Gli ultimi giorni di Giovanni Bonanno
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Gli ultimi giorni di Giovanni Bonanno
Gli ultimi giorni di Giovanni Bonanno, un uomo morto che cammina di Riccardo Arena Due mesi prima che Andrea Adamo lo convocasse per ucciderlo, il mafioso fu avvisato dagli inquirenti: ti ammazzeranno. Ma lui faceva lo spavaldo: vogliono solo farmi pentire L a potenza della mafia, meglio che da mille trattati di sociologia su Cosa Nostra, può essere raccontata dalla cronaca della morte annunciata di Giovanni Bonanno. Lui era un capo ormai “posato”: poteva salvarsi momentaneamente, ma sapeva bene che alla vendetta dei boss non si sfugge. Aveva 36 anni, moglie e un figlio di pochi mesi, ma lo avevano condannato a morte e l’organizzazione, la “nostra cosa”, come la chiamano coloro che ne fanno parte, non dà scampo. Così salutò gli amici, salutò la madre, la moglie e – tenendoselo stretto, nell’ultima notte trascorsa con lui – il bimbo di meno di un anno. Poi andò a morire da vero mafioso. Forse l’unica forma di “protesta” fu quella di indossare abiti vecchi, il giorno della sua morte annunciata. Più o meno come i marinai tedeschi descritti da Wolfgang 10 s - il magazine che guarda dentro la cronaca Ott in “Squali e pesciolini”: nell’U-boot che affondava, si affannavano a mangiare le conserve custodite gelosamente per mesi. “È un peccato che vadano perse, a chi serviranno quando saremo morti?”. Due mesi prima di quel fatale gennaio 2006 gliel’avevano detto, gli sbirri: attento, sei un morto che cammina. Ma lui, Bonanno, aveva fatto lo spavaldo: vogliono solo controllarmi, aveva inventato alla moglie dopo essere stato convocato alla Squadra mobile di Palermo; fesserie, aveva confidato agli amici, vogliono solo farmi pentire, ma io non lo farò mai e poi mai. Mafioso sono e mafioso resto, anzi ditelo ai capi, ai Lo Piccolo, che io sono fedele e non sgarro. A dicembre di quello stesso 2005, però, puntuale, arrivò la convocazione per l’ultimo appuntamento. Un appuntamento firmato Andrea Adamo, dunque firmato Lo Piccolo. Maurizio Spataro, il pentito che fu accanto a Bonanno negli ultimi giorni della sua vita, è estremamente preciso, con i magistrati che lo interrogano. Ai pm Annamaria Picozzi e Gaetano Paci dice tutto, senza sapere che le intercettazioni, telefoniche e ambientali, effettuate per cercare di dare un volto agli assassini dell’ex reggente del mandamento di San Lorenzo e di Resuttana, già avevano inquadrato perfettamente la vicenda come l’aveva ricostruita lui. “S” adesso è in grado, in queste pagine, di raccontare come e perché morì il mafioso che rinunciò alla sua ultima chance. circolazione. Ed era un bambino quando la “persona meravigliosa” andò a sparare al capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Nella notte fra il 3 e il 4 maggio del 1980, c’era la festa del paese, a Monreale, e Basile aveva in braccio la figlioletta di poco più di un anno. Lo colpirono alle spalle, nel momento in cui era più vulnerabile e per giunta, pur sentendosi bucare la carne dalle pallottole, non fece nulla per difendersi ma pensò solo a proteggere la bimba, che rimase ferita ma si salvò. Alla moglie, che era con loro, spararono per non essere riconosciuti e la donna fu miracolata, perché il proiettile destinato al cuore rimbalzò su un oggetto d’argento dell’Arma, che le aveva regalato il marito. I killer erano tre: Bonanno padre, Vincenzo Puccio e Giuseppe Madonia. Li beccarono in un agrumeto poco distante perché un giovane Giovanni Brusca – hanno raccontato altri pentiti, ma l’interessato lo ha sempre negato – si fece prendere dal panico e, anziché portarli via con l’auto di appoggio, li abbandonò. Furono processati per anni e anni, tra cavilli e invenzioni o “innovazioni” giuridiche della Corte di Cassazione, e la sentenza definitiva di condanna all’ergastolo arrivò quando Armando Bonanno era sparito da tempo e quando Puccio era stato ammazzato a colpi di bistecchiera dentro il carcere dell’Ucciardone. Armando Bonanno, ha detto il pentito Angelo Fontana, si troverebbe in un pilastro della zona dell’Acquasanta. Pagò con la vita, così come un altro killer della zona opposta della città, Pino Greco “Scarpazzedda”, di Ciaculli, le proprie smanie di potere e la fedeltà a un boss del narcotraffico, Gaetano Carollo, Nel nome del padre Dice la vedova, Monica Burrosi, che oggi il figlioletto di meno di quattro anni cerca il papà che non ha mai conosciuto. E raccon- Bonanno viveva col mito del padre Armando, killer di Emanuele Basile ta che pure Giovanni, il suo Giovanni, che secondo il pentito Angelo Fontana sarebbe stato nascosto aveva molto sofferto per il proprio, di in un pilastro all’Acquasanta. Secondo Spataro da questo dipendeva padre. “All’inizio io ero un poco titula diffidenza di Salvatore Lo Piccolo, che aveva attirato in trappola il padre bante, nel rapporto con il mio futuro marito – racconta la donna davanti alla Corte d’assise – però mi sono innamorata. Dei suoi guai, delle sue vicende giudiziarie, Giovanni non si è mai rifiutato di parlare. Mi disse che erano storie che risalivano a quando c’era suo padre, suo padre che non c’era più. Di lui mi parlava come di una persona meravigliosa, che voleva bene ai propri figli, e poi mi raccontò le difficoltà della vita di figlio di un latitante, le sofferenze vissute quando lui non c’era…”. Era adolescente, Giovanni Bonanno, quando il padre, Armando, sparì dalla Il cimitero di mafia a Villagrazia di Carini nel quale è stato sepolto Bonanno il magazine che guarda dentro la cronaca - s 11 Tutti volevano morto Bonanno. Lo Piccolo, ma anche Rotolo e Cinà, che la vittima considerava emanazione dei Madonia. Che si erano lamentati, attraverso Mariangela Di Trapani, perché non le arrivavano subito i cinquemila euro che aveva chiesto Giovanni lavorava in coppia col fratello maggiore Francesco, poi morto di infarto. Secondo Spataro il più grande dei due Bonanno sarebbe stato socio occulto di un imprenditore, Giuseppe Armetta, che “noleggiava furgoni all’Amg”. fatto uccidere a Milano dai Madonia. Uno dei motivi di diffidenza, e insieme di timore, dei Lo Piccolo nei confronti di Giovanni Bonanno, racconta il pentito Spataro, “era che il papà, Armando, fosse stato tratto in trappola, ai tempi, dal padre di Sandro Lo Piccolo. E Giovanni questa cosa la sapeva”. Il destino di due fratelli Giovanni e Francesco Bonanno erano i figli di Armando. Cresciuti con la pesante ombra del padre, prima uccel di bosco e poi assassinato perché divenuto ingombrante, furono lasciati comunque nell’orbita di Cosa Nostra. Questo era il loro destino, sin da bambini. Nonostante il loro “peccato originale”, i Lo Piccolo, racconta Spataro, e i Madonia, preferirono tenerseli vicini, ma non si fidarono mai abbastanza. “Con Giovanni eravamo amici da tempo – racconta Maurizio Spataro – ma io poi, per un periodo, mi sono allontanato. Nello stesso tempo avevo fatto conoscenza con dei ragazzi vicini a Sandro Lo Piccolo, Giulio Caporrimo, Nunzio e Iachino Serio, Totò Di Maio, che mi dicevano di stare distante da Giovanni, che per loro era una persona poco affidabile… Poi, nel ’99, quando fu arrestato Giovanni, tutto quello 12 s - il magazine che guarda dentro la cronaca che era nel rapporto con suo fratello lo prese in mano direttamente Francesco Bonanno”. Il figlio maggiore di Armando Bonanno, però, soffriva di cuore e morì durante la latitanza, il 23 dicembre 2004: “I figli di un certo Licata – dice l’altro pentito Angelo Fontana – lo portarono in ospedale e lo lasciarono al pronto soccorso. Lo fecero perché potesse avere un funerale decente”. Affari di famiglia Mentre era latitante, Francesco Bonanno aveva continuato a gestire l’attività del fratello Giovanni, socio occulto di un imprenditore, Giuseppe Armetta. “In quel periodo, in cui era irreperibile – dice ancora Spataro – con Armetta, Francesco aveva preso un appalto alla Amg, l’Azienda del gas di Palermo. Hanno comprato sei furgoni con i cestelli e li noleggiavano a questa ditta, all’Amg, che li usava per andare a fare i controlli delle lampadine. Lo avevano preso loro, come ditta Armetta, tramite un amico dentro l’Amg, nella qualità di Salvo Tafuri, che gli fece prendere questo appalto, che è durato fino al 2005. Successivamente hanno rotto la società e sono usciti pure fuori da questi mezzi con il nolo che davano all’Amg. Comunque l’attività andava abbastanza bene. Pippo stesso (Armetta, ndr) si vantava che tutti i lavori che prendevano, li prendevano perché ormai loro avevano il predominio totale su Palermo, che le persone che erano vicine a Francesco (Bonanno, ndr) dovevano fare quello che dicevano loro, per cui lavoravano abbastanza bene”. Diego Di Trapani e, a destra, la figlia Maria Angela. Nella pagina a fianco, il magistrato Francesco Del Bene La caduta Giovanni Bonanno, rimasto solo, deve fare fronte a una serie di impegni economici per la famiglia mafiosa. Dimentica casa sua, si getta a capofitto in attività con Spataro, che ha una rivendita di auto, ma non gliene va bene una. “Io non mi potevo comprare un paio di scarpe – dice Monica Burrosi, rispondendo in Corte d’assise al pm Francesco Del Bene – e i soldi che ci avevano regalato per il nostro matrimonio e per il battesimo del bambino sparirono tutti. Mi diceva di usarli per la casa… Si portava i gioielli, se li andava a impegnare”. Giovanni tappava le falle di un sistema che non reggeva. I boss cominciano a non gradire. Esce di galera il dottor Antonino Cinà e Bonanno perde la reggenza di San Lorenzo. Fuori anche Diego Di Trapani, e cade anche Resuttana. Mariangela Di Trapani, nipote di Diego e moglie di Salvino Madonia, si picca perché non le arrivano subito i cinquemila euro che aveva chiesto per far visitare in carcere il suocero, il patriarca Francesco. “Giovanni non aveva come fare, però riuscì a trovare i cinquemila euro e glieli fece avere tramite Rosario Pedone. Mariangela decise però di non volere più incontrarlo e di non avere più rapporti con lui. Sia- mo agli inizi del 2005”. L’annus horribilis di Giovanni Bonanno. Non gli pagano più le estorsioni, va a riscuotere e si sente rispondere il classico abbiamo già dato. La fine si avvicina: “Hanno fatto terra bruciata attorno a lui. A poco a poco è stato messo da parte, si è allontanato Piero Salsiera, Antonino Cumbo era molto più distaccato da lui. Nell’ultimo Natale Giovanni non ha incassato nemmeno un euro dalle estorsioni”. E poi gli volta le spalle anche “Totò Castiglione, un ragazzo che lui aveva aiutato in precedenza, perché aveva avuto dei problemi a Cruillas con Luigi Caravello… ‘Non solo io l’ho aiutato, gli ho fatto, gli ho detto, ma nello stesso tempo mi viene contro’. Praticamente – spiega Spataro – quello che Giovanni gli riferiva lui lo andava a riferire a Bonura e Bonura, Franco, il costruttore, lo raccontava a Rotolo”. La fine Tutti lo volevano morto. I Lo Piccolo che odiavano Rotolo e Cinà, Rotolo e Cinà che odiavano i Lo Piccolo. Questi ultimi, pericolosi di per sé, erano in realtà considerati da Bonanno emanazione dei Madonia, i veri potenti – nonostante la quasi ventennale detenzione – della zona ovest di Palermo. E ai MadoniaDi Trapani non si sfugge. Bonanno viene convocato per l’ultimo appuntamento per il 23 dicembre 2005. L’emissario è Andrea Adamo, che poi, il 5 novembre 2007, sarà catturato a Giardinello con Salvatore e Sandro Lo Piccolo e con Gaspare Pulizzi. Giovanni non va. Vuole farsi il Natale tranquillo. Prima si è fatto “il sangue acqua”, ha dovuto chiedere soldi a un tale Nino Mortillaro, “un commercialista – spiega Spataro – il cui figlio ha uno studio in via Cavour e si occupa di gestire direttamente i proventi dei cinesi nella zona di corso dei Mille, via Lincoln”. Il mafioso senza un euro se ne fa prestare diecimila. Mortillaro per ottenerne la restituzione della metà dovrà dire che quelli erano soldi di Adamo. Bonanno sente approssimarsi la fine, si fa il Natale tranquillo, a Capodanno gli amici lo lasciano solo. Inutile l’esortazione rivoltagli da Sergio Sacco, un commerciante della zona, già processato e assolto dall’accusa di favoreggiamento nei confronti di mafiosi, inutile l’invito ad andare via: “A me – dice la vedova – è sembrato strano che Sergio ci dicesse una cosa del genere”. Giovanni fa un’ultima cena con gli amici, al Kuletto’s, poi inventa la storia dell’udienza al tribunale di sorveglianza, raccomanda alla moglie di non chiamarlo. La mattina dell’11 gennaio 2006 Giovanni Bonanno esce di casa, a bordo di una Vespa 50 Alx grigia comprata a rate, con il casco blu prestatogli da Spataro. Di lui verranno ritrovati alcuni resti, a gennaio del 2008, nel fondo Pottino di Villagrazia di Carini. il magazine che guarda dentro la cronaca - s 13 In queste pagine il cimitero di mafia a Villagrazia di Carini nel quale è stato sepolto Bonanno Morte di un boss di Riccardo Lo Verso Le ultime parole di Giovanni Bonanno consegnano il dramma di un uomo che sa di dover morire perché “si era fottuto i soldi dei carcerati” e che non ha più il coraggio di guardare la moglie negli occhi G iovanni Bonanno muore inghiottito dalla lupara bianca. Chi lo ha ucciso, insieme al suo corpo, non poteva certo seppellire anche le parole. Le sue e quelle dei suoi familiari sono rimaste impresse nei nastri magnetici delle intercettazioni. Raccontano le fasi precedenti e 16 s - il magazine che guarda dentro la cronaca successive alla sua scomparsa. L’ascesa e la caduta di un boss. Ricostruiscono il vorticoso giro di affari sporchi di Bonanno, i suoi stratagemmi e la sua affannosa, quanto inutile, corsa contro il tempo per ripianare i conti della famiglia mafiosa di Resuttana. Le sue parole, però, insieme a quelle di chi lo amava e degli amici che gli voltarono le spalle, ci consegnano pure il dramma di un uomo che sa di dover morire, il dolore di una donna - la moglie - e le bugie di chi quella donna non ha avuto più il coraggio di guardarla negli occhi. Chi sbaglia paga, con la ferocia alla quale Cosa nostra ci ha abituato ma alla quale mai noi ci abitueremo. Il Gotha mafioso aveva chiesto per lui una pena esemplare perché “si era fottuto i soldi dei carcerati”. Da qui la decisione di eliminarlo che sarebbe stata presa dai vertici della famiglia: Salvatore Lo Piccolo, Diego Di Trapani e Antonino Madonia. Totuccio Lo Piccolo, il barone, lo aveva pure scritto in un pizzino spedito a Bernardo Provenzano: “Per quanto riguarda quello che si chiamava come il suo paesano, purtroppo non c’è stato modo di scegliere altre soluzioni, in quanto se ne andava di testa sua. Tentativi per non arrivare a brutte cose, ce ne sono stati fatti parecchi, ma non è servito lo stesso a niente. E a questo punto abbiamo dovuto prendere con D. questa amara de- Totuccio Lo Piccolo lo aveva scritto in un pizzino a Provenzano: “Purtroppo non c’è stato modo di scegliere altre soluzioni”. A Natale del 2005 Bonanno confida alla moglie di essere nei guai: “Disperatissimo sono, disperatissimo in un periodo di m...” cisione”. L’11 gennaio 2006, giorno della scomparsa di Giovanni Bonanno, traccia una linea netta di demarcazione fra la vecchia e la nuova gestione economica della cosca di Resuttana. Escono di scena alcuni favoreggiatori e vengono chiusi i conti correnti a loro intestati. Di colpo mancano i soldi per coprire gli assegni già firmati e che presto saranno messi all’incasso. Le carte lasciate da Bonanno sono fonte di preoccupazione per tutta l’organizzazione. Maurizio Spataro, Giuseppe Armetta, Antonino Cumbo e Salvatore Castiglione, gli uomini di Bonanno, ricevono l’incarico di sanare i debiti e avviare una nuova stagione. Nel mezzo c’è la ricerca, vana, da parte di Monica Burrosi, moglie di Bonanno, di avere notizie del marito. Parla al telefono, soprattutto con il fratello, e salta fuori uno spaccato ancora più nitido di quanto è accaduto. il magazine che guarda dentro la cronaca - s 17 Che qualcosa non stesse andando per il verso giusto lo si era intuito un mese prima. Il Natale del 2005 è un periodo difficile. È lo stesso Bonanno a dirlo alla moglie alle 11.51 del 19 dicembre. Lei chiede: “… sei disperato?”, lui risponde: “Disperatissimo sono, disperatissimo in un periodo di merda, va bene sangue mio?”. Servono soldi. Tanti soldi. Bonanno si è infilato in un tunnel senza via d’uscita. Il 7 febbraio del 2006, Maurizio Spataro, fedelissimo del cassiere della cosca e oggi pentito, intercettato nel suo autosalone mentre parla con un uomo non identificato, individua tra le cause principali della lupara bianca le difficoltà avute nel saziare l’avidità di denaro dei Madonia, capi storici della famiglia di Resuttana. I colloqui in carcere fuori dalla Sicilia, le spese per far riottenere la libertà ad Aldo Madonia. E poi il lussuoso tenore di vita che tutta la famiglia pretende di mantenere: “… considera che si sono giocati la qualsiasi per fare uscire il fratello … Aldo… quello è farmacista… si sono buttati… cioè… hanno speso l’impossibile… poi le spese pure per andarli a trovare questi partono due giorni ogni mese… anche le loro signore che fanno la bella vita… lussi… Bmw…”. Facciamo un passo indietro. Le tappe del cammino di Bonanno verso l’esecuzione della condanna a morte sono ricostruite in una recentissima informativa dei carabinieri di Palermo. La drammaticità della situazione emerge già il 7 gennaio del 2006. Alle 11.34 Bonanno e Spataro parlano al telefono. All’indomani delle festività natalizie non ci sono i soldi neppure per pagare gli operai. Bonanno: “… perché si deve vedere… il fatto dei piccioli degli operai… l’hai fatto il conto?… Mauro come sei combinato tu?”. Spataro: “...zero totale… non ho un centesimo…”. Bonanno: “… perché io pure… io sono due giorni che sono senza una lira com- 18 s - il magazine che guarda dentro la cronaca pletamente…”. A questo punto Bonanno chiede a Pino Armetta di rivolgersi ad una terza persona per trovare dei soldi. Un po’ di liquidità per mettere delle pezze in una situazione che fa acqua da tutte le parti. Armetta gli sbatte la porta in faccia: “… niente, mi ha fatto la negativa totale… impressionante mi ha detto problemi deve pagare gli operai non mi può aiutare punto e basta… gli dicevi per lunedì, diglielo vedi cosa ti dice”. Sperano di riuscire a posticipare la messa all’incasso di un assegno. Niente, Bonanno conferma che non ci sono possibilità di rinvio: “… no e mi hanno detto che non è possibile, gliel’ho detto ieri sera perché dice entro le tre e mezza perché se no lo protestano, t’immagini”. Il vorticoso giro di telefonate prosegue alle 16.01. È una corsa contro il tempo. Bonanno questa volta chiama Giuseppe Trentanelli. Prova a fermarlo prima che giri un assegno Maurizio Spataro convocato. A comunicarglielo è stato Andrea Adamo, boss di Brancaccio arrestato insieme ai Lo Piccolo, nel corso - si legge nell’informativa dei carabinieri dell’11 dicembre 2008 che ricostruisce le vicende legate all’omicidio Bonanno - “di un incontro in una gioielleria in via Libertà dove lavora Fabio Bonvissuto”, indicato dagli inquirenti come “tramite tra i Lo Piccolo e Adamo”. Il 10 gennaio Bonanno capisce che chi vuole incontrarlo non scherza. Decide allora di chiamare a raccolta tutti i suoi amici: Armetta (“appena sei da queste parti… viale Strasburgo… fammi un colpo di telefono”), Cumbo (“… sono qua in piazza Alcide De Gasperi che fa avvicini?”), Trentanelli (“una mezz’oretta e ti richiamo e ci vediamo, ti dico dove ci vediamo va bene?”) e Spataro. Vuole metterli al corrente di quanto sta accadendo. A Bonanno manca il terreno sotto i piedi. Sente l’esigenza di andare a casa per salutare la madre, cosa che non fa parte delle sue abitu- Nel corso di una telefonata intercettata Spataro dice di avere saputo che Bonanno era stato convocato. A comunicarglielo è stato Andrea Adamo. Il 10 gennaio Bonanno chiama a raccolta i suoi amici: Armetta, Cumbo, Trentanelli e Spataro. Poi va a trovare la madre. Per l’ultima volta Spataro, oggi pentito, in un’intercettazione addebita la responsabilità all’avidità dei Madonia: “...considera che si sono giocati la qualsiasi per fare uscire il fratello... Aldo... hanno speso l’impossibile... poi le spese pure per andarli a trovare... anche le loro signore che fanno la bella vita... lussi... Bmw...” in modo da utilizzarlo per ripianare un debito: “Sono nei guai, sono nei guai totali, ora è venuto pure Mauro, gli ho aperto le braccia, lui mi ha abbracciato e si stava mettendo a piangere… però questo è importante perché ho un appuntamento alle sei e mezza, che devo fare questo pagamento…”. La sera prima della scomparsa gli eventi precipitano. Al termine di una giornata convulsa i tentativi di far quadrare i conti sono falliti. Alle 17.44 Bonanno contatta la moglie. Le dice che la mattina dell’indo- mani dovrà andare al Tribunale di sorveglianza. Sta mentendo. Sa che andrà all’appuntamento con la morte. “Domani mattina io alle dieci e mezzo devo andare al Tribunale”. “Perché?”, chiede la moglie. Lui risponde: “… per il discorso della Sorveglianza, perché l’hanno rinviata che c’è il processo domani direttamente… me ne vado col motorino ed arrivo in un secondo”. Nel corso di una telefonata successiva, il 15 gennaio del 2006, anche questa intercettata, è Spataro a dire di avere saputo che Bonanno era stato L’arresto di Giovanni Bonanno. In alto Andrea Adamo dini. Alle 19.24 avverte la moglie: “Ci vediamo più tardi va bene?”. Burrosi: “Più tardi?, sono le otto meno venti”. Bonanno: “Lo so, sto passando dalla mamma, veloce”. Il giorno della scomparsa Bonanno effettua solo tre telefonate. Alle 9.44, alle 10 e alle 10.20. Chiama rispettivamente Giuseppe Trentanelli, la madre e la moglie. Dalle lettura dei tabulati telefonici, gli investigatori scoprono che il cellulare ha agganciato in sequenza i ripetitori di viale Straburgo, via Sferracavallo e via Nettuno, a il magazine che guarda dentro la cronaca - s 19 Mondello, fino alle 18.09. Da quel momento in poi il telefono risulta spento. Definitivamente spento. “Mamma sono qua sto firmando, va bene?… Un bacione, ciao, ciao, ciao”, dice alla madre. Poi tocca alla moglie: “Sangue mio, sono quasi arrivato, ora sto entrando. Ci sentiamo più tardi, non ti preoccupare… ti chiamo io appena mi svincolo”. Non c’era nessuna udienza in Tribunale quel giorno, nessun registro dei sorvegliati speciali da firmare in commissariato. Era tutta una messinscena. Bonanno decide di andare incontro alla morte in silenzio. Sa di non poter sfuggire al suo destino. Solo mesi dopo la moglie trova una spiegazione ad alcuni comportamenti del marito. “La mattina, prima di uscire di casa - ha raccontato in lacrime davanti ai giudici della Corte d’assise - ha preso nostro figlio dalla culla, lo ha messo nel letto e lo ha abbracciato. Ha abbracciato pure me. Mi ha salutato, è uscito ed è rientrato per salutarmi di nuovo. Era nervoso. Preoccupato”. Passano le ore e il marito non si fa vivo. Alla 18.56 la moglie chiama Antonino Cumbo. Vuole sapere se ha notizie, e Cumbo risponde: “Ci ho chiamato al telefono, ma è spento”. Sta mentendo. Cumbo, quel giorno, non ha mai composto il numero telefonico di Bonanno. Così come mente quando, nonostante si trovi vicino a piazzale Giotto, dice alla donna di essere a casa: “… io sono a piedi, sto aspettando mio cugino Mario che è andato a comprare la carne e casomai avvicino, lascio la carne al Borgo e avvicino io Monica, ok?”. Tutte bugie che, secondo gli inquirenti, confermerebbero che Cumbo sapeva dell’appuntamento con la morte di Bonanno. Il suo coinvolgimento emergerebbe anche da un’altra intercettazione datata 12 gennaio, ore 10.42. Spataro chiama Cumbo: “Sbrigati che ti devo dare una cosa che mi hanno consegnato la vespa”. Si tratterebbe della Vespa a bordo della quale Bonanno si è allontanato la mattina 20 s - il magazine che guarda dentro la cronaca Il giorno dopo l’esecuzione Spataro chiama Cumbo: “Sbrigati che ti devo dare una cosa che mi hanno consegnato la Vespa”. Si tratterebbe della Vespa a bordo della quale Bonanno si è allontanato la mattina della sua scomparsa. Il mezzo sarà poi ritrovato in una traversa di viale Strasburgo Tonino Cumbo Nonostante sia molto distante dal Palazzo di giustizia, ai suoi cari confida di essere in tribunale: “Mamma sono qua sto firmando, va bene?… Un bacione, ciao, ciao, ciao”, dice alla madre. Poi tocca alla moglie: “Sangue mio, sono quasi arrivato, ora sto entrando. Ci sentiamo più tardi, non ti preoccupare” della sua scomparsa. Il mezzo sarà poi ritrovato in una traversa di viale Strasburgo. Una volta scomparso il marito, alla Burrosi vengono in mente tutti i segnali che non era stata in grado d’interpretare in passato. Se solo avesse dato importanza ad alcuni particolari che le erano apparsi insignificanti, forse il peggio poteva essere evitato. Forse. Come quando tale Sergio l’aveva messa in guardia a proposito del giro di soldi del marito. Monica Burrosi dice al fratello Alessandro “… ma scusa se si è fottuti tutti questi soldi… dove sono andati a finire? Com’è che tutti questi, Maurizio, Toni questo, quella mi dicono che Giovanni ha lasciato 350 mila euro di debiti, ma per che cosa?”. “… secondo me sono tutte minchiate - risponde il fratello - però ti ricordi che fu geloso Armetta… la prima cosa che ha detto Sergio… ha detto che è stato per questo motivo, e secondo me tutto il discorso andrà a finire a quella persona che diceva lui”. Sergio viene identificato dai carabinieri in Sergio Sacco, nato a Camporeale il 12 settembre del 1945. Ed è sempre lui che avrebbe suggerito alla donna di cambiare aria. La Burrosi racconta al fratello: “Non è che se ne voleva andare fuori Palermo… se ne voleva scappare… Per la vigilia di Natale, quando gli ho comprato i bicchieri a Giovanni … quel signore a me mi ha detto: ‘Pigliati a tuo marito e ve ne dovete andare. Si perché c’è gente che è troppo falsa e troppo bugiarda. Pigliati a tuo marito e te ne vai’”. Bonanno è morto. Viene seppellito in un terremo a Villagrazia di Carini. Adesso bisogna voltare pagina. Il 16 gennaio Giuseppe Trentanelli va a casa di Bonanno per far sparire ogni traccia, ogni carta della vecchia contabilità. La Burrosi ne parla alle 8.52 con Maurizio Spataro che le chiede: “L’ha buttata la cosa Trentanelli?”. Lei risponde: “… l’immondizia sì, già se n’è andato”. Un linguaggio criptico che, secondo gli inquirenti, serve a nascondere cosa sia stato realmente fatto in quella casa. L’eredità, il buco nel bilancio di Cosa nostra lasciato dalla vittima è pesante. Bastano pochi giorni per rendersene conto. Il 6 febbraio, alle 11.49, dalla banca Popolare di Lodi di Carini parte una telefonata verso Trentanelli. Il suo conto è in rosso. “C’è un assegno di sei mila euro”, dicono dalla banca. Trentanelli è in difficoltà: “Non si può mandare fuori termine di pagamento… e caso mai lo può protestare perché io non ho come fare”. Il 28 febbraio, alle 21.21, sul telefono di Giuseppe Armetta, giunge un sms. Il messaggio è chiaro: “Ma per sapere che fine ha fatto il mio assegno che devo fare!!!”. Armetta, imprenditore indicato come favoreggiatore dell’organizzazione, sarebbe uno dei vecchi nomi del giro di Bonanno. E a lui si rivolge Catania dopo l’eliminazione del cassiere. Il primo marzo, alle 8.46, Armetta tranquillizza Catania, s’impegna a risolvere la questione: “Se ti entra l’assegno in banca e tu gli devi portare 8 mila euro, non ti preoccupare, andrò a cercare dove e te li darò… preso l’impegno con te… l’assegno non entra, non entra, stop”. La vicenda degli assegni da coprire coinvolge anche Monica Burrosi. Il 13 febbraio alle 16.05 viene contattato dal fratello Alessandro: “… si deve vedere quell’altra situazione, vabbeh Monica, però dobbiamo parlare da un’altra parte”. Temono di essere intercettati e Alessandro si limita a dire che si tratta della situazione “dei cinque”. La Burrosi capisce “perché non è entrato, non è stato pagato?”. è Alessandro a indicare la strada per risolvere le cose: “… però Monica non ti ridurre all’ultimo giorno, fammi questa cortesia. Digli a Maurizio (Spataro), gli dici di risolvere questa cosa”. Il 27 marzo, alle 10.35, fratello e sorella parlano al telefono. Sono passati ormai parecchi giorni dalla scomparsa di Giovanni Bonanno. Affiora rabbia nelle parole dei due e sempre meno prudenza. Fanno nomi e cognomi, e dimostrano di conoscere le attività illecite di Bonanno. “Monica sicuramente lui non se l’aspettava che gli poteva succedere qualcosa - dice Alessandro - questo è poco ma è sicuro, perché cercava sempre di sistemare, sistemare, sistemare, alla fine sicuramente le persone che lo circondavano, vedi Maurizio per esempio, è stato lui uno degli artefici che a lui l’ha messo in crisi cerebrale, completamente… perché le cose che faceva con Maurizio, giri di assegni e cose varie, solo con Maurizio li poteva fare… perché stavano insieme tutta la giornata e non lo so dove sono questi soldi”. Monica tenta di difendere il marito: “È lui che è così cretino da mettersi nei guai anche in queste cose? È così cretino? Tu lo fai così cretino? Allora a maggior ragione io dico a mio marito io non lo conosco e non so chi è”. Il fratello si è fatto un’idea precisa: “… perché lui in quell’ambiente qualcuno gli avrà fatto sicuramente le scarpe, ma qualcuno che sicuramente non sono il magazine che guarda dentro la cronaca - s 21 né Maurizio, né questo né quello, sicuramente qualcuno che noi non conosciamo gli ha fatto l’inganno, capito?”. Poi ammette: “I suoi soldi li ha gestiti male, ma no male, male male malissimo!, perché lui quello che guadagnava, quelle cose chissà come l’investiva, chissà che soldi aveva nelle mani e tutti questi assegni, a scadere, a scadere, a scadere, tutte queste cose gli finivano per le mani di Maurizio. Sicuramente lui lo ha affossato di più”. Bonanno è scomparso, lasciandosi dietro una scia di debiti. I suoi ex fedelissimi stanno cercando di ripianare la situazione economica. I conti sono in rosso, vuoti come le casse della stessa famiglia di Bonanno. E tutti si disinteressano. I vecchi amici del marito, Armetta e Trentanelli per primi, sono scomparsi, non si preoccupano dei bisogni della donna. E Monica Burrosi lo dice apertamente il 23 settembre parlando con Lucia Di Matteo, moglie di Maurizio Spataro: “… cioè io quello che dico ma questi cristiani non se lo mettono in testa, ma questa ragazza mangia con suo figlio, ha problemi? Cioè non gliene fotte niente”. La Di Matteo le dà ragione e sentenzia: “Monica non l’hai capito che era tutto per interesse… io spero solo… tanto il Signore vede e provvede, ma la pagheranno… non ti preoccupare che scoppierà la bomba e poi vedremo chi rimarrà da solo e chi in compagnia, poi voglio vedere”. Il 6 maggio 2007, alle 12.48, vengono intercettati Monica Burrosi e il fratello Sandro. È trascorso un anno dalla scomparsa di Giovanni Bonanno. Nelle parole della donna emerge rancore nei confronti di Tonino (Antonino Cumbo) e Giannetto (Giovanni Allicate): “...Siccome dovevano crepare tutti quanto erano… e invece no, l’ha cacata Giovanni la panella.. e non m’interessa Sandro lo dico pure per telefono, non me ne fotte niente. Non me ne fotte niente, di nessuno, tanto a me ... di me a loro non gliene fotte niente. Loro si nascondono e si Dopo la scomparsa alla moglie vengono in mente i segnali degli ultimi giorni: “Com’è che tutti questi, Maurizio, Toni questo, quella mi dicono che Giovanni ha lasciato 350 mila euro di debiti, ma per che cosa?”. E un certo Sergio Sacco disse alla donna di sparire 22 s - il magazine che guarda dentro la cronaca allontanano perché hanno paura e invece devono cacarsi sotto perché non hanno visto niente… poi questo se il Signore esiste, se il Signore non esiste allora continuano a vivere tranquilli”. “Ma tu credi obiettivamente, quanti di loro arriveranno alla vecchiaia, morire davanti al televisore di vecchiaia - risponde il fratello - secondo te quanti di loro arriveranno a questo. In mezzo alla strada … moriranno tutti in mezzo alla strada”. Il 2 febbraio 2006 Spataro chiama Antonino Cumbo. Ha pagato alcuni assegni, ed è rimasto senza soldi. Ha venduto tutto quello che aveva pur di non farli protestare. Teme di fare la stessa fine del suo capo e vuol far capire di essere uno a posto: “…Ti faccio vedere che non c’è una lira… ma non perché non lo voglio pagare. Perché non ne ho, non ce ne sono. Perché per come pagavo avantieri quello di settemila, avrei pagato questo di novemila… io non so cosa mi devo vendere più, la macchina l’ho presa e l’ho venduta, non so cosa mi devo vendere più”. Il 22 giugno 2006 alle 14.47 Monica e Sandro Burrosi parlano al telefono. Sono i giorni dell’operazione Gotha. Alessandro Burrosi: “...mi fa male pensare che loro hanno tolto… non hanno tolto un … cioè come posso dirti … una pedina per loro, un numero, capisci?… Che loro li chiamano numeri, cioè per me significa che hanno tolto una persona importante in una famiglia, hai capito?”. Monica gli risponde: “… e a me questa cosa mi fa diventare una bestia perché Giovanni non se lo meritava, perché lo volete rovinare a livello economico; lo rovinate, gli dite che gli volete stroncare, va bene gli date bastonate, ma fargli fare una fine brutta… qualsiasi tipo di fine gli hai potuto fare, cioè farlo sparire, ucciso… perché?”. Perché la regola numero uno della mafia è “chi sbaglia paga”. Non c’è appello. La sentenza di morte deve essere eseguita. Così è stato.