Integrazione. Una Direttiva che esige collaborazione e

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Integrazione. Una Direttiva che esige collaborazione e
Centro Studi Psico Medico Pedagogico della Mediazione
Formazione • Applicazione • Ricerca • Sperimentazione • Psicopedagogica e Clinica
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Comitato Scientifico servizio info & newa
Scientifico
06-04-2013
Grazie a Tillo... Per la sua attenzione competente... Per contomio,
allego due riflessioni, indirizzate a due riviste: Infanzia e
Integrazione Scolastica e Sociale. Ciao
Andrea
……………………
La Direttiva del 27 dicembre 2012, intitolata Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali
e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica, pubblicata dal Ministero dell’Istruzione, ha innestato
un movimento di opinione, in cui si è espressa una certa preoccupazione circa la deriva sanitaria degli
interventi. La “sanitarizzazione” è temuta. Con giusta ragione se significa trasformare ogni disagio, sociale,
culturale, psicosociale, psicoculturale, in elementi risultanti esclusivamente da una personalità patologica. Da
una storia individuale di disabilità a volte anche confusa con la malattia. Se questo avvenisse, possiamo
immaginare che alcuni ruoli professionali, come insegnanti ed educatori, si sentano inadeguati. E possiamo
segnalare il rischio che il “recupero” possa essere tentato cercando di dare una verniciata di specialismo
similsanitario alla formazione di insegnanti o educatori, che guadagnano magari l’aggiunta di “specializzati”.
Ma questa deriva è inevitabile?
Proviamo a dire di no, e con qualche illustre ma non eccezionale esempio.
Medicina o educazione?
Cominciamo da Jean-Marc Gaspard Itard (1774-1838). Questo medico educatore intreccia la propria storia
con quella di un bambino abbandonato ritrovato nei boschi della Francia centromeridionale all’inizio del
1800. Questo bambino, il ragazzo selvaggio, ha corso il rischio, due volte da quando è stato ritrovato, di
essere dapprima confuso con gli altri bambini abbandonati e perdere tutta la sua identità; e poi confuso con
quelli che venivano chiamati allora i sordomuti. Ma il direttore dell’istituto dei sordomuti si accorse subito
che non aveva a che fare con un bambino sordomuto e favorì il fatto che un educatore, e anche medico, lo
prendesse a casa sua. Questo è stato uno dei primi esempi, della storia che conosciamo, in cui un bambino
handicappato ha avuto una vita quotidiana in famiglia, essendo accolto in una casa, non essendoci nato. Chi lo
aveva accolto aveva bisogno di guardarlo, di osservarlo giorno dopo giorno per capire chi fosse. C’erano tutti
i giorni, accanto a quel ragazzino, due sguardi: lo sguardo dell’educatore medico e lo sguardo di una donna
governante di casa. Il maestro medico a volte sbagliava nel vedere: non si accorgeva di alcune delle risorse
che il bambino aveva; mentre la governante di casa riusciva a vedere queste qualità di quel bambino. Il
maestro medico aveva in testa un modello troppo definito, in cui erano già previste le tappe
dell’apprendimento del linguaggio. La governante della casa si accorgeva invece che a quel bambino piaceva
il latte. Piacendogli il latte sapeva riconoscere l’armadio dove stava il latte. Il dottor Itard, il maestro medico,
gli faceva fare molti esercizi, con risultati molto modesti, mentre la governante, tenendo in ordine la casa ed
avendo in questo un rapporto con questo bambino, scopriva le sue capacità di organizzare il tempo e lo spazio.
Chi faceva meglio psicomotricità? Era forse migliore la psicomotricità della governante. Il dottor Itard era
troppo intelligente per non accorgersene. Ha allora cominciato a valorizzare le conquiste che questo bambino
faceva, non negli esercizi che aveva preparato, ma nella vita quotidiana.
Il dottor Itard doveva rendere conto a qualcuno che aveva una competenza scientifica, e scrivere un rapporto
scientifico. Non poteva dire: il mio lavoro scientifico é un fallimento e la governante di casa ha successo.
doveva scrivere le cose in modo tale che ci fossero gli insuccessi e i successi, e questi anche legati al piano
scientifico che aveva fatto.
E’ uno dei tanti esempi che la storia ci presenta di situazioni in cui chi ha l’esperienza quotidiana per
valorizzarla la deve travestire o la deve far acquisire da chi ha la statura scientifica.
Anni dopo l’esperienza del sauvage e di Itard, un suo allievo, Édouard Onésime Séguin (1812-1880), dopo
avere praticato tra l’altro presso l’Ospedale di Bicêtre, a Parigi, fonda una scuola per l’educazione integrale
degli “idioti”. Nel 1850 emigra negli Stati Uniti, dove prosegue una carriera di teorico ed esperto di
educazione speciale. Negli Stati Uniti è considerato il fondatore dell’educazione speciale. Può essere
considerato “il più grande pedagogista francese”
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Séguin, nel 1846, si arrabbiava con i medici , perché diceva che incontravano gli idioti (nome che si usava per
gli insufficienti mentali) per un minuto e non si accorgevano di dipingere sempre lo stesso ritratto: non
rendendosi conto che , se passassero un po' di tempo con ciascuno di loro, troverebbero che sono tanti ritratti
diversi. Le decisioni sono sempre prese per un solo ritratto e in questo mettete per forza le differenze
individuali. Seguin fu al centro delle gelosie di medici. Per questo, lasciò la Francia e raggiunse gli Stati Uniti.
Queste figure storiche, radici dell’integrazione scolastica e sociale, possono farci riflettere sulla necessità di
non chiudere la porta dell’educazione accusando la “medicalizzazione” non appena si affaccia la possibile
collaborazione fra Educazione e Medicina. Nello stesso tempo, quelle vicende apparentemente lontane, ci
possono ricordare che una collaborazione e un confronto non sono sempre facili, e possono attraversare
momenti di scontro. Può sembrare moralistico, ma è molto utile distinguere gli scontri nelle logiche del
potere, da quelli nelle logiche dei processi di umanizzazione.
E’ la lunga storia della conoscenza, che comprende anche il riconoscere il valore dell’esperienza diretta, dei
protagonisti; e ha toccato tanti diversi deficit: l’insufficienza mentale come la lesione cerebrale, come
l’autismo.
In questa storia troviamo, ad esempio, Sante De Sanctis (1862-1935), considerato il fondatore della
Neuropsichiatria infantile italiana insieme a Giuseppe Montesano (1868-1961), anche lui medico. Come
Maria Montessori (1870-1952). Medici e pedagogisti nello stesso tempo…
Nel 1974 è uscito il libro di Luigi Cancrini, Bambini <diversi> a scuola. Un testo importante per lo sviluppo
dell’integrazione. Dovremmo guardarlo con sospetto perché il suo autore è psichiatra?
Insieme o divisi? Apprendere è un’azione solitaria?
La capacità di agire e di costruire un progetto per il proprio futuro sembra essere uno dei problemi che
accomunano molte situazioni anche diverse fra loro, e che sembrano richiamare la procedura della
certificazione e del conseguente “sostegno”, come in sintesi si dice. Questo problema può indurre chi cresce a
comportamenti impropri: si agita, litiga per niente o si chiude in una passività inquietante e sembra non
ascoltare nulla e nessuno. Passa all’atto o si isola rifiutando ogni contatto ed ogni accenno di comunicazione.
Rifiuta attivamente, troppo, o passivamente, troppo.
Oppure, avendo una diagnosi, rischia di perdersi in un labirinto istituzionale costellato di “sostegni” e “tutele”
più o meno precari/stabili, in bilico fra il volontariato e lo specialismo; e rischia continuamente di imbattersi
in assistenzialismo e vittimismo.
In tutte queste situazioni, qui malamente riepilogate per alcune caratteristiche salienti, esigono una scelta fra
un’organizzazione caratterizzata dalla cooperazione – “insieme” -, e una caratterizzata da un’impronta
taylorista/fordiana, basata sulla divisione di compiti, la frantumazione delle richieste, i programmi strutturati
individuali, la modellizzazione dei comportamenti…
Parliamo di apprendimento e di educazione all’apprendimento. L’apprendimento scolastico possiede
caratteristiche specifiche che lo distinguono nettamente dalla altre forme di apprendimento che avvengono in
contesti di vita quotidiana, in quei contesti non esplicitamente e non <solamente> educativi.
Questa distinzione è apparsa con chiarezza in un articolo, considerato un classico, di L. B. Resnick, (1987 in
C. Pontecorvo, A. M. Ajello, C. Zucchermaglio, 1996); [… che…] descrive quattro caratteristiche del
funzionamento cognitivo degli individui nei contesti di vita quotidiana, che si contrappongono a
caratteristiche tipiche del loro funzionamento nel contesto scolastico.
Vediamole:
1. cognizione individuale (in) versus cognizione condivisa (out). A scuola le attività sono più individuali,
e anche quando occasionalmente esistono esperienze di lavoro di gruppo, la valutazione è sempre del
singolo. Gli allievi stanno insieme in un’aula, ma ad ognuno è richiesto di produrre e pensare in modo
indipendente dagli altri. Al contrario all’esterno, nella vita di ogni giorno, al lavoro, la maggior parte
delle attività che svolgiamo sono condivise socialmente: le abilità di una persona sono sempre
sostenute dalle attività e dalle competenze degli altri e i funzionamenti mentali di ognuno sono sempre
funzionamenti sociali.[…]
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2. attività mentale pura (in) versus manipolazione degli strumenti (aut). […] A scuola non si considera
minimamente il fatto che spesso la competenza di una persona sta proprio nella capacità di utilizzo
efficace delle competenze degli altri e degli artefatti e strumenti, nei quali gran parte delle conoscenze
individuali può venire distribuita.
3. manipolazione di simboli (in) versus ragionamento contestualizzato (aut). [la matematica pratica,
applicata a un contesto] […].
4. apprendimento di principi generali (in) versus competenze situate in contesti (out). […]” (C.
Zucchermaglio, 1996, pp. 49-51).
L’apprendimento però può aprirsi e essere una pratica sociale situata in un contesto, come tanti decenni di
scuola attiva hanno potuto dimostrare. Ed essere un apprendimento capace di includere, di integrare.
“Apprendimento come pratica sociale situata. […].
1. L’apprendimento è una pratica fondamentalmente sociale. […].
2. La conoscenza è integrata e distribuita nella vita della comunità. […].
3. L’apprendimento è un atto di appartenenza. […].
4. L’apprendimento è coinvolgimento nelle pratiche. […].
5. Il coinvolgimento deve essere legato alla possibilità di contribuire allo sviluppo della comunità. […].
6. Non si impara quando ci è preclusa la partecipazione. […].
7. Esiste già una società di individui che apprendono sempre. […].”
(C. Zucchermaglio, 1996, pp. 74-78).
Indicazioni bibliografiche.
C. PONTECORVO, A. M. AJELLO, C. ZUCCHERMAGLIO (1996), a cure di, I contesti sociali
dell’apprendimento, Milano, LED.
C. ZUCCHERMAGLIO (1996 e ristampe), Vygotsky in azienda. Apprendimento e comunicazione nei contesti
lavorativi, Roma, Carocci.
L. CANCRINI (1974), Bambini <diversi> a scuola, Torino, Boringhieri.
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APPRENDE E’ UN’AZIONE
SOLITARIA?

Imparo io …

Imparo da …

Quello che imparo è mio …

Imparando entro in contatto
con altri, anche lontani nel
tempo e nello spazio …

Finché imparo, sono
sottomesso a chi mi insegna.
Non vedo l’ora di smettere di
dover imparare …

Imparerò ancora dialogando e
scambiando …
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