Gli ultimi giorni di Giovanni Bonanno

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Gli ultimi giorni di Giovanni Bonanno
Gli ultimi giorni
di Giovanni Bonanno,
un uomo morto
che cammina
di Riccardo Arena
Due mesi prima che Andrea Adamo
lo convocasse per ucciderlo,
il mafioso fu avvisato dagli inquirenti:
ti ammazzeranno. Ma lui faceva
lo spavaldo: vogliono solo farmi pentire
L
a potenza della mafia, meglio che da
mille trattati di sociologia su Cosa Nostra, può essere raccontata dalla cronaca
della morte annunciata di Giovanni Bonanno. Lui era un capo ormai “posato”:
poteva salvarsi momentaneamente, ma
sapeva bene che alla vendetta dei boss non si sfugge.
Aveva 36 anni, moglie e un figlio di pochi mesi, ma lo
avevano condannato a morte e l’organizzazione, la “nostra cosa”, come la chiamano coloro che ne fanno parte,
non dà scampo. Così salutò gli amici, salutò la madre,
la moglie e – tenendoselo stretto, nell’ultima notte trascorsa con lui – il bimbo di meno di un anno. Poi andò
a morire da vero mafioso.
Forse l’unica forma di “protesta” fu quella di indossare
abiti vecchi, il giorno della sua morte annunciata. Più
o meno come i marinai tedeschi descritti da Wolfgang
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s - il magazine che guarda dentro la cronaca
Ott in “Squali e pesciolini”: nell’U-boot che affondava,
si affannavano a mangiare le conserve custodite gelosamente per mesi. “È un peccato che vadano perse, a chi
serviranno quando saremo morti?”.
Due mesi prima di quel fatale gennaio 2006 gliel’avevano detto, gli sbirri: attento, sei un morto che cammina.
Ma lui, Bonanno, aveva fatto lo spavaldo: vogliono solo
controllarmi, aveva inventato alla moglie dopo essere
stato convocato alla Squadra mobile di Palermo; fesserie, aveva confidato agli amici, vogliono solo farmi
pentire, ma io non lo farò mai e poi mai. Mafioso sono
e mafioso resto, anzi ditelo ai capi, ai Lo Piccolo, che io
sono fedele e non sgarro. A dicembre di quello stesso
2005, però, puntuale, arrivò la convocazione per l’ultimo appuntamento. Un appuntamento firmato Andrea
Adamo, dunque firmato Lo Piccolo.
Maurizio Spataro, il pentito che fu accanto a Bonanno
negli ultimi giorni della sua vita, è estremamente preciso, con i magistrati che lo interrogano. Ai pm Annamaria Picozzi e Gaetano Paci dice tutto, senza sapere che
le intercettazioni, telefoniche e ambientali, effettuate
per cercare di dare un volto agli assassini dell’ex reggente del mandamento di San Lorenzo e di Resuttana,
già avevano inquadrato perfettamente la vicenda come
l’aveva ricostruita lui. “S” adesso è in grado, in queste
pagine, di raccontare come e perché morì il mafioso che
rinunciò alla sua ultima chance.
circolazione. Ed era un bambino quando la “persona
meravigliosa” andò a sparare al capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Nella notte fra il 3 e il 4 maggio
del 1980, c’era la festa del paese, a Monreale, e Basile
aveva in braccio la figlioletta di poco più di un anno.
Lo colpirono alle spalle, nel momento in cui era più
vulnerabile e per giunta, pur sentendosi bucare la carne
dalle pallottole, non fece nulla per difendersi ma pensò
solo a proteggere la bimba, che rimase ferita ma si salvò.
Alla moglie, che era con loro, spararono per non essere
riconosciuti e la donna fu miracolata, perché il proiettile destinato al cuore rimbalzò su un oggetto d’argento
dell’Arma, che le aveva regalato il marito.
I killer erano tre: Bonanno padre, Vincenzo Puccio e
Giuseppe Madonia. Li beccarono in un agrumeto poco
distante perché un giovane Giovanni Brusca – hanno
raccontato altri pentiti, ma l’interessato lo ha sempre
negato – si fece prendere dal panico e, anziché portarli
via con l’auto di appoggio, li abbandonò. Furono processati per anni e anni, tra cavilli e invenzioni o “innovazioni” giuridiche della Corte di Cassazione, e la sentenza definitiva di condanna all’ergastolo arrivò quando
Armando Bonanno era sparito da tempo e quando Puccio era stato ammazzato a colpi di bistecchiera dentro il
carcere dell’Ucciardone. Armando Bonanno, ha detto
il pentito Angelo Fontana, si troverebbe in un pilastro
della zona dell’Acquasanta. Pagò con la vita, così come
un altro killer della zona opposta della città, Pino Greco
“Scarpazzedda”, di Ciaculli, le proprie smanie di potere
e la fedeltà a un boss del narcotraffico, Gaetano Carollo,
Nel nome del padre
Dice la vedova, Monica Burrosi, che oggi il figlioletto
di meno di quattro anni cerca il papà
che non ha mai conosciuto. E raccon- Bonanno viveva col mito del padre Armando, killer di Emanuele Basile
ta che pure Giovanni, il suo Giovanni, che secondo il pentito Angelo Fontana sarebbe stato nascosto
aveva molto sofferto per il proprio, di in un pilastro all’Acquasanta. Secondo Spataro da questo dipendeva
padre. “All’inizio io ero un poco titula diffidenza di Salvatore Lo Piccolo, che aveva attirato in trappola il padre
bante, nel rapporto con il mio futuro
marito – racconta la donna davanti alla Corte d’assise – però mi sono
innamorata. Dei suoi guai, delle sue
vicende giudiziarie, Giovanni non si è
mai rifiutato di parlare. Mi disse che
erano storie che risalivano a quando
c’era suo padre, suo padre che non
c’era più. Di lui mi parlava come di
una persona meravigliosa, che voleva
bene ai propri figli, e poi mi raccontò le difficoltà della vita di figlio di un
latitante, le sofferenze vissute quando
lui non c’era…”.
Era adolescente, Giovanni Bonanno,
quando il padre, Armando, sparì dalla
Il cimitero di mafia a Villagrazia di Carini
nel quale è stato sepolto Bonanno
il magazine che guarda dentro la cronaca - s
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Tutti volevano morto
Bonanno. Lo Piccolo,
ma anche Rotolo e Cinà,
che la vittima considerava
emanazione dei Madonia.
Che si erano lamentati,
attraverso Mariangela
Di Trapani, perché
non le arrivavano subito
i cinquemila euro
che aveva chiesto
Giovanni lavorava in coppia col fratello maggiore Francesco,
poi morto di infarto. Secondo Spataro il più grande dei due
Bonanno sarebbe stato socio occulto di un imprenditore,
Giuseppe Armetta, che “noleggiava furgoni all’Amg”.
fatto uccidere a Milano dai Madonia. Uno dei motivi
di diffidenza, e insieme di timore, dei Lo Piccolo nei
confronti di Giovanni Bonanno, racconta il pentito
Spataro, “era che il papà, Armando, fosse stato tratto in
trappola, ai tempi, dal padre di Sandro Lo Piccolo. E
Giovanni questa cosa la sapeva”.
Il destino di due fratelli
Giovanni e Francesco Bonanno erano i figli di Armando. Cresciuti con la pesante ombra del padre,
prima uccel di bosco e poi assassinato perché divenuto ingombrante, furono lasciati comunque nell’orbita di Cosa Nostra. Questo era il loro destino, sin da
bambini. Nonostante il loro “peccato originale”, i Lo
Piccolo, racconta Spataro, e i Madonia, preferirono
tenerseli vicini, ma non si fidarono mai abbastanza.
“Con Giovanni eravamo amici da tempo – racconta
Maurizio Spataro – ma io poi, per un periodo, mi
sono allontanato. Nello stesso tempo avevo fatto conoscenza con dei ragazzi vicini a Sandro Lo Piccolo,
Giulio Caporrimo, Nunzio e Iachino Serio, Totò Di
Maio, che mi dicevano di stare distante da Giovanni,
che per loro era una persona poco affidabile… Poi,
nel ’99, quando fu arrestato Giovanni, tutto quello
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s - il magazine che guarda dentro la cronaca
che era nel rapporto con suo fratello lo prese in mano
direttamente Francesco Bonanno”. Il figlio maggiore
di Armando Bonanno, però, soffriva di cuore e morì
durante la latitanza, il 23 dicembre 2004: “I figli di
un certo Licata – dice l’altro pentito Angelo Fontana
– lo portarono in ospedale e lo lasciarono al pronto
soccorso. Lo fecero perché potesse avere un funerale
decente”.
Affari di famiglia
Mentre era latitante, Francesco Bonanno aveva continuato a gestire l’attività del fratello Giovanni, socio occulto di un imprenditore, Giuseppe Armetta. “In quel
periodo, in cui era irreperibile – dice ancora Spataro
– con Armetta, Francesco aveva preso un appalto alla
Amg, l’Azienda del gas di Palermo. Hanno comprato
sei furgoni con i cestelli e li noleggiavano a questa ditta,
all’Amg, che li usava per andare a fare i controlli delle lampadine. Lo avevano preso loro, come ditta Armetta, tramite un amico dentro l’Amg, nella qualità di
Salvo Tafuri, che gli fece prendere questo appalto, che
è durato fino al 2005. Successivamente hanno rotto la
società e sono usciti pure fuori da questi mezzi con il
nolo che davano all’Amg. Comunque l’attività andava
abbastanza bene. Pippo stesso (Armetta, ndr) si vantava
che tutti i lavori che prendevano, li prendevano perché
ormai loro avevano il predominio totale su Palermo,
che le persone che erano vicine a Francesco (Bonanno,
ndr) dovevano fare quello che dicevano loro, per cui
lavoravano abbastanza bene”.
Diego Di Trapani
e, a destra,
la figlia Maria
Angela. Nella
pagina a fianco,
il magistrato
Francesco
Del Bene
La caduta
Giovanni Bonanno, rimasto solo, deve fare fronte a
una serie di impegni economici per la famiglia mafiosa.
Dimentica casa sua, si getta a capofitto in attività con
Spataro, che ha una rivendita di auto, ma non gliene
va bene una. “Io non mi potevo comprare un paio di
scarpe – dice Monica Burrosi, rispondendo in Corte
d’assise al pm Francesco Del Bene – e i soldi che ci
avevano regalato per il nostro matrimonio e per il battesimo del bambino sparirono tutti. Mi diceva di usarli
per la casa… Si portava i gioielli, se li andava a impegnare”. Giovanni tappava le falle di un sistema che non
reggeva. I boss cominciano a non gradire. Esce di galera
il dottor Antonino Cinà e Bonanno perde la reggenza di San Lorenzo. Fuori anche Diego Di Trapani, e
cade anche Resuttana. Mariangela Di Trapani, nipote
di Diego e moglie di Salvino Madonia, si picca perché
non le arrivano subito i cinquemila euro che aveva
chiesto per far visitare in carcere il suocero, il patriarca
Francesco. “Giovanni non aveva come fare, però riuscì
a trovare i cinquemila euro e glieli fece avere tramite
Rosario Pedone. Mariangela decise però di non volere
più incontrarlo e di non avere più rapporti con lui. Sia-
mo agli inizi del 2005”. L’annus horribilis di Giovanni
Bonanno. Non gli pagano più le estorsioni, va a riscuotere e si sente rispondere il classico abbiamo già dato.
La fine si avvicina: “Hanno fatto terra bruciata attorno
a lui. A poco a poco è stato messo da parte, si è allontanato Piero Salsiera, Antonino Cumbo era molto più
distaccato da lui. Nell’ultimo Natale Giovanni non ha
incassato nemmeno un euro dalle estorsioni”. E poi gli
volta le spalle anche “Totò Castiglione, un ragazzo che
lui aveva aiutato in precedenza, perché aveva avuto dei
problemi a Cruillas con Luigi Caravello… ‘Non solo
io l’ho aiutato, gli ho fatto, gli ho detto, ma nello stesso
tempo mi viene contro’. Praticamente – spiega Spataro
– quello che Giovanni gli riferiva lui lo andava a riferire
a Bonura e Bonura, Franco, il costruttore, lo raccontava
a Rotolo”.
La fine
Tutti lo volevano morto. I Lo Piccolo che odiavano
Rotolo e Cinà, Rotolo e Cinà che odiavano i Lo Piccolo. Questi ultimi, pericolosi di per sé, erano in realtà considerati da Bonanno emanazione dei Madonia,
i veri potenti – nonostante la quasi ventennale detenzione – della zona ovest di Palermo. E ai MadoniaDi Trapani non si sfugge. Bonanno viene convocato
per l’ultimo appuntamento per il 23 dicembre 2005.
L’emissario è Andrea Adamo, che poi, il 5 novembre
2007, sarà catturato a Giardinello con Salvatore e Sandro Lo Piccolo e con Gaspare Pulizzi. Giovanni non
va. Vuole farsi il Natale tranquillo. Prima si è fatto
“il sangue acqua”, ha dovuto chiedere soldi a un tale
Nino Mortillaro, “un commercialista – spiega Spataro
– il cui figlio ha uno studio in via Cavour e si occupa
di gestire direttamente i proventi dei cinesi nella zona
di corso dei Mille, via Lincoln”. Il mafioso senza un
euro se ne fa prestare diecimila. Mortillaro per ottenerne la restituzione della metà dovrà dire che quelli
erano soldi di Adamo. Bonanno sente approssimarsi
la fine, si fa il Natale tranquillo, a Capodanno gli amici lo lasciano solo. Inutile l’esortazione rivoltagli da
Sergio Sacco, un commerciante della zona, già processato e assolto dall’accusa di favoreggiamento nei
confronti di mafiosi, inutile l’invito ad andare via: “A
me – dice la vedova – è sembrato strano che Sergio ci
dicesse una cosa del genere”. Giovanni fa un’ultima
cena con gli amici, al Kuletto’s, poi inventa la storia
dell’udienza al tribunale di sorveglianza, raccomanda
alla moglie di non chiamarlo. La mattina dell’11 gennaio 2006 Giovanni Bonanno esce di casa, a bordo di
una Vespa 50 Alx grigia comprata a rate, con il casco
blu prestatogli da Spataro. Di lui verranno ritrovati
alcuni resti, a gennaio del 2008, nel fondo Pottino di
Villagrazia di Carini.
il magazine che guarda dentro la cronaca - s
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In queste pagine il cimitero di mafia a Villagrazia di Carini
nel quale è stato sepolto Bonanno
Morte
di un boss
di Riccardo Lo Verso
Le ultime parole di Giovanni Bonanno consegnano
il dramma di un uomo che sa di dover morire perché
“si era fottuto i soldi dei carcerati” e che non ha
più il coraggio di guardare la moglie negli occhi
G
iovanni Bonanno muore
inghiottito dalla lupara
bianca. Chi lo ha ucciso,
insieme al suo corpo, non poteva
certo seppellire anche le parole.
Le sue e quelle dei suoi familiari
sono rimaste impresse nei nastri
magnetici delle intercettazioni.
Raccontano le fasi precedenti e
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s - il magazine che guarda dentro la cronaca
successive alla sua scomparsa.
L’ascesa e la caduta di un boss. Ricostruiscono il vorticoso giro di
affari sporchi di Bonanno, i suoi
stratagemmi e la sua affannosa,
quanto inutile, corsa contro il
tempo per ripianare i conti della
famiglia mafiosa di Resuttana.
Le sue parole, però, insieme a
quelle di chi lo amava e degli
amici che gli voltarono le spalle,
ci consegnano pure il dramma di
un uomo che sa di dover morire,
il dolore di una donna - la moglie
- e le bugie di chi quella donna
non ha avuto più il coraggio di
guardarla negli occhi. Chi sbaglia paga, con la ferocia alla quale
Cosa nostra ci ha abituato ma alla
quale mai noi ci abitueremo. Il
Gotha mafioso aveva chiesto per
lui una pena esemplare perché “si
era fottuto i soldi dei carcerati”.
Da qui la decisione di eliminarlo
che sarebbe stata presa dai vertici
della famiglia: Salvatore Lo Piccolo, Diego Di Trapani e Antonino
Madonia.
Totuccio Lo Piccolo, il barone, lo
aveva pure scritto in un pizzino
spedito a Bernardo Provenzano:
“Per quanto riguarda quello che
si chiamava come il suo paesano,
purtroppo non c’è stato modo di
scegliere altre soluzioni, in quanto
se ne andava di testa sua. Tentativi per non arrivare a brutte cose,
ce ne sono stati fatti parecchi, ma
non è servito lo stesso a niente. E
a questo punto abbiamo dovuto
prendere con D. questa amara de-
Totuccio Lo Piccolo lo aveva scritto in un pizzino
a Provenzano: “Purtroppo non c’è stato modo
di scegliere altre soluzioni”. A Natale del 2005
Bonanno confida alla moglie di essere nei guai:
“Disperatissimo sono, disperatissimo in un periodo di m...”
cisione”. L’11 gennaio 2006, giorno della scomparsa di Giovanni
Bonanno, traccia una linea netta
di demarcazione fra la vecchia e
la nuova gestione economica della
cosca di Resuttana. Escono di scena alcuni favoreggiatori e vengono
chiusi i conti correnti a loro intestati. Di colpo mancano i soldi per
coprire gli assegni già firmati e che
presto saranno messi all’incasso.
Le carte lasciate da Bonanno sono
fonte di preoccupazione per tutta
l’organizzazione. Maurizio Spataro, Giuseppe Armetta, Antonino
Cumbo e Salvatore Castiglione,
gli uomini di Bonanno, ricevono l’incarico di sanare i debiti e
avviare una nuova stagione. Nel
mezzo c’è la ricerca, vana, da parte
di Monica Burrosi, moglie di Bonanno, di avere notizie del marito.
Parla al telefono, soprattutto con
il fratello, e salta fuori uno spaccato ancora più nitido di quanto è
accaduto.
il magazine che guarda dentro la cronaca - s
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Che qualcosa non stesse andando
per il verso giusto lo si era intuito
un mese prima. Il Natale del 2005
è un periodo difficile. È lo stesso
Bonanno a dirlo alla moglie alle
11.51 del 19 dicembre. Lei chiede:
“… sei disperato?”, lui risponde:
“Disperatissimo sono, disperatissimo in un periodo di merda, va
bene sangue mio?”.
Servono soldi. Tanti soldi. Bonanno si è infilato in un tunnel senza
via d’uscita. Il 7 febbraio del 2006,
Maurizio Spataro, fedelissimo del
cassiere della cosca e oggi pentito, intercettato nel suo autosalone
mentre parla con un uomo non
identificato, individua tra le cause principali della lupara bianca le
difficoltà avute nel saziare l’avidità
di denaro dei Madonia, capi storici
della famiglia di Resuttana. I colloqui in carcere fuori dalla Sicilia,
le spese per far riottenere la libertà
ad Aldo Madonia. E poi il lussuoso
tenore di vita che tutta la famiglia
pretende di mantenere: “… considera che si sono giocati la qualsiasi
per fare uscire il fratello … Aldo…
quello è farmacista… si sono buttati… cioè… hanno speso l’impossibile… poi le spese pure per andarli
a trovare questi partono due giorni
ogni mese… anche le loro signore
che fanno la bella vita… lussi…
Bmw…”.
Facciamo un passo indietro. Le tappe del cammino di Bonanno verso
l’esecuzione della condanna a morte sono ricostruite in una recentissima informativa dei carabinieri
di Palermo. La drammaticità della
situazione emerge già il 7 gennaio del 2006. Alle 11.34 Bonanno e
Spataro parlano al telefono. All’indomani delle festività natalizie non
ci sono i soldi neppure per pagare
gli operai. Bonanno: “… perché si
deve vedere… il fatto dei piccioli
degli operai… l’hai fatto il conto?… Mauro come sei combinato
tu?”. Spataro: “...zero totale… non
ho un centesimo…”. Bonanno:
“… perché io pure… io sono due
giorni che sono senza una lira com-
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s - il magazine che guarda dentro la cronaca
pletamente…”.
A questo punto Bonanno chiede a
Pino Armetta di rivolgersi ad una
terza persona per trovare dei soldi. Un po’ di liquidità per mettere
delle pezze in una situazione che fa
acqua da tutte le parti.
Armetta gli sbatte la porta in faccia:
“… niente, mi ha fatto la negativa
totale… impressionante mi ha detto problemi deve pagare gli operai
non mi può aiutare punto e basta…
gli dicevi per lunedì, diglielo vedi
cosa ti dice”.
Sperano di riuscire a posticipare
la messa all’incasso di un assegno.
Niente, Bonanno conferma che
non ci sono possibilità di rinvio:
“… no e mi hanno detto che non
è possibile, gliel’ho detto ieri sera
perché dice entro le tre e mezza
perché se no lo protestano, t’immagini”.
Il vorticoso giro di telefonate prosegue alle 16.01. È una corsa contro il
tempo. Bonanno questa volta chiama Giuseppe Trentanelli. Prova a
fermarlo prima che giri un assegno
Maurizio Spataro
convocato. A comunicarglielo è stato
Andrea Adamo, boss di Brancaccio
arrestato insieme ai Lo Piccolo, nel
corso - si legge nell’informativa dei
carabinieri dell’11 dicembre 2008
che ricostruisce le vicende legate
all’omicidio Bonanno - “di un incontro in una gioielleria in via Libertà dove lavora Fabio Bonvissuto”,
indicato dagli inquirenti come “tramite tra i Lo Piccolo e Adamo”.
Il 10 gennaio Bonanno capisce che
chi vuole incontrarlo non scherza.
Decide allora di chiamare a raccolta
tutti i suoi amici: Armetta (“appena
sei da queste parti… viale Strasburgo… fammi un colpo di telefono”),
Cumbo (“… sono qua in piazza Alcide De Gasperi che fa avvicini?”),
Trentanelli (“una mezz’oretta e ti
richiamo e ci vediamo, ti dico dove
ci vediamo va bene?”) e Spataro.
Vuole metterli al corrente di quanto sta accadendo.
A Bonanno manca il terreno sotto
i piedi. Sente l’esigenza di andare
a casa per salutare la madre, cosa
che non fa parte delle sue abitu-
Nel corso di una telefonata
intercettata Spataro dice
di avere saputo
che Bonanno era stato
convocato.
A comunicarglielo
è stato Andrea Adamo.
Il 10 gennaio Bonanno
chiama a raccolta i suoi
amici: Armetta, Cumbo,
Trentanelli e Spataro.
Poi va a trovare la madre.
Per l’ultima volta
Spataro, oggi pentito, in un’intercettazione addebita
la responsabilità all’avidità dei Madonia: “...considera
che si sono giocati la qualsiasi per fare uscire il fratello...
Aldo... hanno speso l’impossibile... poi le spese
pure per andarli a trovare... anche le loro signore
che fanno la bella vita... lussi... Bmw...”
in modo da utilizzarlo per ripianare
un debito: “Sono nei guai, sono nei
guai totali, ora è venuto pure Mauro, gli ho aperto le braccia, lui mi
ha abbracciato e si stava mettendo
a piangere… però questo è importante perché ho un appuntamento
alle sei e mezza, che devo fare questo pagamento…”.
La sera prima della scomparsa gli
eventi precipitano. Al termine di
una giornata convulsa i tentativi di
far quadrare i conti sono falliti. Alle
17.44 Bonanno contatta la moglie.
Le dice che la mattina dell’indo-
mani dovrà andare al Tribunale di
sorveglianza. Sta mentendo. Sa che
andrà all’appuntamento con la morte. “Domani mattina io alle dieci e
mezzo devo andare al Tribunale”.
“Perché?”, chiede la moglie. Lui
risponde: “… per il discorso della
Sorveglianza, perché l’hanno rinviata che c’è il processo domani direttamente… me ne vado col motorino
ed arrivo in un secondo”.
Nel corso di una telefonata successiva, il 15 gennaio del 2006, anche
questa intercettata, è Spataro a dire di
avere saputo che Bonanno era stato
L’arresto di Giovanni Bonanno. In alto Andrea Adamo
dini. Alle 19.24 avverte la moglie:
“Ci vediamo più tardi va bene?”.
Burrosi: “Più tardi?, sono le otto
meno venti”. Bonanno: “Lo so, sto
passando dalla mamma, veloce”.
Il giorno della scomparsa Bonanno effettua solo tre telefonate. Alle
9.44, alle 10 e alle 10.20. Chiama
rispettivamente Giuseppe Trentanelli, la madre e la moglie. Dalle
lettura dei tabulati telefonici, gli
investigatori scoprono che il cellulare ha agganciato in sequenza
i ripetitori di viale Straburgo, via
Sferracavallo e via Nettuno, a
il magazine che guarda dentro la cronaca - s
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Mondello, fino alle 18.09. Da quel
momento in poi il telefono risulta
spento. Definitivamente spento.
“Mamma sono qua sto firmando,
va bene?… Un bacione, ciao, ciao,
ciao”, dice alla madre. Poi tocca alla
moglie: “Sangue mio, sono quasi
arrivato, ora sto entrando. Ci sentiamo più tardi, non ti preoccupare…
ti chiamo io appena mi svincolo”.
Non c’era nessuna udienza in Tribunale quel giorno, nessun registro
dei sorvegliati speciali da firmare in
commissariato. Era tutta una messinscena. Bonanno decide di andare
incontro alla morte in silenzio. Sa
di non poter sfuggire al suo destino.
Solo mesi dopo la moglie trova una
spiegazione ad alcuni comportamenti del marito. “La mattina, prima di uscire di casa - ha raccontato
in lacrime davanti ai giudici della
Corte d’assise - ha preso nostro figlio dalla culla, lo ha messo nel letto
e lo ha abbracciato. Ha abbracciato
pure me. Mi ha salutato, è uscito ed
è rientrato per salutarmi di nuovo.
Era nervoso. Preoccupato”.
Passano le ore e il marito non si fa
vivo. Alla 18.56 la moglie chiama
Antonino Cumbo. Vuole sapere se
ha notizie, e Cumbo risponde: “Ci
ho chiamato al telefono, ma è spento”. Sta mentendo. Cumbo, quel
giorno, non ha mai composto il numero telefonico di Bonanno. Così
come mente quando, nonostante si
trovi vicino a piazzale Giotto, dice
alla donna di essere a casa: “… io
sono a piedi, sto aspettando mio cugino Mario che è andato a comprare
la carne e casomai avvicino, lascio la
carne al Borgo e avvicino io Monica, ok?”. Tutte bugie che, secondo
gli inquirenti, confermerebbero
che Cumbo sapeva dell’appuntamento con la morte di Bonanno. Il
suo coinvolgimento emergerebbe
anche da un’altra intercettazione
datata 12 gennaio, ore 10.42. Spataro chiama Cumbo: “Sbrigati che
ti devo dare una cosa che mi hanno
consegnato la vespa”. Si tratterebbe della Vespa a bordo della quale
Bonanno si è allontanato la mattina
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s - il magazine che guarda dentro la cronaca
Il giorno dopo l’esecuzione
Spataro chiama Cumbo:
“Sbrigati che ti devo dare
una cosa che mi hanno
consegnato la Vespa”.
Si tratterebbe della Vespa
a bordo della quale
Bonanno si è allontanato
la mattina della sua
scomparsa. Il mezzo sarà
poi ritrovato in una
traversa di viale Strasburgo
Tonino Cumbo
Nonostante sia molto distante dal Palazzo di giustizia,
ai suoi cari confida di essere in tribunale: “Mamma sono
qua sto firmando, va bene?… Un bacione, ciao, ciao,
ciao”, dice alla madre. Poi tocca alla moglie: “Sangue
mio, sono quasi arrivato, ora sto entrando. Ci sentiamo
più tardi, non ti preoccupare”
della sua scomparsa. Il mezzo sarà
poi ritrovato in una traversa di viale
Strasburgo.
Una volta scomparso il marito, alla
Burrosi vengono in mente tutti i
segnali che non era stata in grado
d’interpretare in passato. Se solo
avesse dato importanza ad alcuni
particolari che le erano apparsi insignificanti, forse il peggio poteva
essere evitato. Forse. Come quando
tale Sergio l’aveva messa in guardia a proposito del giro di soldi del
marito. Monica Burrosi dice al fratello Alessandro “… ma scusa se si
è fottuti tutti questi soldi… dove
sono andati a finire? Com’è che
tutti questi, Maurizio, Toni questo, quella mi dicono che Giovanni
ha lasciato 350 mila euro di debiti,
ma per che cosa?”. “… secondo me
sono tutte minchiate - risponde il
fratello - però ti ricordi che fu geloso Armetta… la prima cosa che
ha detto Sergio… ha detto che è
stato per questo motivo, e secondo
me tutto il discorso andrà a finire a
quella persona che diceva lui”.
Sergio viene identificato dai carabinieri in Sergio Sacco, nato a Camporeale il 12 settembre del 1945. Ed
è sempre lui che avrebbe suggerito
alla donna di cambiare aria. La Burrosi racconta al fratello: “Non è che
se ne voleva andare fuori Palermo…
se ne voleva scappare… Per la vigilia
di Natale, quando gli ho comprato
i bicchieri a Giovanni … quel signore a me mi ha detto: ‘Pigliati a
tuo marito e ve ne dovete andare. Si
perché c’è gente che è troppo falsa e
troppo bugiarda. Pigliati a tuo marito e te ne vai’”.
Bonanno è morto. Viene seppellito
in un terremo a Villagrazia di Carini. Adesso bisogna voltare pagina.
Il 16 gennaio Giuseppe Trentanelli
va a casa di Bonanno per far sparire
ogni traccia, ogni carta della vecchia
contabilità. La Burrosi ne parla alle
8.52 con Maurizio Spataro che le
chiede: “L’ha buttata la cosa Trentanelli?”. Lei risponde: “… l’immondizia sì, già se n’è andato”. Un
linguaggio criptico che, secondo gli
inquirenti, serve a nascondere cosa
sia stato realmente fatto in quella
casa. L’eredità, il buco nel bilancio
di Cosa nostra lasciato dalla vittima
è pesante. Bastano pochi giorni per
rendersene conto.
Il 6 febbraio, alle 11.49, dalla banca Popolare di Lodi di Carini parte
una telefonata verso Trentanelli. Il
suo conto è in rosso. “C’è un assegno di sei mila euro”, dicono dalla
banca. Trentanelli è in difficoltà:
“Non si può mandare fuori termine di pagamento… e caso mai
lo può protestare perché io non ho
come fare”.
Il 28 febbraio, alle 21.21, sul telefono di Giuseppe Armetta, giunge
un sms. Il messaggio è chiaro: “Ma
per sapere che fine ha fatto il mio
assegno che devo fare!!!”. Armetta,
imprenditore indicato come favoreggiatore dell’organizzazione, sarebbe uno dei vecchi nomi del giro
di Bonanno. E a lui si rivolge Catania dopo l’eliminazione del cassiere.
Il primo marzo, alle 8.46, Armetta
tranquillizza Catania, s’impegna a
risolvere la questione: “Se ti entra
l’assegno in banca e tu gli devi portare 8 mila euro, non ti preoccupare,
andrò a cercare dove e te li darò…
preso l’impegno con te… l’assegno
non entra, non entra, stop”.
La vicenda degli assegni da coprire
coinvolge anche Monica Burrosi. Il
13 febbraio alle 16.05 viene contattato dal fratello Alessandro: “… si
deve vedere quell’altra situazione,
vabbeh Monica, però dobbiamo
parlare da un’altra parte”. Temono
di essere intercettati e Alessandro
si limita a dire che si tratta della
situazione “dei cinque”. La Burrosi capisce “perché non è entrato,
non è stato pagato?”. è Alessandro
a indicare la strada per risolvere le
cose: “… però Monica non ti ridurre all’ultimo giorno, fammi questa
cortesia. Digli a Maurizio (Spataro),
gli dici di risolvere questa cosa”.
Il 27 marzo, alle 10.35, fratello e
sorella parlano al telefono. Sono
passati ormai parecchi giorni dalla
scomparsa di Giovanni Bonanno.
Affiora rabbia nelle parole dei due
e sempre meno prudenza. Fanno
nomi e cognomi, e dimostrano di
conoscere le attività illecite di Bonanno. “Monica sicuramente lui
non se l’aspettava che gli poteva
succedere qualcosa - dice Alessandro - questo è poco ma è sicuro,
perché cercava sempre di sistemare,
sistemare, sistemare, alla fine sicuramente le persone che lo circondavano, vedi Maurizio per esempio, è
stato lui uno degli artefici che a lui
l’ha messo in crisi cerebrale, completamente… perché le cose che
faceva con Maurizio, giri di assegni
e cose varie, solo con Maurizio li
poteva fare… perché stavano insieme tutta la giornata e non lo so dove
sono questi soldi”. Monica tenta di
difendere il marito: “È lui che è così
cretino da mettersi nei guai anche
in queste cose? È così cretino? Tu lo
fai così cretino? Allora a maggior ragione io dico a mio marito io non lo
conosco e non so chi è”. Il fratello si
è fatto un’idea precisa: “… perché
lui in quell’ambiente qualcuno gli
avrà fatto sicuramente le scarpe, ma
qualcuno che sicuramente non sono
il magazine che guarda dentro la cronaca - s
21
né Maurizio, né questo né quello,
sicuramente qualcuno che noi non
conosciamo gli ha fatto l’inganno,
capito?”. Poi ammette: “I suoi soldi
li ha gestiti male, ma no male, male
male malissimo!, perché lui quello
che guadagnava, quelle cose chissà
come l’investiva, chissà che soldi
aveva nelle mani e tutti questi assegni, a scadere, a scadere, a scadere,
tutte queste cose gli finivano per le
mani di Maurizio. Sicuramente lui
lo ha affossato di più”.
Bonanno è scomparso, lasciandosi dietro una scia di debiti. I suoi
ex fedelissimi stanno cercando di
ripianare la situazione economica.
I conti sono in rosso, vuoti come
le casse della stessa famiglia di Bonanno. E tutti si disinteressano. I
vecchi amici del marito, Armetta e
Trentanelli per primi, sono scomparsi, non si preoccupano dei bisogni della donna. E Monica Burrosi
lo dice apertamente il 23 settembre
parlando con Lucia Di Matteo, moglie di Maurizio Spataro: “… cioè io
quello che dico ma questi cristiani
non se lo mettono in testa, ma questa ragazza mangia con suo figlio,
ha problemi? Cioè non gliene fotte
niente”. La Di Matteo le dà ragione
e sentenzia: “Monica non l’hai capito che era tutto per interesse… io
spero solo… tanto il Signore vede
e provvede, ma la pagheranno…
non ti preoccupare che scoppierà la
bomba e poi vedremo chi rimarrà
da solo e chi in compagnia, poi voglio vedere”.
Il 6 maggio 2007, alle 12.48, vengono intercettati Monica Burrosi
e il fratello Sandro. È trascorso un
anno dalla scomparsa di Giovanni
Bonanno. Nelle parole della donna
emerge rancore nei confronti di Tonino (Antonino Cumbo) e Giannetto (Giovanni Allicate): “...Siccome dovevano crepare tutti quanto
erano… e invece no, l’ha cacata
Giovanni la panella.. e non m’interessa Sandro lo dico pure
per telefono, non me
ne fotte niente. Non
me ne fotte niente,
di nessuno, tanto a
me ... di me a loro
non gliene fotte
niente. Loro si
nascondono e si
Dopo la scomparsa alla moglie vengono in mente
i segnali degli ultimi giorni: “Com’è che tutti questi,
Maurizio, Toni questo, quella mi dicono che Giovanni
ha lasciato 350 mila euro di debiti, ma per che cosa?”.
E un certo Sergio Sacco disse alla donna di sparire
22
s - il magazine che guarda dentro la cronaca
allontanano perché hanno paura e
invece devono cacarsi sotto perché
non hanno visto niente… poi questo se il Signore esiste, se il Signore
non esiste allora continuano a vivere tranquilli”. “Ma tu credi obiettivamente, quanti di loro arriveranno alla vecchiaia, morire davanti al
televisore di vecchiaia - risponde il
fratello - secondo te quanti di loro
arriveranno a questo. In mezzo alla
strada … moriranno tutti in mezzo
alla strada”.
Il 2 febbraio 2006 Spataro chiama
Antonino Cumbo. Ha pagato alcuni assegni, ed è rimasto senza soldi.
Ha venduto tutto quello che aveva
pur di non farli protestare. Teme
di fare la stessa fine del suo capo e
vuol far capire di essere uno a posto:
“…Ti faccio vedere che non c’è una
lira… ma non perché non lo voglio
pagare. Perché non ne ho, non ce
ne sono. Perché per come pagavo
avantieri quello di settemila, avrei
pagato questo di novemila… io
non so cosa mi devo vendere più, la
macchina l’ho presa e l’ho venduta,
non so cosa mi devo vendere più”.
Il 22 giugno 2006 alle 14.47 Monica
e Sandro Burrosi parlano al telefono. Sono i giorni dell’operazione
Gotha. Alessandro Burrosi: “...mi fa
male pensare che loro hanno tolto…
non hanno tolto un … cioè come
posso dirti … una pedina per loro,
un numero, capisci?… Che loro li
chiamano numeri, cioè per me significa che hanno tolto una persona
importante in una famiglia, hai capito?”. Monica gli risponde: “… e a
me questa cosa mi fa diventare una
bestia perché Giovanni non se lo
meritava, perché lo volete rovinare
a livello economico; lo rovinate, gli
dite che gli volete stroncare, va bene
gli date bastonate, ma fargli fare una
fine brutta… qualsiasi tipo di fine
gli hai potuto fare, cioè farlo sparire, ucciso… perché?”. Perché
la regola numero uno della mafia è “chi sbaglia paga”. Non
c’è appello. La sentenza di
morte deve essere eseguita.
Così è stato.