progetto immagine e gruppo multifamiliare

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progetto immagine e gruppo multifamiliare
Avances en Salud Mental Relacional / Advances in Relational Mental Health
ISSN 1579-3516 - Vol. 9 - Núm. 2 - Diciembre 2010
Órgano Oficial de expresión de la Fundación OMIE
Revista Internacional On-Line / An International On-Line Journal
PROGETTO IMMAGINE E GRUPPO MULTIFAMILIARE
Luciana De Franco e Mariella Cortese (Roma)
RESUMEN
Hablar de la teoría y de la técnica del Grupo Multifamiliar que hemos activado en el interior de un
Centro de Salud Mental de Roma, no puede prescindir de una referencia teórica y técnica a la
experiencia que desde hace quince años se denomina Proyecto Imagen. Se trata de una red constituida
de un Grupo Grande y de Grupos pequeños che ponen al centro del recorrido terapéutico la relación
con una imagen, abordaje con lo cual hemos introducido espacios e instrumentos nuevos en la cura para
la patología severa. Dentro de este Proyecto a incluido con su forma y contenido específico la actividad
del Grupo Multifamiliar.
PALABRAS CLAVE: Proyecto imagen. Patología severa.
SUMMARY
Talking about the theory and the technique of the Multifamily Group that we have set up in a Mental
Health Centre in Rome, we can not overlook a theoretical and technical reference to the experience
which has for fifteen years been called Proyecto Imagen. This is a network made up of a Big Group and
small Groups which put the relationship with an image into the therapeutic centre; with this approach
we have introduced new spaces and instruments into the cure for severe pathology. Within this Project,
it has included with its specific form and content the activity of the Multifamily Group.
KEY WORDS: Progetto Immagine. Severe pathology.
© 2010 CORE Academic, Instituto de Psicoterapia
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Progetto Immagine e gruppo multifamiliare
SOMMARIO
Parlare della teoria e della tecnica del Gruppo Multifamiliare che abbiamo attivato all’interno di un
Centro di Salute Mentale di Roma, non può prescindere da un riferimento teorico e tecnico alla
esperienza che quindici anni fa è stata denominata come Progetto Immagine. Si tratta di una rete
costituita da un Grande Gruppo e da Piccoli Gruppi che pongono al centro del percorso terapeutico la
relazione con una immagine, approccio con cui abbiamo introdotto spazi e strumenti nuovi nella cura
per le patologie severe. All’interno di questo Progetto si è inserito con la sua forma e il suo contenuto
specifico l’attività del gruppo MF. Per quanto attiene la forma il Gruppo Multifamiliare si può
considerare un punto di arrivo, derivato dall’accoglimento di quanto via via i pazienti hanno portato ai
gruppi: la dimensione multifamiliare si è rivelata sempre più come una area profonda e attiva nei
partecipanti, qualcosa di emergente che progressivamente ha trovato un suo spazio specifico nella
mente dei curanti e, dunque, nella elaborazione metodologica della rete gruppale del Progetto
Immagine. Il gruppo di lavoro ha infatti accolto istanze sempre più imparentabili con le dinamiche
familiari sino a farle diventare la pluralità reale di più famiglie nel gruppo. Nel contenuto il Gruppo
Multifamiliare si costituisce quale occasione per ciascun nucleo familiare o individuo di rispecchiarsi e di
sperimentare nel qui ed ora dinamiche che non avevano mai potuto trovare espressione, con la
possibilità di accedere a nuove rappresentazioni psichiche, sperimentare qualcosa che mai si era
incontrato nella famiglia originaria che si presenta sempre come chiusa e totalmente satura. Le teorie
originarie che hanno ispirato il nostro lavoro sono quelle di C.G. Jung e di P.C. Racamier, mentre
l’accesso alla dimensione consapevole e strutturata del gruppo multifamiliare fa riferimento alla teoria
di J. E. Garcia Badaracco. Relativamente a Jung parliamo della possibilità per ciascun paziente di
contattare attraverso il gruppo le scissioni psicotiche facendo in modo che ciascun frammento, inserito
nella ricostruzione restituita nel e dal gruppo, ritrovi la propria emozione e il proprio senso
specificatamente attraverso la riorganizzazione di una contatto con le proprie personificazioni interne o
personaggi. Accanto a ciò la nostra metodologia si è nutrita delle esperienze di Racamier per quanto
attiene l’importanza della relazione dei pazienti con le famiglie da una parte e quella con il gruppo dei
curanti dall’altra: interconnessioni sottili e profonde divenute per noi imprescindibili.
PAROLE CHIAVE: ProgetTo immagine. Patologie severe.
1. IL PROGETTO IMMAGINE E LA RETE GRUPPALE
La costruzione di una rete gruppale è stato un processo naturale e fondante del Progetto Immagine.
Quello reticolare è un modello attraverso il quale si può descrivere non solo il funzionamento della
mente, ma per la Psicologia Analitica anche la psiche viene definita complessa e non unitaria, per la sua
natura multipla e frammentata: "la psiche non è una unità, bensì una contraddittoria molteplicità di
complessi" scrive Jung . Da un punto di vista dinamico la psiche viene intesa come una pluralità di
complessi che stanno tra di loro in differenti relazioni con lo steso complesso dell'Io.
In accordo con Racamier riteniamo che nelle istituzioni di cura esistano un setting e dei sotto-setting. La
rete del P.I. prevede un settig globale (l'Istituzione), un setting di accoglienza permanente (Grande
Gruppo) e dei sotto-setting di lavoro terapeutico con le immagini artistiche (Piccoli Gruppi Immagine).
Nella nostra esperienza tale organizzazione permette in un certo qual modo di creare un parallelo con la
situazione di frammentazione del paziente: nei vari setting egli può depositare o attivare parti di sé e
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contemporaneamente accedere ad un percorso terapeutico modulare, dove la tendenza alla
riunificazione è sempre presente nella mente e nel funzionamento mentale degli operatori.
Nella prassi del P.I. il Grande Gruppo, a cui partecipano tutti i pazienti che afferiscono al Progetto, si
pone contemporaneamente come il centro e la periferia, con funzioni di accoglienza generalizzata
aperta a tutti ed orientamento terapeutico personalizzato, luogo concreto ma anche spazio virtuale che
materializza e mentalizza quella funzione di ascolto permanente propria del Servizio pubblico.
Nel Piccolo Gruppo la sufficiente distanza garantita dalla presenza del l'immagine artistica, ha permesso
ai pazienti di accedere ad ulteriori aree e contenuti interni, ad un veder-si piuttosto che a un vedere.
Per la sua collocazione l'oggetto immagine rivela tutta la sua ambiguità perché esterno ma anche
interno, concreto ma anche simbolico, fisso ma anche continuamente cangiante. Tale modalità di
attivazione psichica, attuandosi all'interno di una cornice operativa che presenta i caratteri della
continuità e della stabilità, fa sì che il paziente ad ogni incontro possa trasporre pian piano i contenuti da
queste aree della mente terrifiche e potentemente difese da meccanismi molto primitivi, in uno spazio
nuovo. Nel campo gruppale i pazienti possono sentirsi protetti, poiché possono continuamente variare
la distanza/vicinanza libidica dagli altri e dal curante. La presenza dell'immagine fa sì che
intrapsichicamente egli si lasci andare in un territorio che si pone ai confini tra interno ed esterno, tra
finzione e realtà. E’ questa una area transizionale. Grazie a questo passaggio i pazienti cominciano
inconsapevolmente a con-figurare aree e contenuti ancora privi di forma ma carichi di affettività.
Saranno poi le dinamiche gruppali a favorirne man mano il riconoscimento prima, e successivamente
l'aggregazione di questi contenuti immaginativi. Sappiamo bene come quelle dei pazienti psicotici
possano essere considerate forme particolari di “non-esistenza”, di totale separazione dai processi
emotivi e cognitivi. Poter anche per brevi momenti vivere il "mettere insieme", il vedere altro,
costituisce una forma elementare di esperienza simbolica, una primordiale ma profondissima attività
psichica relativamente a quei processi ormai logorati o mai esperiti di funzionamento simbolico. Un
proto-nucleo , su cui si può cominciare a collegare ed integrare qualcosa. Un primo atto di fondazione
psichica, che concerne il funzionamento dei processi simbolici.
I processi che si attivano nelle relazione tra Grande Gruppo e Piccoli Gruppi Immagine si possono
leggere nell'ottica della complessità e della integrazione. Il paziente che si avvicina al Progetto Immagine
lo fa cautamente e discretamente, in genere comincia ad affacciarsi ad esso partecipando, nelle forme e
nei tempi a lui congeniali, al percorso di un Piccolo gruppo e/o al Grande gruppo; prende parte così a
contesti che creano differenti livelli di attivazione e di osservazione della vita psichica, pur sempre
inserito nella rete terapeutica del Progetto Immagine caratterizzata da una serie di comunicazioni e
ricadute trasversali. Ciascuno, ad esempio, può portare il vissuto del Piccolo Gruppo all'interno del
Grande Gruppo, oppure finito un percorso cominciarne un altro di altra natura, ma per il collegamento
esistente nella mente dei terapeuti e nella metodologia del P.I., questa diventa una esperienza di
continuità.
Se consideriamo la psiche una pluralità, così come plurale è la nostra dimensione relazionale,
l'attivazione di processi reticolari si comprende in una ottica che tende ad innescare modalità di
connessione interna ed esterna che si collocano lungo il continuum che vede da una parte la
frammentazione totale e dall'altra una forma di funzionamento globale non sintetico.
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Dalle isole sparse di un arcipelago mai abitato, alla costruzione fondante di una nuova geografia
interna. Il Grande Gruppo da una parte e i Piccoli Gruppi dall'altra, costituiscono parti opposte di un
solo organismo, dove i singoli reticoli interagiscono tra di loro, si influenzano sinergicamente,
costituiscono una intersezione mai satura e definibile: la rete del Progetto Immagine collegata a quella
di ogni singolo gruppo e a quella di ogni singolo individuo.
Il percorso terapeutico consiste, dunque, in un lavoro modulare in cui nella mente dei terapeuti le
differenti esperienze possano essere distinte e poi collegate tra di loro, in un processo continuo di
differenziazione e integrazione.
2. IL FUNZIONAMENTO DELLA MENTE GRUPPALE
Ogni gruppo va visto sotto l’ottica di due dimensioni. Una dimensione intrapsichica e una dimensione
oggettiva che ci li fa distinguere in grande, medio e piccolo e anche in più o meno terapeutici poiché
ciascuno può attivare in maniera più o meno profonda e specifica la dimensione simbolica. Infatti,
all’interno della rete abbiamo gruppi diversamente caratterizzati che vanno da quello più strettamente
terapeutico, al gruppo di attività, al gruppo di solidarietà. I gruppi diventano così spazi differenziati in cui
i pazienti utilizzano in maniera più o meno approfondita i processi di elaborazione psichica, il mutuo
aiuto, la solidarietà, l’attivazione delle risorse, mettendo ogni volta in circolo competenze differenti.
Questo significa per essi poter accumulare contemporaneamente e lungo un continuum temporale
esperienze che appartengono a registri diversi della vita psichica, e questo sia sul versante della
relazione con il mondo interno sia su quello con il mondo esterno. Una acquisizione che avviene quando
si attiva quello che noi abbiamo chiamato processo di scivolamento; un processo che si realizza nella
mente del paziente quando può passare da un livello all’altro dell’esperienza, attraverso passaggi che
vive come concreti e realistici, e non solo simbolici come avviene in una terapia psicoanalitica classica.
Dunque il P. I. va a costituire una rete che si pone come esperienza contemporanea di di eventi
simbolici, di socializzazione e crescita emozionale, di relazione gruppale. Un modello che secondo noi
permette di scivolare da un grado all’altro del piano della consapevolezza, fattore che valutiamo quale
indice di flessibilità del funzionamento psichico. Infatti, la coscienza di sé e delle relazioni la
immaginiamo come una sorta di piano che si può continuamente inclinare sotto la spinta delle
oscillazioni esterne generate dal lavoro di gruppo. Il tutto alla presenza di un Io che guarda e la cui
consapevolezza può assumere una forma che va da quella più strettamente concreta – il fatto - a quella
più fortemente simbolica – il suo senso. Il paziente apprende via via che uno stesso fatto può essere
visto e vissuto nel qui ed ora da diverse prospettive, e l’evento può quindi assumere per lui una forma
più o meno complessa e cangiante. Tale apprendimento permette gradualmente ai pazienti di uscire
dalla rigidità e dalla falsa protezione di uno sguardo orientato in un sola direzione; sguardo che da anni
genera sempre la stessa e unica visione: una visione per altro satura e chiusa a qualsiasi altra lettura.
Dunque , la capacità di scivolamento psichico sopra descritta, diviene accessibile perché il paziente
passando da un gruppo all’altro accumula una serie di micro-esperienze significative.
Va sottolineato che tale processo e il senso dei passaggi previsti avranno la loro efficacia e la loro
ricaduta nel lungo periodo, trasferendosi dal piano esterno a quello interno della mente del paziente,
solo se l’approccio e l’esperienza rispondono ad alcune condizioni di base: da una parte quelle
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necessarie dosi di intensità e di autenticità che ogni singolo operatore deve mettere nel campo e
dall’altra un gruppo dei curanti coeso che può contenere tutte le frammentazioni emerse e restituirle
continuamente sotto forma di interezza. Il processo potrebbe anche essere imparentato a quello di una
classica modalità integrata di terapie riabilitative ma l’aspetto centrale è dato da questa possibilità di
pensare prima e integrare poi le singole micro-espeienze in una sola mente gruppale: quella dei curanti.
Tali occasioni terapeutiche, cioè esperienze che per la prima volta sono in grado di far vedere qualcosa e
di trasformarlo, portano via via all’apprendimento di un modello di funzionamento analitico che
continuamente disgrega e riaggrega i contenuti mentali su differenti livelli. Funzionamento che già di per
sé la modalità gruppale offre, poiché spontaneamente produce questo arcaico movimento di
frammentazione prima e di ricomposizione poi con una evidenza esplicita e pregnante nel qui ed ora
dell’incontro.
Jung, a proposito delle funzioni della psicoterapia descrive insieme ad una funzione di confessionecatarsi e una di chiarificazione-interpretazione, una successiva funzione di educazione dal punto di vista
sociale, ovvero di un processo che ancori l’individuo alla normalità e lo preservi dalle derive sempre
attive di immersione nell’inconscio infantile. Infatti, comprendere e conoscere non basta, è necessaria
una via per l’integrazione sociale, una via per staccarsi dalla fascinazione dell’inconscio inteso nelle sue
rappresentazioni di complessi autonomi: una volta conosciuti se stessi cercare una via verso una
esistenza normale. Per far ciò è necessario, dice Jung, che il paziente venga letteralmente “trascinato su
altri binari”.
La via “educativa” che intende Jung è secondo noi quella dell’autonomia psichica. Obiettivo che si può
avvicinare quando sin dal principio il terapeuta mostra al paziente come procede una mente analitica.
Semplificando al massimo potremmo dire che il terapeuta mostra come egli stesso disgrega e riaggrega
il materiale emerso e dunque fluidifica e riequilibra la relazione tra la coscienza e l’ inconscio. Solo così il
paziente può via via osservare e poi assimilare quella capacità di accedere ad uno spazio altro in cui
lavorare su se stesso: luogo mentale dove poter tranquillamente scivolare tra il setacciare, separare e
riassemblare criticamente contenuti psichici arrivando a far dialogare e, forse, integrare il dentro con il
fuori, il concreto con il simbolico, l’individuale con il sociale. Sicuramente ciò avviene con la
collaborazione del terapeuta e del gruppo ma sin dall’inizio si gettano i semi e si coltiva il terreno
affinché ciascuno possa diventare più o meno libero rispetto alla dipendenza dalla autorità e dalla
competenza del medico e del gruppo.
Soltanto quando il paziente avrà fatto suo questo tipo di funzionamento mentale, e vi potrà accedere in
maniera autonoma è possibile la vera trasformazione e andare oltre il mero adattamento sociale.
3. NASCITA DEL GRUPPO MULTIFAMILIARE NELLA RETE DEL P.I.
Ad un certo punto della nostra esperienza i pazienti che partecipavano ai gruppi hanno cominciato ad
esprimere il desiderio di farvi accedere persone a loro vicine apparentabili alla relazione di tipo familiare
sino a che sono arrivati nel gruppo per loro stessa decisione membri della famiglia. Queste sono le
origini del nostro Gruppo Multifamiliare . Di fatto ci sembra che tutto quanto appreso nelle esperienze
gruppali ha permesso di far convergere nel multifamiliare
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La conoscenza delle teorie di Garcia Badaracco ci ha dato il sostegno per strutturare un gruppo formato
da più famiglie ed aver fiducia in questo tipo di lavoro poiché questo aveva un suo statuto teorico forte
e una sua specifica efficacia nella cura delle patologie severe. Nella nostra esperienza la multifamiliarità
rappresenta un punto importante ma non è sostitutiva della terapia duale né ha preso il posto degli altri
gruppi che continuano a essere attivi e a fornire quel necessario spazio di maturazione e
apprendimento di quella che ci sembra possa essere descritta nel nostro Progetto Immagine come
“capacità di scivolamento” della mente da un livello all’altro di funzionamento. La sanità per noi è
l’immagine di questo continuo scivolamento.
Dunque, sono ormai cinque anni che conduciamo un vero e proprio gruppo MF e i risultati ci sembrano
apprezzabili e ormai non possiamo più immaginare un approccio alla cura delle patologie severe che
prescinda da questo spazio di multifamiliarità. Probabilmente questo è talmente entrata dentro di noi
che a volte ci viene da proporlo al paziente direttamente anche senza che entri a partecipare prima agli
altri gruppi. Questo fatto ci ha permesso di effettuare un confronto tra gli uni e gli altri, e abbiamo
rilevato come il paziente che non ha avuto altre esperienze in Piccoli Gruppi abbia mostrato difese più
alte e sia portato a vivere il gruppo MF in una dimensione più di solidarietà. Coloro che invece hanno
effettuato l’iter che abbiamo indicato nel P.I. si muovono molto più spontaneamente all’interno del
registro simbolico e si attivano autonomamente nel portare i familiari.
Infatti, è importante evidenziare quali possono essere, secondo noi, nel nostro contesto culturale i rischi
di un gruppo multifamiliare formato in maniera “prescrittiva” da parte dell’Istituzione o del singolo
terapeuta. In questi ultimi casi ci sembra di poter rilevare due aspetti: da una parte sicuramente si attiva
un importante spazio di solidarietà tra le persone, ma si configura anche il pericolo che il gruppo resti
ancorato a quel livello, poiché le resistenze possono essere tutte a vantaggio della dimensione dello
stare bene insieme più che del cambiamento. Si manterrebbe così sempre scissa la dimensione
patologica della sofferenza, scissione che può essere in questo nuovo assetto gruppale in un certo qual
modo sostenuta e rinforzata.
Dall’altra parte non è estraneo all’esperienza italiana successiva alla
Riforma Basaglia (che ha portato alla chiusura dei manicomi) una peculiare attenzione destinata alla
famiglie. Ma noi abbiamo potuto notare che quando la famiglia si costituisce come un interlocutore a sé
stante, separato dal paziente, i rischi di triangolazione a livello istituzionale si moltiplicano, e l’istituzione
perde di vista l’interlocutore principale e sposta valore sulla famiglia per una questione di alleanze e di
potere. Il paziente viene ancora una volta escluso, poiché l’Ombra dell’istituzione è quella di tendere ad
incasellare e definire per controllare la malattia mentale.
Secondo la nostra esperienza per il paziente psicotico la possibilità di accedere a processi di
elaborazione non può prescindere dal lavoro nel piccolo gruppo terapeutico. I pazienti per così dire
“formati” al lavoro gruppale sono spesse volte trascinatori verso le attività di medio gruppo e verso il
gruppo multifamiliare. I piccoli gruppi del P.I hanno senso proprio perché attraverso questo spazio terzo
si permette al paziente l’accesso per un verso ad un vero lavoro duale e per un altro a quello
multifamiliare. Ora ci sembra che l’approccio di Psicoanalisi Multifamiliare pur non prevedendo una
terapia duale implicitamente si configura quasi sempre sulla base di una terapia individuale per il
paziente preso in carico dalle istituzioni e/o del singolo familiare. Nel nostro modello abbiamo potuto
notare che la terapia nel Piccolo Gruppo Immagine attiva quella funzione specifica di una mente
gruppale che faciliterà l’esperienza nelle situazioni così complesse ed articolate del gruppo
multifamiliare. Lo sviluppo emozionale conscio che l’esperienza della rete gruppale può dare è enorme.
Siamo arrivati alla fine di queste nostre riflessioni, ma abbiamo poco da concludere e molto da lavorare.
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