StMor 42/2 La cultura

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StMor 42/2 La cultura
StMor 44 (2006) 449-469
GIUSEPPE QUARANTA
LA CULTURA PIENO SVILUPPO DELL’UMANO
IL CONCETTO E LA FUNZIONE DELLA CULTURA
NEL PENSIERO DI BERNHARD HÄRING
La figura e il pensiero di padre Bernhard Häring (Böttingen
1912-Gars am Inn 1998) sono stati recentemente riproposti all’attenzione degli studiosi in occasione del 50° anniversario della pubblicazione di Das Gesetz Christi1 (1954-2004), l’opera senza dubbio
più famosa e più importante del teologo di Böttingen. Con lo scopo di celebrare adeguatamente questa ricorrenza, i Padri Redentoristi hanno organizzato due eventi di rilievo: il primo, tenutosi
presso l’Accademia Alfonsiana di Roma nei giorni 25 e 26 marzo
2004, è stato il Convegno intitolato La recezione del Concilio Vaticano II nella teologia morale2. In quella sede, il noto teologo tedesco
Eberhard Schockenhoff ha rivisitato il celebre e fortunato Trattato
di teologia morale (così recita la traduzione italiana del sottotitolo),
evidenziandone i principali nuclei tematici e dimostrando come
Häring, a ragione, possa essere considerato un pioniere del rinnovamento della teologia morale promosso dal Concilio3. Il secondo
è stato il Simposio organizzato a Gars nei primi giorni del gennaio
2005 dalla Provincia dei Redentoristi di Monaco di Baviera. Con
Cf. B. HÄRING, Das Gesetz Christi. Moraltheologie dargestellt für Priester
und Laien, E. Wewel, Freiburg i.Br. 1954 [trad. ital.: La legge di Cristo.
Trattato di teologia morale, 3 voll., Morcelliana, Brescia 1957]. L’opera, riedita
nell’originale tedesco fino all’ottava edizione (1967), tradotta in quattordici
lingue e venduta in un numero di copie superiore alle 200.000 unità, è diventata in breve tempo il “nuovo manuale” di teologia morale per antonomasia.
2 Per una breve cronaca, vedi: J. MIMEAULT, “A 40 anni dal Concilio
Vaticano II, un Convegno all’Accademia Alfonsiana”, in Studia Moralia 42
(2004) 5-7.
3 Per il testo di questa relazione, pubblicata nella versione originale
tedesca, vedi: E. SCHOCKENHOFF, “Pater Bernhard Häring als Wegbereiter
einer konziliaren Moraltheologie. 50 Jahre: «Das Gesetz Christi»”, in Studia
Moralia 42 (2004) 9-37.
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l’intento di chiarire quale sia stato il contributo di Häring allo sviluppo della teologia morale del periodo conciliare e postconciliare,
oltre al già citato E. Schockenhoff, sono intervenuti diversi specialisti: R. Gallagher ha illustrato l’influsso esercitato da Das Gesetz
Christi sul processo di cambiamento che ha coinvolto la teologia
morale negli ultimi decenni del XX secolo; B. Hidber si è soffermato sul tema specifico della cultura; J. Römelt sul dialogo tra il pensiero teologico häringhiano e le scienze umane; K. Arntz sulla natura e sul ruolo della teologia morale in rapporto al proprio contesto storico e culturale; M. Vidal, infine, ha riletto in chiave alfonsiana il profilo teologico dell’illustre confratello, accreditandolo come “interprete e promotore” (acrecentador) della tradizione scaturita dal carisma di sant’Alfonso de Liguori4.
Le iniziative culturali appena ricordate rivelano senza dubbio
la volontà dei Redentoristi di approfondire e di far conoscere, a
vantaggio di tutti, il lascito intellettuale di Häring. Egli, infatti,
avendo vissuto da protagonista l’intera seconda metà del Novecento teologico, può essere annoverato tra le voci più autorevoli del
periodo e, come tale, fonte di ispirazione anche per il lavoro degli
attuali studiosi di etica teologica.
La convinzione, così, di essere gli eredi di un ricco patrimonio
di fede, di indagine teologica e di umanità, ha incoraggiato i professori dell’Accademia Alfonsiana, l’Istituto Superiore di Teologia
Morale che ha avuto tra i propri fondatori anche padre Häring, a
ideare un progetto editoriale volto a promuovere le ricerche di giovani teologi morali. Più precisamente, con l’inizio dell’anno accademico 2006-2007, prende avvio una nuova serie di pubblicazioni
che porta il nome di “Tesi Accademia Alfonsiana”. Essa, patrocinata
dalla Provincia religiosa dei Redentoristi di Monaco di Baviera (la
provincia di appartenenza del nostro teologo), si propone di ospitare le migliori tesi dottorali discusse presso il medesimo centro di
4 I singoli interventi richiamati sono ora disponibili in questo volume:
A. SCHMIDT-J. RÖMELT (edd.), 50 Jahre: “Das Gesetz Christi”. Der Beitrag
Bernhard Härings zur Erneuerung der Moraltheologie, LIT Verlag, Münster
2005. Per una sintetica presentazione e valutazione dell’opera, vedi: M.
MCKEEVER, “The 50th Anniversary of The Law of Christ. Bernhard Häring’s
Contribution to the Renewal of Moral Theology”, in Studia Moralia 44
(2006) 233-250. Per la versione in spagnolo della relazione di M. Vidal, vedi:
ID., “Bernhard Häring: intérprete y acrecentador de la tradición teológicomoral alfonsiana”, in Studia Moralia 43 (2005) 127-152.
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studi. Per una fortunata coincidenza, come primo volume della
collana è stato scelto da un’apposita commissione uno studio che
rivisita in chiave culturale l’opera del teologo di Böttingen e che si
intitola per l’appunto “La cultura pieno sviluppo dell’umano. Il concetto e la funzione della cultura nel pensiero di Bernhard Häring”5. Il
contributo, pubblicato di recente, è stato presentato presso la sede
dell’Accademia Alfonsiana il 26 ottobre 2006.
Su richiesta della redazione di Studia Moralia, nel presente articolo ci proponiamo di offrire una lettura sintetica dei principali
risultati dell’indagine. Procederemo nel seguente modo: chiarito il
senso e gli obiettivi della ricerca, ne esporremo dapprima l’articolazione tematica e metodologica; in secondo luogo, le principali
acquisizioni; infine, gli ulteriori passi da compiere per continuare
l’esplorazione dell’argomento.
1) Il senso e gli obiettivi della ricerca
Consultando un discreto numero di dissertazioni dottorali
incentrate sui principali nuclei della teologia morale di Häring –
dall’utilizzo della Sacra Scrittura all’etica medica, dagli aspetti
sociali del peccato e della conversione alla teoria e prassi della
non violenza, dalla configurazione sacramentale della teologia
morale al rapporto tra religiosità e moralità6 – si deve ammettere
che non esiste alcuna traccia di un interesse per il dato culturale.
Ecco perchè la scelta di privilegiare il “concetto di cultura” come
punto prospettico dal quale rileggere l’opera häringhiana presenta una connotazione di indubbia originalità. A questo punto,
però, ci si potrebbe chiedere: quale motivo ha giustificato la decisione di intraprendere una ricerca sulla nozione e sulla funzione
dell’idea di cultura nella produzione teologica di Häring, un autore solitamente accostato per ben altri aspetti del suo pensiero7?
5 Il libro, opera di chi scrive, è stato pubblicato per i tipi delle Editiones
Academiae Alfonsianae (Roma 2006, 399 pp., i 22,00) e ripropone la nostra
tesi dottorale discussa il 6 dicembre del 2004.
6 Per un elenco di questi contributi, vedi: K.A. CAHALAN, Formed in the
Image of Christ. The Sacramental Moral Theology of Bernhard Häring,
C.Ss.R., Liturgical Press, Collegeville, Minnesota 2004, 234-235.
7 Solo F. COMPAGNONI, tra gli autori a nostra conoscenza, ha indicato B.
Häring come uno tra i primi teologi cattolici ad essersi interessato della cul-
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La risposta ad un simile interrogativo ci riconduce ad una
scoperta che solitamente accompagna chi si ripropone di studiare a fondo le questioni morali. Per il cultore di etica, infatti,
non è insolito registrare l’influsso esercitato dai costumi, dai
simboli e dai modelli di rappresentazione del reale socialmente
appresi – dati sintetizzabili con il termine generico di “cultura”
– sia sulle norme morali sia sulle forme di ragionamento morale. Nel nostro caso, allora, questa presa di coscienza, che rimane il più delle volte sullo sfondo della ricerca teologica, ha costituito invece una provocazione ad avventurarci lungo un percorso di studi che fosse in grado di mettere a fuoco la reciproca interazione tra “teologia morale” e “cultura”. Gli interrogativi di
partenza sono stati i seguenti: la teologia morale cristiana più
recente si è seriamente confrontata con la realtà della cultura,
sfruttandone le potenzialità per comprendere l’umano in modo
adeguato, cioè non in termini dogmatici o astratti? Se sì, quale
idea di cultura l’etica teologica ha integrato o sviluppato in proprio? Grazie a quali presupposti teorici l’etica cristiana ha saputo dialogare con la cultura? E a quali risultati si è giunti nel
campo etico-teologico percorrendo la strada di una più avvertita considerazione del dato culturale?8
tura, definendo peraltro come impresa stimolante il “poter studiare in
parallelo a B. Häring, tutto preso dalle necessità pastorali della Chiesa, il
pensiero di J. Messner maestro nel ripensamento del diritto naturale in
epoca industriale” (“La multiculturalità ha generato una crisi d’identità
nella riflessione etico-cristiana?” in Multiculturalismo e identità, a cura di C.
Vigna e S. Zamagni, Vita e Pensiero, Milano 2002, 213).
8 La sensatezza e la rilevanza di questi interrogativi ci paiono confermate da quanto scrive A. BONANDI: “Ulteriore acquisizione [della teologia
morale postconciliare] può essere indicata nella consapevolezza che il compito di revisione fondamentale della teoria della teologia (morale) ha come
referente primario la divina rivelazione, e secondario la cultura contemporanea. Per lo meno comune agli Autori è l’istanza della duplice attenzione,
per quanto essa possa essere declinata in forme diverse, e al limite alternative (come ad esempio Capone e il Trattato di etica teologica, Häring e Gula,
ecc.). Ora l’attenzione dice un’intenzione, cioè una disponibilità a lasciarsi
istruire e a entrare in dialogo. Sul fronte del referente primario l’ascolto
della rivelazione significa lo studio delle fonti nel loro ordine; quanto al
referente secondario significa l’incontro critico con aspetti della cultura vissuta (ethos) e riflessa (filosofia morale anzitutto) dell’epoca presente (sulla
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Sulla base di questa griglia di domande, la nostra attenzione si è concentrata sull’opera di Bernhard Häring almeno per
un duplice ordine di motivi: da una parte, perché il teologo redentorista è stato senza dubbio una figura particolarmente rappresentativa della recente storia della teologia morale9; dall’altra, perchè l’apertura del suo pensiero a molteplici e variegati
stimoli culturali è confluita in un corpus di opere di una consistenza tale da poter supportare la ricerca con abbondanti rimandi testuali.
2) L’articolazione tematica e metodologica
La lettura attenta e paziente delle principali opere di Häring ci ha pienamente convinto non solo della bontà della nostra intuizione di partenza, ma anche della concreta possibilità
sia di ricostruire una precisa idea di cultura sia di verificarne la
funzione all’interno del più ampio progetto teologico dell’autore. Infatti, a partire da un agile saggio di sociologia della famiglia10, disciplina di cui egli si è occupato nei primi anni del suo
insegnamento a Gars, l’interesse del teologo di Böttingen per lo
studio dei rapporti tra religione e cultura cresce progressiva-
base di una qualche ricostruzione storica). Se l’assunzione del primo appartiene con certezza al metodo teologico, quella del secondo è acquisizione
più recente e controversa, anche se generalmente accolta, almeno nel senso
della sua presenza alla consapevolezza riflessa del moralista; anzi spesso la
teologia morale viene concepita come risposta agli interrogativi vitali
dell’uomo di oggi, secondo le forme della sua esperienza e della sua coscienza” (Il difficile rinnovamento. Percorsi fondamentali della teologia morale
postconciliare, Cittadella, Assisi 2003, 279-280).
9 In proposito, scrive M. VIDAL: “P. Häring è il simbolo del rinnovamento della morale cattolica nella seconda metà del XX secolo. Non si tratta di
affermare che tutto il lavoro di rinnovamento teologico-morale lo si debba a
lui, ma di riconoscere che a lui si deve il fatto che all’interno della Chiesa
cattolica sia stato recuperato un modo di parlare e di vivere la morale a
caratteri più evangelici” (Bernhard Häring un rinnovatore della morale cattolica, Dehoniane, Bologna 1999, 8 [orig. spagn.: 1999]).
10 Cf. B. HÄRING, The Sociology of the Family, The Mercier Press, Cork
1959 [orig. ted.: 1954].
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mente di consistenza, fino ad occupare lo spazio di un intero
capitolo in Potenza e impotenza della religione11. Ma non solo.
Quanto alla formulazione del concetto di cultura, in modo altrettanto evidente e documentabile emerge la dipendenza di
Häring dai lavori di intellettuali affermati e versatili come il filosofo viennese J. Messner e lo storico inglese della cultura Ch.
Dawson12. L’importanza del loro contributo, sinteticamente
presentato nella dissertazione, è estremamente rilevante per
l’obiettivo dell’indagine. Questi autori, infatti, pur muovendosi
entro ambiti disciplinari diversi – la filosofia morale l’uno e la
storia della cultura l’altro – danno prova d’ispirare le loro riflessioni al nuovo concetto di cultura elaborato dai pionieri dell’antropologia culturale (C. Kluckhohn, per quanto riguarda Messner; E.B. Tylor, B. Malinowski, F. Boas, R. Benedict e A. Kroeber, quanto a Dawson), consentendoci di verificare un contatto
significativo, seppure indiretto, tra Häring e gli antropologi di
area inglese e nordamericana dei primi decenni del Novecento.
Sorretti da questi primi riscontri, una volta delineata l’architettura generale della teologia morale di Häring, ci è risultato chiaro che per raggiungere l’obiettivo iniziale sarebbe stato
necessario articolare la ricerca intorno a tre nuclei: in primo
luogo, la ricostruzione di un possibile “contesto ermeneutico”
entro cui situare l’opera häringhiana; in secondo luogo, sulla
base di un’idea di cultura più puntuale, l’analisi di tutte e singole le principali opere di Häring; infine, l’elaborazione di alcune
linee di riflessione sistematica. Costruiti sulla base di questi rilievi ecco, allora, i tre ampi capitoli in cui si suddivide il volume: il primo capitolo espone un triplice itinerario di ricerca: a)
11 B. HÄRING, “Religione e cultura”, in ID., Potenza e impotenza della religione, Paoline, Roma 1958, 264-302 [orig. ted.: 1956]. Frutto di una serie di
lezioni, di conferenze e di indagini empiriche nel campo della sociologia
religiosa, lo scritto è concepito come necessario completamento a La legge
di Cristo. Häring è convinto, infatti, che la morale casistica non è da considerare del tutto superata e superflua, ma richiede piuttosto di essere completata e sviluppata da una pastorale sociale che, sulla solida base dell’indagine sociologica, persegua la cristianizzazione della società.
12 Cf. J. MESSNER, Kulturethik mit Grundlegung durch Prinzipienethik
und Persönlichkeitsethik, Tyrolia, Innsbruck-Wien-München 1954; C H .
DAWSON, Religione e cultura, Paoline, Alba 1960 [orig. ingl.: 1948].
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la chiarificazione teorica di un iniziale concetto moderno e
scientifico di cultura (il cui terminus ad quem è rappresentato
dalla celebre rassegna compilata da C. Kluckhohn e A.L. Kroeber nel 195213); b) la breve ricostruzione dei momenti salienti
del rinnovamento della teologia morale nella prima metà del secolo XX (in particolare il contributo di pionieri come J. Sailer,
J. von Hirscher, F. Linsenmann, F. Tillmann, Th. Steinbüchel e
Th. Müncker), con il duplice fine, da una parte, di circostanziare la personalità teologica di Häring e, dall’altra, di realizzare
un primo sondaggio sull’incidenza o meno della contemporanea riflessione culturologica sui principali tentativi di ripensamento della disciplina; c) la presentazione di un quadro più
ampio entro cui verificare la prima recezione teologica del moderno concetto di cultura: ecco le pagine dedicate sia al dibattito circa il rapporto tra religione cristiana e cultura (terreno di
confronto tra prospettive e autori, tutti, anche se a diverso titolo, in qualche modo richiamati nelle opere del nostro teologo: J.
Maritain, Ch. Dawson, R. Guardini, H.R. Niebuhr, J. Messner, P.
Tillich) sia nella trattazione sulla promozione del progresso della cultura di Gaudium et spes (GS d’ora in avanti).
Nel secondo capitolo ci siamo impegnati in un’analisi il più
possibile attenta dei principali scritti di Häring, nel tentativo di
mettere in rilievo il preciso concetto di cultura che ne emerge,
evitando così il rischio di assumere una rappresentazione generica e indeterminata della stessa. In questa logica, la scelta di
soffermarci sulle singole opere (raggruppate secondo una scansione cronologica che ha nel Concilio il principale momento di
svolta) crediamo abbia conferito plausibilità e sistematicità alla
ricerca, facilitando la ricostruzione dell’evoluzione di un’idea di
cultura inizialmente tratteggiata in termini spiritualistici, ma in
seguito costantemente aggiornata in senso antropologico, soprattutto grazie all’influsso di GS.
Nel terzo capitolo, infine, il nostro studio ha potuto mettere
a frutto il lavoro compiuto nelle due prime tappe, ripercorrendo le opere studiate in precedenza e documentando la presenza
di una chiara correlazione tra riformulazione della teologia morale e assunzione del pluridimensionale dato culturale. Si giu-
13 C. KLUCKHOHN-A.L. KROEBER, Il concetto di cultura, Il Mulino, Bologna
1972 [orig. ingl.: 1952].
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stifica così l’ampiezza, in progressione, delle tre parti della trattazione, a testimonianza che l’incremento di attenzione per la
cultura ha innescato e sostenuto in Häring una comprensione
sempre più ricca dell’esperienza morale del credente (vedi l’interesse per l’arte, i mezzi di comunicazione sociale, le prospettive della medicina e della psicologia, la pluralità delle culture, la
festa, il gioco, l’umorismo, l’ecologia, la pace). Il tutto a dimostrare la fecondità dell’iniziale intuizione circa la cultura come
“pieno sviluppo dell’umano”14, indispensabile terreno di confronto per una teologia morale pensata e auspicata dal Concilio
(anche grazie al contributo del nostro autore) con una fisionomia spiccatamente vocazionale, al servizio del dinamismo di
crescita integrale della persona15.
3) Le principali acquisizioni
Descritta brevemente l’articolazione della ricerca, risulta
necessario esplicitare le acquisizioni più rilevanti emerse nel
corso del lavoro. Per esigenze di precisione espositiva, le raccogliamo intorno a due nuclei tematici: 3.1) Il concetto häringhiano di cultura; 3.2) La funzione della cultura nel pensiero di
Bernhard Häring.
3.1) Il concetto häringhiano di cultura
L’esigenza – dichiarata fin dal sottotitolo della nostra dissertazione – di focalizzare il concetto häringhiano di cultura ha
trovato nella lettura delle principali opere del teologo redentorista un riscontro reale e puntuale. Con sufficiente certezza si
può affermare che negli scritti di Häring non solo si trova una
definizione chiara e precisa di che cosa si deve intendere per
“cultura”, ma è possibile anche verificare un sensibile approfondimento del tema dovuto alla recezione di nuove istanze
teoriche. Non è quindi esagerato parlare di una triplice accezione di cultura: 3.1.1) L’accezione spirituale; 3.1.2) L’accezione
antropologica; 3.1.3) Il concetto di cultura di GS.
14
15
MESSNER, Kulturethik, 336.
Cf. OT 16: EV 1/808.
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3.1.1) L’accezione spirituale di cultura
L’accezione spirituale di cultura emerge fin dalle prime
opere del nostro teologo, in particolare da Il sacro e il bene
(1950) e dalla prima edizione de La legge di Cristo (1954). In
questi volumi, molto insistito è l’interesse di rimarcare nettamente il carattere trascendente e autonomo della religione e, di
conseguenza, l’impossibilità di ridurla ad una semplice manifestazione delle forze culturali. Il tutto per un duplice ordine di
motivi: trovare una via d’uscita dalle angustie dell’ideologia
marxista e dotarsi di un solido presupposto per la fondazione
religiosa della morale, altro ambito di valore – quest’ultimo –
superiore e autonomo rispetto alla cultura. Determinante in tale contesto è l’influsso di M. Scheler (1874-1928) e della sua
concezione della gerarchia dei valori. Secondo il filosofo di Monaco, infatti, la cultura appartiene ai valori reali, inerenti alle
cose e incarnati in beni. Più precisamente, essa figura tra i beni
spirituali come la scienza, l’arte e le istituzioni giuridiche, realtà
indicate, da un altro punto di vista, come beni culturali16. Rispetto all’idea classica di cultura come “coltivazione” delle facoltà intellettuali del singolo individuo, tale accentuazione riflette senza dubbio la sensibilità moderna, che ormai da tempo
(dalla seconda metà del XVIII secolo) ha cominciato a pensare
la cultura anche come realtà oggettiva e totale, comprendente le
molteplici creazioni delle capacità umane più elevate17. Tuttavia
In proposito M. SCHELER scrive: “Con «valori personali» intendiamo
qui tutti i valori che ineriscono immediatamente alla persona. Con valori
reali intendiamo invece tutti i valori inerenti alle cose di valore così come si
concretano nei «beni». Tra i «beni» vanno poi distinti i beni materiali (beni
del piacere e di consumo), i beni validi in termini vitali (come ad esempio
tutti i beni economici) ed i «beni spirituali», come ad esempio la scienza e
l’arte, cioè gli autentici «beni della cultura»” (Il formalismo nell’etica e l’etica
materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico,
San Paolo, Cinisello Balsamo [Mi] 1996, 136 [orig. ted.: 1927]). Il filosofo di
Monaco, inoltre, aggiunge che “i valori (tecnici e simbolici) correlati ai valori spirituali in genere sono i cosiddetti «valori culturali», inerenti per propria natura alla sfera assiologica dei beni (ad esempio: tesori d’arte, istituzioni scientifiche, legislazione positiva ecc.)” (Ivi, 145-146).
17 Cf. P. R OSSI , “Cultura”, in Enciclopedia del Novecento, I, a cura
dell’Istituto della Enciclopedia italiana fondato da Giovanni Treccani,
Roma 1975, 1143. Per una ricostruzione del moderno e contemporaneo
16
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– e si tratta di un punto di notevole discontinuità rispetto al
concetto moderno e scientifico di cultura – tra gli elementi costitutivi del dato culturale, Scheler esclude la morale e la religione, fenomeni che egli comprende come assolutamente originali, indeducibili da qualsiasi altra manifestazione dello spirito,
autonomi e pertanto da indagare alla luce delle verità e dei principi immutabili conoscibili esclusivamente dalla filosofia e dalla teologia.
3.1.2) L’accezione antropologica
L’acquisizione di un primo concetto propriamente antropologico di cultura si deve alle opere sociologiche già richiamate,
Sociologia della famiglia e Potenza e impotenza della religione, gli
scritti dove Häring fa proprio il contributo di J. Messner e di
Ch. Dawson. In questi volumi il nostro autore colora la propria
riflessione di accentuazioni fino ad allora inedite. Da un punto
di vista “materiale” o “reale”, il termine cultura comincia a
comprendere non solo le creazioni delle attività più elevate dello spirito, ma anche le espressioni e i prodotti più ordinari
dell’ingegno umano come il linguaggio, l’arte di raccontare storie, le canzoni popolari, le feste, i giochi e i manufatti artistici.
Da un punto di vista “personale” e “soggettivo”, invece, la cultura continua ad essere interpretata non solo come dimensione tipica della persona umana, ma addirittura come il pieno sviluppo dell’umano18. Questo non significa che la cultura possa esse-
concetto di cultura, vedi: A. KUPER, Culture. The Anthropologists’ Account,
Harvard University Press, Cambridge, Massachussetts-London, England
1999; P. ROSSI, “Introduzione”, in ID. (a cura), Il concetto di cultura. I fondamenti teorici della scienza antropologica, Einaudi, Torino 19723, 7-25; K.
TANNER, Theories of Culture. A new Agenda for Theology, Fortress Press,
Minneapolis 1997; D. CUCHE, La nozione di cultura nelle scienze sociali, Il
Mulino, Bologna 2003; C. KLUCKHOHN-A.L. KROEBER, Il concetto di cultura, Il
Mulino, Bologna 1972; U. HANNERZ, La complessità culturale. L’organizzazione sociale del significato, Il Mulino, Bologna 1998; C. GEERTZ, Interpretazione
di culture, Il Mulino, Bologna 1998.
18 Häring, comunque, sostiene che la dimensione soggettivo-personale
e oggettivo-reale della cultura, pur non identificandosi l’una con l’altra,
sono da considerare nel loro reciproco rapporto. In questa linea, per il
nostro autore la distinzione tra cultura e civiltà in uso nei paesi di lingua
tedesca non va eccessivamente enfatizzata, dal momento che la vera cultura
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re limitata alla sfera della pura interiorità, ma piuttosto che va
estesa alla cultura familiare, giuridica e sociale in genere. Anzi,
sulla scia di J. Messner e Ch. Dawson, Häring definisce la cultura come “forma della società”19, stemperando in questo modo le
accentuazioni spiritualistiche ancora in voga nell’ambiente tedesco.
3.1.3) Il concetto di cultura di GS
L’ulteriore arricchimento del concetto häringhiano di cultura si deve in gran parte alla recezione del dettato della GS. Senza introdurre elementi di rottura con le acquisizioni maturate
fino a quel tempo20, Häring ricorre costantemente alla descrizione di cultura offerta dall’autorevole documento conciliare21
(che egli definisce come una “buona descrizione”22), riproponendola in tutti gli scritti del dopo Concilio fino a Liberi e fedeli
in Cristo compreso. Da essa il teologo redentorista media quei
tratti che, interpretati alla luce delle istanze specificamente cristiane della propria teologia morale, gli consentono di approfondire i seguenti percorsi di ricerca: a) la sottolineatura del
senso di autonomia e di responsabilità che caratterizza l’uma-
persegue come obiettivo la cura di tutti i valori umani (cf. HÄRING, Potenza e
impotenza, 266-267).
19 “La cultura è la forma della società. Una società senza cultura è una
società informe, un ammasso, un agglomerato di individui” (Ivi, 266).
20 Considerando che nel testo di GS convivono diverse accezioni del
termine cultura (descrittiva e prescrittiva, socio-etnologica e spirituale),
possiamo ribadire una volta di più la sostanziale continuità del pensiero
häringhiano. Significativo, al riguardo, è che la definizione messneriana
della cultura come “pieno sviluppo dell’umano” è proposta in termini molto
simili da GS 53: EV 1/1492, là dove si afferma che “è proprio della persona
umana il non poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente
umano se non mediante la cultura”. Per uno sguardo panoramico sul contributo di GS alla definizione del concetto di cultura, vedi: F. BOLGIANI,
“Alcune osservazioni sul concetto di «cultura» nei documenti del Vaticano
II”, in AA.Vv., Chiesa per il mondo, II. Fede e prassi, Dehoniane, Bologna
1974, 441-481.
21 GS 53: EV 1/1493-1494.
22 B. HÄRING, Liberi e fedeli in Cristo. Teologia morale per preti e laici, III.
Voi siete la luce del mondo (Mt 5,14), Paoline, Roma 1981, 265 [orig. ingl.:
1981].
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nesimo contemporaneo23 si riflette nella centralità riservata ad
un’impostazione della morale di tipo personalistico e connotata, di conseguenza, in termini di responsabilità, di libertà e di
fedeltà creativa; b) l’intima correlazione di natura e cultura, altro elemento evidenziato da GS24, costituisce il presupposto basilare che impegna l’etica teologica a riflettere sulla questione
ambientale e a proporre modelli culturalmente alternativi di relazione con i beni e le risorse del creato25; c) il significato sociologico ed etnologico di cultura26, che permette di declinare al
plurale il termine stesso, si rivela particolarmente efficace per
ricomprendere la missione evangelizzatrice della Chiesa e per
non trascurare l’incidenza del linguaggio, dei costumi e
Cf. GS 55: EV 1/1496.
Cf. GS 53: EV 1/1492.
25 La pertinenza dell’etica ecologica riposa sulla constatazione che
“l’ambiente umano è una «matrice di elementi» che derivano dalla natura
per mezzo dell’evoluzione e che vengono progettati dall’uomo per mezzo
della cultura” (HÄRING, Liberi e fedeli, III, 214).
26 Cf. GS 53: EV 1/1494. Sottolineando come la cultura dica riferimento
ad un “diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione, di formare i costumi”, GS consente a HÄRING di affermare
che gli elementi primari del dato culturale (il linguaggio, i costumi e le
usanze) “incarnano un ethos, cioè un rapporto basilare con i valori decisivi”
(Liberi e fedeli, III, 266). Grazie a questa acquisizione, a differenza di quanto
indicato ne La legge di Cristo, il costume, fattore determinante per la crescita morale della persona, è incluso entro l’idea di cultura. Di conseguenza,
l’esistenza di una pluralità di costumi costringe l’etica cristiana ad un’intelligenza più profonda e consapevole della pluralità delle culture (dato presente, ma solamente accennato nelle opere sociologiche). In questa linea,
Häring può valorizzare la dimensione simbolica della cultura. Se i simboli,
infatti, sono “modelli” che governano l’immaginazione e mediano l’esperienza del e l’incontro con il mondo (cf. HÄRING, Liberi e fedeli, I, 78; 83; 92),
allora essi sono “oggetti culturali”, sia perché plasmati dalla cultura (e quindi diversamente interpretabili a seconda dei diversi contesti), sia perché a
loro volta generatori di cultura attraverso l’interazione con l’esperienza vissuta. In quest’ottica, pur se mediante un’esposizione più rapsodica che
sistematica, il nostro autore valorizza i temi della bellezza, dell’arte, della
festa e del gioco, e dell’umorismo (cf. H ÄRING , Liberi e fedeli in Cristo.
Teologia morale per preti e laici, II. La verità vi farà liberi [Gv 8,32], Paoline,
Roma 1980, 130-189 [orig. ingl.: 1979]).
23
24
LA CULTURA PIENO SVILUPPO DELL’UMANO
461
dell’ethos sulla strutturazione di modelli di orientamento nel e
di relazione con il mondo, stemperando così progetti utopici di
morali universali27; d) le scoperte scientifiche, gli studi psicologici, i tratti della cultura di massa, altre “note distintive della
cultura odierna”28, stimolano Häring a tentare un dialogo interdisciplinare con le scienze inerenti la malattia e la cura della salute, senza temere di ricorrere agli studi pionieristici di alcuni
psicologi (in particolare V.E. Frankl29, E. Erikson30 e L. Kohlberg31, preferiti ai filosofi in quanto esponenti di un sentire culturale più diffuso e più attento alle venature concrete dell’esperienza umana) e a dedicare una certa attenzione ai mezzi di comunicazione sociale32; e) da ultimo, l’instancabile ricerca di
una teologia e di una prassi della pace e della non violenza rivela la singolare attenzione riservata alla Costituzione pastorale,
che interpreta la cultura come “mezzo” per la crescita in umanità della vita sociale33.
27 A questo proposito Häring, stimolato a maturare un’attenzione per la
pluralità delle culture non solo dal richiamo dei testi conciliari, ma dalla
stessa portata universale del Vaticano II, comincia ad ampliare il proprio
orizzonte e a misurarsi con i problemi che angustiano le Chiese di alcuni
paesi dell’Africa, dove le difficoltà di realizzare un incontro fecondo tra
annuncio dell’Evangelo e culture tradizionali locali sono avvertite con particolare gravità. Grazie a questa esperienza, il nostro teologo può iniziare
così a prefigurare la spinosa questione dell’inculturazione (che egli chiama
“incarnazione”), con la conseguente necessità di sottoporre al vaglio di un
discernimento più consapevole delle diversità culturali quelle istanze della
morale cristiana più strettamente influenzate dai presupposti e dai modelli
di pensiero dell’Occidente. Il principale testo di riferimento è: B. HÄRING,
Morale ed evangelizzazione del mondo di oggi. La morale dell’evangelizzazione
e l’evangelizzazione della morale, Paoline, Roma 1974.
28 GS 54: EV 1/1495.
29 Cf. B. HÄRING, Etica medica, Paoline, Roma 19754, 285-297 [orig. ted.:
1972].
30 Cf. HÄRING, Liberi e fedeli, I, 203-214.
31 Cf. Ivi, 292-296.
32 Cf. B. HÄRING, Sociologia della famiglia a servizio della teologia e della
pastorale, Paoline, Roma 1962, 524-530 [orig. ted.: 1960]; ID., La legge di
Cristo. Trattato di teologia morale, III. Morale speciale. L’assenso alla sovranità d’amore di Dio, Morcelliana, Brescia 19632, 680-732 [orig. ted: 19616];
ID., Liberi e fedeli, II, 190-245.
33 Cf. GS 53: EV 1/1493; GS 77: EV 1/1585.
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GIUSEPPE QUARANTA
3.2) Teologia morale e cultura nel pensiero di Bernhard
Häring
Dopo aver esaminato le opere di Häring e aver identificato
un preciso concetto di cultura, abbiamo intrapreso un ultimo
tratto del percorso: l’elaborazione di alcune linee di riflessione
sistematica in grado di evidenziare la reciproca interazione tra
teologia morale e cultura. Questo è senza dubbio il risultato più
rilevante del nostro studio: la scoperta non solo di un concetto
di cultura teoricamente sempre meglio definito, quanto di una
vera e propria correlazione tra riflessione teologica e comprensione del dato culturale. Dagli scritti di Häring risulta, infatti,
che se da un lato la cultura incide sulla teologia morale, provocandola a rivedere i propri presupposti e le proprie conclusioni,
dall’altro la teologia morale svolge una peculiare funzione di
orientamento e di discernimento nei confronti della cultura, finalizzando verso un ulteriore compimento quel dinamismo di
promozione dell’umanità che già le è proprio in quanto pieno
sviluppo dell’umano. Vediamo allora di esporre sinteticamente
il duplice versante della correlazione appena richiamata.
3.2.1) L’incidenza della cultura sulla teologia morale
Limitando le nostre riflessioni al periodo conciliare e postconciliare, si potrebbe dire che la cultura, nei confronti della
teologia morale häringhiana, viene a svolgere la funzione di
“fattore di contrasto” – cioè di “contestazione” e di “richiesta
implicita di modifica” dei propri asserti –, provocandola ad una
sorta di “riposizionamento” che procede in due direzioni: innanzi tutto verso la valorizzazione della propria specifica identità cristiana (la secolarizzazione della cultura, infatti, ha eroso
profondamente la precedente “evidenza religiosa” di molte
istanze morali); in secondo luogo verso il miglioramento della
capacità di offrire orientamenti etici di fronte ai problemi morali che lacerano la coscienza dell’uomo moderno. Si pensi, per
esempio, all’enorme questione dello sviluppo scientifico e tecnologico. Häring, in linea con GS, mostra una peculiare sensibilità per la cultura scientifica, dal momento che la considera
come un’istanza in grado di costringere la teologia morale a rivedere molti presupposti considerati indiscutibili fino ai primi
anni ’70 del Novecento. E questo proprio in forza dell’affermarsi di alcuni fattori di rilievo: a) una pesante sottrazione di con-
LA CULTURA PIENO SVILUPPO DELL’UMANO
463
senso che colpisce le espressioni più classiche dell’umanesimo
in favore di un netto predominio degli asserti, delle metodiche
e dei risultati delle discipline scientifiche e tecniche; b) l’autonomia sempre più consistente di conoscenze non solo tecniche
ma anche antropologiche, che rischiano di ridicolizzare, in forza della propria connotazione scientifica, il retaggio premoderno di alcune acquisizioni veicolate da visioni religiose dell’uomo e della società; c) il senso di onnipotenza che deriva dalla
percezione di poter intervenire, manipolandoli, sui dinamismi
più profondi (e fino ad allora insospettati) della vita biologica,
somatica e psicologica dell’uomo, fattore che, se da una parte
invoca l’intervento del sapere etico, dall’altra rischia di annullarne la possibilità di interpellare le coscienze degli uomini di
questo nuovo tempo34.
Di conseguenza, il “riposizionamento” richiesto alla teologia morale da tutti questi elementi, si riassume, per Häring,
nella sfida dell’interdisciplinarietà, che coinvolge differenti livelli del lavoro teologico: a) il livello professionale, dove l’etica
teologica viene stimolata a ripensare l’ethos proprio del teologo
moralista in rapporto alle mutate esigenze dovute ad un confronto più serrato con altre “culture professionali” (il nostro autore è preoccupato di stemperare la rigidità e la mentalità dogmatica che influenzano molti teologi formati alla scuola della
morale tradizionale35); b) il livello teoretico-fondativo, vale a dire quello concernente la teorizzazione dei concetti fondamentali dell’etica teologica, là dove la disciplina è spronata a ricercare
presupposti comuni sui quali costruire progressivamente un’effettiva convergenza delle diverse prospettive di studio (un sentiero, questo, intrapreso mediante la discussione sul concetto di
“natura”36); c) infine, il livello dei presupposti antropologici, dove la teologia morale häringhiana recepisce le istanze delle
scienze psicologiche, nell’intento di guadagnare una comprensione integrale della persona umana (come abbiamo già avuto
modo di segnalare, a questo proposito il nostro autore manifesta dapprima una chiara predilezione per la logoterapia di
34 Häring tratta gli argomenti appena esposti dal versante dell’etica
medica, a cui dedica il volume da noi citato in precedenza.
35 Cf. HÄRING, Etica medica, 43-44.
36 Cf. Ivi, 76-101.
464
GIUSEPPE QUARANTA
Frankl e, con Liberi e fedeli in Cristo, per la psicologia dell’età
evolutiva di Erikson e di Kohlberg).
Entro questa logica di pensiero e di metodologia teologica,
anche le altre principali questioni trattate da Häring trovano una
loro adeguata collocazione: da una parte, le problematiche connesse con la profonda crisi ecologica che investe l’Occidente, un
fenomeno che invoca, sul piano culturale, una profonda revisione sia della tradizionale concezione filosofica e teologica dei rapporti tra uomo e ambiente (la cosiddetta “epistemologia del dominio”37), sia dei modelli consolidati di sviluppo economico e sociale38; dall’altra, l’attenzione per la pluralità delle culture rappresenta uno stimolo a superare l’impronta prettamente eurocentrica della teologia morale, per non pregiudicare la capacità della
morale cristiana di incontrare tanto le culture non-occidentali,
quanto la nuova cultura dell’epoca contemporanea, compromettendo così la missione evangelizzatrice della Chiesa39.
3.2.2) L’incidenza della teologia morale sulla cultura
Descritto il ruolo della cultura nei confronti della teologia
morale häringhiana, ora, in forza della correlazione menzionata, non possiamo tralasciare di sottolineare il contributo culturale dell’etica teologica. Il nostro autore, infatti, lungi dal ritenere che la riflessione teologico-morale sia chiamata esclusivamente ad integrare il dato culturale, è fermamente convinto che
essa debba svolgere una funzione anche attiva e propositiva,
ispirata al dinamismo creativo e orientativo proprio dell’Evangelo. In questa logica, sul versante rappresentato dalle istanze
della cultura scientifica, l’incidenza del pensiero di Häring, sicuramente in ombra per quanto riguarda gli aspetti normativi,
è invece più rilevante sul terreno dei presupposti antropologici.
37 L’espressione è utilizzata da M.C. TALLACCHINI nel volume da lei curaro e intitolato Etiche della terra. Antologia di filosofia dell’ambiente, Vita e
Pensiero, Milano 1998, 8.
38 Cf. HÄRING, Liberi e fedeli, III, 217-219; 238-240.
39 I risultati di questo sforzo di confronto con culture non occidentali
confluiscono sia nella trattazione dei problemi morali posti da alcune consuetudini morali africane – poligamia, scioglimento dei matrimoni infecondi, matrimonio consuetudinario (cf. HÄRING, Morale ed evangelizzazione,
198-223) – sia nell’attenzione per la sociologia dei costumi applicata alle
società e alle culture occidentali (cf. HÄRING, Liberi e fedeli, III, 293-304).
LA CULTURA PIENO SVILUPPO DELL’UMANO
465
Esso, infatti, si prefigge l’obiettivo di correggere il riduzionismo
implicito negli assunti sia delle scienze inerenti la salute e la
malattia, sia delle scienze psicologiche. Nei confronti delle prime il nostro autore, oltre a valorizzare gli asserti della medicina
antropologica (contenuti piuttosto sconosciuti al vasto pubblico, per lo meno al di fuori dell’ambiente culturale tedesco), insiste nel proporre una concezione integrale di salute e di benessere umano, comprendente, oltre agli aspetti biologici e psicologici, anche la naturale propensione religiosa, l’aspirazione alla libertà e l’esercizio della responsabilità40. Nei confronti della seconda categoria di scienze (più precisamente, nei confronti della psicoanalisi di matrice freudiana) Häring, anche in questo
caso grazie alla mediazione offerta dalla logoterapia (assunta
principalmente in termini funzionali), sottolinea, invece, la necessità di non eliminare dall’orizzonte dell’esistenza il dinamismo dei significati e dei valori, evitando così di appiattire il finalismo che caratterizza ogni azione dell’uomo nella ricerca
vuota e fine a se stessa del piacere e della felicità. Con questo, il
teologo redentorista riprende uno degli elementi che ha caratterizzato il suo pensiero fin dagli anni giovanili (vedi il riferimento alla filosofia scheleriana dei valori), riproponendolo però rivestito del linguaggio psicologico che egli ritiene più congeniale
alla sensibilità dell’uomo a lui contemporaneo41.
Quanto all’ecologia, Häring non si limita ad aggiornare il
tradizionale approccio teologico per controbattere alle accuse
di matrice ecologista rivolte contro una certa teologia della
creazione. Egli piuttosto, dimostrando per l’ennesima volta spirito e intuito da “pioniere”, formula le prospettive essenziali di
un’etica cristiana dell’ambiente. La proposta del nostro teologo,
calibrata sulla misura di un antropocentrismo sobrio e consapevole, funge da criterio di giudizio e di discernimento nei confronti delle affermazioni più radicali della sensibilità ambientalista, evitando una recezione acritica e passiva di tendenze culturalmente attraenti, ma incompatibili con una corretta visione
cristiana del problema42. Rispetto al dato della pluralità cultura-
Cf. HÄRING, Etica medica, 100.
Cf. Ivi, 288-290.
42 Cf. HÄRING, Liberi e fedeli, III, 227; 232-233; 235-236.
40
41
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GIUSEPPE QUARANTA
le, l’impostazione del discorso è di taglio prettamente teologico.
Punto di riferimento per affrontare la spinosa questione rimane
la seguente affermazione: “l’uomo che non è pervenuto alla fede
in Cristo non ha ancora pienamente coscienza dell’origine, del
centro e dello scopo della propria esistenza”43. Si spiega in questi termini, allora, non solo la motivazione fondamentale
dell’evangelizzazione, ma la convinzione che lo sforzo di conoscenza, di studio e di recezione delle molteplici sfaccettature
dei dati culturali non può identificarsi con la dissoluzione della
morale evangelica entro le forme di un ethos storicamente e
culturalmente situato. La morale cristiana, sebbene sia espressa
ed incarnata in molteplici e relative formulazioni concettuali,
se ricondotta alla sorgente della vita in Cristo e alle esigenze
evangeliche più autentiche, conserva una propria trascendenza
nei confronti delle istanze culturali, permettendo di smascherare e – dove è possibile – anche di correggere quei tratti che possono mettere più seriamente a rischio l’integrità della persona e
della convivenza umana.
Quanto alla tematica della pace, infine, dobbiamo registrare
l’assoluta singolarità della riflessione häringhiana. Seguendo il
lungo percorso compiuto dal nostro teologo in questo preciso
ambito di interesse, ci sembra che a tal proposito la sua teologia morale svolga nei confronti della cultura un ruolo più propositivo e provocatorio di quanto accada in altri contesti. In altre parole, sono le istanze più tipicamente bibliche e teologiche
(si pensi al Discorso della montagna) – pur se recuperate nel clima della cultura secolarizzata come antidoti contro la dissoluzione dell’identità specifica della morale cristiana – a contrastare i modelli etico-teologici del passato (si veda la teoria della
guerra giusta) e a provocare prima la loro revisione e, in seguito, il loro abbandono in favore di un linguaggio e di una prassi
rinnovati nello spirito e nei contenuti (il linguaggio e la prassi
della non violenza e della pace). L’etica della pace riveste così il
valore di esempio paradigmatico del dinamismo creativo
dell’Evangelo e della sua capacità di fermentare, purificandola,
la morale vissuta e pensata, non senza prima avere integrato
quegli elementi di bene disseminati anche in differenti visioni
culturali e religiose, convogliandoli al servizio della dignità in-
43
HÄRING, Morale ed evangelizzazione, 48
LA CULTURA PIENO SVILUPPO DELL’UMANO
467
tegrale dell’uomo (come mostra la valorizzazione di un elemento tipico della spiritualità indù come il satyagraha44).
4) Per continuare il percorso
Al termine di questa sintetica presentazione del nostro libro, riconsiderando globalmente il lavoro teologico di Häring,
si potrebbe richiamare una duplice – e per certi aspetti dialettica – serie di considerazioni. Per un verso ci sembra che il contributo apportato dal teologo redentorista alla valorizzazione
etico-teologica del dato culturale mantenga intatta la sua validità anche per la teologia morale attuale. Egli, infatti, mostra di
prendere sul serio la convinzione che la cultura, in quanto pieno sviluppo dell’umano, non può essere né del tutto trascurata
dalla riflessione etica né considerata come un “argomento” tra
gli altri (come spesso, almeno nei manuali, è presentata, e cioè
un tema di morale sociale). Il dato culturale costituisce, invece,
una questione che attraversa tutta la riflessione etico-teologica,
sia in quanto codice interpretativo dell’esperienza umana, sia in
quanto presupposto alla base delle stesse formulazioni concettuali (che sono di conseguenza da rivedere criticamente, se si
vuole alleggerire la rigida astrattezza che, a volte, le caratterizza e liberare il loro potenziale di orientamento delle coscienze).
Per un altro verso, però, siamo altrettanto consapevoli che
la via aperta dal teologo redentorista e, insieme con lui, da diversi altri intellettuali cristiani di rilievo, non è più percorribile,
almeno non nella stessa direzione e con i medesimi strumenti
teorici. Il concetto di cultura mediato e utilizzato da Häring e
da gran parte della teologia morale postconciliare non corrisponde più a ciò che si intende (e si esperimenta) oggi per cultura45. Per dirla con gli antropologi contemporanei, sembra or44 Cf. B. HÄRING, “Violenza e non violenza nel Discorso della montagna”, in M.L. ALGINI e Al. (a cura), La violenza dei cristiani, Cittadella, Assisi
1969, 54-74; ID., Liberi e fedeli, III, 483-527; ID., La forza terapeutica della non
violenza. Per una teologia pratica della pace, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi)
1987 [orig. ingl.: 1986].
45 L’osservazione si trova più volte ripetuta nelle pagine del dossier intitolato significativamente “Pensare la cultura”, in Rassegna Italiana di
Sociologia 45 (2004) 5-77.
468
GIUSEPPE QUARANTA
mai acquistare una consistenza sempre maggiore la constatazione che “le culture antropologiche, le società, ammesso che lo
siano mai state, non sono più quelle di un tempo, totalità organiche, integrate e condivise, ma si sono – oggi in misura notevolissima – dislocate, frammentate e mescolate”46. Nel contesto
di un pervasivo processo di globalizzazione e delocalizzazione,
infatti, si osserva da più parti come le culture “non sono più assegnabili a regioni, spazi, territori rigidamente definiti”; esse,
invece, “deterritorializzandosi, si reinventano a contatto di altre, dando vita a nuove forme di produzione dell’identità”47. Ecco pertanto spiegato il successo delle metafore di “flusso”, di
“ibrido” e di “meticciato” richiamate dagli studiosi per suggerire la frammentazione e il rimescolamento delle culture48. Parimenti si assiste ad un altro fenomeno nuovo: il processo di individualizzazione della cultura, in forza del quale non è esagerato
affermare la possibilità che l’individuo costruisca da sé il proprio repertorio culturale e le proprie peculiari avventure formative, esperienziali e conoscitive49.
Ora, il profondo mutamento nella concezione della cultura
qui solamente abbozzato, può rivestire diversi significati. Se, da
una parte, esso può rivelarsi un efficace antidoto contro le rina-
46 V. M ATERA , “Affianco alla cultura: l’«altro termine»”, in Rassegna
Italiana di Sociologia 45 (2004) 66. Attribuendo un vero e proprio valore
programmatico alla decostruzione dell’idea di cultura com’è abitualmente
intesa, U. HANNERZ, uno dei maggiori antropologi contemporanei, scrive: “Si
tratta di mettere in discussione un presupposto abituale, in antropologia e
altrove, vale a dire un particolare modo di intendere la cultura come significato collettivo, socialmente organizzato – l’idea di cultura come qualcosa di
condiviso, nel senso di qualcosa di omogeneamente distribuito nella
società” (La complessità culturale. L’organizzazione sociale del significato, Il
Mulino, Bologna 1998, 16-17 [orig. ingl.: 1992]). Per un sintetico ma efficace inquadramento di questa innovativa comprensione della cultura, vedi:
TANNER, “Criticism and reconstruction”, in ID., Theories of Culture, 38-58.
47 U. FABIETTI, “Il destino della «cultura» nel traffico delle culture”, in
Rassegna Italiana di Sociologia 45 (2004) 45.
48 Cf. HANNERZ, La complessità culturale, 344; D. PETROSINO, “Pluralismo
culturale, identità, ibridismo”, in Rassegna Italiana di Sociologia 45 (2004)
389-418.
49 Cf. MATERA, “Affianco alla cultura”, 71; G. ROSE, “Luogo e identità: un
senso del luogo”, in D. MASSEY-P. JESS (a cura), Luoghi, culture e globalizzazione, Utet, Torino 2001, 94-95 [orig. ingl.: 1995].
LA CULTURA PIENO SVILUPPO DELL’UMANO
469
scenti “esagerazioni della cultura” (vale a dire le visioni che enfatizzano la superata idea di cultura e di culture al servizio
dell’etnocentrismo o del nazionalismo in alcuni casi, o del relativismo esasperato in altri, o dell’esercizio di un potere culturale di tipo egemonico in altri ancora)50, dall’altra, procedendo in
questo modo, si rischia di immobilizzare l’analisi culturale,
complessificando in maniera esponenziale lo sforzo di offrire
una lettura competente e critica dei fenomeni culturali che le è
peculiare. Tornando all’etica teologica, riteniamo imprescindibile la necessità di aggiornare il concetto di cultura. Se si vuole
avviare e realizzare anche in teologia morale quell’attento discernimento evangelico sempre più spesso auspicato dal magistero ecclesiale, diventa necessario non fossilizzarsi su di una
strumentazione concettuale superata. Pur senza lasciarsi abbagliare dalle mode del momento, diventa necessario evitare il rischio che la teologia continui a riflettere sull’esperienza morale
sottostimando quella fitta rete di significati e di forme espressive detta “cultura”51. Da parte nostra, quindi – ed è la conclusione alla quale siamo pervenuti svolgendo questo studio – vorremmo indicare nella cultura un ambito meritevole di ulteriore
approfondimento. Ne va della possibilità stessa di dotarsi di
una descrizione comprensibile di che cosa è l’uomo e, di conseguenza, della possibilità che la teologia continui a svolgere il
compito che le è peculiare, quello cioè di stabilire “una correlazione critica e mutua tra l’interpretazione della tradizione cristiana e l’interpretazione della nostra esperienza umana contemporanea”52.
GIUSEPPE QUARANTA
Cf. FABIETTI, “Il destino della «cultura»”, 44.
A quest’idea fondamentale si riferisce la definizione “semiotica” di
cultura proposta da C. GEERTZ, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna
1998, 11 [orig. ingl.: 1963].
52 C. GEFFRÉ, Le christianisme au risque de l’interprétation, Cerf, Paris
50
51
19882, 9.
LA CULTURA PIENO SVILUPPO DELL’UMANO
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The author recently completed his doctorate in Moral Theology at the Alphonsian Academy.
El autor defendiò recientemente su tesis de doctorado en
Teología Moral, en la Accademia Alfonsiana.
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