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RUSSIA
I pesci piccoli
di Viktor
Il gioiello di Putin si chiama Gazprom, il maggior
estrattore al mondo di gas naturale. Ha generato
Nord Stream, una conduttura che rifornisce di
gas l’Europa intera, snodandosi negli abissi del
Mar Baltico per oltre 1000 chilometri, dalla
cittadina russa di Vyborg alla tedesca Greifswald.
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D
i tanto in tanto qualcosa abbocca all’amo
di Viktor. La lenza affonda nelle acque
salmastre della Zaščitnaja Bukhta, l’insenatura su cui sorge Vyborg. Tutti pesci piccoli,
piccolissimi. Perché i pesci grossi nuotano lontano da qui. “Non c’è molto altro da fare – sospira infilzando una nuova esca sull’amo – stare
qui e aspettare, ecco tutto. Siamo così noi russi,
aspettiamo sempre che qualcosa cambi. Quando
annunciarono il progetto ci sembrava che finalmente qualcosa per questa città sarebbe arrivato,
qualcosa di quei milioni che girano a Mosca. Ma
siamo ancora qui ad aspettare”.
Vyborg è una cittadina a due ore di treno da
San Pietroburgo. Il confine è a dieci minuti di
autobus da qui: “Se lancio la lenza con troppa
forza rischio di pescare in Finlandia”, scherza
Viktor. Viipuri, così si chiama in finlandese, è
Vyborg solo dalla fine della Seconda guerra
mondiale, quando Stalin la strappò definitivamente alla Finlandia.
Fino allo scorso anno qui venivano solo i
finlandesi nei fine settimana a prendersi sonore sbronze per quattro soldi e importunare
le ragazze. Poi, da un giorno all’altro, hanno
cominciato ad arrivare anche i pesci grossi da
Mosca. Quello più grosso di tutti si chiama
Gazprom. Il gigante russo dell’energia è una
specie di stato nello stato. Un’immensa macchina che fabbrica miliardi di euro, le cui leve
di comando si trovano direttamente nelle
CHRISTOPH GOEDAN/LAIF/CONTRASTO
di Danilo Elia
stanze del Cremlino. Meno di un anno fa Gazprom ha inaugurato la prima linea del Nord
Stream, il gasdotto che s’inabissa proprio qui
per rispuntare al di là del Mar Baltico a Greifswald, in Germania. Strette di mano, tagli di
nastri, sorrisi, giornalisti da tutta Europa, poi
tutti sono tornati da dove erano venuti. “Del
lavoro, della crescita che promettevano non si
è visto niente qui a Vyborg – dice Viktor – La
gente continua a fare sacrifici oppure se ne va
via. E qui rimaniamo noi ad aspettare che
qualche pesciolino abbocchi”.
east european crossroads
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RUSSIA
Y Nord Stream corre
sotto il Mar Baltico
per oltre 1000
chilometri, dalla
cittadina russa di
Vyborg alla tedesca
Greifswald.
Quello che scorre nelle profondità delle
fredde acque del Baltico è un fiume di 55 miliardi di metri cubi all’anno di gas. Per avere
un’idea, soddisfa da solo il 10% dell’intero
fabbisogno europeo. Una montagna di oro blu
proveniente dagli immensi giacimenti siberiani. Un serpente di 1224 chilometri, il gasdotto sottomarino più lungo mai costruito.
Ma sono in molti a chiedersi se ce n’era veramente bisogno e se non sarebbe bastato riammodernare la rete ucraina. Dalla stazione dei
treni partono i grossi bus fuoristrada che por-
numero 46 marzo/aprile 2013
tano i lavoratori all’impianto di compressione
nella baia. “Vengono tutti da lontano. Da Kransojarsk, Omsk, dalla Siberia – dice Ira –, ma
anche dalla Repubblica Ceca”. Ira ha studiato
ragioneria e ha provato a lavorare per il Nord
Stream, ma senza successo. “La vita non è facile. Qui continua a non esserci lavoro, e
anche quando c’è è pagato una miseria”. Ha
una figlia di otto anni che deve tirare su da
sola. Anche la sua amica Sveta è ragioniera,
ma lei si è trasferita a Piter, come chiama affettuosamente San Pietroburgo, e torna qui
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solo nei fine settimana. Dividono l’affitto del
piccolo appartamento in periferia. “A Vyborg
non c’è futuro. È poco più di un paese. Sono
anni che si parla di far venire i turisti, ma qui
vengono solo quegli ubriaconi dei finlandesi”.
Nell’hotel Družba trovo questi finlandesi.
Alcuni di loro sono appesi al bancone del nightclub con un boccale di birra fra le mani.
Tre belle ragazze si annoiano all’altra estremità del bancone. “Sono un po’ sempliciotti,
vengono tutti da paesini di campagna vicino
al confine, ma non sono male, sono educati”.
Marija ha vent’anni e una massa di capelli
che le ricade sulle spalle come una colata di
basalto. È una studentessa, mi dice con un
sorriso: “Comunque sono 5mila rubli per
un’ora”.
 Gazprom: lo stato nello stato
U
no stato nello stato con 400mila
dipendenti, Gazprom vale da sola
l’8% del Pil russo. È per legge il
monopolista nella produzione di gas
della Federazione e, con una media
annuale di 500 miliardi di metri cubi
(il 17% dell’intera produzione
mondiale) e riserve stimate per 23
milioni di miliardi (il 18,4% di quelle
mondiali), il primo produttore di oro
blu al mondo. Dalla sua ascesa al
potere Vladimir Putin l’ha
trasformata in una propaggine del
Cremlino, nazionalizzandola e
mettendo al suo vertice solo i più
fidati tra i suoi uomini, a cominciare
dal pupillo Dimitri Medvedev.
Lo scorso settembre la Commissione
europea ha avviato una procedura di
infrazione per presunto abuso di
posizione dominante in otto Paesi
dell’Unione. Il sospetto dei
commissari europei è che Gazprom
abbia violato le norme antitrust per
sbarrare la strada a possibili
concorrenti in Europa orientale e
mantenere alto il prezzo del gas
legandolo a quello del greggio.
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La decisione di Bruxelles di mettere
sotto la lente d’ingrandimento il
gioiello russo non è andata giù a
Putin, che si è affrettato a emanare
un decreto per sottrarre di fatto
Gazprom alla giurisdizione europea e
porla sotto la diretta protezione del
governo. Il rischio non è infatti da
sottovalutare, dal momento che la
Commissione ha il potere di imporre
una sanzione fino al 10% dell’intero
fatturato annuo.
Mentre la partita energetica tra
Russia ed Europa si sposta sul piano
politico, molti analisti sono convinti
che Gazprom sia in realtà un gigante
dai piedi d’argilla. La fonte della sua
enorme ricchezza resterà tale solo
fintantoché il prezzo del gas si
manterrà sui livelli attuali e la
domanda non diminuirà. Intanto con
il primo trimestre che ha segnato un
crollo degli utili del 24% e la
prospettiva di una megamulta
europea, che potrebbe arrivare a 10
miliardi di euro nel caso in cui la
Commissione accertasse le violazioni
presunte, anche il gigante trema.
Nel piccolo centro storico qualche facciata
restaurata si alterna a una serie di edifici settecenteschi lasciati a se stessi. Gli stucchi cadenti mostrano laterizi marroni come bocche
sdentate. Sulla naberežnaja, il tortuoso lungomare, i giovani ciondolano con indolenza e
una bottiglia di birra in mano.
È qui che prende forma la partita geoenergetica tra Europa e Russia, che si materializzano gli equilibri del continente e tutte le
questioni ancora aperte con i Paesi ex sovietici, come l’Ucraina, i Paesi Baltici. Il nuovo
asse stretto tra Mosca e Berlino taglia gli Stati
recalcitranti fuori dalla questione energetica,
che così diventa un affare a due. Putin si
smarca dai capricci di Kiev, che non potrà più
fare leva sui gasdotti che transitano sul proprio territorio per minacciare la chiusura dei
rubinetti e ottenere prezzi di fornitura vantaggiosi. Il Nord Stream è la prima e più importante fase di un progetto più ampio voluto da
Putin; il suo complemento sarà rappresentato
dal South Stream, altri 900 chilometri di tubi
offshore che attraverseranno il Mar Nero e arriveranno direttamente in Italia. Quando sarà
completato, tutto il gas russo diretto in Europa,
che fino a ieri transitava per l’80% dall’Ucraina, bypasserà ogni intermediario arrivando direttamente ai clienti finali, clienti
assetati di energia.
Prima di lasciare Vyborg, Viktor mi ha invitato a fare un giro della baia di notte con la
sua barca. È una vecchia bagnarola con un
sacco di cavalli. Ha bevuto un po’ prima di salire e forse non dovrei seguirlo, ma ai comandi
c’è il taciturno Anton.
Dalla Zaščitnaja Bukhta il profilo della città
è silenzioso come la notte, un silenzio che solo
il gorgoglìo del motore riesce a rompere. A
poca distanza dalla torre del castello, le gru
del porto lavorano alla luce elettrica. Viktor ci
teneva a mostrare la baia dalla sua prospettiva
naturale, l’acqua. “Secondo me nessuno di
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RUSSIA
Schröder, Merkel –, ma anche gli alti papaveri
del consorzio dei russi di Gazprom (51%), i tedeschi di Basf e E.On (15,5% ciascuno), gli
olandesi di Gasunie e i francesi di Gdf Suez
(9% ciascuno). “Dove sono i milioni, eh? Dove
vanno a finire tutti questi milioni di milioni?
Lo sai anche tu dove, vero?”, mi chiede sottolineando l’interrogativo con uno sputo in
acqua. Poi malfermo si arrampica sulla prua
del piccolo motoscafo. Anton affonda con decisione sulla manetta del motore, la barca s’impenna in una furia di spuma bianca e io finisco
sul fondo dello scafo. Viktor ritto a prua, gli
occhi iniettati di rancore etilico, sembra un
piccolo capitano Achab che urla nel vuoto.
Il suo mostro sottomarino, invisibile poco più
in là, è fatto di mille tubi metallici.
[ Vyborg, Russia,
un lavoratore
georgiano mentre
prepara il pranzo nello
scantinato dove vive
con i suoi colleghi.
DMITRIJ LELTSCHUK/LAIF/CONTRASTO
quei potenti ha mai visto la città da qui. Eppure Vyborg è nata sull’acqua, vive sull’acqua.
Anzi, secondo me quelli non ci hanno nemmeno messo piede in città”.
Lo stabilimento di compressione che succhia il gas dal ramo Grjasovets e lo spinge nei
tubi sottomarini è più in là, sorvegliato e inaccessibile come una base militare. Una sbarra in
mezzo alla strada blocca l’accesso diversi chilometri prima. I lavoratori hanno alloggi dedicati fuori dalla città; fanno turni di due
settimane senza sosta e riprendono il treno per
casa per due settimane di riposo, e così via.
Non portano nulla alla città, non spendono un
rublo, non si vedono neanche. Ma i pezzi
grossi di cui parla Viktor non sono certamente
loro. Sono sì i politici – Putin, Medvedev,
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