IAS 36 (Impairment Test): profili applicativi

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IAS 36 (Impairment Test): profili applicativi
I.A.S. 36 (Impairment Test): profili applicativi
(a cura Nicola Gravina)
§ 1. Premessa
I principi contabili internazionali mirano a fornire, a tutti coloro che intrattengono rapporti
con l’azienda interessata, informazioni riguardanti le potenzialità reddituali e il risultato
economico effettivo. Nella stessa direzione si muove lo IAS 36 (impairment test) che
suggerisce alle imprese quale è il percorso che devono seguire per effettuare una corretta
verifica circa le (eventuali) riduzioni di valore delle attività possedute. Tale principio integra
quelli nazionali relativi alle perdite durevoli di valore e ripristino del valore stesso.
L’impairment test – test di deterioramento – è applicabile non soltanto alle imprese che
redigono il bilancio secondo i principi contabili internazionali (IAS/IFRS) ma anche a quelle
che seguono le regole dei principi contabili nazionali.
§ 2. Normativa civilistica.
Art. 2426 Codice Civile
Criteri di valutazioni.
….(omissis)…
3) l'immobilizzazione che, alla data della chiusura dell'esercizio, risulti durevolmente di valore
inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale minore valore;
questo non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica
effettuata.
…(omissis)…
Analizzando brevemente il contenuto dell’articolo si evince, tra l’altro, che al termine di
ogni esercizio, l’impresa, qualora abbia la sensazione che una sua attività abbia subito
una sensibile variazione del valore deve provvedere a ridurre quest’ultimo per poter
iscriverla correttamente in bilancio. Una simile sensazione può venire, ad esempio,
dall’attenta osservazione dell’andamento dei prezzi in un determinato mercato. È
opportuno osservare che se la normativa civilistica afferma che il minor valore non può
essere mantenuto nei bilanci futuri se mancano le condizioni che hanno determinato tale
minor valore, il principio dell’ impairment test impone che ogni anno debba effettuarsi una
verifica per vedere se l’attività abbia subito o meno una perdita di valore.
Art. 2427 Codice Civile
Contenuto della nota integrativa
….(omissis)…
3-bis) la misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni materiali e
immateriali, facendo a tal fine esplicito riferimento al loro concorso alla futura produzione di
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risultati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto rilevante, al loro valore di
mercato, segnalando altresì le differenze rispetto a quelle operate negli esercizi precedenti ed
evidenziando la loro influenza sui risultati economici dell'esercizio
….(omissis)…
La norma qui sopra riportata statuisce che la Nota Integrativa al bilancio indica le perdite di
valore subite dalle immobilizzazioni sia immateriali che materiali e le ripercussioni che ci
possono essere sui futuri risultati economici di esercizio in funzione di tale minor valore. Lo
IAS 36 ricalca quanto stabilito dalle norme nazionali ribadendo l’obbligo di sottoporre a
impairment test le attività patrimoniali. Dal test rimangono escluse le immobilizzazioni
finanziarie limitatamente alle partecipazioni in società controllate, collegate e “joint
venture”.
§ 3. L’impairment test (test di deterioramento)
Lo IAS 36 richiede di stimare il valore di un'attività tutte le volte che vi sia un’indicazione
sul fatto che l'attività possa aver subito una riduzione durevole di valore. Nella pratica
questa operazione viene compiuta al termine di ogni esercizio. In situazioni particolari, il
Principio contabile internazionale applicabile a un'attività può anche includere disposizioni
che prevedono ulteriori riesami. Per esempio, lo IAS 38, Attività immateriali, e lo IAS 22,
Aggregazioni di imprese, dispongono che il valore recuperabile delle attività immateriali e
dell'avviamento che sono ammortizzati in un periodo superiore ai vent'anni debba essere
stimato annualmente.
L’impairment test si articola in tre fasi:
1. identificazione delle attività patrimoniali che possono aver subito una perdita di
valore;
2. determinazione del valore recuperabile (di cui si dirà meglio più avanti) inteso come
il maggiore tra il fair value, al netto dei costi di vendita o disinvestimento, e il valore
d’uso;
3. applicazione dei criteri per il calcolo del valore d’uso sulla base dei flussi finanziari
attesi.
In merito al punto 1 va osservato che lo IAS 36 è un principio contabile trasversale, nel
senso che trova applicazione anche nei confronti delle immobilizzazioni materiali (IAS 16),
di quelle immateriali (IAS 38), degli investimenti immobiliari (IAS 40), delle partecipazioni
in società collegate e controllate nonché joint venture (IAS 27, 28, 31). L’applicabilità
dell’impairment test è esclusa per talune attività quali: le rimanenze di magazzino (per le
quali si applica lo IAS 2), i lavori su ordinazione (IAS 11) le attività differite (IAS 12), e
quelle attività finanziarie disciplinate dallo IAS 39. Le attività assoggettabili a impairment
test sono tutte quelle per le quali l’impresa ha avuto la sensazione di una perdita di valore
derivante da fonti interne (come il deterioramento fisico di un cespite) o da fonti esterne
(come un sensibile mutamento delle condizioni di mercato in cui opera l’impresa). A
prescindere da quanto appena esposto è opportuno ricordare che l’impresa deve
assoggettare a impairment test le attività immateriali, come marchi o brevetti,
indipendentemente dal fatto se hanno subito o meno una perdita di valore. Il principio
affermato dallo IAS 36 afferma che la perdita di valore accertata deve essere rilevata
anche se non durevole, ne consegue che lo IAS 36 ha un ambito applicativo molto più
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rigoroso di ciò che stabilisce l’art. 2426 n. 3 del cod. civ. laddove parla di “perdita durevole
di valore” delle immobilizzazioni materiali.
Relativamente al punto 2 lo IAS 36 stabilisce che la perdita per riduzione di valore coincide
con l’ammontare per il quale il valore contabile di un’attività (generatrice di flussi finanziari)
supera il valore recuperabile. Detto in parole più semplici significa che se il valore
contabile di un’attività è maggiore del suo valore di mercato, la stessa attività ha senz’altro
subito una perdita. Lo IAS 36 ha definito il valore recuperabile come il maggior valore tra il
fair value (al netto dei costi di vendita o di dismissione) e il valore d’uso. Il valore d’uso
coincide perfettamente col valore recuperabile se è impossibile stimare attendibilmente il
fair value (perché, ad esempio, non esiste più un mercato per quella specifica attività).
A proposito del punto 3 occorre precisare che il criterio di valutazione “ottimale” di
un’attività è il fair value e che il valore d’uso – è importante ribadirlo – entra in gioco solo
quando è impossibile stimare il fair value. È ovvio che se il valore contabile del bene è
superiore sia al valore d’uso e sia al fair value, lo stesso non ha subito alcuna perdita di
valore. L’esempio numerico che segue può contribuire a spiegare meglio il concetto.
§ 3bis. Calcolo del valore recuperabile.
Ipotizzando che un’impresa abbia acquistato ad inizio anno un impianto del costo di €
100.000 (ammortizzabile in 5 anni) e che a fine anno ci sono utili indicazioni per far
ritenere che l’impianto abbia subito una perdita di valore, l’impresa per determinare
l’impairment test deve procedere al calcolo del prezzo di vendita come segue:
anno
n
n+1
n+2
n+3
n+4
Costo
storico
100.000
100.000
100.000
100.000
100.000
%
ammortamento
20
20
20
20
20
Quota di
ammortamento
20.000
20.000
20.000
20.000
20.000
Fondo di
ammortamento
20.000
40.000
60.000
80.000
100.000
Valore
contabile
80.000
60.000
40.000
20.000
-------
Il prospetto sopra riportato evidenzia il piano di ammortamento dell’impianto (per
semplicità si è calcolata la vita utile del bene considerando una percentuale di
ammortamento a quote costanti). Al 31/12/N il prezzo di vendita del bene sarà così
determinato:
costo storico
- fondo ammortamento
= valore contabile
€ 100.000
€ 20.000
-------------€ 80.000
valore di mercato dell’usato (riferito al bene oggetto di questa analisi) € 85.000
- costi di dismissione
€ 7.000
-------------= prezzo di vendita
€ 78.000
come si evince dai calcoli sopra riportati emerge che il prezzo finale di vendita del bene è
inferiore al valore contabile, ne consegue che l’impianto, oltre a aver riportato una perdita
di valore necessita di una stima per il suo valore d’uso - in quanto il valore recuperabile,
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va ricordato è il maggiore tra il valore d’uso e il fair value al netto dei costi di dismissione atteso che il suo fair value, per quanto precedentemente esposto coincide col prezzo di
vendita.
§ 4. Determinazione del valore d’uso.
Il calcolo del valore d’uso non è compito facile poiché dipende da molte variabili che, in
diversa misura incidono sulla determinazione dello stesso. Per un qualunque cespite
l’azienda si attende che dia dei risultati positivi, in altre parole ciò significa che i costi
sostenuti dall’azienda per introdurre nel ciclo produttivo quel bene, devono essere inferiori
ai ricavi che quello stesso bene è in grado di far conseguire all’azienda. Il metodo, che a
parere di chi scrive, sembra ottimale per il calcolo del valore d’uso è un’analisi dei flussi
finanziari basata su una serie di stime comportanti una serie di operazioni che qui di
seguito si sintetizzano:
 flussi finanziari in entrata: derivanti dagli introiti che consegue l’azienda realizzando
uno specifico prodotto con quel bene che stiamo valutando;
 flussi finanziari in uscita: derivanti dagli esborsi, di qualsiasi natura, che sostiene
l’azienda per la realizzazione di uno specifico prodotto;
 flusso finanziario netto: ottenuto come differenza tra i due flussi precedentemente
indicati;
 tasso di attualizzazione: inteso come valore del denaro che tenga conto degli
elementi di rischio strettamente connessi all’attività d’impresa.
Tali flussi, basati su appositi piani elaborati dalla direzione aziendale, devono essere
calcolati in modo più attinente possibile a quella che è la realtà in cui opera l’azienda,
diventa, pertanto, importante che i budget contengano dati recenti. L’importanza della
tempestività dei dati è duplice perché essi sono indispensabili per quelle imprese che
adottano i principi contabili internazionali (IAS/IFRS) per la redazione del bilancio e sia
perché – nell’ambito delle scritture contabili in senso stretto – la perdita di valore di un
bene deve essere rilevata nel conto economico al fine di determinare il nuovo “costo” sulla
base del quale ripartire l’ammortamento sul restante periodo di vita utile del bene stesso.
§ 4bis. Calcolo del valore d’uso.
Un esempio numerico può chiarire quanto sopra esposto.
Riprendendo il caso dell’impianto industriale dal costo storico di € 100.000, la tabella sotto
riportata mostra i flussi monetari generati dall’impianto nel suo periodo di vita residua.
Flussi (stima)
Entrate monetarie
Uscite monetarie
Saldo netto
Anno n + 1
€ 60.000
€ 40.000
€ 20.000
Anno n + 2
€ 62.000
€ 41.000
€ 21.000
Anno n + 3
€ 65.000
€ 44.000
€ 21.000
Anno n + 4
€ 65.000
€ 50.000
€ 15.000
Totale
€ 252.000
€ 175.000
€ 77.000
Successivamente alla stima dei flussi finanziari, per poter determinare il valore d’uso
dell’impianto e, quindi l ‘impairment test, al termine dell’anno “n” bisognerà attualizzare i
flussi netti per ciascun anno successivo al primo – nell’ipotesi si può considerare un tasso
di attualizzazione del 5% - pertanto si avrà che:
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1
------------(1 + 0,05)n
la formula qui sopra indicata esprime il coefficiente di attualizzazione, dove “n” è il numero
di anni di vita residua del bene.
Applicando la formula ai flussi finanziari netti si ottiene che:
nell’anno “n + 1”:
1
--------------- = 0,82 (coefficiente di attualizzazione anno “n + 1”)
(1 + 0,05)4
moltiplicando il flusso netto di cassa (€ 20.000), si ottiene il flusso di cassa attualizzato:
20.000 x 0,82 = 16.400
nell’anno “n + 2”:
1
--------------- = 0,86 (coefficiente di attualizzazione anno “n + 2”)
(1 + 0,05)3
moltiplicando il flusso netto di cassa (€ 21.000), si ottiene il flusso di cassa attualizzato:
21.000 x 0,86 = 18.060
nell’anno “n + 3”:
1
--------------- = 0,91 (coefficiente di attualizzazione anno “n + 3”)
(1 + 0,05)2
moltiplicando il flusso netto di cassa (€ 21.000), si ottiene il flusso di cassa attualizzato:
21.000 x 0,91 = 19.100
nell’anno “n + 4”:
1
--------------- = 0,95 (coefficiente di attualizzazione anno “n + 4”)
(1 + 0,05)1
moltiplicando il flusso netto di cassa (€ 21.000), si ottiene il flusso di cassa attualizzato:
15.000 x 0,95 = 14.250
Ne consegue che il valore d’uso è dato dalla sommatoria dei flussi netti di cassa
attualizzati e cioè:
16.400 + 18.060 + 19.110 + 14.250 = 67.820
Il risultato così ottenuto dimostra che il valore recuperabile dell’impianto è inferiore sia al
valore contabile (pari a € 80.000) e sia fair value al netto dei costi di dismissione (pari a €
78.000).
Perciò gli amministratori, al 31/12/N, oltre a calcolare la quota di ammortamento secondo
le norme civilistiche, dovranno procedere alla svalutazione dell’impianto per la perdita
subita:
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Valore contabile dell’impianto al 31/12/N
Valore d’uso dell’impianto al 31/12/N
Perdita per riduzione di valore
€ 80.000
€ 67.820
-------------€ 12.180
Le scritture contabili si presenteranno simili alle seguenti:
31/12/N
31/12/N
31/12/N
31/12/N
Ammortamento impianti
Fondo amm.to impianti
Svalutazione impianti
Fondo svalutazione impianti
€ 20.000
€ 20.000
€ 12.180
€ 12.180
§ 5. Conclusioni
Da quanto esposto sino ad ora si possono trarre due importanti riflessioni: la prima è che a
seguito della rilevazione della perdita di valore, l’impresa, applicando i principi contabili
internazionali, deve procedere alla rettifica del costo storico dell’impianto anche se tale
perdita non è durevole e di conseguenza procedere a ripartire l’ammortamento
dell’impianto per il periodo di vita utile residuo alla luce del nuovo valore. La seconda è
che se l’impresa decide di vendere l’impianto prima del 31/12/N avendo un valore
recuperabile maggiore del valore d’uso e quindi coincidente col fair value converrebbe
vendere il bene al prezzo di € 78.000. Se, invece, il fair value fosse stato di importo più
basso rispetto al valore d’uso, l’impresa avrebbe convenienza a vendere il bene a €
67.820.
Il procedimento per la determinazione delle eventuali perdite di valore va ripetuto ogni
anno e, nel caso in cui non dovessero manifestarsi, è ovvio che l’impresa non dovrà fare
alcuna svalutazione anzi, se l’anno successivo a quello in cui si è registrata la perdita di
valore si rileva un incremento dello stesso, l’impresa dovrà procedere al ripristino del
valore con le stesse modalità con cui si procede alla svalutazione.
Infine, si fa presente che in nessun caso è ammessa il ripristino della perdita di valore per
l’avviamento.
Nicola Gravina
Marzo 2007
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