PDF - Spaghetti Writers

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Surgelati
Francesco Casini
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Ci sfioriamo i gomiti al supermercato, di fronte al banco surgelati, e subito la riconosco. Lei ha lo
sguardo basso, si scusa e si allontana. Non credo ai miei occhi, la chiamo per nome. Ci mette un
secondo a riconoscermi poi le s’illumina lo sguardo.
«Dio mio!»
«Sei davvero tu?!»
«Non ci credo!»
«Come stai?!»
«Come stai?»
«Bene, io bene, tu?»
«Bene grazie, assurdo, non ci credo.»
«Quanto sarà? dieci anni?»
«Non lo so, forse di più. Cosa mi racconti, cosa…»
«Forse dodici, dalla festa di laurea.»
«La laurea!»
«Niente da raccontare, faccio la spesa! tu?»
Ride. Ride come dodici anni fa e ho un tuffo al cuore.
«Anche io la spesa!»
Agita una confezione di minestrone surgelato. Ha i capelli lunghi adesso, il viso più spigoloso, ma
non è invecchiata di un giorno.
«Ti vedo bene, stai bene.»
«Grazie! Dici? Non è vero, ho due occhiaie!»
«Ma dimmi, che fai adesso?!»
«Insegno, più o meno, sostituisco.»
«Sul serio?!»
«Sì, mi spediscono ovunque! È faticoso.»
«Immagino.»
«Però formativo, sai, ogni mese persone nuove»
«Senti ma perché, perché non ci prendiamo un caffè qui fuori?»
«Dai!»
«Così parliamo senza la puzza di pesce.»
«Va bene, qui fuori?»
«Al bar di fronte.»
«Certo, ma vieni qui spesso?»
«Da quando mi sono trasferito.»
«Non ti ho mai visto.»
«Sì da qualche mese abito qui vicino, allora ti aspetto all'uscita.»
Prima di andare prendo due birre. Lo scaffale è specchiato e mi guardo la pancia. Non l’avevo
dodici anni fa, né quella né le stempiature. Ho rughe vistose attorno agli occhi, la pelle ingrigita dal
fumo. Mi ero ripromesso di smettere con le sigarette arrivato ai trenta. Adesso aspetto i quaranta.
Rimetto le birre al loro posto disgustato da me stesso. Mi chiedo se sono presentabile, non mi
aspettavo d’incontrare qualcuno. Mi annuso i vestiti camminando verso il reparto cosmetici. Prendo
un deodorante e me lo spruzzo mentre nessuno guarda.
Vado alle casse, lei sta già pagando. La chioma lunga e bruna ondeggia attorno al corpo esile.
Sorride alla cassiera. Ha i denti bianchissimi, furono la prima cosa che notai di lei. Strizza gli occhi
ogni tanto, ha sempre rifiutato gli occhiali.
Prende le buste e si gira verso l’uscita.
«Non ti lascerò mai, dice.»
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Mi sto specchiando con indosso solo i calzini. Sono troppo magro, penso. Lei è sul letto, si rigira tra
le coperte. Ha le guance rosse e gli occhi stanchi.
«Hai capito?»
«Cosa?»
«Ho detto che non ti lascerò mai.»
Mi giro e le sorrido.
«Neanch'io amore.»
Torno sotto le lenzuola e l’abbraccio. È calda e morbida. Mi mette la testa sul petto.
«Come sei vanitoso.»
Le do un pizzicotto e lei si rigira tra le mie braccia ridendo.
«Sto cominciando a invecchiare, dico.»
«Cosa?»
«Dopo i venticinque inizia la vecchiaia.»
«Be’ gli uomini diventano affascinanti.»
«E le donne?»
«Le donne diventano vecchie e basta.»
Ci rigiriamo sotto le lenzuola. La finestra è socchiusa, assieme alla luce della strada entra aria
gelida. La stringo forte per riscaldarci. Lei chiude gli occhi. È bellissima. Mi chiedo come ho fatto a
fregarla, a farla stare con me. Forse dovrei metterla incinta, penso, per sicurezza. Sorrido al
pensiero.
«Se facessimo un figlio saremmo obbligati a stare assieme.»
Sembrava assopita ma sgrana gli occhi verdi e ride.
«Rabbrividisco se penso al parto.»
Alza le lenzuola e si guarda il corpo esile, il seno grazioso. Si mette una mano in mezzo alle cosce.
«Ci pensi che dovrebbe uscire da qui?»
«Meglio lì che dal sedere.»
«Ma si potrà scopare? Non sopporterei nove mesi senza.»
«Certo.»
«Non gli faresti male?»
Scoppio a ridere.
«No, ho visto dei porno con attrici incinte.»
Ridiamo ancora e ci baciamo.
«Tu non lasciarmi, poi al bambino ci pensiamo.»
Parla lentamente, si sta addormentando. Le accarezzo i capelli. Dopo poco il suo respiro si fa
pesante. L'abbraccio e chiudo gli occhi. Qui, penso, è proprio dove voglio stare.
Racconta che ha preso una specializzazione a Torino, poi che ha lavorato sei mesi in un ristorante,
disperata. Per fortuna ha conosciuto Giorgio, suo marito. Sì è sposata in chiesa, dice, chi l’avrebbe
mai detto? Da giovane odiava i preti. Mentre parla non mi guarda. Il caffè si è seccato sul bordo
della tazzina, lo gratta via. Indossa una felpa scolorita, jeans strappati e scarpe da ginnastica. Ogni
tanto sbadiglia.
«Ti sto annoiando?»
«No scusa! il bambino mi ha tenuta sveglia stanotte.»
«Hai un bambino?!»
«Ha due anni ormai.»
«Dio mio!»
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Le faccio i complimenti. Poi le chiedo come sia essere genitore. Ci pensa un po’, fa un cenno con la
testa. Stancante, dice. Si passa una mano sulla felpa. Non ricorda l'ultima volta che ha messo
qualcosa d'elegante.
Di colpo realizzo che non parlavamo dal giorno della rottura. Ci siamo lasciati improvvisamente,
come c’eravamo presi. Non ricordo nemmeno perché, so solo che eravamo infelici. Sono sempre
stato un po’ infelice. Da giovane perché ero giovane, adesso perché non lo sono più.
Mentre lei parla mi accorgo che la maglietta mi veste corta, per poco mi si vede la pancia. Mi siedo
composto e faccio un gran sorriso perché sembra aver detto qualcosa di divertente.
«Ma tu invece che fai? Ti sei trasferito?»
Mi sono trasferito perché mia moglie mi ha lasciato. Però a lei dico che volevo cambiare aria, che
forse vado all'estero.
«Beato te! Il lavoro te lo permette?»
«Sto cercano di pubblicare un romanzo.»
«Scrivi ancora?! Oddio adoravo leggerti, sono felice per te.»
«Grazie.»
Al momento di salutare non sappiamo se abbracciarci o stringerci la mano. Dopo un paio di
tentativi mi dà una pacca sulla spalla.
Quando si allontana rientro al supermercato senza farmi vedere. Torno allo scaffale delle birre.
Questa volta prendo una confezione da sei. Prendo anche un pacco di patatine gigante.
Sulla strada di casa ripenso a lei. Quando stavamo assieme ci credevamo speciali. Adesso lei è una
madre qualsiasi e io sono padre solo dei miei errori. Nessuna seconda occasione.
Arrivato a casa mi butto sul divano. Il bilocale è buio, ci sono scatoloni ovunque. La mobilia è
rimasta tutta in soggiorno dove l'hanno scaricata. Fa eccezione il divano che ho spostato vicino
all'angolo cottura. Da qui raggiungo il frigo senza alzarmi. È una grande consolazione.
Metto le birre al fresco e aspetto.
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