la contadora de películas

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la contadora de películas
LA CONTADORA
DE PELÍCULAS
con PATRICIA RIVADENEIRA
Adaptación teatral de la novela
La contadora de películas
de Hernán Rivera Letelier
“Después de la quinta preparatoria
dejé la escuela.
En la mañana hacía el aseo y las
cosas de la casa.
En la tarde iba al cine. Y en la
noche contaba las películas en la
sala.
Sentía que había encontrado el
camino justo.
Sabía contar películas. Y lo haría
para toda la vida”.
Aunque su nombre se asocia, inevitablemente, a
su éxito literario mundial “La reina Isabel cantaba
rancheras”, el escritor chileno Hernán Rivera
Letelier ha publicado un sinnúmero de poemas,
cuentos y novelas. Precisamente, uno de sus
relatos recientes –“La contadora de películas”- ha
traído de vuelta a los escenarios a la prestigiosa
actriz Patricia Rivadeneira, quien en 2012 estrenó
en Italia, en los estudios de Cinecittà, el montaje
que la traería de regreso a los escenarios. Allí
interpretó por primera vez a María Margarita,
protagonista de la novela de Letelier ambientada
en una oficina salitrera del desierto de Atacama, en
el norte de Chile. Única mujer en un grupo de cinco
hermanos criados por su padre, tras el abandono
de la madre- María Margarita, apodada como “La
hada del cine”, hace gala de un talento especial:
relatar las tramas de los filmes con una vivacidad
que supera, incluso, la de la propia pantalla.
Presentada a modo de monólogo y con una simple
escenografía (compuesta por cuatro cajones de
fruta y un imponente telón donde se proyectan
fragmentos de películas e imágenes del norte
de Chile); “La contadora de películas” narra una
historia singular y conmovedora de nuestro tiempo
(desde el auge las salitreras, el impacto del cine
y la llegada de la televisión hasta el propio ocaso
de las oficinas dedicadas a la extracción de dicho
mineral en el norte de Chile), donde se entrecruzan
el lenguaje del teatro y del cine en un diálogo
permanente entre realidad y fantasía.
“La contadora de películas” habla obviamente
de cine, pero hablando de cine habla también
de nuestros sueños, y hablando de nuestros
sueños habla –sobre todo- de nuestra vida. Y
trae a nuestras memorias, sin duda, un pedazo
importante de la historia reciente de Chile.”
// EQUIPO
Dirección: Donatello Salamina
Elenco: Patricia Rivadeneira
Adaptación: Donatello Salamina y Patricia Rivadeneira
Video: Claudio D’Elia
Diseño luces: Martino Salamina
Música: Massimiliano Gagliardi
Fotografia: Carlo De Gori
Vestuario: Tiziano Juno
Producción en Italia: Lisa Girelli
Asesoría artística y estratégica: Andres Neumann International
Producción en Chile: Francisca Babul
Jefe técnico en Chile: Laura Gandarillas
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“Si la vida está hecha de la misma
materia de los sueños, se puede
decir también que está
hecha de la misma materia de las
películas. Contar una película es
como contar un sueño.
Contar una vida es como contar un
sueño. O también una película”.
Le) e il 25 a Faggiano (Ta)
Miss Italia
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Bohème” di Puccini, “Teneste
la promessa…Addio del passato…” da “La Traviata” di Verdi e,
infine, “Sola, perduta, abbandonata” da “Manon Lescaut” di
Puccini. Anna Franca Farina ha
interpretato il Preludio all’atto
I e all’atto III de “La Traviata”
di Verdi e il Preludio all’atto IV
dell’ “Adriana Lecouvreur” di
Cilea. Sara Gamarro ha voce sopranile adatta ai ruoli pucciniani e al declamato romantico e
verista; bello il suo fraseggio e
belli i filati che sfumano il canto
passionale di dolce e femminile
soavità. In coppia, Anna Franca
Farina e Sara Gamarro hanno
ottenuto un vivo successo. Molti applausi e richieste di bis.
Giovanni Conversano alla
conduzione, alternerà la sua
presentazione ai momenti comici del cabarettista Tommy
Serafino. Cintia Moreira la
baiaderira brasiliana, condurrà le miss in coreografie a dir
poco spettacolari. Francesca
Sasso esibirà tutta la sua agilità nelle acrobatiche figure
artistiche.
Prossimo appuntamento
con la bellezza il 26 giugno a
Ruvo (Ba).
“La narratrice di film” prima regia teatrale
del martinese Donatello Salamina
! Il martinese Donatello Salamina é alla sua prima regia
teatrale, che andrà in scena
domani a Pistoia presso il
centro culturale “Il Funaro”.
Donatello, giovane regista
italiano, nasce a Martina
Franca nel 1983. La passione
per la regia lo spinge a diplomarsi come attore nel 2009
all’Accademia di Arte drammatica “Link Academy”, per
poi seguire corsi privati sull’
illuminotecnica, gestione
teatrale, scenografia, continuando a lavorare come attore. Diventa assistente alla
cattedra di recitazione presso
l’Accademia “Eutheca”, dove
mette in scena due piccole
produzioni, per poi debuttare
con una produzione indipendente nel 2012 con “La Narratrice di film” insieme all’attrice Patricia Rivadeneira.
Si dedica con passione alla
ricerca e alla sperimentazione teatrale curando con attenzione laboratori teatrali
dedicati ai bambini, adolescenti e adulti, con la volontà
di affermarsi come regista-
pedagogo.
Donatello segue la regia
delle produzioni LI.Fra. per
portare in scena spettacoli
completamente accessibili
unendo le tecniche di cinema
e teatro.
“La narratrice di film” consacra Donatello alla sua prima prova registica importante, si prevedono tappe dello
spettacolo a Milano e Roma a
partire dal prossimo autunno.
ALIAS
30 GIUGNO 2012
(7)
ANTEPRIMA
PISTOIA
Il magico ritorno
di Rivadeneira
Al Centro Culturale
Il Funaro arriva
«La narratrice
di film», quando
il teatro si fonde
col cinema.
Protagonista
la rivoluzionaria
artista cilena
di ALICE RINALDI
●●●Cile degli anni ’60, deserto di
Atacama e la dura vita ad esso
connessa. Nei tanti villaggi di
minatori, il cinema itinerante è
spesso l’unico intrattenimento.
Maria Margherita è un maschiaccio
cresciuto tra quattro fratelli, una
mamma che se ne va perché il
marito «non funziona più dalla vita
in giù», un padre attaccato al vino,
ma giusto. Dopo l’incidente in
miniera, il cinema non è più
accessibile per tutta la famiglia, così
viene indetta una gara: colui che
racconterà meglio il film, si
aggiudicherà la visione di ogni
pellicola. Maria Margherita racconta
le narrazioni dei fratelli, tra chi
balbetta «e del film di guerra usciva
fuori solo la mitraglia», chi dice «una
frase e 15 parolacce». Maria
Margherita, inaspettatamente,
vincerà perché ha qualcosa che gli
altri non hanno: «io non raccontavo,
io vivevo il film».
Una storia di accessi e
accessibilità, di vite della stessa
materia dei sogni e di sogni della
stessa materia dei film, La narratrice
di film, opera prima del
giovanissimo Donatello Salamina a
confronto con il ritorno in scena di
Patricia Rivadeneira, mostro sacro
della scena culturale cilena, che
iniziò la carriera di attrice 20enne,
lasciandola sospesa 12 anni,
dedicandosi alla diffusione, se non
protezione, della cultura cilena.
Diventata prima addetta culturale
del Cile in Italia e poi segretaria
dell’IIla, l’Istituto Italo
Latinoamericano di Roma, un
curriculum rivoluzionario, dalle lotte
contro la censura sotto Pinochet alla
Resistencia cultural, che abbraccia
questo progetto con entusiasmo,
stavolta «rivoluzionario per la mia
carriera, perché ha la semplicità del
linguaggio, è molto umano, non
appella l’intelletto ma gli archetipi
vissuti da tutti, dalla madre
all’abbandono».
Uno spettacolo tratto da (un libro
di) Hernan Rivera Letelier (La
contadora de peliculas), un bambino
cresciuto nella pampa, tra le
miniere, un ragazzo che ha
intrapreso un viaggio lungo tre anni
tra Cile, Perù, Bolivia, Ecuador e
Argentina, un uomo che durante
quello stesso viaggio decise di
diventare «el mejor escritor del
mundo» preferendosi poi definire
contador de historias con quella
stessa forza che trasmette nel testo:
«yo no creo en Dios, pero creo que
Dios cree en mi», come quando si
scrive per fame, quella vera.
Scelta Pistoia come cornice
dell’anteprima di questo spettacolo
che da ottobre 2012 inizierà a girare
l’Italia, una città che casualmente
ospita il primo Museo Tattile della
Toscana, per uno spettacolo che non
a caso vede la collaborazione di
Li.Fra e il suo progetto Il Teatro Oltre
il Silenzio, l’abbattimento delle
barriere della comunicazione
nell’arte.
Ma il caso sembra giocare un
ruolo decisivo nella progettazione di
questa piccola grande opera, quel
caso che è nello spirito
sudamericano: la capacità di
trasformarsi in alchimia. Dal
contador alla contadora, dal
narratore alla narratrice, dalle storie
alle pellicole, tutto si mescola in
questo racconto, dalla storia di
Rivera a quella di Patricia, da quella
di Donatello a quella di Lisa Girelli,
ideatrice, produttrice e compagna.
Fu Lisa a leggere per caso il libro e a
rimanerne profondamente colpita,
l’unione con Donatello va da sé.
Anche il progetto di un teatro
accessibile nacque da una tragica
fatalità, un incidente che portò alla
sordità un loro caro amico, ex
musicista, «io voglio continuare ad
andare a teatro, come posso fare?».
«Tutti insieme artisticamente», è
stata la risposta, lo slogan di un
progetto che è una «mente artistica
senza barriere», già nel
concepimento. L’idea non nasce
infatti come teatro dedicato: «andare
a teatro deve essere una scelta.
Accessibilità non significa creare
qualcosa per un settore o un tipo di
persona. L’idea è far rimanere il
pubblico sull’azione, non lasciarlo
solo, la condivisione è il punto di
partenza». Così succede un’altra
magia armonica: di fronte a questo
teatro-cinema sembra di ritornare al
libro, le parole scorrono fluidamente
e tutto è molto immersivo.
Nel riadattamento «c’era la
necessità di comprimere tante cose,
dalle canzoni ai film fino ai rimandi
storici, ma la cosa bella era che
Patricia aveva già tutto dentro. E così
è successo come succede in cucina,
un ingrediente, poi un altro, poi
arriva l’aroma, il sapore…». Il giusto
dosaggio tra cinema e teatro crea la
nuova ricetta: «entrambi perdono la
loro natura, e insieme creano una
cosa nuova». Patricia spesso è
inglobata nelle immagini, meglio di
un blue screen, è dentro al popolo
che attraversa le acque del Mar
Rosso ne I dieci comandamenti, e
davanti a esso come un secondo
pubblico, mostra Nosferatu nel
deserto, danza con Gene Kelly, fa le
smorfie con Jerry Lewis, bacia come
Marilyn.
«Io la definisco una tragedia
contemporanea Sudamericana»,
dice Patricia, che se davvero è così è
particolarmente significativa, poiché
è tragedia senza tragedia.
L’approccio «è staccato dal
sentimentalismo, colpisce senza
autocompassione, in modo diretto».
Aleggia l’accettazione, quella delle
cose della vita, che mica puoi
cambiare: per stare meglio ti rimane
solo comprenderle. Lo sente anche il
gruppo Spettatori Attivi: «Non mi
rimane addosso la tragedia,
semplicemente la vita e le sue
difficoltà», dice una ragazza. Il
gruppo ha assistito alle prove e dopo
lo spettacolo esprime sensazioni e
opinioni insieme al regista.
Patricia è perfetta, sembra proprio
una donna bambina quando recita,
la sintesi degli archetipi in cui è
immersa: una bambina cresciuta in
fretta o una donna rimasta bambina
chiusa nel suo film, sempre lo stesso.
È la madre che non è stata, è
l’amante che non voleva essere, è la
reazione coraggiosa all’abbandono
che appare e svanisce come in una
dissolvenza, come un volto di madre
che «sbiadisce in un film in bianco e
nero, muto». Uno spagnolo che c’è
solo ogni tanto, anche lui accessibile,
con una platea che ne vuole ancora.
È bella la cadenza italiana di Patricia,
ma sotto lo spagnolo sembra gridare
libertà.
Una narrazione allegra, non priva
di battute, che affronta la morte,
quella sudamericana che non si
stacca mai dalle cose della vita,
«perché quando la vita non è
garantita, assume un valore enorme.
Sono organiche, nella vita vedi la
morte con la coda dell’occhio. Ero
davvero incuriosita, Rivera scrive a
modo suo, senza contaminazioni. E
ho avuto ragione, per me è stato
trovare un gioiello, di solito in questo
lavoro si lotta, ci sono tante
contraddizioni e tante ansie. Questa
narrazione nasce con gioia e
serenità».
Tutto merito del Centro Culturale
Il Funaro, vera cornice e vero corpo
dello spettacolo, che l’ha ospitata in
residenza per una settimana, e che
rimanda la stessa magia, e merito
soprattutto della figura da
produttore geniale e paterno di
Andres Neumann, che nella vita ha
lavorato con personaggi del calibro
di Peter Brooks e Pina Bausch. «Ho
Patricia Rivadeneira, mostro sacro della
scena culturale cilena, nello spettacolo «La
narratrice di film». In basso, il produttore
Andres Neumann (foto di Marco Delogu)
trovato bello l’uso della proiezione
dell’attore, l’incrocio tra teatro e film,
come riflessione profonda sul nostro
tempo».
A un passo dalle automobili di
Pistoia, appena fuori il centro
storico, si va in un’altra dimensione.
Sembra di entrare in una vera
fazenda messicana. E invece no,
siamo nel cuore del Cile nel cuore di
Pistoia, Il Funaro è «un corpo che è
un incubatore di progetti - dice
Neumann - non c’era bisogno di un
altro teatro, anche un altro festival
non fa differenza. Un luogo di
creazione, ritrovare lo spirito di
trovare insieme. Questo sì». Mi
domanda: «l’ha provato il
CineTandem?», il cinema più piccolo
del mondo, dietro una tenda, due
posti, un tavolino, un film a sorpresa.
Geniale.
Ma dietro Il Funaro ci sono anche
quattro donne, un esempio vitale di
imprenditoria femminile, un lavoro
congiunto di architettura e teatranti.
Dieci anni di vita, una linea di lavoro
e quel corpo-Funaro che mancava:
«qui invitiamo attività teatrali e non,
attraverso due vocazioni, un’unione
con la città di Pistoia dove il corpo è
radicato - la comunità, le famiglie, i
bambini - e l’altra dedicata ai
professionisti. Una sorta di
laboratorio aperto internazionale».
In residenza passano tanti nomi, da
Daniel Pennac al colombiano
Enrique Vargas con il suo Teatro de
los sentidos.
Respirare il fermento creativo del
Funaro è come una redenzione, la
stessa che si attua nella storia di
Maria Margherita, dalla famiglia
all’intero villaggio: il suo pubblico,
quello cileno e quello italiano, è
sempre più preso, tra chi non ha
soldi, e chi preferisce la narrazione.
La protagonista stessa diventa uno
strumento di accessibilità: «anche gli
analfabeti, venivano da me se i film
erano con scritta». Attraverso il
racconto dell’arte, solleva gli spiriti:
«ognuno può sognare un mondo a
proprio piacimento che non può
succedere nel cinema: c’è più spazio
per la propria immaginazione». Un
nome d’arte, una Fata Delcine, felice
di aver trovato la strada giusta, che fa
racconti a domicilio, descrive acque
azzurre in bianco e nero,
confondendo ciò che vede e ciò che
immagina. Il racconto si spezza solo
di fronte a una realtà troppo dura,
indifferente «con l’usuraio per la
prima volta non sapevo come
iniziare la narrazione».
«Dal mondo reale al mondo
meraviglioso del cinema si attua una
sorta di sortilegio, bello come quel
raggio di luce bianca che dentro la
sala passa sopra la testa della gente.
Anche se è in bianco e nero, il
cinema la vita te la fa vedere in
technicolor». Maria Margherita vive
il turbinio della sua gloria, fino a
quando arriverà la tv e la paura
dell’uccisione del cinema: «rischiavo
di perdere il lavoro, dopo Gary
Cooper non c’era più nessuno ad
aspettarmi, vedevo gli stessi sguardi
che avevano per me, di fronte a quel
piccolo scatolino in bianco e nero.
Tante antenne sostituirono tante
persone. Tanti fatti accaddero fino
alla parola fatale che nessuno in vita
vorrebbe leggere».
Margherita narrando i film narra a
sua volta la sua vita al pubblico, «per
questo ho messo dentro il primo film
sonoro - dice Donatello - dopo
Lumiere… pensa cosa è stato sentire
finalmente la realtà. Mi piaceva
pensare che lei la ricostruisse
attraverso i suoi film. Come può
vivere una donna nel deserto? Come
si tiene in vita un ricordo nel
deserto?».
C’è un pezzo in cui Maria
Margherita racconta un film sui
campi di sterminio: c’è questo
vagone che va verso la morte e tra i
deportati un prescelto si arrampica
per vedere da una fessura dove li sta
portando. Maria Margherita
commenta che «è meglio ascoltare e
immaginare che guardare da una
fessura», è il suo sguardo sereno che
si fa carico della vita.
IL SETTIMO
CONTINENTE
●●●Qualche mese fa in occasione di una
serie di performance eco-teatrali ideate da
Marco Solari, ho scritto un breve testo che
ho chiamato Settimo continente. L’ idea base
di queste performances è la natura come
tema, la leggerezza, la facilità di esecuzione,
l’economicità come forma. Ci siamo mossi
in 3: Marco Solari, Mauro d’Alessandro
(percussionista) ed io accompagnati da una
giovane organizzatrice factotum, Adriana
Migliucci. Abbiamo girato un po’ l’Italia là
dove c’erano degli eventi che riguardavano
l’ecologia o l’ambiente recitando tra gli ulivi
o le querce con la luce del giorno spesso al
tramonto, cercando di agire là dove la
natura aveva provveduto a creare un
palcoscenico spontaneo di verzura, un
modo di fare spettacolo tra i più economici
e arcaici, ideato e messo in pratica in questo
periodo di sadiche ristrettezze. Forse usare
la parola spettacolo è un esagerazione,
diciamo che sono dei blitz veloci e
sorprendenti, sostenuti dalla musica di
Mauro e da un canovaccio a cui di volta in
volta si sono aggiunti nuovi pezzi scritti per
l’occasione. Così c’è il monologo di un
platano, un dialogo tra ulivi e un altro tra un
cappero ed una donna, e così via fino al
Settimo continente che esiste davvero, in
mezzo all’oceano pacifico, ed è grande come
tutto il centro dell’Italia. Il testo simula il
racconto di una vecchissima trisnonna al suo
piccolo nipote, ne riporto alcuni brani.
«Io, ero addetta alle semenze, sì io
dovevo conservarle e proteggerle anche a
costo della vita. Avevamo riletto la storia
dell'arca di noè e alcuni gruppi di umani saggi
si erano organizzati copiando da quella
vecchia leggenda e avevano salvato le navi
del secolo scorso abbandonate all'incuria
dopo il grande esodo e negli anni le avevano
attrezzate e riempite di tutto il necessario al
grande viaggio. Sapevamo che c'era il
settimo continente ancora sconosciuto. Era
l'unica speranza per la specie di ricominciare
ma la scommessa era dura, difficile da
vincere e il settimo continente era deserto
e respingeva ogni forma di vita perché era
un continente costituito dalle peggiori scorie
umane. Ma noi avevamo riempito 100 navi
di terra e io proteggevo le semenze, mi
sentivo veramente importante. Per 10 anni
abbiamo viaggiato. Abbiamo fatto tappa in
tutti i 6 continenti antichi, ovunque c'era
distruzione ma c'erano anche sopravvissuti e
la nostra flotta aumentava ad ogni tappa, di
umani di ogni razza e colore. E di altre navi
piene di terra pulita. Quasi tutto era
radioattivo e qualcuno di noi morì durante il
viaggio ma alla fine arrivammo a
destinazione. Avevamo escogitato un
sistema per provare a conquistare e
bonificare il territorio, l'avevamo copiato da
un antico gioco cinese, il go. Circondavamo
con le navi una porzione di spazio e
cominciavamo a coltivare quella».
Non ho spazio per andare oltre ma ho
pensato a questo testo mentre all’ospedale
aspettavo che mi visitassero e sentivo i
commenti esasperati della gente e leggevo i
titoli dei giornali. Ci vogliono almeno 5 ore
di attesa per farsi dare un’occhiata ad un
pronto soccorso dopo essere stata investita
perché la Polverini ha tagliato personale e
fondi, intanto l’occhio mi cade sul caso di
Felice Crosta, grand commis della Regione
siciliana che non rinuncerà alla sua pensione
di 1.369 euro al giorno. Allora penso che
prima di ridurci a fuggire per cercare di
ricostruire un nuovo mondo sulle scorie di
questo, forse dovremmo costruire un
ottavo continente dove spedire tutta questa
insensata classe dirigente che governa da
troppo tempo il mondo. Niente di cruento
solo allontanarli un po’!
// CONTACTO
Francisca Babul Guixé
Productora
99492656
[email protected]