SICUREZZA SUL LAVORO: ORIENTAMENTI PSICOSOCIALI IN

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SICUREZZA SUL LAVORO: ORIENTAMENTI PSICOSOCIALI IN
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA
Facoltà di Scienze della Comunicazione e dell’Economia
Corso di Laurea in Comunicazione e Marketing
SICUREZZA SUL LAVORO:
ORIENTAMENTI PSICOSOCIALI
IN LAVORATORI DI UNA AZIENDA REGGIANA
Laureando:
Monica BONVICINI
Relatore:
Prof. Nicoletta CAVAZZA
Anno Accademico 2007/2008
Alla mamma Deanna
e al papà Angelo
INDICE
Premessa.............................................................................................................................4
Introduzione .........................................................................................................................7
CAPITOLO 1 - IL DOVERE DELLA SICUREZZA ...........................................................9
1.1
La dimensione dei diritti fondamentali.................................................................9
1.2
La dimensione del lavoratore contraente ..........................................................10
1.3
La dimensione del lavoratore persona ..............................................................10
1.4
Il Testo Unico ....................................................................................................11
1.5
Formazione, informazione e addestramento dei lavoratori ...............................16
1.6
Ambiente di lavoro e disposizioni antinfortunistiche specifiche .........................17
1.7
Organismi di vigilanza e attività ispettive ..........................................................19
CAPITOLO 2 - IL FENOMENO INFORTUNISTICO ......................................................22
2.1
L’evento infortunio.............................................................................................22
2.2
Il bilancio infortunistico in Italia.........................................................................23
2.3
Il sistema di rilevazione nell’Unione Europea....................................................25
2.4
Le malattie professionali ...................................................................................26
CAPITOLO 3 - IL COMPORTAMENTO SICURO..........................................................30
3.1
Definizioni: rischio, pericolo, errori, violazioni....................................................30
3.2
Dalle prime teorie agli approcci più recenti .......................................................32
3.3
Alcuni fattori che influenzano il comportamento sicuro .....................................35
Clima di sicurezza, clima organizzativo, cultura organizzativa.............................................. 35
La sicurezza all’interno dell’organizzazione........................................................................... 37
Il clima di sicurezza e gli infortuni .......................................................................................... 39
Gli atteggiamenti verso la sicurezza ...................................................................................... 40
Percezione di controllo e locus of control .............................................................................. 41
Altri studi ................................................................................................................................ 42
3.4
3.5
La formazione alla sicurezza ............................................................................43
L’influenza delle caratteristiche socio-demografiche.........................................44
CAPITOLO 4 - I PREDITTORI DEI COMPORTAMENTI A RISCHIO............................46
4.1
Il quadro teorico ................................................................................................46
4.2
Applicazioni della Teoria del Comportamento Pianificato .................................48
4.3
La teoria del comportamento pianificato e i comportamenti di trasgressione
delle norme di sicurezza in ambito lavorativo ...................................................49
4.4
L’applicazione della Teoria del Comportamento Pianificato ai comportamenti di
trasgressione delle norme di sicurezza: studio empirico fra lavoratori a Reggio
Emilia ................................................................................................................50
CONCLUSIONI..................................................................................................................70
Bibliografia .........................................................................................................................72
ALLEGATI..........................................................................................................................75
3
Premessa
Uno ogni sette ore. In questo titolo, scelto da Gianni Pagliarini e Paolo Repetto per il loro
volume di recente pubblicazione, c’è la miglior sintesi del fenomeno delle morti sul lavoro
nel nostro Paese.
Per inquadrare il problema nella sua gravità è certamente indispensabile parlare di numeri
e a questi sarà dedicato un paragrafo che riporta le statistiche di diverse fonti che si
occupano di censire gli infortuni e le morti sul lavoro. Ma i lavoratori non sono e non
dovranno mai essere “numeri”: anche un solo morto è una tragedia e una sconfitta.
Il diritto a lavorare senza rischiare ogni giorno la vita e la capacità di garantire condizioni di
sicurezza ai propri cittadini lavoratori sono indicatori del grado di civiltà di un paese.
Lavorare in una condizione di dignità e sicurezza è un diritto sancito nella Carta
Costituzionale del nostro Paese.
“Basta” ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano; di fronte alle continue
tragedie “è doveroso tenere viva l’attenzione, non demordere nell’allarme sulla sua gravità
sociale, applicare e migliorare le norme legislative”. Questo, ha proseguito Napolitano “è
un obiettivo di civiltà che dobbiamo al sacrificio dei tanti caduti, mutilati e invalidi. Non
limitiamoci alla denuncia, dobbiamo sentire il dovere istituzionale di reagire, di indignarsi,
di gettare l’allarme, di sollecitare risposte. Dobbiamo volere condizioni più umane, più
civili, più rispettose dei bisogni e delle dignità di tutti.”
Guglielmo Epifani, segretario della CGIL, pochi giorni dopo il devastante incidente di
Torino alla Thyssen Krupp, afferma in un’intervista che “per mantenere alta la sensibilità
sui temi degli infortuni sul lavoro, grande è la responsabilità dei media, ancora troppo
sporadica e troppo legata a episodi gravi. I riflettori si accendono solo sulle stragi e
comunque si spengono in fretta.”
Troppe volte si chiama impropriamente in causa la “fatalità”: presentare un infortunio come
“incidente” consente di definire “normale” qualcosa che non lo è affatto. Derubricare la
morte di un operaio a fatto accidentale aiuta ad addormentare le coscienze, a cancellare
l’indignazione, a creare nei cittadini assuefazione alle morti sul lavoro.
Pietro Ingrao, nel corso di un’intervista all’indomani dell’incidente alla ThyssenKrupp, si
chiede: “Ma cosa deve ancora succedere perché su questo tema antico del rapporto
uomo-fatica, un potere costituito si turbi, si preoccupi, si domandi che dobbiamo fare? Il
potere e i poteri non rispondono con forme e contenuti all’altezza della gravità del
problema.” Lo definisce un “rumoroso silenzio” quello che non viene raccolto “dalla massa
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vivente del paese, in primis dalla sua rappresentanza politico-sociale.” “Da millenni” –
continua Ingrao – “l’essere umano è stato fuso con l’atto lavorativo, da secoli dura questo
problema. Che la tragedia delle morti e degli infortuni sul lavoro riesploda irrisolta nel
2007, è un triste segnale di come, ancora oggi, sia terribile, incerta, precaria, questa
esperienza umana elementare che è il lavorare… Come tutelare chi lavora, come lavorare,
come produrre senza ferire e uccidere?”
Le risposte vanno cercate nella politica, nella cultura e nella società.
In pochi decenni il lavoro ha progressivamente perso la sua centralità al cospetto
dell’impresa e la sua mercificazione è diventata la principale regola del sistema economico
globalizzato.
Il sociologo Luciano Gallino, studioso della cultura d’impresa e del lavoro, afferma in
un’intervista pubblicata dal quotidiano Il Manifesto nel dicembre 2007, che “il lavoro oggi è
meno visibile, perciò sicuramente serve un’altra cultura del lavoro. Qui però, ad essere
importante, è la cultura manageriale, tecnica e dirigenziale, quella cioè che è matrice di
decisioni. E’ quando nei quadri decisionali la sicurezza non figura che succedono queste
tragedie. E non c’è dubbio che vi sia una carenza in questo senso… I manager hanno
spesso sulla testa azionisti che pretendono redditività e a cui, evidentemente, della
sicurezza, che dovrebbe invece entrare nei bilanci d’impresa, non importa nulla. Il quadro
è quello di imprese dove, tra le tante variabili che sottendono alla decisione di cosa, dove
e come produrre, la sicurezza viene messa al decimo, ventesimo posto. Mentre ci sono
manager che potrebbero fare molto di più, gestendo imprese efficienti e insieme prestando
attenzione alla sicurezza. Poi c’è una carenza nella formazione; in un qualsiasi corso
all’Università, mentre si spendono pagine e pagine sui rischi del capitale, sulla sicurezza
del lavoro, che è tema piuttosto complesso, non c’è una riga. La politica può, senza alcun
dubbio, fare molto di più, a partire dalle leggi sulla sicurezza sul lavoro”.
Il procuratore torinese Raffaele Guariniello afferma in un’intervista, proprio a proposito
della nuova normativa che estende ai reati sul lavoro la responsabilità delle aziende, che
questa “sussiste qualora sia appurato che l’autore del reato ha agito nell’interesse o a
vantaggio dell’ente. E si crea un vantaggio all’impresa se si abbassano i livelli di sicurezza
per ridurre i costi o per aumentare la produzione”.
Negligenze? Mancanza di sicurezza? Eccessiva ricerca del profitto? Se spetta alla
magistratura il compito di rispondere a queste domande che ricorrono in occasione di ogni
infortunio sul lavoro, è anche all’uomo di chiesa che spetta ribadire, come ha fatto il
Cardinale Poletto ai funerali di Torino, che “il lavoro è per l’uomo, non l’uomo per il lavoro.
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La salute non può essere un prodotto da vendere in cambio di un posto di lavoro. Nessuno
può cadere nel peccato di non occuparsi a sufficienza della salute dei lavoratori”.
Se questa premessa, oltre ad introdurre alcuni dei temi, ha indugiato in una breve
rassegna di autorevoli opinioni sull’argomento è perché proprio dalla consapevolezza che
la morte sul lavoro sia socialmente inaccettabile è venuta la scelta di questo studio.
6
Introduzione
In ambito di sicurezza e salute il concetto di prevenzione ha subito, nei diversi periodi,
numerosi cambiamenti.
Dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta la prassi e la metodologia operativa degli esperti,
determinata anche dalle leggi e dalle norme esistenti, erano prevalentemente indirizzate al
miglioramento della sicurezza tecnica, alla messa a punto di macchine e impianti e di
procedure operative più sicure.
Progressivamente, negli anni Ottanta e Novanta, il modo di pensare, progettare, attuare e
controllare gli aspetti della sicurezza e della salute è profondamente cambiato; alla teoria
della valutazione dei rischi si è associata la metodologia dell’approccio gestionale
sistemico.
L’attuazione della prevenzione nelle organizzazioni, di qualunque dimensione e settore di
attività, è un problema prevalentemente gestionale che deve essere progettato, voluto,
promosso e controllato da tutti i soggetti coinvolti, individuati dalla normativa vigente in
materia. Le norme, però, dovrebbero costituire solo le condizioni minime che devono
essere rispettate e applicate; per molti datori di lavoro la prevenzione è vista ancora come
un problema tecnico da delegare agli specialisti, un costo e un obbligo formale il cui
adempimento è spesso attuato su base cartacea e apparente.
Per far crescere una cultura, una teoria e un insieme di modalità operative nel campo della
prevenzione, che non siano solo basate sulle indicazioni legislative, sarebbe opportuno
riunire i contributi delle diverse discipline che convivono a pieno titolo sul terreno della
sicurezza lavorativa. Risulta importante valorizzare sia l’aspetto conoscitivo, che pone
l’enfasi sulla descrizione e sulla spiegazione del comportamento umano, sia quello
dell’applicazione controllata del sapere accumulato per orientarlo alla soluzione di
problemi concreti.
L’evento infortunio può essere considerato ed analizzato da punti di vista differenti:
tecnico-ingegneristico (a livello di progettazione degli strumenti), ergonomico (compatibilità
fra essere umano, macchine e ambiente), medico (prevenzione e cura dei danni da
infortunio e malattie professionali) e socio-psicologico; quest’ultimo orientamento di analisi
impone il superamento di un approccio individualista, che spesso ha caratterizzato lo
studio delle condotte lavorative, in favore di una concezione psicosociale che dia rilievo al
contesto sociale, organizzativo e simbolico entro cui si costruisce anche l’azione umana,
espressione finale degli sforzi per delineare e conseguire risultati apprezzabili. Come in
7
ogni sistema sociale, anche nei gruppi di lavoro il comportamento individuale è in gran
parte influenzato dal contesto sociale, cioè le altre persone, i processi di influenza
reciproca, i valori, le norme, ecc.
In ambito psicosociale sono numerosi gli studi e le ricerche che si sono occupati di
individuare quali fattori considerare per comprendere e modificare i comportamenti delle
persone per arrivare alla definizione di modelli applicativi.
Gli studi che si sono occupati di comportamenti di sicurezza in ambito lavorativo hanno
riconosciuto l’importanza di fattori quali il clima di sicurezza, l’atteggiamento del lavoratore,
la percezione di controllo e le caratteristiche socio-demografiche del lavoratore (età,
anzianità di mansione, etc.) ma alcune delle teorie psicosociali che utilizzano questi
costrutti e che si sono rivelate efficaci modelli esplicativi in altri ambiti (comportamenti a
rischio per la salute, la sicurezza stradale, etc.) sono state scarsamente applicate nelle
ricerche che si sono occupate di comportamenti a rischio dei lavoratori.
Il maggiore apporto nell’individuare i fattori che possono contribuire a comprendere i
comportamenti delle persone è stato fornito dalla Teoria del Comportamento Pianificato
elaborata dagli studiosi Fishbein e Ajzen a partire dal 1975; questa teoria è il quadro di
riferimento concettuale per la ricerca condotta all’interno di un’impresa, riferita nell’ultimo
capitolo di questo lavoro.
Si è ritenuto opportuno, prima di trattare nello specifico i fattori psicosociali considerati
antecedenti il comportamento, offrire una sintesi della legislazione vigente in materia di
sicurezza e salute dei lavoratori e riportare, unitamente ad un inquadramento generale in
ambito infortunistico, il bilancio 2007, pubblicato dall’INAIL nell’ottobre 2008, relativamente
agli incidenti sul lavoro e alle malattie professionali.
8
“Quale diritto è più importante se non quello di riportare a
casa la pelle a fine turno di lavoro?”
Valeria Parrini, mamma di Ruggero Toffolutti, morto sul lavoro
nel 1998
CAPITOLO 1 -
IL DOVERE DELLA SICUREZZA
Nel nostro Paese, a partire dalla Costituzione e, gerarchicamente, fino al Testo Unico,
sono numerose le norme vigenti in materia di tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori.
1.1 La dimensione dei diritti fondamentali
La Costituzione italiana contiene principi fondamentali e inderogabili quali la tutela del
lavoro, la tutela della salute, il rispetto della dignità umana.
Titolo II – Rapporti etico sociali
Articolo 32
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività…”
Titolo III – Rapporti economici
Articolo 35
“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e
regolare i diritti del lavoro…”
Articolo 41
“L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica
e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
9
1.2
La dimensione del lavoratore contraente
Gli articoli della Costituzione trovano una loro specifica applicazione nell’articolo 2087 del
Codice Civile.
“Il datore di lavoro deve adoperarsi, nello svolgimento di quella che è una specifica attività
professionale, con una diligenza particolare, in base alla quale deve adottare tutte le
misure dettate:
1. dalla particolarità del lavoro, in base al quale devono essere individuati rischi e
nocività specifiche;
2. dall’esperienza, in base alla quale devono essere previste le conseguenze
dannose, sulla scorta di eventi già verificatisi e di pericoli già valutati in precedenza;
3. dalla tecnica, in base alle nuove conoscenze in materia di sicurezza messe a
disposizione dal progresso tecnico-scientifico.”
E’ questo il fondamentale principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile che
esprime l’obbligazione fondamentale del datore di lavoro in quanto primo garante
dell’obbligo di sicurezza verso i lavoratori dipendenti (od equiparati) di perseguire
costantemente la massima sicurezza tecnica, organizzativa o procedurale fattibile.
Le regole di condotta preventiva stabilite dall’art. 2087 c.c. concorrono ad integrare e
perfezionare le fattispecie criminose di cui agli art. 589 e 590 del Codice Penale (omicidio
colposo e lesioni personali colpose)1.
Dal punto di vista dell’ordinamento giuridico prevenzionistico il principio chiave della
massima sicurezza possibile è al vertice delle norme vigenti e trova espressione,
all’interno di una struttura ordinata gerarchicamente, dapprima nelle norme di grado
superiore e via via in quelle di grado inferiore.
Si tratta di un obbligo preventivo generale che impone al datore di lavoro il positivo
apprestamento di tutti i necessari mezzi idonei ai fini della sicurezza che non sono solo
quelli strettamente indicati, a pena di sanzione penale, dalla vigente legislazione
prevenzionistica.2
1.3 La dimensione del lavoratore persona
Con la denominazione di Statuto dei lavoratori ci si riferisce alla Legge n. 300 del 20
maggio 1970 recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
1
In tal senso si è espressa la Cassazione penale con sentenza del 20/09/1988
Rolando Dubini – L’obbligo del datore di lavoro di attenersi al principio della massima sicurezza
tecnologicamente fattibile. Sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale.
2
10
sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” che è una
delle norme principali del diritto del lavoro italiano. La sua introduzione provocò importanti
e notevoli modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i
datori di lavoro, i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali.
Il testo si divide in un titolo dedicato al rispetto della dignità del lavoratore, in due titoli
dedicati alla libertà ed alle attività sindacali, in un titolo sul collocamento ed in uno sulle
disposizioni transitorie.
Si riporta, di seguito, l’Articolo 9, del Titolo I, Della libertà e dignità del lavoratore.
Art. 9 – Tutela della salute e dell’integrità fisica.
“I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle
norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la
ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la
loro integrità fisica.”
1.4 Il Testo Unico
Il Decreto legislativo 9 Aprile 2008, n.813, in vigore dal 25 Agosto 2008 , recante norme di
“Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della
salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” ha parzialmente riformato la disciplina in
materia di sicurezza e salute sul lavoro. Il D.Lgs n.81/2008 ha un’architettura che ricalca
sostanzialmente quella del D.Lgs n.626/1994; il Titolo I statuisce i principi generali comuni,
i Titoli dal II all’XI contengono le disposizioni specifiche in materia di luoghi di lavoro, di
attrezzature di lavoro e dispositivi di protezione individuale, la segnaletica, la
movimentazione manuale dei carichi, i videoterminali, gli agenti fisici, le sostanze
pericolose, gli agenti biologici e le atmosfere esplosive. Il nuovo provvedimento è
completato dai Titoli XII (disposizioni in materia penale e di procedura penale) e XIII
(norme transitorie e finali). Il Testo Unico consta di ben 306 articoli, 51 allegati e un
sistema sanzionatorio basato su numerose norme introdotte alla fine di ogni titolo.
Secondo Antonio Pileggi4, la tanto attesa legislazione antinfortunistica (entrata in vigore
dopo circa 14 anni da quella profonda, autentica, operata dal D.Lgs 19 settembre 1994, n.
626) non ha prodotto, in termini di riassetto organico della materia, i risultati attesi; il Testo
Unico pare piuttosto, a suo parere, un’opera essenzialmente compilativa che, limitandosi a
3
Per la stesura di questo paragrafo è stato utilizzata, come materiale di riferimento per una sintesi del D.Lgs
81/08, la Guida Pratica Sicurezza del Lavoro a cura di Mario Gallo – Le guide pratiche del Sole 24 ORE
4
Professore ordinario di Diritto del Lavoro, Università degli Studi di Cassino
11
ricondurre in tale provvedimento le previgenti norme in materia, non risolve la mancanza di
coordinamento delle disposizioni che si traduce poi in numerosi problemi applicativi.
Il T.U. si applica a tutti i settori di attività, pubblici e privati e a tutte le tipologie di rischio. E’
rivolto a tutti i lavoratori, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi equiparati.
L’articolo 15 ribadisce due concetti fondamentali della “nuova sicurezza sul lavoro”: il
primo è che la valutazione di tutti i rischi rappresenta il perno portante del meccanismo
prevenzionistico, sul quale reggono tutta una serie di conseguenti adempimenti
(informazione e formazione, sorveglianza sanitaria, scelta dei DPI, ecc.). Il secondo che la
sicurezza non sia episodica ma programmata in tutti i suoi aspetti attraverso un nuovo
modo di strutturare il sistema di sicurezza e salute sul lavoro; deve essere prestata
particolare attenzione alla programmazione delle misure cosiddette migliorative, adottando
anche codici di condotta e buone prassi.
Figura 1
Il nuovo sistema di sicurezza e salute sul lavoro del D.Lgs n. 81/2008
Servizio di
prevenzione
e protezione
DATORE DI LAVORO
Medico
competente
MODELLO ORGANIZZATIVO E DI GESTIONE
Squadre per
l’emergenza
Dirigente
RLS
Sorveglianza
sanitaria
Preposto
LAVORATORI
Fonte: tratto da Guida Pratica SICUREZZA DEL LAVORO a cura di Mario Gallo – Le guide pratiche de Il Sole 24 ore
La valutazione, globale e documentata, di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei
lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, è
finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare
12
il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e
sicurezza. Attraverso tale processo devono essere identificate le sorgenti di rischio (ciclo
lavorativo, macchine e impianti, modelli organizzativi e operativi, ecc) e i rischi da
esposizione presenti (documentando le misure attuate quali protezione macchine,
automazioni, dispositivi di protezione individuale, formazione, ecc) al fine di eliminarli e,
ove ciò non sia possibile, ridurli al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al
progresso tecnico. In tal modo si identifica la nozione di rischio residuo che presuppone
un’esposizione controllata entro limiti considerati accettabili.
Il Testo Unico definisce il servizio di prevenzione e protezione dai rischi come l’insieme
delle persone, sistemi e mezzi finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi
professionali per i lavoratori.
Figura 2
OBIETTIVI DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
Obiettivo
funzionale
1
Identificazione
dei pericoli
per la salute e
la sicurezza
dei lavoratori
e degli esposti
delle
situazioni
Obiettivo
funzionale
2
Valutazione
dei rischi
Obiettivo
funzionale
3
Informazione
e formazione
sui rischi e
indicazioni di
misure
preventive
nelle loro
varie
articolazioni
Obiettivo
del
programma
Modificazioni
delle condizioni
di lavoro, dei
metodi e dei
comportamenti
Obiettivo
finale
Eliminazione
e/o riduzione
dei rischi e
prevenzione
della
patologia
correlata col
lavoro e
promozione
della salute
dei lavoratori
Servizio di Prevenzione e Protezione
Fonte: tratto da Sicurezza e salute nei luoghi di lavoro – Linee guida per l’applicazione del D.Lgs n.626/1994, Conferenza dei Presidenti
delle Regioni e delle Province Autonome, 2°ed.
A seguire, sono riportate solo alcune parti degli articoli utili, ai fini del presente lavoro, per
un inquadramento degli obblighi generali, dei soggetti coinvolti (datore di lavoro, preposto,
responsabile del servizio prevenzione e protezione, lavoratore, medico competente,
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza), della formazione, informazione e
addestramento dei lavoratori, della consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei
lavoratori e dell’ ambiente di lavoro e disposizioni antinfortunistiche specifiche
particolare riferimento ai dispositivi di protezione individuale).
13
(con
Il Datore di lavoro
Per datore di lavoro si intende il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o,
comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il
lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o
dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.
Il datore di lavoro è il soggetto obbligato a titolo principale, e s’identifica nella persona
fisica che è effettivamente titolare dei poteri giuridici di adottare le misure di prevenzione e
protezione.
Articolo 18, comma 1 – Obblighi del datore di lavoro e del dirigente, lett. c) d) e) f) l) m) z)
c) nell’affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni
degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza;
d) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il
Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP) e il medico
competente, ove presente;
e) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto
adeguate istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone che li espongono
ad un rischio grave e specifico;
f) richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché
delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei
mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro
disposizione;
l) adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento;
m) consentire ai lavoratori di verificare, mediante il Rappresentante dei Lavoratori per
la Sicurezza (RLS) l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della
salute;
z) aggiornare le misure di prevenzione
in relazione ai mutamenti organizzativi e
produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in
relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione;
Il preposto
L’articolo 2, comma 1, lett. e) definisce il preposto quale persona che, in ragione delle
competenze professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura
dell’incarico conferitogli, sovrintende all’attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle
direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed
esercitando un funzionale potere di iniziativa. Pertanto su tale figura della prevenzione
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gravano obblighi di generale sovraintendimento e di vigilanza indicati nell’articolo 19, di cui
si riportano solo alcune lettere.
Articolo 19 – Obblighi del Preposto, lett. a) f) g)
a) sovrintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro
obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza
sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione
individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza dell’inosservanza,
informare i loro superiori diretti;
f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei
mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia
ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a
conoscenza sulla base della formazione ricevuta;
g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’art. 37.
Il preposto ha, rispetto alla precedente normativa, un ruolo di vigilanza attiva ed è un
perno del modello organizzativo e di gestione previsto dall’articolo 30.
Il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
Il RSPP è designato dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di
prevenzione e protezione dai rischi; l’articolo 32 ne individua le necessarie capacità ed i
requisiti professionali. Gli RSPP sono tenuti a frequentare specifici corsi di formazione.
Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza
Il modello compartecipativo, già introdotto dal D.Lgs n. 626/1994 e confermato dal Testo
Unico, riconosce ai lavoratori i diritti di partecipazione e di controllo in materia di salute e
sicurezza sul lavoro da esercitarsi attraverso la figura dell’RLS, eletto o designato dai
lavoratori; il loro numero all’interno dell’azienda varia in funzione delle dimensioni
dell’impresa.
Il RLS ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza tale da
assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei
rischi stessi; nell’articolo 50 del T.U. ne sono definite le attribuzioni che sono di carattere
consultivo, partecipativo e di vigilanza.
Il medico competente
L’articolo 2 del Testo Unico rafforza, rispetto alla normativa precedente, il ruolo gestionale
del medico competente, nominato dal datore di lavoro per effettuare la sorveglianza
sanitaria in azienda; per sorveglianza sanitaria si intende l’insieme degli atti medici
finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori in relazione all’ambiente
15
di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività
lavorativa.
Il medico competente costituisce una delle componenti fondamentali dell’organizzazione
aziendale ed è chiamato ad esercitare 3 funzioni fondamentali:
1. fornire la sua consulenza nella valutazione dei rischi, collaborando attivamente
con il datore di lavoro e il servizio di prevenzione e protezione;
2. programmare e gestire la sorveglianza sanitaria (visite mediche, sopralluogo negli
ambienti di lavoro, giudizio di idoneità alla mansione, etc.);
3. collaborare nella scelta dei dispositivi di protezione individuali, nelle attività
informative e formative e nell’organizzazione del servizio di primo soccorso
aziendale.
1.5 Formazione, informazione e addestramento dei lavoratori
Nel Testo Unico l’informazione ai lavoratori è definita come il complesso delle attività
dirette a fornire conoscenze utili all’identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi
in ambiente di lavoro. I destinatari sono tutti i lavoratori che rientrano nel campo
applicativo del D.Lgs 81/08.
L’articolo 36 prevede che il datore di lavoro provveda affinché ciascun lavoratore riceva
un’adeguata informazione articolata su 2 livelli:
1. Informazione di base
a. rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività dell’impresa in
generale;
b. procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione
dei luoghi di lavoro;
c. nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure antincendio, di primo
soccorso ed evacuazione;
d. nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e
protezione e del medico competente.
2. Informazione specifica
a. rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza
e le disposizioni aziendali in materia;
b. pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle
schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona
tecnica;
16
c. misure e attività di protezione e prevenzione adottate.
Il legislatore non ha specificato gli strumenti informativi da utilizzare; l’unico vincolo è che il
contenuto dell’informazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve
consentire loro di acquisire le relative conoscenze.
L’articolo 2 introduce anche due nuove nozioni di formazione e addestramento in materia.
La formazione è definita come un processo educativo attraverso il quale trasferire ai
lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale
conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento in
sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, riduzione e gestione dei
rischi.
L’addestramento è definito come il complesso delle attività dirette a fare apprendere ai
lavoratori l’uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di
protezione individuale, e le procedure di lavoro.
La formazione prevista non è solo indirizzata ai lavoratori, ai preposti, ai rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza ma anche ai dirigenti; si vedrà in seguito, infatti, come si rivela
importante il clima di sicurezza aziendale vissuto all’interno di un’organizzazione per
un’uniformità dei comportamenti prevenzionistici da parte dei lavoratori.
La formazione e, ove previsto, l’addestramento specifico, devono essere programmati ed
avvenire in occasione della costituzione del rapporto di lavoro, del trasferimento o cambio
mansione, dell’introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove
sostanze e preparati pericolosi. Deve inoltre essere ripetuta periodicamente in relazione
all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi.
1.6
Ambiente di lavoro e disposizioni antinfortunistiche specifiche
Ai fini del presente lavoro non vengono trattati gli articoli del Testo Unico in materia di
luoghi di lavoro e attrezzature di lavoro in quanto non strettamente pertinenti e per
approfondimenti si rimanda al testo integrale del decreto legislativo e alla numerosa
letteratura disponibile.
Per concludere la sintesi del quadro normativo utile alla comprensione dell’oggetto della
tesi, si ritiene utile riportare, in questa ultima parte dedicata alla legislazione, il contenuto
degli articoli del T.U. che definiscono aspetti, requisiti, obblighi e sanzioni in relazione ai
Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).
17
Per DPI si intende qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal
lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi per la sicurezza o la salute
durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo.
I DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o
sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione
collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro (rischi residui).
Pertanto i DPI non possono essere utilizzati per far fronte ad inadeguatezze di attrezzature
di lavoro o procedurali in quanto il datore di lavoro è obbligato ad osservare
costantemente le misure di cautela previste dall’articolo 15 del Testo Unico.
I DPI devono essere conformi al D.Lgs 4/12/1992, n. 475 e adeguati ai rischi da prevenire,
senza comportare di per sé un rischio maggiore, oltre che alle condizioni esistenti sul
luogo di lavoro. Inoltre devono anche tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute
del lavoratore e poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità.
L’articolo 77 fornisce quasi una guida puntuale al datore di lavoro, dalla scelta dei DPI
adeguati, secondo i criteri individuati nell’allegato VIII al Testo Unico, fino al loro utilizzo.
Sono numerosi gli obblighi del datore di lavoro in relazione ai DPI: fornitura dei dispositivi
ove siano stati individuati quei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi,
mantenimento in efficienza degli stessi, addestramento ai lavoratori per l’utilizzo, la
riconsegna e il deposito.
L’articolo 78, invece, definisce gli obblighi a carico del lavoratore rappresentati,
essenzialmente, da quello dell’utilizzo conformemente all’informazione, formazione e
addestramento ricevuto e nel rispetto delle procedure aziendali, oltre a quello di segnalare
immediatamente al datore di lavoro ogni difetto o inconveniente. Inoltre, al lavoratore è
fatto divieto di apportare modifiche di propria iniziativa.
Il regime sanzionatorio in materia di DPI a carico del datore di lavoro/dirigente prevede,
ammende ed anche la pena dell’arresto per periodi di tempo variabile in relazione al tipo di
illecito. I dispositivi di protezione individuale sono suddivisi in funzione delle parti del corpo
che devono proteggere e sono divisi in tre categorie (art 4 D.Lgs 475/1992), in funzione
del tipo di rischio.
I categoria: di progettazione semplice, destinati a salvaguardare la persona da rischi di
danni fisici di lieve entità (guanti per detersivi, da giardinaggio, …).
II categoria: vi rientrano quelli che non rientrano nelle altre due categorie (caschi, i
dispositivi che proteggono l’udito, …)
18
III categoria: di progettazione complessa, destinati a salvaguardare da rischi di morte o
lesioni gravi e di carattere permanente (dispositivi contro le cadute dall’alto, apparecchi di
protezione delle vie respiratorie, …).
Le istruzioni che devono essere impartite ai lavoratori sulle modalità di utilizzo e su come
deve essere indossato un dispositivo risultano particolarmente
rilevanti in quanto
l’efficacia dei DPI dipende moltissimo dalle condizioni in cui vengono utilizzati; nel capitolo
seguente, dedicato alle definizioni di infortunio e di malattia professionale, all’andamento
del fenomeno infortunistico e delle malattie indennizzate, sono riportate anche alcune delle
principali patologie correlate al non utilizzo o all’utilizzo non conforme dei dispositivi.
1.7
Organismi di vigilanza e attività ispettive
La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi
di lavoro è delegata alle Aziende Sanitarie Locali competenti per territorio e alle Direzioni
Provinciali del Lavoro (queste ultime, in raccordo con le ASL, limitatamente ad alcuni
settori, fra i quali l’edilizia). In una intervista, pubblicata da alcuni quotidiani nel dicembre
2007, l’allora ministro del lavoro Cesare Damiano ha affermato che, nonostante l’
assunzione di nuovi ispettori ed un più stretto coordinamento del lavoro con le ASL, resta
comunque una notevole sproporzione tra il numero degli ispettori e quelle delle imprese. A
livello nazionale, i numeri dicono che ogni ispettore del lavoro dovrebbe, teoricamente,
controllare lo stato di attuazione delle misure di sicurezza in oltre 650 imprese.
Considerato che ogni singola ispezione richiede da una a più giornate di lavoro se ne
ricava che ogni singolo ispettore può compiere una sola visita approfondita alle imprese
che gli competono circa ogni sei anni.
Nella provincia di Reggio Emilia il numero delle imprese da controllare, di competenza
dell’ASL, nell’anno 2008, era pari a 2.200; 47 il numero degli ispettori in organico per
l’attività di sorveglianza. La Direzione Provinciale del Lavoro può contare sull’operato di 2
ispettori a fronte di oltre 500 notifiche preliminari (denunce di apertura di cantieri edili).
Nel 20075 i dati relativi all’attività di vigilanza eseguita dal Servizio Prevenzione e
Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’AUSL di Reggio Emilia sono i seguenti: 435 le
Unità Locali nelle quali sono state accertate violazioni alle norme antinfortunistiche e 749 il
totale delle violazioni di cui 709 a carico del datore di lavoro/dirigente, 14 per il preposto, 8
per il lavoratore autonomo, 1 a carico del lavoratore e 17 per altre figure. Specificamente
ai dispositivi di protezione individuale, in relazione alla mancata fornitura e/o vigilanza,
5
Dati forniti dal Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’AUSL di Reggio Emilia
19
sono state accertate 53 violazioni, di cui 31 a carico del datore di lavoro/dirigente, 13 per il
preposto (mancata vigilanza), 1 per il lavoratore e 8 per il lavoratore autonomo per il
mancato utilizzo dei DPI. La Direzione Provinciale del Lavoro di Reggio Emilia ha
effettuato, nell’anno 20086, 155 ispezioni presso cantieri edili, accertando 149 violazioni
alle
norme
antinfortunistiche
a
carico
del
datore
di
lavoro,
89
in
fase
di
esecuzione/progettazione, 1 violazione a carico del coordinatore, e, in relazione ai
dispositivi di protezione individuale, 5 per mancata fornitura dei DPI ed 1 a carico del
lavoratore per il mancato utilizzo.
Figura 3
SCHEMA GENERALE DELLA PROCEDURA ISPETTIVA
ATTIVAZIONE:
infortunio, malattia professionale, denuncia, verifica selettiva, etc
ORGANI DI VIGILANZA CON COMPETENZA SPECIFICA
A.S.L. – Direz. Prov.li del Lavoro – Vigili del Fuoco
ACCESSO NELL’UNITÀ PRODUTTIVA
(in tutte le ore del giorno e della notte, previa qualificazione, e in tutti
gli ambienti di lavoro)
VERIFICA DOCUMENTALE: ESIBIZIONE
Autorizzazioni, documento di valutazione dei rischi, consegna DPI,
nomine, etc
COLLOQUIO CON DATORE DI LAVORO, RSPP, RLS,
LAVORATORI, MEDICO COMPETENTE
CONTROLLO ISPETTIVO NEI LUOGHI DI LAVORO
Impianti, macchinari,
attrezzature, DPI, presidi
antincendio, ecc
Ambiente di lavoro
(spazi, altezze, scale, uscite di
sicurezza, ecc.)
ACCERTAMENTO DI VIOLAZIONI
ACCERTAMENTO DI
SITUAZIONI DI PERICOLO
NON SANZIONATE
PENALI
ASSENZA DI VIOLAZIONI
AMMINISTRATIVE
Potere di disposizione
1. Prescrizione
2. Informazione al
Pubblico Ministero
Igiene del lavoro
(agenti fisici, chimici, biologici,
microclima, ecc.)
Chiusura ispezione
1. Diffida
2. Irrogazione
sanzione normale
Fonte: tratto da Guida Pratica SICUREZZA DEL LAVORO a cura di Mario Gallo – Le guide pratiche de Il Sole 24 ore
6
Dati forniti dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Reggio Emilia
20
Il personale ispettivo, può ispezionare, in qualsiasi momento ed in ogni parte, i luoghi di
lavoro, sottoporre a visita medica il personale occupato, prelevare campioni di materiali e
prodotti, chiedere l’esibizione della documentazione in materia di salute e sicurezza sul
lavoro.
21
“Le chiamano con indifferenza “le morti bianche”. In realtà
sono tragedie inaccettabili. Inaccettabili per i familiari che
si vedono strappare il proprio congiunto. Inaccettabili per
un Paese civile che non può permettere che i suoi
cittadini muoiano lavorando”
Alessandra Franchello, nipote di Giancarlo Garabello, morto sul
lavoro nel 2008
CAPITOLO 2 -
IL FENOMENO INFORTUNISTICO
2.1 L’evento infortunio
La definizione di infortunio sul lavoro è contenuta nella legge della tutela assicurativa
obbligatoria gestita dall’INAIL. Secondo la norma rientrano in questa fattispecie “tutti i casi
di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte
o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea
assoluta che importi astensione dal lavoro per più di tre giorni”7.
Per causa violenta si intende un fattore esterno, improvviso e imprevisto, che in modo
rapido e intenso provoca un effetto lesivo. Ogni “aggressione”, quindi, che dall’esterno
danneggia l’integrità psico-fisica del lavoratore può essere ritenuta causa violenta
dell’infortunio assicurato. Può essere tale anche un’azione dovuta a microrganismi oppure
uno sforzo che provoca uno strappo muscolare, un evento drammatico che provoca un
trauma psichico e cosi via.
La nozione di “occasione di lavoro”, sulla base del quale viene definito il carattere
professionale dell’infortunio, focalizza l’esigenza che fra l’attività lavorativa prestata
dall’infortunato e l’incidente vi sia un rapporto, anche indiretto, di causa ed effetto. Si tratta
di un concetto più ampio di quello che potrebbe essere espresso da una locuzione come
“causato da lavoro” o “accaduto sul luogo di lavoro o durante l’orario di lavoro”. Tuttavia,
per quanto la definizione assicurativa permetta di comprendere nella tutela di legge
un’ampia casistica, è evidente che si tratta di un punto di vista ancora parziale.
Basterebbe pensare al fatto che non ricadono nella sua sfera gli infortuni che provocano
un’assenza dal lavoro inferiore a tre giorni e che sono comunque eventi importanti da
prendere in considerazione ai fini della prevenzione. Una novità di rilievo è stata introdotta
a riguardo dal Testo Unico (art 18, comma 1, lett. r)); mantenendo per il datore di lavoro
l’obbligo di denunciare gli infortuni che comportino un’assenza superiore a 3 giorni, è stato
7
Art. 2, c.1, D.P.R. 30 giugno 1965, n.1124
22
introdotto un nuovo adempimento che riguarda la comunicazione all’INAIL anche degli
infortuni che comportino un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello
dell’evento, ai soli fini statistici e informativi.
Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire
l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli
incidenti derivanti dalla sua disattenzione ma anche quelli ascrivibili ad imperizia,
negligenza ed imprudenza dello stesso. La Corte di Cassazione ha infatti precisato8 che il
datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando
ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste
misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi
alcun effetto esimente, per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per
violazione delle relative prescrizioni, l’eventuale concorso di colpa del lavoratore.
Occorre inoltre tenere presente che sono incidenti sul lavoro anche quelli che, pur non
provocando danni alle persone, determinano comunque danni materiali. Anche questi
vanno considerati in un’ottica preventiva. A tale proposito, nella letteratura specialistica
internazionale di lingua inglese, si opera costantemente una distinzione tra il termine injury
(incidente che provoca lesione, il nostro infortunio) e accidents (incidente senza lesioni);
tanto che si usa l’espressione “Injures are not accidents” (gli infortuni non sono incidenti)
per affermare che non sono il semplice frutto di fatalità.
Autorevoli organismi internazionali riconoscono da tempo che gli infortuni sul lavoro sono
“la conseguenza statisticamente prevedibile del fallimento tecnico-sociale del lavoro”.9
Dal punto di vista sanitario gli infortuni (di tutti i generi, non solo quelli sul lavoro) sono
considerati eventi sentinella. Determinano cioè una malattia, una invalidità o una morte
prematura non necessarie (nel senso che, se fosse stato fatto tutto il possibile, non si
sarebbero verificate) e che, dunque, giustificano una ricerca scientifica accurata per
eliminarne le cause.
2.2 Il bilancio infortunistico in Italia
Alla rilevazione del 31 Ottobre 2008, il bilancio infortunistico per l’anno 2007 pubblicato
dall’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), riporta i
seguenti dati: 912.410 gli infortuni sul lavoro denunciati, 1.207 i casi mortali10.
8
Sentenza del 18 febbraio 2004, n. 3213
X Rapporto del Comitato misto dell’Ufficio Internazionale del Lavoro e dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità, n. 777/89
9
23
La ripartizione degli infortuni per gestione evidenzia che il 90,5% si verifica nell’Industria
(ai primi posti costruzioni e industria dei metalli) e nei Servizi (in testa trasporti e
comunicazioni), il 6,3% nell’Agricoltura e il 3,2% fra i dipendenti dello Stato.
Quasi l’80% degli infortuni si concentra nelle fasce di età centrali,18-34 e 35-49 anni, ed è
quest’ultima quella più colpita da infortuni mortali.
L’analisi
territoriale
evidenzia
che
oltre
il
60%
degli
infortuni
è
concentrato
nell’industrializzato Nord Italia: nel Nord Est, in particolare, sono stati denunciati nel 2007
quasi 299.000 casi, un terzo del totale nazionale: il 17% in Lombardia, il 14,3% in Emilia
Romagna, il 12% in Veneto. Le tre regioni totalizzano quasi 400.000 casi, pari al 43,4%
del complesso.
Ai fini della valutazione del rischio infortunistico è utile riportare un altro tipo di analisi,
relativo alla tipologia di azienda, artigiana o industriale e alla dimensione aziendale,
considerata relativamente al numero degli addetti che vi lavorano. Se le norme in materia
di salute e sicurezza sul lavoro si applicano indipendentemente
dalla dimensione
dell’impresa, è utile riportare che numerose norme del Testo Unico, D.Lgs 81/08 sono
collegate al parametro dimensionale; questo diventa rilevante al fine di poter accedere a
semplificazioni (rilevante, ad esempio, la possibilità per i datori di lavoro che occupano fino
a 10 lavoratori di autocertificare l’avvenuta valutazione dei rischi) o, al contrario, per
stabilire l’assoggettabilità ad un determinato regime più rigoroso.
Le aziende artigiane sono caratterizzate da un indice di rischio ( che esprime il rapporto fra
infortuni indennizzati e addetti) decisamente più alto rispetto a quello delle aziende di tipo
industriale: infatti da una media di quasi 30 infortuni indennizzati per mille addetti delle
aziende industriali, si passa a quasi 38 per quelle artigiane, che rappresentano il 42%
delle aziende assicurate. E’ da rilevare che nella classe da 1 a 15 addetti, l’indice
raddoppia a 60,07 e rimane molto elevato, pari a 54,05 anche nella classe da 16 a 30
addetti. Per le aziende industriali non sembra riscontrarsi, tranne che in particolari settori,
una influenza decisiva sui livelli di rischio da parte della dimensione aziendale.
Un altro aspetto rilevante per l’analisi del fenomeno è quello che riguarda la forma
contrattuale del lavoratore; le due principali forme di lavoro atipico che si sono affermate in
questi ultimi anni, i lavoratori interinali (o a “somministrazione di lavoro”) e i lavoratori
10
Casi mortali - Si classificano per data di avvenimento dell’evento che ha causato la morte. Si considerano
solo quei casi in cui il decesso sia sopravvenuto entro 180 giorni dalla data dell’evento; sono esclusi i casi
che al momento dell’elaborazione risultino chiusi negativamente entro 180 giorni dalla data dell’evento in
quanto non di origine professionale.
24
parasubordinati (lavoratori autonomi che esercitano un’attività di collaborazione coordinata
e continuativa o a progetto) sono quelle che hanno fatto registrare nell’anno 2007 sensibili
incrementi in termini di infortuni (+ 13,6% e + 5,6% rispetto al 2006). La situazione è
analoga per quanto riguarda l’andamento degli infortuni mortali.
Questo ultimo aspetto evidenzia come precarietà e insicurezza possano rappresentare un
drammatico connubio. A tale proposito si riporta una considerazione del sociologo Luciano
Gallino: “La frammentazione pianificata dei processi produttivi in imprese e squadre di
lavoro sempre più piccole, collegate da lunghe catene di esternalizzazioni a cascata e
sub-appalti, disincentiva la formazione alla sicurezza. E in molti casi la rende tecnicamente
inattuabile … Allo stesso effetto operano i contratti di lavoro atipici, in specie quelli con
durata di pochi mesi … Il tempo e la stabilità dell’occupazione sono indispensabili per la
formazione alla sicurezza”. (G. Pagliarini, P.Repetto, 2008, p35)
L’INAIL rileva che il bilancio infortunistico per l’anno 2007 si presenta migliore rispetto a
quello dell’anno precedente, sia per l’andamento generale del fenomeno, con una
flessione dell’1,7% degli infortuni denunciati che per il numero degli infortuni mortali che
sono stati del 10% inferiori al 2006.
L’analisi tendenziale di medio periodo, che prende in considerazione gli anni dal 2001 al
2007, conferma l’ andamento decrescente del fenomeno infortunistico, con un tasso medio
annuo di variazione pari a – 1,8%.
A conclusione di questa breve rassegna sui dati infortunistici, occorre ricordare che la
stessa INAIL sottolinea che in Italia si stimano almeno 200.000 infortuni all’anno mai
denunciati. Ciò dipende soprattutto dalla grande diffusione del lavoro nero e irregolare. Per
tale ragione, nonostante i dati ufficiali sugli infortuni totali siano in flessione, è importante
mantenere l’attenzione sul dato certo, quello del numero delle morti bianche che,
comportando inevitabilmente la denuncia, è da considerarsi il riferimento più attendibile.
2.3 Il sistema di rilevazione nell’Unione Europea
In sede comunitaria, i dati relativi agli infortuni sul lavoro sono elaborati dall’Eurostat,
l’Ufficio di statistica dell’Unione Europea.
Ad oggi, le analisi fornite dall’istituto risentono della differente modalità con cui i diversi
Paesi dell’Unione rilevano gli infortuni (fonti assicurative vs fonti sanitarie) ed anche i
diversi criteri di inclusione utilizzati (ad esempio, inclusione vs esclusione di settori
produttivi e tipologie di evento). Ciò determina un’oggettiva incomparabilità dei dati relativi
alle diverse nazioni dell’Unione; se questo potrebbe non essere un problema per chi è
25
interessato solo a stilare estemporanee e poco significative “classifiche”, rappresenta
certamente un ostacolo per una ben più produttiva analisi delle differenze che si possono
riscontrare fra Paesi che in materia applicano legislazioni con caratteristiche differenti.
Al fine di uniformare i dati e poter contare su una effettiva loro comparabilità, è stato
elaborato un protocollo, denominato ERAW (European Statistics on Accident at Work)
che, oltre a permettere di elaborare statistiche nazionali confrontabili fra loro, introduce
anche grandi novità. In primo luogo, questo protocollo, è stato pensato ai fini della
prevenzione degli infortuni, con l’obiettivo di utilizzare codici riconosciuti e definiti a livello
europeo per la registrazione dei dati. L’infortunio è il risultato del susseguirsi di più
avvenimenti diversi, fra loro collegati, il cui studio rappresenta un passo importante per
l’individuazione dei fattori di rischio rilevante e la conseguente elaborazione di congrue ed
efficaci strategie di prevenzione.
Le variabili contemplate dal protocollo per la descrizione dell’evento infortunistico
consentiranno infatti di rendersi conto con precisione delle cause degli incidenti e quindi di
progettare gli interventi più idonei ad evitarli. Le variabili previste sono otto e vanno dal tipo
di luogo al tipo di lavoro, presentando, ognuna di esse, ulteriori tre livelli per la descrizione
dell’evento traumatico. Inoltre è stata aggiunta la variabile “deviazione” che specifica come
si è verificato l’infortunio e quella “contatto” che descrive l’elemento che ha provocato la
lesione11.
Il modello ESAW, dopo una fase di monitoraggio e validazione dei dati durata alcuni anni,
è gia operativo ed anche l’INAIL sta riorganizzando la propria banca dati statistica.
2.4 Le malattie professionali
Una particolare attenzione deve essere posta nella prevenzione delle malattie
professionali perché, sia per numero che per gravità per la salute dei lavoratori,
rappresentano un costo umano, sociale ed economico al pari degli infortuni sul lavoro.
La conoscenza delle malattie professionali risente delle criticità del sistema informativo ad
esse dedicato; i dati pubblicati rappresentano la punta di un iceberg di dimensioni
complessivamente non note. I dati esistenti sono conseguentemente rappresentativi solo
di una parte dell’”universo” che riguarda tali patologie. La malattia professionale, nella sua
11
Per un approfondimento si rimanda ad un’interessante applicazione della codifica ERAW effettuata
dall’ASL T01 – Direzione Sanità, Prevenzione Sanitaria ambienti di vita e di lavoro della Regione Piemonte
nel marzo 2007. Lo studio ha interessato 1.441 aziende impegnate nei cantieri edili attivi in quel periodo
nella città di Torino e sono stati individuati e definiti 4 principali gruppi di dinamiche: vittima in movimento
(40% degli eventi), manipolazione oggetti (20%), trasporto manuale (20%) e uso di utensili .
26
manifestazione clinica e di esiti, si caratterizza per i lunghi tempi che intercorrono tra il
contatto con il fattore e la diagnosi. Questo determina una notevole incidenza dei casi
ancora indeterminati nel complesso dei dati disponibili. Il Ministero della Salute ha
finanziato uno specifico progetto per il miglioramento del sistema informativo destinato a
colmare il deficit conoscitivo e per indirizzare adeguatamente le azioni di riduzione del
numero e della gravità di tali patologie.
Le malattie professionali denunciate all’INAIL nel 2007 sono state 28.619, con un
incremento, rispetto al 2006, del 7%.
Al primo posto fra le malattie professionali denunciate si confermano ipoacusia e sordità
(circa 6.000 denunce), malattie dell’apparato respiratorio (asma bronchiale allergica e
bronchite cronica professionale) e si rileva un aumento consistente (le denunce sono
quasi raddoppiate nell’ultimo quinquennio) delle malattie muscolo scheletriche: tendiniti,
affezioni dei dischi intervertebrali, artrosi e sindrome del tunnel carpale. In aumento anche
le neoplasie ed altre forme tumorali.12
Per malattia professionale si intende una patologia che si sviluppa a causa della presenza
di stimoli nocivi nell’ambiente di lavoro. Gli agenti responsabili sono tantissimi e spesso i
lavoratori sono esposti alla loro azione senza conoscere i rischi a cui vanno incontro ed i
cui effetti si notano dopo decenni il loro utilizzo. Altri fattori di rischio sono legati
all’organizzazione del lavoro, campo in cui il fattore umano ormai riveste un ruolo
marginale, che si possono riassumere in:
ƒ
ambienti di lavoro carenti dal punto di vista igienico o sovraffollati;
ƒ
ritmi di lavoro elevati e mansioni ripetitive;
ƒ
scarsa manutenzione degli impianti.
Dal punto di vista legislativo esiste in Italia dal 1965 un’assicurazione obbligatoria, come
per gli infortuni, ed un elenco delle malattie riconosciute con causa professionale; è
possibile inoltre ottenere un risarcimento anche per le malattie non previste nell’elenco ma
per cui sia dimostrabile una chiara correlazione tra patologia e attività lavorativa.
Il sistema di tutela perciò è “misto”. Le malattie professionali “tabellate” sono quelle
contratte nell’esercizio ed a causa delle lavorazioni specificate in apposite tabelle definite
per legge dello Stato13.Le malattie professionali “non tabellate” sono appunto quelli per le
12
13
Fonte “DATI INAIL”, settembre 2008
Il D.P.R. 336/94 presenta tali tabelle, con l’indicazione delle lavorazioni e delle malattie professionali.
27
quali il lavoratore riesce a dimostrare che la causa consiste nella lavorazione a cui è
addetto14.
Nel luglio 2008 un intervento istituzionale ha sancito l’emanazione delle nuove tabelle, con
l’inserimento delle principali malattie “non tabellate” fra quelle “tabellate”, individuando
nuove voci per l’industria e riducendo il numero di quelle per l’agricoltura15.
Le nuove tabelle conservano la precedente struttura, ovvero la suddivisione fra malattie,
lavorazioni e periodo massimo di indennizzabilità, nelle quali le malattie sono disposte in
ragione degli agenti causali. L’elenco prevede in sequenza le malattie da agenti chimici,
quelle dell’apparato respiratorio, quelle della pelle non descritte in altre voci e, infine,
quelle da agenti fisici. Per ciascuna voce sono indicate malattie specifiche, prevedendo
altresì, per la maggior parte degli agenti, la possibilità della voce aggiuntiva “altre malattie
causate dall’esposizione professionale a…” nella quale potranno essere ricompresse
eventuali altre patologie che la scienza medica, nel tempo, dovesse considerare ascrivibili
allo stesso agente.
A seguire si riportano le descrizioni (ed anche sintomi, agente causale e prevenzione) di
alcune delle patologie che, come si è visto, hanno una maggiore incidenza. In relazione
all’aspetto della prevenzione, nelle brevi schede che seguono,
sono indicati anche i
dispositivi di protezione individuale il cui utilizzo può risultare molto importante per evitare
malattie spesso irreversibili.
ƒ
Sordità e Ipoacusia
Il rumore è spesso presente in ogni ambito della nostra società ed anche in ambiente
lavorativo. Agendo sulle strutture dell’orecchio interno, provoca danni che possono essere
temporanei o permanenti in base all’intensità o alla durata dello stimolo fino a provocare la
perdita irreversibile dell’udito.
Inizialmente si ha un deterioramento delle cellule che codificano le alte frequenze;
prolungando l’esposizione vengono colpite quelle che rispondono alle basse frequenze
manifestando così difficoltà nel percepire anche il linguaggio parlato.
Nel campo della prevenzione, la vigente normativa impone, nel documento di valutazione
di rischi, una valutazione del rischio rumore da parte del datore di lavoro16 che viene fatta
misurando il livello sonoro nell’ambiente di lavoro e calcolando i livelli di esposizione
14
E’stata la sentenza della Corte Costituzionale n.179/88 ad introdurre la possibilità che “esistano” malattie
professionali al di fuori di quelle espressamente previste per legge e che, quindi, anch’esse vengano
eventualmente indennizzate.
15
La riduzione delle voci in agricoltura è da ricondurre all’esclusione di alcuni agenti chimici il cui utilizzo è
stato vietato negli ultimi anni.
16
Introdotta dal D.Lgs 277/91
28
personale. In rapporto ai dati rilevati, sono individuati i dispositivi di protezione individuale
da mettere a disposizione ai lavoratori esposti, quali cuffie, inserti auricolari, ecc.
ƒ
Apparato respiratorio - Asma bronchiale allergica
L’asma è una patologia che si contraddistingue per il ripetersi di crisi di dispnea dovute a
uno stato infiammatorio delle vie respiratorie. Si parla di “asma professionale” nel caso in
cui si accerti che tale malattia è provocata dall’inalazione di determinati composti
nell’ambiente di lavoro. L’insorgenza della malattia aumenta con l’intensità e la durata
dell’esposizione all’agente sensibilizzante. La gravità dell’affezione può, talvolta, rendere
necessario l’allontanamento dal luogo di lavoro.
In termini di prevenzione sono previsti dalla valutazione dei rischi, oltre ad una adeguata
ventilazione dei locali e l’installazione di impianti di aspirazione per eliminare polveri e
vapori tossici, il controllo della concentrazione delle sostanze sensibilizzanti nell’ambiente
di lavoro e la messa a disposizione dei lavoratori di dispositivi di protezione individuale
quali mascherine, tute, ecc.
ƒ
Apparato respiratorio – bronchite cronica professionale
La bronchite cronica è una patologia infiammatoria della mucosa dei bronchi, con sintomi
che sono presenti per diversi giorni, più volte all’anno. La malattia progredisce lentamente
e può portare a insufficienza respiratoria. I sintomi sono caratterizzati da tosse
accompagnata da escreto abbondante e da dispnea che si aggrava sotto sforzo. Tra gli
agenti causali in ambito professionale compaiono gas, vapori e polveri contenenti agenti
irritanti tra i quali ammoniaca, acetone, polvere di grano, cotone e carbone. La
prevenzione si concretizza con il rispetto delle norme vigenti in materia in relazione
all’ambiente di lavoro, con il controllo delle concentrazioni degli agenti irritanti e loro
allontanamento mediante sistemi di ventilazione e aspirazione e con l’utilizzo da parte dei
lavoratori dei dispositivi di protezione individuale idonei (mascherine, etc.).
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“Un lavoratore consapevole del rischio che va ad
affrontare, volendo potrebbe rifiutarsi di eseguire un
incarico pericoloso. Ma a pericolo identificato si pensa
alla famiglia, non si vuole mettere a rischio il posto di
lavoro considerando quanto è difficile oggi trovarne uno.”
Pietro Mirabelli, operaio RLS del cantiere TAV Bologna-Firenze
CAPITOLO 3 -
IL COMPORTAMENTO SICURO
3.1 Definizioni: rischio, pericolo, errori, violazioni
Gli infortuni non sono necessari: questo deve, necessariamente, rappresentare il punto di
partenza per parlare di prevenzione e sicurezza sul lavoro. Il pericolo è sempre presente e
tutti, lavorando, dobbiamo affrontarlo; la natura del problema è fare in modo che questi
pericoli non si trasformino in infortuni.
Le attività lavorative presentano differenti potenziali di rischio in rapporto all’attività svolta,
agli impianti, ai macchinari, etc. ma la probabilità di andare incontro ad un infortunio è solo
in parte funzione della pericolosità obiettiva. Tra i fattori generatori di rischio vi sono le
inadempienze da parte delle aziende rispetto alle normative vigenti e la sottovalutazione
da parte dei lavoratori dei rischi. Elevati ritmi di lavoro, turni, attività ripetitive ed altre
variabili organizzative possono provocare la perdita di concentrazione, cali di attenzione e
la tendenza ad evitare l’utilizzo di dispositivi di protezione per manovrare più agevolmente;
le conseguenze possono risultare la messa in atto di comportamenti rischiosi.
Spesso si impiegano i termini rischio e pericolo come sinonimi; in realtà, questi vocaboli
hanno rispettivamente un significato ben preciso. Nella lingua inglese esistono due termini
per indicare il concetto di sicurezza: safety e security. Essere al sicuro e sentirsi sicuro
sono in una relazione non semplice da indagare. Il pericolo è una condizione obiettiva
nella quale un individuo subisce l’eventualità di un danno; una situazione pericolosa
rimane tale anche cambiando gli individui che vi operano. La nozione di rischio è invece
interamente soggettiva, è una percezione dell’individuo. Non basta però che un lavoratore
conosca il pericolo perché se ne allontani automaticamente; psicologicamente, il rischio e
il sentimento di essere capaci di superare un pericolo senza conseguenze dannose stanno
alla base di moltissime iniziative umane. La distinzione tra individui spericolati e individui
prudenti è pertanto improduttiva; in realtà tutti gli esseri umani sono al tempo stesso
prudenti e imprudenti. L’analisi psicosociale del cosiddetto “comportamento pericoloso” ha
infatti permesso di individuare come la scelta di mettere in atto comportamenti pericolosi
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sia determinata dalla desiderabilità sociale di queste azioni; inoltre gli altri significativi,
quali la famiglia, i colleghi, il gruppo di lavoro, etc. variano da individuo a individuo17.
Il diverso livello di socializzazione individuale si è dimostrato quindi un fattore influente
nella determinazione del comportamento pericoloso.
Le concezioni sugli infortuni lavorativi sono così gradualmente passate dall’identificazione
della causa nel solo individuo e nell’attività svolta al riconoscimento di una multicasualità
dell’evento, fino alla più recente rappresentazione, di matrice sistemica, che mette al
centro dell’attenzione sistemi socio-tecnici complessi18. La relazione tra le caratteristiche
individuali e un comportamento sicuro è stata analizzata dagli studiosi da due prospettive
diverse: quelle della psicologia sociale e quella della psicologia cognitiva.
La psicologia cognitiva si concentra sull’errore umano nella prestazione come funzione
delle operazioni di elaborazione mentale (comprensione del compito, capacità, carico
mentale, pressione temporale, etc.); la psicologia sociale, invece, si concentra sulla
personalità, sugli atteggiamenti e sulle percezioni. Entrambe le tradizioni hanno portato un
contributo importante alla sicurezza lavorativa. In questa sede si intende presentare
unicamente i principali contributi della psicologia sociale per la comprensione dei
comportamenti a rischio.
Si ritiene comunque opportuno riportare una tassonomia, fra le diverse elaborate, in grado
di orientare tra la moltitudine di sbagli, dimenticanze, incertezze e imprecisioni che
caratterizzano il normale comportamento umano nel quotidiano.
Reason (1990) divide le azioni pericolose in due grandi categorie: le attività non
intenzionali e quelle intenzionali. Le azioni non intenzionali sono a loro volta divise in due
classi, gli slips e i lapses (dimenticanze) e le azioni intenzionali in mistakes (errori) e
violazioni.
Gli slips e i lapses vengono definiti come fallimenti riguardanti l’esecuzione e/o il deposito
in memoria di una sequenza d’azione. I mistakes invece vengono considerati come
deficienze o fallimenti nel criterio di giudizio e/o nei processi inferenziali (se, situazioneallora, azione) coinvolti nella selezione di un obiettivo, o nel modo per realizzarlo; si tratta
17
Nella situazione attuale del mondo del lavoro, caratterizzata dal passaggio da una classe lavoratrice
“garantita” ad una classe “atipica” costituita da un precariato diffuso, occorre non sottovalutare anche le
pressioni che possono essere esercitate da un clima di insicurezza che i lavoratori vivono in relazione al
mantenimento del posto di lavoro
18
Le conseguenze degli incidenti sul lavoro includono infatti, oltre ai danni al lavoratore, anche le perdite di
produzione, la rottura di modelli organizzativi di lavoro, i danni ai macchinari e le conseguenze economiche e
legali.
31
anche di noncuranza delle azioni necessarie per realizzare un obiettivo secondo un piano
prevedibile. Gli errori, quindi, sono riferiti esplicitamente al funzionamento cognitivo.
Slips, lapses e mistakes vengono definiti come tipici errori di base; collegati cioè al
contesto presente al momento e provengono dai fallimenti inferenziali, mnestici e
attentivi19.
Le violazioni, al contrario, non sono viste come guasti nel processo cognitivo normale,
come fallimenti nell’acquisizione delle informazioni ma come un rifiuto intenzionale delle
procedure e delle regole da parte del lavoratore come singolo o come gruppo. Il
sabotaggio è l’esempio più estremo di violazione di regole stabilite, ma le procedure
possono essere ignorate o non rispettate per molte altre ragioni e cioè senza avere
l’intenzione di causare un guasto, danni irreparabili o un grave danno a sé o agli altri.
Limitandosi a considerare, in questa sede, le violazioni intenzionali delle norme di
sicurezza, che rappresentano una quota rilevante nell’incidenza sul fenomeno
infortunistico, in questo capitolo si riporta una rassegna degli studi sui fattori psicosociali
coinvolti
nella spiegazione dei comportamenti a rischio in ambito lavorativo, con il
proposito di capire perché i lavoratori non aderiscano alle procedure di sicurezza e
adottino comportamenti pericolosi e per cercare di contribuire ad individuare le possibili
azioni più idonee da porre in
essere per determinare reali modificazioni dei
comportamenti dei lavoratori verso pratiche più sicure.
3.2 Dalle prime teorie agli approcci più recenti
“Non corre forse (chiedeva ansioso il senatore Tolain nella seduta del 12 marzo 1889 del
Senato francese) una grande differenza tra l’epoca in cui l’operaio era il padrone del suo
utensile, in cui lo dirigeva egli stesso e lo teneva in sua mano, e l’epoca in cui si è
19
Brown (1990) definisce un incidente come la “conseguenza non pianificata di un comportamento
improprio” e tale definizione mette in risalto l’importante distinzione tra il comportamento antecedente e le
sue conseguenze … una buona descrizione dell’episodio pericoloso o dell’incidente dovrebbe focalizzare
l’attenzione sulla situazione precedente (contesto, compito e caratteristiche dell’operatore), sull’avvenimento
determinante (ambientale o dovuto a manovra errata), sulle conseguenze (guasti, danni, interruzione del
lavoro, etc.) … tale descrizione dovrebbe confluire in un rapporto sugli incidenti nei sistemi di lavoro. La
maggior parte dei sistemi di descrizione e di documentazione degli incidenti sono invece spesso basati su
resoconti verbali e retrospettivi legati alla reazione che si ha verso l’accaduto piuttosto che tenere conto dei
quasi-errori e degli altri incidenti simili già capitati… la ricostruzione è affidata alla memoria e spesso le
analisi degli incidenti si trasformano nella ricerca di qualcuno da accusare piuttosto che concentrarsi sulla
complessità delle cause e sulle loro possibili combinazioni per produrre un effetto indesiderato (Nik Chmiel,
2000).
Ross (1977) chiamò l”errore fondamentale” attribuire alla persona ciò che invece è opera del contesto in cui
agisce… di chi è effettivamente la colpa: della persona o della situazione? … quale delle due è più
“correggibile”? Secondo Reason è meglio rivolgersi alla situazione perché non si può pensare di eliminare
del tutto l’errore umano … è utile spostare l’interesse dai singoli comportamenti ai contesti … (G.Cavadi e
S.Roncato, 2003).
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introdotto nell’industria il congegno meccanico, in cui l’operaio invece di essere l’arbitro del
suo strumento, più non è, per così dire, che un roteggio umano aggiunto alla macchina la
quale lo conduce e lo domina?”
E il dotto ingegnere Cheysson aggiungeva: “Quando il terrazziere lavora con la sua zappa
e con la sua vanga, il boscaiolo con la sua scure, lo strumento che gli sta in mano non è
che il prolungamento dei suoi organi, e si può ammettere ch’egli è responsabile. Ma
quanto diversa la situazione dell’operaio in un alto forno, o accanto a una caldaia, ad un
laminatoio, ad uno di quei formidabili congegni, ad una di quelle forze irresistibili, il cui
contatto è mortale!”.
In poche parole possiamo affermare che, nell’opinione generale, la grande industria
moderna ha notevolmente accresciuto i rischi di morte o di lesione per l’operaio.20
Già nell’800 si pubblicavano statistiche relative agli infortuni sul lavoro e le dissertazioni fra
studiosi e politici vertevano sull’analisi dei cambiamenti in atto nella società del lavoro
determinati dalla nascita dei grandi impianti industriali e dall’introduzione dei macchinari
sui quali il lavoratore non esercita più alcun controllo ma da questi è condotto e dominato.
I tentativi di ridurre gli eventi infortunistici sul lavoro sono indirizzati, fino alla fine del secolo
XIX, alla ricerca di soluzioni prevalentemente di carattere tecnologico per la messa in
sicurezza dei macchinari.
E’ solo a partire dagli anni ’20 del secolo scorso che sulle riviste scientifiche appaiono i
primi studi che fanno riferimento ad aspetti psicologici quali i cosiddetti “fattori di
predisposizione individuale agli infortuni”, assimilabile a un tratto di personalità, intesa
come una disposizione relativamente durevole; secondo questa idea certe persone sono
coinvolte in incidenti più frequentemente di altre. Questa semplificazione offriva una
soluzione immediata per la riduzione del tasso di infortuni: rimuovere queste persone da
certi ruoli lavorativi.
Se pure il concetto di “propensione all’infortunio” viene rapidamente abbandonato, anche a
causa delle critiche metodologiche rivolte alle ricerche empiriche effettuate per
dimostrarne la validità, l’introduzione nell’analisi degli infortuni di un fattore non tecnologico
rappresenta una svolta importante per la sensibilizzazione del mondo scientifico allo studio
del fenomeno anche da un punto di vista psicologico; Reason (1974) propose piuttosto di
ragionare in termini di momenti differenti nella vita delle persone durante i quali possono
verificarsi, con maggiore probabilità, eventi infortunistici (es. giovani e lavoratori inesperti).
20
Girolamo Boccardo, Gli infortuni sul lavoro – Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, Roma 1892 – Tip.
della Camera dei deputati
33
Questo approccio continua ad oggi, comunque, ad essere fortemente criticato in quanto
rischia di far sottovalutare l’importanza dei fattori situazionali.
Negli anni successivi si affermano studi psico-tecnici che, accanto a fattori individuali sia di
tipo socio demografico (età, sesso, etnia,etc.) sia di tipo fisiologico (destrezza, acuità
visiva, etc.), considerano fattori ambientali (illuminazione, temperatura, ecc) ed
organizzativi (turni, retribuzioni, incentivi, ecc) relativi ai luoghi di lavoro. Il limite di questi
studi, seppure già orientati ad un approccio multidimensionale, è quello di essere centrati
su una relazione causale diretta fra i fattori presi in considerazione e l’infortunio.
Alla fine degli anni ’40 il contributo della psicologia sociale ha consentito di includere negli
studi e nelle ricerche in materia di sicurezza anche fattori di natura specificamente psicosociale fino all’elaborazione, in anni recenti, di modelli multicausali per la spiegazione del
fenomeno infortunistico; l’infortunio è considerato come un sintomo del malfunzionamento
del sistema socio-tecnico costituito dall’interazione tra essere umano-macchina-ambiente
sociale.
E’ a partire da questo approccio che lo studio degli infortuni comincia a rivestire un
significato in termini di prevenzione, con l’obiettivo di intervenire per modificare gli elementi
che contribuiscono ai fallimenti dei sistemi tecnologici. Reason (ibidem), da un’analisi
dettagliata sui documenti della maggior parte dei disastri industriali avvenuti negli anni ‘70
e ’80, ha dimostrato che molte caratteristiche delle organizzazioni contribuiscono a questi
fallimenti dei sistemi tecnologici e complessi e che cercare di comprendere come rendere
sicuri tali ambienti implica molto di più dell’analisi dei motivi per cui gli individui
commettono errori e prendono parte ad azioni pericolose.
Alcuni studiosi (E.A. Dembe, J.B. Erickson, R.G. Delbos, 2004) hanno considerato il
complesso intreccio di fattori di rischio che possono avere come esito un infortunio: la
probabilità di incorrere in un incidente risulta dall’intersezione fra le caratteristiche
personali del lavoratore, il livello oggettivo di rischio della mansione (alcuni lavori sono più
pericolosi di altri), l’organizzazione del lavoro e le richieste che questa avanza (pressione
temporale, produttiva, etc.) senza prescindere dal considerare il contesto sociale,
economico e culturale.
Le ricerche sulle condizioni di sicurezza devono pertanto, al fine di migliorare la loro
capacità predittiva degli infortuni, essere orientate sia all’individuazione dei singoli fattori
facilitanti gli infortuni che interagiscono, sia a come questi possano esercitare azioni
concomitanti.
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Inoltre, secondo Reason, nelle organizzazioni, gli obiettivi di sicurezza e salute sono mal
bilanciati rispetto a quelli della produzione o, comunque, restano in secondo piano nel
quadro delle priorità di funzionamento del sistema. Inoltre gli obiettivi di produzione si
misurano facilmente, risultano molto visibili e, quando si raggiungono, sono ricompensati
positivamente; gli obiettivi di sicurezza, invece, sono misurati indirettamente, con l’assenza
di incidenti, e divengono socialmente visibili solo quando si verificano un incidente, un
quasi-incidente o un infortunio alle persone.
3.3 Alcuni fattori che influenzano il comportamento sicuro
Gli studi che mettono in relazione la sicurezza con variabili psicologiche, psicosociali e di
psicologia organizzativa sono numerosi e molti di questi si sono proposti di indagare sulle
possibili relazioni dirette fra diverse categorie di antecedenti e gli infortuni lavorativi: clima
organizzativo, leadership, atteggiamenti e comportamenti, percezione di controllo e locus
of control sono alcuni dei fattori considerati dai diversi autori le cui definizioni sono di
seguito riportate unitamente alle conclusioni emerse da alcune delle loro ricerche.
Clima di sicurezza, clima organizzativo, cultura organizzativa
Gli studi sul clima organizzativo si sono distinti tra loro in base al differente peso
assegnato all’ambiente, definiti come strutturali, alla persona, definiti come percettivi, o
all’interazione di questi due aspetti, definiti come interattivi.
I primi, da un punto di vista temporale, ad essere stati sviluppati sono stati gli approcci
strutturali; questi definiscono il clima come una caratteristica oggettiva che deriva da
aspetti concreti presenti in un’organizzazione. Forehand e Gilmer (1964) definiscono il
clima organizzativo come un insieme di caratteristiche che
a. descrivono un’organizzazione e la distinguono dalle altre
b. sono relativamente stabili nel tempo
c. influenzano il comportamento delle persone
Questi autori identificano anche una serie di variabili che operazionalizzano questo
concetto, quali le dimensioni del gruppo di lavoro, la struttura dell’ autorità, gli stili di
leadership, etc.
I principali limiti di questi approcci all’analisi del clima organizzativo, evidenziati nel tempo
da altri studi, sono:
il non aver considerato la presenza di differenti climi organizzativi all’interno di una stessa
organizzazione (e questo è in contraddizione con la centralità degli aspetti strutturali del
costrutto);
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il non aver attribuito importanza al diverso impatto che le variabili strutturali hanno sugli
individui e sui gruppi di lavoro, assumendo che questi siano in grado di percepire in modo
accurato e oggettivo i diversi fattori strutturali.
L’approccio percettivo, nell’attribuire centralità al lavoratore e alle sue percezioni delle
variabili ambientali, evidenzia a sua volta il limite di considerare l’influenza dell’ambiente
sugli individui senza valutare l’intervento attivo della persona sull’ambiente di lavoro.
L’approccio interattivo, differenziandosi dai precedenti, definisce il clima organizzativo
come una rappresentazione dell’ambiente condivisa dai membri di un’organizzazione. Il
clima è creato dallo scambio comunicativo fra le persone presenti in un’organizzazione.
Il costrutto di cultura organizzativa pone le sue radici nella sociologia e nell’antropologia.
Schein (1984) propone una definizione piuttosto completa del concetto di cultura
organizzativa: “ è l’insieme coerente degli assunti fondamentali che un dato gruppo ha
inventato, scoperto o sviluppato, imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento
esterno e di integrazione interna e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere
considerati valori e perciò tali da essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di
percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi”. (Schein, 1984, trad it. 1986).
Secondo questo studioso, la cultura non è costituita da idee astratte ma da risposte a
problemi concreti presenti in un’organizzazione ed è determinata dall’esperienze dei suoi
membri. Una cultura si forma sempre all’interno di un gruppo: tanto più questo è
omogeneo, stabile e con esperienze lunghe e intense, tanto più forte e articolata sarà la
sua cultura.
La cultura organizzativa si caratterizza quindi come un elemento stabile e resistente nel
tempo ma, in quanto risposta a problemi concreti, è anche in continua evoluzione,
costantemente aggiornata da valori e strategie che risultino adatti a nuovi problemi che si
possono presentare.
Questo approccio, seppure rappresenti uno dei più accreditati e utilizzati negli ambiti di
studio della cultura organizzativa e confermi una sua validità come schema interpretativo,
per alcuni studiosi non tiene in debita considerazione l’esistenza, che spesso si riscontra
nelle organizzazioni, di subculture e di molteplicità di punti di vista fluttuanti e a volte
ambigui. Un altro autore, Gideon Kunda (1992) sostiene che la funzione della cultura
organizzativa sia quella di controllare i membri di un’organizzazione al fine di eliminare il
confine esistente fra il sé individuale e l’impresa. Innes e Kummerow (1994) integrano il
ruolo della cultura organizzativa con la funzione di agevolare la familiarizzazione, da parte
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dei membri di un gruppo, di ciò che non è conosciuto e che quindi risulta di non facile
comprensione.
Le principali strategie adottate dai ricercatori per lo studio e la comprensione della cultura
organizzativa sono state principalmente tre (Depolo, 1998):
1. analizzare
i
processi
di
socializzazione
dei
nuovi
membri
all’interno
dell’organizzazione;
2. indagare le risposte date dai membri di un’organizzazione agli eventi critici
verificatesi in azienda;
3. studiare, attraverso interviste ai nuovi membri, la loro percezione della nuova
organizzazione.
Il confronto e il dibattito fra gli studiosi di cultura organizzativa è ancora molto vivace.
Un’asserzione di Smircich (1983) sintetizza la mancanza di una teoria condivisa: per
alcuni la cultura di un’organizzazione è una variabile interna (l’organizzazione ha una
cultura), per altri la cultura è una metafora che concettualizza l’organizzazione stessa
(l’organizzazione è una cultura).
Anche in relazione alle differenze rilevabili fra il concetto di clima organizzativo e cultura
organizzativa non vi è ancora unanimità di vedute. La più condivisa è quella che ne
sottolinea la differente radice: il concetto di clima ha una derivazione psicologica mentre
quella di cultura ha un’origine sociologica. Denison (1996) confrontando studi che si sono
occupati rispettivamente di clima e cultura, sostiene che questa distinzione in realtà non
esiste e che le differenze sono legate più a diverse interpretazioni degli autori delle diverse
teorie più che a reali differenze del fenomeno indagato.
La sicurezza all’interno dell’organizzazione
In alcuni settori industriali, caratterizzati dalla presenza di processi produttivi con elevati
livelli di pericolo, la sicurezza è concepita come un capitale importante e frequentemente,
in queste organizzazioni esistono condizioni culturali ed esigenze di fatto che facilitano la
progettazione di molti programmi (regole, procedure, addestramento, etc.) per aumentare
la sicurezza sul lavoro.
Dalle opere di molti studiosi e dalle numerose ricerche empiriche effettuate, è da tempo
emersa una forte relazione fra il successo dei programmi di sicurezza e il clima di
sicurezza presente in un’organizzazione; questo concetto ha origine ed è collegato ai
costrutti di clima organizzativo e di cultura organizzativa presentati nel paragrafo
precedente. Il clima di sicurezza si riferisce alle percezioni che i lavoratori hanno rispetto al
37
grado di impegno che la loro organizzazione manifesta verso i problemi della sicurezza.
Zohar (1980), in un suo studio, ha individuato, nelle organizzazioni con una bassa
percentuale di incidenti, alcune caratteristiche organizzative distintive:
a. il coinvolgimento personale della dirigenze e di altri manager in attività di sicurezza
(alto grado di priorità assegnato ai temi della sicurezza negli incontri direzionali e
nella pianificazione della produzione)
b. l’importanza data alla formazione alla sicurezza
c. l’esistenza di una comunicazione aperta e reciproca tra i livelli aziendali e un
frequente contatto fra il management e i lavoratori
d. un elevato livello di ordine nelle operazioni eseguite e l’ampia diffusione di
apparecchiature di sicurezza
Zohar ha così definito otto dimensioni del clima di sicurezza:
1. l’importanza della sicurezza nei programmi di formazione
2. gli atteggiamenti della direzione verso la sicurezza
3. la considerazione, per promozioni, incentivi e percorsi di carriera delle
condotte sicure;
4. il livello di rischio presente nel posto di lavoro
5. il ritmo delle richieste lavorative che hanno effetti sulla sicurezza
6. la presenza di un responsabile della sicurezza
7. gli effetti del comportamento sicuro sullo status sociale del lavoratore
8. la presenza e il funzionamento del comitato aziendale per la sicurezza.
Successivamente, diversi studiosi hanno proposto altre dimensioni costitutive del clima di
sicurezza. Ad oggi, i fattori principalmente privilegiati sono: la percezione dei lavoratori
sull’impegno della direzione per la sicurezza e il grado di coinvolgimento dei lavoratori sul
tema della sicurezza.
Il coinvolgimento della direzione nella sicurezza è, nel modello di spiegazione dei
comportamenti di sicurezza di alcuni studiosi (Cheyne, Cox, Oliver e Tomas, 1998), un
fattore primario insieme alla comunicazione sulla sicurezza. L’importanza che la direzione
assegna alla sicurezza in relazione agli altri obiettivi aziendali (sicurezza e produttività
possono infatti essere priorità ed obiettivi conflittuali, possono influenzare la percezione
che il lavoratore ha del bilanciamento tra le pressioni per la produzione e la sicurezza
individuale) (D.Zohar & G.Luria, 2005). Anche la percezione dei lavoratori di avere
accesso alle informazioni sulla sicurezza presenti in azienda e di essere in grado di
38
incoraggiare discussioni in materia (coinvolgimento) rende più probabile che si sviluppi un
buon clima di sicurezza.
L’attenzione della direzione verso il benessere del lavoratore e le azioni messe in atto al
fine di migliorarne il benessere sono, come si è visto, una determinante di un buon clima di
sicurezza.
Per comprendere come la leadership influenzi il clima all’interno di un’organizzazione è
necessario tenere in considerazione i differenti stili che la caratterizzano.
Zohar ha declinato, in relazione alle questioni di sicurezza, alcune differenti tipologie di
leadership: trasformazionale (transformational leadership), tesa ad affrontare i continui
cambiamenti dell’azienda, ad attribuire importanza al benessere dei lavoratori, a motivarli,
ad andare incontro ai loro bisogni e ad aiutarli a raggiungimento delle loro potenzialità e la
leadership transazionale (transactional leadership) tesa piuttosto al raggiungimento degli
obiettivi in un momento dato più che a soddisfare i bisogni dei lavoratori e a pianificare
miglioramenti per il futuro.
Bass e Avolio hanno proposto una ulteriore distinzione all’interno della tipologia
transazionale, sulla base del grado di importanza attribuito alla salute del lavoratore:
leadership correttiva, che si esercita principalmente attraverso azioni di monitoraggio e
correzione degli errori dei lavoratori e implica un basso interesse nei confronti della
sicurezza dei lavoratori, leadership costruttiva, che si esercita principalmente attraverso
pratiche di ricompensa ed implica un livello medio di attenzione nei confronti della
sicurezza dei lavoratori e leadership laissez faire, che comporta una blanda assunzione di
responsabilità nell’esercizio del ruolo di supervisore implicando un basso livello di
interesse nei confronti del lavoratore.
I risultati di studi condotti in relazione agli effetti che esercita lo stile di leadership sul clima
di sicurezza hanno dimostrato che sia la leadership trasformazionale che quella
transazionale costruttiva sono positivamente associate ad un buon clima di sicurezza,
mentre gli stili correttivo e laissez faire sono negativamente associate al clima di
sicurezza.
Il clima di sicurezza e gli infortuni
Un altro filone di ricerche ha preso in esame il clima di sicurezza e la messa in atto di
comportamenti sicuri ed i risultati degli studi condotti sono abbastanza univoci nel
confermare che esiste una relazione diretta: complessivamente, nelle aziende
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caratterizzate da un buon clima di sicurezza si registrano tassi di infortuni minori rispetto
alle aziende dove questo fattore riporta livelli più bassi21.
Negli anni numerosi studi e ricerche hanno posto in relazione il tasso di infortuni nelle
imprese con il clima di sicurezza; in sintesi, i risultati emersi sembrano indicare che il
clima di sicurezza che i lavoratori “respirano” all’interno delle organizzazioni costituisca
l’orizzonte normativo reale (al di là di quello formale) e che questo rappresenti la regola a
cui l’effettiva condotta dei singoli e dei gruppi deve attenersi.
Per questa ragione è plausibile affermare che il clima di sicurezza ricopra un importante
ruolo di “sfondo” rispetto ad altri fattori che interagiscono e che saranno presi in
considerazione in seguito.
Gli atteggiamenti verso la sicurezza
Gli atteggiamenti individuali dei lavoratori verso la sicurezza che, come affermato in
precedenza, sono uno dei fattori che incidono sulla qualità del clima di sicurezza all’interno
di un’organizzazione, sono stati oggetto di ricerche da parte degli studiosi di psicologia
sociale e, nel corso degli anni, molti autori hanno fornito diverse definizioni del costrutto di
atteggiamento. Per compendiare le diverse interpretazioni, si può definire l’atteggiamento
come l’orientamento, positivo o negativo, di una persona verso un determinato oggetto
sociale (Eagly e Chaiken, 1993); la rappresentazione che un individuo si forma su ciò che
lo circonda non è una semplice descrizione di cose, fatti o persone ma è soprattutto una
valutazione su quanto è presente nel suo mondo sociale. Una delle concettualizzazioni
oggi più consolidate, il cosiddetto Modello tripartito, vede il costrutto psicologico di
atteggiamento come costituito da tre componenti: la componente cognitiva, ovvero le
credenze positive o negative che gli individui possiedono in relazione ad un determinato
oggetto, la componente affettiva, che riguarda le emozioni, positive o negative, che
l’oggetto suscita e la componente comportamentale.
L’orientamento verso un determinato oggetto sociale può, semplificando, formarsi
attraverso
tre
modalità
principali:
attraverso
l’esperienza
diretta,
l’osservazione
dell’esperienza altrui e la comunicazione. Un atteggiamento risultante dall’esperienza
diretta sarà costituito da una forte associazione, depositata nella memoria e caratterizzata
da una maggiore o minore accessibilità, fra l’oggetto e la sua valutazione; la forza di
21
questa correlazione risulta molto meno significativa quando il rischio oggettivo sia legato ad un particolare
tipo di lavoro o di mansione.
40
questa associazione sarà via via inferiore nel caso in cui sia stata memorizzata mediante
l’osservazione dell’esperienza altrui o come frutto della comunicazione.
Gli psicologi sociali hanno riservato una particolare attenzione al costrutto di
atteggiamento ritenendo che questo possa essere considerato un antecedente del
comportamento e quindi utile al fine di spiegare il comportamento umano in termini
scientifici; questo interesse è aumentato negli ultimi anni soprattutto in rapporto alle
possibilità che questi studi sugli atteggiamenti offrivano per capire come indurre
cambiamenti nei comportamenti (ad esempio i comportamenti di acquisto).
Gli atteggiamenti però non sono osservabili; possono essere indagati attraverso le risposte
delle persone o i loro comportamenti e da questi indicatori risalire alla valutazione
dell’individuo nei confronti di un dato oggetto. Gli studiosi hanno messo a punto scale per
la misurazione degli atteggiamenti per poter tradurre in un punteggio la posizione di un
individuo e sviluppare ricerche che producano risultati quantificabili e confrontabili.
Al ruolo svolto dagli atteggiamenti nella messa in atto dei comportamenti e al loro
potenziale predittivo è dedicato il capitolo successivo che riporta il dibattito fra gli studiosi,
le principali teorie elaborate ed alcune ricerche effettuate.
Percezione di controllo e locus of control
La probabilità di mettere in atto comportamenti sicuri da parte di un individuo è, secondo
alcuni autori, in relazione con l’idea che le persone maturano sulla possibilità di incidere
sulla realtà che li circonda, cioè con il grado di controllo che ritengono di poter esercitare
sia in relazione ad una specifica situazione sia come orientamento personale.
Dal punto di vista situazionale e più specificamente in ambito lavorativo, Averill (1973) ha
individuato,
in
relazione
al
controllo
sulla
sicurezza,
tre
dimensioni:
controllo
comportamentale (la possibilità concreta di mettere in atto azioni dirette a influenzare la
propria sicurezza), controllo cognitivo (la possibilità che l’importanza assegnata dal
lavoratore alla sicurezza influenzi l’orientamento generale) e controllo decisionale (cioè il
grado di libertà di scelta che il lavoratore sente di avere sulle pratiche di sicurezza).
Queste dimensioni sono state rilevate, nell’ambito di ricerche in contesti lavorativi,
attraverso l’accordo/disaccordo con affermazioni quali: “so che il mio atteggiamento riveste
un ruolo importante per lavorare in sicurezza” o “il rischio associato ad un determinato
evento può essere ridotto grazie all’utilizzo di specifici equipaggiamenti”, etc.
Alcuni studi hanno mostrato che all’aumentare della percezione di controllo da parte dei
lavoratori è associata una maggiore frequenza della messa in atto di comportamenti sicuri
41
ed una riduzione degli infortuni autoriportati. Questo modello ha inoltre evidenziato che
una buona qualità delle politiche e dei programmi per la sicurezza all’interno di
un’organizzazione aumenta la percezione del grado di controllo che i lavoratori ritengono
di avere nel loro ambito lavorativo.
In relazione al grado di controllo come orientamento personale si definisce con il termine
locus of control la propensione ad attribuire la causalità degli eventi occorsi, positivi o
negativi, all’interno (quindi alla propria volontà, responsabilità, determinazione, impegno,
etc.) o all’esterno (agli altri, alla situazione, al fato, al caso, etc.).
Le numerose ricerche che hanno indagato, in ambito di sicurezza sul lavoro, la relazione
fra questa differente propensione all’attribuzione interna od esterna da parte delle persone
della causa degli accadimenti, hanno evidenziato risultati non omogenei; seppure questi
studi hanno consentito di tracciare differenti profili di lavoratore, non è stato possibile
metterli univocamente in relazione diretta con il fenomeno infortunistico.
Altri studi
Nel 1991 Cox e Cox hanno studiato, all’interno di una grande azienda europea, gli
atteggiamenti dei lavoratori verso la sicurezza. Al termine della ricerca gli autori hanno
individuato alcuni fattori in base ai quali potevano essere strutturati i dati emersi e fra
questi hanno evidenziato in particolare: lo scetticismo personale, che comprende
percezioni improntate al cinismo e svalutative dell’importanza della sicurezza, la
responsabilità individuale, che mette in risalto l’impegno diretto che le persone sentono di
avere per lavorare in sicurezza e l’immunità personale, che esprime la credenza che gli
incidenti possano non riguardare l’interessato ed essere evitati in base all’expertise
personale e all’esperienza posseduta. Questo ultimo aspetto rientra nella più generale
tendenza, generalizzata nelle persone, a sottovalutare la probabilità che eventi negativi
possano accadere, nel futuro, proprio a loro stesse.
Un altro autore, Dejoy (1986), cercando di progettare delle strategie educative riguardanti
la salute nei contesti lavorativi, ha delineato tre categorie di fattori, compatibili con quelle
individuate dai Cox, che rivestono un ruolo di rilevo nella costruzione di una condotta
sicura da parte delle persone: fattori predisponenti, che riguardano le caratteristiche
personali come le credenze, gli atteggiamenti, i valori e le percezioni relative al
comportamento autoprotettivo, fattori abilitanti, che si riferiscono alle caratteristiche
dell’ambiente di lavoro che possono promuovere (informazione e formazione) o, al
contrario,
rendere impraticabile un comportamento sicuro e fattori rinforzanti, che
42
riguardano le ricompense o le punizioni, come conseguenza del comportamento adottato,
elargite o comminate da parte dei dirigenti.
3.4 La formazione alla sicurezza
Alla formazione alla sicurezza il D.Lgs 81/08 assegna particolare rilievo, definendolo un
processo
educativo
da
indirizzare
all’insieme
delle
figure
aziendali
coinvolte.
L’acquisizione della competenza è, in complessi sistemi socio-tecnici come le imprese, un
elemento sociale; la stessa persona, se inserita in contesti diversi, esprime un grado di
competenza differente in quanto trova differenti risorse a supporto della propria
prestazione. In una organizzazione o gruppo di lavoro, le risorse di ciascuno –
conoscenze, esperienze, attitudini, ecc – si integrano dando vita a un’inedita competenza
di rete (Le Boterf, 1999).
Inoltre, la competenza è talvolta trasversale a molti compiti e situazioni; il “saper fare bene
una tal cosa” deve essere integrato con il saper apprendere, il saper comunicare, saper
trovare risorse per operare, ecc. (Mearns, Flin e O’Connor, 2000).
Alcuni studiosi hanno indagato gli effetti della formazione al fine di valutarne l’efficacia
sulla messa in atto di comportamenti sicuri; sono state condotte ricerche con disegni
longitudinali, cioè confrontando il tasso di infortuni o il numero di comportamenti di
prevenzione adottati dai lavoratori prima e dopo l’intervento formativo ed altri con disegni
trasversali, indagando la medesima relazione ma tra lavoratori che hanno partecipato ad
attività formative ed altri che non vi hanno avuto accesso.
Uno studio di Burke, Sarpy, Tesluk e Smith Crowe (2002), effettuato presso quattro
organizzazioni inglesi, ha indagato la relazione tra le conoscenze acquisite attraverso
attività formative (approfondite vs vaste) e i comportamenti, rilevando che la profondità
delle conoscenze, rispetto alla loro vastità, è superiore nel predire comportamenti sicuri.
Un altro studio, condotto da Lingard (2002) in 25 piccole imprese edili australiane, ha
evidenziato che la formazione, in questa indagine sul primo soccorso, ha prodotto
cambiamenti di comportamento, una maggiore consapevolezza dell’interdipendenza con
gli altri e una diminuzione della tolleranza dell’esistenza di situazioni di rischio.
Se da queste ricerche emerge un effettivo incremento delle azioni di sicurezza a seguito
della frequenza ad attività formative in materia, occorre però osservare che non si tratta
sempre di cambiamenti veramente rilevanti e, in particolare, gli effetti riscontrati non sono
stabili nel tempo. L’effetto della formazione sul concreto cambiamento dei comportamenti
43
appare condizionato da altri fattori che possono essere riassunti nel clima di sicurezza; il
processo di formazione, infatti, si colloca all’interno del contesto lavorativo ed è quindi in
relazione con il clima di sicurezza che in esso si sviluppa.
Formare alla sicurezza, alla salute e alla prevenzione significa quindi apportare un
profondo cambiamento culturale all’interno delle organizzazioni; non deve essere un
momento sporadico di intervento ma un percorso interno e integrato con il sistema
organizzativo, andando al di là della soddisfazione degli obblighi di legge per definire un
processo che parta dall’individuazione dei bisogni formativi e si concluda con la
valutazione dell’efficacia. Anche la sempre crescente diffusione di forme contrattuali
atipiche, caratterizzate da periodi brevi di presenza in impresa, è certamente un fattore
che contribuisce a rendere poco applicabile e scarsamente efficace l’attività formativa.
Dai risultati delle diverse ricerche non sono emerse indicazioni su quali tecniche formative
possano risultare più efficaci per garantire una stabilità dell’apprendimento nel tempo ed
una reale modificazione dei comportamenti di sicurezza. E’ possibile però identificare
almeno tre parametri che, di fatto, si ritrovano in ogni azione formativa: lo stile di
conduzione del momento formativo (accademico-frontale, attivo-in interazione), il focus
dell’azione formativa (sui contenuti, per far conoscere informazioni, o sui processi, per far
acquisire strategie di apprendimento) e il livello di strutturazione (aver definito con
precisione momenti e sequenze o lasciare che sia la situazione contingente a guidare lo
svolgimento dell’azione formativa). Una volta definito il tipo di azione, si potranno scegliere
le metodologie utili al raggiungimento degli specifici obiettivi didattici; l’appropriatezza dei
metodi è infatti da mettere in relazione con gli obiettivi didattici ed anche con le
caratteristiche dei partecipanti, i vincoli di tempo, le risorse, ecc.(Bisio e Favarano, 2003).
3.5 L’influenza delle caratteristiche socio-demografiche
Età anagrafica, anzianità di servizio e livello di istruzione sono alcune delle caratteristiche
socio-demografiche oggetto di numerose ricerche finalizzate ad individuare eventuali
correlazioni con il numero e la gravità degli infortuni sul lavoro.
I risultati di queste ricerche, in particolare quelle che hanno indagato la relazione fra età
anagrafica e infortuni, hanno evidenziato risultati non omogenei. Ad esempio, in alcuni
studi è emerso un maggior numero di infortuni a carico dei lavoratori più giovani, attribuito
alla scarsa esperienza maturata in ambito lavorativo; in altri, l’anzianità è risultata un
predittore significativo di sintomi psicologici, quali tensione, ansia e tristezza, unitamente a
44
quelli fisici come nausea, insonnia, cefalea e dolori osteoarticolari che possono aumentare
la probabilità di incorrere in infortuni.
Altri fattori, la cui relazione con i comportamenti di sicurezza è, ad oggi, poco indagata,
quali il livello di istruzione, la motivazione, la soddisfazione lavorativa ed il livello di
responsabilità della mansione, possono risultare delle variabili rilevanti da tenere in
considerazione per ulteriori ricerche sulla sicurezza in ambito lavorativo.
45
“Mio fratello era scrupolosissimo e amava il suo lavoro, si
sentiva utile, perché senza manutentori i treni non
possono viaggiare. Quella notte aveva alle spalle già 11
ore di lavoro; quando è stato chiamato domandò se
poteva evitare di andare. Il capo gli disse: devi venire e
basta”.
Eileen Michelle Forsythe, sorella di Anthony Forsythe, morto sul
lavoro nel 2007
CAPITOLO 4 -
I PREDITTORI DEI COMPORTAMENTI A RISCHIO
4.1 Il quadro teorico
Nel capitolo precedente si è parlato del costrutto di atteggiamento, riportando una sintesi
delle numerose definizioni proposte dagli studiosi, del modo attraverso il quale si può
formare, della forza di questa associazione fra un oggetto sociale e la sua valutazione,
dell’accessibilità e del grado di sicurezza che può caratterizzarlo.
I primi studi che presero in considerazione l’atteggiamento come antecedente del
comportamento, risalgono agli anni ’30 (La Piere, 1934); le prime prove empiriche, come
anche le successive fino alla fine degli anni ’60, mostrarono una scarsa coerenza fra
l’atteggiamento nei confronti di un dato oggetto sociale ed il comportamento riferito o
osservato, riportando correlazioni basse e molto variabili fra le due misure.
L’idea che le persone si comportino in modo indipendente da come la pensano non era
però sostenibile; gli studiosi cercarono così di capire a quali condizioni la relazione fra
atteggiamento e comportamento potesse risultare significativa.
Fishbein e Ajzen, individuarono, quali limiti delle ricerche svolte, alcune questioni di
natura metodologica e suggerirono l’ipotesi che altri fattori, non indagati, potessero
svolgere un ruolo di moderazione tra atteggiamento e comportamento.
Secondo questi studiosi, molte delle ricerche effettuate, avevano considerato i due
costrutti ad un differente livello di specificità; frequentemente gli atteggiamenti erano stati
analizzati in termini generali (ad esempio, l’atteggiamento su temi molto “ampi” come
ecologia, inquinamento, etc.) mentre i comportamenti indagati erano molto più specifici
(riguardavano cioè precise azioni poste in essere). I due autori sostennero la necessità di
rispettare il “principio di compatibilità” fra i due indicatori e questo permise, negli studi
successivi, di rilevare una maggiore correlazione fra i due costrutti.
I fattori che svolgono un ruolo di moderazione sono invece quelle variabili che, modulando
gli indicatori, consentono di stabilire le condizioni nelle quali la relazione risulta più
46
significativa; ad esempio, in relazione all’atteggiamento, la sua capacità predittiva del
comportamento aumenta quando questo si è formato per esperienza diretta, è accessibile
in memoria, è espresso con un buon livello di sicurezza, può cioè essere definito un
atteggiamento stabile.
Fra le numerose teorie che sono state elaborate sulla relazione fra atteggiamenti e
comportamenti, è di particolare interesse quella elaborata proprio da Fishbein e Ajzen nel
1975. La loro proposta concettuale, che prende il nome di Teoria dell’Azione Ragionata,
integra il costrutto di atteggiamento con altri importanti fattori per poter continuare a
considerare ovvio che la razionalità sia il motore dell’agire umano. Secondo gli autori i
comportamenti delle persone sono, in primis, frutto dell’intenzione di metterli in atto;
l’intenzione di intraprendere un determinato comportamento è originata, a sua volta, dalle
credenze dell’individuo circa le conseguenze del suo agire, unitamente ad una sua
valutazione degli esiti. L’atteggiamento di una persona nei confronti di un tema
considerato in maniera generica (ad esempio, la sicurezza sul lavoro) rappresenta il
contesto valutativo (di favore o sfavore verso la questione) entro il quale l’individuo prende
in considerazione le conseguenze, positive o negative, della messa in atto di un
comportamento specifico (ad esempio, indossare i dispositivi di protezione individuale);
sarebbe quindi, secondo gli autori, una determinante dell’intenzione non tanto
l’atteggiamento generico verso la sicurezza sul lavoro, quanto l’atteggiamento verso lo
specifico comportamento sicuro di adozione dei DPI e la valutazione delle sue
conseguenze. Un altro insieme di fattori presi in considerazione dalla Teoria dell’Azione
Ragionata sono il ruolo dell’ambiente sociale, che condiziona l’agire individuale e fornisce
norme condivise e la personale motivazione a corrispondere alle aspettative dei gruppi di
riferimento in termini di adeguatezza dei comportamenti alle diverse situazioni. In ambito
lavorativo assume pertanto un grande rilievo il clima di sicurezza in cui opera il lavoratore,
sia in relazione alla sua percezione di quanto posto in essere dall’impresa per la
salvaguardia della sicurezza delle persone sia in relazione alla considerazione e alle
aspettative che gli altri significativi (colleghi, datore di lavoro, familiari, etc.) hanno circa la
messa in atto di comportamenti sicuri. In un ambiente lavorativo nel quale le norme di
sicurezza, seppure cogenti, non sono percepite dal lavoratore come un principio che
governa le scelte dell’impresa e come una regola comportamentale che incide anche sulla
valutazione dei colleghi nei suoi confronti, è probabile che, pur in presenza di un
atteggiamento generico di favore verso la sicurezza, i comportamenti non siano coerenti.
47
CREDENZE CIRCA LE
CONSEGUENZE
ATTEGGIAMENTO
VERSO IL
COMPORTAMENTO
INTENZIONE
CREDENZE CIRCA LE
NORME SOCIALI
COMPORTAMENTO
PERCEZIONE DELLE
ASPETTATIVE DEGLI
ALTRI SIGNIFICATIVI
Figura 1: Teoria dell’Azione Ragionata
Questa teoria ricevette alcune critiche in relazione alla considerazione che il
comportamento spiegabile attraverso questa teoria è soltanto quello sotto il controllo
dell’individuo agente; è evidente che abitudini, dipendenze, stati emotivi acuti ed altri
comportamenti sono fuori dal controllo individuale. Per tenere conto di questi appunti,
Ajzen, nel 1988, riformulò questa proposta concettuale, integrandola con un’altra variabile:
la percezione di controllo comportamentale. La nuova teoria, che prese il nome di Teoria
del Comportamento Pianificato (nota con l’acronimo TPB), inserisce la percezione, da
parte dell’individuo, della facilità o della difficoltà di attuare un determinato comportamento;
questa nuova dimensione può, secondo l’autore, influire anche direttamente la messa in
atto di un comportamento.
ATTEGGIAMENTO
VERSO IL
COMPORTAMENTO
PERCEZIONE DELLE
ASPETTATIVE DEGLI
ALTRI SIGNIFICATIVI
INTENZIONE
COMPORTAMENTO
CONTROLLO
COMPORTAMENTALE
PERCEPITO
Figura 2: Teoria del comportamento pianificato
4.2 Applicazioni della Teoria del Comportamento Pianificato
La teoria elaborata da Ajzen è stata utilizzata, negli anni successivi alla sua pubblicazione,
in diversi ambiti applicativi; numerose ricerche hanno assunto questo modello come
quadro teorico per indagare e spiegare, prevalentemente nell’ambito della salute, i
48
comportamenti di prevenzione e tutela; dall’uso del preservativo ai test di prevenzione di
alcune malattie, dall’analisi dei comportamenti di consumo di cibo al consumo di droga.
Gli studi effettuati hanno evidenziato che, oltre ai fattori originari considerati dalla Teoria
del Comportamento Pianificato, altre variabili assumo un certo rilievo nel contribuire alla
spiegazione delle intenzioni e del comportamento.
Per la messa in atto di tutti quei comportamenti che hanno una dimensione morale ed
etica, le norme morali ( Beck e Ajzen, 1991 – Parker e al., 1995) esercitano un’influenza
importante; guidare senza rispettare i limiti di velocità o non utilizzare i DPI (violazione
delle norme) sono esemplificativi di comportamenti, sia rilevati (effettivi) che auto-riportati
(riferiti dalle persone oggetto di ricerca), ascrivibili a questa categoria.
Un’altra dimensione, inclusa nelle applicazioni che hanno utilizzato la Teoria del
Comportamento Pianificato come quadro di riferimento, è il comportamento passato
(Conner e Armitage, 1998); aver agito abitualmente in un certo modo in passato può
aumentare la probabilità che, in futuro, lo stesso individuo metta in atto la medesima
azione (Conner e al., 2007).
4.3 La teoria del comportamento pianificato e i comportamenti di trasgressione
delle norme di sicurezza in ambito lavorativo
Uno studio recente (Quick, Stephenson, Witte, Vought, Booth-Butterfield e Patel, 2008),
condotto su un campione di 254 minatori americani, ha analizzato il comportamento di
utilizzo dei dispositivi di protezione dell’udito successivamente ad una campagna di
sensibilizzazione sull’argomento. Ai lavoratori è stato inviato per posta un questionario,
elaborato dai ricercatori inserendo i costrutti della teoria del comportamento pianificato; a
distanza di 6 settimane è stato somministrato un altro questionario per integrare la ricerca
con una rilevazione longitudinale. I ricercatori hanno rilevato che gli atteggiamenti nei
confronti dell’utilizzo delle cuffie di protezione e le norme sociali sono i migliori predittori
dell’intenzione di utilizzarli e che solo l’intenzione è predittore del comportamento effettivo.
Dopo le sei settimane, i risultati del secondo questionario hanno evidenziato che il potere
predittivo
delle
norme
sociali
si
indebolisce
e
rimane
stabile
solo
l’effetto
dell’atteggiamento verso il comportamento.
Rispetto alla numerosità degli studi effettuati in ambito di comportamenti di prevenzione e
tutela della salute, non sono molti gli studi che hanno applicato la Teoria del
Comportamento Pianificato allo studio dei comportamenti di sicurezza in ambito lavorativo.
49
4.4 L’applicazione della Teoria del Comportamento Pianificato ai comportamenti di
trasgressione delle norme di sicurezza: studio empirico fra lavoratori a Reggio
Emilia
Procedura
Lo studio è stato condotto su un campione di lavoratori dipendenti, occupati presso due
aziende, una del settore dell’industria alimentare e l’altra del settore chimico, entrambe
appartenenti ad un gruppo aziendale con sede a Reggio Emilia; entrambe le imprese
gestiscono il proprio sistema sicurezza in conformità alla Norma OHSAS 18001:2007,
standard ufficiale in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
La finalità dello studio è verificare quanto la Teoria del Comportamento Pianificato è in
grado di spiegare l’effettiva messa in atto dei comportamenti a rischio in ambito lavorativo;
nello specifico, la ricerca è stata effettuata in relazione all’utilizzo da parte dei lavoratori dei
Dispositivi di Protezione Individuale, previsti per le mansioni svolte dalla valutazione dei
rischi eseguita dall’impresa.
La tecnica utilizzata per l’indagine è stata la somministrazione ai partecipanti di due
questionari ad una settimana di distanza l’uno dall’altro (disegno longitudinale); per
associare allo stesso lavoratore il primo questionario con il secondo, e nel contempo
garantirne l’anonimato, sono stati inseriti dei campi codice da compilarsi a cura dei
partecipanti22.
Per la distribuzione e la raccolta dei questionari, avvenuta nel periodo luglio/novembre
2008, oltre alla necessaria autorizzazione accordata dal datore di lavoro, sono stati
coinvolti i Rappresentanti dei Lavoratori della Sicurezza presenti nelle diverse sedi
aziendali. Nel corso di un incontro preliminare sono state illustrate agli RLS le finalità della
ricerca e le domande presenti nel questionario; particolare attenzione è stata dedicata a
sottolineare la volontarietà della compilazione da parte dei lavoratori, la riservatezza
garantita ai dati raccolti e l’estraneità dell’azienda alla ricerca, al fine di contenere
l’eventualità di risposte dettate dalla desiderabilità sociale verso l’impresa.
Per la strutturazione del questionario sono stati operazionalizzati i costrutti della Teoria del
Comportamento Pianificato ai quali sono stati aggiunti altri due fattori, le norme morali e il
22
Garantire l’anonimato agli intervistati è molto importante per la veridicità delle risposte. Quando gli
intervistati temono di essere identificati, come nel caso in cui si richiedano alcuni dati anagrafici, è possibile
garantire il cosiddetto “segreto statistico”: all’inizio del questionario è stato dichiarato che “le informazioni
raccolte saranno utilizzate esclusivamente a scopo scientifico nell’ambito universitario” e rese note solo sotto
forma di dati globali, anonimi, non collegabili alle singole persone.
50
comportamento abituale la cui inclusione ha dimostrato, in precedenti ricerche effettuate,
un aumento della predittività del modello.
In linea con il quadro teorico di riferimento, sono state formulate le seguenti ipotesi:
H1: ci si attende che le intenzioni di trasgressione di utilizzo dei DPI siano predette
ƒ
dalla percezione di controllo sul comportamento sicuro
ƒ
dagli
atteggiamenti
(con
particolare
riferimento
alla
componente
affettiva
dell’atteggiamento) sull’utilizzo dei DPI
ƒ
dalle norme sociali
Una scarsa percezione di controllo da parte dei lavoratori sulla messa in atto di
comportamenti sicuri, atteggiamenti ed emozioni negative nei confronti dell’utilizzo dei DPI
e una percezione di scarso supporto normativo da parte dei colleghi verso i comportamenti
di sicurezza dovrebbero portare ad una maggiore intenzione di trasgressione.
H2: ci si attende che l’inclusione degli altri due fattori, comportamento abituale di
trasgressione e norme morali, aumenti la capacità predittiva della Teoria del
Comportamento Pianificato.
H3: ci si attende che, al tempo 1 (primo questionario), più i lavoratori esprimono intenzioni
di trasgressione alle norme di utilizzo dei DPI, maggiore sarà la frequenza di
comportamenti di trasgressione rilevata al tempo 2 (secondo questionario, con riferimento
alla settimana intercorsa fra le due rilevazioni).
Campione
Prima di testare l’efficacia della Teoria del Comportamento Pianificato nello spiegare la
messa in atto di comportamenti a rischio per la sicurezza abbiamo analizzato i dati con un
approccio descrittivo.
Le tabelle che seguono descrivono, secondo variabili socio-demografiche e di
classificazione, i lavoratori che hanno partecipato alla rilevazione.
GENERE
maschio
femmina
Totale
non hanno risposto
TOTALE
Frequenza
Percentuale
115
12
127
10
137
83,9
8,8
92,7
7,3
100,0
51
Percentuale di
risposte valide
90,6
9,4
100,00
Frequenza
Percentuale
Totale
non hanno risposto
TOTALE
8
26
45
39
3
121
16
137
5,8
19,0
32,8
28,5
2,2
88,3
11,7
100,0
TITOLO DI STUDIO
Frequenza
Percentuale
Elementare
Media inferiore
Media superiore
Totale
non hanno risposto
TOTALE
13
62
46
121
16
137
9,5
45,3
33,6
88,3
11,7
100,0
CLASSE DI ETA’
18-25
26-35
36-45
46-55
oltre 55
ANZIANITÀ IN AZIENDA
Da 1 mese a 1 anno
Da 1 anno a 5 anni
Da 5 a 10 anni
Da 10 a 20 anni
Da più di 20 anni
Percentuale di
risposte valide
6,6
21,5
37,2
32,2
2,5
100,00
Percentuale
cumulativa
6,6
28,1
65,3
97,5
100,00
Percentuale di
risposte valide
10,7
51,2
38,0
100,0
Percentuale
cumulativa
10,7
62,0
100,0
Frequenza Percentuale
8
18
29
47
27
129
8
137
5,8
13,1
21,2
34,3
19,7
94,2
11,7
100,0
REPARTO/SETTORE
Frequenza
Percentuale
Manutenzione
alimentare
Autotrasportatori
alimentare
Miscelazione
alimentare
Confezionamento
alimentare
Manutenzione Molitorio alimentare
Molitorio
alimentare
Pet Food
alimentare
Fertilizzanti
chimico
10
7
34
24
1
7
3
35
16
137
7,3
5,1
24,8
17,5
0,7
5,1
2,2
25,5
11,7
100,0
Totale
non hanno risposto
TOTALE
Agro
chimico
TOTALE
52
Percentuale di
risposte valide
6,2
14,0
22,5
36,4
20,9
100,0
Percentuale
cumulativa
6,2
20,2
42,6
79,1
100,0
Frequenza
Percentuale
112
10
1
123
14
137
81,8
7,3
0,7
89,8
10,2
100,0
Frequenza
Percentuale
45
60
105
32
137
32,8
43,8
76,6
23,4
100,0
Percentuale di
risposte valide
42,9
57,1
100,0
TIPO DI CONTRATTO
Tempo indeterminato
Tempo determinato
interinale
Totale
non hanno risposto
TOTALE
ORARIO DI LAVORO
Normale
Turno
Totale
non hanno risposto
TOTALE
HA SVOLTO CORSI DI FORMAZIONE ALLA
SICUREZZA IN QUESTA AZIENDA
NO
SI
Totale
non hanno risposto
TOTALE
Frequenza
Percentuale
36
92
128
9
137
26,3
67,2
93,4
6,6
100,0
IN QUALE ANNO HA PARTECIPATO A CORSI DI
FORMAZIONE ALLA SICUREZZA IN QUESTA AZIENDA
Non indicato
1998
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2007
2008
TOTALE
Percentuale di
risposte valide
91,1
8,1
0,8
100,0
Percentuale di
risposte valide
28,1
71,9
100,0
Frequenza
Percentuale
89
1
1
1
1
3
1
3
4
33
137
65,5
0,7
0,7
0,7
0,7
2,2
0,7
2,2
2,9
24,1
100,0
Dalle tabelle riportate, si possono riassumere alcuni dati: il 90,6 % dei partecipanti sono
uomini, il 28,1% di età inferiore ai 25 anni, il 37,2% ha un’età compresa tra i 26 e i 35 anni,
il 32,2% tra i 46 e i 55 anni. Il 20,2% lavora in azienda da meno di 5 anni ed il 36,4% da 10
a 20 anni; nel 91,1% con un contratto a tempo indeterminato. Il titolo di studio conseguito
è nel 51,2% dei casi il diploma di scuola media inferiore. In relazione alla formazione sulla
sicurezza il 67,2% ha risposto di aver svolto corsi all’interno dell’azienda anche se nel
65,5% dei casi non ha indicato in quale anno; il 24,1% riporta di aver frequentato
un’attività formativa in materia di sicurezza nell’anno 2008.
53
Misure
Il questionario sottoposto ai partecipanti è stato costruito in differenti versioni in relazione
ai dispositivi di protezione individuale obbligatori per il reparto di appartenenza dei
lavoratori; poiché ogni singola misura inclusa è stata declinata per ogni dispositivo e,
generalmente, si ritiene accettabile un questionario che non contenga più di 20 domande
ed un tempo di 10-20 minuti per la sua compilazione, sono stati individuati, tra quelli
obbligatori, tre dispositivi per ogni tipologia di questionario. I dispositivi considerati sono i
seguenti: indumenti da lavoro, mascherine di protezione, tappi e cuffie di protezione,
scarpe antinfortunistiche, guanti da lavoro, casco di protezione, cinture anticaduta e
occhiali di protezione.
I rispondenti al questionario dovevano compiere una scelta per ogni risposta da compilare
sulla base di una scala graduata, da 1 a 7 punti ai cui estremi è stata associata una
categoria verbale: 1=per niente d’accordo, 7=totalmente d’accordo. Le posizioni
intermedie, senza etichetta verbale, consentivano una gradazione del giudizio tra le due
posizioni estreme in relazione all’oggetto di indagine.
Di seguito sono riportate le misure incluse nel questionario secondo il quadro teorico di
riferimento:
Atteggiamenti nei confronti dell’utilizzo del DPI: è stato calcolato un punteggio di credenze
negative a partire da 2 item (esempio di credenza negativa: “L’utilizzo della cintura
anticaduta causa un rallentamento della produzione”) e un punteggio di credenze positive
a partire da altri 2 item (esempio di credenza positiva: “Se utilizzo il casco di protezione
posso evitare di avere un infortunio”).
Per ottenere l’indice di atteggiamento positivo e negativo, i valori medi delle credenze
positive e negative sono stati moltiplicati, rispettivamente, per il punteggio assegnato dai
partecipanti a un item di valutazione dell’importanza attribuita alla credenza positiva (“La
sicurezza sul posto di lavoro è molto importante per me”) e negativa (“Per me è molto
importante terminare il mio compito il prima possibile”). Infine, per creare un indice di
atteggiamento generale, è stata calcolata la media dei due punteggi sopra descritti.
Percezione di controllo: è stato calcolato un indice di percezione di controllo sull’utilizzo
dei DPI a partire dalla media delle risposte a 2 item (1.”Per me utilizzare i dispositivi di
protezione individuale è facile” 2. “Posso facilmente superare le difficoltà che comporta
54
usare i dispositivi di protezione individuale”). A punteggio maggiore corrisponde una
maggiore percezione di controllo sull’utilizzo dei DPI da parte dei lavoratori.
Emozioni nei confronti dell’utilizzo dei DPI: è stato calcolato un indice di emozioni a partire
dalle risposte date dai partecipanti a 4 item: 2 relativi ad emozioni negative (esempio di
item di emozioni negative: “Indossare le scarpe antinfortunistiche mentre svolgo il mio
lavoro mi disturba”) e 2 relativi ad emozioni positive (esempio di item di emozioni positive:
“Indossare la mascherina mentre svolgo il mio lavoro mi rassicura”). A punteggio maggiore
corrispondono emozioni più positive.
Norme sociali: è stato introdotto un item volto a misurare la percezione da parte dei
lavoratori delle aspettative dei colleghi circa la messa in atto di comportamenti di sicurezza
(“I miei colleghi pensano che io dovrei utilizzare la cintura anticaduta”). E’ stato inoltre
introdotto un item per misurare l’importanza che il lavoratore assegna alle opinioni dei
colleghi circa i temi riguardanti la sicurezza (“”Quello che pensano sulla sicurezza i miei
colleghi è molto importante per me”). Al fine di creare un indice di norme sociali è stata
calcolata la media delle risposte all’item delle aspettative e questo valore moltiplicato per il
punteggio assegnato al secondo (importanza).
Intenzione di trasgressione: sono stati inclusi 4 item per misurare le intenzioni di
trasgressione (esempio: “Ho intenzione di utilizzare i guanti nei prossimi giorni”); uno di
questi è stato formulato in modo da cercare di minimizzare gli effetti di desiderabilità
sociale poiché il comportamento è sanzionato dalle normative vigenti (“Penso che nelle
prossime settimane mi capiterà di non utilizzare le scarpe antinfortunistiche”). E’ stato poi
calcolato un indice di intenzione di trasgressione all’utilizzo dei DPI a partire dalla media
delle risposte. A punteggio maggiore corrisponde una maggiore intenzione di
trasgressione delle norme di sicurezza.
Dopo la presentazione di come sono state indagate le misure incluse dalla Teoria del
Comportamento Pianificato, si riporta quella relativa ai due costrutti cha sono stati utilizzati
per aumentare il potere predittivo della teoria.
Norme morali: è stato calcolato un indice di norme morali a partire dalla media delle
risposte a 3 item (esempio: “Penso che sia molto sbagliato non utilizzare i guanti di
protezione nelle aree in cui sono richiesti”).
Comportamento abituale di trasgressione: è stato introdotto un item in cui si chiedeva ai
lavoratori di indicare con quale frequenza capita loro di mettere in atto comportamenti di
55
trasgressione di utilizzo dei DPI (esempio: “Le capita di non utilizzare gli occhiali di
protezione nelle aree in cui è obbligatorio?”). E’ stato poi calcolato il punteggio medio delle
risposte date. Per la misura del comportamento è stata utilizzata una scala graduata a 4
punti, da 1= mai a 4= sempre e ad ogni punteggio intermedio è stata associata una
categoria
verbale.
A
punteggio
maggiore
corrisponde
maggiore
frequenza
di
comportamenti di trasgressione.
Come si è detto in precedenza, la ricerca è stata effettuata secondo un disegno
longitudinale che prevedeva la somministrazione di un secondo questionario ad un tempo
2 (una settimana dopo la compilazione del primo); la seconda rilevazione era composta di
sole tre domande in cui si chiedeva di riportare la frequenza di trasgressione all’utilizzo dei
DPI, i medesimi della precedente indagine, nella settimana trascorsa (esempio: “nella
settimana passata le è capitato di non indossare gli indumenti da lavoro?”). La scala
utilizzata per le risposte è stata quella a 4 punti utilizzata per il comportamento abituale. A
punteggio maggiore corrisponde una maggiore frequenza di trasgressione.
Risultati
Nelle tabelle e nei grafici che seguono si evidenziano i risultati per ogni misura.
Il numero delle risposte è pari al numero dei lavoratori per i quali, nel questionario costruito per reparto di
appartenenza, era incluso il DPI indicato.
56
CREDENZE POSITIVE
DPI
tappi e
cuffie
mascherina
occhiali
89
5,75
103
6,11
17
6,06
n. risposte
Media
cinture
indumenti da
scarpe
casco
guanti
anticaduta
lavoro
antinfortunistiche
13
5,23
74
5,38
24
6,02
5
6
25
5,92
82
6,3
GUANTI
SCARPE
ANTINFORTUNISTICHE
CASCO
INDUMENTI DA LAVORO
CINTURE ANTICADUTA
OCCHIALI
MASCHERINA
CUFFIE E TAPPI DI
PROTEZIONE
0
1
2
3
4
7
MEDIA
I punteggi risultanti dalle domande che includevano le credenze positive mostrano che i
lavoratori ritengono che l’utilizzo dei DPI possa effettivamente aumentare la loro sicurezza
e possa evitare loro di riportare lesioni nello svolgimento della propria mansione.
57
CREDENZE NEGATIVE
DPI
n. risposte
media
tappi e
cuffie
89
2,29
mascherina occhiali
103
1,98
17
3,44
cinture
anticaduta
13
4,34
indumenti
da lavoro
74
1,53
casco
24
1,67
scarpe
guanti
antinfortunistiche
25
82
1,18
2,59
GUANTI
SCARPE ANTINFORTUNISTICHE
CASCO
INDUMENTI DA LAVORO
CINTURE ANTICADUTA
OCCHIALI
MASCHERINA
CUFFIE E TAPPI DI
PROTEZIONE
0
1
2
3
4
5
6
7
MEDIA
Dalle medie rilevate si osserva che, in generale, i lavoratori non hanno credenze negative
verso l’utilizzo dei DPI; la media più alta riscontrata è quella relativa alla cintura anticaduta
che viene più frequentemente ritenuta dai partecipanti un ingombro ed un ostacolo per lo
svolgimento della propria mansione, soprattutto in relazione ai tempi di esecuzione delle
attività.
58
EMOZIONI POSITIVE
DPI
n. risposte
media
tappi e
cuffie
89
5,57
cinture
anticaduta
13
4,61
mascherina occhiali
103
5,64
17
5,06
indumenti
da lavoro
74
5,18
casco
24
5,4
scarpe
guanti
antinfortunistiche
25
82
5,78
5,57
GUANTI
SCARPE
ANTINFORTUNISTICHE
CASCO
INDUMENTI DA LAVORO
CINTURE ANTICADUTA
OCCHIALI
MASCHERINA
CUFFIE E TAPPI DI
PROTEZIONE
0
1
2
3
4
5
6
7
MEDIA
Le risposte dei partecipanti alle domande relative alle emozioni positive evidenziano medie
piuttosto prossime al totale accordo con le affermazioni proposte: tranquillità e
rassicurazione sono i sentimenti che i lavoratori associano all’utilizzo dei dispositivi di
protezione individuale.
59
EMOZIONI NEGATIVE
tappi e
cuffie
89
3,30
DPI
n. risposte
media
mascherina occhiali
103
3,69
17
4,56
cinture
anticaduta
13
4,69
indumenti
da lavoro
74
1,95
casco
24
2,58
scarpe
guanti
antinfortunistiche
25
82
1,76
0,25
GUANTI
SCARPE
ANTINFORTUNISTICHE
CASCO
INDUMENTI DA LAVORO
CINTURE ANTICADUTA
OCCHIALI
MASCHERINA
CUFFIE E TAPPI DI
PROTEZIONE
0
1
2
3
4
5
6
7
MEDIA
I dati riscontrati relativamente alla componente affettiva dell’atteggiamento, le emozioni,
evidenziano che la cintura anticaduta è il DPI che, in generale, provoca maggiori emozioni
negative (disturbo, fastidio, ecc).
60
PERCEZIONE DI CONTROLLO
tappi e
cuffie
89
6,02
DPI
n. risposte
media
mascherina occhiali
103
5,47
17
4,41
cinture
anticaduta
13
4,80
indumenti
da lavoro
74
6,02
casco
24
5,93
scarpe
guanti
antinfortunistiche
25
82
6,16
6,09
GUANTI
SCARPE
ANTINFORTUNISTICHE
CASCO
INDUMENTI DA LAVORO
CINTURE ANTICADUTA
OCCHIALI
MASCHERINA
CUFFIE E TAPPI DI
PROTEZIONE
0
1
2
3
4
5
6
7
MEDIA
In relazione alle domande che indagavano la percezione di controllo sulla messa in atto di
comportamenti sicuri, come indossare i DPI, le medie evidenziano che i lavoratori sono
generalmente d’accordo sul fatto che utilizzare i dispositivi messi a loro disposizione non
comporti particolari difficoltà e che questo dipenda, in larga misura, esclusivamente dalla
propria volontà a farlo. Anche in relazione alle opportunità di partecipazione alle decisioni
e alle attività relative alla sicurezza, i partecipanti si esprimono favorevolmente.
61
NORME SOCIALI
tappi e
cuffie
88
5,43
DPI
n. risposte
media
mascherina occhiali
101
5,23
16
4,81
cinture
anticaduta
13
4,00
indumenti
da lavoro
72
5,41
casco
23
5,17
scarpe
guanti
antinfortunistiche
25
81
5,96
5,16
GUANTI
SCARPE
ANTINFORTUNISTICHE
CASCO
INDUMENTI DA LAVORO
CINTURE ANTICADUTA
OCCHIALI
MASCHERINA
CUFFIE E TAPPI DI
PROTEZIONE
0
1
2
3
4
5
6
7
MEDIA
I dati risultanti dalle risposte circa le aspettative dei colleghi sull’utilizzo dei DPI e
l’importanza che a queste viene attribuita dai lavoratori evidenziano il particolare rilievo di
questa variabile di carattere sociale. I lavoratori ritengono importanti, nel determinare la
propria condotta, le opinioni dei colleghi sui temi della sicurezza e le valutazioni che questi
esprimono su chi mette in atto comportamenti sicuri; l’accettazione da parte del gruppo e il
clima di sicurezza percepito in ambito lavorativo sono fattori psicosociali in grado di
influenzare i comportamenti individuali.
62
INTENZIONE DI TRASGRESSIONE
tappi e
cuffie
89
2,46
DPI
n. risposte
media
mascherina occhiali
103
2,63
82
2,64
cinture
anticaduta
13
3,61
indumenti
da lavoro
73
2,11
casco
24
2,51
scarpe
guanti
antinfortunistiche
25
81
1,87
2,68
GUANTI
SCARPE
ANTINFORTUNISTICHE
CASCO
INDUMENTI DA LAVORO
CINTURE ANTICADUTA
OCCHIALI
MASCHERINA
CUFFIE E TAPPI DI
PROTEZIONE
0
1
2
3
4
5
6
7
MEDIA
L’intenzione di trasgressione, oltre a rappresentare una variabile dipendente della ricerca,
è stata anche indagata attraverso l’inclusione di 4 item. I dati risultanti dalle risposte circa
l’intenzione di trasgressione nell’utilizzo dei DPI evidenziano valori medi generalmente
piuttosto bassi, con un dato più elevato per la cintura anticaduta che, come si ricava dalle
tabelle precedenti, è il dispositivo per il quale i lavoratori esprimono atteggiamenti
(credenze ed emozioni) più negativi.
63
Test della teoria
Per verificare le ipotesi formulate inizialmente, l’analisi di regressione è stata condotta in
due fasi. Nella prima fase sono state inserite le variabili
previste dalla Teoria del
Comportamento Pianificato (atteggiamenti, sia la componente cognitiva – credenze, che
quella affettiva - emozioni, la percezione di controllo e le norme sociali); nella seconda
sono state incluse le norme morali e il comportamento abituale.
I dati elaborati nella prima fase di analisi mostrano che i predittori considerati dalla Teoria
del Comportamento Pianificato spiegano il 54,2% della varianza; i fattori che influenzano
significativamente le intenzioni di trasgressione delle norme di sicurezza (figura 1) sono gli
atteggiamenti (credenze ed emozioni) e la percezione di controllo sull’utilizzo dei DPI da
parte dei lavoratori.
In linea con la prima ipotesi formulata, più i partecipanti dichiarano di avere credenze ed
emozioni positive nei confronti dell’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale ed una
buona percezione di controllo sul loro utilizzo, minore è l’intenzione autoriportata di
trasgredire le norme di sicurezza aziendali. Non risulta invece significativa l’influenza delle
norme sociali sull’intenzione di trasgressione.
Nella figura sottostante si riportano i valori riscontrati per le misure che sono risultate
statisticamente significative quali predittori dell’intenzione di trasgressione.
Atteggiamenti
-.174*
Emozioni
positive
Percezione
di controllo
-.282*
Intenzione
di trasgressione
-.366**
* p<.01 **p<.005 R2=.542
Figura 1
Il segno meno indica una correlazione negativa
64
Per verificare la seconda ipotesi formulata, nel secondo passo dell’analisi di regressione
sono state incluse altre due variabili: le norme morali e il comportamento abituale di
trasgressione; in relazione al comportamento si riportano le tabelle con i dati della
rilevazione al tempo 1 (prima rilevazione) e al tempo 2 (secondo questionario
somministrato dopo una settimana dalla prima rilevazione).
NORME MORALI
DPI
n. risposte
media
tappi e
cuffie
89
5,25
cinture
anticaduta
13
4,59
mascherina occhiali
103
5,31
17
5,66
indumenti
da lavoro
74
5,02
scarpe
guanti
antinfortunistiche
25
82
5,75
5,11
casco
24
5,49
GUANTI
SCARPE
ANTINFORTUNISTICHE
CASCO
INDUMENTI DA LAVORO
CINTURE ANTICADUTA
OCCHIALI
MASCHERINA
CUFFIE E TAPPI DI
PROTEZIONE
0
1
2
3
4
5
6
7
M EDIA
Le risposte alle domande che indagavano gli aspetti morali che appartengono alla sfera
individuale, cioè le convinzioni personali su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, hanno
evidenziato che per i lavoratori l’adesione alle regole e alle norme in materia di sicurezza,
è un fattore abbastanza rilevante che partecipa a determinare quali comportamenti
mettere o meno in atto.
65
COMPORTAMENTO ABITUALE DI TRASGRESSIONE (tempo 1)
DPI
n. risposte
media
tappi e
cuffie
87
2,03
mascherina occhiali
101
2,00
17
1,76
cinture
anticaduta
13
3,08
indumenti
da lavoro
72
1,55
casco
8
2,25
scarpe
guanti
antinfortunistiche
25
80
2,04
2,51
GUANTI
SCARPE
ANTINFORTUNISTICHE
CASCO
INDUMENTI DA LAVORO
CINTURE ANTICADUTA
OCCHIALI
MASCHERINA
CUFFIE E TAPPI DI
PROTEZIONE
0
1
2
3
4
5
6
7
MEDIA
I risultati rilevati hanno evidenziato medie piuttosto basse di trasgressione autoriportata; in
relazione a questo dato occorre però tenere presente la mancanza di un orizzonte
temporale preciso, che può incidere sul ricordo e quindi sulla attendibilità delle risposte.
66
Hanno compilato il 2° questionario
SI
NO
Totale
Frequenza
122
15
137
Percentuale
89,1
10,9
100,00
COMPORTAMENTO ABITUALE DI TRASGRESSIONE (tempo 2)
tappi e
cuffie
75
1,79
DPI
n. risposte
media
mascherina occhiali
89
1,49
17
2,06
cinture
anticaduta
11
2,91
indumenti
da lavoro
60
1,48
casco
7
1,43
scarpe
guanti
antinfortunistiche
25
82
1,48
1,34
GUANTI
SCARPE
ANTINFORTUNISTICHE
CASCO
INDUMENTI DA LAVORO
CINTURE ANTICADUTA
OCCHIALI
MASCHERINA
CUFFIE E TAPPI DI
PROTEZIONE
0
1
2
3
4
5
6
7
MEDIA
Attraverso la seconda rilevazione, effettuata dopo una settimana, si è cercato di limitare
l’effetto di distorsione del ricordo, proponendo ai partecipanti di rispondere alle domande
circa i comportamenti di trasgressione facendo riferimento al recente periodo intercorso fra
il primo e il secondo questionario. Le medie rilevate non sono state significativamente
differenti rispetto a quelle precedenti; occorre però tenere conto che tali comportamenti
sono sanzionati e pertanto le persone possono essere riluttanti a dichiararli.
67
La seconda ipotesi formulata, secondo la quale le norme morali e il comportamento
abituale migliorano il potere predittivo della Teoria del Comportamento Pianificato è stata
completamente confermata dalla seconda parte dell’analisi. L’introduzione di queste due
variabili aumenta la predittività del modello di spiegazione delle intenzioni di trasgressione,
portando la quota di varianza spiegata dal 54,2% al 65,2% (figura 2).
Il mettere in atto con continuità comportamenti di trasgressione delle norme porta ad un
aumento delle intenzioni a reiterare il medesimo comportamento. Al contrario, più i
partecipanti percepiscono la trasgressione alle norme come una violazione dei propri
principi morali, minore è l’intenzione di trasgressione rilevata.
Con l’introduzione delle ultime due variabili si verifica una variazione delle percentuali con
cui le misure classiche della Teoria del Comportamento Pianificato concorrono alla
predittività del modello; gli atteggiamenti e la percezione di controllo sull’utilizzo dei DPI
rimangono significativi mentre, rispetto alla prima analisi di regressione, l’effetto delle
emozioni diventa statisticamente non significativo.
Atteggiamento
Emozioni
-.133*
-.148
-.375**
Intenzione di
trasgressione
Percezione di controllo
.306**
Comportamento
abituale di
trasgressione
-.156*
Norme morali
Nota: **p<.005; *p<.05 R2= . 652
Figura 2
Il segno meno indica una correlazione negativa
68
La terza ipotesi formulata all’inizio della ricerca, secondo la quale più i lavoratori, al tempo
di compilazione del primo questionario, avessero espresso intenzioni di trasgressione alle
norme di utilizzo dei DPI, maggiore sarebbe stata la frequenza di comportamenti di
trasgressione rilevata nel secondo questionario, non è stata verificata.
Le intenzioni di trasgressione, che nel modello della Teoria del Comportamento
Pianificato, rappresentano l’antecedente diretto del comportamento, non predicono in
maniera significativa i comportamenti di trasgressione delle norme sull’utilizzo dei DPI
rilevati al tempo 2.
Dai risultati emerge che i comportamenti effettivi di trasgressione sono predetti in maniera
diretta solo dalle norme sociali.
-.259*
COMPORTAMENTO DI
TRASGRESSIONE
NORME SOCIALI
Nota: *p=.05
Figura 3
69
CONCLUSIONI
Come si è visto nei commenti ai risultati delle diverse fasi dell’analisi, le ipotesi formulate
inizialmente sono state solo parzialmente verificate; alcuni dei fattori inclusi nel modello
della Teoria del Comportamento Pianificato si sono rivelati buoni predittori dell’intenzione
di trasgressione delle norme di sicurezza aziendali. Atteggiamenti ed emozioni nei
confronti dell’utilizzo dei DPI e la percezione di controllo sul comportamento danno conto
di una quota rilevante della varianza della variabile dipendente, l’intenzione di
trasgressione, mentre le norme sociali non hanno un’influenza significativa.
L’introduzione delle altre due variabili, norme morali e comportamento abituale, aumenta
in modo significativo il potere predittivo del modello.
Per quel che riguarda il comportamento effettivo, variabile dipendente dell’intenzione di
trasgressione, le ipotesi non sono state confermate: le intenzioni di trasgressione delle
norme di sicurezza non predicono in modo significativo i comportamenti effettivi dei
lavoratori. Risultano invece buoni predittori le norme sociali; i lavoratori trasgrediscono le
norme di utilizzo dei DPI non tanto perché hanno già intenzione di farlo quanto perché,
nelle situazioni concrete, all’interno del proprio contesto lavorativo, assegnano a ciò che
pensano i colleghi un ruolo rilevante. Ad esempio, la percezione da parte di un lavoratore
che i colleghi o la dirigenza non vedano nel rispetto delle norme di sicurezza un
comportamento meritevole o, addirittura, che questo venga ritenuto un problema per lo
svolgimento della mansione, può rappresentare un fattore significativo per la messa in atto
di comportamenti non sicuri.
I fattori di natura individuale, come atteggiamenti, emozioni e percezione di controllo
influenzano le dichiarazioni dei partecipanti circa le intenzioni di trasgressione mentre per
la messa in atto dei comportamenti di sicurezza i lavoratori sono influenzati dalla pressioni
sociali, in particolare dalle aspettative di chi appartiene allo stesso contesto lavorativo. La
percezione di come la pensano gli altri significativi e di come l’azienda gestisce la
sicurezza influenza il comportamento del lavoratore; l’”atmosfera” che i lavoratori
avvertono nel proprio luogo di lavoro, quello che è stato definito il clima di sicurezza
presente in un’impresa, costituisce l’orizzonte normativo reale e rappresenta la regola a
cui l’effettivo operare dei singoli e dei gruppi deve attenersi. Pertanto, anche a fronte di
dichiarazioni di intenzione ad operare in modo sicuro, nel momento in cui i lavoratori si
trovano a mettere in atto concretamente un determinato comportamento, entrano in gioco
fattori di natura psicosociale.
70
Ed è proprio questa matrice psicosociale del comportamento lavorativo che può fornire un
importante spunto di riflessione, con particolare riferimento alla formazione per la
prevenzione dei comportamenti a rischio e degli infortuni sul lavoro. L’unità di analisi delle
esigenze per la progettazione delle attività formative dovrebbe essere non tanto e non solo
il singolo lavoratore quanto i gruppi e le squadre di lavoro e l’impresa nel suo insieme, con
particolare attenzione alle relazioni che si instaurano tra le figure che operano all’interno di
un sistema di sicurezza aziendale; dirigenza, RLS, preposti e lavoratori. E’ infatti
necessario conoscere queste dinamiche per poter intervenire qualora queste portino a
comportamenti non sicuri; la percezione da parte del lavoratore che l’intera organizzazione
si interessi e si occupi del suo benessere lavorativo aumenta i comportamenti di sicurezza
autoriportati23.
Una cultura della sicurezza fondata solo sulle norme, il cui elemento rilevante non può che
essere la sanzione, con il rischio che, in assenza di controlli puntuali, questa perda
d’effetto fino a “nascondere” la reale sanzione dei comportamenti a rischio, cioè la
diminuzione del benessere lavorativo, può essere efficacemente integrata da strategie
organizzative che portino a sviluppare un clima d’impresa favorevole alla sicurezza. Con
particolare riferimento ai costrutti psico-sociali di carattere organizzativo, il cui rilievo è
emerso dai risultati di questa ricerca, possono essere individuati alcuni fattori che
potrebbero essere in grado di innescare, in un gruppo di lavoro o in un’impresa, un circolo
virtuoso che porti a sviluppare un clima favorevole alla sicurezza. La valorizzazione di
comportamenti innovativi positivi, una leadership che non si limiti al controllo della
conformità alle norme ma faciliti l’assunzione di possibilità positive e la comprensione dei
collegamenti tra le condotte lavorative e i loro esiti, l’orientamento alla creazione di gruppi
di lavoro in grado di apprendere, non solo in termini adattivi, ma capaci di innescare
dinamiche positive di cambiamento, possono rappresentare alcune opportunità per le
imprese per arrivare alla modificazione di modalità disfunzionali a favore di prassi
operative in grado di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.
23
Il presente lavoro di ricerca “soffre” certamente del limite relativo alla natura self report dei dati rilevati; i
partecipanti, nel riportare la frequenza dei comportamenti di trasgressione, possono aver risposto sulla base
di ricordi non precisi ed anche sulla base della desiderabilità sociale insita in comportamenti sanzionabili. In
ricerche future questo limite potrebbe essere superato utilizzando anche misure del comportamento
osservato al fine di verificare il potere predittivo della teoria limitando i fattori di distorsione.
71
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74
ALLEGATI
75
Copia I° questionario (tempo 1)
Questionario sulla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Università degli Studi di Modena
e
Reggio Emilia
Tipologia: ________
I
Stiamo studiando il modo in cui i lavoratori vedono i problemi legati alla sicurezza sui
luoghi di lavoro.
Il questionario è completamente anonimo e le informazioni in esso contenute saranno
utilizzate esclusivamente a scopo scientifico nell’ambito dell’Università.
La sua collaborazione è importante ai fini della ricerca.
Per questo la invitiamo a rispondere alle domande che troverà in questo questionario,
tenendo conto che non ci sono risposte giuste o sbagliate; ci interessa soltanto che lei
esprima il suo parere liberamente.
Grazie per la collaborazione
II
Di seguito troverà una serie di affermazioni. La preghiamo di indicare il suo grado di
accordo con ciascuna affermazione scegliendo fra le alternative proposte con una
sola crocetta per ogni frase
1. Se utilizzo la cintura anticaduta posso evitare di avere un infortunio.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
2. Io penso che sia molto sbagliato non utilizzare la cintura anticaduta nelle mansioni
in cui è richiesta.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
3. Usare o non usare la cintura anticaduta dipende solo da me.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
4. Per me è molto importante terminare il mio compito il prima possibile.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
5. Indossare la cintura anticaduta mentre svolgo il mio lavoro mi disturba.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
6. I miei colleghi pensano che si dovrebbe utilizzare la cintura anticaduta.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
7. Se non utilizzo la cintura anticaduta dove è richiesto mi sento in colpa.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
8. Penso che nelle prossime settimane mi capiterà di non utilizzare la cintura
anticaduta nelle mansioni in cui è richiesta.
Per niente
probabile
Totalmente
probabile
III
9. Per me utilizzare la cintura anticaduta è facile.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
10. Indossare la cintura anticaduta mentre svolgo il mio lavoro mi rassicura
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
11. L’utilizzo della cintura anticaduta causa un rallentamento della produzione.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
12. Se utilizzo la cintura anticaduta aumenterà la sicurezza sul luogo di lavoro.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
13. Indossare la cintura anticaduta mentre svolgo il mio lavoro mi tranquillizza
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
14. Nelle prossime settimane penso che utilizzerò la cintura anticaduta nelle mansioni
in cui è richiesta.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
15. Quello che pensano della sicurezza i colleghi è molto importante per me
Per niente
importante
Totalmente
importante
16. Posso facilmente superare le difficoltà che comporta usare la cintura anticaduta.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
17. Sento di poter partecipare alle decisioni che vengono prese nella mia azienda in
materia di sicurezza.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
IV
18. Lavorare senza la cintura anticaduta è contro i miei principi.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
19. Ai miei colleghi non interessa che io utilizzi la cintura anticaduta.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
20. Ho intenzione di incoraggiare l’uso della cintura anticaduta nelle prossime
settimane
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
21. Indossare la cintura anticaduta mentre svolgo il mio lavoro mi infastidisce.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
22. Nelle prossime settimane ho intenzione di utilizzare la cintura anticaduta nelle
mansioni in cui è richiesta.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
23. La sicurezza sul posto di lavoro è molto importante per me.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
24. Se non utilizzo la cintura anticaduta terminerò il mio lavoro prima.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
1. Se utilizzo le maschere di protezione posso evitare un’intossicazione.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
2. Io penso che sia molto sbagliato non utilizzare le maschere di protezione nelle
mansioni in cui sono richieste
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
V
3. Usare o non usare le maschere di protezione dipende solo da me.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
4. Indossare le maschere di protezione mentre svolgo il mio lavoro mi disturba.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
5.I miei colleghi pensano che si dovrebbero utilizzare le maschere di protezione nelle
mansioni in cui è richiesta.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
6. Se non utilizzo le maschere di protezione dove è richiesto mi sento in colpa
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
7. Penso che nelle prossime settimane mi capiterà di non utilizzare le maschere di
protezione nelle mansioni in cui sono richieste.
Per niente
probabile
Totalmente
probabile
8. Per me utilizzare le maschere di protezione è facile.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
9. Indossare le maschere di protezione mentre svolgo il mio lavoro mi rassicura.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
10. L’utilizzo delle maschere di protezione causa un rallentamento della produzione.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
11. Se utilizzo le maschere di protezione aumenterà la sicurezza sul luogo di lavoro.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
VI
12. Indossare le maschere di protezione mentre svolgo il mio lavoro mi tranquillizza
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
13. Nelle prossime settimane penso che utilizzerò le maschere di protezione nelle
mansioni in cui sono richieste.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
14. Posso facilmente superare le difficoltà che comporta usare le maschere di
protezione.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
15. Lavorare senza le maschere di protezione è contro i miei principi.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
16. Ai miei colleghi non interessa che io utilizzi le maschere di protezione.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
17. Ho intenzione di incoraggiare l’uso delle maschere di protezione nelle prossime
settimane.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
18. Indossare le maschere di protezione mentre svolgo il mio lavoro mi infastidisce.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
19. Nelle prossime settimane ho intenzione di utilizzare le maschere di protezione nelle
mansioni in cui sono richieste.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
20. Se non utilizzo le maschere di protezione terminerò il mio lavoro prima.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
VII
1. Se utilizzo il casco di protezione posso evitare di avere un infortunio.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
2. Io penso che sia molto sbagliato non utilizzare il casco di protezione.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
3. Usare o non usare il casco di protezione dipende solo da me.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
4. Indossare il casco di protezione mi disturba.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
5. I miei colleghi pensano che si dovrebbe utilizzare il casco di protezione.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
6. Se non utilizzo il casco di protezione mi sento in colpa.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
7. Nelle prossime settimane penso che mi capiterà di non utilizzare il casco di
protezione nelle mansioni in cui è richiesto.
Per niente
probabile
Totalmente
probabile
8. Per me utilizzare il casco di protezione è facile.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
9. Indossare il casco di protezione mi rassicura.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
VIII
10. L’utilizzo del casco di protezione causa un rallentamento della produzione.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
11. Se utilizzo il casco di protezione aumenterà la sicurezza sul luogo di lavoro.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
12. Indossare il casco di protezione mi tranquillizza.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
13. Nelle prossime settimane penso che utilizzerò il casco di protezione nelle mansioni
in cui è richiesto.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
14. Posso facilmente superare le difficoltà che comporta usare il casco di protezione.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
15. Lavorare senza il casco di protezione è contro i miei principi.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
16. Ai miei colleghi non interessa che io utilizzi il casco di protezione.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
17. Ho intenzione di incoraggiare l’uso del casco di protezione nelle prossime
settimane
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
18. Indossare il casco di protezione mentre svolgo il mio lavoro mi infastidisce.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
IX
19. Nelle prossime settimane ho intenzione di utilizzare il casco di protezione nelle
mansioni in cui è richiesto.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
20. Se non utilizzo il casco di protezione terminerò il mio lavoro prima.
Per niente
d’accordo
Totalmente
d’accordo
Di seguito troverà un elenco di frasi; La preghiamo di valutare la frequenza con cui mette
in atto i comportamenti descritti. Risponda utilizzando le alternative che trova sotto e che
vanno da “mai” a “sempre” con una sola crocetta.
1. Le capita di non utilizzare la cintura anticaduta nelle mansioni in cui è richiesta?
Mai
Raramente Spesso
Sempre
3. Le capita di non utilizzare le mascherine di protezione nelle mansioni in cui sono
richieste?
Mai
Raramente
Spesso
Sempre
4. Le capita di non utilizzare il casco di protezione ?
Mai
Raramente
Spesso
Sempre
X
Informazioni Socio demografiche
Età_________
Genere
ƒ
M
Da quanti anni lavora in questa azienda?
Da 1 mese
ad 1 anno
ƒ
F
Da 1 anno
a 5 anni
Da 5 a 10 anni
Più di 20 anni
Ha mai svolto corsi di formazione alla sicurezza in questa azienda?
Si ƒ
Da 10 a 20 anni
No Se ha svolto corsi di formazione alla sicurezza, quando tempo fa ha svolto l’ultimo
corso?
________________________________________________________________________
ƒ
Tipo di contratto
Tipo di turno di lavoro
Tempo indeterminato Orario Normale Tempo determinato Turni di giorno Apprendistato
Turni di notte Contratto di formazione lavoro Lavoro interinale ƒ
Titolo di studio
Licenza elementare Licenza media Licenza superiore Laurea XI
Codice del questionario
Per esigenze della ricerca è possibile che nel futuro le sia chiesto di rispondere ancora ad
altri questionari. Per questa ragione le chiediamo di mettere un codice che garantisce il
suo anonimato e permette a noi di ricondurre tutte le risposte alla stessa persona.
Inserisca nel caselle sottostanti un codice composto da:
1) Nelle prime due celle il giorno del mese di nascita di sua madre (per esempio 06)
2) Nella terza e quarta cella il mese di nascita di sua madre (per esempio 12 per
dicembre)
3) Nella quinta cella l’iniziale del nome di sua madre (per esempio S per Simonetta)
Per esempio
0 6 1 2 S
XII
Copia II° questionario (tempo 2)
Questionario sulla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Università degli Studi di Modena
e
Reggio Emilia
Tipologia: ________
XIII
Di seguito troverà un elenco di frasi; La preghiamo di valutare la frequenza con cui ha
messo in atto i comportamenti descritti.
Risponda utilizzando le alternative che trova sotto e che vanno da “mai” a “sempre” con
una sola crocetta.
1. Nella settimana passata le è capitato di non utilizzare la cintura anticaduta nelle aree
in cui è richiesta?
Mai
Raramente
Spesso
Sempre
3. Nella settimana passata le è capitato di non utilizzare le mascherine di protezione
nelle mansioni in cui sono richieste?
Mai
Raramente
Spesso
Sempre
4. Nella settimana passata le è capitato di non utilizzare il casco di protezione ?
Mai
Raramente
Spesso
Sempre
XIV
Codice del questionario
Per esigenze della ricerca è possibile che nel futuro le sia chiesto di rispondere ancora ad
altri questionari. Per questa ragione le chiediamo di apporre un codice che garantisce il
tuo anonimato e permette a noi di ricondurre tutte le risposte alla stessa persona.
Inserisca nelle caselle sottostanti un codice composto da:
1) Nelle prime due celle il giorno del mese di nascita di sua madre (per esempio 06)
2) Nella terza e quarta cella il mese di nascita di sua madre (per esempio 12 per
dicembre)
3) Nella quinta cella l’iniziale del nome di sua madre (per esempio S per Simonetta)
Per esempio
0 6 1 2 S
XV
RINGRAZIAMENTI
Non è mai troppo tardi.
Grazie a mio marito Vincenzo che mi ha incoraggiata, sostenuta e coccolata in
questi anni di studio.
Grazie ai miei genitori e a mia suocera Mimma che con il loro aiuto mi hanno
permesso di lavorare e studiare senza… “morire di fame”.
Grazie alle mie amiche ed in particolare a Viviana che mi ha dedicato tempo e
attenzione nei momenti più duri.
Grazie all’Ing. Celso Spinelli, il mio “capo”, e al Dott. Marco Pirani, Presidente del
Gruppo Progeo, che mi hanno permesso di usufruire delle ore di diritto allo studio
consentendomi la frequenza alle lezioni e la preparazione agli esami.
Grazie ai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza e a tutti i lavoratori
dell’azienda per la collaborazione alla ricerca.
Grazie alle mie compagne di studio, in particolare Antonella, Marzia e Laura con le
quali ho condiviso le gioie e i dolori degli studi e degli esami.
Grazie alla Prof.ssa Nicoletta Cavazza e alla Dott.ssa Alessandra Serpe per la
collaborazione e la disponibilità che mi hanno accordato per la preparazione della
tesi.
Un ringraziamento alla D.ssa Gandolfi dell’AUSL di Modena, alla D.ssa Bassoli
dell’AUSL di Reggio Emilia e all’Ing.Aldini della Direzione dell’Ispettorato del Lavoro
di Reggio Emilia per le consulenze ed i dati che mi hanno fornito.