Tek divers Con il computer “fuori curva” di Stefano Ruia Il nostro

Transcript

Tek divers Con il computer “fuori curva” di Stefano Ruia Il nostro
Tek divers
Con il computer “fuori curva”
di Stefano Ruia
Il nostro computer d’immersione può essere un compagno fidato anche
quando superiamo il limite della curva di sicurezza.
Nel numero scorso abbiamo visto come anche i subacquei che amano
definirsi “ricreativi” svolgano spesso immersioni tecniche, in genere
utilizzando la loro consueta configurazione di attrezzature e affidando
al computer d’immersione la gestione delle decompressione. È una
procedura sicura? Certamente no. Infatti questo modo di agire è sicuro
solo se ogni cosa va come previsto e se non sorgono problemi inconsueti.
In caso contrario l’improvvisazione di chi non è adeguatamente
preparato a svolgere questo tipo di immersioni emerge immediatamente,
trasformando situazioni solo fastidiose in problemi gravi, che conducono
al panico e all’incidente.
Premesso quindi che è sempre necessario seguire un buon corso,
parliamo di come gestire la decompressione nelle immersioni fuori
curva. Non intendiamo occuparci di immersioni a profondità superiori
alle consuete, ma proprio di quelle immersioni a 35-40 metri che
portano, soprattutto se ripetitive, a oltrepassare il limite della curva di
sicurezza.
Prima di tutto dobbiamo chiederci cosa sia questo limite e se la sua
validità sia stata provata. Bene, oserei dire che la “curva di sicurezza”
è uno dei concetti più certi che esiste nella teoria della decompressione.
Non perché ne sia stata dimostrata la sua fondatezza scientifica, ma
perché numerosissime prove “sul campo” (le immersioni svolte da tutti
noi) hanno dimostrato che i limiti oggi utilizzati (che sono quasi gli
stessi per tutti i tipi di algoritmi) sono ampiamente sicuri. Scrivo
“ampiamente” e non “totalmente” in quanto non si ha una netta
separazione fra immersioni in curva e fuori curva, come quella esistente
fra numeri pari e numeri dispari, ma si ha un aumento continuo del
rischio di contrarre una embolia, proporzionalmente al tempo passato
sul fondo. Quindi la demarcazione è una linea artificiale, concepita
dall’uomo per mantenere dei rischi accettabili (peraltro la percentuale
di rischio non è nemmeno calcolabile, come dimostrato dal parziale
fallimento degli studi della U.S. Navy sulle tabelle probabilistiche).
Restare nei limiti di curva permette di risalire direttamente in
superficie, quando se ne ha bisogno, ed è quindi una procedura di
sicurezza. Ma dal punto di vista fisiologico non è più tale se il subacqueo
si porta a pochi secondi dal limite e risale. In termini di decompressione
rischia meno il subacqueo che, magari permanendo solo pochi secondi in
più sul fondo, deve obbligatoriamente fare una tappa di decompressione
in risalita.
Chi rischia di più è il subacqueo che, usando un computer, risale solo
quel tanto da permettergli di “restare ancora qualche minuto senza
superare il limite di curva”.
Con questo non vorrei certo apparire come un difensore delle tabelle. A
mio avviso le tabelle d’immersione sono un retaggio del passato. Chi
conosce un poco di teoria della decompressione e sa come sono
calcolate le tabelle comprende facilmente che esse siano, per le
immersioni svolte oggi dai subacquei, troppo (e spesso inutilmente)
restrittive, soprattutto nelle ripetitive.
Ma non è solo questo: conviene usare il computer anche per motivi di
sicurezza. Questa ultima affermazione appare in contrasto con quanto
affermato poco prima ma solo alla luce della teoria della
decompressione. Quando passiamo dalla teoria alla pratica tutto
cambia! Già nel 1992 l'American Academy of Underwater Sciences
annunciò i risultati di una ricerca basata su un campione di 77.680
immersioni, svolte da subacquei dai 9 ai 72 anni di età (in proporzione
2:1 fra maschi e femmine). Il 43% dei subacquei aveva usato le tabelle
della propria agenzia didattica mentre il restante 57% il computer
d'immersione. Sebbene la profondità massima consentita nelle
immersioni fosse di 40 metri, qualcuno si spinse fino a 60 (cambiano i
luoghi ma non i comportamenti dei subacquei!); inoltre circa un quarto
delle immersioni seguirono un profilo inverso (da profondità inferiori a
superiori). Il risultato fu che si ebbero in tutto sette casi di embolia e
due di embolia gassosa arteriosa. I sette casi di embolia furono tutti del
tipo II (più gravi) ed evolsero positivamente dopo il trasporto in camera
iperbarica. Di queste sette embolie, sei colsero subacquei che usavano
le tabelle e una sola chi utilizzava il computer. Questo caso inoltre fu
dovuto alla riemersione volontaria del subacqueo sebbene il computer,
in allarme, indicasse che la sosta di decompressione non era ancora
conclusa; non dovrebbe quindi essere considerato un “incidente” ma un
atto di masochismo. Pur annoverando questo caso negli incidenti si
ottiene che la percentuale di patologie decompressive fra coloro che
usavano le tabelle è stata dieci volte più alta di quella riscontrabile fra
coloro che usavano i computer. A cosa è dovuta questa differenza? È
molto semplice: alla riduzione dell'errore umano, sia per eliminazione di
procedure (errori di calcolo, di lettura delle tabelle, di misura del
tempo, ecc.) sia per avvertimento di comportamento errato (velocità di
risalita eccessiva, ecc.). Il computer infatti può avvisarci acusticamente
ogni volta che raggiungiamo una condizione critica, impedendo che
l’avere rivolto la nostra attenzione su altre cose ci faccia compiere
errori. Usando il computer (bene) rischiamo quindi molto meno.
Fuori curva
Conoscendo il funzionamento del computer si rendono evidenti alcuni
fatti importanti nella gestione delle immersioni fuori curva.
Innanzitutto che non è proprio necessario risalire fino al ceiling della
tappa indicata, a meno che non si voglia uscire prima o si abbia una
scorta di aria ridotta. Invece di passare 5 minuti a 3 metri ne passeremo
pochi di più a 4/5 metri, ma la situazione, soprattutto con mare mosso,
sarà più confortevole. Unica precauzione è di porsi sopra al floor per
tutti i compartimenti (o lo indica il computer oppure bisogna evitare di
stare troppo profondi). Esasperando questo concetto si arriva ai “deep
stops” già più volte descritti. Questa decompressione, più lunga ma
meno esasperata come sovrasaturazione (più lontana dalla critica), ci
aiuterà anche a compensare quei fattori che il computer non considera:
raffreddamento, fatica (prima, durante e dopo l’immersione), variazioni
rapide di quota, ecc.
Lasciare gestire l’immersione fuori curva al computer ha qualche
svantaggio? Certamente. Come sempre nell’attività subacquea se si
guadagna da una parte si perde da un’altra. Per esempio il fatto che
diventa assolutamente obbligatorio avere due computer a subacqueo.
Nel caso in cui uno strumento abbia un guasto dobbiamo potere contare
sull’altro. Inoltre è ovvio che questa procedura può applicarsi solo per
decompressioni di breve durata (10-15 minuti al massimo). Le
immersioni con decompressioni più lunghe richiedono programmazione
accurata, calcolo preciso del consumo e pianificazione di ogni evento
potenziale. Infine è importante notare che non si può certo usare la
consueta configurazione “ricreativa”, che ci sottoporrebbe a grossi
rischi. Pensate se si esaurisse la bombola o si bloccasse l’erogazione
quando abbiamo ancora decompressione da fare e il compagno non è
vicino. Come rimpiangeremmo di non avere una riserva di aria separata!
Un simile rimpianto avremmo in caso di corrente se non avessimo con
noi il reel, il pallone di risalita o una semplice jon-line. Il nostro
consiglio resta quindi sempre lo stesso: prima di cimentarvi in una
qualsiasi immersione “fuoricurva” seguite un buon corso iniziale di
subacquea tecnica. Nello scorso numero abbiamo fornito, a tal
proposito, gli “indirizzi” giusti.
Il limite di curva
La “curva di sicurezza” è calcolata mediante degli “algoritmi”
matematici, ovvero una descrizione matematica di un fenomeno fisico.
Ma la descrizione oggi utilizzata è molto approssimativa. Non si tiene
affatto conto della diffusione reale dei gas inerti, legata a molte
variabili: grado di perfusione, distanza delle cellule dai capillari,
composizione dei tessuti, velocità del sangue, caratteristiche chimiche
del gas inerte, temperatura, solubilità del gas inerte nei diversi tessuti,
ecc. Non sapendo cosa dire si ipotizza, con buona ragionevolezza, che il
gas inerte diffonda nei e dai tessuti seguendo una legge del periodo di
dimezzamento costante, come avviene per il decadimento radioattivo.
Nell’espressione matematica di questa legge compare solo la differenza
di pressione parziale, il tempo e un valore T, detto periodo di
emisaturazione (o, con brutta espressione, “emitempo”), che
corrisponde al tempo in cui la curva compie metà del salto che manca
alla saturazione (definizione valida in ogni istante perché la curva è
esponenziale). Per meglio simulare il corpo umano, non si usa un solo
periodo T, ma diversi periodi, creando così dei “compartimenti”
(definiti proprio dei 5 minuti, 10, 20, ecc.). Infine si ipotizzano dei
valori massimi di sovrasaturazione permessa (“valori M”) accettabili per
ogni compartimento (o si utilizzano quelli già definiti da altri ricercatori,
come Bühlmann). A questo punto si possono calcolare i profili di diverse
immersioni, determinare quali siano quelle “in curva” (che permettono
il ritorno in superficie in ogni momento) e verificare sperimentalmente
che siano sicure.
La convergenza dei valori M riferiti alla riemersione in superficie (M0)
nei diversi modelli (quando non si ha addirittura la loro uguaglianza) fa
sì che le curve di sicurezza si assomiglino tutte, rendendo molto più
certa e affidabile la loro indicazione.
Il funzionamento del computer
Ogni computer d’immersione dispone di diversi compartimenti, ognuno
caratterizzato dal proprio periodo di emisaturazione. In ogni istante il
nostro strumento calcola la tensione del gas inerte nel compartimento.
In questo modo può definire un punto su un piano cartesiano che ha per
ascisse la pressione assoluta (proporzionale alla profondità) e su quello
delle ordinate la pressione di inerte disciolto nel compartimento
specifico (tensione tissutale). Su questo piano cartesiano è facile
tracciare (fig. 1) la retta della saturazione (in verde scuro, si ha quando
la tensione tissutale è uguale alla pressione ambiente) e quella della
sovrasaturazione critica (in rosso, retta che unisce i valori M).
Permanere nella zona compresa fra l’asse dell’ascisse e la saturazione
(area verde chiaro) è sicuro perché ci si trova in sottosaturazione.
Permanere nella zona fra la saturazione e la retta dei valori M (area
gialla) non dà problemi perché siamo ancora nel limite della
sovrasaturazione permessa. Andare a finire nella zona fra la retta della
sovrasaturazione critica e l’asse delle ordinate (area in arancio) è
pericoloso per via dell’alta probabilità di subire una embolia.
Immaginiamo ora di scendere a 36 metri. Mentre scendiamo la tensione
tissutale aumenta lentamente fino al punto “A” (fig. 2). Restando a
questa profondità la pressione ambiente non aumenta ma la tensione
tissutale cresce fino a raggiungere il punto “B”. Se risalissimo alla
velocità preimpostata dal computer seguiremmo la linea blu
tratteggiata, arrivando in superficie senza necessità di decompressione
perché resteremmo sempre nelle aree permesse (verde e gialla). Mentre
se attendessimo più tempo, fino ad arrivare al punto “C”, risalendo alla
velocità preimpostata giungeremmo proprio al limite della
soprasaturazione permessa in superficie (valore M0). Il computer può
quindi calcolare quanto tempo occorra prima che la tensione tissutale
passi da B a C. Questo è il tempo “no deco” per il compartimento in
esame. Ripetendo il calcolo per tutti i compartimenti, il computer
individua quale è il tempo di “no deco” più breve (fra quelli dei vari
compartimenti) e lo indica sul display.
Immaginiamo di oltrepassare il punto C e di permanere a 36 metri fino
quando la tensione tissutale nel compartimento in esame raggiunge “D”
(fig. 3). Ora il computer sa che risalendo alla velocità preimpostata non
possiamo arrivare fino in superficie perché transiteremmo nella zona
proibita (arancione). Quindi dobbiamo fermarci prima alla profondità di
3 metri e attendere (linea blu tratteggiata) fino quando la tensione
tissutale non sia ridiscesa tanto da permetterci di proseguire la risalita
sulla curva che porta a “M0”. Il computer può così calcolare la durata
della tappa di decompressione a tre metri per questo compartimento.
Confrontandolo con quello degli altri può trovare la più lunga che ci
indicherà come durata della tappa di decompressione. Notiamo altre tre
cose importanti, indicate con le linee nere sottili tratteggiate. Fino a
quando non si raggiunge in risalita la pressione assoluta 2,5 bar la
tensione tissutale non può scendere, quindi la cessione di gas inerte per
questo compartimento inizia solo sopra i 15 metri. Per fare sì che la
cessione di gas sia tale da permetterci di eliminare la quantità
necessaria a potere risalire fino in superficie dobbiamo comunque
arrivare almeno alla pressione assoluta di 2,2 bar; questo è il concetto
di “pavimento” (floor) della tappa decompressiva. Possiamo anche
risalire un poco più di tre metri, arrivando fino a 1,2 bar (2 metri) senza
superare la linea della sovrasaturazioen critica; questo è il “tetto”
(ceiling) della tappa decompressiva. Più ci avviciniamo al pavimento più
lunga sarà la tappa (in quanto la differenza fra tensione tissutale e
pressione assoluta è bassa – circa 0,3 bar al floor). Più ci avviciniamo al
ceiling più la durata della tappa sarà breve (la differenza fra tensione
tissutale e pressione assoluta è alta – circa 1,3 bar al ceiling). Tuttavia
più sostiamo vicino al ceiling più andiamo verso la zona proibita.
Effettuare delle tappe più profonde del ceiling, che saranno più lunghe,
non è quindi affatto sbagliato ai fini della sicurezza, purché si disponga
di una sufficiente riserva di gas. Il computer per semplicità adotta le
profondità convenzionali (a metri 3, 6, 9 ecc.) ma ciò non toglie che
possa calcolare le tappe anche se il subacqueo permane fra floor e
ceiling, mentre se si supera il ceiling in genere lo strumento interrompe
il calcolo della decompressione o va in “errore”.
Restando in profondità (punto “F” di fig. 4) il processo si ripete in modo
analogo per le tappe più profonde di 3 metri, come quella dei 6 metri.
IL COMPUTER “BALLERINO”
Un paio di volte degli amici (mai sperimentato direttamente,
purtroppo!) mi hanno parlato di uno strano fenomeno: il computer che
improvvisamente passava da no-deco a deco per poi ritornare a no-deco,
ecc. Il fenomeno scompariva appena cambiata quota.
Cerchiamo di capire come possa essere successo. Guardiamo
nuovamente il nostro piano cartesiano “tensione tissutale-pressione
ambiente”. Prendiamo la curva di risalita che porta a M0 (linea blu).
Essa interseca la saturazione (linea verde scuro) nel punto “G”.
Tracciamo la verticale di questo punto (linea nera). Il piano è ora
idealmente diviso dalla linea blu e da quella nera in tre zone ben
distinte. Quella in basso (sotto la linea blu) a sinistra (della verticale
nera) è una zona in cui si può permanere liberamente. Se infatti
ipotizziamo che il compartimento si trovi in un punto qualsiasi di questa
area, con il passare del tempo esso tenderà sempre più a spostasi verso
la saturazione, condizione di equilibrio finale. Poiché in questa area la
saturazione è sempre sotto la linea di risalita a M0 non potremo mai
andare “fuori curva”, quindi la permanenza è illimitata (per questo
compartimento). Nella zona in basso a destra siamo ancora in curva di
sicurezza, ma non possiamo permanere a lungo perché spostandosi il
punto verso la linea di saturazione si oltrepassa la risalita a M0 e si cade
nella zona in alto, nella quale bisogna fare almeno una tappa di
decompressione, perché risalendo in superficie direttamente si
oltrepasserebbe la sovrasaturazione critica. Abbiamo così individuato
che nella zona in basso a destra siamo ancora in curva di sicurezza ma il
tempo non è più illimitato. In quella in alto siamo invece già “fuori
curva”.
Il punto G ha la straordinaria caratteristica di appartenere a tutte e tre
queste aree. Quindi se il compartimento si trova esattamente su questo
punto il computer non riesce a individuare con esattezza se il
subacqueo ha un tempo di no-deco illimitato o limitato, oppure se non
debba addirittura fare decompressione! Appena ci si sposta di poco
tutto torna chiaro al nostro strumento che ha avuto la vista
momentaneamente “annebbiata”.
Affinché il fenomeno sia osservabile è necessario che sia proprio il
compartimento sul punto G quello che in quel momento “controlla”
l’immersione (il più critico). Per questo l’evento è molto raro. Se vi
accadesse ritenetevi fortunati … anche perché (permettete l’ironia)
avete toccato il punto G del vostro computer!