Leggi tutto - Centro per la Riforma dello Stato

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Rawls dimostra come la società di mercato meritocratica non abbia come unica alternativa
possibile un egualitarismo dato dal livellamento. L’alternativa proposta da Rawls, con il nome di
“principio della differenza”, introduce un correttivo alla distribuzione ineguale di talenti e doti
senza imporre handicap ai più dotati. Come ?
Incoraggiando i più dotati a sviluppare ed esercitare i propri talenti, ma tenendo presente che i
compensi ottenuti sul mercato grazie a queste capacità appartengono alla comunità nel suo
complesso. Non c’è da imporre handicap ai corridori più bravi;lasciamoli gareggiare al meglio
delle loro forze, purché sia riconosciuto in partenza che le vincite non appartengono soltanto a
loro, ma devono essere condivise con coloro che non hanno le loro stesse attitudini.
Il principio di differenza non esige un’assegnazione alla pari del reddito e delle ricchezze, tuttavia
l’idea su cui si fonda esprime una visione di uguaglianza vigorosa, e perfino ispirata;”Di fatto, il
principio di differenza consiste nell’accordarsi a considerare la ripartizione dei talenti di natura
come un vantaggio per la comunità e a condividere i benefici di una simile ripartizione,
comunque essa si manifesti. Chi è stato favorito dalla natura, chiunque sia, potrà godere della
propria buona sorte solo in condizioni capaci di migliorare le condizioni di chi è rimasto escluso.
Chi è stato privilegiato per natura non deve ottenere un guadagno semplicemente in quanto più
dotato,
ma solo per coprire i costi dell’istruzione e della formazione e dell’istruzione
professionale e per usare le proprie doti in modo da aiutare i meno fortunati. Nessuno ha meritato
di avere attitudini naturali maggiori di altri, e neppure di trovarsi in una posizione di partenza più
favorevole nel contesto sociale. Il che non significa che queste differenze debbano essere
cancellate, possono essere trattate in altro modo:si può organizzare la struttura di base della
società in maniera tale che questi fattori contingenti contribuiscano al bene dei meno fortunati.”
(…)
Si possono considerare dunque quattro teorie contrastanti della giustizia distributiva:
1)
il sistema feudale o delle caste:una gerarchia fissa fondata sulla nascita;
2)
il sistema libertario:mercato libero con parità formale delle opportunità
3)
il sistema meritocratico:libero mercato con una giusta parità nella distribuzione delle
opportunità;e infine,
4)
il sistema egualitario:il principio di differenza di Rawls
L’argomento del principio di differenza suggerisce due obiezioni principali.
La prima è:che fine fanno gli incentivi?Se chi è dotato può ottenere un beneficio dai propri talenti
solo a patto di aiutare chi ha meno risorse, che succederebbe se decidesse di lavorare meno o
addirittura di non sviluppare neanche le proprie attitudini? (…)
Rawls risponde che il principio di differenza consente le disparità di reddito per assicurare gli
incentivi, purché gli incentivi siano necessari per migliorare il destino dei meno fortunati (…). E’
importante notare che consentire le disparità degli stipendi per assicurare gli incentivi è una cosa
diversa dall’affermare che chi ha successo ha un diritto morale privilegiato sui frutti del proprio
lavoro. Se Rawls ha ragione, le differenze di reddito sono giuste solo in quanto stimolano un
impegno maggiore che in ultima analisi aiuta i meno fortunati, e non perché gli amministratori
delegati o i divi dello sport meritino di guadagnare più degli operai nelle fabbriche.
Arriviamo così a una seconda obiezione alla teoria della giustizia di Rawls, più seria: che fine fa
l’impegno? Rawls respinge la teoria meritocratica della giustizia sostenendo che i talenti naturali
delle persone non sono opera loro;ma che dire della fatica che le persone affrontano per portare a
maturazione le loro doti? Bill Gates ha lavorato a lungo e duramente per far nascere le Microsoft;
Michael Jordan ha dedicato un tempo infinito ad affinare la sua abilità nella pallacanestro.
Nonostante i loro doni. i loro talenti, non si sono forse meritati i compensi ottenuti grazie ai loro
sforzi?
Rawls replica che perfino l’impegno può essere prodotto da un ambiente favorevole allo
sviluppo:perfino la volontà di impegnarsi, di provare, e quindi di meritare un successo, nel senso
in cui l’espressione è usata di solito è in sé il frutto di un ambiente familiare e sociale favorevole
(…)
L’idea che le persone meritino i frutti del proprio impegno e della propria fatica spesa è
discutibile anche per un altro motivo:sebbene i fautori della meritocrazia esaltino spesso le virtù
dell’impegno, in realtà non sono davvero convinti che debba essere questa l’unica fonte del
reddito e della ricchezza. Possiamo fare l’esempio di due operai edili;uno forte e robusto, in
grado di tirar su quattro muri in un giorno senza fatica;l’altro è gracile e macilento, e non riesce a
portare più di due mattoni per volta.
Sebbene lavori con la massima dedizione, impiega una settimana per ottenere il risultato che il
suo compagno di lavoro raggiunge, più o meno senza sforzo, in un giorno solo. Nessun difensore
della meritocrazia affermerebbe che il muratore dotato di scarse energie, ma zelante, meriti di
essere pagato più dell’altro, visto che si impegna di più.
Oppure pensiamo a Michael Jordan:è vero, ha lavorato tanto per allenarsi, ma ci sono giocatori di
pallacanestro meno bravi che fanno ancora più fatica. Certo nessuno direbbe che, avendo speso
tante ore a esercitarsi, meritano un contratto più vantaggioso di quello di Jordan.E dunque,
nonostante tutti i discorsi sull’impegno, il fautore della meritocrazia è convinto che sia il
contributo, il risultato fornito, a meritare di essere compensato. La nostra etica del lavoro può
essere il frutto del nostro impegno oppure no, ma il contributo che riusciamo a dare dipende
almeno in parte da talenti naturali per i quali non possiamo vantare nessun merito.
RESPINGERE IL MERITO MORALE
Se la tesi di Rawls sull’arbitrarietà morale dei talenti è corretta, porta a una conclusione
sorprendente: la giustizia distributiva non riguarda la compensazione del merito morale.
L’autore riconosce che si tratta di una conclusione agli antipodi rispetto al modo in cui pensiamo
di solito alla giustizia:” Il buon senso tende a farci credere che il reddito e la ricchezza, e in
genere le cose buone della vita, dovrebbero essere ripartite in base al merito morale.La giustizia è
la felicità in sintonia con la virtù (…) Ebbene, la giustizia in quanto equità respinge questa
impostazione” (Una teoria della giustizia par.48).
Rawls tende a scalzare la visione meritocratica mettendone in discussione la premessa di
base:ossia, che una volta rimossi gli ostacoli sociali ed economici sulla strada verso il successo, si
possa ritenere che i compensi ottenuti dalle persone grazie alle loro capacità siano meritati:
Noi non ci meritiamo la posizione in cui ci siamo trovati quanto alla distribuzione delle doti di
natura, non più di quanto abbiamo meritato il nostro punto di partenza iniziale nella società. Si
può dubitare anche di quanto possiamo esserci meritata la maggior forza di carattere che ci ha
permesso di impegnarci a coltivare le nostre capacità, e in effetti è dovuta in buona misura alle
felici condizioni familiari e sociali in cui si è svolta la prima parte della nostra vita, per le quali
non possiamo pretendere nessun credito. Qui il concetto di merito non si applica.
Se la giustizia distributiva non si occupa di premiare il merito morale, questo significa forse che
chi lavora sodo e si comporta in modo corretto non ha nessun diritto ai compensi ottenuti dalle
sue fatiche? No, non esattamente; qui Rawls introduce una sottile ma importante distinzione, fra
merito morale e quelli che definisce ‘diritti acquisiti sulle aspettative legittime’. La differenza
consiste in questo:a differenza del titolo di merito, un diritto si può acquisire purché siano state
osservate determinate regole. Però non possiamo ricavarne nessuna indicazione sui contenuti
delle regole stesse.
Il conflitto tra merito morale e diritti acquisiti sottende molte delle nostre più accanite dispute in
materia di giustizia:secondo alcuni aumentare le tasse sui patrimoni dei ricchi li priva di qualcosa
su cui vantano un diritto di natura morale;oppure, valutare le richieste di iscrizione all’università
tenendo conto delle origini razziali ed etniche degli aspiranti priva quanti di loro abbiano spiccate
doti intellettuali di un vantaggio che meritano sul piano morale. Altri invece negano che le
persone abbiano un diritto morale a godere di questi vantaggi:per prima cosa dobbiamo decidere
quali sono le regole da osservare (i livelli di tassazione, i criteri di ammissione), e soltanto allora
potremo dire chi ha diritto a che cosa.
Pensate alla differenza tra gioco di fortuna e gioco di abilità:Supponiamo che io giochi alla
lotteria; se il mio numero viene estratto , avrò diritto a riscuotere la mia vincita , ma non potrò
dire di aver meritato di vincere, dal momento che la lotteria è un gioco di fortuna. Il fatto che io
vinca o perda non ha nulla a che vedere con la mia virtù o abilità di giocatore.
Adesso immaginiamo i Boston Red Sox che vincono il campionato del mondo. Hanno vinto per
un colpo di fortuna (per esempio in seguito a un giudizio arbitrale sbagliato in un momento
decisivo) oppure perché hanno davvero giocato meglio degli avversari, sfoggiando le capacità ed
eccellenze (buoni lanci, attacchi tempestivi, difesa brillante ecc.) che qualificano il baseball nella
sua versione migliore?
In un gioco di abilità, diversamente dal gioco di fortuna, può esserci una differenza tra chi ha il
diritto di riscuotere la vincita e chi ha meritato di vincere, e questo perché i giochi di abilità
premiano l’esercizio e la manifestazione di determinate capacità.
Rawls sostiene che la giustizia distributiva non si occupa di premiare la virtù o il merito morale,
ma piuttosto mira a soddisfare le legittime aspettative che sorgono una volta stabilite le regole del
gioco. Una volta che i principi della giustizia hanno fissato i termini della cooperazione sociale,
le persone hanno diritto ai benefici che si saranno guadagnati osservando le regole:ma il sistema
fiscale prevede che una quota del loro reddito debba servire ad aiutare i meno fortunati, non
potranno lamentarsi perché in questo modo saranno privati di qualcosa che si sono moralmente
meritati.
“Uno schema giusto, dunque, corrisponde a quel che i singoli hanno il diritto di ottenere, e ne
soddisfa le aspettative legittime in quanto fondate sulle istituzioni sociali. Ma quel che le persone
hanno il diritto di ottenere non è proporzionato al loro intrinseco merito, e neppure ne dipende.I
principi di giustizia che regolano la struttura di base della società (…) non fanno cenno del
merito morale e le quote parti non tendono ad essere ripartite secondo questo criterio.(‘Una
teoria della giustizia’)
Rawls rifiuta di porre il merito morale a fondamento della giustizia distributiva i base a due
argomenti:per prima cosa, come abbiamo già visto, il fatto di possedere i talenti che mi
permettono di riuscire nella competizione meglio di altri non dipende per intero da me. Ma c’è un
secondo fattore contingente, altrettanto decisivo:le doti che una società mostra di apprezzare nelle
diverse epoche sono anch’esse moralmente arbitrarie:anche se potessi affermare la più totale e
indiscussa proprietà dei miei doni naturali, resterebbe pur sempre vero che i compensi ottenuti
grazie a questi dipenderebbero dal gioco della domanda e dell’offerta. Nella Toscana medievale i
pittori degli affreschi erano apprezzatissimi, nella California del ventunesimo lo sono i
programmatori di computer e così via. Il fatto che le mie capacità fruttino molto o poco dipende
da quel che la società ricerca in quel momento .Per essere socialmente stimata, un’attività deve
corrispondere alle qualità apprezzate da quella data società.
Consideriamo queste differenze nei compensi:
-
negli Stati Uniti la media degli insegnanti guadagna circa 43.000 dollari l’anno.
David Letterman, il presentatore di una trasmissione tv di successo che va in onda in seconda
serata, guadagna 31 milioni di dollari l’anno;
-
John Roberts, presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti, ha uno stipendio annuo di
217.000 dollari.’Judge Judy’, la presentatrice di un reality televisivo che interpreta la parte di
un giudice, guadagna 25 milioni di dollari all’anno.
E’ giusto che ci siano queste disparità nei compensi? Secondo Rawls la risposta dipende dal fatto
che i compensi stessi siano dati all’interno di un sistema di tassazione e di redistribuzione capace
di operare a vantaggio dei meno abbienti;in quel caso Letterman e ‘Judge Judy’ avrebbero diritto
ai loro guadagni. Ma resta pur sempre impossibile affermare che ‘Judge Judy’ meriti di
guadagnare cento volte di più del presidente Roberts, o che Letterman meriti di ottenere
settecento volte il compenso di un insegnante:il fatto che sia loro capitato di vivere in una società
che elargisce somme favolose ai divi della tv è un caso fortunato, non un loro merito.
Spesso chi ha successo tralascia di considerare questo aspetto aleatorio della propria riuscita.
Molti di noi hanno la fortuna di possedere, almeno in una certa misura, le doti che si dà il caso
siano apprezzate dalla nostra società.In una società capitalista è utile avere spirito
imprenditoriale;in una società burocratica è utile saper mantenere rapporti sereni e distesi con i
propri superiori;in una società democratica di massa è utile essere telegenici e saper parlare per
frasi brevi, smozzicate e superficiali;in una società conflittuale è utile studiare legge e avere doti
logiche e razionali che ti permettono di superare l’ammissione alla Law School, il corso di
specializzazione giuridica post laurea.
Il fatto che la società in cui viviamo apprezzi queste cose non è opera nostra. Supponiamo che
noi, con i nostri talenti, vivessimo non in una società dalla tecnologia avanzatissima e con un
altissimo grado di litigiosità, ma in una società di cacciatori, o di guerrieri, nella quale i massimi
compensi e il massimo prestigio andassero a quanti dimostrano maggior forza fisica o devozione
religiosa. Che ne sarebbe allora dei nostri talenti? E’ evidente che non potrebbero farci fare molta
strada e senza dubbio alcuni di noi ne svilupperebbero altri. Ma saremmo perciò meno meritevoli
o meno virtuosi di quel che siamo oggi?
Rawls risponde di no. Forse otterremmo compensi inferiori, logicamente;ma pur avendo diritto a
meno, saremmo non meno degni, non meno meritevoli degli altri.Lo stesso si può dire di coloro
che nella nostra società non occupano posizioni di prestigio e sono meno dotati di quei talenti che
si dà il caso siano apprezzati ai nostri giorni.
Dunque, mentre abbiamo il diritto di ottenere i benefici che le regole del gioco ci permettono in
cambio dell’esercizio dei nostri talenti, sarebbe un errore e una presunzione supporre che ci
siamo originariamente meritati una società capace di apprezzare le qualità di cui siamo ricchi.
Woody Allen sostiene una tesi di questo genere nel suo film Stardust Memories.Allen
Interpreta Sandy, un personaggio simile a lui nella realtà, un celebre comico, e incontra Jerry, un
amico d’infanzia del suo quartiere che si rammarica di dover fare il tassista.
SANDY: Allora, come ti va? Cosa fai?
JERRY: Sai cosa faccio? Faccio il tassista.
SANDY: Bè, ti trovo bene. Sei…Non c’è mica niente di male.
JERRY: Già. Ma se faccio il confronto con te…
SANDY: Ma che cosa vuoi che ti dica? Nel quartiere ero io quello che raccontava le barzellette,
no?
JERRY : Già.
SANDY : Già, ecco…capisci, noi viviamo in una…in una società dove le barzellette sono molto
apprezzate, capisci? Se la mettiamo in questo modo…(si schiarisce la gola) pensa se fossi nato
tra gli indiani Apache, loro non avevano mica bisogno di comici, ti pare? Sarei disoccupato.
JERRY : Ah sì? Bè, non è mica che mi faccia stare molto meglio.
Il tassista non si lascia convincere dalla predica dell’attore comico sull’arbitrarietà morale della
fama e della fortuna;il fatto che la sua sorte sia questione di sfortuna non attenua l’amarezza.
Forse perché in una società meritocratica la maggioranza ritiene che il successo mondano
corrisponda al merito:un’idea difficile da scalzare.