di un bambino, usando una
metodica non invasiva. La temperatura del retto, infatti,
non è influenzata dalla temperatura ambientale e, inoltre,
in quella sede è presente un abbondante flusso di sangue
arterioso che vi giunge attraverso le arterie emorroidali.
Per questo motivo, la via rettale è ritenuta come quella
maggiormente vicina alla temperatura centrale. La misurazione ascellare viene considerata vantaggiosa per la facile
accessibilità e la buona tollerabilità dalla maggioranza dei
pazienti. È la più usata a domicilio.
La temperatura timpanica misura la temperatura della
membrana del timpano e della parte prossimale del canale
auditivo esterno: questa misurazione, sebbene sia molto
pratica, può essere più variabile di quella misurata direttamente nella bocca e nel retto. I valori ottenuti sono di
circa 0,8 °C inferiori a quelli della temperatura rettale.
La temperatura dell’urina appena emessa è simile a
quella rettale.
Pirogeni
Le sostanze che provocano la febbre sono chiamate pirogeni: essi possono avere un’origine esogena o endogena.
I pirogeni esogeni sono formati al di fuori del nostro
organismo: la maggioranza dei pirogeni esogeni è costituita da microrganismi e dai loro prodotti, fra i quali
rientrano le tossine e soprattutto le endotossine dei Gramnegativi (lipopolisaccaridi). Per produrre febbre e sintomi
generali nei volontari bastano 2-3 ng/kg di endotossina o
1-10 ␮g/kg di esotossine stafilococciche o streptococciche,
iniettate per via venosa. I Gram-positivi producono potenti pirogeni, fra i quali l’acido lipoteicoico, i peptidoglicani
e varie esotossine ed endotossine.
I pirogeni endogeni sono polipeptidi (citochine), sintetizzati da un gran numero di cellule dell’organismo,
principalmente monociti-macrofagi, in risposta ai pirogeni
esogeni. Si tratta di piccole proteine (10-20.000 Da) che
regolano i processi immuni, infiammatori ed ematopoietici. Per esempio, la leucocitosi (con neutrofilia relativa
e assoluta) vista in molte infezioni deriva dalle citochine
(interleuchina IL-1 e IL-6). Le due interleuchine sono
sintetizzate dalle cellule fagocitiche (monociti-macrofagi),
dalle cellule endoteliali, dai linfociti B, dalle cellule natural
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killer, dai fibroblasti, dalle cellule muscolari lisce e dalle
cellule gliali. Accanto alle due interleuchine sono stati
identificati successivamente altri pirogeni endogeni, come
il fattore della necrosi tumorale (TNF, Tumor Necrosis
Factor), l’interferone ␣ e il fattore neurotropico ciliare.
È sufficiente iniettare negli umani 10-100 ng/kg di IL-1,
IL-6 o di TNF per dare febbre. Durante la fagocitosi, o la
stimolazione con endotossina batterica, oltre il 5% delle
proteine prodotte dai macrofagi è rappresentato da IL-1
e TNF.
Come abbiamo visto in precedenza, un gran numero di
tipi di batteri, di virus o di funghi inducono la liberazione
di citochine pirogeniche, ma va ricordato che la febbre
può presentarsi in assenza d’infezione microbica. Processi
infiammatori di qualsiasi origine, traumi, necrosi tissutali
e complessi antigene-anticorpo possono determinare la
produzione di pirogeni endogeni, come l’IL-1, IL-6 e TNF
che, isolatamente o in combinazione, stimolano l’ipotalamo ad aumentare il livello del termostato fino ai livelli
della febbre.
Nel bambino, la risposta all’IL-1 è sempre molto vivace: fa eccezione il neonato (specialmente se di basso peso)
che, spesso, anche in occasione di processi infettivi gravi,
manifesta poca o nessuna elevazione della temperatura
corporea.
Elevazione del termostato ipotalamico
da parte delle citochine
I pirogeni endogeni, raggiunta la circolazione sanguigna
generale, agiscono a livello del centro termoregolatore
ipotalamico, che determina la febbre (Figura 32.1). I livelli di prostaglandina E2 (PGE2) sono elevati nel tessuto
ipotalamico e nel terzo ventricolo cerebrale. Essi sono
particolarmente elevati in un gruppo di neuroni nell’ipotalamo anteriore preottico, che è irrorato da una fitta rete
vascolare. Questa rete vascolare è chiamata organo vascolare della lamina terminale; quando le cellule endoteliali
della lamina entrano in contatto con i pirogeni endogeni
circolanti o direttamente con la tossina microbica, esse
rilasciano metaboliti dell’acido arachidonico, soprattutto
PGE2, che diffonde nella regione dell’ipotalamo preottico
anteriore, per stimolare 4 recettori, dei quali il terzo (EP-3)
è essenziale per l’insorgenza della febbre. Sebbene la PGE2
sia essenziale per l’insorgenza della febbre, essa non è un
neurotrasmettitore, tanto è vero che agisce stimolando,
attraverso un recettore, la formazione di un secondo messaggero (AMP ciclico) che attiva le terminazioni neuronali
del centro termoregolatore, che si trova nella stessa area.
L’elevazione dell’AMP ciclico determina variazioni nel
termostato ipotalamico.
I recettori dei pirogeni endogeni, situati nell’endotelio
dei capillari ipotalamici, sono dei Toll-like recettori che
inducono la formazione di prostaglandina E2 (PGE2), che
alla fine determina la febbre.
I neuroni dell’ipotalamo anteriore preottico e dell’ipotalamo posteriore ricevono due tipi di impulsi:
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
651
FIGURA 32.1 - Fisiopatologia
della febbre. (Da: Dinarello CA,
Porat R: Harrison’s Principles
of Internal Medicine, ed 19,
New York, 2011, McGraw-Hill,
143-147; modificata.)
Eventi necessari che provocano la febbre
Infezione, tossine microbiche,
reazioni immuni
Tossine microbiche
Febbre
Conservazione del calore,
produzione del calore
AMP
ciclico
Monociti/macrofagi,
cellule endoteliali, altre
PGE2
Elevazione del punto
di equilibrio del centro
termoregolatore
Endotelio ipotalamico
Citochine pirogeniche
IL-1, IL-6, TNF, IFN
Circolazione
•
•
uno dai nervi periferici che fanno giungere centralmente
gli impulsi dei recettori periferici per il caldo e per il
freddo, nonché dai visceri, attraverso il vago;
l’altro dalla temperatura stessa del sangue che irrora la
regione.
Questi due segnali distinti sono integrati dal centro termoregolatore dell’ipotalamo allo scopo di mantenere la
temperatura corporea normale.
Produzione della febbre
Una volta che sia innalzato il punto di equilibrio, dal centro
partono segnali, attraverso i nervi efferenti, specialmente
attraverso le fibre simpatiche che innervano i vasi periferici, che determinano vasocostrizione e facilitano quindi la
conservazione del calore prodotto. Altri impulsi a partenza
ipotalamica inducono la produzione di calore. Il centro
termoregolatore inoltre manda segnali alla corteccia per
la modificazione dei comportamenti, come cercare un
ambiente caldo, coprirsi e assumere posture particolari
per risparmiare calore. Queste modificazioni complessivamente determinano un aumento della temperatura
di 2-3 °C; se il punto di equilibrio del centro è ancora
più alto, insorge il brivido (una contrazione muscolare
involontaria) che determina un aumento improvviso nella
produzione del calore endogeno.
La combinazione tra conservazione del calore (vasocostrizione periferica) e l’aumentata produzione di calore
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continua finché la temperatura del sangue che bagna i neuroni dell’ipotalamo anteriore non abbia raggiunto il livello
definito dal centro termoregolatore. A questo punto l’ipotalamo mantiene la temperatura che è stata raggiunta.
Quando il livello di attività (set point) del centro ipotalamico si abbassa per la scomparsa dello stimolo da
parte dei pirogeni endogeni, o per l’inibizione della sintesi
locale di prostaglandine da parte degli inibitori della ciclo-ossigenasi, come l’aspirina, il paracetamolo o l’ibuprofene, iniziano la vasodilatazione e la sudorazione che
permettono la perdita di calore dalla cute per radiazione
o conduzione. Anche i comportamenti del soggetto ammalato, che allontana le coperte e i vestiti, cambiano. Si ha
perdita di calore con la sudorazione e la vasodilatazione,
finché la temperatura del sangue a livello ipotalamico non
ha raggiunto l’abbassato livello del termostato.
Esistono anche sostanze endogene a effetto antipiretico,
come la vasopressina, l’ACTH, l’ormone stimolante gli
␣-melanociti, l’ormone liberatore della corticotropina e
l’IL-10; l’effetto si manifesta impedendo ai pirogeni endogeni di stimolare ulteriormente la produzione di PGE2.
Una febbre oltre i 41,5 °C viene chiamata iperpiressia.
Una temperatura del genere è difficilmente legata a una
malattia infettiva, che raramente supera i 41,1 °C, mentre
è comunemente presente in pazienti con emorragie del
sistema nervoso centrale.
In casi rari il termostato ipotalamico è elevato per
ragioni locali, come un trauma, un’emorragia, un tumore
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652
CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
o un cattivo funzionamento primitivo: il termine febbre
ipotalamica sta a indicare una febbre causata da un’alterata funzione ipotalamica. Tuttavia, situazioni come
quelle sopra riportate danno una temperatura al di sotto
del normale, invece di una al di sopra del normale.
È di grande interesse la valutazione della gravità della
malattia, soprattutto nei lattanti, ma anche nei bambini
di età inferiore ai 5 anni: a questo proposito sono stati
stabiliti dei criteri, clinici e di laboratorio, che permettono
di suddividere le malattie gravi del bambino, al di sotto
dei 5 anni, in (Tabella 32.2):
• a basso rischio;
• a rischio intermedio;
• ad alto rischio.
L’applicazione di queste norme di valutazione è in grado
di ridurre i ricoveri in ospedale e l’uso improprio degli
antibiotici.
Altre attività biologiche dell’IL-1, del TNF e dell’IL-6
IL-1, TNF e IL-6, oltre che dare febbre, possiedono altre attività di grande importanza, che concorrono alla comparsa
di alcune situazioni, critiche per la vita, quando le stesse
tre sostanze raggiungono livelli elevatissimi. Esiste infatti
TAB EL L A 32 .2
un gran numero di azioni proinfiammatorie che vengono
stimolate contemporaneamente dall’IL-1 e dal TNF. La
maggior parte di esse usufruisce, come passo intermedio,
dell’acido arachidonico e delle prostaglandine:
• mobilitazione dei neutrofili;
• aumento di alcune funzioni dei neutrofili;
• liberazione di PGE ;
2
• liberazione di tromboxano;
• produzione di fattori attivanti le piastrine (PAF, Platelet-Activating Factor);
• aumento della sintesi di IL-8, importante fattore chemiotattico dei neutrofili, e dei monociti;
• vasodilatazione;
• sintesi di proteine di adesione cellulare;
• attivazione dei linfociti T e B;
• aumento dell’effetto killing delle cellule fagocitarie;
• espressione trombomodulinica da parte delle cellule
endoteliali;
• sintesi delle proteine della fase acuta: antiproteasi, componenti del complemento, fibrinogeno, ceruloplasmina,
ferritina, aptoglobina, proteina C-reattiva, proteina
amiloide A del siero, diminuzione dei livelli sierici di
ferro e di zinco;
• proteolisi e glicogenolisi nel muscolo;
Valutazione del rischio di malattia grave nel bambino febbrile con età inferiore
ai 5 anni*
Parametri
Basso rischio (verde)
Rischio intermedio (giallo)
Alto rischio (rosso)
Colore
Colore normale di pelle, labbra
e lingua
Risponde normalmente agli stimoli
È contento e sorride
Resta sveglio o si sveglia
rapidamente
Non piange o piange normalmente
Normale
Pallore riferito dai genitori o da coloro
che si prendono cura del bambino
Non risponde normalmente agli stimoli
Si sveglia solo dopo stimolazioni
prolungate
Attività diminuita
Non sorride
Alitamento delle pinne nasali
Tachipnea: >50 atti/min (6-12 mesi);
o >40 atti/min (>12 mesi)
Pallido, marezzato, cinereo o cianotico
Idratazione
Pelle e occhi normali
Mucose umide
Altro
Assenza delle caratteristiche
riportate a lato
Mucose secche
Scarso appetito nei neonati
Tempo di ricircolo ≥3 sec
Diuresi diminuita
Febbre ≥5 giorni
Arti o articolazioni tumefatte
Non carica il peso o non usa
un’estremità
Nuova massa >2 cm
Attività
Respirazione
Non risponde agli stimoli
Appare malato ai professionisti sanitari
Non risvegliabile o non riesce a restare
vigile se svegliato
Pianto debole, di alta intensità o continuo
Grunting**
Tachipnea, frequenza respiratoria
>60 atti/min (a qualsiasi età)
Rientramenti intercostali moderati
o intensi
Ridotto turgore della pelle (cute a pasta
di pane)
Temperatura a ≥38 °C (0-3 mesi di età)
o a ≥39 °C (3-6 mesi)
Esantema che non impallidisce
Fontanella tesa
Rigidità nucale
Convulsioni
Segni neurologici focali
Crisi convulsive focali
Vomito biliare
*Il semaforo. (Linee guida NICE, 2010.)
**Grunting: è il rumore che fa il neonato quando respira con difficoltà; in questi casi, egli chiude parzialmente la glottide durante l’espirazione onde tentare di
mantenere il volume polmonare con uno scambio di gas appropriato.
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
•
•
•
•
•
•
•
•
•
mobilitazione dei lipidi dagli adipociti;
intensificazione della glicogenolisi nel fegato;
induzione della proliferazione dei fibroblasti;
attivazione degli osteoclasti;
liberazione della collagenasi dai condrociti;
induzione dell’attività del sonno a onde lente nel cervello;
risposte endocrine, che includono la liberazione di
ACTH, di ␤-endorfine, di ormone della crescita e di
vasopressina ipofisaria, di insulina da parte delle cellule
pancreatiche e di cortisolo e catecolamine dai surreni;
inibizione dell’appetito;
comparsa di cachessia nelle malattie croniche infiammatorie o neoplastiche.
Ipertermia
Nonostante la maggioranza dei pazienti con innalzamento
della temperatura accusi febbre, esistono altre circostanze
nelle quali l’elevazione della temperatura non è riconducibile alla febbre, ma all’ipertermia (Tabella 32.3).
L’ipertermia è dovuta a cause completamente diverse dalla febbre: essa è un’elevazione della temperatura
dell’organismo, senza elevazione dell’assetto del centro
ipotalamico, per uno squilibrio fra il calore corporeo e la
sua dispersione. L’ipertermia non insorge, come la febbre,
per azione dei pirogeni.
Essa può insorgere per un eccessivo calore ambientale
(colpo di calore) come per un eccesso nella produzione di
calore (eccessivo esercizio fisico, ipertiroidismo) o anche
per una sua insufficiente eliminazione (uso di farmaci che
inibiscano la sudorazione: in un ambiente molto caldo
TAB EL L A 32 .3
Cause di ipertermia
Colpo di calore
Attività fisica in ambiente più caldo
del normale e/o con elevata umidità
Ipertermia indotta Anticolinergici, antistaminici,
da farmaci
antiparkinsoniani, diuretici, fenotiazine
Anfetamine, cocaina, ecstasy, acido
lisergico, salicilati, litio, anticolinergici
simpaticomimetici
Neurolettici: fenotiazine, aloperidolo,
bromperidolo, fluoxetina,
dibenzodiazepine triciliche,
metoclopramide, domperidone,
sospensione di agenti colinergici
Serotoninici: inibitori della ricaptazione
selettiva, anti-monoaminossidasi,
antidepressivi triciclici
Anestetici: inalazione di anestetici,
succinilcolina
Endocrinopatie
Tireotossicosi, feocromocitoma
Lesioni del sistema Emorragia cerebrale, stato epilettico, lesioni
nervoso centrale
ipotalamiche
(Da: Dinarello CA, Porat R: Harrison’s Principles of Internal Medicine, ed 17,
New York, 2011, McGraw-Hill, 143-147; modificata.)
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e secco si può produrre fino a oltre 1 L di sudore) oppure
per condizioni ereditarie in cui manchi la sudorazione
(come disautonomia familiare, displasia ectodermica anidrotica). In questi casi, l’uso dell’acido acetilsalicilico o di
altri antipiretici, che agiscono sul centro termoregolatore,
non è affatto indicato mentre risultano utili le sottrazioni
fisiche di calore (applicazione di panni freddi sulla cute,
bagno freddo ecc.) che non è necessario siano impiegate in
presenza di un innalzamento della temperatura corporea
(febbre) determinata dal centro termoregolatore. La sottrazione di calore che così si ottiene è infatti di brevissima
durata, è parziale ed è immediatamente controbilanciata
da nuova produzione di calore, finché non venga raggiunto
quel livello di temperatura che il nuovo assetto del centro
ipotalamico della febbre comanda.
Distinguere l’ipertermia dalla febbre è molto importante
per i diversi tipi di trattamento da intraprendere. A volte
può essere difficile riconoscere l’una dall’altra. Gli antipiretici non riducono la temperatura elevata nell’ipertermia
mentre, se c’è febbre, anche qualora si tratti di iperpiressia,
dosi adeguate di paracetamolo o di aspirina determinano un sia pur piccolo abbassamento della temperatura.
Occorre tenere presente anche il fatto che l’assunzione di
farmaci anticitochinici riduce l’attività di IL-1, IL-6, e TNF
e quindi attenuano la febbre: ma anche in questi soggetti
gli antipiretici sono in grado di attenuare la febbre.
Vantaggi e svantaggi della febbre
Vi sono oggi molte prove che inducono a pensare che la
febbre rappresenti una risposta utile dell’ospite a un’aggressione infettiva: di sicuro il fenomeno della febbre non sarebbe comparso e non si sarebbe mantenuto negli umani e in
molti animali superiori, attraverso un’ampia scala filogenetica, se essa non avesse rappresentato un effettivo beneficio
nell’evoluzione. La febbre va quindi considerata come una
risposta difensiva e adattiva dell’ospite all’infezione. Vi sono
prove sicure che nelle infezioni sperimentali la presenza
della febbre sia utile per la guarigione dell’animale.
Ma la febbre ha anche un costo. Ogni grado di febbre
determina un aumento del consumo di ossigeno basale
della cellula di circa il 13%: questa spesa energetica risulta
particolarmente intensa perché in questo periodo l’introito
di cibi è ridotto al minimo dall’anoressia. In questa situazione le necessità energetiche dipendono prevalentemente
dai depositi di sostanze (soprattutto grassi, ma anche
glicogeno e proteine) di molti tessuti dell’organismo: il
muscolo scheletrico è ampiamente utilizzato come fonte
di energia. Le spese metaboliche in corso d’infezione sono
infatti dirette soprattutto a mantenere in piena efficienza i meccanismi di difesa dell’ospite. Esse sono rivolte a
rendere disponibili substrati per formare nuove cellule o
enzimi o comunque molecole importanti per la resistenza
dell’ospite: fagociti, linfociti, cellule epiteliali, immunoglobuline, citochine, interferone, complemento ecc. I bambini
malnutriti sono, come si sa, più suscettibili alle infezioni,
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
perché essi non sono in grado di sostenere il surplus di
spese energetiche necessarie per instaurare e mantenere i
meccanismi di difesa specifici e aspecifici. Per le aumentate
richieste metaboliche legate al mantenimento della febbre
sono necessarie altre spese energetiche, specialmente se,
come si è visto, viene sottratto calore, inopportunamente,
con mezzi fisici.
Gli unici veri inconvenienti per il bambino con febbre elevata sono rappresentati dalle convulsioni, dette
appunto febbrili, che insorgono soprattutto dal 1° al 6°
anno di vita, e i sintomi e i segni legati all’elevazione della
temperatura, come l’irritabilità, la sonnolenza, la cefalea,
lo stato di malessere.
Bambini con una storia di convulsioni febbrili o non
febbrili devono essere trattati con farmaci antipiretici per
ridurre la febbre: tuttavia non è chiaro quale sia il grilletto
per le convulsioni febbrili e non ci sono correlazioni fra
l’elevazione assoluta della temperatura e l’inizio della
convulsione febbrile in bambini suscettibili.
Nell’iperpiressia, l’uso di bagni freddi facilita, per
qualche ora, l’attenuazione della febbre, ma va ricordato
che i bagni freddi non escludono la necessità di usare,
anche in questi casi, gli antipiretici. D’altra parte, poiché
la febbre deriva da un innalzamento del livello del termostato diencefalico, una volta superato il breve effetto del
bagno freddo, l’organismo è costretto a spendere di nuovo
energia per riportare la temperatura al livello stabilito dal
termostato posto alla base del cervello.
Trattamento della febbre
La prima decisione da prendere di fronte a un soggetto con
temperatura elevata è se essa sia febbre o ipertermia.
Nella febbre elevata (iperpiressia) gli antipiretici sono
indicati. Ma con febbri di lieve o media entità non vi sono
prove che gli antipiretici (aspirina, paracetamolo, ibuprofene) siano veramente utili. Il paracetamolo è ugualmente
attivo quando venga usato per os o per via rettale, alla
dose di 15 mg/kg. L’ibuprofene può essere considerato il
farmaco di seconda scelta dopo il paracetamolo. L’aspirina
è oggi usata solo nei soggetti adulti, per la possibilità
d’insorgenza della sindrome di Reye.
Ne deriva che l’uso degli antipiretici non deve essere
generalizzato ma va riservato a situazioni particolari,
soprattutto quando la febbre sia molto elevata e duri da
qualche giorno.
La febbre di origine sconosciuta e le febbri periodiche
rappresentano un importante problema clinico.
Nomenclatura della febbre
La febbre è un fenomeno che accompagna l’uomo dall’inizio della sua storia. Esistono infatti un preciso riconoscimento e un’esatta definizione non solo dei fenomeni
che accompagnano la febbre, ma anche dei vari comportamenti della febbre:
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sensazione di freddo: viene avvertita nella maggior parte delle febbri improvvisamente elevate e si accompagna
a cute pallida e senza sudore;
brivido: profonda sensazione di freddo, accompagnata
da piloerezione, tremore e battere dei denti;
sudorazione: coincide con la caduta della febbre;
febbre continua: quando la febbre si mantiene elevata,
con poche variazioni di livello (non più di 0,5 °C nelle
24 ore);
febbre intermittente: quando è evidente un innalzamento
uni- o bigiornaliero della febbre, seguito da un abbassamento della temperatura al di sotto del valore di 37 °C.
Quando le variazioni sono molto forti (3-4 °C), si parla
di febbre settica;
febbre remittente: quando la temperatura si abbassa
ogni giorno (oltre 0,5° C nelle 24 ore) ma non raggiunge mai i valori normali;
febbre ricorrente: quando gli episodi febbrili sono separati da intervalli di qualche giorno di temperatura
normale. Da qui il nome di febbre terzana e di febbre
quartana, associate al parassita della malaria (Plasmodium vivax e Plasmodium malariae, rispettivamente);
febbre terzana: quando la febbre insorge al 1° e al 3°
giorno (come nella malaria da Plasmodium vivax);
febbre quartana: quando avviene al 1° e 4° giorno
(come nella malaria da Plasmodium malariae);
febbre bifasica: indica una singola malattia con due periodi febbrili (febbre a gobba di cammello), come nella
poliomielite, nella leptospirosi, nella febbre Dengue e
nella febbre gialla;
febbre ondulante: quando periodi di febbre di 7-10
giorni si alternano a periodi senza febbre di altrettanti
giorni (è un andamento tipico della brucellosi);
febbre periodica: quando episodi febbrili sono intervallati da periodi di apiressia di durata fissa (per esempio,
20 giorni), come nella neutropenia ciclica, nella PFAFA,
nella febbre mediterranea, nella febbre iberniana e nella
sindrome da iper-IgD;
febbricola: innalzamento della temperatura di 0,5-1 °C,
in seguito a una malattia febbrile, con mantenimento
del ritmo circadiano;
febbre senza segni di localizzazione: una febbre che si
presenta, almeno nei primi giorni, senza segni di localizzazione. Viene spesso identificata con la batteriemia
occulta;
febbre di origine sconosciuta: febbre di 38,5 °C, o superiore, senza segni di localizzazione, che si manifesti tutti i
giorni e persista per più di 2 settimane, rispetto alla quale
non sia possibile porre una diagnosi, nonostante un esame
obiettivo accurato e i correnti esami di laboratorio.
Strumenti per misurare la temperatura corporea
Il modo più antico per accertare la temperatura è di porre
il palmo della mano sulla fronte o sul torace del paziente:
questa determinazione si correla con la temperatura rettale
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
solo nel 50-79% delle volte. Un altro modo per valutare
la presenza o meno della febbre si basa sull’osservazione
dello scroto: se lo scroto è completamente disteso e i testicoli sono localizzati al fondo, è molto probabile che il
bambino abbia la febbre.
La scoperta del termoscopio da parte di Galileo tra la
fine del 1606 e l’inizio del 1607 fu successivamente completata dall’Accademia del Cimento nel 1650. Ma solo all’inizio del 1700 vennero preparate le scale termometriche:
quella di Fahrenheit, in uso ancora nei Paesi anglosassoni
e quella di Celsius, in uso nei Paesi di lingua latina.
Per trasformare i gradi secondo Fahrenheit (°F) in gradi
secondo Celsius (°C) bisogna applicare questa formula:
gradi Fahrenheit − 32
gradi Celsius = _________________
1,8
Per questo motivo, 98 °F corrispondono a 36,6 °C e
102 °F corrispondono a 38,8 °C. Nella letteratura anglosassone, sempre più spesso sono riportati i gradi Celsius e
fra parentesi i gradi Fahrenheit, per i conservatori.
Termometri a mercurio. Fin dall’inizio, il liquido
contenuto nel termometro è stato il mercurio, che si dilata
con il calore. I termometri a mercurio hanno il vantaggio
di avere un prezzo basso e di essere i più affidabili per
la precisione della valutazione della temperatura. Essi
presentano tuttavia molti svantaggi per il rischio di dispersione del mercurio nell’ambiente circostante in seguito alla loro rottura; tali evenienze, come è noto, sono
molto frequenti. Per questa ragione, e per la comparsa di
termometri altrettanto precisi, i termometri a mercurio
sono stati gradualmente abbandonati e poi esclusi dal
commercio, anche in Italia (DL del 30 luglio 2008, GU
n. 245 del 18 ottobre 2008).
Termometri elettronici. Anch’essi hanno un’elevata
sensibilità e un basso costo: sono usati per la misurazione
della temperatura sulla cute e all’ascella. Il livello di temperatura viene rilevato da un microprocessore e compare sul
display. Il tempo di permanenza va da 1 a 2 minuti primi.
Sono dotati di allarme acustico alla fine della rilevazione.
La pila può esaurirsi e la taratura può presentare delle difficoltà. I termometri ad asta flessibile, per ragioni di sicurezza, sono da preferirsi. L’uso del succhiotto con termometro
incluso è intelligente, ma è risultato poco affidabile.
Termometri timpanici a infrarossi. Agiscono con il
contatto con la membrana del timpano; sono i più usati e
sono sufficientemente accurati per sostituire la misurazione
con i termometri a mercurio. Tuttavia, necessitano della
determinazione della temperatura timpanica del singolo
bambino, in situazione di benessere. Il tempo di permanenza
è brevissimo (solo pochi secondi). Ci sono in commercio vari
tipi di strumenti e quindi è difficile stabilire una standardizzazione. La misurazione dà risultati precisi e riproducibili in
mani esperte; è poco affidabile quando affidata ai genitori.
Termometri a infrarossi a distanza. La distanza entro
la quale operano è compresa fra 2 e 3 metri. Le ricerche
più recenti hanno dimostato una sensibilità del 90-91%
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e una specificità dell’80-86% a seconda dell’apparecchio
usato (OptaTherm® e FLIR®): un’accuratezza ragionevolmente accettabile. Un terzo aparecchio (Wahl®) ha
dato risultati molto più bassi.
Termometri a striscia reattiva. Sono di facile impiego, non sono tossici e sono infrangibili. L’affidabilità del
rilievo è discreta.
Termometri a cristalli liquidi. Per la misurazione
della temperatura a livello della cute si sono dimostrati
poco utilizzabili a causa della loro scarsa sensibilità e
specificità.
Secondo la maggior parte degli esperti, la misurazione
rettale della temperaura rimane il metodo gold standard
per misurare la temperatura nei bambini.
L’uso della via orale e della via rettale richiede tuttavia
una particolare attenzione nella misurazione della febbre,
per evitare che mucositi orali o proctiti (cioè infiammazioni localizzate) possano indicare una temperatura febbrile
locale, che non è febbre di tutto l’organismo.
Trattamento della febbre e dell’ipertermia
Va subito affermato che non esiste un motivo urgente
che imponga il trattamento di tutti gli stati febbrili né
che sia assolutamente necessario riportare rapidamente
la temperatura dell’organismo, come vogliono le madri,
nei limiti ritenuti normali. Non c’è nessuna prova che
gli antipiretici facilitino la guarigione dall’infezione o
agiscano come adiuvanti per il sistema immune. Per concludere, il trattamento sistematico della febbre con gli
antipiretici non è pericoloso ma non aiuta la risoluzione
della malattia, sia essa virale o batterica. Essa tuttavia va
costantemente trattata quando si tratti di un soggetto di
età inferiore a 1 anno o quando superi 39 °C e più, oppure
quando essa dimostri di disturbare fortemente la cenestesi
del bambino.
È necessario ricordare che il nemico non è tanto la febbre
quanto le condizioni, molto spesso infettive, che l’hanno
determinata.
Ne deriva che, nei soggetti di più di 2 anni di età, che
non abbiano sofferto di convulsioni febbrili, è possibile
aspettare 2 o 3 giorni prima di iniziare un trattamento
antifebbrile. In particolare, qualora vi sia il quadro clinico
della sepsi con colture positive è sconsigliato, almeno nelle
prime fasi della malattia, l’uso di farmaci contro la febbre,
perché può essere utile, almeno inizialmente, giudicare
l’efficacia del trattamento antibiotico.
Merita ricordare che negli USA vengono spesi per farmaci antipiretici circa 6 miliardi di dollari per anno.
Il primo farmaco da ricordare è il paracetamolo (acetaminofen per gli anglosassoni) (Tachipirina gocce, sciroppo, compresse, supposte, alla dose per via orale di 60-80 mg/kg/dose
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
in 4-6 dosi al giorno e per via rettale di 90 mg/die, sempre in
4-6 somministrazioni; nei lattanti di età inferiore ai 3 mesi,
in caso di ittero, la dose per una singola dose va abbassata
a 5-10 mg/kg, per non più di 3 giorni senza aver consultato
il pediatra) o in alternativa l’ibuprofene (Brufen, buste,
compresse, alla dose di 5-10 mg/kg/dose per 3-4 dosi al
giorno). Sia l’uno sia l’altro inibiscono la ciclo-ossigenasi
(COX), l’enzima che catalizza la trasformazione dell’acido
arachidonico in prostaglandina PGH2, il precursore di
tutte le prostaglandine: gli antipiretici abbassano quindi
la concentrazione di PGH2 a livello ipotalamico. La somministrazione di questi farmaci in soggetti senza febbre
non abbassa la temperatura corporea: tale osservazione
porta a confermare che la PGE2 non gioca alcun ruolo
nella termoregolazione del soggetto sano. I due farmaci
(paracetamolo e ibuprofen) hanno un’uguale efficacia. La
durata dell’effetto è variabile: esso va da 4 a 6 ore.
Per il paracetamolo la via di somministrazione per bocca è da preferire perché con la via rettale è stata riscontrata
una grande variabilità di biodisponibilità: la via rettale va
usata quando la via orale sia impossibile, come quando
vi sia perdita di conoscenza o vomito. Non esiste una
limitazione d’uso per i bambini in età inferiore ai 2 anni.
In linea di massima, alle dosi sopra indicate, i due farmaci
sono efficaci e privi di rischio. Va tuttavia ricordato che
la somministrazione, accidentale o incidentale, di un iperdosaggio di paracetamolo (nell’adulto dosi >4 g/die) può
essere associata a danno epatico tossico, che può portare
a un’insufficienza epatica fulminante. L’epatotossicità con
le dosi normalmente usate è un’evenienza eccezionale. Il
paracetamolo è l’unico antipiretico che può essere eventualmente impiegato fin dalla nascita.
La somministrazione contemporanea del paracetamolo
e dell’ibuprofene sembrerebbe ottenere un maggior effetto
terapeutico in confronto all’uso separato: tuttavia, la possibilità di un aumento del rischio ne sconsiglia l’utilizzazione nella corrente pratica clinica. D’altra parte, per la
scarsa evidenza di un beneficio o di un pericolo del trattamento combinato, in confronto all’uso di uno o dell’altro
farmaco, non si vede perché essi debbano essere combinati
quando è presente un ottimo effetto con la monoterapia.
L’uso alternato di paracetamolo e di ibuprofene, ogni
4 ore, si è dimostrato più efficace nella riduzione della
febbre dell’uso separato eppure non viene raccomandato
per le scarse evidenze disponibili.
Il sospetto che il paracetamolo, usato nel primo anno
vita, si associ a sensibilizzazione allergica e da asma non
è stato confermato da studi recenti; tuttavia, il suo uso va
evitato in bambini con asma o a rischio di asma.
Gli agenti antipiretici si sono dimostrati inefficaci per
la prevenzione della ricomparsa della convulsione febbrile
in soggetti con febbre; non sono raccomandati nemmeno
per ridurre l’incidenza della febbre e le reazioni locali alle
vaccinazioni.
È stato rilevato che la somministrazione preventiva
di paracetamolo nelle reazioni febbrili si accompagna a
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un’attenuazione delle risposte anticorpali nei bambini
dopo la vaccinazione: l’attenuazione è talmente lieve da
non avere alcuna importanza nella pratica corrente, con
i vaccini oggi a disposizione.
Anche i glucocorticoidi sono potenti antipiretici,
perché anch’essi inibiscono oltre alla ciclo-ossigenasi e
alla produzione di IL-1, anche la trascrizione dell’RNA
messaggero delle citochine pirogeniche. Tuttavia, anche
i glucocorticoidi sono dei potenti immunosoppressori e
dimostrano un forte effetto antifagocitario; per questo
possiedono una diretta influenza sulle capacità di difesa
dell’organismo. Essi non vanno quindi usati come semplici
antipiretici (sono stati definiti aspirina a caro prezzo), ma
vanno usati solo in situazioni ben precise, nelle quali la
diagnosi sia assolutamente sicura. I corticosteroidi, infatti,
creano una specie di cortina fumogena attraverso la quale
si vede con grande difficoltà la causa vera della febbre.
I bambini con febbre molto elevata (≥41 °C) sono a
rischio di avere una malattia infettiva virale o batterica,
eventualmente anche come coinfezione. Nessun aspetto
clinico permette in realtà di distinguere fra una malattia
batterica o virale. Il pediatra pratico deve sempre prendere
in considerazione un trattamento antibiotico per tutti i
bambini con febbre molto elevata, senza che sia disponibile
una conferma di malattia virale. L’avvenuta vaccinazione
contro lo pneumococco con il vaccino coniugato aiuta
spesso a risolvere il problema.
Una volta stabilito che si tratti di un’ipertermia, gli
antipiretici non hanno nessuna validità; in questi pazienti
le spugnature fredde o il bagno freddo rappresentano
l’intervento corretto. Essi vanno applicati immediatamente
dopo la diagnosi, insieme alla somministrazione di liquidi
per via venosa.
Risposte immunitarie, innate
e adattive, all’infezione
Delle risposte immunitarie, sia innate sia adattive, si è già
parlato ampiamente nel Capitolo 7.
Altre risposte all’infezione
Durante l’infezione, l’organismo consuma prima tutti i
suoi depositi energetici e successivamente utilizza, per
sopperire alle spese richieste dalle difese, anche i suoi
stessi tessuti.
Ne deriva che il recupero completo da una grave
infezione può richiedere anche settimane o mesi, per
reintegrare le perdite di tessuto e le scorte. Il periodo di
convalescenza di una malattia infettiva rappresenta perciò
un momento estremamente critico per il soggetto, per
la possibilità d’infezioni secondarie o sovrammesse da
nuovi microrganismi. Finché le riserve non siano state
ripristinate, è probabile che si instauri un circolo vizioso,
costituito da infezioni ricorrenti e da una progressiva
malnutrizione.
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
Il bilancio dell’azoto non si mantiene negativo solo durante il periodo d’incubazione di un’infezione ma rimane
tale durante tutta la fase acuta della malattia. Le perdite
di azoto in un adulto possono raggiungere i 10-15 g al
giorno, in caso di febbre elevata; una malattia infettiva
acuta può portare complessivamente a perdite di 100 g
di proteine. Perdite simili non possono essere sostenute
a lungo: quando l’infezione diviene subacuta o cronica
viene raggiunto uno stato di equilibrio a livelli molto bassi,
vicini alla cachessia.
A parte il glucosio, derivato dal glicogeno del fegato
e dei muscoli, la maggior parte delle richieste di glucosio
è coperta dai meccanismi della gluconeogenesi epatica. A
questo punto le necessità energetiche dei tessuti derivano
largamente dai grassi. Si rendono così disponibili acidi
grassi liberi che sono immediatamente metabolizzati. La
presenza di corpi chetonici nelle urine di bambini con
malattie infettive è reperto frequentissimo e va interpretata
solo come una conseguenza della malattia infettiva e non
come l’origine dei sintomi. Questa situazione non richiede
alcun trattamento, se non eventualmente la somministrazione di glucosio o saccarosio per os: i grassi bruciano
al fuoco dei carboidrati, quando questi vengono a mancare
fanno fumo. Il fumo sono i corpi chetonici.
Durante il decorso delle malattie infettive esistono
modificazioni profonde di vari minerali: mentre alcuni
vengono perduti in grande quantità, altri mostrano una
ridistribuzione o una sequestrazione in alcuni organi. Fosforo, magnesio, potassio, zolfo e calcio sono perduti con
le urine, parallelamente alla perdita di azoto. Il ferro, lo
zinco e il rame vanno invece incontro a una ridistribuzione. La concentrazione di ferro e di zinco durante la febbre
cade bruscamente nel plasma, perché questi minerali sono
trattenuti dal fegato: il ferro è immagazzinato come emosiderina o ferritina mentre lo zinco rimane confinato come
tale nell’epatocita. Il rame, invece, è secreto dal fegato
nel plasma, dove si lega con la ceruloplasmina di sintesi
recente. Mentre le cadute delle concentrazioni di ferro e
di zinco precedono l’inizio della febbre, il rame aumenta
nel siero dopo la sua comparsa.
Durante le malattie infettive, il metabolismo di molte
vitamine è accelerato: vitamina C, vitamine del gruppo B,
folati. Non esistono, tuttavia, prove sicure che dosi elevate
di vitamina C preservino dalle infezioni delle vie aeree
superiori né che sia necessario somministrare vitamina C
e complesso B durante o dopo malattie infettive o durante
o dopo la somministrazione di antibiotici.
Nella maggior parte delle infezioni acute si manifesta
un’iperincrezione di aldosterone che porta a una riduzione
di sodio e di cloro nelle urine, insieme a una loro ritenzione nei liquidi dell’organismo: ne consegue un aumento del
volume del liquido extracellulare. L’abbondante diuresi
che si verifica nella convalescenza è la prova evidente di
tutto questo. Ma la ritenzione di acqua può anche essere
secondaria a un’inappropriata secrezione di ADH, fenomeno relativamente comune nelle infezioni del sistema
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nervoso centrale (meningiti, encefaliti) o comunque nelle
gravi infezioni generalizzate del neonato e del lattante.
Alcune risposte endocrine (ACTH e GH) aiutano a
modulare il metabolismo dell’acqua e dei sali e a mettere
a disposizione nutrienti.
I glucocorticoidi, d’altra parte, influenzano la capacità di
un paziente di rispondere a situazioni di stress: la secrezione
di cortisolo aumenta infatti di molte volte nella fase iniziale
della febbre. Anche la secrezione midollare di catecolamine
aumenta nelle infezioni gravi: essa contribuisce in modo
determinante all’accelerazione della gluconeogenesi durante
l’infezione. Anche l’insulina e il glucagone circolano in
aumentate concentrazioni nelle malattie infettive.
L’inizio della febbre si accompagna ad anoressia, come
manifestazione di difesa di un organismo che con la febbre
presenta attività in parte compromesse. L’attività secretoria gastrica, sia come acido cloridrico sia come pepsina,
è notevolmente ridotta, per cui i cibi ingeriti rimangono
a lungo nello stomaco e spesso sono vomitati a distanza
anche di molte ore (8-12 ore) dall’ingestione, nelle stesse
precise condizioni in cui erano al momento dell’assunzione. Nel passato per molti e ancora oggi per alcuni, l’emissione di alimenti intatti con il vomito in corso di febbre
fa parlare tout court di cattiva digestione confondendo,
ancora una volta, la conseguenza con la causa prima.
L’infezione comporta inoltre il coinvolgimento delle
difese umorali e cellulari del bambino che condizionano
il tipo e la qualità dei sintomi e dei segni, secondo queste
modalità:
• le manifestazioni delle malattie infettive sono dovute
non solo ai patogeni ma alla loro interazione con il
sistema immune dell’ospite;
• sia il tipo di risposta immune sia le caratteristiche dell’agente infettante determinano se la malattia sarà di
tipo acuto, protratto o cronico;
• poiché le risposte immuni del bambino sono collegate
all’età, le manifestazioni e l’evoluzione di alcune infezioni
dipendono dal momento in cui si trova il suo sviluppo;
• lo stato immune del lattante è modificato da fattori
materni, trasferiti durante la vita fetale, attraverso la
placenta e durante il 1° anno, attraverso l’assunzione
del latte materno;
• poiché la resistenza alla maggior parte delle comuni
infezioni può essere indotta dalla vaccinazione, è importante che il pediatra conosca le strategie immunologiche da usare nelle singole malattie.
Ne consegue che le risposte all’infezione sono regolate
fondamentalmente da fattori genetici che entrano in gioco
anche nel passaggio da infezione a malattia.
Proteine della fase acuta
Durante i processi infiammatori, conseguenti all’infezione,
si verificano numerose modificazioni umorali aspecifiche,
alle quali è stato dato il nome di risposte della fase acuta,
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
anche se esse si mettono in moto dopo processi sia infiammatori acuti sia cronici. Questi cambiamenti comportano
modificazioni di molte proteine plasmatiche, chiamate
appunto proteine della fase acuta.
Per proteina della fase acuta si intende una proteina la
cui concentrazione plasmatica aumenta (proteine positive
della fase acuta) o diminuisce (proteine negative della fase
acuta) di almeno il 25% durante le alterazioni infiammatorie (Tabella 32.4). Queste variazioni sono strettamente
legate alle modificazioni nella loro produzione da parte
dell’epatocita. La grandezza dell’aumento varia da circa
il 50%, nel caso della ceruloplasmina, a più di 1.000
volte, come nel caso della proteina C-reattiva (PCR).
Le condizioni che portano a modificazioni sostanziali
TAB EL L A 32 .4
delle concentrazioni plasmatiche delle proteine della fase
acuta comprendono le infezioni, i traumi, gli interventi
chirurgici, le ustioni, gli infarti di tessuto, varie condizioni
infiammatorie indotte immunologicamente o da cristalli
(gotta) e il cancro in stadio avanzato.
Anche se può accadere che tutte le diverse proteine
aumentino insieme, in generale il loro aumento non è
uniforme in tutti i pazienti con la stessa malattia. Così, i
pazienti con febbre possono avere normali concentrazioni
plasmatiche di PCR e diverse concentrazioni di altre proteine. Queste variazioni indicano che le diverse componenti sono regolate singolarmente e che esistono differenze
nelle modalità di produzione delle diverse proteine o dei
loro modulatori, in differenti stati patologici.
Proteine della fase acuta negli umani
Livello di concentrazione delle PFA
Sistemi interessati
Proteine
Aumento della concentrazione
Sistema del complemento
C3, C4, C9
Fattore B
Inibitore del C1
Proteina legante il C4b
Lectina legante il mannosio
Sistema della coagulazione
e fibrinolitico
Fibrinogeno
Plasminogeno
Attivatore del plasminogeno tissutale
Urochinasi
Proteina S
Vitronectina
Inibitore 1 dell’attivatore del plasminogeno
Antiproteasi
Inibitore dell’␣1-proteasi
␣1-antichinotripsina
Inibitore pancreatico della secrezione di tripsina
Inibitore della inter-␣-tripsina
Proteine di trasporto
Ceruloplasmina
Aptoglobina
Emopessina
Partecipanti alle risposte
infiammatorie
Fosfolipasi A2 secreta
Proteina legante i lipopolisaccaridi
Antagonista dei recettori dell’IL-1
Fattore stimolante le colonie di granulociti
Altri
Proteina C reattiva (PCR)
Procalcitonina
Amiloide A sierica
Glicoproteina ␣1-acida
Fibronectina
Ferritina
Angiotensinogeno
Albumina
Transferrina
Transtiretina
␣2-HS glicoproteina
␣-fetoproteina
Globulina legante la tiroxina
Fattore di crescita 1, insulino-simile
Fattore XII
Diminuzione della concentrazione
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
L’induzione delle proteine della fase acuta avviene essenzialmente a opera delle citochine (soprattutto IL-6) e di
altre molecole extracellulari di segnalazione.
Si ritiene che i cambiamenti nelle concentrazioni plasmatiche di queste proteine siano utili per l’organismo:
questo assunto si basa sulle conosciute capacità funzionali
di alcune di queste proteine e sulle conoscenze di come
esse possano servire per la guarigione o per l’adattamento
allo stimolo nocivo. L’infiammazione risulta quindi correlata a un complesso, ben orchestrato, di processi, che
interessano un gran numero di tipi cellulari e di molecole,
che in parte iniziano, amplificano e mantengono i processi
infiammatori, alcuni dei quali si attenuano e alcuni dei
quali si risolvono. Molte delle molecole che partecipano
al processo sono multifunzionali e contribuiscono alla
crescita e alla diminuzione dell’infiammazione a differenti
punti della sua evoluzione.
La principale funzione della PCR, un componente del
sistema immune innato, è per esempio la sua capacità di
legarsi alla fosfocolina di alcuni patogeni estranei, come
anche ai fosfolipidi delle cellule danneggiate. Essa può attivare il sistema del complemento e può legarsi alle cellule
fagocitarie; per questo motivo può iniziare l’eliminazione
delle cellule bersaglio (Figura 32.2).
Come tutti i fenomeni associati all’infiammazione, non
tutte le risposte della fase acuta sono alla lunga benefiche:
l’anemia e il ritardo di crescita sono le conseguenze più
importanti.
FIGURA 32.2 - Modificazioni caratteristiche delle concentrazioni
plasmatiche di alcune proteine della fase acuta, dopo un moderato
stimolo infiammatorio. (Da: Gabay C: Acutephase proteins
and other systemic responses to inflammatio, N Engl J Med
340:448-54, 1999.)
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Nella pratica, gli indicatori più spesso usati per valutare le risposte della fase acuta sono la velocità di eritrosedimentazione dei globuli rossi (VES), la PCR e la
procalcitonina.
La VES dipende essenzialmente dalla concentrazione di
fibrinogeno: i suoi grandi vantaggi sono la semplicità e la
familiarità nell’interpretazione, sulla base dell’esperienza
accumulata in quasi 100 anni. D’altra parte la determinazione della PCR ha molti vantaggi sulla VES. La VES è una
determinazione indiretta della concentrazione delle proteine
della fase acuta e può essere influenzata dalla grandezza,
dalla forma e dal numero degli eritrociti, ma anche da
altri costituenti del plasma, come le immunoglobuline. Ne
deriva che i risultati possono essere imprecisi e fuorvianti.
D’altra parte oggi il fibrinogeno può essere valutato direttamente. Inoltre, il valore della VES si modifica lentamente
in confronto alla situazione clinica del paziente, mentre la
PCR plasmatica cambia di concentrazione rapidamente.
L’ampiezza dei valori anormali della PCR è più larga di
quella dei valori anormali della VES. Fra i soggetti che
hanno le concentrazioni plasmatiche di PCR superiori a
10 mg/dL, l’80-85% ha infezioni batteriche. I valori della
VES, inoltre, aumentano con l’età mentre quelli della PCR
plasmatica no. L’utilità clinica della VES è risultata in questi
ultimi anni gravemente compromessa; la ricerca della VES
è giustificata soltanto nelle malattie reumatologiche.
La PCR è una proteina della fase acuta, sintetizzata
dal fegato in risposta ai livelli di citochine: essa si produce entro 4-6 ore dall’inizio della lesione di tessuto o
dall’infiammazione e si raddoppia ogni 8 ore prima di
raggiungere il massimo dopo 36 ore.
La procalcitonina (PCT) è il pro-ormone della calcitonina; è normalmente escreto dalle cellule C della tiroide
in risposta all’ipercalcemia. In corso di infezioni, la sua
produzione è stimolata dal rilascio di citochine o dei lipopolisaccaridi. Essa aumenta rapidamente soltanto nelle
infezioni batteriche mentre i suoi valori rimangono bassi
nei pazienti infettati da virus (a eccezione delle infezioni
da adenovirus) o sofferenti di altre malattie infiammatorie di origine non infettiva o tumorali. I valori circolanti
nel soggetto normale sono al di sotto o molto vicini allo 0,01 ng/mL (ovvero 10 ng/L). Nelle infezioni virali,
essa aumenta leggermente e supera raramente il limite
di 1 ng/mL. Al contrario, durante le malattie infettive di
origine batterica, i suoi valori aumentano notevolmente
e possono raggiungere anche i 200 ng/dL. Il dosaggio
della PCT è oggi molto diffuso, anche sulla base della
specificità e della sensibilità che la caratterizzano. La PCT
è una proteina costituita da 116 aminoacidi, con un peso
molecolare di 12.793 Da. La proteina è sintetizzata dal
fegato, sotto lo stimolo del TNF e dell’IL-6. Per il suo
dosaggio è in commercio un kit (Brahms Diagnostica,
Berlino, Germania) che è in grado di determinare valori fra
0,1 e 500 ng/mL, usando solo 20 ␮L di plasma. Il tempo
richiesto per il dosaggio è di 2 ore. Non è stato ancora
determinato il ruolo della procalcitonina nelle infezioni.
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
A differenza di altri indicatori, come la velocità di sedimentazione e la proteina C-reattiva, la procalcitonina
rimane bassa nelle malattie infiammatorie non batteriche,
come il LES, nelle malattie del tessuto connettivo e nelle
malattie infiammatorie dell’intestino. Per la sua specificità
è probabile che il dosaggio della procalcitonina rappresenti nel futuro l’indicatore di scelta contro le malattie
batteriche. Il dosaggio della PCT contribuisce in modo
decisivo alla diagnosi differenziale in pazienti con situazioni emato-oncologiche e concentrazione elevata di PCR:
in tal modo, questa prova facilita le decisioni terapeutiche
da intraprendere.
Alla PCR e alla PCT, si è aggiunta di recente la pentraxina 3, appartenente alla famiglia delle pentraxine, i cui
capostipiti sono la proteina amiloide del siero e la PCR.
Si tratta di una proteina espressa dalle cellule endoteliali,
dagli epatociti, dai fibroblasti e dai monociti in risposta al
lipopolisaccaride batterico o alle citochine infiammatorie.
Grazie all’attività della pentraxina 3 sono sintetizzate molecole ad attività proinfiammatoria e procoagulante. Viene
ricercata anche nelle patologie ischemiche cardiache.
munità umorale e il sistema del complemento risentono
di una situazione di grave malnutrizione. Una malnutrizione di grado modesto ha invece uno scarso effetto
sulla fagocitosi e sulla sintesi di anticorpi ma ha ancora
conseguenze sull’immunità cellulomediata e sui livelli dei
fattori del complemento. È per questo che le vaccinazioni
con virus vivi attenuati devono essere eseguite con particolare attenzione nei bambini malnutriti.
Infezione e nutrizione
Trasmissione degli agenti infettivi
È ormai sicuro che esiste un’interazione fra infezione e
nutrizione, nel senso che ambedue si influenzano reciprocamente.
I bambini, soprattutto quelli nella prima e nella seconda
infanzia, sono caratterizzati da un numero elevato di infezioni: questo è dovuto in parte alla loro mancanza di
difese precostituite verso tutti gli agenti patogeni, avendo
perduto durante il primo anno di vita l’immunità passiva,
conferita dalla madre, in parte all’incompleto sviluppo dei
loro sistemi difensivi, essenzialmente quelli di tipo cellulare,
e in parte, infine, al particolare tropismo che alcuni agenti
infettivi (essenzialmente virus) hanno per i tessuti giovani.
La trasmissione degli agenti infettivi, quindi, rappresenta in pediatria uno dei problemi più importanti perché è
attraverso questa trasmissione che l’agente infettivo passa
da un soggetto infetto a uno suscettibile. Le vie di trasmissione più comuni sono riportate nella Tabella 32.5. Nella
trasmissione attraverso oggetti di uso comune, sono da
considerare in primo luogo gli oggetti inanimati contaminati come i cibi, le attrezzature mediche, le soluzioni, le
medicazioni e le stesse trasfusioni: la diffusione sarà tanto
più frequente quanto maggiore sarà la possibilità, per
l’agente patogeno (salmonelle, stafilococco, Clostridia),
di moltiplicarsi nel veicolo (cibi, per esempio).
La trasmissione mediante vettori interessa essenzialmente gli insetti, che trasportano passivamente (mosca) o
agiscono come ospite intermedio (zanzara per il parassita
della malaria, zecca per altre malattie).
Un’altra importante modalità di trasmissione avviene
per contatto e, in particolare, per contatto diretto e indiretto. In questa condizione è essenziale un contatto fisico
fra la sorgente dell’agente infettivo e il ricevente, come
può avvenire in caso di infezione cutanea da stafilococco
aureo o da vescicole dovute all’herpes simplex o a lesioni
Effetti dell’infezione sulla nutrizione
Il bambino con la febbre perde peso ma, superata la malattia, nello stadio precoce della convalescenza aumenta
notevolmente l’introito di cibo per riportare allo stato
originale i propri tessuti e le proprie scorte. Per limitare
le perdite di peso può essere utile, nella prima fase della
malattia acuta, l’uso di soluzioni ricche di zuccheri semplici (per esempio, succhi di frutta naturali, tè zuccherato) e
successivamente di altri nutrienti, in quantità compatibile
con le condizioni generali e in particolare con la situazione
della funzione intestinale.
Effetti della nutrizione
e della malnutrizione sull’infezione
I lattanti, alimentati al seno, sono meno suscettibili ad
alcune infezioni (malattie delle vie aeree superiori, otiti,
gastroenteriti, infezioni delle vie urinarie) dei lattanti
alimentati con latti in polvere o direttamente con latte
vaccino.
Sono conosciuti da tutti gli effetti aggravanti che possono avere reciprocamente malnutrizione e infezione, sia
perché la maggior parte dei meccanismi di difesa sono
molto sensibili alle carenze alimentari sia perché un evento
infettivo acuto può precipitare una situazione di malnutrizione. La fagocitosi, l’immunità cellulomediata, l’im-
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TA BELLA 32.5
Modalità di trasmissione
dell’agente patogeno
• Per via aerea
• Per sostanze od oggetti di uso comune
• Per contatto
• diretto
• indiretto
• con trasmissione oro-fecale
• attraverso goccioline respiratorie
• con trasmissione endogena (autoinfezione)
• Per vettori
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
cutanee da streptococco gruppo A. Non è detto che la
diffusione avvenga sempre direttamente; essa, infatti, può
trasmettersi con il contatto delle mani dello stesso soggetto
infetto o di un’altra persona.
Anche nella trasmissione oro-fecale (epatite A, Salmonella, Shigella) l’inoculazione può avvenire tramite le mani.
Il lavaggio frequente delle mani, soprattutto in ambiente
ospedaliero, si è dimostrato un utile mezzo per limitare la
diffusione degli agenti patogeni. È altrettanto frequente la
trasmissione attraverso l’acqua o i cibi. Negli USA è stato
calcolato che ogni anno si verificano 76 milioni di malattie
dovute all’ingestione di cibi, soprattutto frutti di mare
(dal 10 al 19% del totale). Gli agenti infettivi originati
dai frutti di mare possono essere virus, batteri e parassiti.
Si deve ricordare che gran parte dei casi di febbre tifoide
e di epatite A origina in Italia in seguito all’ingestione di
frutti di mare crudi.
La trasmissione tramite goccioline respiratorie è la più
frequente via di trasmissione in età pediatrica. La tosse, gli
starnuti o il semplice parlare (soprattutto pronunciare la
lettera t) producono decine di migliaia di goccioline (classicamente chiamate goccioline di Pflügge) contenenti microrganismi presenti in faringe o nelle vie aeree. Queste
goccioline si diffondono dal soggetto che emette per non
più di un metro di distanza; oltre questo limite esse si depositano sulle superfici vicine. Alcuni patogeni come l’Haemophilus influenzae, la Neisseria meningitidis, lo Streptococcus
pneumoniae, la Bordetella pertussis, il Mycobacterium
tuberculosis e lo streptococco gruppo A si diffondono attraverso questa via. Anche i virus che colpiscono le vie aeree
(per esempio, il virus respiratorio sinciziale) seguono questa
modalità di diffusione. Questi agenti non si identificano con
quelli che si trasmettono per via aerea perché essi hanno
bisogno di un contatto stretto fra ammalato e suscettibile,
con una distanza che non superi il metro. Questo tipo di
infezioni può essere benissimo evitato con l’applicazione
di una maschera al soggetto infetto. Le malattie diffuse
attraverso le goccioline vengono raramente contratte passeggiando nella stanza di un soggetto ammalato o incrociando una persona che risulti infetta.
In particolare, lo streptococco gruppo A, pur ritrovandosi nell’ambiente, non diffonde mai per altra via che non
sia quella delle goccioline perché l’essiccamento, cui va
incontro nell’ambiente, determina una perdita completa
della sua virulenza.
La trasmissione per via aerea è invece un’evenienza non
molto frequente: essa è di sicuro in gioco nella trasmissione della tubercolosi, per l’essiccamento nell’ambiente
del Mycobacterium tuberculosis emesso con le goccioline
respiratorie; questo agente, molto resistente nell’ambiente, ricircola facilmente quando un filo di aria sollevi la
polvere o il microbatterio sia diffuso da un impianto di
condizionamento o di ricircolo di aria infettata. Anche la
legionella, l’agente della febbre Q e alcuni funghi possono
seguire, per l’infezione, la via aerea. Anche per la varicella
è ammessa la via aerea.
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Mentre le scuole non presentano un alto rischio di diffusione per le malattie infettive perché il contatto stretto è
meno frequente e limitato di quanto non sia, per esempio,
nella propria casa, gli asili nido, soprattutto, ma anche
le scuole materne sembrano amplificare il rischio d’infezione. Ormai il pediatra ha inserito nell’anamnesi, fra le
domande che pone ai genitori di un bambino con malattia
infettiva acuta delle vie aeree superiori, la domanda cruciale: «Il vostro bambino va all’asilo nido o alla scuola
materna?». In un ambiente ristretto e affollato, come è
spesso quello dell’asilo nido, le infezioni si trasmettono
attraverso molte vie: tuttavia, esse sono più frequenti fra i
bambini che usano il pannolino che fra quelli che usano la
toilette; forse, però, queste differenze sono legate soprattutto all’età. I bambini della prima infanzia presentano
anche comportamenti che favoriscono la diffusione dei
patogeni respiratori, come il virus respiratorio sinciziale. I
bambini piccoli, che mettono tutto in bocca, contaminano
facilmente giocattoli e altri oggetti, che poi passano nella
bocca di altri. Il 30% dei bambini che vivono al proprio
domicilio ha 6 o più infezioni respiratorie in un anno, contro il 70% di quelli che frequentano la scuola materna.
Un’altra circostanza che facilita la diffusione delle infezioni è rappresentata dal ricovero in ospedale (infezioni
ospedaliere), sia direttamente da paziente a paziente, sia
attraverso gli addetti all’assistenza o attraverso strumenti
o oggetti. In un confronto fra il 1975 e il 1995, negli USA,
contro una riduzione, anche notevole, del numero delle
ammissioni, dei giorni di degenza media, del numero dei
soggetti operati, l’unico dato in controtendenza è risultata
l’incidenza delle infezioni nosocomiali che è passata da
7,2 su 1.000 pazienti al giorno a 9,8. Il fenomeno è aggravato dal fatto che spesso i microrganismi, acquisiti in
ospedale, sono multifarmacoresistenti. Questo forte carico
di infezioni ha avuto evidenti ripercussioni economiche
che hanno determinato un’attenzione particolare e insieme
la messa in atto di intense azioni preventive.
Uno dei fattori che più spesso sono risultati essenziali per
il diffondersi di malattie è riultato quello dei viaggi all’estero
in aree fortemente endemiche per infezioni, sconosciute in
Italia; un esempio è la triste moda del turismo sessuale.
Anche la presenza nell’ambiente domestico di animali
concorre alla trasmissione di infezioni e malattie.
Notifica delle malattie infettive
La diagnosi di malattia infettiva e la sorveglianza delle
forme diffusive, insieme al monitoraggio delle reazioni avverse al vaccino, rappresentano aspetti fondamentali nella
prevenzione delle malattie trasmissibili. Senza conoscere a
fondo la situazione reale del Paese e la sua evoluzione nel
tempo, soprattutto in seguito all’introduzione delle vaccinazioni, non sarà mai possibile preparare un programma
efficiente per limitarne la diffusione, fino alla scomparsa.
Quindi tutti i medici devono notificare attraverso le vie più
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
semplici (anche con una banale telefonata) le diverse malattie infettive che incontrano giornalmente nell’esercizio
della loro professione. Si tratta fondamentalmente di assolvere a un obbligo etico-morale più che assistenziale.
Per adeguarsi alle mutate condizioni epidemiologiche e
per la necessità di renderlo più agile e più aderente alla realtà, il sistema di notifica delle malattie infettive ha subito
agli inizi degli anni Novanta una profonda revisione (DM
del 15 dicembre 1990, GU, serie generale, n. 6, 8 gennaio
1991). Le malattie infettive sono state suddivise in cinque
classi: dall’esame della Tabella 32.6 si rileva che sono state
estromesse alcune malattie di particolare interesse pediatrico, prima fra tutte l’embriopatia rubeolica, elemento
essenziale per intraprendere un’efficace campagna a favore
della vaccinazione contro la rosolia. Solo alla fine del 2004
(DM del 14 ottobre 2004), si stabilisce che i neonati con
rosolia congenita vanno notificati, inserendo la malattia
nella Classe III.
La notifica, effettuata dal medico per ogni caso di malattia, può avvenire attraverso un modulo unico da trasmettere
alla ASL di competenza (per posta, per fax), o attraverso
TAB EL L A 32 .6
Flusso informativo del sistema di notifica delle malattie infettive e diffusive
Classe
Classe I
Malattie che rivestono particolare interesse
o che rientrano nel regolamento sanitario
internazionale
Tempi massimi di segnalazione Malattie
dal medico alla ASL
12 ore
Classe II
Malattie rilevanti perché di elevata frequenza 48 ore
e/o passibili di interventi di controllo
Classe III
Malattie per le quali sono richieste particolari 48 ore
documentazioni
Classe IV
24 ore
Malattie per le quali alla segnalazione
del singolo caso da parte del medico
deve seguire la segnalazione dell’Unità
Sanitaria Locale solo quando si verifichino
focolai epidemici
Classe V
Malattie infettive e diffusive non comprese
nelle classi precedenti, nonché zoonosi
di cui al DPR n. 320 del 1954. Ove tali
malattie assumano le caratteristiche
di focolaio epidemico, saranno segnalate
con le modalità previste dalla classe IV
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altre modalità (per esempio, telefono o e-mail); la ASL di
competenza a sua volta provvede a compilare un’apposita
scheda (modello 15) a seconda della classe di appartenenza
della malattia. A parte le malattie della classe I (notificate
entro 12 ore per fax o per telefono), l’invio delle notifiche da
parte delle Aziende ha una cadenza mensile. La Regione, a
sua volta, invia all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), al Ministero della Sanità e all’ISTAT i modelli individuali e i riepiloghi mensili suddivisi per provincia, fasce di età e sesso.
A questo sistema fa eccezione l’AIDS, che viene notificato direttamente all’Assessorato regionale alla Sanità e
all’ISS dal medico stesso, che accerta il caso.
L’allontanamento dalla scuola dei bambini con malattie
infettive è una misura preventiva che mira a diminuire il
numero di casi secondari nella comunità. Purtroppo capita
in alcune malattie che sia deciso di «chiudere la stalla
quando i buoi sono già scappati». Le raccomandazioni
in tema di allontanamento scolastico dei pazienti con
malattie infettive sono contenute nella circolare n. 4 del
Ministero della Sanità (Misure di profilassi per esigenze
di sanità pubblica), del 13 marzo 1998.
Botulismo, colera, difterite, febbre gialla, febbre ricorrente
epidemica, febbri emorragiche virali (febbre di Lassa,
Marburg, Ebola), influenza con isolamento virale, peste,
poliomielite, rabbia, tetano, tifo esantematico, trichinosi
Blenorragia, brucellosi, diarree infettive non da salmonella,
epatite virale A, epatite virale B, epatite virale non B,
epatite virale non specificata, febbre tifoide, legionellosi,
leishmaniosi cutanea, leishmaniosi viscerale, meningite
ed encefalite acuta virale, leptospirosi, listeriosi,
meningite meningococcica, morbillo, parotite, pertosse,
rickettsiosi diversa dal tifo esantematico, rosolia,
salmonellosi non tifoidee, scarlattina, sifilide
con manifestazioni contagiose, tularemia, varicella
AIDS, lebbra, malaria, micobatteriosi non tubercolare,
tubercolosi
Dermatofitosi (tigna), infezioni, tossinfezioni e infestazioni
di origine alimentare, pediculosi, scabbia
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
Una delle ragioni dello scarso attenersi dei medici, pediatri in prima fila, alle normative della notifica delle malattie
infettive è fondamentalmente legata alla sensazione, a volte
sicuramente comprovata, della scarsa attenzione e quindi
dello scarso risultato pratico ricavato dalle notifiche. Se, attraverso una qualsiasi forma di comunicazione (per esempio,
bollettino dell’Ordine dei Medici), mese dopo mese, venisse comunicato ai medici pratici l’andamento delle diverse
malattie infettive, ci si potrebbe aspettare una maggiore
osservazione delle giuste disposizioni del Ministero della
Sanità. Se non esiste una ricaduta delle notizie trasmesse in
tempi brevi, diventa superfluo ogni incentivo alla notifica.
Per quanto riguarda l’influenza, è stato raggiunto un accordo tra il Ministero della Sanità, le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano per l’istituzione di una
rete sentinella (medicina generale e pediatri) per la sorveglianza epidemiologica e virologica dell’influenza (Conferenza Stato-Regioni del 28 settembre 2000). L’Istituto
Superiore di Sanità ha coordinato il progetto SIMI (Sistema
di Sorveglianza delle Malattie Infettive), che, avviato nel
1994, mira a migliorare la qualità del sistema di notifica
delle malattie infettive e a favorire l’utilizzo tempestivo dei
dati raccolti.
Informazioni
La banca dati SIMI è fruibile al seguente indirizzo
www.simi.iss.it
Diagnosi di laboratorio per la ricerca
dell’eziologia delle malattie infettive
batteriche e virali
Vi sono molte ragioni che inducono il medico a ricercare
la diagnosi eziologica di una malattia infettiva:
• per intraprendere una cura appropriata e per porre una
giusta prognosi;
• per sfruttare l’informazione ottenuta al fine d’intraprendere un’opportuna opera di profilassi fra i suscettibili;
• per la possibilità che si tratti di un agente nuovo o poco
conosciuto. In tal modo, come è avvenuto a suo tempo
per il virus dell’epatite B, per l’HIV e per la Legionella
pneumophila, si aprono nuovi capitoli della medicina
e della pediatria.
Il sospetto diagnostico di una malattia è soprattutto opera
del ragionamento clinico ma spesso l’isolamento e l’identificazione dell’agente eziologico specifico rappresentano momenti importanti di conferma diagnostica. A volte, quando
l’isolamento dell’agente non è possibile, la diagnosi deve
essere posta sulla base di ricerche sierologiche: talvolta, la
sintomatologia è così aspecifica che il laboratorio può servire
non tanto come conferma quanto per scartare l’ipotesi di un
agente causale. Per questo è importante che quanti affrontano problemi di assistenza abbiano familiarità con alcuni
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concetti generali che riguardano la raccolta e il trasporto del
campione e l’identificazione dell’agente sospettato.
I metodi tradizionali per l’identificazione di un patogeno prevedono l’esame diretto al microscopio, la sua
coltivazione, le prove sierologiche e la dimostrazione
molecolare del suo genoma (DNA ed RNA).
Abbastanza spesso alcuni agenti infettivi, come i microbatteri, i funghi e i virus sono tuttavia difficilissimi
da coltivare: in questi casi, in passato, ci si rivolgeva ai
metodi sierologici, all’istologia e, più di recente, alla diagnosi molecolare.
Oggi fortunatamente sono a disposizione del laboratorio specifici metodi (contro immunoelettroforesi o immunofluorescenza) per il riconoscimento degli antigeni di
H. influenzae, N. meningitidis, S. pneumoniae, streptococco
gruppo B, E. coli, ai quali di recente si sono aggiunti metodi
molecolari per l’identificazione degli agenti infettivi attraverso la diretta dimostrazione delle loro sequenze di DNA e
di RNA, grazie all’amplificazione ottenibile con la reazione
polimerasica a catena (PCR, Polymerase Chain Reaction).
L’applicazione di queste tecniche, uniche per ogni agente
infettivo, ha permesso di abbreviare il tempo necessario
per l’identificazione dell’agente, allargando il numero dei
microrganismi ricercabili e migliorando l’accuratezza della
tipizzazione del patogeno per studi epidemiologici.
Il medico deve interagire con il laboratorio, soprattutto
quello di microbiologia. In questo caso la migliore comunicazione corrisponde ai migliori risultati.
Ricerca delle proteine della fase acuta
Si è già parlato delle diverse proteine della fase acuta e
delle loro caratteristiche. Come visto, la determinazione
della VES non ha, a parte le malattie reumatologiche,
alcuna effettiva ragione per essere praticata.
Rimangono da discutere alcuni aspetti pratici di grande
importanza:
• qual è la prova utile per distinguere una malattia di
origine batterica da una di origine virale?
• l’uso della PCT può rappresentare l’unico esame nel
neonato per la diagnosi d’infezione batterica?
• fra la prova della proteina C reattiva e quella della
procalcitonina, quale è preferibile?
La distinzione, mediante il laboratorio, fra malattia infettiva di origine batterica e malattia infettiva di origine
virale è da sempre il problema di base per attuare l’uso
corretto di antibiotici. Va subito detto che una distinzione
precisa al 100% fra le due possibilità è ancora, al giorno
d’oggi, non realizzabile. Tuttavia, sia la PCR sia la PCT
hanno un miglior valore predittivo, in confronto alla VES
e alla conta dei globuli bianchi, per la diagnosi d’infezione
batterica grave; questo rilievo è particolarmente evidente
nella distinzione fra una meningite batterica e una meningite virale. In paricolare, la PCT sembrerebbe essere più
indicativa della PCR nelle infezioni delle meningi.
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
Concentrazioni plasmatiche relative
La procalcitonina si è dimostrata efficace nel guidare
la durata e l’intensità della terapia antimicrobica e quindi
la permanenza in ospedale.
Nei neonati con febbre, apparentemente normali, la
ricerca delle proteine della fase acuta, soprattutto la PCR
e la PCT, serve a individuare i predittori di un’infezione
batterica grave, quando queste proteine siano ricercate
entro 12 ore dalla comparsa della febbre. Soprattutto,
la PCR, la PCT e la conta assoluta dei neutrofili sono i
migliori indicatori in confronto alla semplice conta dei
globuli bianchi. D’altra parte, è utile ricordare che nei
primi giorni di vita la conta dei globuli bianchi per la diagnosi d’infezione batterica è falsata dal fisiologico elevato
numero di queste cellule immediatamente dopo la nascita
e nei primi 3-4 giorni.
Tuttavia, è possibile considerare oggi la determinazione della PCT come il Santo Graal, tanto da eliminare le
altre prove? Purtroppo la risposta, almeno per il periodo
neonatale, è negativa: non è possibile, perché sono stati
riscontrati casi di batteriemia da Escherichia Coli in neonati, dimostrati con la coltura, che avevano un livello di
procalcitonina di 0,44 ng/mL.
1
2
6
12
24
48
72
Ore
CRP
IL-6
PCT
TNF
IL-10
Dosaggio delle citochine
Durante l’infiammazione, grandi quantità di IL-6 e di
IL-8 vengono prodotte dai monociti, dai macrofagi e dalle
cellule endoteliali. Queste linfochine sono state utilizzate
come precoci marcatori d’infezione batterica, anche nel
neonato. IL-6, IL-8, IL-10, PCT e TNF-␣ cominciano ad
aumentare precocemente, entro le prime 2 ore dall’inizio dell’infezione e altrettanto velocemente scompaiono
nel momento in cui la PCR raggiunge il suo picco massimo, circa 24-48 ore dopo (Figura 32.3 e Tabella 32.7).
Pertanto la PCT, IL-6 e IL-8 avrebbero il vantaggio di
mobilitarsi prima della PCR e delle altre proteine della
fase acuta; queste citochine, infatti, prodotte dai recettori
Toll-like delle cellule infiammatorie, inducono nel fegato
la produzione delle proteine della fase acuta.
TAB EL L A 32 .7
Marcatori
PCT
PCR
IL-6
IL-8
TNF-␣
FIGURA 32.3 - Incremento di alcuni mediatori della flogosi dopo
iniezione di endotossina in soggetti sani. (Da: Cellai Rustici M, Galli
L, Chiappini E, de Martino M: Nuovi markers di infezione batterica:
utilità clinica in pediatria, Prospet Pediatr 40:157-158, pp 15-20,
2010; modificata.)
Esame batteriologico diretto
Su campioni di diversa origine, per la messa in evidenza
dei batteri, è utilissima la colorazione di Gram (la colorazione Gram-positiva è blu, quella Gram-negativa è
rossa). Per la ricerca dei micobatteri viene usata invece la
colorazione Ziehl-Neelsen per mettere in evidenza agenti
alcol-acido-resistenti.
Sensibilità, specificità, valore predittivo positivo e valore predittivo negativo della
procalcitoninia, proteina C reattiva, IL-6, IL-8 e TNF-␣ nella diagnosi di sepsi neonatale
% di sensibilità (IC 95%)
% di specificità (IC 95%)
Valore predittivo
positivo (IC 95%)
Valore predittivo
negativo (IC 95%)
*
°
*
°
*
°
*
°
69 (51-53)
65 (47-80)
68 (50-82)
84 (68-94)
79 (66-100)
77 (65-90)
82 (63-94)
52 (33-71)
77 (56-90)
52 (33-71)
87 (74-100)
87 (73-100)
83 (64-94)
63 (46-78)
78 (60-91)
72 (53-82)
91,7
91,2
68 (49-83)
54 (34-72)
64 (46-80)
74 (48-89)
70,0
69,0
74 (60-87)
82 (66-98)
86,7
66,7
*Valori soglia: PCR >14 mg/L; PCT >0,5 ␮g/L; IL-6 >60 pg/mL; IL-8 >50 pg/mL
°Valori modificati da: Caldas JPS: Accuracy of white blood cell count, C-reactive protein, interleukin-6 and tumor necrosis factor alpha for diagnosing late neonatal
sepsis, J Pediatr (Rio J) Nov-Dec;84(6):536-42, 2008.
(Da: Cellai Rustici M, Galli L, Chiappini E, de Martino M: Nuovi markers di infezione batterica: utilità clinica in pediatria, Prospet Pediatr 40:157-158, pp 15-20, 2010.)
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
Prove rapide d’infezione
Negli ultimi anni l’utilizzo di prove rapide per la diagnosi
delle malattie infettive, da usare in ambulatorio, si è sempre più diffuso. Queste prove permettono di ottenere una
precisa impostazione diagnostica e quindi di prescrivere
un tipo di trattamento più appropriato.
La prova che permette di riconoscere lo streptococco
␤-emolitico gruppo A è una delle più importanti: mentre
inizialmente sono state proposte prove di agglutinazione,
di difficile esecuzione e lettura, successivamente sono state
proposte prove immunoenzimatiche che richiedono pochi minuti e sono di facile interpretazione. Di recente,
sono state rese disponibili prove immuno-ottiche dotate
di elevata sensibilità.
Le strisce reattive per l’esame delle urine, specialmente
quelle che permettono di ottenere una risposta per la
presenza di nitriti e di leucociti, hanno ormai ottenuto
un posto di rilievo nell’ambulatorio del pediatra: la loro
sensibilità e specificità sono risultate elevate. Sempre sulle
urine è possibile eseguite una coltura e un antibiogramma
qualitativo.
Di recente sono entrati in commercio anche kit per
la diagnosi dell’influenza A e B, eseguibili anche al letto
dell’ammalato e nell’arco di 10 minuti.
Isolamento e identificazione
La maggioranza dei batteri importanti in patologia può
essere coltivata in particolari terreni.
Emocoltura
L’emocoltura è uno dei mezzi più sicuri per fare la diagnosi di una malattia batterica. La cute della zona, dove
si esegue la puntura della vena, deve essere accuratamente
preparata, mediante un batuffolo di cotone bagnato con
tintura di iodio, iniziando dal centro e muovendo in larghi
cerchi verso la periferia. La cute deve essere poi ulteriormente lavata con alcol a 70°.
Attraverso l’ago si raccoglie sangue (almeno 10 mL)
da porre in due bottiglie da coltura, preriscaldate fino a
temperatura ambiente, contenenti brodo di coltura; se il
bambino è piccolo, vengono prelevati solo 5 mL e usata una
sola bottiglia. Quando ne vengono usate due, una serve per
i germi strettamente anaerobi e una per gli aerobi e per gli
anaerobi facoltativi. Spesso, una delle cause di una coltura
negativa risiede nella scarsità del campione di sangue.
Nei moderni terreni di coltura è aggiunto il sodiopolianetol-sulfonato (SPS) per prevenire la coagulazione
e inattivare i leucociti. È importante che l’emocoltura sia
eseguita prima dell’inizio della terapia antibiotica.
Le due bottiglie vanno inviate subito al laboratorio
o vanno mantenute in termostato fino al loro invio (la
conservazione in frigorifero interferisce con la crescita e
la sopravvivenza di alcuni germi, fra i quali, importantissimo, la Neisseria meningitidis).
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In caso di coltura negativa, se il sospetto diagnostico è
forte, è utile ripetere l’emocoltura.
Esistono terreni di coltura da usare quando il soggetto
sia in trattamento antibiotico.
Coltura dal liquido cerebrospinale
Il liquido ottenuto dalla puntura lombare o ventricolare
deve essere raccolto in un contenitore sterile e va inviato
subito in laboratorio, dove con la centrifugazione si cerca di
esaminare cellule ed eventuali germi. Dal sedimento si ricava
in primo luogo uno striscio per un esame batteriologico,
colorato con il Gram: vanno eseguite inoltre le moderne
tecniche di identificazione del patogeno. Su un terzo campione o sul supernatante del centrifugato si eseguono gli esami
routinari (glicorachia, proteinorachia, clorurorachia ecc.).
Coltura delle urine
Uno dei liquidi organici sui quali più spesso viene eseguita
una coltura è rappresentato dalle urine. Sono importanti,
a questo proposito, le metodiche di raccolta delle urine
(vedi Capitolo 48).
Colture dal nasofaringe e dalla cute
Il successo di una coltura dell’escreato dipende dal tipo
e dall’estensione della malattia polmonare. La maggior
parte dei campioni è fortemente contaminata dalle secrezioni orofaringee ed è costituita solo in piccola parte dalle
secrezioni delle vie aeree inferiori. Il lavaggio e l’aspirato
gastrico sono altre metodiche utili per l’isolamente del
Mycobacterium tuberculosis.
Tamponi di cotone asciutto, di fibre di poliestere o di
alginato di calcio sono utili per la raccolta di materiale
dalla faringe e dalla cute. Poiché i tamponi asciutti si
accompagnano rapidamente alla morte dei germi, essi
vanno subito posti in un liquido: questo liquido non deve
contenere carboidrati né azoto e deve essere tamponato
(per esempio, agar liquido).
L’esecuzione della coltura quando si sospetti un agente
anaerobico pone problemi speciali, perché basta esporre
questi agenti a minime quantità di ossigeno per ucciderli
o ridurli fortemente di numero. Fra i mezzi più usati ci
sono tubi senza ossigeno o piccoli contenitori di plastica
impermeabili all’ossigeno, contenenti catalizzatori per
convertire ossigeno e idrogeno in acqua.
La prova dell’anticorpo fluorescente diretto (DFA,
Direct Fluorescent Antibody), dopo lavaggio nasale per
il virus respiratorio sinciziale, influenzale, parainfluenzale
e adenovirus, si è dimostrata molto utile nei bambini con
o senza malattie delle vie aeree.
Coltura delle feci
Tamponi o campioni di feci vengono usati per repertare
un comune patogeno batterico (salmonelle, Shigellae,
Escherichia coli patogeni, Campylobacter jejuni, Yersinia
enterocolitica, Clostridium difficile). È molto importante
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
ripetere più volte la coltura dalle feci (almeno per tre volte
in caso di forte sospetto) a intervalli di tempo l’una dall’altra e diverse a seconda della malattia sospettata: nel tifo,
per esempio, la ricerca della Salmonella typhi va iniziata
nella 2a settimana di malattia e si può prolungare fino alla
4-5a settimana. Ovviamente l’esame va eseguito al di fuori
del trattamento antibiotico, soprattutto per bocca.
Esame di essudati e trasudati
Liquido pleurico, liquido articolare, essudati uretrali,
contenuto di ascessi o altro vanno sempre esaminati direttamente e coltivati, anche in semplice agar. È essenziale
inviare immediatamente i campioni in laboratorio.
Antibiogramma
Sui ceppi isolati vengono di regola eseguite le prove di sensibilità ai vari antibiotici. Il clinico adopera queste informazioni per la scelta finale della terapia antibiotica. Il metodo
di esecuzione più comune è quello della diffusione da dischi,
impregnati di antibiotico, su agar (metodo di Kirby-Bauer).
La misurazione della zona d’inibizione della crescita
offre una valutazione della suscettibilità del microrganismo all’antibiotico.
Per una più esatta valutazione della sensibilità di un germe a un antibiotico sono preferibili i mezzi di diluizione su
terreno liquido, con controllo della turbidimetria: di recente
sono state introdotte in commercio apparecchiature per una
lettura automatica (automated susceptibility test).
L’interpretazione e il significato delle prove di sensibilità in vitro si basano sul concetto che la somministrazione
di un antibiotico deve portare a un livello sierico, corrispondente a 1-5 volte la concentrazione minima inibente
ritrovata. L’ampia variabilità del legame sieroproteico di
alcuni farmaci suggerisce che a volte anche questo modo
di valutazione non è corretto.
Nel dare i risultati dell’antibiogramma, il laboratorio
fornisce tre termini:
• sensibile;
• a sensibilità intermedia;
• resistente.
Poiché il numero di dischi da apporre in una piastra non
può essere ovviamente infinito e non può assolutamente
seguire l’introduzione di nuovi antibiotici nella pratica
corrente, è necessario che la scelta dei farmaci antimicrobici da testare, per ogni singolo germe, sia opportunamente
programmata dal personale di laboratorio, dai clinici dei
reparti di degenza che fanno capo al laboratorio e dai
pediatri di famiglia che richiedano l’esame.
Prove molecolari
Le ricerche molecolari sul patrimonio genetico degli agenti
infettivi hanno permesso di identificare batteri e virus. I
campi di applicazione sono infiniti: gli studi più proficui
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sono stati eseguiti sullo pneumococco (compresa la tipizzazione), sul meningococco, sui virus dell’influenza, sui virus
della poliomielite e sul micobatterio della tubercolosi.
Una nuova prova diagnostica, denominata DNA-based
microarray platforms, permette di identificare più di 50
specie batteriche in tempi rapidi.
Le diagnostiche molecolari (principalmente la reazione
polimerasica a catena) hanno rivoluzionato la pratica
clinico-diagnostica delle malattie infettive perché sono
risultate positive in circa la metà dei casi, mentre all’emocoltura i risultati erano negativi.
Test sierologici
Il siero del paziente va prelevato precocemente, all’inizio della
malattia, e successivamente dopo 10-12 giorni dal primo
prelievo. L’obiettivo è dimostrare un aumento del livello degli anticorpi dopo un intervallo di tempo necessario perché
l’ospite abbia il tempo necessario per rispondere. In ogni caso,
un aumento di quattro volte o più del titolo è considerato significativo. Molte metodiche immunologiche sono disponibili
per dimostrare una variazione nel titolo degli anticorpi: agglutinazione, precipitazione, fissazione del complemento, emoagglutinazione, ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay),
RIA (Radio Immuno Assays), immunofluorescenza ecc.
I risultati delle prove sierologiche devono essere interpretati alla luce della storia clinica (vaccinazioni e malattie)
e del trattamento precedente: l’obbligo dei doppi campioni
salvaguarda dagli errori di interpretazione perché una
valutazione sierologica isolata lascia spazio all’errore.
Test cutanei
L’esposizione ad alcuni antigeni può, in determinate
circostanze, condurre allo sviluppo di un’ipersensibilità
immediata (anafilassi, atopia) o ritardata (brucellosi,
tubercolosi).
Clinicamente, l’instaurazione di uno stato di ipersensibilità ritardata si manifesta con la comparsa, dopo 48-72
ore dall’introduzione intradermica del germe o di alcuni
suoi costituenti, di un eritema e di un indurimento in sede
d’iniezione. In tal modo si può riconoscere un’ipersensibilità ritardata alla tubercolosi, alla lebbra, alla parotite,
al linfogranuloma venereo, alla malattia da graffio di
gatto, alla brucellosi, alla tularemia, alla toxoplasmosi,
all’istoplasmosi, alla coccidiomicosi ecc.
Principi di terapia antibatterica:
l’uso appropriato degli antibiotici
Esistono molte sfide nella terapia antibatterica dei lattanti
e dei bambini con malattia infettiva, prima fra tutte la
necessità di impostare fin dall’inizio la diagnosi eziologica,
cioè il riconoscimento dell’agente infettivo: batterio o
virus? Il pediatra, per avere la maggiore probabilità di
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
diagnosi, deve tenere conto dell’anamnesi, dell’età del
bambino e del quadro clinico. Se è in gioco un’infezione
del nasofaringe, con la prova rapida d’identificazione dello
streptococco ␤-emolitico gruppo A, è possibile una diagnosi con una buona probabilità di sicurezza. Sulla scelta
dell’antibiotico, di nuovo l’età gioca un ruolo fondamentale: occorre ricordare che prima dei 6 anni le infezioni
nasofaringee o polmonari da Gram-positivi (pneumococco
in prima fila e quindi amoxicillina) sono più facili mentre
dopo i 6 anni sono più facili le infezioni da batteri atipici
(soprattutto il micoplasma e quindi macrolidi).
Quando è possibile, il pediatra deve sforzarsi di ricercare
l’agente patogeno di fronte a quadri clinici particolarmente
gravi, soprattutto se a carico di sedi (sangue, liquor) che di
regola non ospitano patogeni: quindi deve effettuare emocolture, ricorrere all’uso di prove molecolari e altro ma deve
anche ricordare che, una volta fatti i prelievi, è possibile instaurare immediatamente una terapia empirica, basata sulle
probabilità eziologiche in base all’età e al quadro clinico.
Per raggiungere una riduzione del consumo di antibiotico, e quindi per limitare l’insorgenza di resistenza batterica, è necessario che anche in ospedale l’uso dei farmaci
antibatterici sia limitato al massimo. Inoltre, va ricordato
che circa la metà degli italiani utilizza antibiotici, acquistati senza prescrizione medica, per curare infezioni spesso
banali e soprattutto infezioni di origine virale.
Da ricordare che esistono antibiotici che entrano nelle
cellule (macrolidi) e antibiotici che non penetrano (amoxicillina, altre penicilline e cefalosporine). Spesso, come nel
caso del lattante febbrile, la vaccinazione contro lo pneumococco aiuterà nella ricerca della diagnosi più probabile.
Anche la conoscenza della resistenza antimicrobica nella
comunità, della quale fa parte il bambino, può aiutare
nella scelta dell’antibiotico.
Purtroppo l’uso degli antibiotici è ora diffuso anche
negli alimenti per animali.
In Italia l’uso degli antibiotici, in crescendo dal 1999 al
2008, ha cominciato ad abbassarsi dopo una campagna
d’informazione: la Regione nella quale sono prescritti
più antibiotici è la Campania ma in generale in tutte le
Regioni dell’Italia centro-meridionale, a partire dal Lazio,
si verifica questo fenomeno. La Regione nella quale si registra il livello più basso nell’uso degli antibiotici è il Friuli
Venezia Giulia, dove l’incidenza della prescrizione è meno
della metà se raffrontata alla Campania. Gli antibiotici
più usati sono le penicilline, seguite dai macrolidi, dalle
cefalosporine e dai chinolonici.
Resistenza dei microrganismi
La resistenza agli antibiotici avviene per modificazioni del
genoma del microrganismo.
L’uso degli antibiotici non determina, ma rileva e potenzia
una mutazione spontanea, avvenuta indipendentemente
dalla loro presenza. È evidente che, senza antibiotici, un
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batterio resistente su 1 miliardo di batteri (è tale l’incidenza della resistenza naturale) non si trova in condizioni di
sopravvivere e di moltiplicarsi; ma se noi adoperiamo un
antibiotico, soprattutto se si tratta di un antibiotico a largo
spettro, usato per lunghi periodi di tempo, dal nasofaringe
vengono eliminate tutte le specie batteriche possibili e vengono lasciate libere anche numerose nicchie ecologiche che
sono immediatamente occupate dai batteri naturalmente
resistenti, sopravvissuti perciò in presenza dell’antibiotico.
È su queste basi che, per alcune malattie (tubercolosi
in prima fila), non viene più consigliato un solo antibiotico ma almeno 3 o 4, sulla base del concetto che per
avere un batterio contemporaneamente resistente a 3 o
4 antibiotici esiste solo la ultraremota possibilità di un
miliardo alla terza.
I meccanismi con i quali si sviluppa una resistenza possono essere diversi:
• diminuzione dell’affinità del recettore, per esempio per
la penicillina (pneumococco, stafilococco, altri);
• distruzione degli antibiotici ␤-lattamici (penicilline,
cefalosporine) per azione di una ␤-lattamasi, prodotta
in forti quantità da alcuni batteri (per esempio, Haemophilus influenzae tipo B).
La riduzione nell’uso degli antibiotici riduce l’antibioticoresistenza. In Italia, il fenomeno della resistenza è
meno diffuso che in altri Paesi europei, probabilmente
per il minor uso indiscriminato degli antibiotici, ma anche
perché in Italia la somministrazione di questi farmaci
avviene ancora largamente per via intramuscolare, per
cui vengono quasi sempre usate dosi piene o più alte per
il minor numero di giorni possibile.
Febbre di origine sconosciuta
In alcuni pazienti la febbre, invece di cessare, come di norma, dopo qualche giorno, continua per alcune settimane,
senza che l’esame obiettivo, gli esami radiografici, le prove
ematologiche di base e gli esami microbiologici routinari
siano in grado di metterne in evidenza la causa prima.
In questi pazienti viene, a questo punto, posta la diagnosi generica di febbre di origine sconosciuta (FOS).
In senso stretto, si indica con il termine FOS una temperatura corporea di 38,5 °C, o superiore, senza segni di
localizzazione, che si manifesti tutti i giorni, che persista
per più di due settimane, che sia presente nonostante i più
accurati controlli da parte del personale di assistenza e
per la quale non si giunga a trovare la causa attraverso un
esame obiettivo ripetuto o i comuni esami di laboratorio.
Situazioni del genere si verificano in pediatria più di
rado che nell’età adulta. Il controllo della temperatura
deve essere accurato e ripetuto, meglio se in presenza del
medico o dell’infermiera.
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
TAB EL L A 32 .8
Febbre di origine sconosciuta nei bambini
Autori
Anni
Numero
di casi
Infezioni (%)
Malattie
Tumori (%)
autoimmuni (%)
Miscellanea
(%)
Senza
diagnosi (%)
McClung
Pizzo et al.
Lohr et al.
Pocecco
Panizon
Mouaket
Pasic**
Bleeker-Rovers
1959-69
1966-72
1967-74
1973-80
1981-87
1985-87
1990-99
2003-2005
99
100
54
46
52
221
185
73
29
52
33
35
17
78
37,8
16
22
20
18
24
50
5
12,9
22
19
10
15
37*
23*
–
8,1
4
32
12
19
–
8
15
30
51
8
6
13
4
2
2
6,4
7
*Nei 46 casi di Pocecco e nei 52 casi di Panizon, sono calcolati rispettivamente 9 casi e 7 casi di febbre da inganno.
**Pasic: oltre le percentuali riportate, è stato osservato il 6,4 di malattia di Kawasaki.
Eziologia
Da un punto di vista generale, in seguito allo studio di
ampie casistiche, è utile, per impostare una ricerca eziologica in un caso di FOS, suddividere i pazienti a seconda
dell’età.
Da questo punto di vista dobbiamo riconoscere tre
gruppi di età:
• al di sotto dei 6 anni;
• fra i 6 e i 14 anni;
• oltre i 14 anni.
L’infezione è la causa più frequente di FOS (circa il 50%
dei bambini di età inferiore ai 6 anni). Si tratta d’infezioni
delle alte vie respiratorie o delle vie urinarie (Tabella 32.8).
L’incidenza della tubercolosi, diminuita gradualmente
negli ultimi decenni, sembra oggi in lieve aumento nel
bambino e nell’adolescente, anche nel nostro Paese. Nel
bambino dai 6 ai 14 anni, e nell’adulto, le infezioni coprono circa un terzo dei casi. In questi ultimi anni con
frequenza sono stati descritti casi di FOS in bambini con
infezioni da HIV. Di recente sono stati riportati casi di
FOS in bambini con granulomatosi del fegato in corso di
malattia da graffio di gatto, diagnosticati con l’ECO del
fegato. Come regola generale può essere affermato che da
quanto più tempo dura la febbre tanto più è difficile che
sia in gioco un’infezione.
Le malattie su base immunologica sono in causa in
circa il 20% dei casi: esse colpiscono soprattutto bambini di età superiore ai 6 anni, che spesso presentano
un’artrite idiopatica giovanile sistemica o un lupus o
una vasculite sistemica. Sono frequenti anche la malattia
di Crohn, sia del tenue sia del colon, nonché la colite
ulcerosa.
Rispetto all’adulto, i tumori che causano FOS nel
bambino sono notevolmente più rari, meno del 10% dei
casi; fra questi, in prima fila c’è la leucemia linfoblastica
acuta.
Nella casistica di Pasic, il 6,4% aveva una malattia di
Kawasaki.
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Vi è poi un gruppo, definito miscellaneo, nel quale sono
comprese diverse situazioni patologiche, numericamente
di scarso rilievo, come la febbre da farmaci, l’allergia al
latte vaccino, la sindrome di Behçet, l’intossicazione da
metalli pesanti, l’eritema multiforme, la sarcoidosi, la
febbre mediterranea familiare, l’ipertrigliceridemia e la
febbre provocata (che in senso stretto non dovrebbe essere
compresa fra le FOS).
Mediamente, solo il 18 % dei bambini rimane senza
diagnosi eziologica, nonostante accurate ricerche diagnostiche.
In generale possiamo trarre alcune considerazioni.
• Fra le malattie infettive predominano quelle meno
frequenti o che, nel caso specifico, si presentino in modo diverso da quello usuale: ricordiamo fra queste la
mononucleosi infettiva, la malattia da citomegalovirus,
l’epatite, la tubercolosi, la brucellosi, la tularemia, la
salmonellosi, le malattie da rickettsie, le malattie da
spirochete (sifilide e leptospirosi), le infezioni da Bartonella. Frequenti le infezioni opportunistiche in soggetti
con HIV o con altri tipi d’immunocompromissione (trapianti d’organo). Come causa di febbre vanno ricordate
anche le infezioni localizzate, silenti, quali un’infezione
delle vie respiratorie alte (sinusite, otite, faringite), le
infezioni delle vie urinarie alte, l’osteomielite, gli ascessi
occulti e granulomatosi.
• Fra le malattie da causa immunologica vanno considerate più spesso l’artrite idiopatica giovanile e il LES
(lupus eritematoso sistemico), più di rado la vasculite
sistemica, la dermatomiosite e la sclerodermia.
• A volte la presentazione è tipica (per esempio, artrite
idiopatica giovanile) e la diagnosi è possibile solo dopo
un più o meno lungo periodo di tempo, necessario per
la maturazione del quadro clinico.
• Il bambino con FOS ha comunque una prognosi migliore di quella dell’adulto, che presenta un’incidenza
maggiore di tumori.
• Spesso per giungere alla diagnosi sono necessarie ripetute e continue osservazioni: la storia, l’esame obiettivo
e le ricerche di laboratorio vanno di continuo valutati.
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
•
•
•
Non di rado i rapporti con i genitori sono resi difficili
dall’incertezza ma essi devono comprendere la necessità
di una vigile attesa per il completamento degli esami e
la maturazione della diagnosi.
Bisogna pensare anche alla febbre provocata.
Occorre sospendere ogni farmaco, perché talvolta la
sospensione si accompagna alla scomparsa improvvisa
della febbre.
Le malattie rare sono di rado causa di FOS nei bambini.
Sintomatologia
Insorgono in primo luogo tutti i sintomi aspecifici collegati in qualche modo alla febbre: per esempio l’anoressia, la stanchezza, i brividi, la sudorazione e la perdita
di peso.
A questi sintomi generali si associano a volte segni di
localizzazione di scarso valore diagnostico specifico: prurito, esantema, artropatie, dolori muscolari, adenopatia
e altri.
Avvicinamento diagnostico a un bambino
con febbre di origine sconosciuta
La necessità di una raccolta anamnestica ripetuta è stata
messa in luce da tutti gli studi.
Nell’anamnesi bisogna in tutti i modi chiarire non solo
la durata, l’altezza e l’andamento della febbre ma anche le
circostanze che si accompagnano a febbre, e soprattutto
se il bambino appaia abbattuto durante la febbre e se
richieda l’uso di antipiretici.
Deve essere osservata attentamente l’attività del bambino durante la giornata, va controllato spesso il numero
dei respiri e dei polsi e vanno determinati i parametri di
crescita e sviluppo, in confronto a quelli presentati in
precedenza. Una perdita di peso può essere un reperto
importante, anche se aspecifico.
Un’attenzione particolare nell’anamnesi va rivolta a
ricercare:
• il contatto con animali domestici o selvatici;
• una storia di pica;
• una storia di viaggi in paesi equatoriali;
• una storia di farmaci, impiegati per lunghi periodi di
tempo e tuttora in uso;
• la situazione razziale e genetica della famiglia;
• la presenza di sudorazione al momento della scomparsa
della febbre.
Analogamente, l’esame obiettivo deve essere accurato e
ripetuto a ogni visita.
Gli esami di laboratorio devono essere guidati dal sospetto clinico (Tabelle 32.9 e 32.10).
Comunque, in un primo momento l’emocromo, l’esame
delle urine, la radiografia del torace, l’intradermoreazione
alla tubercolina, la determinazione di anticorpi antinucleo sono sempre utili come esami di base, insieme alla
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velocità di sedimentazione (nel sospetto di una malattia
reumatologica), alla proteina C-reattiva, alla proteinemia
totale e all’elettroforesi.
Forse, mai come in questo caso le doti e l’abilità del pediatra
risultano evidenti nel raccogliere la storia, nel fare l’esame
obiettivo, come nello scegliere gli esami di laboratorio e
quindi nel valutare le informazioni raccolte.
Deve essere evitata la tendenza ad allargare le ricerche
a batterie di test in una sequenza predeterminata. In generale, devono essere evitate le ricerche empiriche, cioè non
collegate strettamente con il ragionamento clinico.
L’ospedalizzazione del bambino con FOS può essere
richiesta per studi radiografici o di laboratorio, che siano
di difficile esecuzione ambulatorialmente. L’ammissione
TA BELLA 32.9
•
•
•
•
•
•
Valutazione iniziale
dei bambini con FOS
Anamnesi ed esame obiettivo completo
Emocromo con formula
Analisi e coltura dalle urine
Radiografia del torace
Prova intradermo alla tubercolina
Dosaggio degli anticorpi antinucleo (nei bambini più grandi)
TA BELLA 32.10
Fase 1
A domicilio
Fase 2
Ricovero
Fase 3
Ricovero
Protocollo per la prosecuzione
della valutazione dei bambini
con FOS
Ripetere emocromo completo, esame e coltura delle
urine
VES, PCR
Sierologia per il virus di Epstein Barr (anticorpi VCA)
Emocoltura
Anticorpi anti-HIV (se sono presenti fattori di rischio)
Controllo della temperatura due volte al giorno
da parte dei genitori
Ripetere emocoltura
Radiografia del seni
Esame oftalmologico per l’iridociclite
Attività delle aminotransferasi
Prove sierologiche per: citomegalovirus,
toxoplasmosi, epatite A, B e C, tularemia,
brucellosi, leptospirosi, salmonellosi
Puntura lombare
ECO addome, con particolare riferimento al fegato
TC dell’addome
Scintigrafia con gallio o indio
Radiografia dell’apparato GE alto (nei bambini
più grandi, con dolori addominali)
Esame del midollo osseo (se vi sono alterazioni
all’emocromo)
Scintigrafia delle ossa con tecnezio
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CAPITOLO 32 Generalità sulle malattie infettive
in ospedale offre al medico la possibilità di osservare il
bambino più spesso e più accuratamente e offre una temporanea attenuazione dell’ansia dei genitori. L’aspirato
midollare e, molto più di rado, la biopsia del fegato, rappresentano due esami importanti per arrivare, in seconda
battuta, a un chiarimento diagnostico, tanto da essere
considerati quasi di routine nello studio di un soggetto
con FOS. Biopsie in altre sedi (cute, linfonodi, rene, muscolo, nervo, intestino) devono essere guidate dall’esame
obiettivo o da radiografie come TC, RM ed ECO. Si è
dimostrato utile in molti casi anche un esame scintigrafico
con gallio. Esami di tipo endoscopico, guidati, possono
essere utili in qualche caso.
Tentativi empirici di usare antibiotici, soprattutto a
largo spettro, possono rendere difficile la diagnosi di
meningite, endocardite o di osteomielite senza risolvere
completamente il quadro clinico. L’uso del cortisone è
ancora più da evitare.
Tuttavia, l’80% dei bambini con FOS è stato in trattamento con antibiotici e il 100% con antipiretici, almeno
per un certo periodo della loro malattia.
Infezioni in soggetti
immunocompromessi
La presenza o assenza di febbre può essere anche controllata dalla misurazione della temperatura delle urine
appena emesse.
Quando il sistema immune di un soggetto non offre una
protezione adeguata nei confronti di potenziali patogeni,
insorgono infezioni e malattie. Al giorno d’oggi è facile
che un pediatra pratico venga in contatto con bambini
che abbiano alterazioni del sistema immunitario per varie
ragioni: soprattutto perché molti bambini sopravvivono
alle immunodeficienze primitive, insieme a molti altri
che hanno ricevuto terapie immunosoppressive per il
trattamento di tumori maligni, di malattie autoimmuni
o di trapianti.
Delle immunodeficienze primitive si è già parlato nel
Capitolo 7.
Le immunodeficienze secondarie, o acquisite, possono
originare da un’infezione (per esempio, da HIV), da cancri
o da farmaci immunosoppressori che si accompagnino a
effetti avversi. I farmaci immunosoppressori includono
farmaci che colpiscono le cellule T (steroidi, inibitori della
calcineurina, inibitori del TNF e la chemioterapia) o che
colpiscono i neutrofili (agenti immunosoppressivi, neutropenia primitiva o immunomediata) o tutte le cellule
immuni, come fa la chemioterapia.
I patogeni che più spesso danno infezione nei soggetti immunocompetenti sono i principali patogeni anche
dei soggetti immunocompromessi. Oltre a questi batteri
(stafilococchi, klebsielle, Escherichia coli, Haemophilus
influenzae tipo B, meningococchi e altri) si contano anche
alcuni virus (adenovirus, citomegalovirus, virus di Epstein-Barr, virus dell’herpes simplex, virus varicella-zoster), alcuni funghi (aspergillo, candida) e alcuni protozoi
(Criptosporidium parvum, Giardia lamblia, Toxoplasma
gondii).
Prognosi e trattamento
Alterazioni del sistema fagocitico
Dipende dalla causa che ha determinato la FOS. Comunque, una guarigione completa si ottiene abbastanza spesso,
soprattutto nelle infezioni.
I bambini con alterazioni del sistema dei fagociti e dei
neutrofili hanno problemi con i batteri come anche con i
funghi (vedi Capitolo 36).
Diagnosi differenziale
Rimane da esaminare la differenza tra FOS e la febbre
provocata, o factizia, che ovviamente non è da annoverare
fra le cause di FOS.
Un genitore, ma in qualche caso anche un ragazzo, in
età superiore ai 10 anni può riportare la presenza di una
febbre che invece non esiste: in qualche caso la febbre
può essere stata artificialmente indotta, quasi sempre mediante sfregamento sul bulbo del termometro, ma anche
introducendo il bulbo in un liquido caldo o avvicinandolo
alla sigaretta.
Di fronte a un bambino con FOS, indipendentemente
dal sospetto di un’evenienza del genere, è sempre bene
misurare la temperatura alla presenza del medico stesso
o di un’infermiera, meglio con un termometro diverso e
in sedi diverse.
Il sospetto di una febbre provocata deriva da:
• assenza di tachicardia e di uno stato di malessere durante un’elevazione della temperatura corporea;
• un’apparente rapida caduta, senza sudorazione;
• una curva della temperatura che non presenti le normali
variazioni giornaliere della temperatura corporea;
• il rilievo di una temperatura normale, quando la misurazione della temperatura venga fatta alla presenza del
personale di assistenza.
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