GENTILUOMINI DI MARE 19 mail - Associazione Combattenti
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GENTILUOMINI DI MARE 19 mail - Associazione Combattenti
Marzo 2009 N°19 GENTILUOMINI DI MARE Trmestrale notizie di creato intrattenimento, da naviganti di di storie vita per di mare e di gente di mare. ...Dio solo sa quanto è brutto vivere in un mondo senza avventure, senza fantasia... Pubblicazione degli ufficiali del Circolo di Venezia 2 EDITORIALE Gentilissimi consoci, “Gentiluomini di Mare” è uscito regolarmente con cadenza trimestrale per ben quattro anni e mezzo, fino alla scadenza del mio mandato di Presidente del Circolo Ufficiali di Venezia. Nel 2008 c’è stata un’interruzione per diversi motivi che non ne hanno permesso la pubblicazione; in modo più elegante e diplomatico diciamo che, per un anno, la cadenza è diventata annuale. Con questo numero e grazie all’approvazione del nuovo Presidente, torniamo in pista col nostro trimestrale. La squadra è la stessa (non abbiamo mai perso l’entusiasmo) ed i motivi anche: li ripeto esattamente come citati nella prefazione del primo numero (giugno 2003) e nell’editoriale dell’ultimo (dicembre 2007): “ … mettere a disposizione dei Soci uno spazio in cui raccontare di se, degli amici, delle esperienze particolari vissute in Marina, di episodi che non hanno avuto l’onore della cronaca ma che sono comunque importanti per il loro carico di quotidianità e di umanità, di storie che si racconterebbero la sera seduti in poltrona davanti ad un caminetto acceso ed una televisione spenta o nei salotti dei circoli. Storie che sarebbe un peccato non tramandare con qualche cosa di scritto, storie che contribuiscono a diffondere lo spirito di corpo e l’orgoglio di appartenenza che la nostra Marina ha sempre coltivato per tradizione e con lungimiranza.” Ora, visto anche l’interesse e l’approvazione che abbiamo riscontrato in tutte le sedi raggiunte dal giornalino, ci aspettiamo di ricevere contributi editoriali sotto forma di articoli e storie che siano in linea con lo spirito della pubblicazione. Tutti noi abbiamo molto da raccontare, basta pensarci un po’ e dalle pieghe della memoria saltano fuori gustosi episodi che vale la pena divulgare. Scriveteci. Buona lettura Rudy Guastadisegni e Vito Spada 3 4 Indice: EDITORIALE Pag. 3 ADRIANO IL CAPO GABBIANO Pag. 7 I RUSSI Pag. 9 UNA BOMBA DI POMPA Pag. 11 LA DECISIONE Pag. 16 L’ULTIMA STANZA DELL’OLIMPO Pag. 18 La pubblicazione “Gentiluomini di mare” è edita dai Soci del Circolo Ufficiali Marina Militare di Venezia. La collaborazione al periodico è aperta a tutti gli ufficiali della Marina in servizio ed in congedo ed ai Soci dei Circoli; chiunque voglia far pubblicare un articolo, una poesia o degli annunci che siano in accordo con lo spirito del giornalino, può mandare il materiale su supporto elettronico (memory key o CD) o cartaceo al seguente indirizzo: “Gentiluomini di Mare” c/o Circolo Ufficiali MM Castello 2167 30122 - Venezia Il materiale può anche essere inoltrato via e-mail alle sottonotate caselle di P.E. Responsabile/redattore C.A. (r) Rudy Guastadisegni (Albo dei giornalisti e pubblicisti del Veneto, n. xxxxx) [email protected] Collaboratore T.V. (CP) Vito Spada [email protected] Esclusivamente via e-mail e col solo rimborso delle spese di spedizione, può essere richiesta la spedizione del CD-ROM contenente tutti i numeri pubblicati in formato “pdf” stampabile. 5 6 ADRIANO IL CAPO GABBIANO Quando nel 2001 venni trasferito da Taranto a Venezia ero preparato ad un cambio radicale delle abitudini di tutti i giorni. Tra quelle piacevoli c’era la totale assenza dei rumori del traffico: automobili strombazzanti, motorini smarmittati, sgasate, sibilo di improvvise inchiodate, improperi di autisti e passanti ... nulla di tutto ciò. Solamente qualche timido schiamazzo di ragazzi nottambuli o di turisti ubriachi dispersi nelle calli. Da buon sommergibilista, uso a dormire tra rumori di ogni genere, ci ho messo qualche settimana ad abituarmi a quell’innaturale silenzio. La mattina, vista la poca distanza che mi separava dall’ufficio (cento metri e una rampa di scale), potevo permettermi di far suonare la sveglia alle 07.30. Un sonno ristoratore che veniva comunque interrotto tutti i giorni alle 06.00 circa. A quell’ora infatti inizia la giornata dei gabbiani che devono darsi da fare per trovare cibo per se ed i propri piccoli ... ma a Venezia anche i gabbiani sono diversi. Sono uccelli dotati di una certa intelligenza (ricordate il gabbiano Jonathan Livingstone ?) e di spirito di adattamento; sanno individuare il modo migliore per sopravvivere in ogni situazione. A Venezia hanno seguito l’esempio dei gatti randagi che, coccolati e nutriti dalla popolazione, hanno perso l’istinto della caccia al punto che alla vista di un topo se la squagliano (a loro difesa va detto che le pantegane sono grosse quasi quanto loro e molto più affamate ed aggressive). I gabbiani veneziani dunque non partono più per la pesca in alto mare perchè il cibo lo trovano direttamente nelle calli e nei campi della città. La spazzatura. Già, perchè ciò che l’uomo rifiuta è spesso una manna per loro e per questo si sono stanziati sui tetti delle case da dove possono controllare l’arrivo della merce che di solito viene portata nei luoghi di raccolta dell’AMIU la sera o la mattina presto. Alle 06.00 calano schiamazzando dai tetti e si posano nelle vicinanze degli allettanti sacchetti di plastica gonfi di chissà quali leccornie. Con striduli suoni allontanano i poveri piccioni, una volta unici padroni del campo e si preparano alla colazione. 7 Con rapidi colpi di becco bucano i sacchetti e ne spargono il contenuto tutt’attorno scegliendo poi i bocconi migliori come in un ricco buffet. Uno di questi ristoranti per pennuti si trova esattamente davanti all’ingresso del Circolo Ufficiali, nel campo sul quale si affacciavano le finestre della camera da letto di casa mia. Come in tutte le comunità che si rispettino esiste una gerarchia anche tra i gabbiani: il più grosso ed aggressivo mangia per primo e poi gli altri in ordine di stazza. Tutte queste operazioni si svolgono in un crescendo di schiamazzi di avvertimento, gracidii minacciosi e versacci di ogni genere e tonalità. La comunità che consuma i pasti davanti al Circolo Ufficiali ha un capo grande e grosso che ha preso dimora sull’abbaino di casa mia: Adriano il capo gabbiano è così aggressivo che, quando decide di consumare il suo pasto cala dall’alto lanciando il suo grido di battaglia e non fa avvicinare nessuno alla spazzatura, nemmeno gli umani, anzi, li minaccia spiegando le ali (quasi due metri) e mostrando il suo micidiale becco adunco in grado di strappare pezzi di carne a chiunque; sembra l’attore protagonista del famoso film “Gli Uccelli”. Per fortuna degli umani tutto ciò avviene tra le 6 e le 7 del mattino quando i passanti sono veramente rari mentre per il resto della giornata Adriano se ne sta appollaiato sull’abbaino a digerire e controllare il territorio. L’unico che ne faceva le spese ero io che, malgrado i tappi nelle orecchie venivo puntualmente svegliato dal grido di guerra di Adriano. Entrando al Circolo Ufficiali di Venezia volgete lo sguardo verso sinistra, vedrete una casa dai muri rosa con un abbaino sul tetto. Se c’è anche un gabbiano quello è Adriano. Se non c’è significa che qualche umano disperato è riuscito a tirargli il collo. Rudy Guastadisegni 8 I RUSSI I Russi arrivarono a Taranto nei primi anni ’70. Non è un racconto di fantastoria, no, ma il racconto di un fatto di cronaca per quel tempo eccezionale ed oggi, nel ricordo, profumato di divertita nostalgia. Allora, col termine russi si indicavano tutti coloro che facevano parte del blocco comunista di oltrecortina; oggi, dopo la caduta del muro di Berlino e la sparizione dell’URSS, più propriamente dovremmo indicarli come sovietici. Si era in piena guerra fredda e la notizia della visita dei sovietici, la prima dalla Rivoluzione d’ottobre, fece un gran botto: “Un incrociatore ed un cacciatorpediniere della Marina Militare Sovietica sosteranno a Taranto dal ... al ... per restituire la visita fatta ad Odessa da un similare gruppo navale italiano”. In Marina, è noto, per ogni novità improvvisa, si indice una riunione: per una tanto ghiotta le riunioni furono ovviamente moltissime; per gestire l’evento si formò una specie di comitato di salute pubblica con le teste più fini del Dipartimento e questo generò una Task Force capeggiata dal Sottocapo di Stato Maggiore, per tutti gli atti esecutivi. Ogni cosa, ogni momento, ogni angolazione, ogni prospettiva, ogni particolare furono analizzati, sviscerati,soppesati: Non rimanga nulla al caso fu la parola d’ordine. E venne il grande giorno. Il passaggio del Canale, lento e solenne, l’ormeggio anch’esso solenne ma lentissimo e finalmente il grosso incrociatore e l’agile caccia erano lì. Da bordo e da terra gli uomini si scrutano, si studiano, si annusano; in fondo si è in guerra da più di vent’anni, anche se solo fredda per fortuna, senza essersi mai guardati in faccia: da entrambi le parti qualcuno pensa che gli altri abbiano la coda. Gli ordini di Roma sono stati precisi, dettagliati; tra l’altro la visita sarà gestita e guidata, per parte sovietica, da una decina di funzionari giunti direttamente dalla capitale, giovanotti seri, un po’ ingessati, padroni di un ottimo italiano, un paio in divisa, gli addetti navali, gli altri in borghese. Parleranno solo loro: quelli di bordo, informano, conoscono solo il russo. Sono diffidenti e circospetti come se si 9 aspettassero subdoli attacchi alla verginità della fede sovietica dei loro equipaggi. Da bordo tutti attendono di iniziare le visite turistiche programmate e di vedere come vivono questi capitalisti occidentali che la propaganda di regime descrive in modo fosco ed abietto. Tutti sono ansiosi di poter confrontare il loro livello di vita reso felice dal governo che li rende tutti uguali e che provvede alle loro necessità primarie, con quello abruttito delle genti occidentali prive di qualsiasi appoggio centrale e costrette a lavorare non per il popolo ma per se stessi e per il sostentamento delle loro famiglie. Il primo impatto con questa realtà è la visione di uno sterminato numero di automobili private che affollano i parcheggi davanti alle banchine. La Task Force ha tentato, con modesto successo, di far sgomberare la zona prospiciente gli ormeggi ed il numero delle auto è solo leggermente diminuito non senza qualche protesta da parte dei riottosi proprietari costretti a cercare parcheggio altrove. Proteste nei riguardi delle forze dell’ordine che suscitano grande meraviglia tra gli equipaggi sovietici. Il capo della task Force appare comunque soddisfatto; di più non si poteva fare. Gli si avvicina uno dei funzionari in borghese, quello più autorevole e con l’aria furbetta di chi ha capito tutto e, con un freddo sorriso spara: “Avete messo qui tante automobili pensando di impressionarci ... Ma noi sappiamo benissimo che è tutta propaganda ... !” Piero Marcenaro 10 UNA BOMBA DI POMPA Erano da poco passate le otto del mattino. Il Colonnello, curvo sulla massiccia scrivania, stava esaminando il rapporto giornaliero delle navi approdate a Porto Marghera. Gli passai davanti distrattamente; tutti in questa Capitaneria di Porto sanno che a quell’ora è preferibile, per il proprio bene, girare alla larga del Colonnello. “Bisogna fare una visita su questa nave!”: disse puntuale alzando gli occhi su di me. Mi ero fatto beccare come un pivello! A me l’incarico più rognoso della giornata. Era quel ‘bisogna’, pronunciato all’inizio della frase, a risuonarmi minaccioso nella mente: sicuramente doveva trattarsi di ispezionare una di quelle carrette di mare che si reggono a galla per intercessione di San Nicola, protettore dei naviganti!”. Che non sarebbe stato un lavoro facile ne ebbi conferma non appena giunto sottobordo. Lo scafo rugginoso pareva fosse stato preso a calci dalle scarpe chiodate di un gigante. Per un attimo rimasi a fissare la vernice rossa bucherellata e corrosa attorno alla marca di bordo libero: formava figure astratte che non avrebbero disdegnato in una sala del Guggenheim Museum. Paludosa e stagnante l’acqua al fondo dello stretto canale formato dalla banchina e dallo scafo, come l’acqua dei porti commerciali. Lessi a poppa il nome della nave, Omar, e il porto di iscrizione, Basseterre. Mai sentito prima d’ora. Anche la bandiera che penzolava a poppa non l’avevo mai vista. Aprii la mia cartellina e lessi: Saint Kittis e Nevis. ‘Dove diavolo sono questi luoghi?’ mi chiesi. Richiusi la cartellina e mi decisi a salire a bordo. Forse là sopra le idee si sarebbero schiarite. Avrei chiesto al comandante da dove provenisse il nome della nave, e quale relazione ci fosse tra la bandiera e l’armatore. Sarà per le stellette che indosso ma per me una bandiera rappresenta l’appartenenza ad una nazione, l’origine del suo equipaggio, la lingua ufficiale di bordo, i sapori della sua cucina, lo stile dell’arredamento e delle divise. Scorrendo la crew list appresi che al comando della nave c’era un croato, che molto probabilmente non sapeva neppure dove si trovasse sull’atlante Saint Kittis e Nevis. Il resto dell’equipaggio era formato da due montenegrini, tre ucraini, tre filippini e dal cuoco greco. Un vero e proprio fritto misto a buon prezzo. 11 Il croato era in sovrappeso, faccia tonda alla Luigi XIV. La barba di un paio di giorni non migliorava l’aspetto trasandato. Parlava un po’ di italiano. ‘Va bene…’ mi dissi, ‘…riempiamo tutte le voci richieste dal mio collaudato ed approvato report d’ispezione. Forse mi farò un’idea più chiara della situazione.’ Fino a pochi mesi fa la nave aveva battuto bandiera liberiana e si chiamava Sea Queen. Un bel nome, ma poco credibile per quello scafo sgangherato. Chiesi al comandante nome ed indirizzo dell’armatore. Mi guardò come per dire: ‘Bella domanda!’. Imprecai dentro di me. Come poteva non sapere dove diavolo stesse il suo armatore? Lo vidi tornare con un foglietto, poi iniziò a dettare: “…D.&O. Shipping Co. LTD… Repubblic of Panama…R.D. Street…Swiss tower…Urbanizacion Obarrio…”.Un indirizzo che non sapeva di niente, come il tè senza zucchero. Iniziavo ad addentrarmi nel labirintico meccanismo di nomi e luoghi che sembra fatto apposta per smarrire la vera identità di chi sta dietro una nave. Di tanto in tanto divagavo un po’ coi miei pensieri: mi venne in mente lo scalo che feci a Panama con l’incrociatore Vittorio Veneto. Città calda e umida come la laguna in quei giorni d’estate. Il comandante continuava a sudare, era nervoso; avevo l’impressione che mi guardasse con sospetto. Di sicuro c’era che gli avevo rovinato la giornata. Uscirsene con il minor danno possibile dalla visita della Guardia Costiera: certo era questo il suo principale obiettivo e intanto si chiedeva cos’altro avrei voluto vedere e dove sarei andato a frugare. ‘E io ti fermo questa carretta di nave’, mi dissi ‘…tanto lo so che le magagne te le trovo, qualcosa la trovo che non va, magari una lancia di salvataggio con il motore fuori uso, oppure la linea antincendio bucata…’ . Mi sorpresi ostile verso quel capitano rotondo e sudaticcio, verso quell’equipaggio multietcnico, così poco colorito, così privo dell’impressione di autenticità. Ci sono ispezioni che prendono pieghe acide, navi che mi stanno strette, che danno poco spazio all’immaginazione. Comparve il cuoco greco, dall’aspetto denutrito, con un vassoio che reggeva un bricco di succo di mango e bicchieri non proprio trasparenti… Stavo annotando in quel momento il nome della Società a cui era stata affidata la gestione della sicurezza di bordo. Anche quella greca e altrettanto poco trasparente: …SAMOS Company…, Piraeus…, Greece…. Un nome ed un indirizzo di plastica, senza verità. Da Panama al Pireo. Il mondo è davvero piccolo per chi naviga? 12 Tanto più vero il ricordo che mi si affacciò alla memoria per pochi secondi, il ricordo del mio primo viaggio in Grecia: uno zaino in spalla, il sole cocente dell’estate, Capo Sunion, … l’abbronzatura della mia fidanzata. Riportai nel mio report l’indirizzo della Società: Agyos Spyridonos street…. ‘Spyridonos’…; mi attraversarono fulminei ricordi di liceo, delle versioni dal greco antico, dei guerrieri, delle battaglie e degli eroi, l’inquietudine dietro i banchi, la voglia di partire. Immaginai di poter partire in quel momento… anche con quella nave…. E invece mi ritrovai nella sala macchina tra infernali sentine oleose e odore di gasolio. ‘Al diavolo la Grecia assolata, questi sono a rischio incendio!’ maledissi dentro di me. “Cheef! Cheef!” gridai all’ucraino che sorrideva ebete con un paio di denti d’oro, “…oil leakage! oil leakage!”. Nel fracasso dei pistoni feci segno ritmicamente con la mano verso i generatori. ‘Cazzo ma li vedi quei colaggi, qui siete a rischio incendio!’. L’ucraino, drogato dai fumi di macchina, mi guardò apatico. Di certo non conosceva l’italiano, ma dubito che la versione in inglese avrebbe modificato la sua espressione. Pensai all’armatore, che se ne stava a godersi il sole di Panama oppure il fresco di Chios. Su quella scatoletta di nave cominciavo a sentirmi un po’ stretto. Bisognava riemergere. “Next step… master, andiamo a vedere i ponti scoperti e proviamo la pompa antincendio di emergenza”. Il croato ordinò ai filippini di collegare le manichette agli idranti. Mi sembrò di cogliere nella sua voce un misto di rabbia e di ansia. Mi fece cenno di seguirlo. Andai sul cassero di prua ed aspettai. Sentii la mancanza di una pipa da accendere. E’il modo migliore per osservare il formicolio dell’equipaggio su una bagnarola. Accolsi con piacere lo schioppettio assordante che risalì assieme a sbuffi di fumo nero dal fondo di un boccaporto ai miei piedi. La pompa era partita. ‘Adesso arriva l’acqua e me ne vado’, mi dissi. Già pregustavo il prosecco fresco sulla via del ritorno al bar “Darsena”, in vista delle gru della Fincantieri. Passarono i minuti. ‘…Forza getto d’acqua’, mi dissi, ‘…non puoi non arrivare…adesso arrivi bello e potente ed io chiudo l’ispezione e me ne vado”. E invece non arrivò. Le manichette stavano lì come minchie flosce. Vidi il capitano urlare ai filippini che per risposta annuivano incessantemente. Gli ucraini sembravano invece ignorarlo. Mi guardavano con una brutta faccia. Il cuoco fumava sulla porta della cucina, appoggiato alla lancia di salvataggio in ciabatte e calzini bianchi. Doveva essere incazzato per il pranzo che si stava raffreddando. La mia visita si stava complicando. Mi rassegnai. “Ok master…stop…”, feci segno incrociando i polsi, “...fine della festa! In cabina! Facciamo due chiacchiere…”. 13 Mi sedetti col piacere che si prova dopo una sfiancante partita di calcio. Il capitano aveva la maglietta pisciata sotto le ascelle, il viso stravolto, gli occhi inquieti. Aspettava che io dicessi qualcosa. Mi offrì coca cola fresca in lattina che tirò fuori dal suo frigorifero anni settanta. “Non va bene, …captain, no good…la pompa non funziona. Da qui non ve ne andate prima di averla riparata. Ship detained…”. “Funziona!...Funziona!” rispose come se avesse trovato l’oro scavando in una miniera. “No! Ha visto l’acqua lei?” – domandai ironico. Il mancato funzionamento della pompa antincendio rappresenta una grave infrazione alle norme di sicurezza alla quale consegue il fermo della nave fino alla eliminazione dell’irregolarità. “No... no…!” ripeteva il capitano, come se fosse stato condannato da un tribunale alla fucilazione. Il quel momento probabilmente pensava al suo armatore che per ritorsione avrebbe potuto sbarcarlo. È frequente che ciò accada sulle carrette, anche se la colpa non è dell’equipaggio ma del fatto che non si provvede alla fornitura dei pezzi di ricambio quando qualcosa si rompe. ‘Stronzo!’ gli avrebbe probabilmente detto l’armatore, ‘non sei riuscito a fottere quelli della Coast Guard! Potevi far partire la pompa principale, non se ne sarebbero accorti se quel coglione del direttore di macchina ci avesse saputo fare!’. Il comandante si rivelò un osso duro. Aveva la sua versione dei fatti e non esitava a buttarmela in faccia con rabbia: “Funziona, la pompa funziona! La nave è scarica e per questo non aspira, la valvola non è immersa”, mi diceva rabbioso guardandomi negli occhi. “No!” ribattevo con la bocca amara, “…il manometro non lavora, non c’è aspirazione… non funziona…, no such!” “Such! Funziona ! l’abbiamo provata tre giorni fa a Capodistria! Funziona! Such…!” “Cazzo…una pompa o funziona in qualunque condizione di carico o…non funziona!”, urlai mentre odori malefici di sudore e gasolio si spandevano nella cabina senz’aria. ‘Devo trovare la soluzione a questa discussione…e andarmene…- mi dissi – Ah! Se solo avessi accettato il caffé che il maresciallo stamattina mi aveva proposto al chioschetto sotto la Capitaneria…non mi sarei trovato nel momento sbagliato davanti a Colonnello’. ‘Magari tiro fuori il computer – pensai - e faccio leggere al comandante la Convenzione internazionale sulla salvaguardia delle vita umana in mare e la regola che stabilisce la lunghezza in metri del getto minimo di acqua dalle 14 manichette, portata d’acqua in metri cubi…, le linee guida dell’International Marittime Organization sulle ispezioni alle navi, il Memorandum di Parigi…’. Intanto mi guardavo intorno, cercando di tirare il fiato e le energie per affrontare la discussione. C’era il letto disfatto del comandante, dietro una tendina, le lenzuola stropicciate, cd vecchi su una mensola. All’improvviso ebbi un’idea … Sulla scrivania, semi nascosta da una pila di fogliacci, c’era una rivista con copertina con foto a colori dal titolo sorprendentemente pertinente all’oggetto del nostro contendere: Hot Such, su cui una tettona bionda maggiorata succhiava con una cannuccia da un bicchierone di latte. Rinunciai di colpo a tutti i trattati e alle convenzioni internazionali…, afferrai la rivista e gliela misi davanti agli occhi: “Ecco! Questa è una pompa che funziona… Qui sì che c’è aspirazione! È una bomba!” urlai. Silenzio. Il comandante guardava allibito sia me sia la tettona dai labbroni siliconati che ammiccava maliziosamente continuando a succhiare avidamente... Secondi di silenzio che non finivano mai… All’improvviso il comandante mollò la presa e scoppiò a ridere. Si era arreso all’evidenza. Non c’era più spazio di manovra nella discussione. Credo che nessuna convenzione internazionale sbattuta in faccia, nessun richiamo alle norme avrebbero potuto produrre lo stesso effetto di conciliazione che quella rivista aveva prodotto. Il report fu chiuso e una cordiale stretta di mano suggellò la fine del disaccordo. Il comandante mi scortò rassegnato al barcarizzo. “Thanks for your collaboration” dissi. ‘E’ andata così!’ - sembrava che volesse rispondermi. Mentre tornavo in Capitaneria, sprofondato nel sedile posteriore dell’auto di servizio, vidi dal Ponte delle Libertà le grandi navi passeggeri ferme in Marittima e non potei fare a meno di pensare che loro quella sera sarebbero partite festose. Il Colonnello mi stava aspettando. “Un buon lavoro!” mi disse dopo che ebbe ascoltato il mio rapporto. Ma non poté fare a meno di chiedermi: “ Ha verificato anche l’altra pompa…, quella principale?”. “L’altra?...ah sì…l’altra funzionava alla grande…un’aspirazione notevole! Una bomba di pompa!” risposi. T.V. (CP) Vito SPADA 15 LA DECISIONE Un Vecchio lupo di mare, dopo anni e anni di onorato servizio, si ritiro’ finalmente nella sua casa di campagna per godersi la meritata e sudata pensione. Ma l’uomo, la cui indole, temprata dal mare e dalle difficolta’, non si conciliava con la staticita e la calma dei campestri paesaggi scalpitava come un puledro impazzito tra la disperazione di Giuseppe, fido contadino e amministratore della tenuta di campagna, la cui preoccupazione era il bilancio dell’azienda che considerava ormai suo feudo. Un giorno il Comandante preso da una sua crisi da immobilita’ si presento’ da Giuseppe, che stava nell’aia a preparare le verdura da vendere al mercato il giorno seguente, e disse: -“ Vedi Giuseppe, un uomo come me, abituato a comandare, portare uomini e bastimenti per mari e oceani del mondo, costretto a questa immobilita’, io abituato a decidere, organizzare, a giudicare. Dammi qualcosa da fare altrimenti impazzisco” -“ Comandante”- replico Giuseppe-“ io ho da fare, non sono in pensione e non posso perdere tempo a sentire le sue lamentazioni, se proprio vuole aiutarmi e dovrebbe provare a concimare l’orto per me” Detto fatto, il Comandante, felice finalmente di poter agire, si reco’ nell’orto, tra la felicita’ di Giuseppe che era convinto di essersene finalmente liberato per tutto il giorno. Passo’ circa mezz’ora ed ecco apparire il Comandante, e visibilmente soddisfatto disse a Giuseppe che il lavoro era stato concluso. “ Gia’ fatto?”- replico Giuseppe- “ com’e’ possibile” “E’ questione di organizzazione, caro Giuseppe, io sono abituato a organizzare ad agire, io ho portato uomini e bastimenti per mari e oceani, non ci vuole niente, basta organizzare. Che ci vuole a spandere un po’ di letame nell’orto. Se posso aiutarti non ti peritare.” Giuseppe non sapeva piu’ che fare per liberarsi del Comandante, poi si ricordo delle patate. -” Comandante”- disse-“ Se proprio mi vuol aiutare, visto che dobbiamo andare al mercato, nel granaio ci sono delle patate, se mi divide le grandi dalle piccole, domani le portiamo al mercato” -“Non ti preoccupare, Giuseppe, per me che ho comandato uomini e bastimenti sono bazzecole, vado le ammazzo e torno” La sera calo’ e Giuseppe ando’ a cena, mentre stava a tavola la moglie gli chiese del Comandante. 16 -“ Porca miseria, e’ ancora nel granaio, speriamo che non gli sia venuto qualche malore perche’ l’ho fatto faticare troppo” Di corsa Giuseppe s’avvio’ al granaio, apre la porta trafelato e vide il Comandante in mezzo al mucchio di patate pensieroso, con una patata piccola in una mano e una patata grande nell’altra. -“ Comandante, tutto a posto? Ci sono problemi? Non e’ che a spargere letame nell’orto si affatico molto?” – domando Giuseppe. Rispose il Comandante, palleggiando le due patate nelle mani: -“ Caro Giuseppe, finche’ si tratta di spandere merda e’ un discorso, ma quando si tratta di prendere una decisione…! “ Domenico Comisso 17 L’ULTIMA STANZA DELL’OLIMPO Gli allievi del terzo anno della Scuola Navale Militare Francesco Morosini di Venezia, come tutti gli allievi più anziani di ogni scuola, si considerano i padroni della struttura (e per certi versi è proprio così) e la loro sede è all’ultimo piano dell’edificio principale, lontano da aule, uffici e controlli. Gli stessi ufficiali addetti alle ispezioni cercano scientemente di limitare le loro incursioni al minimo indispensabile; così, lassù, gli anzianissimi possono godere di una libertà che gli altri non hanno. Sono quasi gli dei della scuola, ed è per questo che quel luogo è stato chiamato Olimpo. Ma quest’anno il Morosini apre i concorsi anche alle femmine e per questo evento epocale sono state decise estese ristrutturazioni che hanno comportato la totale demolizione del vecchio Olimpo per far posto a più moderne e confortevoli stanze. Lo scorso giugno, mentre gli anzianissimi del corso Iason si preparavano agli esami di maturità, sono iniziati i lavori di ristrutturazione di quello che tutti gli ex allievi ricordiamo come il mitico Olimpo; ora, semplicemente, non esiste più e ciò che lo sostituirà sarà tutt’altra cosa. C’è però una stanza che è sopravvissuta per altri otto mesi circa: la mansarda di casa mia anzi, della ex casa mia. Fino a poco tempo fa, infatti, abitavo in un enorme appartamento di servizio al secondo piano della palazzina a fianco del Circolo Ufficiali. Negli anni “90 il sottotetto della casa fu trasformato in mansarda con tanto di bagno ed accesso all’altana; praticamente un monolocale dove poteva tranquillamente abitare una piccola famigliola e che noi utilizzavamo come alloggio per gli ospiti. 18 Spesso gli ospiti erano allievi del Morosini, figli di colleghi ed amici che, nei giorni di franchigia o week-end approfittavano della sistemazione per cambiarsi in borghese o farsi sonore dormite. La presenza saltuaria ha cominciato a diventare una frequente abitudine quando al Navale sono arrivati i primi amici d’infanzia di mia figlia che, per cinque anni, ha trasformato la mansarda in una succursale dell’Olimpo. Così quel piccolo ambiente riservato e riparato da occhi indiscreti è diventato punto di ritrovo di frotte di allievi per cambiarsi in borghese, per organizzare festicciole di compleanno o semplicemente incontri musicali con relativi balli e schiamazzi insieme a mia figlia e le sue amiche e compagne di scuola. Molti ragazzi sono diventati usuali frequentatori al punto che di sabato o di domenica mattina arrivavano in tuta da ginnastica (allungando il percorso dell’abituale footing concesso fuori le mura) fin sotto casa sapendo di trovare sempre una torta di mia moglie fatta apposta per loro. In occasione di feste organizzate in Collegio la mansarda si riempiva di ragazze che la utilizzavano come base di appoggio e dormitorio mentre in caso di feste fuori Collegio diventava comodo punto di appoggio per allievi in franchigia o permesso domenicale. Malgrado la normale capienza dell’ambiente fosse di tre letti, in diverse occasioni ci hanno dormito anche in otto arrangiati ed accampati con sistemazioni di fortuna come solo i morosiniani sanno fare Nelle occasioni canoniche (giuramento, inaugurazione, Mak-P ecc.) era il turno degli ex allievi provenienti da tutta Italia che non solo potevano usufruire di un alloggio gratuito praticamente a pensione completa ma avevano anche il piacere e l’emozione di tornare in luoghi pregni di ricordi piacevoli. Col trasloco nella casa di famiglia al Lido, anche l’ultima stanza dell’Olimpo è stata chiusa, e forse l’unico dispiacere di questo mio trasferimento è proprio questo: la presenza degli allievi in casa era 19 fonte di allegria e goliardia e mi dava la piacevole sensazione di fare qualche cosa di veramente utile per loro; mia moglie poi si trasformava in chioccia agitandosi premurosamente per quei ragazzi che sentiva quasi come figli adottivi bisognosi di attenzioni perché lontani da casa e dal calore delle loro famiglie. Ora vivo definitivamente al Lido, a casa mia, dove, con una pesante ristrutturazione, ho ricavato una mansarda, meno grande della precedente e sicuramente non in grado di sopportare festini e goliardiche ammucchiate; probabilmente sarà saltuariamente meta di qualche ex allievo di passaggio … eh sì, con la chiusura della vecchia casa Guastadisegni e della sua mansarda olimpica è definitivamente tramontata l’era del vecchio Olimpo. Rudy Guastadisegni 20