Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario

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Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario:
la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati
Membri in base ai casi della Corte di giustizia
a cura di Carlo Garbarino e Fabrizio Bendotti
Introduzione
pag. 3
Sezione I: Tassazione consolidate dei gruppi e perdite transfrontaliere
pag. 7
1. Il “group relief” e il caso ICI
pag. 7
2. X AB e Y AB: conferimenti effettuati da una società svedese ad una consociata
pag.22
3. L’utilizzo delle perdite delle controllate estere nel caso Marks & Spencer plc
pag. 30
4. Compensazione transfrontaliera delle perdite infragruppo: il caso Rewe Zentralfinanz
pag. 46
5. La diversità di trattamento dei trasferimenti finanziari infragruppo nel caso Oy AA
pag. 57
6. Limitazioni al regime di consolidamento fiscale:caso Papillon
pag.158
Sezione II: La problematica delle perdite transfrontaliere in presenza di stabili
organizzazioni
1. Stabile organizzazione e società controllata a confronto: il caso Futura
pag. 67
pag. 77
2. Il trattamento fiscale delle perdite subite da stabili organizzazioni:
i casi AMID, Deutsche Shell GmbH, Lidl Belgium
pag. 86
3. Il trattamento fiscale delle perdite subite da una stabile organizzazione situata in uno
Stato membro del SEE: il caso Finanzamt fur korperschaften III in Berlin
Sezione III: La tassazione dei gruppi e le cd. “CFC rules”
pag. 109
pag.117
1.
La normativa CFC nella sentenza Cadbury Schweppes
pag.117
2.
CFC e le costruzioni di puro artificio: il caso CFC and Dividend Group Litigation
pag.129
Bibliografia
pag.134
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Introduzione
L’analisi svolta nel presente lavoro mette in luce alcune delle problematiche esistenti in materia di tassazione
dei gruppi di società che sono stabilite in diversi Stati membri.
Come si evince dall’esame delle sentenze della Corte di giustizia passate in rassegna, la presenza di
profonde differenze fra gli ordinamenti fiscali dei Paesi membri dell’Unione europea costituisce, soprattutto in
una materia quale quella delle imposte dirette, un impedimento e un ostacolo al processo di integrazione dei
mercati.
Le imprese che operano su scala comunitaria si trovano, dunque, a dover fronteggiare una serie di ostacoli
fiscali derivanti dalla frammentazione del mercato interno in ventisette diversi ordinamenti tributari.
Tali difficoltà emergono con evidenza dall’analisi dei casi sottoposti all’esame della Corte di giustizia in materia
di libertà di stabilimento.
Nel primo gruppo di sentenze esaminate nel presente lavoro la Corte si trova ad dover affrontare questioni
relative alla compatibilità di normative fiscali nazionali che impediscono ad una società controllante residente
di dedurre dal proprio reddito imponibile le perdite subite da una società controllata residente in un altro Stato
membro con le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento.
Tali questioni vengono riproposte, nel secondo gruppo di sentenze anche in relazione alle perdite subite da
stabili organizzazioni; nonché, con il terzo gruppo di sentenze, anche in relazione alla possibile
incompatibilità delle cd. “CFC rules” con le norme in materia di libertà di stabilimento.
Nell’approdare alle decisioni che risolvono le questioni poste al suo vaglio, la Corte segue un percorso logico
e argomentativo che si ripete costante in ogni pronuncia relativa alla libertà di stabilimento e che si articola in
tre distinte valutazioni: la prima attiene alla verifica di una possibile natura restrittiva della misura in esame, la
seconda è volta ad analizzare le giustificazioni eventuali sulla base di motivi imperativi di interesse generale
ed, infine, la terza concerne la proporzionalità fra i mezzi impiegati e gli scopi perseguiti.
Le decisioni della Corte sono frutto di un percorso argomentativo che, nei suoi tratti essenziali e
caratterizzanti, riproduce quello dei suoi precedenti, a tal punto che è possibile affermare che si è di fronte ad
uno stabile schema interpretativo.
In una materia delicata quale quella delle imposte dirette, la Corte sebbene riconosca la competenza
esclusiva degli Stati membri, tuttavia contempera tale affermazione di principio ponendo dei paletti al libero
esercizio della stessa che creano non poche incertezze.
Un principio di fondamentale importanza che viene sancito nella sentenza ICI e poi ribadito in tutte le
pronunce in materia, riguarda l’interpretazione delle disposizioni in materia di libertà di stabilimento.
Viene fornita, infatti, un’interpretazione di tali disposizioni che va oltre il tenore letterale delle stesse, la cui
portata innovativa ha avuto un’eco in tutte le sentenze successive. La Corte afferma che le disposizioni
sulla libertà di stabilimento non hanno solo lo scopo di garantire il beneficio della disciplina nazionale ai
cittadini o alle società di Paesi membri diversi da quello di stabilimento, esse consentono anche di
affermare il divieto in capo agli Stati membri di porre in essere delle misure che costituiscano delle
restrizioni “in uscita” e che, quindi, rendano meno “attraente” lo stabilimento e il conseguente esercizio di
tale diritto garantito dal Trattato in uno Stato membro diverso da quello di origine.
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Sulla scorta di tale principio la Corte ha dichiarato nella sentenza in esame che è incompatibile con le
disposizioni sulla libertà di stabilimento una normativa fiscale che subordini il diritto di una società residente
alla deduzione delle perdite di una partecipata per mezzo di una holding in funzione della sede delle
partecipate.
La medesima linea argomentativa viene seguita nella nota sentenza Marks & Spencer.
In tale sentenza, però, la Corte aggiunge un quid pluris allo schema di giudizio seguito fino a quel
momento.
Essa afferma da un lato, la legittimità di una normativa nazionale che esclude in modo generalizzato la
possibilità, per una controllante residente, di utilizzare le perdite prodotte in un altro Stato membro da una
controllata estera, quando tale possibilità è riconosciuta per le perdite subite da filiali residenti, dall’altro
l’illegittimità di una tale normativa nel caso in cui la controllata non residente abbia esaurito o non possa
usufruire della possibilità di utilizzazione delle stesse nello Stato di residenza.
Tale linea interpretativa, volta a far prevalere le libertà fondamentali sancite e garantite dal Trattato, si
ripete in maniera pressochè costante anche nelle questioni relative alle perdite subite da una stabile
organizzazione, tanto che in una sentenza come la Lidl Belgium viene sottoposta alla Corte la questione
se le cause di giustificazione utilizzate nel contesto della deduzione delle perdite subite da una società
controllata usate nella Marks & Spencer possano riproporsi anche in una situazione riguardante le perdite
subite da una stabile organizzazione.
La superiorità delle libertà fondamentali sancite dal Trattato viene affermata anche di fronte a questioni in
cui si discute della compatibiità di una normativa CFC con tali libertà, per cui una normativa fiscale,
sebbene restrittiva della libertà di stabilimento, viene dichiarata proporzionale allo scopo perseguito
soltanto nell’ipotesi in cui miri ad evitare costruzioni di puro artificio volte ad eludere l’imposta nazionale
dovuta.
Di fronte a tali sentenze, quello che emerge in maniera sempre evidente è il ruolo crescente della Corte di
giustizia nel processo di legislazione comunitaria e la sua funzione normogenetica.
Di fronte alla potenza della sua forza interpretativa, deve, però sottolinearsi anche che il ruolo che svolge la
Corte di giustizia nella sua funzione di integrazione negativa non è necessario da solo a supplire alla
mancata armonizzazione in una materia quale quella delle imposte dirette.
Ciò risulta evidente anche dalla sentenza Marks & Spencer. In tale sentenza, infatti, è vero che la Corte
approda ad una decisione la cui portata innovativa è indubbia, ma è anche vero che tale pronuncia non
sembra aver risolto definitivamente i problemi in materia di utilizzo transfrontaliero delle perdite, per cui
lascia irrisolte molte questioni che potrebbero sorgere al di fuori del caso specificatamente previsto nella
sentenza.
Ciò che sembrerebbe necessario di fronte ad uno scenario quale quello appena descritto è l’intervento di
una legislazione positiva che miri a realizzare la tanto decantata armonizzazione.
Le proposte di creazione di una base imponibile consolidata per le società operanti su scala europea
fornite dalla Commissione sembrano rispondere a tale esigenza.
Un sistema di tassazione consolidata quale quello della Common Consolidated Corporate Tax Base da un
lato risponde all’esigenza di creare delle regole comuni in materia di determinazione del reddito
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consolidato, dall’altro, consente comunque a ciascun Stato membro di stabilire la propria aliquota
d’imposizione interna da applicare alla porzione di reddito complessivo del gruppo ivi allocato e di
mantenere, quindi, almeno in parte, la propria sovranità impositiva.
Il problema legato a tali sistemi di tassazione di base consolidata comune, sebbene idealmente
rappresentino una ragionevole soluzione al problema prospettato in partenza, in quanto mirano
all’eliminazione degli ostacoli fiscali che le imprese europee attualmente incontrano nelle loro attività
transfrontaliere, tuttavia comportano la fisiologica difficoltà di mettere insieme i diversi ordinamenti tributari
dei diversi Stati membri, difficoltà che ad oggi non sembra facilmente superabile.
Sezione I: Tassazione consolidate dei gruppi e perdite transfrontaliere
Sommario:
1. ICI 1.1 I fatti 1.2 Le questioni pregiudiziali 1.3 Le argomentazioni della Corte 1.4
Restrizione 1.5 Conclusioni 2. X AB et Y AB 2.1 I fatti 2.2 Le questioni pregiudiziali 2.3 Le argomentazioni
della Corte 2.4 Conclusioni 3. Marks & Spencer plc 3.1 I fatti 3.2 Le questioni pregiudiziali 3.3 Le
argomentazioni della Corte 3.4 Conclusioni 4. Rewe Zentralfinanz 4.1 I fatti 4.2 Le questioni pregiudiziali
4.3 Le argomentazioni della Corte 4.4 Conclusioni 5. Oy AA 5.1 I fatti 5.2 Le questioni pregiudiziali 5.3
Le argomentaizoni della Corte 5.4 Conclusioni 6. Papillon 6.1 I fatti 6.2 Le questioni pregiudiziali 6.3 Le
argomentaizoni della Corte 6.4 Conclusioni
1. ICI
Il caso ICI sottoposto con ordinanza 24 luglio 1996 dalla House of Lords alla Corte di giustizia, rappresenta
nella copiosa giurisprudenza della Corte in materia di libertà di stabilimento, un importante punto di svolta.
La pronuncia in esame se, da un lato, si inserisce in un ambito materiale ricco di interventi della Corte,
1
dall’altro introduce novità di rilievo nell’ambito del diritto comunitario .
Viene sancito, infatti, per la prima volta il divieto in capo agli Stati membri di porre in essere delle misure
fiscali che determinino delle restrioni “in uscita”, che disincentivino, cioè, le società di uno Stato membro ad
esercitare il loro diritto, garantito dal Trattato, alla libertà di stabilimento in Stati membri diversi da quello di
origine.
1
Per i primi commenti sulla sentenza in esame vd. AA. VV. 16 July 1998, C-264/96, Imperial Chemical Industries
(GB), in “EC Tax Review”, n. 4, 1998, 290 e ss. ; G. BIZIOLI, Impact of the freedom of estabilishment on tax law, in
“EC Tax Review”, n. 4, 1998, 239 e ss. ;CORBEN, Commentary on ICI v. Colmer case, in EC Tax Journal, 1998, 29;
T. DANIELS, The freedom of establishment: some comments on the ICI decision, in “EC Tax Review”, n. 1, 1999, 39
e ss. ; NUZZO, Libertà di stabilimento e perdite fiscali: il caso Imperial Chemical Industries plc (ICI), in Rass. Trib.,
1999, 1814; PISTONE, Tax Treatment of Foreing Losses: an Urgent Issue for the European Court of Justice, in EC Tax
Review, 2003, 150 D. ROXBURGH, ICI PLC v. Colmer, in “European Taxation”, International Bureau of Fiscal
Documentation, gennaio 1999, 3 e ss.
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1.1 I fatti
L’ICI e la Wellcome Foundation Ltd, aventi entrambe sede nel Regno Unito (Home state), costituivano un
consorzio attraverso il quale detenevano rispettivamente in misura del 49 e del 51 per cento una holding.
Tale holding svolgeva come unica attività la detenzione e la gestione di partecipazioni in società commerciali.
Queste società erano controllate dalla holding al 90 per cento e al momento della proposizione del ricorso
erano 23, di cui quattro con sede nel Regno Unito, sei in altri Stati membri e le rimanenti tredici in altri paesi
terzi.
L’ICI chiedeva, in conformità a quanto previsto dalla legge del 1970 sull’imposta sul reddito e sulle società, di
poter beneficiare dello sgravio fiscale, consistente nella possibilità di dedurre dal proprio reddito imponibile le
perdite subìte da una società partecipata dalla holding, per i periodi corrispondenti agli esercizi in passivo
della partecipata e in misura corrispondente alla sua partecipazione.
I requisiti richiesti dalla normativa nazionale affinchè una società parte di un consorzio potesse compensare i
proprio utili con le perdite subite da società sussidiarie partecipate attraverso una società holding,
consistevano nel fatto che la holding svolgesse “esclusivamente o principalmente” un’attività volta alla
detenzione di azioni in società commerciali da essa controllate al 90 per cento.
Ulteriore requisito previsto da una disposizione della normativa nazionale, la cui interpretazione e applicazione
ha dato luogo alla questione, era che il termine “società”
ivi compreso, fosse riferito alle sole persone
giuridiche costituite e aventi sede nel Regno Unito.
L’Amministrazione finanziaria inglese negava, quindi, all’ICI la possibilità di beneficiare dello sgravio fiscale.
Tale diniego era dovuto al fatto che l’amministrazione finanziaria inglese riteneva che la holding non potesse
essere qualificata come tale poiché la maggior parte delle sue controllate non avevano sede nel Regno Unito
e di conseguenza, sebbene la sua attività consistesse esclusivamente nel detenere partecipazioni in società
commerciali da essa controllate al 90 per cento, il fatto che la maggior parte di queste non avesse la
residenza nel Regno Unito, impediva di attribuirle la qualità di holding e di beneficiare dei relativi vantaggi
fiscali.
Avverso questa interpretazione della normativa nazionale, l’ICI proponeva ricorso dapprima dinnazi alla High
Court e in seguito dinnanzi alla Court of Appeal, sostenendo che
gli elementi fattuali necessari alla
concessione dell’agevolazione fiscale avrebbero dovuto restringersi alle sole società che se ne possono
avvalere, non all’intero gruppo.
Inoltre, continuava la società ricorrente, la previsione di un beneficio fiscale solo in capo a holdings che hanno
come attività principale ed esclusiva quella di detenere partecipazioni in società commerciali con sede nel
Regno Unito, costituiva un regime fiscale discriminatorio e una limitazione alla libertà di stabilimento delle
società previste dagli articoli 43 e 48 del Trattato.
La domanda dell’ICI è stata accolta dalla High Court e, in seguito, dalla Court of Appeal.
1.2 Questioni pregiudiziali
La House of Lords ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte due questioni pregiudiziali.
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La prima è volta ad accertare se l’articolo 43 del Trattato sia contrario ad una normativa di uno Stato membro
che, per quanto riguarda le società stabilite in tale Stato membro e facenti parte di un consorzio attraverso il
quale possiedono una holding, subordina il diritto ad uno sgravio fiscale alla condizione che l’attività della
holding consista nel detenere esclusivamente o principalmente le azioni di consociate stabilite nello Stato
membro interessato.
Con la seconda questione il giudice nazionale chiede, in buona sostanza, di veder precisata la portata
dell’obbligo di cooperazione leale sancito dall’articolo 10 del Trattato.
Occorre sottolineare che la Corte, prima di procedere ad esaminare la prima questione sollevata dal giudice
nazionale, ha dovuto risolvere una serie di dubbi in merito alla pertinenza di tale questione alla risoluzione
della causa principale; si è dovuta, cioè, pronunciare sulla ricevibilità o meno del primo quesito pregiudiziale.
Nel corso della procedura, infatti, il governo del Regno Unito aveva eccepito che, anche nell’ipotesi in cui la
pronuncia della Corte dovesse risolversi nel senso di una effettiva restrizione operata dalla normativa
nazionale alla libertà di stabilimento sancita dall’articolo 43 del Trattato, tale pronuncia non sarebbe comunque
determinante per la concessione alla società ricorrente del beneficio dello sgravio fiscale.
Alla base di siffatto ragionamento sta la considerazione che le controllate della holding costituite e con sede
al di fuori della Comunità rappresentano la maggioranza delle società partecipate dalla holding. Ciò è di
ostacolo ad una risoluzione della controversia principale in senso favorevole all’ICI.
2
In risposta a quanto sostenuto dal governo del Regno Unito, la Corte ribadisce, in primo luogo, che sono solo i
giudici nazionali a dover valutare la necessità di una domanda pregiudiziale alla Corte per giungere ad una
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sentenza e la pertinenza della questione sottoposta ; in secondo luogo, viene sottolineato che il rigetto di una
domanda formulata dal giudice nazionale è possibile solo qualora si tratti di questioni puramente ipotetiche
ovvero
sia manifesto che il diritto comunitario non può essere applicato alle circostanze del caso di specie, che
4
manchi, cioè, alcuna relazione con “l’effettività o l’oggetto della controversia nella causa principale” .
Ciò non si verifica nel caso concreto, sottolinea la Corte, in quanto le diverse interpretazioni di cui è passibile
la normativa nazionale, dimostrano l’esigenza di una verifica della compatibilità di tale normativa con quanto
previsto dall’articolo 43 del Trattato.
1.3 Le argomentazioni della Corte
2
Come si legge al paragrafo 12 delle conclusioni dell’Avvocato Generale Tesauro, presentate il 16 dicembre 1997, la
Commissione si è espressa in tal proposito adducendo motivazioni di segno opposto rispetto a quelle sollevate dal
governo del Regno Unito. La Commissione, infatti, ha affermato che, il fatto che la normativa nazionale in questione
utilizzi, riferendosi all’attività che la holding deve porre in essere per poter essere qualificata come tale, l’espressione
“esclusivamente o principalmente” non deve necessariamente condurre a pensare che il criterio “quantitativo” sia l’unico
possibile e utilizzabile. Poiché, secondo la Commissione, la normativa in questione non è suscettibile di univoca
interpretazione, possono essere utilizzati diversi e ulteriori parametri. E’ sempre e comunque il giudice nazionale colui in
capo al quale ricade la scelta dei parametri che possono essere utilizzati.
3
Sentenza 27 ottobre 1993, causa C-127/92, Enderby, Racc. pag. I-5535, punto 10; Sentenza 3 marzo 1994, cause riunite
C-332/92, C-333/92 e C-335/92, Eurico Italia e a. , Racc. pag. I-711, punto 17, e Sentenza 7 luglio 1994, causa C-146/93,
McLachlan, Racc. pag. I-3229, punto 20.
4
Sentenze 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, Racc. pag. I-1883, punto 10, Sentenza 26 ottobre 1995, causa C143/94, Furlanis, Racc. pag. I-3633, punto 12.
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La Corte risponde al primo quesito posto dal giudice nazionale affermando che l’articolo 43 del Trattato osta
ad una normativa di uno Stato membro che, per quanto riguarda le società stabilite in tale Stato membro
facenti parte di un consorzio attraverso il quale possiedano una holding e che esercitino il loro diritto alla
libertà di stabilimento per creare, tramite tale holding, consociate in altri Stati membri, subordina il diritto ad
uno sgravio fiscale alla condizione che l’attività della holding consista nel detenere esclisivamente o
principalmente le azioni di consociate stabilite nello Stato membro interessato.
Per quanto riguarda il secondo quesito la Corte ha sostenuto che in presenza di circostanze come quelle di
cui alla causa principale, l’articolo 10 del Trattato non impone al giudice nazionale né di interpretare la propria
normativa in un senso conforme al diritto comunitario né di disapplicare tale normativa in una fattispecie
estranea all’ambito di applicazione del diritto comunitario.
Come già evidenziato, nella sentenza in esame la Corte ha ritenuto che una normativa fiscale, quale quella
del Regno Unito che subordina il diritto alla deducibilità fiscale delle perdite alla circostanza che l’attività della
holding consista nel detenere “wholly or mainly” le azioni di consociate con sede nello Stato membro in
questione, è contraria alla libertà di stabilimento sancita all’articolo 43 del Trattato.
Ora, approdando ad una simile conclusione, la Corte ha evidentemente disatteso quelle che erano state le
motivazioni sostenute dalla amministrazione britannica.
Per tale ragione e per l’importanza della portata della decisione che la Corte ha fornito, il ragionamento da
essa seguito merita di essere analizzato in tutti i suoi passaggi.
In primo luogo, nell’affrontare le questioni poste al suo vaglio, la Corte si rifà preliminarmente al proprio
orientamento in base al quale, sebbene la materia delle imposte dirette
rientri fra quelle che sono le
competenze specificatamente attribuite agli Stati membri, tuttavia questi ultimi hanno l’obbligo di esercitare le
competenze loro attribuite nel rispetto del diritto comunitario.
Ciò vuol dire che gli Stati membri non possono in nessun modo porre in essere delle misure che siano volte
ad ostacolare, senza alcuna giustificazione, le libertà garantite dal Trattato riguardanti la circolazione delle
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persone fisiche o giuridiche che esercitano un’attività autonoma .
Inoltre, prima di passare a quello che è il passaggio fondamentale della sentenza in esame, la Corte fa un
ulteriore precisazione.
Essa chiarisce quella che è la portata degli articoli 43 e 48 del Trattato relativi alla libera circolazione di
persone fisiche e società.
Ora, posto che l’articolo 43 del Trattato vieta ogni tipo di restrizione alla libertà di stabilimento di un cittadino di
uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, la Corte sottolinea che tale divieto implica che
l’accesso e l’esercizio delle attività non salariate avvenga alle stesse condizioni previste da uno Stato membro
di stabilimento per i proprio cittadini.
5
Sentenza 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225, punto 21; Sentenza 11 agosto 1995, causa
C-80/94, Wielockx, Racc. pag. I-2943, punto 16; Sentenza 27 giugno 1996, causa C-107/94, Asscher, Racc. pag. I-3089,
punto 36, e Sentenza 15 maggio 1997, causa C- 250/95, Futura Participations e Singer, Racc. pag. I-2471, punto 19.
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Questo regime deve essere garantito, secondo quanto disposto dall’articolo 48 del Trattato, anche alle società
costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o
la sede principale nel territorio della Comunità e che vogliano esercitare in un altro Stato membro la propria
6
attività tramite una succursale o un' agenzia .
Fatte queste premesse, la Corte sancisce un principio che costituisce l’aspetto più
rilevante dell’intera
sentenza e una novità di non poca importanza nell’ambito del diritto comunitario.
Viene sancito, infatti, per la sola seconda volta, un principio di fondamentale importanza nella materia delle
imposte dirette.
La Corte afferma che, sebbene dal tenore letterale delle disposizioni sopra esaminate possa evincersi che
esse hanno lo scopo di far si che un cittadino di un altro Stato membro possa godere, nell’accesso e
nell’esercizio alle attività subordinate delle stesse condizioni che lo Stato membro di stabilimento riserva ai i
propri cittadini, è tuttavia importante sottolineare che “esse ostano parimenti a che lo Stato d’origine ostacoli lo
stabilimento in altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria
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legislazione e corrispondente alla definizione dell’articolo 48 del Trattato” .
In buona sostanza, la Corte non solo ribadisce l’incompatibilità con l’ordinamento comunitario di tutte quelle
misure che pongano in essere una discriminazione in base alla nazionalità, ma afferma, dando una nuova
interpretazione all’articolo 43 del Trattato, anche l’incompatibilità di misure che producano l’effetto di creare
distorsioni di natura economica alla libertà di stabilimento sancita dal Trattato e rendano, di conseguenza,
8
meno vantaggioso l’esercizio dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario .
Sanciti i principi che poi saranno strumentali alla decisione finale, la Corte procede seguendo dei passaggi
che rimangono costanti in ogni pronuncia della Corte in materia di libertà di stabilimento.
Essa si chiede, in primo luogo , se la restrizione lamentata effettivamente sussiste.
Nel rispondere a tale quesito, viene esaminata quella che è la normativa controversa nella causa principale.
Tale normativa prevede che, affinchè una società facente parte di un consorzio possa beneficiare del
“consortium relief” e cioè, della possibilità di compensare i propri utili con le perdite subite da una controllata
della holding, tale holding deve possedere una serie di requisiti senza i quali lo sgravio fiscale non può essere
concesso.
La condizione richiesta dalla normativa nazionale la cui interpretazione ha dato luogo alla procedura, riguarda
il fatto che la holding controlli “esclusivamente o principalmente” consociate aventi la sede nel territorio
nazionale.
Quindi, il fatto che la normativa in questione preveda un beneficio fiscale e che subordini la possibilità di poter
usufruire di tale beneficio al fatto che la holding controlli esclusivamente o principalmente consociate aventi
6
Sentenze 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 18, e Sentenze 13 luglio 1993,
causa C-330/91, Commerzbank, Racc. pag. I-4017, punto 13.
7
G. BIZIOLI, Il rapporto tra libertà di stabilimento e principio di non discriminazione in materia fiscale: una applicazione
nel recente caso Imperial Chemical Industries, in Dir. prat. trib. , 1999, III, 334 e ss.
8
Cfr. G. BIZIOLI, Impact of the freedom of establishment on the tax law, in EC Tax Review, 1998, 245-246; G.
TESAURO, The Community’s internal market in the light of the recent case-law of the Court of Justice, in Yearbook of
European Law 1995, Oxford, 1995, 7 e ss; J. WOUTERS, The case-law of the Court of Justice on direct taxes: variation
upon a theme, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 1994, 179 e ss.
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sede nel Regno Unito, crea, secondo quanto affermato dalla Corte “un trattamento fiscale differenziato” sulla
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base della sede delle società controllate .
Posto che, alla luce delle considerazioni svolte, ci si trova di fronte ad una disparità di trattamento, la Corte
prosegue verificando se tale disparità possa essere giustificata sulla base delle disposizioni del Trattato sulla
libertà di stabilimento.
A tal proposito, il governo del Regno Unito aveva fornito quale giustificazione l’argomentazione che, in materia
di imposte dirette, le situazioni delle società residenti e di quelle non residenti non sono, in linea di massima
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comparabili .
Quanto affermato, sarebbe giustificato, secondo il governo del Regno Unito, da due ordini di motivazioni. Il
primo concerne il fatto che una normativa come quella controversa nella causa principale è volta a ridurre il
rischio di evasione fiscale che sarebbe implicito, per le società residenti, nella possibilità di trasferire all’estero
i redditi imponibili attraverso la creazione di società controllate non residenti.
Il secondo ordine di motivi attiene al fatto che la previsione di una tale normativa impedirebbe la sottrazione di
risorse imponibili al fisco britannico ed una conseguente riduzione delle entrate dovuta all’impossibilità per il
fisco britannico, di compensare la riduzione di imposte risultante dallo sgravio delle perdite delle controllate
residenti con l’assoggettamento ad imposta degli utili delle controllate aventi sede fuori dal Regno Unito.
La Corte disattende la prima giustificazione fornita dal governo del Regno Unito sostenendo che la normativa
de quo non ha il preciso obiettivo di contrastare pratiche evasive o elusive in quanto prende in considerazione
ogni situazione in cui, “per qualsiasi motivo”, le società controllate si trovino in maggioranza stabilite fuori dal
territorio nazionale.
Ora, il fatto che una società sia stabilita al di fuori del Regno Unito, non comporta, sottolinea la Corte, di per
sé, il porre in essere di pratiche ai fini di evasione fiscale, posto che la società comunque sarebbe
assoggettata alle leggi dello Stato all’interno del cui territorio si è insediata.
Inoltre, il fatto che la concessione del beneficio dello sgravio fiscale venga negato nel caso in cui le controllate
della holding non risiedano per la maggior parte nel Regno Unito non serve a escludere il rischio di evasione
fiscale, in quanto tale rischio potrebbe verificarsi anche con una sola delle controllate che abbia la sede al di
fuori del Regno Unito.
Per quanto riguarda, invece, la seconda giustificazione portata alla luce dal governo del Regno Unito, deve
sottolinearsi che una normativa restrittiva della libertà di stabilimento come quella di cui alla causa principale,
potrebbe giustificarsi soltanto nelle ipotesi eccezionali previste dal Trattato o, nell’ipotesi in cui si tratti di una
9
A tal proposito, non deve essere sottaciuto quanto espresso dall’Avvocato Generale Tesauro al paragrafo 18 delle sue
conclusioni, presentate il 16 dicembre 1997. Egli, nel delineare una situazione quale quella della causa principale, parla
di “tipica restrizione in uscita”. Le società, infatti, che vogliano avvalersi della loro libertà di stabilimento per creare
consociate in altri Stati membri, trovandosi dinnanzi ad un trattamento fiscale meno favorevole rispetto a quello che
sarebbe stato loro riservato se avessero avuto succursali nello stato di residenza, sono disincentivate dallo svolgere attività
mediante succursale o agenzia in altri Stati membri.
10
L’importanza di una tale giustificazione, è evidente. Il fatto che le due situazioni non siano comparabili implica che la
differenza di trattamento non sussiste. Infatti, non si verifica, secondo l’opinione del governo del Regno Unito, la
circostanza in cui a situazioni uguali viene applicato un trattamento differente tale per cui sia possibile parlare di una
discriminazione; nel caso di specie le situazioni non presentano alcun carattere di somiglianza per cui sarebbe del tutto
giustificato un trattamento fiscale differente.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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misura indistintamente applicabile ai cittadini e agli stranieri anche nel caso in cui sia finalizzata al
perseguimento di esigenze imperiose di interesse generale, idonee a garantire il conseguimento dello scopo
perseguito e proporzionate al raggiungimento di tale scopo.
Ora, poiché la riduzione di gettito fiscale non può essere annoverata in nessuna delle ipotesi
sopra indicate, bisogna considerare gli argomenti addotti dal governo del Regno Unito come privi di
fondamento.
Se è vero che, in questa sentenza, ma sarà un atteggiamento costante della Corte in tutte le pronunce in
materia di tassazione diretta e di libertà di stabilimento, la Corte
non ha accettato quale causa di
giustificazione la riduzione di gettitto, deve, però, ricordarsi che in più occasioni ha ritenuto la necessità di
mantenere la coerenza di un regime fiscale, poteva, in taluni casi, giustificare una normativa restrittiva delle
11
libertà fondamentali .
Però, mentre nelle cause citate era possibile ravvisare un “nesso diretto” fra le deducibilità dei contributi, da
un lato, e l’imponibilità, dall’altro, delle somme dovute da assicuratori in esecuzione dei contratti di
assicurazione contro i rischi di vecchiaia e morte, il cui rispetto era fondamentale per la salvaguardia della
coerenza del sistema fiscale; nel caso de quo, non può allo stesso modo affermarsi che vi sia un nesso diretto
fra lo sgravio fiscale delle perdite in capo alla società facente parte del consorzio e l’assoggettamento ad
12
imposta degli utili delle controllate aventi la sede fuori dal Regno Unito .
Per quanto riguarda la seconda delle questioni sottoposte dal giudice nazionale al vaglio della Corte, la Corte
statuisce che la differenza di trattamento prevista da una normativa a seconda che le controllate di una
holding abbiano la propria sede in Stati terzi o meno, non è una situazione che può trovare una tutela nel
diritto comunitario.
Infatti, quanto disposto dagli articoli 43 e 48 del Trattato non spiega i propri effetti alle situazioni in cui le
consociate abbiano la sede al di fuori della Comunità.
Dunque, neanche l’articolo 10 ha ragione di essere applicato.
In una situazione in cui si è al di fuori dall’ambito di applicazione del diritto comunitario, il giudice nazionale
non ha l’obbligo di interpretazione conforme di cui all’articolo 10 del Trattato rispetto ad una fattispecie ovvero,
come nel caso di specie, ad una parte di essa cui non è applicabile il diritto comunitario.
1.4 Restrizione
In primo luogo occorre sottolineare che la sentenza in esame rappresenta un’importante punto di svolta
rispetto al passato.
11
Sentenza 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann, Racc. pag. I-249, e Sentenza Commissione/Belgio, causa, C300/90. Racc. pag. I-305.
12
L’Avvocato Generale al paragrafo 28 delle sue conclusioni svolge una ulteriore considerazione: se anche, presi dai forti
dubbi circa l’idoneità o meno della misura restrittiva con l’ordinamento comunitario, si arrivasse ad affermare che la
disparità in questione sia giustificata, comunque non potrebbe dirsi che la misura restrittiva sia proporzionata allo scopo
perseguito.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
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Ciò che viene a rivestire la portata di elemento innovativo è l’interpretazione che la Corte, nel proprio iter
argomentativo fornisce dell’articolo 43 del Trattato.
Infatti, al paragrafo 21 della sentenza la Corte afferma che « sebbene così come formulate, le norme relative
alla libertà di stabilimento mirino in special modo ad assicurare il beneficio della disciplina nazionale dello
Stato membro ospitante, esse ostano parimenti a che lo Stato d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro
Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione e
13
corrispondente alla definizione dell’articolo 48 del Trattato » .
Ora, nelle pronunce precedenti la Corte si era sempre mossa verso il riconoscimento di una discriminazione
posta in essere da uno Stato membro nei confronti di soggetti residenti in altri Stati membri che si fossero
stabiliti all’interno del suo territorio, andando così a definire via via gli elementi caratterizzanti del principio di
14
non discriminazione .
Tale principio trova il proprio fondamento nell’articolo 12 del Trattato che al primo comma recita « Nel campo
di applicazione del presente Trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è
vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità ».
Si tratta di un principio che ha portata generale e che trova specificazione nelle norme che sanciscono le
libertà fondamentali (libera circolazione dei beni, libera circolazione e libertà di stabilimento delle persone,
libera circolazione dei servizi, libera circolazione dei servizi).
Con esso viene sancito il divieto, nell’ambito dell’esercizio delle libertà fondamentali, di ogni discriminazione
basata, direttamente o indirettamente, sulla nazionalità.
Tutto ciò allo scopo di evitare ogni politica protezionistica di uno Stato membro che rappresenta il primo
ostacolo, non solo alla costituzione di un mercato comune, ma più in generale alla realizzazione di qualunque
forma di libero scambio.
Ora, nella sentenza in esame, non è propriamente corretto affermare che l’ICI sia oggetto di discriminazione,
poiché essa è costituita ed ha la propria sede nel Regno Unito.
Non si è di fronte ad una fattispecie in cui un beneficio fiscale accordato dalla normativa di uno Stato membro
viene negato ad un soggetto di un diverso Stato membro che ha esercitato una libertà sancita dal Trattato,
bensì in una situazione in cui uno Stato membro prevede che il beneficio fiscale previsto dalla propria
normativa nazionale non venga accordato ad un soggetto residente nel proprio territorio nazionale che abbia
deciso di esercitare tale libertà in un altro Stato membro.
13
Tale affermazione di principio da parte della Corte trova il proprio precedente soltanto in una pronuncia. Infatti, il
primo caso in cui si è discusso di libertà di stabilimento con riferimento allo Stato di origine è quello relativo alla
sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail and General Trust.
14
ADONNINO, Il principio di non discriminazione nei rapporti tributari tra Paesi membri secondo le norme CEE e la
giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità, in Riv. dir. fin. , 1993, I, 63; AMATUCCI, Il principio di non
discriminazione fiscale, Padova, 1998; AVERY JONES, Europian Union: carry on discriminating, in European taxation,
1996, n. 2, 46;G. BIZIOLI, Evoluzione del diritto di stabilimento nella giurisprudenza in materia fiscale della Corte di
giustizia, in Riv. it. Dir. pubbl. comunit. , 1999, 2, 381; id., Il rapporto tra libertà di stabilimento e principio di non
discriminazione in materia fiscale: una applicaizone nel recente caso “Imperial Chemical Industries”, in Dir. prat.
trib.,1993, 313; P. ROSSI-MECCANICO, Prinvipi comunitari di fiscalità diretta delle imprese. Il principio di non
discriminazione, in Fiscalità Internazionale, 2008, 226; PISTONE, La non discriminazione anche nel settore
dell’imposizione diretta: intervento della Corte di giustizia, in Dir. e prat. trib. , 1005, I, 1471; B. J. M. TERRA e P. J.
WATTEL, European Tax Law, Third Edition, 2001, 41 e ss.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
12/87
Nella sentenza ICI, infatti, la Corte non si trova a dover affrontare una situazione in cui viene in rilievo
l’applicazione del diritto comunitario in materia di libertà di stabilimento nello « host Member State », quanto,
piuttosto, ad una situazione in cui la normativa nazionale costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento
15
prevista dall’articolo 43 del Trattato .
La Corte, nello svolgere il proprio iter logico e interpretativo accerta la presenza di un « trattamento fiscale
differenziato » che si realizza attraverso l’utilizzo di un criterio quale quello della sede delle società controllate
dalla holding.
A tal proposito merita di essere portato in evidenza quanto affermato dall’Avvocato Generale Tesauro al
paragrafo 18 delle sue conclusioni. Viene sottolineato che la fattispecie di cui si tratta nella causa principale
costituisce una « tipica restrizione in uscita ».
Infatti, il fatto che la normativa nazionale accordi il beneficio dello sgravio fiscale solo alla condizione che la
holding detenga le proprie partecipazioni « esclusivamente o principalmente » in società che hanno la sede
nel Regno Unito, è un fattore che dissuade le società residenti nel Regno Unito che vogliano esercitare la
propria attività in altri Stati membri. Quindi, la normativa in questione, rendendo « meno attraente » per le
società stabilite nel Regno Unito la creazioni di articolazioni in altri Stati, costiutisce un ostacolo all’esercizio
della libertà di stabilimento sancita e garantita dall’articolo 43 del Trattato.
Quello appena descritto rappresenta il tipico ragionamento che la Corte effettua per verificare se è in presenza
di una misura restrittiva.
Infatti, l’analisi da essa eseguita è volta a verificare, in primo luogo, se la disposizione nazionale costituisce un
ostacolo alla possibilità di scelta di porre in essere attività transfrontaliere; in secondo luogo, nel caso in cui si
deliberi che la normativa controversa ostacola l’esercizio delle libertà fondamentali, la Corte va a verificare la
presenza di possibili cause di giustificazione, grazie alle quali, anche in presenza di una misura restrittiva, è
possibile non procedere alla sanzione della misura stessa.
Diverso è, invece, l’approccio argomentativo che la Corte utilizza per verificare se sia di fronte ad una
violazione del principio di non discriminazione.
In questo caso, infatti, per verificare se una norma fiscale è discriminatoria, la Corte procede ad analizzare la
situazione del residente e del non residente per appurare che siano oggettivamente comparabili, in relazione a
quella specifica norma.
Da ciò ne deriva, secondo quanto è sempre stato affermato dalla Corte, che si è di fronte a discriminazione
quando vi è l’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe ovvero l’applicazione della stessa norma a
situazioni diverse.
Fatte queste premesse, è possibile affermare che nella sentenza in esame si è di fronte ad una restrizione
della libertà di stabilimento, in quanto la normativa fiscale nazionale, negando la possibilità di beneficiare di un
vantaggio fiscale nell’ipotesi in cui le controlllate della holding siano stabilite al di fuori del Regno Unito,
costituisce un ostacolo per una società residente rispetto alla scelta di effettuare attività transfrontaliere e alla
possibilità di esercitare la libertà di stabilimento sancita dal Trattato.
15
T. DANIELS, op. cit. , p. 40.
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1.5 Conclusioni
Nella sentenza in esame la Corte afferma che una normativa di uno Stato membro che subordina la
concessione di un beneficio fiscale alla condizione che l’attività della holding consista nel detenere
esclusivamente o principalmente le azioni di consociate stabilite nello Stato membro interessato, è contraria
all’articolo 43 del Trattato.
Ciò che, però, sembra assumere una rilevanza peculiare nella sentenza esaminata è la modalità con cui la
Corte arriva a sostenere l’incompatibilità di una normativa fiscale di uno Stato membro che subordina la
concessione di un beneficio fiscale, quale la deduzione delle perdite di una società partecipata dalla holding
dal proprio reddito imponibile, con le disposizioni del Trattato che sanciscono la libertà di stabilimento.
Una simile conclusione, infatti, da un lato, va a rafforzare quello che è l’orientamento della Corte in materia di
libertà di stabilimento e di utilizzo transfrontaliero delle perdite, dall’altro, aggiunge un importante tassello al
percorso argomentativo perseguito dalla Corte nell’approdare alle decisioni relative alle questioni sottoposte al
suo vaglio dai giudici nazionali.
Il quid pluris della sentenza esaminata è costituito dall’affermazione di principio che la Corte fa in merito
all’obiettivo che le disposizioni sulla libertà di stabilimento perseguono.
Esse, come già affermato, hanno non soltanto lo scopo di garantire il beneficio della disciplina nazionale dello
Stato membro ospitante, ma anche quello di impedire che uno Stato membro ostacoli lo stabilimento di un
proprio cittadino o di una società che abbia la sede nel proprio Stato membro, in un altro Stato membro,
ponendo in essere delle misure che determinano delle restrizioni “in uscita”.
2. X AB et Y AB
La sentenza del 18 novembre 1999 costituisce un ulteriore esempio in cui la Corte si trova a dover risolvere
questioni attinenti la facoltà, in capo al legislatore nazionale, di fondare il discrimen del trattamento fiscale di
due fattispecie uguali in relazione ad elementi costitutivi di natura transazionale.
La sentenza in esame si inserisce perfettamente nel filone giurisprudenziale volto a far prevalere le libertà
comunitarie sancite dal Trattato, nel caso di specie si tratta della libertà di stabilimento e della libertà di
circolazione dei capitali, sulle misure fiscali restrittive adottate dagli Stati membri.
2.1 I fatti
Nell’ambito di un processo di riorganizzazione societaria, la società capogruppo, X AB, e la sua controllata, Y
AB,
aventi entrambe sede in Svezia (Home state), chiedevano alla commissione tributaria un parere
preliminare relativo alla applicabilità, nei loro confronti, della normativa relativa ai trasferimenti finanziari
intragruppo.
Tale normativa prevedeva che, se una società svedese possedesse più dei nove decimi delle azioni di un’altra
società svedese, i trasferimenti all’interno del gruppo effettuati dalla prima alla seconda società venissero
considerati onere deducibile per la società conferente e reddito imponibile per la beneficiaria.
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All’epoca dei fatti, il 58 per cento del capitale sociale della Y AB era detenuto direttamente dalla capogruppo,
X AB, mentre la restante parte era detenuto indirettamente da società controllate dalla stessa capogruppo.
La società X AB, chiedendo un parere preliminare, prospetteva alla commissione tributaria tre
distinti casi, che costituivano altrettante ipotesi di riorganizzazione economica dell’intero gruppo, e in realzione
a ciascuno di essi chiedeva se, in base alla normativa svedese sui trasferimenti finanziari intragruppo, fosse
possibile ottenere le agevolazioni fiscali ivi previste.
La prima ipotesi sottoposta al vaglio della commissione tributaria riguardava la possibilità di applicare la
normativa in questione nel caso in cui il capitale sociale della Y AB fosse direttamente detenuto da X AB e
indirettamente da una società consociata svedese interamente controllata; la seconda ipotesi rispecchiava
una situazione in cui il capitale sociale della Y AB fosse direttamente detenuto dalla X AB e indirettamente,
per almeno il 15 per cento, da una società consociata con sede nei Paesi Bassi (Host state).
Infine veniva chiesto alla commissione tributaria se l’applicabilità delle agevolazioni fiscali in quesitone
potesse aver luogo nel caso in cui il capitale sociale della Y AB fosse detenuto direttamente dalla X AB e
indirettamente da società controllate con sede rispettivamente nei Paesi Bassi (Host state) e in Germania
(Host state) indirettamente controllate dalla società X AB.
Poiché in ciascuna delle tre ipotesi avanzate mancava il requisito soggettivo previsto dalla normativa svedese
relativo alla detenzione dei nove decimi del capitale sociale da parte della società capogruppo, nella
fattispecie la X AB, nella controllata, la Y AB, la commissione negava la possiblità che potesse trovare
applicazione nei tre casi delineati la disciplina sui trasferimenti infragruppo.
Tuttavia, riteneva che nel primo e nel secondo caso, i trasferimenti infragruppo potessero comunque
beneficiare dei medesimi effeti in virtù, però, dell’applicazione della normativa sulle fusioni societarie.
In particolare, per quanto riguarda la seconda ipotesi prospettata dalla società ricorrente, veniva sottolineato
che, anche se il beneficio in questione era esteso alle sole società svedesi, tuttavia, sarebbe contrario alla
clausola di non discriminazione, contenuta in una convenzione contro le doppie imposizioni come quella
stipulata tra la Svezia e i Paesi Bassi, negare alle società con sede in tali Stati membri la possibilità di
effettuare trasferimenti finanziari all’interno di un gruppo con le agevolazioni previste dalla normativa svedese.
Nel terzo caso, invece, anche la regola relativa alle fusioni veniva considerata inapplicabile, in quanto veniva
negata la possibilità che due convenzioni contro le doppie imposizioni, quella stipulata fra Svezia e Germania,
da un lato, e tra Svezia e Paesi Bassi, dall’altro, venissero applicate cumulativamente. Le disposizioni di una
convenzione contro le doppie impsizioni, secondo la giurisprudenza del giudice amministrativo supremo,
esplicano i loro effeti solo nei confronti degli Stati firmatari.
Le società X AB e Y AB impugnavano il parere preliminare dinnanzi al Regeringsratten, sostenendo che il
divieto posto in relazione al terzo caso costituiva una discirminazione vietata dal Trattato.
2.2 Questioni pregiudiziali
Ritenendo necessaria un’interpretazione del diritto comunitario per la soluzione della controversia nella causa
principale, il Regeringsratten decideva di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la questione
pregiudiziale volta ad accertare se in relazione alle tre ipotesi di riorganizzazione finanziaria delineate dalla X
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casi della Corte di giustizia
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AB e sottoposte al vaglio della commisisone tributaria, fosse riscontrabile una contrarietà con le disposizioni
del Trattato relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali.
La Corte, prima di poter procedere all’analisi e alla risoluzione della questione sottoposta al suo vaglio, ha
dovuto, in via preliminare, risolvere due dubbi sorti in merito alla ricevibilità della questione pregiudiziale.
Il primo di essi attiene alla natura dell’organo remittente: si discute cioè, se il Regeringsratten
svedese possa essere qualificato, ai sensi dell’articolo 234 del Trattato, come “giurisdizione di uno degli Stati
16
membri” ; il secondo riguarda l’accertamento, in via subordinata, della natura della controversia come
effettiva e non puramente ipotetica.
La definizione di “giurisdizione di uno degli Stati membri” contenuta nell’articolo 234 del Trattato
17
è, come
afferma la Corte, una questione “ unicamente di diritto comunitario”.
Ciò vuol dire che, la nozione in questione non è riferibile ai singoli ordinamenti dei vari Stati membri, il che
porterebbe a svuotare l’istituto del rinvio pregiudiziale della propria finalità, consistente nell’interpretazione
uniforme del diritto comunitario, ma è frutto di una scelta da parte del giudice comunitario.
Secondo una giurisprudenza costante
18
i requisiti utilizzati dalla Corte per arrivare a confermare la natura
giurisdizionale di un organo, possono essere l’ origine legale dell’organo, il suo carattere permanente, la
obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi
norme giuridiche e nel fatto che sia indipendente.
Sebbene, come è stato osservato dall’Avvocato generale Saggio al punto 12 delle sue conclusioni, la
contestuale presenza di tali elementi sia in linea di principio considerata necessaria, tuttavia nell’accertamento
fattuale la Corte ha derogato a tale rigida costruzione ritenendo che la possibilità in capo ai giudici nazionali di
sottoporre una questione pregiudiziale ex articolo 234 del Trattato sussiste soltanto nell’ipotesi in cui dinanzi a
tali giudici sia pendente una lite e essi hanno l’obbligo di statuire nell’ambito di un procedimento
19
destinato a sfociare in una pronuncia di carattere giurisdizionale .
Per tale ragione occorre verificare, in via subordinata, se almeno la condizione del potenziale sviluppo in
pronuncia di carattere giurisdizionale possa essere ravvisata nel caso di specie.
Ora, poiché il consiglio di Stato svedese adito in sede d’appello contro le decisioni della commissione
tributaria, è stato chiamato a risolvere, con una decisione di carattere vincolante, una controversia nata su
ricorso del contribuente e poiché tale controversia verte
16
Deve sottolinearsi che la verisone inglese del Trattato utilizza una nozione più efficace, riferendosi alla espresisone
controversa con la dizione “any court or tribunal of a Member State”.
17
La norma comunitaria, in realtà, contiene due espressioni formalmente diverse per riferirsi al concetto in questione.
Infatti, il comma 2 dell’art. 234 parla di “ogni questione (…) sollevata dinnanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati
membri”, mentre il comma 3 parla di “questione (…) sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione
nazionale”. Ora, la Corte non ha mai risolto affrontato il problema relativo alle due diverse nozioni di “giurisdizione” che
potrebbero emergere dalla lettera della norma. Vd. sul punto, G. BIZIOLI, Libertà di stabilimento ed imposizione fiscale
dei gruppi di società: il caso X AB, Y AB, in Riv. dir. trib. , 2003, 3, 40.
18
Sentenze 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Gobbles, Racc. pag. 407, in particolare pag.424, e Sentenza 17
settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, Racc. pag. I-4961, punto 23.Sentenza 17 settembre 1997, causa C-54/96,
Dorsch Consult, Racc. pag. I-4961, punto 23.
19
Ordinanza 18 giugno 1980, causa 138/80, Borker, Racc. pag. 1975, punto 4, e Sentenza 12 novembre 1998, causa C134/97, Victoria Film, Racc. pag. I-7023, punto 14.
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casi della Corte di giustizia
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sulla legittimità di un parere capace di andare a pregiudicare i diritti del contribuente in quanto vincolante nei
confronti dell’amministrazione finanziaria, allora è indubbio che il Consiglio di Stato abbia una natura
giurisdizionale.
Per quanto riguarda, invece, il dubbio sollevato circa la natura ipotetica e non effettiva della controversia, è
necessario innanzitutto premettere che, in virtù della collaborazione che caratterizza il rapporto fra la Corte di
giustizia e il giudice nazionale, il compito di accertare le condizioni per la rimessione della questione alla Corte
di giustizia sussiste solo in capo agli organi giurisdizionali nazionali.
Tuttavia la Corte ha più volte nelle sue pronunce, richiamato a sé la facoltà di verificare tali condizioni. In
particolare, essa ha dichiarato la propria incompetenza in relazione a questioni “non rispondenti ad una
20
necessità obiettiva inerente alla definizione di una controversia” .
Nel caso di specie, il dubbio sorge in ragione del fatto che i fatti dedotti nella questione pregiudiziale di
interpretazione ancora non erano giunti a perfezionamento.
A tale obiezione la Corte osserva che, proprio in ragione della efficacia vincolante del parere preventivo reso
dallo Skatterattsnamnden, la società ricorrente vantava un concreto diritto alla tutela giurisdizionale delle
situazioni giuridiche attive conferiteli dall’ordinamento comunitario.
Ne deriva che la società X AB, ha un interesse concreto all’accertamento della compatibilità delle norme
nazionali rispetto all’ordinamento comunitario.
2.3 Argomentazioni della Corte
La Corte ha risolto la questione posta dal giudice nazionale affermando che in una situazione quale quella
prospettata nella causa principale, gli artt. 43 e 48 del Trattato e 56 e 58 ostano a che le agevolazioni fiscali
in questione siano negate per i trasferimenti fra due società per azioni aventi sede nel suddetto Stato membro,
quando la seconda società sia totalmente controllata dalla prima unitamente a più consociate a loro volta da
essa interamente controllate e aventi sede in vari altri Stati membri con i quali il primo Stato membro abbia
stipulato convenzioni contro la doppia imposizioni contenenti una clausola di non discriminazione.
Il primo principio rilevante all’interno del percorso argomentativo seguito dalla Corte per approdare alla
decisione finale, riguarda la portata delle disposizioni relative alla libertà di stabilimento.
Essa ribadisce che, sebbene dal tenore letterale sia possibile dedurre che queste abbiano lo scopo di
assicurare il beneficio della normativa nazionale dello Stato membro di stabilimento ai cittadini di altri Stati
membri, tuttavia esse impediscono che si ostacoli l’esercizio della libertà di stabilimento in un altro Stato
membro di un proprio cittadino
21
22
o di una propria società costituita secondo la propria legislazione .
20
Sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia/Novello, Racc. pag. 3045, punti 18 e 20; Sentenza 16 luglio 1992,
causa C-83/91, Meilicke, Racc. pag. I-4871, punto 25.
21
G. BIZIOLI, Il rapporto tra libertà di stabilimento e principio di non discriminazione in materia fiscale: una
disapplicazione nel recente caso Imperial Chemical Industries, in Dir. prat. trib., 1999, III, pagg. 334 e ss.
22
Sentenze 27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail and General Trust, Racc. pag. 5483, punto 16, e Sentenza 16
luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 21.
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casi della Corte di giustizia
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In seguito la Corte procede a verificare se sussiste o meno la lamentata restrizione alla libertà di stabilimento
e alla libera circolazione dei capitali.
Nel fare ciò viene analizzata la legislazione nazionale.
La normativa in esame prevede, a determinate condizioni, un beneficio fiscale nel caso di trasferimenti
finanziari intragruppo, tra queste condizioni rientra quella in base alla quale le due società devono entrambe
avere la sede in Svezia; tale beneficio viene concesso, per interpretazione giurisprudenziale, anche per i
trasferimenti tra una società capogruppo svedese ad un’altra società svedese che sia controllata dalla prima e
da una o più società da
essa interamente controllate che abbiano la sede in un unico altro Stato membro con cui la Svezia abbia
concluso una convenzione contro la doppia imposizione che contenga un clausola di non discriminazione.
La situazione, però, muta, nel senso che il beneficio de quo viene negato, nell’ipotesi in cui si ripetano le
medesime condizioni appena enunciate, ma con l’unica differenza che le società interamente controllate dalla
capogruppo svedese abbiano sede in altri diversi Stati membri (e quindi, non in un unico altro Stato membro).
Quindi, il fatto che una normativa nazionale subordini la concessione di un beneficio fiscale ad elementi
costitutivi di natura transazionale, legittima la Corte ad affermare che si è in presenza di una “disparità di
trattamento” basato sul criterio della sede delle società interessate.
Una volta affermata l’esistenza della restrizione della libertà sancita dal Trattato, essa, secondo un
orientamento caro alla Corte, deve poter essere giustificato.
Poiché nessuna giustificazione è stata fornita dal governo svedese, la disparità di trattamento è stata ritenuta
dalla Corte contraria alla libertà di stabilimento sancita dal Trattato.
2.4 Conclusioni
Analoghe considerazioni rispetto a quelle già svolte per l’esame della sentenza ICI posso essere fatte anche
in questa sede. Anche nella sentenza in esame, infatti, viene ribadito il principio in base al quale la libertà di
stabilimento implica, non solo che alle società situate in un diverso Stato membro venga accordato il beneficio
della disciplina nazionale, ma anche che una società di uno Stato membro non venga soggetta ad un
trattamento fiscale differente qualora voglia esercitare la propria libertà di stabilimento.
Anche in questo caso, nelle sue conclusioni l’Avvocato Generale parla di « tipica restrizione in uscita » e
anche in questo caso è possibile ravvisare nell’ iter argomentativo della Corte un approccio basato sulla
verifica di un’ eventuale disparità di trattamento che costituisca un ostacolo all’esercizio della libertà di
stabilimento.
3. Marks & Spencer
La sentenza del caso C-446/03, Marks & Spencer, emessa il 13 dicembre 2005, svolge un ruolo fondamentale
nel filone giurisprudenziale analizzato in materia di libertà di stabilimento.
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casi della Corte di giustizia
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Con il caso Marks & Spencer viene sottoposto alla Corte il problema relativo alla compatibilità di una
normativa fiscale, nel caso di specie quella inglese, relativa alla determinazione e alla imputazione delle
23
perdite, con il diritto al libero stabilimento da parte delle società nell’ambito dell’Unione europea .
La sentenza in esame, da un lato, ribadisce l’orientamento seguito dalla Corte relativo al divieto di restrizioni
fiscali “in uscita”, dall’altro, fornisce un quid pluris in materia di utilizzo transfrontaliero delle perdite.
Con tale sentenza viene riconosciuta, infatti, la possibilità in capo alla Marks & Spencer di poter dedurre dai
redditi nazionali le perdite subite da controllate estere a condizione che la controllata non residente abbia
esaurito o non possa usufruire della possibilità di utilizzazione delle stesse nello Stato di residenza.
3. 1 I fatti
La Marks and Spencer, con sede nel Regno Unito (Home State), è una società a capo di un gruppo
specializzato nella grande distribuzione di articoli di abbigliamento, prodotti alimentari, casalinghi e servizi
finanziari. Tale società controllava, mediante una holding
con sede nei Paesi Bassi, filiali (subsidiaries)
stabilite in Germania (Host State), Belgio (Host State) e Francia (Host State).
Alla fine degli anni ’90 le filiali hanno iniziato a registrare perdite destinate ad aumentare negli anni successivi,
a tal punto da portare la Marks and Spencer alla decisione di cessare la propria attvità esercitata mediante tali
filiali.
Alla fine del 2001, infatti, la filiale francese veniva ceduta a terzi, mentre quelle tedesca e belga cessavano
tutte le attività commerciali.
Per ciascuno degli anni in questione (1998-2001), la Marks and Spencer chiedeva all’amministrazione fiscale
britannica di poter godere dello “sgravio di gruppo”, cioè di poter portare in deduzione dall’imponibile le perdite
realizzate dalle sue filiali tedesca, belga e francese. Da sottolineare che i criteri in base ai quali sarebbe
dovuta avvenire la determinazione delle perdite, secondo quanto accordato dalle parti, trovavano la propria
sede nella normativa del Regno Unito.
Le domande di sgravio presentate dalla Marks and Spencer venivano respinte sulla base della considerazione
che le controllate della società inglese non erano residenti ai fini fiscali nel Regno Unito, né vi esercitavano
una attività economica per mezzo di una stabile organizzazione.
23
Si veda a tal proposito, CORDEWENER A, DAHLBERG M., PISTONE P., REIMER E. e ROMANO C., The Tax
Treatment of Foreign Losses: Ritter, M & S, and the Way Ahead, in European Taxation, 4-5/2004; DEL SOLE, Il
trasferimento delle perdite transfrontaliere: il caso Marks & Spencer, in Fiscalità Internazionale, 2006, 45; DELLA
VALLE, Libertà di stabilimento e consolidamento delle perdite fiscali nei gruppi multinazionali, in GT- Rivista di
giurisprudenza tributaria, 2006, 197; id., L’utilizzaizone cross border delle perdite fiscali, in Rass. Trib., 2006, 994 ss.; D.
EVANS, European Court of Justice to Consider Cross- Border Loss Compensation, in International Bureau of Fiscal
Documentation, 2003, 195; FUXA, Il “goup relief” e il caso marks & Spencer, in Fisclaità Internazionale, 2005, 293;
GRANDINETTI, Gruppi di società, compensazione delle perdite e libertà fondamentali: il caso Marks & Spencer, in Dir.
prat. trib. Internaz. , 2006, 353; S. GRILLI, Anocra sulla libertà di stabilimento, imposizione dei gruppi societari e riporto
delle perdite, in Dir. prat. trib. , 4/2004, 755; MARTIN, Marks & Spencer: The Taxing Jurisdiction Argument: A
Rebuttal, in Tax Planning International EU, 19; RUSSO, Tassazione di gruppo e deduzione delle perdite delle società
controllate estere: un ostacolo fiscale alla libertà di stabilimento ancora in attesa di una soluzione?, in Riv. dir. trib. ,
2006, 3; M. SCHEUNMANN, Decision in the Marks & Spencer case: a step Forward, but no victory for cross-border
taxation in Europe, in Intertax, 34/2006, 54 ss.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
19/87
Le domande di sgravio respinte venivano impugnate dinanzi agli Special Commissioners of Income Tax
24
e,
in seguito, la decisione con cui tale organo respingeva il ricorso veniva appellata dalla società ricorrente
davanti alla High Court of Justice, Chancery Division.
Ora, sebbene non sia questa la sede appropriata in cui svolgere una approfondiata e accurata analisi di quella
che è la legislazione fiscale britannica sullo “sgravio di gruppo”,
tuttavia è necessario fornire in maniera alquanto semplificativa alcuni tratti salienti di tale legislazione al fine di
comprendere meglio le questioni sollevate nella sentenza in esame.
Nel Regno Unito, l’imposta sul reddito delle società viene calcolato sulla base del world wide principle in base
al quale le società residenti vengono tassate per i redditi ovunque prodotti, mentre le società non residenti che
svolgono nel Regno Unito un’attività commerciale per mezzo di una stabile organizzazione, sono assoggettate
all’ imposta sulle società solo per la parte di utili di origine nazionale, per quella parte di utili, cioè, che siano
imputabili ai profitti realizzati mediante le stabili organizzazioni situate nel Regno Unito.
Inoltre, per prevenire le doppie tassazioni, il Regno Unito utilizza il metodo del credito di imposta.
Il regime fiscale dei gruppi presenta delle peculiarità dovute al fatto che all’interno del diritto tributario
britannico non esiste il consolidamento dei risultati delle società di un gruppo: ciascuna società versa le
imposte separatamente sugli utili conseguiti.
Tale regime, in realtà, risulta attenuato sotto due profili: da un lato, infatti, le filiali estere possono distribuire i
propri utili sotto forma di dividendi alla società controllante inglese e la conseguente doppia imposizione viene
evitata attraverso la concessione di un credito d’imposta, dall’altro, viene istituito un regime particolare per le
perdite dei gruppi detto “sgravio di gruppo” ( “group relief”).
In base a tale regime ogni società del gruppo ( “ the surrendering company”) può cedere le sue perdite ad
un’altra società dello stesso gruppo (“the claimant company”) e quest’ultima può dedurre tali pedite dai propri
utili imponibli.
La società che ha ceduto le proprie perdite, però, si priva, così facendo, della possibilità di dedurre tali perdite
dal proprio reddito imponibile.
25
In seguito ad una modifica legislativa avvenuta dopo la sentenza ICI , la normativa britannica è stata
modificata al fine di permettere il regime dello “sgravio di gruppo” anche alle società non stabilite nel Regno
Unito che esercitano un’attività commerciale in detto Stato membro per mezzo di una stabile organizzazione o
un’agenzia.
Ora, come è ben possibile evincere dai fatti di cui alla causa principale sopra richiamati, le controllate della
società ricorrente, non avendo sede né esercitando nel Regno Unito un’attività economica, non possono, in
base ai requisiti richiesti dalla normativa britannica, beneficiare dello “sgravio di gruppo”.
24
In relazione alla decisione degli Special Commissioners: CRAIG, RAINER, ROLES, THOMMES e TOMSETT, UK
Tribunal Rejects Loss Offset for European subsidiaries, in Tax Notes International, 2/2003; HINNEKENS L, The Marks
& Spencer Case: UK Special Commissioners find UK group relief rules compatible with freedom of establishment, in
European Taxation, 5/2003.
25
Nella sentenza 16 luglio 1998, caso C-264/96, ICI, Racc. I-4695, la Corte ha affermato il divieto di subordinare la
possibilità esistente in capo ad una società residente di dedurre dal proprio reddito imponibile le perdite subite da una
consociata residente, controllata per mezzo di una holding posseduta con un consorzio, alla condizione che l’attività della
holding sia quella di detenere esclusivamente o principalmente le azioni di consociate stabilite nello Stato membro
interessato.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
20/87
3.2 Le questioni pregiudiziali
La Marks & Spencer ha, quindi, presentato appello di fronte alla High Court of Justice, che ha deciso di
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte due questioni pregiudiziali.
Con tali questioni si chiede, in buona sostanza, di accertare se le disposizioni del Trattato relative alla libertà
di stabilimento sono contrarie ad una normativa, quale quella in esame nella causa principale, che esclude la
possibilità, per una società controllante residente, di dedurre dal proprio reddito imponibile le perdite prodotte
in un altro Stato membro da una controllata stabilita nel territorio di quest’ultimo, sebbene preveda tale
possibilità per le perdite subite da una controllata residente nel territorio nazionale.
3.3 Le argomentazioni della Corte
La Corte risolve il quesito posto dal giudice nazionale affermando che è legittima una normativa di uno Stato
membro che esclude “in modo generalizzato” la possibilità, per una controlllante residente, di dedurre dal
proprio reddito imponibile le perdite subite in un altro
Stato membro da una controllata che abbia la sede sul territorio di quest’ultimo.
Allo stesso tempo, però, sancisce l’illegittimità di una normativa, in quanto contraria alle disposizioni del
Trattato relative alla libertà di stabilimento, che esclude una tale possibilità nell’ipotesi in cui la controllata non
residente abbia esaurito la possibilità di presa in considerazione delle perdite esistenti nel suo Stato di
residenza per l’esercizio fiscale considerato nella domanda di sgravio, nonché degli esercizi fiscali precedenti
e in cui, dall’altro, tali perdite non possano essere prese in considerazione nello Stato di residenza per gli
esercizi fiscali futuri né da essa stessa, né da un terzo, in particolare in caso di cessazione a quest’ultimo.
La Corte, nel risolvere le questioni poste al suo vaglio dal giudice nazionale, utilizza uno schema di giudizio,
che si ripete in ogni pronuncia, e che si articola in tre distinte valutazioni: la prima attiene alla verifica di una
possibile natura restrittiva della misura in esame, la seconda è volta ad analizzare le giustificazioni eventuali
sulla base di motivi imperativi di interesse generale ed, infine, la terza concerne la proporzionalità fra i mezzi
impiegati e gli scopi perseguiti.
Prima di procedere alla constatazione di un eventuale carattere restrittivo della normativa fiscale controversa,
la Corte ribadisce preliminarmente una serie di principi già espressi in altre pronunce e strumentali alla
risoluzione della controversia.
In primo luogo afferma che “sebbene la materia delle imposte dirette rientri nella competenza degli Stati
26
membri, questi ultimi devono esercitarla nel rispetto del diritto comunitario” .
Con tale affermazione di principio, la Corte sottolinea che gli Stati membri non sono totalmente liberi
nell’esercitare le proprie competenze in un settore come quello delle imposte dirette. Essi devono, in ogni
caso, rispettare quelle che sono i doveri che derivano dall’adesione al Trattato CE.
26
Sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C- 397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a. , Racc. pag. I-1727, punto 37 e
giurisprudenza ivi citata.
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21/87
In secondo luogo la Corte ribadisce, come già aveva fatto nella sentenza ICI, la portata delle disposizioni del
Trattato relative alla libertà di stabilimento.
Viene ribadito, cioè, che i cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare attività non subordinate o
gestire imprese in un altro Stato membro, devono essere liberi di farlo, secondo quanto stabilito dall’articolo 43
del Trattato, alle medesime condizioni stabilite e previste dallo Stato membro di stabilimento per i propri
cittadini.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 48 del Trattato, vengono assicurate le medesime garanzie anche alle società che
siano costituite secondo quanto stabilito dalle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale,
l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità europea e che vogliano svolgere la
27
loro attività nel detto Stato membro per mezzo di una controllata, succursale o agenzia .
E’ interessante notare come, dopo aver sancito i presupposti logici che si ripetono in ogni pronuncia della
Corte relativa alla compatibilità o meno di una normativa fiscale con le libertà sancite dal Trattato, la Corte
ribadisce, sulla scorta di quanto affermato per la prima volta in maniera incisiva e preponderante nella
sentenza ICI, il divieto esistente in capo agli Stati membri di porre in essere delle misure fiscali che possano
costituire una restrizione “in uscita”.
Nello svolgere le argomentazioni che la condurranno alla decisione finale, la Corte parte dalla constatazione
che lo sgravio di gruppo previsto dalla normativa brittanica costituisce un vantaggio di natura fiscale per le
società che ne possono usufruire, in quanto permette l’utilizzazione delle perdite prodotte da società del
gruppo attraverso la loro imputazione immediata ai redditi di un’altra società del gruppo, realizzando in tal
modo un “vantaggio di cassa”.
Ora, posto che tale vantaggio viene negato a società che hanno controllate in altri Stati membri e che nel
Regno Unito non esercitano una attività economica né hanno la residenza ai fini fiscali, ne consegue che la
disciplina inglese dello “sgravio di gruppo” ha una natura restrittiva che può costituire un ostacolo per una
società residente nel Regno Unito, dissuadendo la stessa dall’esercitare la propria libertà di stabilimento e dal
creare controllate in altri Stati membri.
Secondo la Corte, dunque, una normativa quale quella britannica che prevede una disparità di trattamento fra
le perdite subite da una controllata residente e quelle subite da una controllata non residente, costituisce una
28
restrizione della libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 43 e 48 del Trattato .
Quanto statuito dalla Corte trova specificazione nelle affermazioni che l’Avvocato Generale Madauro, al paragrafo 23
delle sue conclusioni, presentate il 7 aprile 2005, ha svolto in merito. Egli, entrando più nel dettaglio, afferma che ciò che
gli Stati membri non sono liberi di fare senza tenere conto di quelli che sono i limiti e gli obblighi imposti
dall’appartenenza alla Comunità, anche in una materia quale quella delle imposte dirette non sottoposta alla competenza
specifica della Comunità, è “l’esercizio” delle competenze loro attribuite. Lo sono, invece, per quanto riguarda il
delineamento e la strutturazione del prorpio sistema fiscale. Infatti, secondo quanto affermato da una girisprudenza
consolidata (v. sentenza 28 giugno 1978, causa 1/78, kenny, Racc. pag. I-1489, punto 18, nel contesto dei diritti connessi
alla cittadinanza europea, v. sentenza 15 luglio 2004, causa C-365/02, Lindfors, Racc. pag. I-0000, punto 34), non esiste
discriminazione vietata dal Trattato quando vi siano divergenze tout court fra le legislazioni degli Stati membri.
27
28
Si deve sottolineare che, mentre nel quesito posto dal giudice nazionale veniva messo in rilievo la compatibilità con gli
articoli 43 e 48 del Trattato di una normativa, quale quella controversa nella causa principale, che prevede un diverso
trattamento fiscale a seconda che una società residente scelga di avvalersi in un altro Stato membro di una controllata
piuttosto che di una stabile organizzazione, la Corte, come si evince dalla riformulazione fatta del quesito posto dal
giudice nazionale, tralascia di porre alla sua attenzione tale aspetto. Le ragioni di ciò sono facilmente individuabili nelle
affermazioni che l’Avvocato Generale fa ai paragrafi 42 e ss. delle sue conclusioni. Egli si rifà preliminarmente a
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Posto che tale restrizione esiste è necessario verificare se essa possa essere giustificata.
La Corte ricorda il principio, consolidato nella giurisprudenza comunitaria, in base al quale una restrizione è
ammessa solo nell’ipotesi in cui la normativa da cui deriva persegue uno scopo legittimo compatibile con il
Trattato, è giustificata da ragioni imperative di interesse generale e la sua applicazione è idonea a garantire il
29
perseguimento dello scopo perseguito, senza eccedere quanto necessario per raggiungerlo .
Le giustificazioni addotte dagli Stati che hanno presentato le loro osservazioni nella causa principale, non
sono sconosciute nell’ambito del panorama delle pronunce della Corte; ciò che colpisce maggiormente è,
invece, la modalità con cui nella sentenza in esame, la Corte procede nell’affrontare tali giustificazioni.
Il primo ordine di giustificazioni presentate a fondamento della propria difesa dal Regno Unito e dagli altri Stati
membri rigurda l’impossibilità di comparare le situazioni in cui versano le controllate residenti e quelle non
residenti, con particolare riferimento ad una normativa quale quella oggetto di giudizio, e il principio di
territorialità.
Infatti, in base a tale principio, riconosciuto
30
nella prassi fiscale internazionale e nella giurisprudenza
comunitaria, la competenza in materia fiscale spetterebbe, in linea di principio, agli Stati sul cui territorio le
società sono registrate e svolgono attività commerciale.
Ne consegue che uno Stato membro, come quello nel caso di specie in cui è registrata la controllante, non è
competente in materia fiscale nei confronti di società controllate che non abbiano la residenza fiscale in tale
Stato membro o non vi esercitino un’attivtà economica.
In base a quanto sostenuto dai governi dei vari Stati membri, se manca il potere impositivo e quindi la
possibilità di tassare gli utili delle controllate non residenti, non è possibile neanche tener conto delle loro
perdite per offrire un vantaggio al gruppo a cui appartengono.
Al riguardo la Corte ha osservato che, anche se la residenza del contribuente “può” determinare, o meglio,
giustificare, il porre in essere di un differente trattamento fiscale tra residenti e non residenti, tuttavia non
costituisce la regola, “non è sempre un fattore giustificato di distinzione”.
sentenze, quale ad esempio la Saint-Gobain, in cui viene vietata dalla Corte ogni forma di disparità di trattamento fra le
diverse forme di stabilimento adottabili dagli operatori. Tuttavia, sostiene l’Avvocato Generale, nella causa in esame la
disparità di trattamento fra le forme di stabilimento deriva dal differente regime che la legge inglese riserva alle
controllate estere e alle stabili orgarganizzazioni estere di società residenti. Non vi è, infatti, nel Regno Unito un regime
di consolidamento fiscale, per cui le società controllate vengono comunque considerate come entità giuridiche
indipendenti. La disparità di trattamento lamentata fra le due forme di stabilimento deriva dalla differenza dei regimi
fiscali applicabili. La controllata, infatti, è un soggetto giuridico distinto e autonomo, mentre la stabile organizzazione
costituisce un prolungamento dello stesso soggetto giuridico che esercita all’estero la sua attività tramite la stabile
organizzazione. Ragione per cui, la conclusione a cui arriva l’Avvocato Generale è quella della inesistenza della
lamentata discriminazione, derivante dalla circostanza che le situazioni non possono, dato il diverso regime fiscale ad
esse applicabile, essere oggetto di un’analisi di comparabilità.
29
Sentenza 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Partecipations e Singer, Racc. pag. I-2471, punto 26, e Sentenza11
marzo 2004, causa C-9/02, De Lasteyrie du Saillant, Racc. pag. I- 2409, punto 49.
30
Nella sentenza 15 maggio 1995, caso C-250/95, Futura Partecipations e Singer, Racc. pag. I-2471, la Corte, richiama il
principio di territorialità per indicare i limitati poteri di tassazione dello Stato Lussemburghese nei confronti di un
soggetto non residente per le perdite da questo prodotte in Lussemburgo tramite una stabile organizzazione e la cui
riportabilità era limitata ad una con redditi futuri prodotti in Lussemburgo. La prospettiva è quella dello Stato
dell’investimento. Nel caso Marks & Spencer, come rilevato la prospettiva adottata dalla Corte è quella dello Stato
d’origine o residenza.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
23/87
In caso contrario, infatti, si andrebbe a svuotare di contenuto quella che è la protata dell’articolo 43 del
Trattato, che garantisce in capo ai cittadini di uno Stato membro la possbilità di svolgere attività economiche in
un altro Stato membro alle medesime condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i
propri cittadini.
Per risolvere il contrasto sopra delineato e far si che vi sia un equo contemperamento fra le esigenze di cui
sopra, è necessario, suggerisce la Corte, svolgere, caso per caso, in base alle cirscostanze del caso concreto,
un’analisi volta all’accertamento di elementi oggettivi, in grado di giustificare tali disparità di trattamento.
Ora, in linea teorica e tendenziale, in una situazione quale quella in cui si versa nella causa principale
sembrerebbe che lo Stato membro agisca in ossequio a quello che è il principio di territorialità, andando a
tassare le società residenti per i redditi ovunque prodotti, quelle non residenti solo limitatamente ai redditi
derivanti da attività poste in essere all’interno di detto Stato membro.
Tuttavia, sostiene la Corte, la circostanza in base alla quale i redditi della controllata non residente non siano
tassati dallo Stato in questione non è un elemento idoneo a giustificare “di per sé” la negazione di un
vantaggio quale quello dello “sgravio di gruppo” alle società controllate non residenti.
Quelle appena esposte sono le argomentazioni utilizzate dalla Corte per respingere la prima delle
31
giustificazioni presentate dagli Stati intervenuti .
La Corte, poi, procede nel valutare le possibili giustificazioni alla restrizione accertata nella prima parte del
procedimento, esaminando le conseguenze di un’estensione incondizionata dello “sgravio di gruppo”.
31
A tal proposito è necessario riportare quanto sostenuto dall’Avvocato Generale nelle sue conclusioni in merito alla
causa di giustificazione legata al principio di territorialità. Egli sostiene che il governo del Regno Unito abbia fornito una
interpretazione non del tutto corretta del principio di territorialità. Sarebbe, infatti, errato ritenere tale principio come un
mezzo attraverso il quale poter giustificare l’esclusione di un vantaggio fiscale, per il solo fatto che manchi,
corrispondentemente, un potere impositivo. Tale principio deve essere inteso, piuttosto, come uno strumento per mezzo
del quale sia possibile far coesistere le diverse sovranità fiscali degli Stati membri, per cui l’esercizio della competenza
fiscale di uno Stato membro presuppone un collegamento con la nazionalità del soggetto passivo o con la localizzazione
nel territorio dei redditi imponibili. Nel delineare, in linea di principio, quello che è l’ambito nel quale il potere
impositivo di uno Stato membro può trovare esplicazione, il principio in questione ha lo scopo di evitare l’insorgenza di
eventuali conflitti di competenza tributaria tra gli Stati membri. Tuttavia, è importante precisare che, l’interpretazione e
l’utilizzo di detto principio non può prescindere dal rispetto di quelli che sono gli obblighi sorgenti in capo agli Stati
membri e derivanti dalla loro appartenenza alla Comunità. Tale appartenenza implica comunque un rispetto e un doveroso
ossequio a quelle che sono le libertà garantite dal Trattato. L e argomentazioni fornite dal governo del Regno Unito,
invece, sono volte a giustificare, sulla base del principio di territorialità, la mancata concessione di un vantaggio fiscale,
consistente nella possibilità di prendere in considerazione le perdite di una controllata non residente, sulla base della sola
considerazione che in capo alla società residente non vi è un corrispondente potere impositivo sugli utili della controllata.
E’ possibile notare come, sebbene la Corte e l’Avvocato Generale arrivino al medesimo risultato, consistente nel diniego
della giustificazione presentata dal governo del Regno Unito, tuttavia nelle considerazioni svolte dall’Avvocato Generale
vi è una maggiore enfasi nel rigettare tali giustificazioni. Per un approfondimento sul dibattito sorto in dottrina sulle
conclusioni delll’Avvocato Generale Maduro si veda LANG M. , Marks &Spencer-more questions than answers: an
analysis of the Opinion delivered by Advocate General Maduro, in EC Tax Review, 2/2005, e MEUSSEN G. T. K. ,
Cross-Border Loss Relief in the European Union following the Advocate General’s Opinion in the Marks & Spencer
Case, in European Taxation, 7/2005; MEUSSEN, The Marks & Spencer case: the final countdown has begun, in
European Taxation, 2005, 160 e ss; M. RUSSO, The 2005 Leiden Forum on Recent and Pending Direct Taxation Cases
before the European Court of justice, Intertax, volume 34, 4/2006.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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A tal proposito vengono forniti dal Regno Unito e gli altri Stati membri tre elementi di giustificazione.
La prima giustificazione attiene la coerenza o la simmetria dei sistemi fiscali per la salvaguardia di una
“equilibrata ripartizione del potere impositivo degli Stati”; la seconda giustificazione riguarda il possibile duplice
uso delle perdite; infine, viene addotta quale giustificazione il rischio di evasione fiscale.
Deve sottolinearsi che la Corte (nei paragrafi 44-51) compie una analisi delle cause di giustificazione
presentate dagli Stati intervenuti in modo del tutto differente rispetto a quello che è sempre stato il suo
approccio abituale. Essa, infatti, valuta le cause di giustificazione nel loro complesso e non separatamente.
Preliminarmente la Corte, ribadisce, rifacendosi ad un orientamento già espresso in altre sentenze, che la
riduzione delle entrate tributarie non può in nessun modo essere considerato come un motivo imperativo di
interesse generale valido a giustificare una normativa in contrasto con le libertà fondamentali sancite dal
32
Trattato .
Tuttavia, argomenta la Corte, una “equilibrata ripartizione del potere impositivo fra i diversi Stati membri
interessati” implica che ciascuno Stato membro applichi la propria normativa fiscale alle attività economiche
delle società residenti in tale Stato, relativamente ai profitti e alle perdite realizzate.
Consentire, infatti, sottolinea la Corte, ad una società di scegliere se utilizzare le proprie perdite nello Stato
membro in cui ha la residenza o in un altro Stato membro, non permette di realizzare quell’equilibrio tanto
decantato nella ripartizione del potere impositivo fra gli Stati membri.
In tal modo, la Corte ammette che la limitazione del vantaggio fiscale de quo, possa essere
giustificato alla
luce della necessità di garantire la coerenza del sistema fiscale, ribadendo la necessità di considerare quelli
che sono i vincoli nascenti dalla convivenza delle sovranità fiscali degli Stati membri, affidandosi, ai criteri di
33
ripartizione nazionali, considerati prevalenti rispetto agli interessi comunitari .
32
Sentenza 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen, Racc. pag. I-7477, punto 49 e giurisprudenza ivi citata.
A tale proposito, non deve essere sottaciuto quanto espresso dall’Avvocato Generale nei paragrafi 66 e ss. delle sue
conclusioni. Tale argomento, secondo l’Avvocato Generale Maduro, deve essere ricollegato al principio della coerenza
del sistema fiscale. Inoltre, egli afferma che la giustificazione basata sulla necessità di garantire la coerenza del sistema
fiscale deve essere accertata sulla base di quello che è lo scopo e la logica perseguiti dal regime britannico dello sgravio
di gruppo. Tale considerazione merita di essere precisata. In primo luogo, l’Avvocato Generale precisa che la nozione di
coerenza del sistema fiscale ha una funzione “correttiva”, ha lo scopo, cioè, di andare a corrreggere gli effetti della
previsione delle libertà fondamentali sancite dal Trattato sulla organizzazione dei sistemi fiscali che, invece, rientra, in
linea di principio, nella competenza esclusiva deli Stati membri. Quindi la coerenza fiscale avrebbe l’obiettivo di tutelare
“l’integrità” dei sistemi fiscali nazionali, senza però ostacolare “l’integrazione” di tali sistemi nell’ambito della Comunità.
Fatte queste considerazioni, l’Avvocato Generale continua analizzando quello che è lo scopo della normativa in
questione. Egli sottolinea che la logica del sistema dello sgravio di gruppo è quella di “neutralizzare, sotto il profilo
fiscale, gli effetti della costituzione di un gruppo di società”. Da ciò ne deriva che la compensazione dei risultati
economici del gruppo a livello aggregato e la possibilità di trasferire le perdite dalle società controllate sono gli obiettivi
fondamentali perseguiti da una normativa quale quella britannica sullo sgravio di gruppo. Deve, quindi, dimostrarsi che il
rifiuto sistematico da parte della normativa fiscale inglese di prendere in considerazione le perdite delle controllate estere
all’interno del gruppo, risponde all’obiettivo di tutelare la logica insita nella normativa sullo sgravio di gruppo. Per cui, se
la concessione dello sgravio in relazione alle perdite di controllate estere va a minare la neutralità perseguita, il divieto di
consolidare le perdite è giustificato, in caso contrario tale divieto sarebbe una misura sproporzionata allo scopo
perseguito. Ora, è evidente come vi sia una differenza di toni e di impostazioni fra le argomentazioni esposte dalla Corte e
33
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Per quanto riguarda la seconda giustificazione addotta dagli Stati intervenuti relativa al rischio di un duplice
utilizzo delle perdite, la Corte afferma che, in linea di principio gli Stati membri devono potersi opporre a tale
rischio.
Il pericolo di un richio del genere, insito nella possibilità che le perdite vengano utilizzate anche dallo Stato
della società cedente e non residente, viene eliminato attraverso la previsione di una normativa, quale quella
in oggetto, che esclude la possibilità di beneficiare dello “sgravio di gruppo” con riferimento alle attività
economiche esercitate al di fuori del territorio nazionale.
Il rischio di evasione fiscale, presentato come terza causa di giustificazione, trova la propria ragion d’essere
nella circostanza che all’interno di un gruppo di società venga organizzato e pianificato trasferimento di perdite
in Stati in cui le aliquote sono più elevate e quindi maggiore sarebbe il valore fiscale delle perdite.
Prevedere una normativa quale quella in esame nella causa principale, sottolinea la Corte, impedirebbe il
rischio appena prospettato.
Alla luce di questi elementi di giustificazione la Corte stabilisce che la normativa dello “group relief”, per
quanto possa considerarsi come restrittiva, tuttavia persegue obiettivi legittimi compatibili con il Trattato e
configurabili fra i motivi imperativi di interesse generale.
Risulta, inoltre, idonea a garantire la realizzazione di tali obiettivi.
34
La Corte, non esaurendo in tal modo il proprio processo decisionale, si riserva di stabilire se la misura
restrittiva in questione sia conforme al principio di proporzionalità, se essa, cioè, non ecceda quanto
necessario per il conseguimento sostanziale degli scopi perseguiti.
Infatti, come hanno sostenuto la società ricorrente e la Commissione, la previsione di una eslcusione
generalizzata del beneficio dello sgravio di gruppo, potrebbe essere sostituita da una normativa meno
restrittiva che persegua il medesimo obiettivo.
E’ a questo punto della sentenza che prende luogo l’aspetto più preponderante della sentenza in esame e la
sua portata innovativa.
La Corte, infatti, afferma che “la misura restrittiva de quo eccede quanto necessario per il conseguimento
sostanziale degli scopi perseguiti in una situazione in cui:
La controllata non residente ha esaurito le possibilià di presa in considerazione delle perdite esistenti nel
suo Stato di residenza per l’esercizio fiscale considerato nella domanda di sgravio, nonché degli esercizi
fiscali precedenti, eventualmente mediante un trasferimento di tali perdite ad un terzo, oppure l’imputazione
delle dette perdite ai profitti realizzati dalla controllata durante gli esercizi precedenti e,
Le perdite della controllata estera non possano essere prese in considerazione nel suo Stato di residenza
per gli esercizi fiscali futuri né da essa stessa, né da un terzo, in particolare in caso di cessione a quest’ultimo
della controllata”.
quelle seguite dall’Avvocato Generale. La Corte, infatti, sembra aver tralasciato i suggerimenti interpretativi forniti dalle
conclusioni dell’Avvocato Generale.
34
La Corte non si esime dall’affermare, al pragrafo 52 della sentenza in esame, che l’analisi svolta non viene in nessun
modo intaccata dalle indicazioni contenute nella seconda parte del primo quesito posto dal giudice nazionale relative a “
ai profitti e alle perdite di una succursale estera di una società registrata nel detto Stato membro; ai dividendi distribuiti ad
una società registrata in quest’ultimo da parte di una controllata registrata in un altro Stato membro”.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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In definitiva, la Corte, effettuato il test di proporzionalità
35
e sancito che tale test non è stato superato dalla
normativa in questione, statuisce che per poter utilizzare le perdite la controllante deve dimostrare che la
controllata abbia esaurito la possibilità di utilizzarle nel proprio paese di stabilimento, anche mediante
meccanismi di riporto indietro o in avanti, ovvero concedendole a terzi
36
3. 4 Conclusioni
Con il caso Marks & Spencer viene posto all’attenzione della Corte la questione dell’impatto della normativa
inglese in materia di determinazione e imputazione delle perdite sul diritto al libero stabilimento delle società
nel terriotorio comunitario per mezzo di controllate.
La Corte, una volta accertata la natura restrittiva della normativa inglese, procede nel verificare se tale
normativa possa essere legittimata da giustificazioni di interesse generale e dal perseguimento di uno scopo
compatibile con il Trattato.
L’analisi condotta in relazione alle cause di giustificazione presentate, porta la Corte ad affermare che la
normativa inglese è giustificata, in quanto persegue scopi di interesse generale ed è idonea a perseguire tali
interessi.
Il problema sorge in relazione al fatto che è l’argomento della proporzionalità che conduce la Corte ad
affermare l’illegittimità della normativa inglese sullo sgravio di gruppo.
In buona sostanza, la Corte al termine del proprio iter logico interpretativo, considera la normativa sullo
sgravio di gruppo come non idonea a conseguire lo scopo perseguito in maniera proporzionata.
E’ proprio l’analisi condotta in questa importante pronuncia che rende evidente quello che è l’approccio della
Corte in materia. Infatti, in presenza di una misura fiscale nazionale che si presenti come restrittiva della
libertà di stabilimento, e quindi di un diritto fondamentale sancito dal Trattato, è necessario procedere a
verificare se tale misura, anche se restrittiva possa essere comunque giustificata da motivi di interesse
generale; nell’ipotesi in cui anche quest’ultimo profilo di analisi possa considerarsi soddisfatto, allora la Corte
procede nel verificare se la misura restrittiva possa essere considerata quale strumento indispensabile al
raggiungiemento dello scopo prefissato, se, cioè, lo socpo prefissato non possa esser perseguito con mezzi
meno restrittivi della libertà di stabilimento.
E’ sulla base di questa impostazione che la Corte afferma che, in linea di principio, potrebbe essere ammesso
un regime che non consenta la deduzione di perdite di controllate estere, purchè, però, tale regime superi il
controllo di proporzionalità.
36
Deve sottolinearsi come, le argomentazioni utlime fornite dalla Corte non coincidano con quelle fatte dall’Avvocato
Generale nelle sue conclusioni, sebbene entrambi poi giungano al medesimo risultato.
Infatti, l’Avvocato Generale sostiene che la giustificazione della coerenza del sistema fiscale, da lui propugnata, può
essere accolta solo nell’ipotesi in cui si verifichi che, le perdite subite all’estero, sono assoggettate ad un trattamento
fiscale equivalente a quello che riserva lo Stato in cui sono prodotte. La condizione a cui, secondo l’Avvocato Generale,
lo sgravio può essere concesso è che le perdite delle controllate estere non possano costituire oggetto di un trattamento
fiscale favorevole nel paese in cui hanno sede.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
27/87
Nel caso di specie la Corte, con una soluzione che non sembra aver risolto in maniera definitiva il problema
della compatibilità comunitaria delle norme fiscali nazionali che ostacolano la compensazione transfrontaliera
delle perdite, dichiara che non è proporzinale allo scopo perseguito la normativa fiscale che impedisca la
compensazione transfrontaliera delle perdite nell’ipotesi in cui la controllata abbia esaurito la possibilità di
utilizzarle nel proprio Paese di stabilimento, anche mediante meccanismi di riporto indietro o in avanti ovvero
concedendole a terzi.
4.Rewe Zentralfinanz
Dopo la sentenza Marks & Spencer, il tema della compensazione transfrontaliera delle perdite viene
riaffrontato dalla Corte con la sentenza C-347/04, Rewe Zentralfinanz, emessa il 29 marzo 2007.
La pronuncia in esame costituisce una conferma rispetto a quello che è il consolidato orientamento
giurisprudenziale comunitario in materia di libertà di stabilimento.
Nella sentenza Rewe Zentralfinanz, infatti, la Corte stabilisce che le disposizioni del Trattato in materia di
libertà di stabilimento ostano ad una normativa di uno Stato membro che limiti la possibilità, per una società
controllante residente, di deduzione fiscale delle perdite subite da detta società a titolo degli ammortamenti
realizzati sul valore delle sue partecipazioni in società controllate residenti in altri Stati membri.
4.1 I fatti
La società Rewe Zentralfinanz, con sede in Germania (Home State), nel 1995 concludeva un contratto di
fusione con cui il gruppo Kaufhof cedeva la società ITS, una società del gruppo operante nel settore turistico.
Per effetto di tale contratto, la Rewe Zentralfinanz acquisiva il patrimonio della ITS, divenendone il successore
universale.
La struttura societaria creata dalla ITS prevedeva una holding e una sub-holding, da essa controllate al 100
per cento e residenti entrambe nei Paesi Bassi. Inoltre la sub-holding aveva acquistato partecipazioni in due
società in Belgio (Host State), in una società nel Regno Unito (Host State) e in una società in Spagna (Host
State).
In considerazione delle continue perdite subite all’estero, la capogruppo tedesca (all’epoca dei fatti la ITS, poi
fusa nella Rewe Zentralfinanz), ha effettuato una svalutazione del valore della partecipazione oltre che una
rettifica del valore di alcuni crediti relativamente alle società residenti nel Regno Unito e in Spagna.
L’amministrazione fiscale tedesca si era rifiutata di prendere in considerazione questi oneri a titolo di redditi
negativi per stabilire l’utile imponibile della Rewe Zentralfinanz nel corso dei due anni controversi (il 1993 e
1994), adducendo quale motivazione il fatto che la normativa nazionale in materia di imposte sulle società non
consentiva di accogliere tale richiesta.
La normativa nazionale controversa prevedeva la possibilità di dedurre dall’utile imponibile gli ammortamenti
sul valore parziale più basso delle partecipazioni, ossia il minor valore del prezzo di acquisto della
partecipazione in una società, derivante dalle persistenti perdite subìte da quest’ultima.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
28/87
La normativa in questione prevedeva anche che, se la partecipazione era relativa ad una società stabilita in
Germania, la società che detenenva la partecipazione poteva compensare le perdite con gli utili realizzati nello
stesso esercizio; diversamente se la partecipazione era riferibile ad una società non stabilita in Germania,
allora la compensazione era ammessa solo se le perdite risultanti dagli ammortamenti fossero compensate
da utili provenienti dallo stesso Stato estero.
Tale possibilità era prevista anche nel caso in cui la società possedesse una partecipazione non inferiore al
25 per cento in un’altra società di capitali straniera a sua volta produttiva di utili.
La Rewe Zentralfinanz, di fronte al diniego della amministrazione finaziaria tedesca, presentava ricorso
dinanzi al Finanzgericht Koln, sostenendo che l’applicazione della normativa nazionale costituisse una
discriminazione contraria al diritto comunitario.
Il giudice del rinvio, riteneva fondata l’ impugnazione della Rewe Zentralfinanz, in quanto la normativa in
questione costituiva una violazione del diritto comunitario; sosteneva, inoltre, di non poter addurre motivi volti
a giustificare l’esistenza nel sistema fiscale tedesco di una tale normativa.
4. 2 Le questioni pregiudiziali
In considerazione di quanto appena affermato, il giudice nazionale sospendeva il procedimento e chiedeva
alla Corte se le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali
debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa che- come quella controversa nella causa
principale contenuta nell’articolo 2 bis, commi primo, numero 3, lett. a) e secondo, dell’ EstG- limiti l’immediata
deducibilità fiscale delle perdite derivanti dall’ammortamento sul valore di partecipazione in società controllate
stabilite in altri paesi della Comunità, quando queste ultime effettuino operazioni passive ai sensi della
normativa nazionale e/o quando effettuino operazioni attive ai sensi della normativa nazionale solo tramite
proprie sub-controllate, mentre sono consentiti senza limitazioni gli ammortamenti sul valore di partecipazioni
in società controllate stabilite nel territorio nazionale
4.3 Le argomentazioni della Corte
La Corte nel rispondere al quesito posto dal giudice nazionale, afferma che in circostanze quali quelle di cui
alla causa principale, in cui una società controllante che detiene in una società controllata non residente una
partecipazione tale da conferirle una sicura influenza sulle decisioni di detta controllata estera e da consentirle
di indirizzarne le attività, gli articoli 43 e 48 del Trattato ostano ad una normativa di uno Stato membro che
limiti, per una società
controllante residente nel suo territorio, le possibilità di deduzione fiscale delle perdite subite da detta società
per gli ammortamenti realizzati sul valore delle sue partecipazioni in società controllate stabilite in altri Stati
membri.
L’analisi svolta dalla Corte nel risolvere la questione sottoposta al suo vaglio dal giudice nazionale è articolata
in numerosi passaggi che meritano di essere messi in luce per meglio comprendere la portata della soluzione
fornita dalla Corte.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
29/87
In primo luogo viene ribadito dalla Corte un principio che essa tende a precisare in ogni pronuncia in materia
di libertà di stabilimento.
Viene chiarito, cioè, che la materia delle imposte dirette, pur rientrando nella competenza degli Stati membri,
tuttavia deve essere esercitata nel rispetto del diritto comunitario e degli obblighi derivanti dall’adesione al
37
Trattato .
Successivamente vengono ribaditi tutti i principi rilevanti sanciti nelle precedenti pronunce e che costituiscono
i tasselli di cui la Corte si serve per risolvere le varie questioni sottoposte al suo vaglio in materia di libertà di
stabilimento.
Viene, di conseguenza, riaffermato quello che è l’ambito di applicazione materiale della libertà di stabilimento
sancita dagli articoli 43 e 48 del Trattato. In particolare, si chiarisce che la prima di tali disposizioni consente ai
cittadini di uno Stato membro di esercitare, in un altro Stato membro, attività non subordinate, nonché gestire
imprese, alle stesse condizioni ivi previste per i propri cittadini; tale previsione vale, nel senso di piena libertà
nello svolgere la propria attività tramite una controllata, una stabile organizzazione o un’agenzia, secondo
quanto stabilito dall’articolo 48 del Trattato, anche per le società che abbiano la sede sociale,
l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità
38
.
Ribadendo, inoltre, quella che era stato per la prima volta affermato nella sentenza ICI, afferma che gli Stati
membri non devono porre in essere delle misure che siano volte ad creare restrizioni “in uscita”, che abbiano,
cioè, lo socpo di disincentivare, da parte di un cittadino di uno Stato membro, l’esercizio alla propria libertà di
stabilimento garantita dal Trattato.
Fatte queste importanti premesse, la Corte procede ad analizzare la normativa fiscale tedesca al fine di
verificare se si è di fronte ad una restrizione della libertà di stabilimento. Tale normativa, come già evidenziato,
prevede una disciplina di compensazione fiscale delle perdite realizzata attraverso l’ammortamento parziale
sul valore delle partecipazioni in una controllata, che si differenzia a seconda della circostanza che la
partecipazione si riferisca o meno ad una società stabilita in Germania.
Infatti, nell’ipotesi in cui si tratti di una società controllata stabilita in Germania, le perdite relative
all’ammortamento sul valore delle partecipazioni sono incluse “immediatamente e senza limiti” nella
determinazione dell’utile imponibile della controllante realizzato nello stesso esercizio.
Nell’ipotesi in cui, invece, la partecipazione sia riferita ad una società stabilita in un altro Stato membro, la
compensazione è ammessa solo se le perdite sono compensate da utili provenienti dallo stesso Stato estero.
Ora, il fatto che una società controllante tedesca che abbia una controllata in un altro Stato membro non
possa beneficiare dell’utilizzo immediato delle sue perdite, costituisce una privazione di un vantaggio di
39
cassa .
37
Sentenza 8 marzo 2001, cause C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a. Racc. pag. I-1727, punto 37; Sentenza 13
dicembre 2005, causa C-446/03, Marks and Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 29; sentenza12 settembre 2006, causa C196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995, punto 40, e Sentenza 13 marzo 2007,
causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Racc. pag. I-2107, punto 2.
38
Sentenze 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35; Sentenza Marks and
Spencer, cit. punto 30, nonché Sentenza 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding, Racc. pag. I-2107, punto 29.
39
v. , in tal senso, sentenza Marks and Spencer, cit. , punto 3.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Una situazione, quindi, come quella in cui versa la Rewe Zentralfinanz che detiene partecipazioni in società
residenti in altri Stati membri è meno favorevole rispetto a quella di una società che, a parità di condizioni,
detiene partecipazioni solo in società residenti.
Come conseguenza logica e necessaria di quanto appena affermato, la Corte stabilisce che si è di fronte ad
una differenza di trattamento fiscale che renderebbe, per una società che voglia avvalersi del proprio diritto di
stabilimento, la possibilità di esercitare la propria attività mediante controllate non residenti nel territorio
nazionale, “meno attrente”.
Infatti, privare le società che posseggono controllate all’estero del vantaggio de quo può disincentivare la
costituzione di società controllate in altri Stati membri.
Per tale ragione la Corte statuisce che la misura nazionale controversa costituisce una restrizione “in uscita”
40
alla libertà di stabilimento .
Una volta verificata l’esistenza della restrizione la Corte procede ad analizzare le cause di giustificazione
invocate dal governo tedesco per determinare se detta restrizione possa comunque essere considerata
compatibile con il diritto comunitario.
In primo luogo il governo tedesco, influenzato da quella che era stata l’eco della sentenza Marks and Spencer,
adduce quale giustificazione l’esistenza di una simmetria tra il diritto di tassare gli utili di una società e il
dovere di prendere in considerazione le perdite da essa sofferte. Invoca, dunque, la necessità di garantire il
rispetto di una equilibrata ripartizione fra il potere impositivo degli Stati membri.
Tale argomentazione viene respinta dalla Corte.
Nella sentenza Marks and Spencer la Corte aveva, per la prima volta, statuito che al fine di comprendere se
un sistema fiscale sia compatibile con le libertà fondamentali sancite dal Trattato, doveva essere preso in
considerazione il principio della equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati mebri. In tale sentenza
la Corte si era preoccupata di delimitarne e definirne l’ambito di applicazione.
Ciò che, però, caratterizza e differenzia l’approccio seguito dalla Corte nella Marks and Spencer è il fatto che
la causa di giustificazione de quo non era stata presa in considerazione di per sé, ma in quanto collegata ad
altre due cause di giustificazione.
Nella sentenza sopra citata, la Corte aveva affermato che, la circostanza in base alla quale ad una società
fosse stata lasciata libertà di scelta in merito allo Stato in cui prendere in considerazione le proprie perdite, era
idonea a compromettere l’equilibrata ripartizione fra il potere impositivo degli Stati membri.
40
La differenza di trattamento può essere dedotta anche alla luce della corretta individuazione della dell’oggetto di
comparazione. Come sottolineato dall’Avvocato Generale Maduro al paragrafo 21 delle sue conclusioni, l’analisi non
deve essere riferita alla situazione delle società controllate, ma deve essere condotta con riferimento alla situazione della
società controllante. Nel caso in esame, la situazione in cui versa la controllante è diversa a seconda della residenza delle
controllate poiché l’esenzione da tassazione dei dividendi provenienti dalle società controllate, residenti in Germania o
meno, non è compensata da una analoga disciplina riguardante la svalutazione delle partecipazioni in capo alla
controllante. La diversità in questione non è funzione della differente tassazione degli eventuali utili distribuiti dalle
controllate. Il discrimen,in questo caso, deve essere ravvisato nella circostanza che la svalutazione della partecipazione, fa
riferimento alla società controllante, non essendoci, in tal modo, una differenza oggettiva che possa porsi come
giustificazione al diverso trattamento fiscale.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
31/87
Ammettendo, infatti, tale possibilità si poteva giungere alla conseguenza per cui la base imponibile dello Stato
da cui erano state trasferite le perdite sarebbe aumentata, mentre quella dello Stato destinatario, ovviamente,
sarebbe risultata ridotta.
Ora, nella sentenza in esame, la Corte rifiuta la giustificazione legata alla necessità di garantire una equilibrata
ripartizione tra il potere impositivo degli Stati, in quanto ritiene che essa, “ di per sé” non sia idonea a
giustificare il rifiuto sistematico di un vantaggio fiscale sulla base della sola considerazione che, come
sottolinea l’Avvocato Generale al paragrafo 27 delle sue conclusioni, vi deve essere una “regola di simmetria”
tra il diritto di tassare gli utili e il dovere di prendere in considerazione le perdite.
Ancora sottolinea l’Avvocato Generale che una tale interpretazione del principio della equilibrata ripartizione
del potere impositivo è erronea e soprattutto sembra voler assumere la valenza di una causa di giustificazione
di carattere puramente economico.
41
Deve essere sottolineato, inoltre, che è proprio in questa forma che la Corte ha rigettato una tale
giustificazione nella sentenza Marks and Spencer.
Ulteriore giustificazione fornita dal governo tedesco riguarda il rischio di un duplice uso delle perdite.
Anche questa argomentazione viene rigettata dalla Corte.
Infatti, sebbene nella sentenza Marks and Spencer si fosse espressa a favore di una tale argomentazione,
tuttavia la medesima linea interpretativa non può essere addottata nella sentenza in esame.
La ragione di tale impedimento risiede nel fatto che le fattispecie concrete da cui traggono origine le due
sentenze così come le previsioni delle rispettive normative, non sono in modo assoluto paragonabili.
Nella fattispecie in esame, infatti, le perdite di cui si tratta non sono, come per la sentenza Marks and
Spencer, perdite subite da società controllate stabilite in altri Stati membri e successivamente trasferite sugli
utili della società controllante residente nello Stato della normativa in questione; nella causa in oggetto gli
aspetti determinanti e qualificanti la controversia riguardano perdite in cui è incorsa la società controllante (e
quindi non le controllanti, come nella sentenza Marks and Spencer) a causa del deprezzamento del valore
delle sue partecipazioni in controllate stabilite in altri Stati membri. Esse non hanno nulla a che vedere con le
42
perdite subite dalle controllate .
In conformità con il precedente orientamento giurisprudenziale in materia, la Corte non accoglie quale causa
di giustificazione il generico rischio di evasione fiscale derivante dalla localizzazione di società controllate in
Stati membri diversi dalla Germania create al fine di apportare una riduzione agli utili imponibili della
controllante tedesca, con particolare riferimento al settore turistico.
41
Più volte, infatti la Corte si è espressa in merito alla impossibilità da parte di circostanze legate a fattori puramente
economici o legate ad esigenze di gettito fiscale, di giustificare una normativa restrittiva delle libertà fondamentali.
42
Non deve, inoltre, essere sottaciuta la circostanza che è permesso ad una società controllante tedesca che controlli
società nel suo stesso Stato di stabilimento di dedurre dal proprio reddito imponibile l’ammortamento sul valore parziale
delle sue partecipazioni in società controllate residenti, senza che ciò impedisca alle stesse controllate di utilizzare le
proprie perdite.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
32/87
Infatti, la normativa in questione non si pone come obiettivo principale quello di escludere le “costruzioni
43
puramente artificiose” create allo scopo preciupuo di realizzare perdite negli Stati membri di residenza delle
controllate.
E’ in tal modo, precisa la Corte, che la normativa fiscale de qua viola il principio di proporzionalità, eccedendo
quanto necessario per perseguire lo scopo che la norma intende raggiungere.
Il fatto che la residenza della controllata sia in uno Stato membro diverso dalla Germania non implica
necessariamente lo scopo di evasione, visto e considerato che comunque la società in questione sarebbe
44
assoggettata alla legge fiscale del Paese di stabilimento .
Anche nella sentenza ICI, la Corte aveva negato la possibilità che il regime posto alla base del sistema fiscale
britannico comportasse un generico rischio di evasione fiscale legato all’utilizzo delle perdite infragruppo.
Nellla sentenza Marks and Spencer la Corte ha in parte modificato il proprio orientamento, ammettendo come
valida una causa di giustificazione legata alla possibilità di trasferire le perdite di esercizio all’interno del
sistema del group relief inglese allo scopo di ridurre il carico fiscale del gruppo, anche se poi in sede di
valutazione della proporzionalità di tale disciplina si è affermato che non è proporzionata quando le società
controllate estere non hanno la possibilità di compensare nel loro Stato di stabilimento le perdite con gli utili di
esercizi successivi. Ciò che deve essere sottolineato è che nella sentenza Marks and Spencer, la validità della
causa di giustificazione in questione non è stata valutata singolarmente, ma congiuntamente ad altri motivi.
Tuttavia, nelle sentenze successive la Corte ha ritenuto corretto richiamare il precedente filone
45
giurisprudenziale iniziato con il caso ICI .
Un’altra giustificazione presentata dal governo tedesco riguarda l’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli
fiscali.
Infatti, secondo il governo tedesco, le possibilità in capo alle autorità nazionali di controllare le operazioni che
hanno luogo al di fuori del territorio nazionale son piuttosto limitate. Detta giustificazione non viene accettata
dalla Corte.
La Corte più volte in passato si è espressa nel senso di una ammissione a che l’efficacia dei controlli fiscali
46
giustifichi una normativa che limita le libertà fondamentali . In linea di principio, quindi, è ammeso che uno
Stato membro preveda delle misure grazie alle quali sia possibile verificare “ in modo chiaro e preciso”
l’importo degli oneri deducibili in tale Stato a titolo delle partecipazioni nel capitale di società controllate
stabilite in altri Stati membri.
43
Per quanto riguarda la necessità di perseguire l’obiettivo specifico di combattere costruzioni puramente artificiose,
sentenze citate ICI, punto 26; Marks and Spencer, punto 57; Cadbury Schweppes e cadbury Scweppes Overseas, punto
51.
44
Paragrafo 52.
45
Infatti, sulla stessa linea della sentenza in esame, la Corte si è pronunciata nel caso Cadbury Schweppes e nel caso Test
Claimants in the Thin Cap Group Litigation.
46
Sentenze 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participationis e Singer, Racc. pag. I-2471, punto 31, e 28 ottobre
1999, causa C-55/98, Vestergaard, Racc. pag. I-7641, punto 23.
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Tuttavia le argomentazioni utilizzate in questi casi,comunque non sarebbero idonee a giustificare il fatto che
uno Stato membro prevede regole diverse a seconda che le partecipazioni riguardino società che sono
47
stabilite nel territorio nazionale e società che sono stabilite al di fuori .
La società che detiene il controllo in società con sede in altri Stati membri, deve poter esigere tutta la
documentazione di cui ritiene necessaria la detenzione, dalle controllate.
Questo, però, non deve comunque portare a giustificare, in una situazione in cui risulti particolarmente difficile
la determinazione delle perdite dovute all’ammortamento sul valore delle partecipazioni in società controllate,
la limitazione della libertà di stabilimento.
Le ulteriori cause di giustificazioni presentate dal governo tedesco relative alla coerenza del sistema fiscale
nazionale e al principio di territorialità non sono state accolte dalla Corte.
In base alla convenzione contro le doppie imposizioni stipulata fra Germania e Paesi Bassi, i dividendi
provenienti dai Paesi bassi e diretti in Germania sono esenti.
Ne deriva che sarebbe perfettamente coerente non concedere alcun vantaggio fiscale alle società controllanti
residenti sulla base delle perdite derivanti dalla svalutazione delle partecipazioni estere.
L’orientamento della Corte la necessità di salvaguardare la coerenza del sistema fiscale può giustificare una
restrizione alla libertà di stabilimento solo nell’ipotesi in cui sia possibile dimostrare un nesso fra il “vantaggio
48
fiscale e la compensazione di tale vantaggio mediante un prelievo fiscale” .
L’esclusione della deducibilità delle perdite generate da una svalutazione della partecipazione non è
compensato da un medesimo vantaggio attribuito alla medesima società, per cui non vi è un nesso diretto fra
la svalutazione effettuata dalla società controllante in relazione ai dividendi percepiti dalle stesse società
controllate.
Inoltre, l’esenzione sui dividendi concerne sia le partecipate residenti che quelle non residenti. Però, mentre
nell’ipotesi delle partecipate residenti tutto ciò avviene per mezzo dell’applicazione di una convenzione contro
le doppie imposizioni, nel caso delle partecipate non residenti la ragione dev’essere ravvisata nell’applicazione
della disciplina nazionale.
Diversamente, a compensare l’esonero per i soggetti residenti e non residenti, la possibilità di dedurre la
perdita prevista per la società madre è limitata solo per le società controllate estere.
47
Deve, inoltre, ricordarsi che la direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, disciplina e favorisce la
reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette, per cui qualora uno
Stato membro abbia la necessità di ottenere delle informazioni rilevanti dalle autorità fiscali di un altro Stato membro, ai
fini della determinazione della imposta sulle società, può invocarla a fondamento delle proprie pretese.
Il governo tedesco ha negato che una tale forma di cooperazione sia sufficiente, in quanto il controllo di operazioni estere
di per sé risulta di non facile attuazione. A tal proposito la Corte ha ribadito che la direttiva 77/799 consente alle autorità
fiscali interessate di ottenere informazioni necessarie analoghe a quelle esistenti fra gli uffici tributari a livello interno (v.
, in tal senso, sentenza Vestergaard, cit. , punto 26).
48
Dopo il caso Bachmann (causa C-204/90, Racc. pag. I-249), in cui la Corte per la prima volta ha riconosciuto come
causa di giustificazione l’elemento della coerenza, la Corte si è sempre mossa verso una progressiva restrizione
dell’ambito di applicazione di tale causa di giustificazione, rendendola valida nei soli casi in cui vi fosse un solo tributo,
un medesimo soggetto e un nesso diretto fra un “vantaggio fiscale e la compensazione di tale vantaggio con un prelievo
fiscale determinato”.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
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Posto che le due situazioni sono stata considerate come comparabili, la limitazione in questione non può
considerarsi accettabile anche in ragione del fatto che i redditi imponibili della controllata sono soggetti,
almeno una volta, di imposizione nello Stato di residenza.
Ulteriore considerazione dev’essere fatta in merito all’impossibilità di considerare la coerenza anche
nell’ipotesi in cui insieme all’impossibiltà di dedurre la perdita di esercizio venga messo in collegamento
l’esenzione da imposta delle plusvalenze realizzate grazie alla cessione della partecipazione.
In tal caso si verificherebbe comunque una differenza di trattamento in termini temporali poiché il divieto di
dedurre le perdite di esercizio determina degli effetti immediati contrariamente a quanto accade in relazione
all’esenzione sull’eventuale plusvalenza che invece è posticipata al momento della cessione.
Per quanto riguarda invece il principio di territorialità, la Corte, discostandosi dai casi in cui tale giustificazione
49
è stata considerata valida , afferma che la concessione del vantaggio fiscale concerne la potestà impositiva
del solo stato della controllante che, su quest’ultima, non subisce limiti all’imposizione.
4.4 Conclusioni
La Corte nella pronuncia in esame rimane fedele a quelli che sono i principi costantemente affermati in
materia di libertà fondamentali e trattamenti fiscali restrittivi.
Anche in questa pronuncia, infatti, la Corte ribadisce l’illegittimità di una normativa fiscale di uno Stato membro
che subordina la concessione di deduzione delle perdite a seconda della circostanza che la società
controllante residente abbia controllate con sede o meno nello stesso Stato membro.
Anche in questa pronuncia viene ribadita la superiorità delle libertà sancite dal Trattato sulle normative fiscali
delgi Stati membri che pongono in essere delle misure restrittive e poco incentivanti all’esercizio di tali libertà.
Ecco, dunque, che la Corte afferma che una differenza di trattamento fiscale tra società controllanti residenti,
a seconda che dispongano o meno di controllate estere, non può essere giustificata né dall’argomento basato
sulla equilibrata ripartizione del potere impositivo, né dal generale rischio di evasioni fiscale.
Tali giustificazioni, se accettate in un contesto quale quello in cui si è sviluppata la sentenza Marks & Spencer,
nella sentenza in esame, per la diversità delle circostanze di fatto e di diritto caratterizzanti la controversia,
vengono respinte.
5. OY AA
50
La sentenza del caso C-231/05, OY AA, è stata emessa il 18 luglio 2007 .
Anche questa sentenza si inserisce nel filone giurisprudenziale in materia di libertà di stabilimento. Essa
riguarda la diversità di trattamento degli aiuti finanziari intragruppo a favore di socità madri con sede nel
49
Sentenza Futura Participations SA.
Per un approfondimento si veda DAMI, Deducibilità dei trasferimenti finanziari infragrupppo e libertà di stabilimento,
in Dir. prat. trib. Internaz., 2008, 617 ss.; MARJAANA HELMINE, Freedom of establishment and OY AA, in European
Taxation, 11/2007, 490 e ss.; MARJAANA HELMINEM, The Esab Case and the Future of Group taxation Regimes in
EU, Intertax, 12/2005, 595-602.
50
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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territorio nazionale rispetto a quelli destinati a società madri con sede all’estero. In questo caso, la Corte
approda ad una soluzione che sembra discostarsi dall’orientamento generale perseguito dalla Corte in
materia. Viene, infatti, affermato che l’articolo 43 del Trattato non è contrario ad una tale normativa.
5.1 I fatti
La società Oy AA, con sede in Finlandia (Home State), fa parte del gruppo AA, la cui società madre, la AA Ltd.
, avente sede in Inghilterra (Host State), detiene indirettamente, tramite due società intermedie stabilite nei
Paesi Bassi, il 100 per cento delle quote della Oy AA.
Negli ultimi anni, le attività della società AA, diversamente da quanto accadeva per la società OY AA, erano
state deficitarie.
Ora, poiché l’attività economica della AA era determinante anche per lo svolgimento della attività della Oy AA,
era stato deciso che l’attività della AA venisse sostenuta per mezzo di un trasferimento finanziario intragruppo
da parte della Oy AA.
Quindi, la Oy AA chiedeva alla commissione tributaria un parere preliminare circa la possibilità di considerare
il contributo finanziario in questione come un trasferimento finanziario intragruppo, ai sensi della normativa
nazionale sui trasferimenti finanziari intragruppo, al fine poi di poterlo inserire nella dichiarazione della Oy AA
come una spesa deducibile e di beneficiare, quindi, della deduzione prevista dalla normativa stessa.
La commissione tributaria, nella propria decisione preliminare, negava la possibilità di considerare
l’operazione in questione come un trasferimento finanziario intragruppo ai sensi della normativa nazionale
poiché la società AA era una società straniera e quindi non risultava soddisfatto il requisito in base al quale le
società interessate nel trasferimento dovessero essere entrambe finlandesi.
La Oy AA impugnava la
decisione preliminare dinanzi al giudice nazionale, il quale, anch’esso, constatava la mancanza del requisito
della nazionalità imposto alla società beneficiaria.
5.2 Le questioni pregiudiziali
Il giudice nazionale, di fronte ad una fattispecie quale quella dedotta nella causa principale, ha deciso di
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia una questione
pregiudiziale volta in sostanza ad accertare se gli artt. 43 e 56 del Trattato, tenuto conto dell’articolo 58 del
Trattato e della direttiva 90/435, sono contrari alla disciplina fiscale finlandese sui trasferimenti infraggruppo in
base alla quale una consociata o “società figlia”, residente in un tale Stato membro, può dedurre dai suoi
redditi imponibili un trasferimento finanziario intragruppo effettuato da quest’ultima a favore della società
madre solo se quest’ultima ha sede nel medesimo Stato membro.
5. 3 Le argomentazioni della Corte
Di fronte ad un tale quesito, la Corte di giustizia risolve la questione affermando che L’articolo 43 non è
contrario al regime istituito dalla legislazione di uno Stato membro, come quello in esame nella causa
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
36/87
principale, in forza del quale una consociata, stabilita in tale Stato membro, può dedurre dai propri redditi
imponibili un trasferimento finanziario intragruppo da essa effettuato a favore della società madre soltanto
qualora quest’ultima abbia sede nello Stato membro.
Nella sentenza in esame, la Corte approda ad una decisione finale che prima facie si discosta da quello che è
l’orientamento da essa sostenuto nelle precedenti pronunce in materia di libertà di stabilimento.
Per comprendere fino a che punto tale conclusione rappresenti un passo in dietro rispetto ai tasselli posti in
essere dalla Corte nel corso del suo lavoro interpretativo in materia di libertà di stabilimento sancite dal
Trattato, è necessario ripercorre l’iter logico e argomentativo che hanno portato ad una simile statuizione.
In primo luogo la Corte chiarisce che la questione posta dal giudice nazionale, sebbene sia stata sollevata in
relazione alle norme del Trattato in materia di libertà di stabilimento, di libera circolazione dei capitali, nonché
alla luce della conformità o meno con quanto disposto dalla direttiva 90/435, riguardante il regime fiscale
comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, tuttavia deve essere risolta solo ed
esclusivamente alla luce dell’articolo 43 del Trattato.
Come sostenuto dall’Avvocato Generale Kokott ai paragrafi 13 e 14 delle sue conclusioni, la direttiva 90/435
non rileva ai fini della decisione del caso concreto.
La ragione di una tale esclusione deve essere ravvisata nel fatto che la direttiva in questione disciplina il
regime fiscale delle distribuzioni di utili alla società madre da parte di una società figlia con sede in un altro
Stato membro.
La situazione controversa nella causa principale riguarda, invece, l’imposizione dei redditi derivanti dall’attività
di impresa di una consociata e la possibilità per quest’ultima di dedurre dai suoi redditi imponibili il
trasferimento finanziario infragruppo da essa posto in essere a favore della società madre straniera.
Prima di verificare la rilevanza delle norme del Trattato invocate dal giudice nazionale ai fini della risoluzione
della questione principale, la Corte ricorda un principio ormai noto alle pronunce pregiudiziali: la materia delle
imposte dirette, anche se rientra nella competenza degli Stati membri, tuttavia deve essere esercitata nel
51
rispetto dei limiti imposti dall’ adesione al Trattato .
Ora, richiamando un orientamento giurisprudenziale ormai noto, la Corte afferma che tutte le volte in cui si è in
presenza di una situazione in cui la partecipazione della controllante sia tale da conferirle una influenza
determinante sulle decisioni della società da permetterle di indirizzare l’attività della controllata, allora si è
nell’ambito di applicazione delle norme relative alla libertà di stabilimento.
52
Nel caso in esame le condizioni di cui sopra risultano pienamente soddisfatte in quanto il trasferimento
finanziario intragruppo che la società Oy AA vuole porre in essere è subordinato alla condizione che la società
madre detenga almeno il 90 per cento del capitale sociale o delle quote della consociata.
51
Sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks and Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 29; Sentenza 12 settembre
2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995, punto 40, e Sentenza 12
dicembre 2006, causa Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I-11673, punto 36.
52
Sentenze 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, Racc, pag. I-2787, punti 21 e 22; Sentenza 21 novembre 2002, causa
C-436/00, X e Y, Racc. pag. I-10829, punti 37 e 66-68; Cadbury Schweppes e Cadbury Scweppes Overseas, cit. , punto
31, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit. , punto 39.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
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37/87
Analizzando lo scopo della normativa finlandese sui trasferimenti finanziari intragruppo, che è sostanzialmente
quello di favorire gli interessi vigenti nel gruppo in modo tale da poterlo equiparare ad una società che abbia
più sedi aziendali, la Corte conclude che la normativa de qua va ad incidere sulla libertà di stabilimento e
quindi deve essere analizzata alla luce dell’articolo 43 del Trattato
53
.
Inoltre, anche posto che la normativa controversa abbia effetti restrittivi sulla libera circolazione dei capitali, tali
effetti non sarebbero altro che l’ inevitabile conseguenza di un eventuale ostacolo alla libertà di stabilimento,
ragion per cui non è necessario un esame della normativa de qua in relazione all’articolo 56 del Trattato.
Fatte queste premsse la Corte analizza la normativa controversa per verificare la sua potenziale restrizione
alla libertà di stabilimento.
In relazione alla libertà di stabilimento, la Corte precisa quella che è la portata dell’articolo 43 del Trattato.
Esso garantisce l’esercizio e la gestione da parte dei cittadini di uno Stato membro di attività non subordinate
alle stesse condizioni che lo Stato di stabilimento prevede per i propri cittadini. Tale garanzia viene prevista,
grazie all’articolo 48 del Trattato, anche alle società costituite in conformità alla normativa di uno Stato
membro, che abbia la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della
Comunità europea e che vogliano esercitare la loro attività in un altro Stato membro tramite una controllata,
54
una stabile organizzazione o un’agenzia .
Occorre osservare che la determinazione della sede delle società assume una importanza particolare in
questioni attinenti la materia delle imposte dirette, in quanto consente di creare un collegamento con
l’ordinamneto giuridico di uno Stato membro.
Affermare che lo Stato membro di stabilimento possa riservare un trattamento differente sulla sola base della
55
sede di una società, priva l’articolo 43 del Trattato della propria rilevanza e importanza .
La libertà di stabilimento, dunque, implica il divieto di ogni discirminazione basata sul criterio della sede.
La Corte, dopo aver premesso quanto precede, passa ad analizzare la normativa controversa al fine di
verificare se possa essere considerata come una misura restrittiva. La prima constatazione che viene fatta in
merito riguarda la disparità di trattamento che la normativa de qua prevede a seconda che la società madre
delle consociate finlandese abbia la sede nel territorio nazionale o meno.
La disparità di trattamento deriva dal fatto che se il trasferimento finanziario viene effettuato dalla consociata
alla società madre che ha la sede nello stesso Stato membro, tale trasferimento può essere dedotto dal
reddito imponibile della consociata. Nell’ipotesi in cui, invece, la società madre abbia la sede in un altro Stato
53
Sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Scweppes Overseas, cit. , punto 32; Sentenza 12 dicembre 2006, causa C446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I-11753, punto 118, e Sentenza 13 marzo 2007, causa C524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Racc. pag. I-0000, punto 33.
54
Sentenza 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35; Sentenza Marks and
Spencer, cit. punto 30; Sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit. , punto 41, e Sentenza Test
Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit. , punto 42.
55
Sentenze 28 gennaio 1986, causa C-270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 18; Sentenza 13 luglio 1993,
causa C-330/91, Commerts Bank, Racc. pag. , I-4017, punto 13; Sentenza 8 marzo 2001, cause C-C-C-397/98 e C410/98, Metallgesellschaft e a. , Racc. pag. , I-1727, punto 42; Sentenza Marks and Spencer, cit. , 37, e Sentenza Test
Claimants in the ACT Group Litigation, cit. , punto 43.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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membro, tale deduzione non viene concessa, in quanto il requisito richiesto dalla normativa fiscale nazionale è
che entrambe le società interessate nel trasferimento debbano avere la sede nel territorio nazionale.
A tal proposito, i governi tedesco, olandese, svedese e del Regno Unito rilevano che la circostanza che la
società madre abbia la sede in un altro Stato membro e non è soggetta all’imposta in Finlandia, rende la
situazione di una consociata finlandese con società madre finlandese non comparabile a quella in cui
verserebbe una consociata finlandese con società madre con sede in un altro Stato membro.
La Corte replica a tale argomentazione ribadendo dapprima quello che è l’obiettivo della normativa sui
trsferimenti finanziari intragruppo. Esso consiste nella eliminazione degli svantaggi all’interno del gruppo.
In seguito la Corte analizza la fattispecie in esame alla luce dell’obiettivo sopra ricordato. Essa ripropone la
questione negli stessi termini in cui è stata posta sopra dai governi tedesco e svedese.
Tuttavia, osserva la Corte, quanto affermato può essere temperato dalla considerazione che, anche in una
situazione quale quella descritta sopra, sarebbe comunque possibile realizzare l’obiettivo perseguito dalla
normativa controversa subordinando la deducibilità del trasferimento finanziario intragruppo dei redditi
imponibili del suo autore a condizioni connesse al trattamento riservato a tale trasferimento dall’altro Stato
membro.
Ne deriva che, e questa è una importante conclusione a cui arriva la Corte, in relazione all’obiettivo perseguito
dalla normativa sui trsferimenti finanziari, il semplice fatto che la società madre sia residente in un altro Stato
membro e non sia, quindi, soggetta ad imposta in Finlandia, “non rende non comparabile” la situazione delle
due categorie sopra descritte.
La Corte conclude il cerchio di tale ragionamento affermando che la disparità di trattamento riservata a
56
seconda della sede della società madre costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento .
Constatato che si è in presenza di una misura restrittiva, la Corte procede nel verificare se tale restrizione
possa essere giustificata sulla base di ragioni imperative di interesse generale e se possa essere considerata,
nell’ipotesi in cui risulti che sia giustificata, come una misura in grado di perseguire lo scopo prefisso e non
eccedere quanto necessario per raggiungerlo.
I governi hanno riproposto le medesime cause di giustificazione che erano state presentate nel corso della
sentenza Marks and Spencer.
In particolare, le causa di giustificazione riguardano la salvaguardia di una ripartizione equilibrata del potere
impositivo tra gli Stati membri, il rischio di un duplice utilizzo delle perdite e, infine, il rischio di evasione fiscale.
Per quanto riguarda la prima delle cause di giustificazione, il governo finlandese, unitamente a quello svedese
e del Regno Unito, sostiene che la normativa controversa, fondandosi sul principio di territorialità in base al
quale gli Stati membri hanno il diritto di assoggettare i redditi prodotti sul loro territorio ad imposizione, è
pienamente conforme alla esigenza di una equilibrata ripartizione del potere impositivo fra gli Stati membri.
Se, infatti, fosse concesso il beneficio della deducibilità dei trasferimenti finanziari anche in relazione a società
che sono residenti al di fuori dello Stato in questione, verrebbe sostanzialmente lasciata ampia possibilità di
56
Sentenza 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst, Racc. pag. I-11779, punto 32, e sentenza Test in the
Thin Cap Group Litigation, cit. , punto 61.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
39/87
scelta in capo al contribuente in merito al luogo in cui venir soggetto ad imposizione. In tal modo, ne
risulterebbe profondamente compromesso l’equilibrata ripartizione fra il potere impositivo degli Stati membri.
57
Come era stato osservato dalla Corte anche nella sentenza Rewe Zentralfinanz , è necessario osservare che
nella sentenza Marks & Spencer, la causa di giustificazione in questione era stata accolta unitamente alle altre
due presentate.
La Corte, dopo aver ribadito i presupposti sulla base dei quali deve essere compiuta la valutazione in merito
alla validità o meno della giustificazione presentata, afferma, per contemperare quanto espresso, che
l’equilibrata ripartizione del potere impositivo non può costituire una valida giustificazione per rifiutare
“sistematicamente” la concessione di un vantaggio fiscale ad una società residente per il fatto che la società
madre non è tassata nel territorio nazionale.
Diverso è il discorso nell’ipotesi in cui la normativa abbia, invece, l’obiettivo di evitare che il diritto degli Stati
membri di esercitare la potestà impositiva sul proprio territorio e in relazione alle attività ivi svolte venga
58
violato .
In relazione a quanto appena affermato la Corte ricorda che nella sentenza Marks and Spencer era stato
affermato che consentire ad un contribuente di scegliere il luogo in cui le perdite subite devono essere prese
59
in considerazione compromette in maniera significativa l’equilibrata ripartizione fra gli Stati membri .
Allo stesso modo, consentire il beneficio de quo permetterebbe ai gruppi di società di scegliere liberamente lo
Stato membro in cui gli utili della consociata vengono tassati, sottraendoli allo Stato membro di quest’ultima.
Questa possibilità comprometterebbe fortemente l’equilibrio tra il potere impositivo degli Stati membri.
La seconda giustificazione riguarda il duplice utilizzo delle perdite.
A tal proposito la Corte ha sottolineato che la normativa controversa non concerne la deducibilità delle
perdite.
La terza giustificazione attiene al rischio di evasione fiscale che deriverebbe dalla circostanza che gli utili
finlandesi siano trasferiti verso società stabilite in altri Stati membri in cui l’aliquota applicata è minore rispetto
a quella che a tali utili sarebbe stata applicabile in Finlandia.
Secondo la Corte la disciplina sui trasferimenti finanziari intragruppo è idonea a evitare che si verifichino dei
pericoli quali quelli sopra descritti.
Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte dichiara che la normativa in questione persegue obiettivi legittimi
compatibili con il Trattato e riconducibili a ragioni imperative di interesse generale ed è idonea a garantire la
realizzazione dei suddetti obiettivi.
Posto che la normativa finlandese sui trasferimenti finanziari intragruppo sia giusitificata, è necessario
verificare se supera il test di proporzionalità.
In relazione a quest’ultimo profilo di analisi, la Corte sottolinea come i due obiettivi, il primo riguardante la
salvaguardia della equilibrata ripartizione del potere impositivo e il secondo attinente al rischio di evasione
fiscale, siano perfettamente connessi. Infatti, lo scopo di evitare, o meglio, di prevenire costruzioni puramente
57
Sentenza 29 marzo 2007, causa C-347/04, Rewe Zentralfinanz, Racc. pag. I-oooo,punto 41.
Sentenza Rewe Zentralfinanz, cit. , punto 42.
59
v. citate Sentnze Marks and Spencer, punto 46, e Rewe Zentralfinanz, punto 42.
58
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
40/87
artificiose volte ad eludere la normativa fiscale nazionale, contempla contemporaneamente anche la possiblità
di evitare che il diritto degli Stati membri di esercitare il proprio potere impositivo venga violato
60
.
La normativa controversa, sebbene non persegua specificatamente l’obiettivo di impedire il realizzarsi di
costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica, tuttavia, può definirsi proporzionata agli
obiettivi perseguiti, considerati congiuntamente.
5.4 Conclusioni
Nella sentenza in esame, la Corte conducendo il consueto iter logico interpretativo che caratterizza tutte le
sue pronunce in materia di libertà di stabilimento, ammette che la normativa fiscale finlandese, nonostante il
fatto che ponga in essere una restrizione alla libertà di stabilimento, è giustificata in quanto persegue degli
obiettivi legittimi compatibili con il Trattato e riconducibili a ragioni di interesse generale ed è idonea a
garantire la realizzazione di detti obiettivi.
L’analisi condotto sulla legislazione fiscale in questione conduce la Corte ad affermare, inoltre, che si tratta di
una legislazione in grado di superare il test di proporzionalità e quindi in grado di raggiungere in modo
proporzionale gli obiettivi perseguiti.
6. Papillon
La sentenza del 27 novembre 2008, causa C-418/17, rappresenta uno dei casi più recenti in materia di
compatibilità dei regimi fiscali nazionali con il principio comunitario sulla libertà di stabilimento.
In particolare, nel caso in esame, la Corte non si trova ad affrontare una fattispecie in cui viene in rilievo la
questione relativa al riconoscimento, ai fini dell’imposizione unitaria in capo ad una società residente, delle
perdite subite da società controllate residenti in uno Stato membro diverso.
Ciò che viene in rilievo è l’influenza che la presenza di società estere che si frappongo nella catena societaria
di controllo possono avere all’interno del consolidamento di redditi prodotti da società nazionali.
6.1 I fatti
La Sociétè Papillon, società residente in Francia (Home State), deteneva il 100 per cento del capitale di una
società stabilita nei Paesi Bassi (Host State), società che a sua volta possedeva il 99,9 per cento delle quote
di una società avente sede in Francia. Quest’ultima, a sua volta, controllava altre società francesi.
Alla luce di tali circostanze, la società Papillon intendeva optare per il regime dell’ ”integrazione fiscale”
61
. In
base a tale regime una società residente può costituirsi come unica debitrice dell’imposta sulle società dovuta
60
Citate Sentenze Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, punti 55 e 56, e Test Claimants in the Thin Cap
Group Litigation, punti 74 e 75.
61
Il consolidato fiscale nazionale in Francia permette di determinare su opzione facoltativa della società controllante una
base imponibile unitaria sulla quale corrispondere l’imposta sulle società per mezzo della aggregazione algebrica dei
risultati delle proprie controllate. Il regime in questione è sottoposto ad una serie di condizioni. In partiocolare, l’art. 223
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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su tutti gli utili del gruppo costituito dalla società stessa e dalle società di cui la stessa detenga, direttamente o
indirettamente, almeno il 95 per cento del capitale.
La Papillon aveva intenzione di inserire nel gruppo anche la società francese, e alcune sue controllate,
controllata indirettamente tramite la società olandese.
L’amministrazione finanziaria negava alla Papillon la possibilità di avvalersi del regime dell’ ”integrazione
fiscale” sulla base della considerazione che il gruppo non poteva essere costituito da società controllate
indirettamente da una società residente nei Paesi Bassi.
Tale società, infatti, non era soggetta all’imposta sulle società francese poiché non esercitava in Francia una
attività economica per mezzo di una stabile organizzazione.
La Papillon, quindi, veniva tassata sulla base dei suoi utili, senza che le venisse concessa la possibilità di
compensarli con gli utili delle altre società del gruppo integrato.
La Papillon contestava la maggiore imposta a cui era stata assoggettata relativamente agli anni 1989-1991
dapprima dinanzi al tribunale amministrativo e, in seguito, a fronte del diniego di quest’ultimo, dinanzi alla
Corte d’appello amministrativa di Parigi.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, proponeva impugnazione di fronte al Conseil d’Etat.
6.2 Le questioni pregiudiziali
Il giudice nazionale decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte due questioni
pregiudiziali volte, in sostanza, ad accertare se il regime fiscale francese della cd. Integration fiscale, in forza
della quale un regime fiscale di gruppo è concesso ad una società madre residente in tale Stato membro che
detenga controllate e controllate indirette residenti nel suddetto Stato, ma è escluso per siffatta società madre
qualora le sue controllate indirette residenti siano detenute tramite una controllata residente in un altro Stato
membro, configuri una restrizione alla libertà di stabilimento e se, eventualmente, simile restrizione possa
essere giustificata.
Veniva chiesto, cioè, se una simile limitazione, che sembrava porre in essere una ingiustificata
discriminazione sulla base della residenza delle strutture intermedie nelle catene di controllo societario facenti
capo a madri francesi, costituisse una illegittima restrizione alla libertà di stabilimento.
6.3 Le argomentazioni della Corte
A del CGI (“Code General des Impots”), prevede che la consolidante che procede alla liquidazione dell’imposta unitaria
deve essere una società soggetta all’imposta sugli utili delle società in Francia il cui capitale non sia detenuto direttamente
o indirettamente, per almeno il 95 per cento, da un’altra persona giuridica soggetta alla stessa imposta. Il perimetro di
consolidamento riguarda, inoltre, tutte le controllate nelle quali la società madre detenga almeno il 95 per cento del
capitale sociale. Per un’ampia trattazione sul regime del cd. Intégration fiscal, si rinvia a GROSCLAUDEMARCHESSOU, Diritto tributario francese. Le imposte-Le procedure, nella traduzione italiana a cura di De Mita, Milano
2006, 245; GREGGI, La fiscalità dei gruppi di società I) profili tributari italiani e comparati, collana Studi e Ricerche del
Corso di Perfezionamento in Diritto Tributario “A. Berliri”, Bologna, 2000, 65 ss.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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La Corte risolveva le questioni sottoposte al suo vaglio dal giudice nazionale affermando che l’articolo 43 del
Trattato deve essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale
un regime fiscale di gruppo è accordato ad una società madre residente in tale Stato membro che detenga
società controllate e controllate indirette del pari residente in tale Stato, ma è escluso per siffatta società
madre qualora le sue controllate indirette residenti siano detenute tramite una società controllata residente in
un altro Stato membro.
Prima di approdare alla decisione finale, la Corte ha seguito un percorso argomentativo che, nei suoi tratti
essenziali, ripete quello dei suoi precedenti, a tal punto che è possibile ormai affermare che si è di fronte ad
uno stabile assetto interpretativo.
In primo luogo, la Corte statuisce che la libertà di stabilimento prevista dagli articoli 43 e 48 del Trattato
implica che una società, che sia costituita conformemente alle norme di uno Stato membro e che abbia la
sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nell’ambito della Comunità europea, abbia il
diritto di svolgere la propria attività in altri Stati membri, mediante una società controllata, una stabile
organizzazione o un’agenzia.
Viene, poi, riaffermato il principio in base al quale le disposizioni sulla libertà di stabilimento hanno l’obiettivo,
non soltanto di garantire il beneficio della disciplina nazionale nello Stato membro di stabilimento ad una
persona fisica o ad una persona giuridica che si sia avvalsa della libertà di stabilimento.
Esse hanno altresì l’obiettivo di impedire che uno Stato membro ostacoli lo stabilimento degli stessi in un altro
62
Stato membro .
Dopo aver ribadito questi principi, la Corte passa ad analizzare le caratteristiche rlevanti della fattispecie in
esame.
A tal proposito occore fare due precisazioni. In primo luogo, l’oggetto della domanda pregiudiziale non
riguarda la possibile inclusione o meno della società olandese nel regime dell’ ”integrazione fiscale”. La
società papillon ha posto al centro della propria richiesta l’integrazione con la società francese indirettamente
controllata.
Sotto questo profilo la sentenza in esame si discosta dalle sentenze Oy AA e Marks & Spencer in cui le
questioni riguardavano il trattamento fiscale degli utili e delle perdite transfrontaliere di gruppi di società con
sede in diversi Stati membri.
Nel caso in esame, invece, la questione è se una società intermedia non residente possa dar luogo al
collegamento necessario per l’integrazione tra la società madre e la società residente indirettamente
controllata.
Deve, inoltre, essere messo in luce che il giudice nazionale non chiede se l’esclusione della controllata
olandese nell’ ”integrazione fiscale” costituisca un ostacolo alla libertà di stabilimento.
Il giudice del rinvio pone la questioni nei termini di una eventuale limitazione derivante dal fatto che una
società madre francese non possa accedere all’ ”integrazione fiscale” con le proprie controllate indirette
62
Sentenza 16 luglio 1998, causa C264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 21; Sentenza 6 dicembre 2007,causa C-298/05,
Columbus Container Services, Racc. pag. I-10451, punto 33, e Sentenza Lidl Belgium, cit. , punto 19.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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francesi, nell’ipotesi in cui vi sia l’intermediazione di una società residente in un altro Stato membro e che
quindi non sia soggetta a tassazione in Francia.
Da un’attenta analisi della controversia in esame, la Corte asserisce che il regime dell’integrazione fiscale
rappresenta prima facie un’agevolazione fiscale, in quanto ha l’effetto di rendere per la società madre, tramite
la compensazione degli utili e delle perdite delle società facenti parte del gruppo, meno gravosa la tassazione.
E’ altrettanto vero, però, che l’agevolazione de qua non viene concessa nell’ipotesi in cui la società madre
francese, nell’esplicare la propria libertà di stabilimento, detenga la propria controllata, avente sede in Francia,
per mezzo di una società che sia residente in un altro Stato membro e che non eserciti in Francia alcuna
attività economica tale per cui poter essere assoggettata ad imposta sulle società nel detto Stato.
Dunque, una società madre residente che esercita il controllo in altre società francesi indirettamente tramite
una società stabilita in un altro Stato membro, non può beneficiare del regime dell’integrazione di gruppo,
mentre potrebbe farlo nel caso in cui la controllata intermedia fosse residente in Francia.
Ne deriva che la normativa controversa genera una disparità di trattamento. La disparità ha luogo sulla base
della circostanza che la società madre detenga o meno indirettamente le proprie partcipazioni per mezzo di
una società che sia stabilta in un altro Stato membro.
Alla osservazione del governo francese per cui le situazioni non sarebbero oggettivamente paragonabili, in
quanto una controllata stabilita in un altro Stato membro non è soggetta all’imposta sulle società in Francia,
diversamente da quanto accade per una società
controllata residente nel territorio nazionale, la Corte obietta ricordando quanto già espresso in altre pronunce.
In primo luogo, la Corte afferma che se il criterio della sede fosse idoneo a giustificare il porre in essere da
parte di uno Stato membro di un trattamento fiscale diverso, ne risulterebbe fortemente compromessa la
63
portata di disposizioni quali quelle in materia di libertà di stabilimento .
Inoltre, per verificare se effettivamente sussiste una discriminazione, deve necessariamente tenersi conto
quello che è lo scopo e la logica della normativa nazionale controversa.
Per quanto riguarda la normativa in esame, una verifica dell’obiettivo da essa perseguito, osserva la Corte,
porta ad affermare che le sue disposizioni mirano ad assimilare il gruppo formato dalla società madre e dalle
sue controllate ad un’impresa avente vari sedi, permettendo, a tal fine, il consolidamento dei risultati di
gruppo.
Premesso ciò, la Corte statuisce che un obiettivo quale quello appena enunciato, verrebbe ad esistenza
anche nell’ipotesi in cui la società madre residente in Francia detenga controllate indirette residenti anch’esse
in Francia, tramite, però, una società controllata che è stabilita in un altro Stato membro.
Ne deriva, dunque, che le due situazioni prospettate, diversamente da quanto affermato dal governo francese,
risultano assolutamente comparabili.
Dall’analisi della comparabilità si deduce che il trattamento fiscale riservato dalla normativa francese varia a
seconda della sede della controllata.
63
Sentenza 28 gennaio 1986, causa C-270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 18, e Sentenza 8 marzo 2001,
cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a. , Racc. pag. I-1727, punto 42.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Tale situazione, afferma la Corte, è qualificabile nei termini di una restrizione della libertà di stabilimento
vietata dal Trattato.
Affermata la natura restrittiva della misura fiscale controversa, deve essere verificato se la restrizione in
questione possa considerarsi giustificata, e quindi dichiarata ammissibile, da ragioni imperative di interesse
generale.
La prima delle giustificazioni presentate dai governi tedesco e olandese riguarda la necessità di salvaguardare
la ripartizione della competenza fiscale fra gli Stati membri.
Sulla scorta di quanto già era avvenuto nelle sentenze Marks and Spencer e Oy AA, viene ribadito che la
natura restrittiva della normativa in questione ha lo scopo di impedire la duplice contabilizzazione delle perdite
e il rischio di evasione fiscale.
Già prima facie è ravvisabile un errore nelle giustificazioni addotte dai governi tedesco e olandese. Infatti nelle
sentenze da essi poste a supporto delle proprie giustificazioni, le questioni sollevate riguardavano
rispettivamente la presa in considerazione delle perdite insorte in uno Stato membro diverso da quello di
residenza del soggetto passivo e il rischio di evasione fiscale.
Tali questioni, secondo la Corte, non si pongono nella causa in esame. Infatti, il quesito posto dal giudice
nazionale, come già sottolineato, non riguarda la richiesta di far entrare nel regime della integrazione fiscale
una società controllata non residente; la questione, piuttosto, viene posta in termini differenti.
Si chiede, cioè, se una società residente in Francia che non può beneficiare del regime dell’integrazione
fiscale con le sue controllate indirette francesi, per il solo fatto che la controllata intermediaria è stabilita in un
altro Stato membro, costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento.
In tale situazione, quindi, non rilevano le problematiche proprie delle sentenze Marks & Spencer e Oy AA
legate alla potestà impositiva sui redditi aggregati ai fini della quantificazione del prelievo unitario. I redditi
aggregati erano prodotti nello stesso Stato. La seconda giustificazione concerne la coerenza del regime
fiscale.
Per analizzare la validità della causa di giustificazione presentata, la Corte si rifà preliminarmente a principi già
espressi in altre pronunce. Essa ribadisce, infatti, che la coerenza del sistema fiscale può essere considerata
64
come una valida giustificazione ad una misura restrittiva .
Affinchè tale giustificazione venga accolta è necessario che vi sia un nesso diretto fra il beneficio fiscale di cui
65
trattasi e la compensazione di tale beneficio con un determinato prelievo fiscale .
Il nesso in questione deve, poi, essere valutato tenendo conto di quello che è l’obiettivo perseguito dalla
normativa fiscale in questione.
Per verificare la sussistenza del nesso diretto fra il beneficio fiscale e la compensazione di tale beneficio con
un determinato prelievo fiscale, la Corte procede all’analisi della normativa controversa.
64
Sentenza 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann, Racc. pag. I-249, punto 28; Sentenza 7 settembre 2004, causa
C-319/02, Manninen, Racc. pag. I-7477, punto 42, e Sentenza Keller Holding, cit. , punto 40.
65
Sentenza 14 novembre 1995, causa C-484/93, Svennsson e Gustavsson, Racc. pag. I-3955, punto 18; Sentenze citate
ICI, punto 29; Maninnen, punto 42, e Keller Holding, punto 40
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
45/87
In primo luogo viene preso in considerazione quanto affermato dal governo francese. Esso afferma che il
regime dell’integrazione fiscale prevede la consolidazione fiscale delle società e come corrispettivo la
neutralizzazione di talune operazioni tra le società del gruppo.
Tale neutralizzazione consentirebbe di evitare che il pericolo che le perdite vengano prese in considerazione
due volte.
Infatti nell’ipotesi in cui le perdite siano subite dalla controllata indiretta, la società controllata procederà ad
accantonamenti per il deprezzamento della sua partecipazione nella controllata indiretta, con la conseguenza
che la società madre formerà accantonamenti per il deprezzamneto della sua partecipazione nella società
controllata. Ora, poiché si tratta di una unica perdita, subita dalla controllata indiretta, se tutte le società
rientrassero nel regime dell’integrazione fiscale, non si terrebbe conto, a causa della neutralizzazione, degli
accantonamenti per deprezzamento in capo alla controllata e alla società madre.
Tuttavia, se la controllata è una società non residente, le perdite della controllata indiretta verrebbero prese in
considerazione due volte: dapprima sotto la forma di perdite dirette della controllata indiretta, la seconda sotto
forma di accantonamento costituito dalla società madre per il deprezzamento della sua partecipazione in tale
società.
Alla luce delle considerazioni svolte, ne deriva che la società residente beneficerebbe delle agevolazioni del
regime dell’integrazione fiscale due volte, senza però, che le perdite della controllata indiretta e gli
accantonamenti della società madre possano essere oggetto di neutralizzazione.
In tal caso, quindi, il nesso diretto di cui sopra sarebbe fortemente compromesso, così come la coerenza del
regime fiscale.
Tale considerazione porta la Corte ad affermare che, le disposizioni della normativa controversa sono idonee
a garantire la coerenza del regime fiscale.
La Corte, una volta accertato che la coerenza del regime impositivo può essere considerata quale causa di
giustificazione della accertata restrizione, procede ad effettuare il test di proporzionalità.
Il governo francese, aveva motivato la ragionevolezza della misura restrittiva sulla base di aspetti
propriamente procedurali. Ciò che era stato sostenuto, infatti, era che l’amministrazione finanziaria incontrava
non poche difficoltà nel verificare la duplicazione della considerazione delle perdite subite dai partecipanti
all’opzione per l’integrazione fiscale nell’ipotesi in cui si verificava l’interposizione nella catena societaria di
una società non residente.
E’ proprio su questo aspetto che la Corte ha espresso la parte più rilevante della decisione.
Preliminarmente la Corte si rifà all’ orientamento in base al quale una difficoltà di ordine pratico non può di per
sé giustificare un pregiudizio ad una libertà fondamentale sancita dal Trattato, quale quella della libertà di
66
stabilimento .Ciò significa che una restrizione alle libertà comunitarie è possibile soltanto laddove vi sia una
impossibilità di tutela dell’interesse generale nazionale, per mezzo di strumenti giuridici. Tali strumenti nel
caso di specie vengono ravvisati nella disciplina comunitaria relativa allo scambio di informazioni e la
66
Sentenze 4 marzo 2004, causa C-334/02, Commissione v. Francia, in Racc., 2004, I-2229; 14 settembre 2006, causa C386/04, centro Walter Stauffer, in Racc., 2006, I-8203; 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII
Group Litigation, in Racc., 2006, I-11753.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
46/87
67
collaborazione fra gli Stati membri, così come prevista dalla Direttiva 77/799/Cee . Ne deriva che alla
cooperazione tra le amministrazioni finanziarie fiscali nazionali viene assegnato l’importante funzione di
garantire la corretta applicazione degli ordinamenti tributari dei singoli Stati membri e il loro coordinamento a
tutela dell’interesse nazionale e comunitario.
La cooperazione viene anche vista come uno strumento attraverso il quale poter evitare asimmetrie impositive
tra i diversi ordinamenti nazionali. Da questa impostazione la Corte procede ad affermare che quando vi siano
società madri residenti in uno Stato membro che richiedono il beneficio del regime dell’integrazione fiscale con
controllate indirette residenti detenute tramite società controllate residenti in un altro Stato membro, le autorità
fiscali del primo Stato membro possono sempre e comunque chiedere a tali controllate di fornire gli elementi di
prova che ritengono necessari affinchè sia pienamente soddisfatta la trasparenza degli accantonamenti
effettuati da queste ultime.
La conclusione a cui arriva la Corte è di conseguenza quella di una possibile previsione di misure meno
restrittive alla libertà di stabilimento per realizzare l’obiettivo consistente nella coerenza del regime fiscale.
6. 4 Conclusioni
La sentenza Papillon, come già affermato, è stata emessa dalla Corte il 27 novembre 2008.
Essa, inserendosi coerentemente in quello che è stato sempre l’approccio della Corte in materia di libertà di
stabilimento, volto ad affermare la superiorità della libertà in questione rispetto alle misure restrittive poste in
essere dagli ordinamenti nazionali, arriva quasi a suggerrire, dopo il grande numero di pronunce in questo
senso, la necessità di un intervento da parte delle istituzioni comunitarie, volto a porre fine alle questioni
sottoposte, di volta in volta, al vaglio della Corte.
Sezione II
La problematica delle perdite transfrontaliere in presenza di stabili organizzazioni
Sommario:
Conclusioni
1. Futura 1. 1 I fatti 1. 2 Le questioni pregiudiziali 1. 3 Le argomentazioni della Corte
1. 4
2. Amid 2. 1 I fatti 2. 2 Le questioni pregiudiziali 2. 3 Le argomentazioni della Corte 2. 4
Conclusioni 3. Deutshce Shell Gmbh 3. 1 I fatti 3. 2 Le questioni pregiudiziali 3. 3 Le argomentazioni della
Corte 4. Lidl Belgium 4. 1 I fatti
4. 2 Le questioni pregiudiziali 4. 3 Le argomentaizoni della Corte 4. 4
Conclusioni 5. Finanzamt fur korperschaften III in Berlin 5. 1 I fatti 5. 2 Le questioni pregiudiziali 5. 3 Le
argomentaizoni della Corte 5. 4 Conclusioni
1.
Futura
67
Sulla disciplina dello scambio di informazioni in ambito UE si vedano tra i molti ADONNINO, Lo scambio di
informazioni fra Amministrazioni finanziarie, in AA. VV. (a cura di Uckmar), Corso di diritto tributario internazionale,
Padova 1999, 893 ss; SAPONARO, Lo scambio di informazioni tra amministrazioni finanziarie e l’armonizzaizone
fiscale, in Rass. Trib., 2005, 453 ss..
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
47/87
La sentenza del caso C- 250/95, Futura Participations SA, è stata emessa il 15 maggio 1997.
Nel caso in esame la Corte, sulla base del principio di territorialità, ossia al consolidato principio di diritto
internazionale in base al quale nessuno Stato può assoggettare ad imposta i redditi realizzati all’estero da
soggetti passivi non residenti, ha ritenuto giustificata la condizione imposta dalla legislazione lussemburghese
in materia di riporto delle perdite subite da un contribuente non residente.
1.1 I fatti
La Singer, stabile organizzazione in Lussemburgo (Host State) della Futura Participations S. A., società
residente in Francia (Home State), determinava (all’atto della propria dichiarazione dei reddti) il proprio reddito
imponibile in base ad una ripartizione proporzionale del reddito complessivo della società Futura poiché non
disponeva di una contabilità regolare per l’anno 1986.
Chiedeva, inoltre, di poter portare a diminuzione di tale reddito le perdite registrate nel periodo 1981-1986. La
Singer, però, non era nella condizione di poter fornire una contabilità regolare neppure per il periodo 19811986, per cui l’ammontare delle perdite da portare a diminuzione del reddito soggetto ad imposta in
Lussemburgo, veniva determinato sulla base di una ripartizione totale delle perdite subìte dalla società Futura
nello stesso periodo.
L’autorità tributaria lussemburghese respingeva la domanda della Singer, adducendo quale motivazione il
fatto che, in base alla normativa del Lussemburgo relativa all’imposta sul reddito delle società, il contribuente
non residente ha diritto al riporto delle perdite solo a determinate condizioni; condizioni che, evidentemente, la
società Singer non aveva rispettato.
Tale normativa prevedeva, in linea generale, che le società residenti in Lussemburgo venissero tassate sui
loro redditi ovunque prodotti e che avessero, correlativamente, un diritto ad un credito d’imposta relativamente
alle imposte pagate all’estero sul reddito di fonte estera. Tutto ciò ad eccezione del caso in cui fosse in vigore
una convenzione contro la doppia imposizione.
Infatti, in questo caso, il reddito di fonte estera era esente da imposta in Lussemburgo e veniva tassato solo
nello Stato in cui era stato prodotto.
Le società residenti, inoltre, avevano il diritto di dedurre, per il calcolo della base imponibile, le perdite fiscali
riportate dagli esercizi precedenti, purchè avessero tenuto una contabilità regolare durante l’esercizio in cui la
perdita si fosse verificata.
Le società non residenti, invece, venivano tassate solo per il reddito prodotto in Lussemburgo tramite una
stabile organizzazione. La normativa nazionale non imponeva alle società non residenti di tenere una
contabilità separata relativa alla loro stabile organizzazione lussemburghese. Esse, infatti, potevano
determinare il reddito imponibile in Lussemburgo, per mezzo di una ripartizione proporzionale del reddito
complessivo della società.
Inoltre, anche le società non residenti potevano beneficiare, in base alla normativa nazionale, di un diritto al
riporto delle perdite. Condizioni necessarie affinchè tale diritto venisse loro concesso era che le perdite
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
48/87
avessero un rapporto economico col reddito lussemburghese e che avessero tenuto una regolare contabilità
in Lussemburgo nel periodo cui le perdite si fossero riferite.
Di fronte al diniego della autorità tributaria lussemburghese, la società Futura e la Singer proponevano ricorso
giurisdizionale volto all’annullamento di tale decisione.
Secondo le società ricorrenti, la normativa lussemburghese relativa all’imposta sul reddito delle società, era
contraria alla libertà di stabilimento sancita dall’articolo 43 del Trattato.
1.2 Le questioni pregiudiziali
Il giudice nazionale decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte una questione
pregiudiziale volta ad accertare se l’articolo 43 del Trattato osti a che uno Stato membro subordini il riporto di
perdite precedenti, chiesto da un contribuente non residente, ma che abbia in tale Stato una stabile
organizzazione, alla condizione che le perdite abbiano un rapporto economico con i redditi ottenuti dal
contribuente in detto Stato e che, durante l’esercizio nel quale le perdite sono state realizzate, il contribuente
abbia tenuto e conservato nello stesso Stato, relativamente alle attività ivi esercitate, una contabilità conforme
alle alle norme nazionali in materia.
1.3 Le argomentazioni della Corte
Come già osservato, le condizioni alle quali la normativa lussemburghese subordina il diritto al riporto delle
perdite alle società non residenti, sono il nesso economico e la tenuta di una regolare contabilità.
La Corte inizia il percoso argomentativo, che sfocerà nella decisione finale, analizzando la prima di tali
condizioni.
In primo luogo la Corte osserva che il nesso economico di cui parla la normativa nazionale implica che
possono costituire oggetto di riporto solo ed esclusivamente quelle perdite che derivino dall’attività che la
società non residente ha svolto in Lussemburgo.
68
La Corte ricorda, preliminarmente, come, per costante giurisprudenza , sia possibile affermare che per
quanto la materia delle imposte dirette appartenga alla competenza esclusiva degli Stati membri, tale
competenza deve comunque essere esercitata dagli Stati membri nei limiti e nel rispetto del diritto
comunitario.
E’ vietata, quindi, qualsiasi discriminazione, palese o dissimulata, basata sulla nazionalità.
Posti tali principi, viene esaminata la normativa in questione al fine di verificare se vi è, in relazione alla prima
delle condizioni considerate dalla Corte, una restrizione alla libertà di stabilimento.
Nella fattispecie in esame i contribuenti residenti sono tassati per i redditi ovunque prodotti, di conseguenza la
base imponibile non è limitata alle loro attività lussemburghesi. Ne deriva che, anche se vi sono esenzioni
grazie alle quali i redditi di fonte estera non sono tassati in Lussemburgo, è possibile asserire che, la base
68
Sentenza 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225, punti 21 e 26; Sentenza 11 agosto 1995,
causa C-80/94, Wielockx, Racc. pag. I-2493, punto 16, e Sentenza 27 giugno 1996, causa C- 107/94, Asscher, Racc. pag.
I-3089, punto 36.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
49/87
imponibile dei contribuenti residenti comprende, “quanto meno”, gli utili e le perdite che derivano dalle attività
svolte nel Lussemburgo.
Sempre nella fattispecie in esame, i contribuenti non residenti determinano la loro base imponibile ai fini del
calcolo dell’imposta dovuta in Lussemburgo, soltanto sugli utili e le perdite derivanti dalle loro attività
lussemburghesi.
Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte statuisce che la normativa in esame costituisce l’ esplicazione di
quello che è il principio di territorialità in materia tributaria e, pertanto, non può comportare una
69
discirminazione, palese o dissimulata, vietata dal Trattato .
La seconda condizione richiesta dalla normativa lussemburghese riguarda la regolare tenuta e conservazione
della contabilità.
Come è possibile dedurre dalle spiegazioni fornite dal governo del Lussemburgo in merito, per contabilità
“regolare” si intende una contabilità che sia conforme alla normativa nazionale.
In presenza di una siffatta condizione, la Corte non si esime dall’affermare che essa “può” costituire una
restrizione alla libertà di stabilimento di una società che intenda esercitare la propria attività tramite una stabile
70
organizzazione in uno Stato diverso da quello di residenza. .
Dalle considerazioni svolte, ne deriva che una condizione quale quella appena descritta, che riguarda
specificatamente la società che ha sede in un dato Stato membro, è vietata alla luce dell’ articolo 43 del
Trattato.
Tuttavia, secondo uno schema logico interpretativo che si ripete costante in ogni pronuncia della Corte in
materia di libertà di stabilimento, occorre verificare se una tale restrizione alla libertà di stabilimento possa
giustificarsi alla luce dello scopo perseguito, che deve essere legittimo e compatibile con il Trattato, alla luce di
motivi imperativi di interesse generale. Se anche si giungesse alla conclusione che la restrizione è giustificata,
71
bisognerebbe comunque ulteriormente verificare la proporzionalità con lo scopo perseguito .
La prima delle giustificazioni presentate dal governo lussemburghese e britannico, riguarda la necessità di una
misura quale quella che impone la seconda delle condizioni sottoposte al vaglio della Corte, per consentire,
alle autorità tributarie una precisa verifica dell’ammontare dell’imponibile nello Stato in questione.
69
Alla medesima conclusione, sebbene con una parsimonia di motivazione, arriva anche l’Avvocato generale Lenz, ai
paragrafi 27 e 28 delle sue conclusioni, presentate il 5 novembre del 1996. L’Avvocato generale rileva come nessuna
delle parti nel corso del procedimento abbia obiettato circa la compatibilità della prima condizione con il diritto
comunitario. Come ha rilevato la Commissione nelle sue osservazioni e come è stato poi affermato dalla Corte, la
condizione de qua non è altro che la conseguenza logica e necessaria del principio noto alla prassi tributaria
internazionale come principio di territorialità.
70
Come è possibile rilevare dai paragrafi 30 e ss. delle conclusioni dell’Avvocato Generale, la condizione della
contabilità separata costituirebbe, per le società ricorrenti, un aumento di spese amministrative che non andrebbero a
compensare, comunque, il vantaggio che deriva dall’istituire stabili organizzazioni, per il fatto che non comportano spese
eccessive, e il vantaggio che deriva dal riporto delle perdite. Per poterne godere, infatti, le società non residenti devono
affrontare delle spese amministrative aggiuntive.
71
Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 37; Sentenza 31 marzo 1993, causa C19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punto 32, e Sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman e a. , Racc. pag. I4921, punto 104.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Secondo il governo lussemburghese, un requisito quale quello richiesto dalla normativa in esame, è
necessario, per lo Stato interessato, per verificare se le perdite, di cui è stato chiesto il riporto effettivamente
sono riferibili ad attività svolte in tale Stato.
Sulla scorta di quanto sostenuto dal governo lussemburghese è possibile affermare che, mentre la prima
condizione riguarda gli elementi necessari ai fini del calcolo dell’imposta dovuta, la secondo condizione,
invece, attiene alla prova della agevolazione fiscale di cui una società non residente che ha una stabile
organizzazione in Lussemburgo vuole fruire.
Infatti, con la seconda condizione, argomenta ancora il governo lussemburghese, si consente alle autorità
tributarie di ispezionare in qualunque momento i documenti contabili.
A tal proposito, la Commissione ritiene che la misura in questione non sia assolutamente indispensabile per lo
scopo perseguito. Lo stesso risultato potrebbe, infatti, essere ottenuto mediante una verifica della contabilità
nel luogo in cui la società non residente ha la sede, oltre al fatto che esiste una direttiva del Consiglio, la
77/799/CEE che disciplina la reciproca assistenza tra le autorità tributarie negli Stati membri in materia di
imposte dirette.
La Corte ha ribadito in più occasioni che l’efficacia dei controlli fiscali costituisce un motivo di interesse
72
generale idoneo a giustificare una restrizione all’esercizio delle libertà fondamentali sancite dal Trattato .
Ne consegue che uno Stato membro può prevedere misure che abbiano lo scopo di verificare “in modo chiaro
e preciso” l’ammontare dei redditi imponibili nel suo territorio.
Non deve, inoltre, considerarsi giusta neanche l’argomentazione fornita dalla Commissione, in quanto lo
scopo perseguito con la seconda condizione non sarebbe ugualmente raggiungibile se le autorità tributarie del
Lussemburgo dovessero far riferimento ai documenti contabili tenuti da un altro Stato membro e secondo le
norme di un altro Stato membro; il risultato ottenibile non sarebbe il medesimo.
Ogni Stato, continua la Corte, ha le proprie norme in materia di determinazione degli utili e di tutte le voci di
bilancio.
Allo stato del diritto comunitario al momento della decisione, infatti, non esistono norme comuni in materia e
ciascun Stato è libero di stabilire le proprie regole per il computo del reddito imponibile, delle perdite fiscali da
riportare a nuovo.
Dopo aver verificato che la restrizione in questione è giustificata alla luce dei motivi sopra indicati, la Corte
compie un ulteriore passo in avanti nel chiedersi se la misura de qua sia proporzionale allo scopo perseguito,
se non ecceda quanto è necessario per il perseguimento dell’obiettivo prefissato.
In primo luogo la Corte osserva che, in base alla normativa lussemburghese, i contribuenti non residenti non
sono tenuti, in generale, a tenere una contabilità distinta; tale obbligo nasce solo nell’ipotesi in cui si chieda di
usufruire del diritto di riporto delle perdite.
Appurato ciò, la Corte statuisce che, al momento della domanda l’interesse delle autorità lussemburghesi è
unicamente quello di verificare “in modo chiaro e preciso” che le perdite di cui si chiede il riporto siano state
effettivamente conseguite nel territorio nazionale dal contribuente.
72
Sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe Zentral-cosiddetta sentenza “Cassis de Dijon”-, Racc. pag. 649, punto
8.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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In una situazione come quella in esame, la Corte ribadisce che non è “indispensabile” che i mezzi con i quali
tale risultato sia perseguito siano quelli previsti dalla normativa nazionale.
Non deve infatti essere dimenticato che la direttiva di cui sopra, consente alle autorità di uno Stato membro di
appellarsi alle autorità di un altro Stato membro al fine di ottenere informazioni necessarie per determinare , in
base alla normativa che devono applicare, l’ammontare dell’imposta sul reddito di un contribuente residente
nell’altro Stato membro.
Comunque, anche se la misura non sembra essere proporzionata allo scopo perseguito, uno Stato membro
non è tenuto ad accettare un metodo quale quello utilizzato dalla società ricorrente per la determinazione del
reddito imponibile in Lussemburgo, ossia la ripartizione delle perdite complessive, per l’indeterminatezza che
ne deriva da tale metodo.
1.4 Conclusioni
Nella sentenza in esame la Corte dichiara legittima la condizione posta dalla normativa lussemburghese in
base alla quale i contribuenti possono dedurre le perdite dagli utili successivi, a condizione che tali perdite non
siano generate all’estero. Per consentire l’utilizzo di tali perdite, il Lussemburgo richiede che venga provata
l’esistenza di un nesso economico tra le perdite riportate e gli utili realizzati nello Stato di tassazione.
L’importanza della pronuncia in esame consiste nell’aver riconosciuto il principio di territorialità in materia di
libertà di stabilimento. Infatti, sulla base del principio per cui nessuno Stato può assoggettare ad imposta i
redditi realizzati all’estero da soggetti passivi non residenti, la Corte ha ritenuto la condizione imposta dalla
normativa del Lussemburgo giustificata, in ragione della considerazione che essa deriva dall’esigenza di
coordinare il potere fiscale dello Stato della tassazione con quello dello Stato di stabilimento.
Nella sentenza Futura, la Corte afferma che se il criterio di determinazione del reddito imponibile di un
soggetto residente si differenzia dal criterio di computazione del reddito imponibile di un soggetto non
residente, allora è legittimo un diverso trattamento dei due soggetti, poiché essi non si trovano in situazioni
che possano essere definite come comparabili.
Ne deriva che una stabile organizzazione di una società non residente non versa in una situazione
comparabile a quella di una società residente, per quanto riguarda il profilo legato alla computazione del
reddito ivi imponibile.
E’ il principio di territorialità che, secondo la Corte, impone una tale interpretazione per cui, mentre una stabile
organizzazione è imponibile in Lussemburgo solo per i redditi effettivamente connessi, una società residente
è, invece, imponibile in Lussemburgo per i redditi ovunque prodotti.
2. AMID
Con la sentenza del 14 dicembre 2000 nella causa C-141/99, la Corte ha dichiarato contraria all’articolo 43
del Trattato, la normativa belga che non permetteva il riporto in avanti di una perdita sostenuta in Belgio da
una società residente con stabile organizzazione in Lussemburgo, ma imponeva di imputarla al reddito della
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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stabile organizzazione in Lussemburgo, esente, oltretutto da imposta in Belgio in base alla convenzione
73
bilaterale contro le doppie imposizioni tra Belgio e Lussemburgo .
2.1 I fatti
La società AMID, con sede in Belgio (Home State), aveva una stabile organizzazione in Lussemburgo(Host
State). Nel 1981 realizzava una perdita in Belgio e utili provenienti dalla stabile organizzazione in
Lussemburgo. Tali utili, secondo quanto disposto dalla convenzione sulla doppia imposizione erano esenti da
imposta in Belgio.
Poiché non era possibile alla società AMID dedurre la perdtita realizzata in Belgio dall’utile lussemburghese ai
fini dell’imposta dovuta in Lussemburgo sull’utile ivi realizzato, la società AMID riportava la perdita all’esercizio
successivo e ne chiedeva la deduzione dagli utili belgi del 1982.
L’amministrazione finanziaria belga negava alla società AMID il diritto al riporto sulla base della
considerazione che le perdite belghe del 1981 dovevano essere imputate agli utili registrati nello stesso anno
in Lussemburgo.
La normativa belga sull’imposta sul reddito delle società prevedeva che vi fossero tre categorie di utili: quelli
realizzati in Belgio e sottoposti a tassazione in Belgio; quelli realizzati all’estero, e soggetti ad imposta ridotta
in Belgio, e quelli realizzati all’estero, esenti da imposta in Belgio in forza di convenzioni contro le doppie
imposizioni. La normativa belga prevedeva anche che le perdite subìte in Belgio fossero imputate nell’ordine:
agli utili realizzati in Belgio, agli utili esteri soggetti ad imposta parziale a agli utili esteri esenti. Le perdite
realizzate all’estero, invece, dovevano essere imputate nell’ordine: agli utili esenti per convenzione, agli utili
soggetti ad imposta ridotta o agli utili realizzati in Belgio.
La normativa fiscale belga stabiliva, inoltre, che le perdite potessero essere riportate in avanti e dedotte dal
reddito imponibile di esercizi successivi. Tutto ciò solo a condizione che non fossero state assorbite dai redditi
esenti per convenzione.
La società AMID presentava ricorso davanti al Hof van Beroep di Gand sostenendo che le disposizioni
applicate nei suoi confronti erano incompatibili con la Convenzione oltre al fatto che prevedevano un
trattamento fiscale meno favorevole per le società belga con stabile organizzazione in Lussemurgo, rispetto a
quello riservato alle società nazionali.
2.2 Le questioni pregiudiziali
Il giudice nazionale sospendeva il procedimento e sopponeva alla Corte una questione pregiudiziale volta ad
accerta se l’art. 43 del Trattato osti alla normativa di uno Stato membro in forza della quale una società di
73
BIZIOLI, Note minime in tema di libertà fondamentali e riporto delle perdite nell’ordinamneto comunitario, in Dir. e
prat. internaz., 2003, 617; PISTONE, Il trattamento delle perdite e l’evoluzione del diritto comunitario in materia di
imposte dirette, in Riv. dir. trib., 2001, 5; DASSESSE, The ECJ’s Decision in AMID and its implications for Belgian
Companies, in International Boreau of Fiascal Documentation, 254; HINNEKENS, AMID: The wrong bridge or a bridge
too far? An analysis of a recent decision of the European Court of Justice, in International Boreau of Fiascal
Documentation, 2001, 206.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
53/87
diritto nazionale, con sede in tale Stato membro, può dedurre dagli utili imponibili di un dato anno, a titolo di
imposta sulle società, le perdite subite nel corso dell’anno precedente soltanto a condizione che tali perdite
non abbiano potuto essere imputate sugli utili realizzati nel corso dello stesso anno precedente da una delle
sue sedi stabili situate in un altro Stato membro nei limiti in cui le perdite così imputate non possono essere
dedotte dal reddito imponibile in alcuno degli Stati membri di cui trattasi, mentre sarebbero deducibili se la
sede di dette società fossero situate esclusivamente nello Stato membro in cui essa ha la sede sociale.
2.3 Le argomentazioni della Corte
La Corte accogliendo la posizione del ricorrente, stabilisce che il regime fiscale in questione costituisce un
ostacolo, posto dallo Stato di residenza, alla libertà delle società residenti di stabilirsi in un altro Stato membro
mediante l’insediamento di una stabile organizzazione in quello Stato. Viene sancita, quindi, la contrarietà di
una tale normativa agli articoli del Trattato relativi alla libertà di stabilimento.
Prima di arrivare ad una tale conclusione, la Corte ha effettuato un ragionamento interpretativo che merita di
74
essere messo in luce .
In via preliminare la Corte afferma che, sebbene la materia delle imposte dirette rientri nella competenza degli
75
Stati membri, tuttavia questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario .
In secondo luogo procede nel ribadire quella che è la portata delle disposizioni in materia di libertà di
76
stabilimento, secondo un approccio che è costante in tutte le pronucie in materia .
Ora, la normativa controversa ha ad oggetto un trattamento delle perdite di una società belga con stabile
organizzazione in Lussemburgo che sembra rendere più sfavorevole per le società residenti l’esercizio della
libertà di stabilimento per mezzo di stabili organizzazioni con sede in altri Stati membri, la Corte ribadisce un
importantissimo principio.
Viene ribadito quanto era stato affermato per la prima volta nella sentenza ICI.
Sebbene dal tenore letterale delle disposizioni degli articoli 43 e 48 del Trattato sia possibile affermare che
esse abbiano lo scopo precipuo di garantire il beneficio della disciplina nazionale dello Stato membro
74
In via preliminare, la Corte rifiuta di pronunciarsi sull’argomento avanzato dalla Commissione riguardante la eventuale
conflittualità della normativa belga con i principi sanciti dalla convenzione bilaterale stipulata fra Belgio e Lussemburgo,
che prevede l’esenzione come mezzo attraverso cui poter eliminare la doppia imposizione internazionale.
La ragione di un tale rifuito deve essere ravvisata nella circostanza che la questione non è stata specificatamente rimessa
dal giudice nazionale. Altra questione di fondamentale importanza è che la Corte su di essa non avrebbe alcuna
competenza a statuire prima di stabilire un legame con la normativa comunitaria. Da quanto affermato, è errato dedurre
che la Corte, ogni volta che le viene sottoposta una questione riguardante le convenzioni contro la doppia imposizione si
astiene dal pronunciarsi. Infatti nella sentenza Saint Gobain viene affermato con vigore dalla Corte l’obbligo degli Stati
membri di rispettare il diritto comunitario anche nelle materie rimaste di loro competenza.
75
Sentenze 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225, punto 21; Sentenza 16 luglio 1998, causa
C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 19, e Sentenza 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkoijen, Racc. pag. I-4071,
punto 32.
76
Sentenza 28 gennaio 1986, causa C-270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 18; Sentenza 13 luglio 1993,
causa C-330/91, Commerzbank, Racc. pag. I-4017, punto 13, e Sentenza ICI, citata, punto 20.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
54/87
ospitante, esse hanno parimenti lo scopo di impedire che lo Stato di origine ostacoli lo stabilimento in un altro
Stato di un proprio cittadino o di una società.
Dopo aver affermato i principi posti a fondamento della propria decisione, la Corte procede ad esaminare gli
aspetti determinanti della controversia di cui alla causa principale.
Essa rileva, in primo luogo, che in base alla normativa belga, le società residenti che si sono avvalse della loro
libertà di stabilimento e hanno creato stabili organizzazioni in altri Stati membri, non possono riportare le
perdite sofferte in Belgio nel corso di un periodo d’imposta precedente se hanno realizzato, nel corso dello
stesso periodo d’imposta, utili in un altro Stato membro mediante una stabile organizzazione.
Diversamente se le sedi secondarie delle società residenti fossero state in Belgio: la possibilità di compensare
le perdite sarebbe stata concessa.
Quindi, posto che se una società residente ha una stabile organizzazione in un altro Stato membro e fra i due
Stati vi sia una convenzione per evitare la doppia imposizione, è sottoposta, in base alla normativa nazionale,
ad un trattamento fiscale differenziato rispetto alla società residente che abbia sedi secondarie nel territorio
nazionale, è possibile affermare si è in presenza di uno svantaggio fiscale.
Tale svantaggio sarebbe sofferto dalle società residenti che decidono di esercitare la loro attività tramite
stabili organizzazioni stabilite in altri Stati membri e non avrebbe luogo se le sedi secondarie fossero situate
nel territorio nazionale. Viene, dunque, affermata l’esistenza di una restrizione in uscita, in quanto una società
belga con una stabile organizzazione in Lussemburgo sarebbe soggetta ad un trattamento fiscale sfavorevole.
La prima argomentazione fornita dal governo belga attiene alla necessità di valutare la normativa nazionale
nel suo complesso, al fine di provare che la normativa in questione non ostacola in nessun modo l’esercizio
delle libertà fondamentali sancite dal Trattato.
In base alla normativa nazionale, le società belghe sono assoggettate ad imposta sul reddito ovunque
prodotto. Questa disposizione insieme alla presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni stipulata
dal Belgio con altri Stati membri, fa si che, nella maggior parte dei casi, dal regime previsto scaturiscano dei
vantaggi per le società residenti. Infatti, una perdita subita all’estero potrebbe essere imputata sugli utili
realizzati in Belgio.
Il governo belga sostiene che, proprio in considerazione di quanto sopra affermato, la normativa nazionale
non è determinante sulle scelte di una società residente in merito alla possibile apertura di una stabile
organizzazione in altri Stati membri. Tale considerazione sarebbe, poi, suffragata dalla considerazione che
una società non può sapere ex ante se realizzerà perdite in futuro.
A questo proposito la Corte obietta che, anche se si assume che la normativa in esame comporta, nella
maggior parte dei casi, un regime tributario che è favorevole per le società che hanno stabili organizzazioni in
altri Stati membri, tuttavia, ogni volta in cui ne consegue un regime tributario sfavorevole, tale da poter parlare
77
di disparità di trattamento, non si può non affermare che vi sia un ostacolo alla libertà di stabilimento .
La seconda giusitficazione presentata dal governo belga riguarda la considerazione che nella fattispecie in
esame non sussiste una discriminazione in quanto le società belghe che hanno stabili organizzazioni in altri
Stati membri e quelle che non hanno tali stabili organizzazioni non versano nella medesima situazione. Infatti
77
Sentenza Commissione/Francia, citata, punto 21.
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55/87
le società residenti che non hanno sedi secondarie sono tassate per il reddito ovunque prodotto in base ad
aliquote applicabili in Belgio. Diversamente le società con stabili organizzazioni in altri Stati membri sono
assoggettate ad imposta, relativamente ai redditi provenienti dalle sedi secondarie, in conformità alle
disposizioni tributarie dello Stato membro in cui sono situate, fatta eccezione per l’applicazione di convenzioni
contro la doppia imposizione.
A riguardo la Corte respinge la giustificazione presentata dal governo belga, statuendo che le differenze
enucleate non sarebbero sufficenti a giustificare un trattamento differenziato per quanto riguarda la deduzione
delle perdite.
Infatti, una società belga che non ha sedi secondare e che subisce perdite in un determinato esercizio, si
trova, in linea di principio e dal punto di vista tributario, in una situazione equiparabile a quella di una società
che ha una stabile organizzazione in Lussemburgo e subisce perdite in Belgio e realizzi al contempo utili in
Lussemburgo nel corso dello stesso esercizio.
Alla luce delle considerazioni di cui sopra, non esiste una differenza di situazione obiettiva, per cui una
differenza di trattamento relativa alla deducibilità delle perdite possa essere giustificata.
Poiché non è possibile ravvisare una giustificazione a tale differenza di trattamento, essa è in contrasto con le
disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento.
2.4 Conclusioni
La sentenza in esame, consente di fare alcune riflessioni in merito alle pronunce della Corte riguardanti il
trattamento fiscale di un soggetto con stabile organizzazione in un altro Stato membro.
A tal proposito sono state già passate in rassegna le sentenze Futura e Saint-Gobain. Proprio dall’esame di
queste sentenze, è possibile arrivare alla conclusione che la stabile organizzaizone non è sempre nella
medesima condizione imputabile ad una società figlia residente nello Stato della fonte.
Ora, da un lato, deve sottolinearsi che la Corte ha sempre ribadito che la normativa tributaria non deve andare
ad influenzare le modalità con cui un soggetto esercita il diritto distabilimento, dall’altro, deve riconoscersi che
il diritto comunitario ha sempre riconosciuto e rispettato la diversità che corre in sostanza e ai fini impositivi fra
una stabile organizzazione priva di personalità giuridica e un soggetto giuridico autonomo,
Tuttavia, nella sentenza Saint-Gobain, relativamente alla percezione di dividendi di fonte estera da parte di
una stabile organizzazione e di una società figlia, la Corte ha affermato l’esistenza di una situazione di
oggettiva comparabilità tra situazioni diversamente considerate ai fini impositivi.
Nella sentenza in esame, la Corte per la prima volta, afferma questa condizione di uguaglianza anche in
materia di deduzione e riporto delle perdite della casa madre.
Ecco perché, la normativa tributaria deve garantire le medesime condizioni all’interno dei rapporti che
intercorrono tra due sedi societarie, a prescindere dalla circostanza che esse abbiano la sede nel medesiomo
o in differenti Stati membri.
Questo è il principio sancito dalla Corte nella sentenza in esame che porta ad affermare la sua importanza nel
panorama delle pronunce in materia di libertà di stabilimento.
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3.Deutsche Shell GmbH
La sentenza del caso C-293/06, Deutsche Shell GmbH, emessa il 28 febbraio 2008, deve essere inserita nel
filone giurisprudenziale relativo alla compatibilità del differente tratamento fiscale di una società residente e di
una stabile organizzazione di una società non residente con le libertà fondamentali sancite dal Trattato.
3.1 I fatti
La Deutsche Shell, una società con sede e direzione in Germania (Home State), aveva creato, nel 1974, una
stabile organizzazione in Italia (Host State) per la ricarca e lo sfruttamento di giacimenti di gas naturale e di
petrolio.
I proventi derivanti dalla stabile organizzazione venivano registrati, in modo conforme alla normativa italiana,
in un bilancio redatto in valuta italiana, mentre, per la Deutsche Shell, in un distinto bilancio tedesco.
La società tedesca, inoltre, conferiva alla stabile organizzazione contributi finanziari a titolo di capitale iniziale,
che venivano iscritti in un bilancio tedesco distinto con il tasso di cambio per i marchi tedeschi valido all’atto di
ciascun pagamento effettuato in lire.
Gli utili della stabile organizzazione rientrati in Germania venivano dedotti dal capitale iniziale per un valore
calcolato sulla base del tasso di cambio del marco tedesco e della lira italiana il giorno di ogni versamento
fatto dalla stabile organizzazione alla società tedesca.
La svalutazione monetaria del capitale iniziale conferito alla stabile organizzazione non veniva presa in
considerazione in Italia, ai fini della tassazione degli utili della società italiana, per il fatto che la
determinazione della base imponibile avveniva in lire italiane.
In base alla normativa fiscale tedesca i redditi ovunque prodotti di una società tedesca sono integralmente
tassati.
Nel 1992 la Deutsche Shell trasferiva il patrimonio della stabile organizzazione ad una società interamente
controllata e chiudeva detta stabile organizzazione. La Deutsche Shell vendeva, poi, le azioni acquisite
mediante il trasferimento ad una società italiana indipendente. Si realizzava, così il rimborso del capitale
inziale. La differenza negativa fra il rimborso del capitale e l'ammontare del capitale iniziale, veniva qualificato
dalla società tedesca come una perdita valutaria.
L’amministrazione finanziaria tedesca negava la possibilità di prendere in considerazione la detta perdita,
adducendo quale motivazione il fatto che la società tedesca non aveva effettivamente subito una perdita
valutaria reale, poiché la svalutazione monetaria del capitale inziale costituiva una parte dei risultati della
società italiana e, tenendo conto di questa svalutazione , la società aveva realizzato un risultato positivo nel
corso dell’esercizio fiscale in questione.
Avverso questa decisione, la società tedesca proponeva ricorso dinanzi al Finanzgericht Hamburg,
sostenendo che il diniego di dedurre la perdita valutaria era incompatibile con la libertà di stabilimento. Infatti,
in tali circostanze la Deutsche Shell si veniva a trovare in una condizione meno favorevole rispetto alla
situazione in cui avesse investito solo in Germania.
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3.2 Le questioni pregiudiziali
Il Finanzgericht
decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
“1)
Se sia in contrasto con l’articolo 43, in combinato disposto con l’articolo 48 del Trattato, il fatto che la
Germania, in qualità di Stato d’origine, imputi all’utile d’impresa una perdita valutaria occorsa ad una società
tedesca controllante in occasione del rientro del cd. Capitale iniziale conferito ad un’impresa italiana e, sulla
base dell’esenzione prevista dagli articoli 3, nn. 1 e 3, e 11, n. 1, lett. c) della convenzione, la escluda dalla
base imponibile per l’imposta tedesca, sebbene tale perdita non possa essere calcolata nell’accertamento
degli utili d’impresa ai fini dell’imposizione italiana, con la conseguenza che essa non sarà presa in
considerazione né nello Stato d’origine, né in quello ospitante”.
Con la prima questione il giudice nazionale chiede in sostanza se il combinato disposto degli articoli 43 e 48
del Trattato osti a che uno Stato membro escluda una perdita valutaria subita da una società con sede
statutaria sul territorio di tale ultimo Stato in occasione del rientro del capitale iniziale che essa aveva conferito
ad una stabile organizzazione di sua appartenenza, situata in un altro Stato membro, ai fini delle
determinazione della base imponibile nazionale.
Poiché è stato sottolineato dal Finanzamt e dal governo tedesco che le fluttuazioni valutarie di cui alla causa
principale non abbiano dato luogo ad una perdita valutaria, corrispondente ad una perdita economica reale,
deve sottolinearsi che è il giudice del rinvio colui in capo al quale ricade l’obbligo di valutare se le perdite in
questione siano effettivamente perdite valutarie.
La Corte, poi, sulla base delle informazioni fornite dal giudice nazionale, procede ad esaminare la causa
principale per arrivare alla soluzione del quesito sottoposto al suo vaglio.
Fatte queste premesse, la Corte è chiamata a stabilire se, nell’ipotesi in cui esistesse una perdita valutaria
corrispondente ad una perdita economica reale, la decisione del Finanzamt di escludere tale perdita dal
calcolo della base imponibile della suddettta società possa rappresentare
un ostacolo all’esercizio della
libertà di stabilimento.
Con la seconda quesitone il giudice del rinvio chiede se, nel caso in cui si risolvesse la prima questione in
senso affermativo, il combinato disposto degli artt. 43 e 48 del Trattato osti altresì a che la perdita valutaria di
cui trattasi possa essere dedotta a titolo di onere di esercizio di un’impresa che ha la propria sede in uno Stato
membro soltanto nel caso in cui la stabile organizzazione appartenente a quest’ultima, situato in un altro Stato
membro, non abbia realizzato utili esenti.
3.3 Le argomentazioni della Corte
La Corte risolve le questioni sottoposte al suo vaglio affermando che il combinato disposto degli articoli 43 e
48 del Trattato osta a che uno Stato membro escluda una perdita valutaria, subita da una società con sede
statuaria sul territorio di tale Stato, sul rientro del capitale iniziale che essa aveva conferito ad una stabile
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casi della Corte di giustizia
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organizzazione di sua appartenenza situato in un altro Stato membro, ai fini della determinazione della base
imponibile nazionale.
Afferma altresì che il combinato disposto degli artt. 43 e 48 del Trattato osta a che una perdita valutaria possa
essere dedotta a titolo di onere d’esercizio di un’impresa con sede in uno Stato membro solamente nel caso in
cui la stabile organizzazione appartenente a quest’ultima, situato in un altro Stato membro, non abbia
realizzato utili esenti.
La Corte prima di porre in essere quelle che sono le argomentazioni sulla base delle quali la sua decisione si
baserà, ribadisce preliminarmente, rifacendosi ad un orientamento già espresso in altre pronunce, che “deve
considerarsi come ostacoli” ogni misura che vieta, ostacola o scoraggia l’esercizio della libertà di
78
stabilimento .
Gli ostacoli di cui sopra producono come conseguenza degli effetti restrittivi che, in particolare, si verificano
quando una normativa fiscale di uno Stato membro induce una società ivi residente ad astenersi dal creare in
altri Stati membri sedi secondarie, quali una stabile organizzazione, e dall’esercitare, conseguentemente la
propria attività tramite tale stabile organizzazione
79
.
La Corte prosegue analizzando quelle che sono le caratteristiche del caso concreto rilevanti ai fini della
decisione. Una normativa tributaria quale quella tedesca rende il rischio economico, cui è fisiologiacamente
soggetta una società residente che intenda creare una stabile organizzazione in un altro Stato membro che
utilizzi una valuta diversa, più gravoso. In una situazione del genere, infatti, il rischio di fronte al quale si è
posti è superiore:
da un lato, vi è il rischio associato
all’eventuale successo/insuccesso della stabile
organizzazione, dall’altro, vi è il rischio derivante dal dotare quest’ultima di un capitale iniziale.
Nella controversia in esame, la società tedesca ha esercitato la propria libertà di stabilimento garantita dal
Trattato, ma, a fronte di una situazione del genere, non le è stato consentito di prendere in considerazione la
perdita finanziaria subìta, nella valutazione dei propri utili di impresa complessivi ai fini dell’accertamento
fiscale.
In una situazione del genere, la Corte statuisce che il regime fiscale controverso costituisce un ostacolo
l’esercizio alla libertà di stabilimento, in quanto induce una società tedesca ad astenersi dall’ esrcitare la
libertà di stabilimento garantita dal Trattato.
La Corte, una volta accertata la natura restrittiva della misura in quesitone, verifica se possa essere
giustificata.
Una restrizione, infatti, è ammissibile solo qualora persegua un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato o
sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale.
La prima delle giustificazioni presentate dal governo tedesco riguarda la coerenza del sistema tributario.
A tal proposito sia la Germania che i Paesi Bassi ritengono che se alla società tedesca venisse concesso di
prendere in considerazione una perdita valutaria ai fini della determinazione della base imponibile in
78
Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 37, e Sentenza 5 ottobre 2004, causa
C-442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I-8961, punto 11.
79
sentenza 13 dicembre 2005, causa C- 446/03, Marks and Spencer, Racc. pag. I-10837, punti 32 e 33, nonché
Sentenza23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding, Racc. pag. I-2107, punto 35.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Germania, la coerenza del sistema fiscale tedesco ne risulterebbe profondamente compromessa. Alla base di
una simile considerazione vi è la circostanza che se ci fosse un eventuale guadagno sul cambio, ottenuto in
una situazione simile, non verrebbe preso in considerazione. Ergo, lo svantaggio che deriverebbe dal diniego
di prendere in considerazione la perdita valutaria, non è altro che la conseguenza logica e necessaria del
vantaggio derivante dal fatto che un guadagno sul cambio sarebbe anch’esso escluso dalla base imponibile.
La Corte, nel respingere tale argomentazione, preliminarmente si rifà a principi già espressi in altre pronunce.
Più volte, infatti è stato riconosciuto che la coerenza del regime fiscale è un motivo idoneo a giustificare una
80
restrizione alla libertà di stabilimento sancita dal Trattato .
Tuttavia, ha osservato la Corte, affinchè la coerenza fiscale possa essere fatta valere come una causa di
giustificazione idonea è necessario che vi sia “un nesso diretto fra il beneficio fiscale e la compensazione di
81
tale beneficio con un determinato prelievo fiscale” .
La Corte, inoltre, statuisce che “il nesso diretto” deve essere verificato sulla base di quella che è la finalità
della normativa fiscale, tenendo conto la situazione dei contribuenti interessati da una correlazione rigorosa
82
tra elemento deducibile e elemento relativo all’imposizione .
Per quanto riguarda la possibilià di ravvisare “il nesso diretto” nella normativa fiscale tedesca, deve
sottolinearsi che il confronto fra perdite valutarie e i guadagni sul cambio, non sono idonei a qualificare tale
confronto in termini di rigorosa correlazione. Inoltre, il fatto che la perdita valutaria nn venga presa in
considerazione ai fini della determinazione della base imponibile, non viene compensato da alcun beneficio
fiscale nello Stato membro sede della società o in quello in cui ha sede la stabile organizzazione.
La seconda delle giustificazioni fatte valere dal governo tedesco attiene alla necessità di garantire una
equilibrata ripartizione del potere impositivo fra Germania e Italia; tale possibilità sarebbe garantita grazie alla
libera scelta in capo agli Stati membri di determinare i criteri di ripartizione della sovranità fiscale, anche per
mezzo dell’ausilio, come avviene nel caso di specie, di convenzioni bilaterali. Infatti In base alla convenzione
de qua, gli Stati membri hanno deciso di esentare dall’imposta i redditi delle stabili organizzazioni situate nel
territorio dello Stato contraente, condizione che impedisce di prendere in considerazione la perdita valutaria in
questione.
A tal proposito la Corte ribadisce che, in mancanza di armonizzazione comunitaria o di disposizioni volte a
creare una disciplina uniforme in una determinata materia, gli Stati membri hanno la possibilità di esercitare la
propria competenza nella definizione dei criteri per la tassazione dei redditi e del patrimonio, al fine di
eliminare la doppia imposizione.
Tale obiettivo deve poter essere perseguito, aggiunge la Corte, anche in via convenzionale, cioè tramite la
83
stipulazione di convenzioni atte ad impedire una doppia imposizione .
80
Sentenze 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann, Racc. pag. I-249, punto 28; causa C-300/90,
Commissione/Belgio, Racc. pag. I-305, punto 21; sentenza Keller Holding, cit. , punto 40, e Sentenza 8 novembre 2007,
causa C-379/05, Amurta, Racc. pag. I-0000, punto 46).
81
Deve sottolinearsi che l’argomentazione basata sulla coerenza del sistema fiscale, ha ricevuto una ulteriore ed
innovativa chiave di lettura nelle conclusioni dell’Avvocato Generale Maduro nella sentenza Marks and Spencer. Egli,
infatti, aveva sottolineato come, la coerenza fiscale dovesse essere letta anche, e soprattutto, alla luce di quello che è
l’obiettivo e la logica del regime fiscale in esame.
82
v. , in tal senso, Sentenza 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx, Racc. pag. I-2493, punto 24.
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La libertà degli Stati mebri nell’esercitare la competenza di cui sopra implica anche che, uno Stato membro
non sia obbligato a prendere in considerazione, ai fini dell’applicazione della propria normativa, i risultati
negativi di una stabile organizzazione che abbia la sede in un altro Stato membro, solo in ragione del fatto
che questi risultati non possono essere presi in considerazione nello Stato della stabile organizzazione.
Ancora deve essere sottolineato che la libertà di stabilimento non deve essere considerata come un mezzo
attraverso cui poter giustificar il fatto che uno Stato membro nel determinare la propria normativa fiscale,
debba tener conto anche di quella di un altro Stato membro, al fine di eliminare ogni possibilie disparità
derivante da norme che possono risultare, a seconda dei casi, più o meno favorevoli.
Per quanto riguarda la causa principale, però, deve osservarsi come lo svantaggio fiscale sia in realtà una
circostanza che riguarda solo le autorità tedesche. Non è possibile affermare che uno Stato membro escluda
le perdite valutarie dalla base imponibile della società residente, perdite che non possono essere subite dalla
stabile organizzazione.
L’argomentazione che viene fornita dal governo tedesco per giustificare la possibile restrizione derivante dal
negare la considerazione delle perdite valutarie sulla base dei risultati di una stabile organizzazione, riguarda
nuovamente la coerenza del sistema fiscale e la ripartizione del potere impositivo tra i Stati membri interessati.
Tale giustificazione viene respinta dalla Corte con le stesse argomentazioni utilizzate per respingere le
giustificazioni presentate in merito al primo quesito posto dal giudice nazionale al vaglio della Corte.
Ulteriore giustificazione riguarda il rischio di un duplice utilizzo delle perdite.
A tal proposito la Corte specifica che, uno Stato membro, che abbia concluso una convenzione con un altro
Stato e che quindi abbia rinunciato al proprio potere impositivo, non può addurre quale giustificazione la
mancanza di potere impositivo in relazione ai risultati della stabile organizzazione di una società stabilita nel
suo territorio, per il diniego alla deduzione delle spese sostenute da tale società, che naturalmente non
possono essere prese in considerazione nello Stato in cui ha la sede la stabile organizzazione.
Inoltre, il fatto che la stabile organizzazione abbia ottenuto dei benefici non è in corrispondenza ad un
eventuale diritto della società tedesca di dedurre la perdita valutaria. In caso contrario, infatti, la perdita
valutaria non potrebbe essere presa in considerazione né dallo Stato membro ove ha la sede la società, né da
quello ove è situato la stabile riorganizzazione. La ragione di ciò consiste nel fatto che la contabilità dello Stato
in cui ha la sede la stabile organizzazione, espressa dalla moneta nazionale, non può indicare la svalutazione
monetaria del capitale iniziale.
4. Lidl Belgium
Con la sentenza del 15 maggio 2008 nella causa C-414/06, la Corte torna a pronunciarsi sulla delicata
questione relativa alla compatibilità di una normativa fiscale, nel caso di specie quella tedesca, che impedisce
ad una società residente di dedurre le perdite provenienti da una stabile organizzazione con sede in un altro
Stato membro.
83
Sentenza 3 ottobre 2006, causa C- 290/04, FKP Scorpio Konzertproduktionen, Racc. pag. I-9461, punto 54; Sentenza12
dicembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I-11673, punto 52, e
Sentenza 18 luglio 2007, causa C-231/05, Oy AA, Racc. pag. I-6373, punto 52
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4.1 I fatti
La società Lidl Belgium GmbH & CO. KG era stabilita in Germania (Home State) ed esercitava attività
commerciali nel settore della distribuzione dei prodotti.
La Lidl Belgium possedeva anche una stabile organizzazione in Lussemburgo (Host State).
Nel 1999 la stabile organizzazione situata in Lussemburgo subiva una perdita. La Lidl Belgium, in sede di
accertamento fiscale, deduceva tale perdita dalla sua base imponibile.
Il Finanzamt negava la possibilità di una tale deduzione sulla base della considerazione che, in virtù della
convenzione contro la doppia imposizione stipulata fra Germania e Lussemburgo, i redditi relativi alla stabile
organizzazione non sono soggetti a tassazione in Germania.
La Lidl Belgium proponeva ricorso contro la decisione del Finanzamt, dapprima dinanzi al Finanzamt BadenWurttemberg e poi di fronte al Bundesfinazhof.
4.2 Le questioni pregiudiziali
Investito del ricorso dalla Lidl Belgium, il giudice del rinvio sospendeva il procedimento e sottoponeva alla
Corte una questione volta ad accertare se, in sostanza, gli articoli 43 e 56 del Trattato ostino ad un regime
tributario nazionale che esclude la possiblità per una società residente, in occasione della determinazione dei
propri utili e del calcolo del proprio reddito imponibile, di dedurre perdite subite in un altro Stato membro da
una stabile organizzazione di sua appartenenza, mentre il suddetto regime tributario ammette tale possibilità
in relazione a perdite subite da una stabile organizzazione residente.
4.3 Le argomentazioni della Corte
La Corte risolve la questione sottoposta al suo vaglio dal giudice nazionale affermando che l’articolo 43 del
Trattato non osta ad una normativa di uno Stato membro che impedisce ad una società stabilita in uno Stato
membro di dedurre dalla sua base imponibile le perdite relative ad una stabile organizzazione di sua
appartenenza situata in un altro Stato membro, nella misura in cui, in forza di una convenzione contro la
doppia imposizione, i redditi di tale organizzazione siano tassati in tale ultimo Stato membro, nel quale le
suddette perdite possono essere prese in considerazione nell’ambito della tassazione del reddito di tale
stabile organizzazione.
Per comprendere meglio la portata di una tale decisione, è necessario andare ad analizzare i passaggi
argomentativi seguiti dalla Corte nell’arrivare alla decisione finale.
Prima di procedere all’esame della questione sottoposta al suo vaglio, la Corte sottolinea che la creazione e la
gestione da parte di una persona fisica o giuridica stabilita in uno Stato membro di una stabile organizzazione
priva di personalità giuridica distinta, situata in un altro Stato membro, rientrano nell’ambito di applicazione
dell’articolo 43 del Trattato.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Inoltre il fatto che il regime tributario de quo comporti prima facie degli effetti restrittivi sulla libera circolazione
dei capitali, garantita dall’articolo 56 del Trattato, non è altro che una conseguenza logica e inevitabile di
quello che è il primo ostacolo realizzato dalla normativa in esame (riguardante, cioè, la libertà di
84
stabilimento) .
Ne deriva che, sebbene il giudice nazionale avesse utilizzato quali parametri della questione interpretativa
sottoposta al vaglio della Corte gli articoli 43 e 56 del Trattato, in realtà la questione di cui si tratta nella causa
principale deve essere valutata solo ed esclusivamente alla luce dell’articolo 43 del Trattato.
Anche nella sentenza in esame, la Corte non si esime dal ribadire quelli che sono i principi fondamentali in
materia di libertà di stabilimento.
Essa, infatti, rifacendosi ad un orientamento noto e consolidato, afferma che la libertà di stabilimento, in
relazione alla quale viene lamentata l’illegittimità della normativa in questione, implica che le società costituite
a norma delle leggi di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede
principale in detto Stato membro abbiano il diritto di esercitare la loro attività per mezzo di una controllata, di
85
una stabile organizzazione o di un’agenzia in altri Stati membri .
Poiché si è di fronte ad una normativa fiscale che prima facie contraria all’articolo 43, la Corte non si esime dal
ribadire un principio che nell’ambito delle pronunce giurisrpudenziali in materia di libertà di stabilimento ha
costituito un tassello fondamentale nel percorso argomentativo della Corte.
86
Viene, infatti, ribadito quanto era stato per la prima volta sancito nella sentenza ICI : le disposizioni sulla
libertà di stabilimento, sebbene dal tenore letterale sembrino assicurare il beneficio del trattamento nazionale
nello Stato membro di stabilimento, esse perseguono anche lo scopo di evitare che uno Stato membro
ostacoli, ponendo in essere delle misure fiscali restrittive, lo stabilimento in un altro Stato membro di un
proprio cittadino o di una società costituitasi in modo conforme alla propria legislazione.
Passaggio logico fondamentale della sentenza in esame è quello che estende tali principi anche all’ipotesi in
87
cui un asocietà stabilita in uno Stato membro operi in un altro per mezzo di una stabile organizzazione .
Dopo aver fatto queste premesse che si pongono come antecedente logico ontologico della pronuncia in
esame, la Corte procede ad esaminare la portata della misura fiscale controversa al fine di verificare se
effettivamente sussiste la lamentata restrizione alla libertà di stabilimento.
84
Sentenza 12 settembre 2006, causa C-196/04, cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995,
punto 33; Sentenza 3 ottobre 2006, causa C-452/04, fidium Finanz, Racc. pag. I-9521, punti 48 e 49, nonché Sentenza 13
marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the thin cap Group Litigation, Racc. pag. I-2107, punto 34).
85
Sentenze 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35; Sentenza 14 dicembre
2000, causa C-141/99, AMID, Racc. pag. I-11619, punto 20, e 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding, Racc.
pag. I-2107, punto 29).
86
Sentenza 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 21.
87
In relazione al concetto di stabile organizzazione, la Corte precisa che, come dimostrano le disposizioni della
convenzione, una stabile organizzazione è, per il diritto tributario internazionale, un soggetto autonomo.
Il considerare una stabile organizzazione come un soggetto d’imposta autonomo è conforme alla prassi giuridica
internazionale come delineata dal modelllo OCSE. A tal proposito la Corte ribadisce che gli Stati membri possono
ispirarsi, per la ripartizione della competenza fiscale, alla prassi internazionale e, in particolare, ai modelli di convenzione
elaborati dall’OCSE.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
63/87
Senza ombra di dubbi una disposizione fiscale che consente di dedurre le perdite di una stabile
organizzazione per la determinazione dell’utile imponibile, rappresenta sicuramente un vantaggio fiscale, in
quanto la base imponibile ne viene sensibilmente ridotta.
Le disposizioni della normativa fiscale tedesca, non consentono, però, di usufruire di tale vantaggio nell’ipotesi
in cui le perdite derivino da una stabile organizzazione che abbia la sede in un altro Stato membro rispetto a
quello di residenza della società principale.
Quindi, posto che il vantaggio di poter considerare le perdite di una stabile organizzazione che ha la sede in
un altro Stato non viene concesso, dalla normativa nazionale, ad una società residente, è necessario dedurre
che la situazione di una società residente che abbia una stabile organizzazione in un altro Stato membro è
meno favorevole di quella di una società che ha una stabile organizzazione in Germania.
Si verifica, quindi, una differenza di trattamento fiscale tale per cui una società potrebbe essere distolta
dall’esercitare la propria attività tramite un astabile organizzazione
La Corte conclude nel sostenere che la normativa controversa determina una restrizione alla libertà dei
stabilimento.
Accertato che si è in presenza di una restrizione alla libertà di stabilimento, la Corte procede, seguendo l’iter
88
che è solita svolgere nelle pronuncie di questo tipo , ad esaminare se tale restrizione possa essere
giustificata da ragioni imperative di interesse generale e se, anche in tale ipotesi, possa qualificarsi come
idonea a garantire il perseguimento dello scopo prefissato e non eccede quanto necessario per realizzarlo.
Le prima delle giustificazioni fornite dai governi tedesco, ellenico, francese, olandese, finlandese, svedese e
del Regno Unito, riguardano l’esigenza di tutelare la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri
interessati e l’esigenza di prevenire il rischio di una doppia deduzione delle perdite.
Per quanto riguarda il primo di tali elementi, tale esigenza consentirebbe l’applicazione alle attività
economiche che si svolgono all’interno di uno Stato membro, delle sole norme tributarie di quest’ultimo, sia
per quanto riguarda le perdite che per quanto riguarda i profitti.
In base a tale argomentazione, se in capo ad una società viene lasciata la scelta di decidere in merito al luogo
in cui prendere in considerazione le perdite, se nello Stato membro in cui sono stabilite o in un altro,
l’equilibrata ripartizione del potere impositivo fra gli Stati membri viene compromesso, poiché la base
imponibile, a seconda del luogo di scelta, risulterebbe aumentata nel primo Stato e ridotta nel secondo.
In merito alla pertinenza del primo elemento di giustificazione invocato, è importante sottolineare che lo Stato
membro in cui ha sede la società alla quale appartiene la stabile organizzazione potrebbe usufruire del
beneficio, in assenza di una convenzione volta ad evitare la doppia imposizione, del diritto di tassare gli utili
realizzati da tale entità.
88
Sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Sentenza Marks and Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 35, Sentenza
Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit. , punto 47, nonché Sentenza Test Claimants in the Thin Cap
Group Litigation, cit. , punto 64..
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
64/87
Ne deriva che l’obiettivo di tutelare la ripartizione del potere impositivo tra i due Stati membri interessati,
realizzato grazie alle disposizioni della Convenzione, può giustificare il regime tributario de quo, dal momento
che in tal modo verrebbe preservata la simmetria tra il diritto di tassare gli utili e la possibilità di dedurre le
perdite.
Nel caso di specie, ammettere la possibilità di dedurre le perdite di una stabile organizzazione non residente
dal reddito della società principale, equivarrebbe ad ammettere alla società principale di scegliere il luogo in
89
cui dedurre tali perdite .
Per quanto riguarda il secondo elemento di giustificazione relativo al rischio di una doppia presa in
considerazione delle perdite, la Corte ha stabilito che in linea teorica e tendenziale, gli Stati membri devono
90
potersi opporre ad un tale rischio .
Anche tale argomento viene considerato dalla Corte come idoneo a giustificare una normativa quale quella di
cui alla causa principale.
Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte dichiara che i due elementi di giustificazione sono idonei a
giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento.
Ora, posto che il regime tributario de quo è, in linea di principio, giustificato rispetto ai due elementi sopra
analizzati, rimane da verificare se tale regime tributario non ecceda quanto necessario per raggiungere gli
obiettivi perseguiti.
A tal proposito, la Lidl Belgium e la Commissione hanno messo in luce la possibilità che una società madre
deduca le perdite subite da una stabile organizzazione a condizione che vi sia la possibilità di reintegrare nei
propri risultati futuri gli utili ulteriori della suddetta organizzazione, fino all'ammontare delle perdite
precedentemente calcolate,
91
Questo era il sistema vigente in Germania prima del 1999 .
Nel caso in esame la normativa tributaria lussemburghese prevede la possibilità di far valere perdite di un
soggetto passivo per esercizi fiscali futuri ai fini del calcolo della base imponibile.
Sempre nel caso di specie, la Lidl Belgium ha effettivamente beneficiato di tale imputazione delle perdite
subite nel 1999 dalla sua stabile organizzazione in occasione di un esercizio fiscale posteriore, ossia il 2003,
esercizio nel corso del quale tale entità ha realizzato utili.
Alla luce di tutte le considerazioni svolte, la Corte arriva ad affermare che il regime tributario di cui trattasi nella
causa principale, deve essere considerato proporzionale rispetto agli obiettivi da esso perseguiti.
4.4 Conclusioni
89
Sentenza Oy AA, cit., punto 56.
Sentenza marks & Spencer, cit., punto 47, nonché Sentenza 29 marzo 2007, causa C-347/04, Rewe Zentralfinanz, Racc.
pag. I-2647, punto 47.
91
A tal proposito viene richiamato quanto espresso dalla Corte nella sentenza Marks & Spencer a proposito della
proporzionalità o meno della misura fiscale in esame. In tale occasione si era affermato che una misura fiscale che
impedisse la deduzione delle perdite subite da una controllata residnete in un altro Stato membro non poteva dirsi
proporzionata nell’ipotesi in cui impedisse la deduzione delle perdite anche nel caso in cui la controllata avesse esaurito
tutte le possibilità di utilizzarle nel proprio Paese di stabilimento, anche mediante meccanismi di riporto indietro o in
avanti ovvero concedendole a terzi.
90
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
65/87
La sentenza in esame sembra essere costruita su uno schema argomentativo che ripercorre passo passo la
nota sentenza Marks & Spencer.
Infatti, dall’analisi delle cause di giustificazione presentate dai governi emerge che il problema viene
sottoposto alla Corte negli stessi termini in cui era stata affrontata nella sentenza Marks & Spencer.
Alla Corte viene sottoposta la questione se la misura controversa possa essere giustificata alla luce degli
stessi motivi che avevano guidato la Corte nella sentenza sopramenzionata.
Si chiede, cioè, se i motivi di giustificazione accolti dalla Corte nella causa Marks & Spencer nel contesto della
deduzione delle perdite subite da società controllate siano applicabili nel contesto della deduzione delle
92
perdite subite da una stabile organizzazione .
Come affermato dall’Avvocato generale Sharpston al paragrafo 9 delle sue conclusioni, non vi è motivo per
ritenere che le due fattispecie, quella del caso in esame e quella oggetto della sentenza Marks & Spencer,
debbano essere distinte.
Anche nell’analisi volta a valutare se la misura in esame persegue proporzionalmente gli scopi perseguiti, la
Corte utilizza quale metro di giudizio ai fini della sua conclusione, la soluzione decisa nella causa Marks &
Spencer.
Ragion per cui la normativa controversa nella sentenza Lidl Belgium viene considerata proporzionale agli
scopi perseguiti.
E’ dunque possibile notare come l’approccio della Corte rimanga immutato anche in una controversia in cui
oggetto della discussione sia la deduzione delle perdite subite da una stabile organizzazione.
5.Finanzamt fur korperschaften III in Berlin
La sentenza del 23 ottobre 2008, causa 157/07, si inserisce nell’ambito delle sentenze della Corte di guistizia
in cui viene analizzata la problematica relativa al trattamento fiscale delle perdite subite da una stabile
organizzazione.
5.1 I fatti
La KR Wannsee è una società a responsabilità limitata stabilita in Germania (Home State), che ha una stabile
organizzazione in Austria (Host State). La stabile organizzazione è stata mantenuta dalla KR Wannsee dal
1982 fino al 1990. Fino al 1990, la stabile organizzazione realizzava delle perdite. In ragione di ciò la KR
Wannese chiedeva al Finanzamt di poter prendere in considerazione tali perdite in relazione ai profitti da essa
realizzati in Germania per il periodo di imposta corrispondenti agli anni 1982-1990.
92
Nel caso Marks & Spencer la Corte ha riconosciuto che una normativa nazionale che esclude la possibilità, per una
società residente, di dedurre dal suo reddito imponibile perdite occorse ad una controllata residente in un altro Stato
membro, sebbene accordi tale possibilità per le perdite subite da una controllata residente, equivale ad una restrizione
della libertà di stabilimento. Tuttavia, la Corte aveva afffermato in tale occasione che tale restrizione dovesse considerarsi
giustificata dalla finalità di tutelare la ripartizione del potere impositivo, dal rischio di un duplice uso delle perdite, dal
rischio di evasione fiscale.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Nel periodo compreso fra il 1991 e il 1994, anno in cui la stabile organizzazione veniva ceduta, la società
realizzava tramite la stabile organizzazione, profitti.
In conformità a quanto disposto dal diritto tributario tedesco, il Finanzamt cumulava i profitti realizzati dalla
stabile organizzazione all’importo totale dei redditi percepiti in Germania dalla società tedesca. Venivano,
dunque, tassati a posteriori quegli importi che erano già stati dedotti delle perdite realizzate dalla stabile
organizzazione austriaca. Per quanto riguardava il perdiodo di imposta corrispondente al 1994, nella base
imponibile, che risultava di conseguenza maggiorata, della KR Wannsee venivano inseriti i profitti realizzati
dalla stabile organizzazione nel corso di tale anno.
Per quanto riguarda l’Austria, invece, la società tedesca veniva assoggettata all’imposta sulle società per gli
esercizi 1992-93; anni in corrispondenza dei quali la stabile organizzazione aveva realizzato profitti. Per
quanto riguarda le perdite precedentemente subite, l’amministrazione tributaria austriaca non consentiva di
prenderle in considerazione. Il diritto tributario austriaco, infatti, prevedeva che la deduzione delle perdite
fosse possibile, in via sussidiaria, solo nell’ipotesi in cui non fossero state prese in considerazione dallo Stato
in cui era stabilita la società da cui dipendeva la stabile organizzazione.
Per quanto riguarda il 1994, periodo d’imposta di cui alla causa principale, la stabile organizzazione avrebbe
dovuto essere assoggettata ad imposta, secondo quanto disposto dal diritto autriaco, tuttavia, diversamente
da quanto era accaduto per gli anni 1992 e 1993, ciò non accadeva.
Avverso la decisione del Finanzamt di calcolare il reddito imponibile della società tedesca sulla base anche
dei profitti realizzati dalla stabile organizzazione, la società tedesca presentava ricorso chiedendo la
deduzione degli importi reintegrati nella base di calcolo dell’imposta dovuta in Germania. Secondo la KR
Wannsee la reintegrazione in questione non era conforme al diritto, a causa della limitazione a sette anni del
riporto delle perdite previsto in Austria.
Il Finanzgericht Berlin respingeva il ricorso avverso gli avvisi di accertamento relativi agli anni 1992 e 1993,
mentre accoglieva quello relativo all’anno 1994.
5.2 Le questioni pregiudiziali
In tale contesto il giudice nazionale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le
seguenti questioni :
« 1) Se l’articolo 31 dell’accordo SEE (Accordo sullo Spazio economico europeo) osti alla normativa di uno
Stato membro in base alla quale un soggetto, stabilito nello stesso Stato membro e ivi tenuto ad un obbligo
fiscale illimitato, possa, a determinate condizioni, dedurre in sede di determinazione dell’importo complessivo
dei redditi, perdite esentate dall’imposta sul reddito realizzate da una stabile organizzazione sita in un altro
Stato membro a norma di una convenzione in materia di doppia imposizione,
 A norma della quale, per, l’importo dedotto, nella misura in cui risulti complessivamente, in uno dei
successivi periodi d’imposta, un importo positivo relativamente ai redditi da attività commerciale
realizzati dalla stabile organizzazione sita in un altro Stato membro, soggetti ad esenzione ai sensi della
convenzione in materia di doppia imposizione, debba essere nuovamente sommato in sede di
determinazione dell’importo complessivo dei redditi nel periodo d’imposta in questione,
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
67/87
 Ma ciò non valga ove il soggetto passivo dimostri che, a norma delle disposizioni dell’altro Stato
membro a lui applicabili, non può ottenere in linea generale una deduzione delle perdite in anni diversi
dall’anno in cui la perdita è stata realizzata, cosa che non si verifica quando una deduzione delle perdite
è sì concessa in linea generale nell’altro Stato membro in base alla normativa ivi vigente, ma non già
nel caso concreto in cui versa il soggetto passivo ;
2)
In caso di risposta affermativa alla prima questione, se vi siano delle conseguenze per lo Stato di
stabilimento qualora le limitazioni alla deduzione delle perdite nell’altro Stato membro (diverso dallo Stato di
origine) costituiscano a loro volta una violazione dell’articolo 31 dell’accordo SEE, in quanto esse pongono in
una situazione di svantaggio il soggetto passivo ivi tenuto ad un obbligo fiscale limitato relativamente alle
imposte sui redditi della propria stabile organizzazione rispetto al soggetto passivo ivi tenuto ad un obbligo
fiscale illimitato.
3)
In caso di risposta affermativa anche alla seconda questione, se lo Stato di stabilimento debba
rinunciare al riporto dello sgravio per le perdite subite dalla stabile organizzazione straniera ove queste non
possano essere dedotte in altro modo in nessun Stato membro, poiché la stabile organizzazione nell’altro
Stato membro è stata ceduta ».
5.3 Le argomentazioni della Corte
Viene preliminarmente osservato che le norme che vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento di cui
all’articolo 31 dell’accordo SEE sono identiche a quelle sancite dall’articolo 43 del Trattato.
In questo settore, le norme dell’accordo SEE devono ricevere interpretazione uniforme a quelle previste dal
93
Trattato . Con le sue questioni pregiudiziali, che devono essere analizzate insieme, il giudice del rinvio
chiede, in sostanza, se l’articolo 31 dell’accordo SEE osti ad un regime fiscale nazionale che, dopo aver
consentito di prendere in considerazione le perdite subite da una stabile organizzazione situata in uno Stato
diverso da quello in cui è stabilia la società dalla quale dipende la suddetta stabile organizzazione, ai fini del
calcolo dell’imposta sul reddito delle società, prevede una reintegrazione fiscale delle perdite stesse allorchè
la stabile organizzazione citata realizzi un profitto, qualora lo Stato ove la stessa stabile organizzazione è
situata non conceda alcun diritto al riporto delle perdite subite da una stabile organizzazione appartenente ad
una società stabilita in un altro Stato e qualora, in forza di una convenzione contro la doppia imposizione
conclusa fra i due Stati interessati, i redditi di detta stabile organizzazione siano esentati dalla tassazione nello
Stato in cui la società dalla quale quest’ultima dipende ha la sua sede.
La Corte risolve la questione sottoposta al suo vaglio affermando che l’articolo 31 dell’accordo SEE non osta
ad un regime fiscale nazionale che, dopo aver consentito di prendere in considerazione le perdite subite da
una stabile organizzazione situata in uno Stato diverso da quello in cui è stabilita la società dalla quale dipende
la suddetta stabile organizzazione, ai fini del calcolo dell’imposta sul reddito di tale società, prevede una
reintegrazione fiscale delle perdite stesse allorchè la stabile organizzazione citata realizza un profitto, qualora
93
Sentenze 23 settembre 2003, causa C-452/01, Ospelt e Schlossle Weissenberg, Racc. pag. I-9743, punto 29, e Sentenza
1 aprile 2004, causa C-286/02, Bellio F.lli, Racc. pag. I-3465, punto 34.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
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lo Stato ove la stessa stabile organizzazione è situata non conceda alcun diritto al riporto dlele perdite subite
da una stabile organizzazione appartenente ad una società stabilita in un altro Stato e qualora, in forza di una
convenzione diretta a prevenire la doppia imposizione conclusa tra i due Stati interessati, i redditi di detta
stabile organizzazione siano esentati dalla tassazione nello Stato in cui la società dalla quale quest’ultima
dipende ha la sede.
L’iter argomentativo seguito dalla Corte per giungere alla decisione si articola in una serie di principi che
meritano di essere presi in considerazione.
In primo luogo la Corte ribadisce che la libertà di stabilimento implica che le società costituite secondo quanto
disposto dalle leggi di uno Stato membro, che hanno la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede
principale nel territorio della Comunità, hanno il diritto di svolgere in altri Stati membri la propria attività per
mezzo di una controllata, stabile organizzazione o un’agenzia
94
.
Viene, inoltre, ribadito un altro principio di fondamentale importanza nelle pronunce della Corte. Sebbene dal
tenore letterale delle disposizioni sulla libertà di stabilimento sia possibile dedurre che esse abbiano
principalmente lo scopo di assicurare il beneficio nazionale dello Stato di stabilimento, tuttavia esse sono
anche dirette ad evitare che uno Stato membro ostacoli lo stabilimento di un proprio cittadino in un altro Stato
membro
95
.
La Corte si rifà preliminarmente ad un altro importante principio.
Essa ribadisce che devono essere considerate come misure restrittive tutte quelle che vietano, ostacolano o
96
scoraggiano l’esercizio della libertà di stabilimento sancita dal Trattato .
Tali principi, osserva la Corte devono essere applicati nell’ipotesi in cui una società stabilita in uno Stato
97
membro eserciti la propria attività per mezzo di una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro .
Dopo aver espresso i principi chiave in materia di libertà di stabilimento, la Corte chiarisce che un regime
fiscale che permette di prendere in considerazione le perdite di una stabile organizzazione ai fini del calcolo
del reddito imponibile della società principale, costituisce un’agevolazione fiscale. Il diniego di un tale beneficio
deve essere considerato come un ostacolo alla libertà di stabilimento.
La Corte sottolinea a tal proposito che il regime fiscale tedesco consente la deduzione delle perdite subite da
una stabile organizzazione nell’ambito dei redditi della società principale stabilita in Germania e da cui
dipende la stabile organizzazione.
In un primo momento, infatti, le perdite della stabile organizzazione sono dedotte dai profitti della società
tedesca, verificandosi, in tal modo, la stessa agevolazione fiscale che avrebbe avuto luogo nell’ipotesi in cui la
stabile organizzazione fosse stata stabilita in Germania.
94
Sentenza 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint Gobian ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35; Sentenza 14 dicembre
2000, causa C-141/99, AMID, Racc. pag. I11619, punto 20, e sentenza Keller Holding, cit. , punto 29.
95
Sentenza 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 21, nonché Sentenza 6 dicembre 2007, causa
C-298/05, Columbus Container Services, non ancora pubblicata nella raccolta, punto 33).
96
Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 37, e Sentenza 5 ottobre 2004, causa
C-442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I-8961, punto11.
97
Sentenza 15 maggio 2008, causa C-414/06, Lidl Belgium.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Fino a questo punto, sottolinea la Corte, nulla quaestio. Il problema consiste nel fatto che in un secondo
momento, per mezzo della reintegrazione delle perdite della stabile organizzazione nella base imponibile della
società principale, in considerazione del fatto che la stabile organizzazione aveva realizzato dei profitti,
l’agevolazione fiscale veniva revocata.
Così facendo, osserva la Corte, la società tedesca è venuta, per quanto la reintegrazione fosse avvenuta solo
fino a concorrenza dell’importo dei profitti realizzati dalla stabile organizzazione, a trovarsi in una situazione
sicuramente meno favorevole rispetto a quella in cui si sarebbe trovata se la sede secondaria fosse stata
stabilita in Germania.
La Corte statuisce che il regime fiscale de quo costituisce una restrizione all’articolo 31 dell’accordo SEE.
Verificata la presenza di una misura restrittiva, la Corte procede a verificare la sussistenza di una ragione
imperativa di interesse generale idonea a giustificare tale restrizione, nonché a verificare la proporzionalità
della misura con lo scopo perseguito (v., sentenza Lidl Belgium e giurisprudenza ivi citata).
Il giudice a quo aveva sottolineato che, in base alla convenzione contro la doppia imposizione stipulata fra
Austria e Germania, i redditi prodotti dalla stabile organizzazione venivano tassati in Austria.
La reintegrazione delle perdite nella base imponibile non deve essere considerata separatamenete dalla
precedente presa in considerazione delle perdite stessa. La reintegrazione delle perdite di una società nei
confronti della quale la società principale non ha alcun potere impositivo risponde ad una logica simmetrica. Vi
era , infatti, un nesso “diretto, personale e materiale fra i due elementi del meccanismo fiscale di cui alla causa
principale.
Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte afferma che la restrizione è giustificata suula base della
necessità di garantire la coerenza del regime fiscale.
Inoltre, la restrizione in questione sarebbe del tutto proporzionata all’obiettivo perseguito, in quanto le perdite
sono state reintegrate nell’imponibile solo fino a concorrenza dell’importo dei profitti realizzati.
A tal proposito, il giudice a quo ha sottolineato che questa proporzionalità è in realtà minata dalla
considerazione degli effetti congiunti della normativa fiscale tedesca e austriaca.
La Corte obietta ricordando che, laddove manchi in una determinata materia, disposizioni comunitarie volte
all’armonizzazione della disciplina, gli Stati sono liberi di determinare i criteri di tassazione dei redditi e del
98
patrimonio per eliminare, anche tramite la stipulazione di convenzioni contro la doppia imposizione .
Sezione III
La tassazione dei gruppi e le cd. “CFC rules”
Sommario:
1. Cadbury Schweppes 1. 1 I fatti 1. 2 Le questioni pregiudiziali 1. 3 Le argomentazioni della
Corte 2. CFC and Dividend Group Litigation 2. 1 I fatti 2. 2 Le questioni pregiudiziali 2. 3 Le argomentazioni
della Corte 2. 4 Conclusioni
98
Sentenza 3 ottobre 2006, causa 294/04, FKP Scorpio Konzertproduktionene, Racc. pag. I-9461, punto 54; Sentenza 12
diecembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I-11673, punto 52,
e Sentenza 18 luglio 2007, causa C-231/05, Oy AA, Racc. pag. I-6373, punto 52.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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1. Cadbury Schweppes
Con la sentenza del caso C-196/04, emessa il 12 settembre 2006, la Corte censura l’applicazione della
99
legislazione inglese sulle “CFC” per violazione delle libertà di stabilimento sancite dal Trattato .
La Corte statuisce che la mera circostanza che una società residente eserciti la propria libertà di stabilimento
per mezzo di una controllata, non può fondare una presunzione generale di frode fiscale, né giustificare una
misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato.
1.1 I fatti
La Cadbury Schweppes plc era una società con sede nel Regno Unito (Home State). Essa era a capo di un
gruppo di società costituito da società controllate stabilite nel Regno Unito, in altri Stati membri e in paesi terzi.
All’interno del gruppo si trovavano, in particolare, due società irlandesi che la Cadbury Schweppes deteneva
indirettamente attraverso un gruppo di controllate a capo delle quali si trovava la Cadbury Schweppes
Overseas.
Esse erano costituite in seno al Centro internazionale di servizi finanziari a Dublino. Le due società irlandesi,
la cui attività consisteva nel raccogliere fondi
e destinarli alle controllate del gruppo Cadbury, erano
assoggettate ad un’aliquota d’imposta del 10 per cento.
Il fisco britannico richiedeva, a titolo di esercizio contabile 1996, alla Cadbury Overseas l’imposta societaria
sugli utili realizzati da una delle due controllate irlandesi (l’altra, infatti, aveva subito, per quello stesso periodo
perdite).
L’amministrazione britannica applicava alla Cadbury Schweppes Overseas la legge inglese sulle società
controllate estere (SEC), poiché riteneva che le due società irlandesi fossero state costituite a Dublino affinchè
le loro attività di finanziamento del gruppo Cadbury potessero beneficiare del regime fiscale del Centro
internazionale di servizi finanziari. L’amministraziione britannica applicava alla Cadbury Overseas, inoltre, la
normativa sulle società controllate estere, in quanto, l’aliquota fiscale che veniva applicata alle società
costiituite nel detto Centro, faceva si che gli utili realizzati dalle controllate irlandesi fossero soggette ad un
“livello inferiore di tassazione” secondo quanto stabilito dalla SEC.
Per capire la ratio di quanto appena affermato, è necessario fare un breve cenno alla normativa fiscale
britannica.
Secondo il diritto tributario del Regno Unito, una società ivi residente viene soggetta all’imposta societaria sul
reddito ovunque prodotto, compresi gli utili derivanti dalle stabili organizzazioni o dalle agenzie per mezzo
delle quali la società residente esercita la propria attività al di fuori del Regno Unito.
99
FONTANA, The Uncertain Future of CFC Regimes in the Member States of the European Union-part 2, in European
Taxation, 7/2006, 333; HELMINEM, Is there a Future for CFC-regimes in the EU?, in International Tax Review, 2005,
Vol. 33, Issue 3, 123;MEUSSEN, Cadbury Schweppes: The ECJ Significantly Limits the Application of CFC Rules in
the Member States, in European Taxation, 2007, 13; VINTER-WERRLAUFF, Tax Motives Are Legal MotivesTheBorder-line between the Use and Abuse of the Freedom of Establishment with Reference to the Cadbury Schweppes
Case, European Taxation, 2006, 383;
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Diversa è, invece, la situazione con riferimento alle società controllate. Se la società residente ha una
controllata stabilita nel Regno Unito, non è tassata per gli utili delle controllate al momento in cui vengono
realizzati, né tassata sui dividendi distribuiti dalla controllata; se la controllata è stabilita al di fuori del Regno
Unito, allora i dividendi distribuiti alla società residente sono tassati in capo a quest’ultima.
Viene, inoltre, previsto un meccanismo per evitare la doppia imposizione consistente nel riconoscere alla
società residente un credito a concorrenza dell’imposta assolta dalla controllata estera al momento in cui ha
realizzato gli utili.
Le disposizioni fiscali in materia di società controllate estere subiscono, però, un’eccezione alla regola
secondo cui una società residente non viene tassata sugli utili di una controllata nel momento in cui sono
realizzati. Tale eccezione trova applicazione quando la società controllata non residente è soggetta, nello
Stato di stabilimento, ad un “livello inferiore di tassazione” rispetto ai ¾ dell’imposta che sarebbe stata pagata
nel Regno Unito se i suoi utili imponibili fossero stati tassati in tale Stato.
Le disposizioni sulla SEC non trovano applicazione, però, quando si verifica una delle seguenti condizioni,
viste come “deroghe” alla normativa stessa:
La SEC osserva un’”ammissibile politica distributiva”, che consiste nel fatto che una determinata
percentuale degli utili della controllata viene distribuita entro 18 mesi dalla realizzazione ed è tassata
presso una società residente;
La SEC è impegnata in “attività esenti” ai sensi della detta legislazione;
La SEC soddisfa la “condizione della quotazione pubblica”, il che vuol dire che il 35 per cento dei diritti di
voto è nelle mani del pubblico, che la controllata è quotata in borsa e che le sue azioni sono trattate presso
una Borsa Valori riconosciuta.
Gli utili imponibili della SEC non superano un determinato importo.
Ora, tornando al caso di specie, l’amministarzione britannica non ravvisava per nessuna delle controllate
l’esistenza di nessuna delle condizioni di esenzione sopra descritte. Ragion per cui applicava alla Cadbury
Overseas le disposizioni sulla SEC per gli utili realizzati dalla controllata irlandese.
La Cadbury Schweppes e la Cadbury Schweppes Overseas impugnavano l’avviso
di fronte agli
Special Commissioners of income Tax di Londra.
1.2 Le questioni pregiudiziali
Sulla base delle circostanze sopra esposte, gli Special Commissioners of Income Tax di Londra hanno deciso
di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale :
« se gli artt. 43, 49, 56 del Trattato ostino ad una normativa tributaria nazionale come quella di cui trattasi
nella causa principale, che, in determinate circostanze, tassa la società residente a titolo degli utili di una
controllata avente sede in un altro Stato membro ove è soggetta a un minore livello impositivo ».
1.3 Le argomentazioni della Corte
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
72/87
La Corte risolve la questione sottoposta al suo vaglio affermando che gli artt. 43 e 48 del Trattato vanno
interpretati nel senso che ostano all’inclusione, nella base imponibile di una società residente in uno Stato
membro, degli utili realizzati da una SEC stabilita in un altro Stato allorchè tali utili sono ivi soggetti ad un
livello impositivo inferiore a quello applicabile nel primo Stato, a meno che tale inclusione non riguardi
costruzioni di puro artificio destinate ad eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta. L’applicazione di
una misura impositiva siffatta deve perciò essere esclusa ove da elementi oggettivi e verificabili da parte di
terzi risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la SEC è realmente impiantata nello stato di
stabilimento e ivi esercita attività economiche effettive.
La Corte, prima di svolgere le argomentazioni necessarie alla decisione finale, ribadisce un principio, già
espresso in altre pronunce, che deve essere posto come presupposto logico-antologico.
Essa stabilisce che le disposizioni nazionali relative alla detenzione, da parte di un cittadino, nel capitale di
una società stabilita in un altro Stato membro, di una partecipazione che sia tale da permettergli di esercitare
un’influenza determinante sulle decisioni della società e di indirizzare l’attività della stessa socità, rientrano
ratione materiae nell’ambito di applicazione delle disposizione del Trattato sulla libertà di stabilimento
100
.
Inoltre, la Corte, prima di procedere ad esaminare la compatibilità delle disposizioni fiscali controverse con gli
articoli del Trattato relativi alla libertà di stabilimento, risponde al quesito preliminare posto dal giudice
nazionale relativo alla possibilità di riscontrare nella fattispecie un abuso della libertà di stabilimento.
Tale quesito era stato posto in relazione alla circostanza che uno Stato membro si stabilisse in un altro Stato
membro, allo scopo precipuo di beneficiare del regime fiscale più vantaggioso che quest’ultimo prevede.
A tal propoisito, la Corte premette che è indubbio il fatto che una persona fisica o giuridica non possa
avvalersi, nell’esercizio della propria libertà di stabilimento, “abusivamente o fraudolentemente” del diritto
comunitario per evitare la propria legislazione fiscale più severa
101
.
Fatta questa premessa, deve in ogni caso tenersi presente che, il fatto che un cittadino voglia beneficiare delle
disposizioni fiscali di un altro Stato membro più vantaggiose rispetto a quelle del proprio Stato di stabilimento,
non può valere come causa di giustificazione per privare tale cittadino della libertà di stabilimento garantita dal
Trattato
102
.
La Corte, che già in altre pronunce si è espressa in merito ad un presunto abuso della libertà di stabilimento,
ribadisce, rifacendosi a tali precedenti, che in relazione alla libertà di stabilimento, non è possibile affermare
100
Sentenza 13 aprile 2000, causa Baars, Racc. pag. I-2787, punto 22, nonché Sentenza 21 novembre 2002, causa C436/00, X e Y, Racc. pag. I-10829, punto 37.
101
Sentenza 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors, Racc. pag. 399, punto 25; Sentenza 3 ottobre 1990, causa C-61/89,
Bouchoucha, Racc. pag. I-3551, punto 14, e Sentenza 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros, Racc. pag. I-1459, punto
24.
102
Come è stato osservato dall’Avvocato Generale Leger ai paragrafi 39 e ss. delle sue conclusioni, presentate il 2
maggio 2006, una volta che l’obiettivo della libertà di stabilimento sia stato raggiunto, non rileva l’elemento
volontaristico, le ragioni per le quali tale libertà è stata esercitata. Tali aspetti, non possono, infatti, andare ad intaccare la
tutela comunque riconosciuta dal Trattato. L’Avvocato Generale osserva che il livello di imposizione è un elemento che
una società, senza necessariamente ricadere in una violazione dell’articolo 43 del Trattato, può prendere in considerazione
nello scegliere dove esercitare tale libertà. La conferma di ciò si può evincere dal fatto che, come è stato riconosciuto in
altre pronunce, la riduzione del gettito fiscale, che deriverebbe dallo stabilire una società in un altro Stato membro, non è
una ragione sufficentemente valida per poter negare ad una persona fisica o giuridica l’esercizio della libertà di
stabilimento
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casi della Corte di giustizia
73/87
che la circostanza che venga creata una società in un altro Stato membro in cui le disposizioni fiscali risultano
più vantaggiose, costituisca, di per sé, un abuso alla libertà di stabilimento
103
.
Alla luce di tutte le considerazioni svolte, la Corte statuisce che non costituisce un abuso alla libertà di
stabilimento, e quindi è possibile invocare le disposizioni del Trattato che tutelano tale libertà, il fatto che una
società, nel caso di specie la Cadbury Schweppes, abbia deciso di stabilire le proprie controllate in uno Stato
membro in cui il regime fiscale è più favorevole.
Stabilito, dunque, che non si può parlare nella fattispecie in esame di “abuso”, la Corte prosegue nella verifica
della lamentata incompatibilità della normativa fiscale controversa con gli articoli 43 e 48 del Trattato.
Anche in questo caso, la Corte procede nell’enumerare preliminarmente alcuni principi cardine in materia.
Il primo di essi consiste nel ribadire che, sebbene la materia delle imposte dirette rientri fra le competenze
attribuite agli Stati membri, tuttavia questi ultimi devono esercitarla nel rispetto e nei limiti di quanto imposto
dalla loro appartenenza alla Comunità e quindi nel rispetto del diritto comunitario
104
.
Viene ribadita, inoltre, così come è solita fare la Corte nelle pronunce in materia di libertà di stabilimento, la
portata e l’ambito di applicazione delle disposizioni sulla libertà di stabilimento
105
.
La Corte non si esime dall’affermare un principio sancito in maniera preponderante nella sentenza ICI.
Si tratta del principio in base al quale sebbene dal tenore letterale delle disposizioni in materia di libertà di
stabilimento sia possibile evincere che lo scopo che si prefiggono sia quello di garantire il beneficio del
trattamento nazionale nello Stato di stabilimento, esse impediscono anche che uno Stato membro ostacoili lo
stabilimento di un proprio cittadino o di una società in un altro Stato membro.
Premessi questi principi, alla luce dei quali la Corte prenderà posizione in merito alla presunta incompatibilità
della normativa de qua con il Trattato, vengono esaminate quelle che sono le caratteristiche di rilievo della
fattispecie in esame.
Ora, nel caso di specie, si è di fronte ad una disparità di trattamento fra società residenti, il cui elemento
discirminante consite nel livello di tassazione che è in vigore nei paesi in cui tali società decidano di detenere
una partecipazione in una società tale per cui sia possibile esercitare il controllo.
Come viene osservato dalla Corte, in base alla normativa fiscale del Regno Unito sulle società controllate
estere, se una società residente decide, avvalendosi della libertà di stabilimento garantita dal Trattato, di
detenere delle partecipazioni in una società residente in un altro Stato membro, tali da consentirle di
esercitare il controllo in questa società, è sottoposta ad un diverso regime fiscale a seconda del fatto che la
società controllata risieda in uno Stato membro in cui la società sarebbe soggetta ad un minor livello
impositivo o meno.
Ne consegue che il diverso trattamento fiscale, determina uno svantaggio fiscale in capo alla società residente
che decida di controllare società residenti in paesi in cui risulti che vi sia un “livello inferiore di tassazione”.
103
Sentenza Centros, cit. , punto 27, e Sentenza 30 settembre 2003, causa C-167/01, Inspire Art, Racc. pag. I-10155,
punto 96.
104
Sentenza 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland, Racc. pag. I-2651, punto 19; Sentenza 7 settembre
2004, causa C-319/02, Manninen, Racc. pag. I-7477, punto 19, e Sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks and
Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 29.
105
Sentenza 21 settembre 1999, causa C- 307/97, Saint-Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35; sentenza Marks and
Spencer, cit. , punto 30, nonché Sentenza 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding, Racc. pag. I-2107, punto 29.
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Non è possibile, quindi, indugiare nel giungere alla seguente conclusione: il trattamento fiscale differenziato
previsto dalla normativa controversa in relazione alle società controllate estere, crea uno svantaggio fiscale
per le società residenti che detengono il controllo in altre società stabilite in Stati in cui sono soggette ad un
livello di tassazione inferiore.
Questo svantaggio fiscale disincentiva le società residenti dal detenere il controllo in società stabilite in un
altro Stato membro, ragion per cui si può affermare che si è in presenza di una restrizione alla libertà di
stabilimento prevista dagli articoli 43 e 48 del Trattato.
Una restrizione quale quella riscontrata nella controversia principale può essere ammessa, secondo quanto
più volte dalla Corte ribadito in precedenti pronunce, solo per ragioni imperative di interesse generale.
Ulteriore verifica, poi, dovrebbe essere fatta, una volta appurata la presenza di una causa di giustificazione: il
rispetto del principio di proporzionalità.
La giustificazione presentata dal governo del Regno Unito, supportato anche dai governi danese, tedesco,
francese, portoghese, finlandese e svedese, attiene al fatto che la normativa controversa ha lo scopo preciso
di contrastare una specifica forma di evasione fiscale, realizzata distraendo fittiziamente utili conseguiti nel
Regno Unito.
Ora, la lotta all’evasione fiscale è una delle ragioni imperative di interesse generale che possono giustificare
un ostacolo all’esercizio della libertà di circolazione, come la Corte si è trovata più volte ad affermare.
Affinchè possa essere accettata quale causa di giustificazione, deve essere, però, rigidamente circoscritta.
Ragion per cui la Corte procede nell’esaminare se la normativa controversa possa essere considerata
legittima sotto le circoscrizioni previste.
In primo luogo, la Corte premette una serie di principi determinanti per l’analisi in questione.
Come più volte la Corte ha ammesso, un’agevolazione fiscale quale quella che deriverebbe da una tassazione
poco elevata della controllata stabilita in uno Stato membro diverso rispetto a quello di stabilimento della
controllante, non può e non deve essere compensata da un corrispondente trattamento fiscale meno
favorevole riservato alla società controllante
106
.
Diversamente l’esigenza di evitare una riduzione del gettito fiscale non può essere annoverato fra gli obiettivi
di cui all’articolo 46 del Trattato, né tra le ragioni imperative di interesse generale, idonee a giustificare una
restrizione alla libertà di stabilimento
107
.
La Corte continua nella propria argomentazione ricordando che, il semplice fatto che una società controlli
un’altra società in uno Stato membro diverso rispetto a quello di residenza, non costituisce, di per sé, una
ragione valida per presumere che tale circostanza sia stata posta in essere per attuare pratiche evasive
108
.
106
Sentenza 28 gennaio 1986, causa C-270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 21; v. anche, per analogia,
Sentenza 26 ottobre 1999, causa C-294/97, Eurowings Luftverkehr, Racc. pag. I-7447, punto 44, nonché Sentenza 26
giugno 2003, causa C-422/01, Skandia e Ramstedt, Racc. pag. I-6817, punto 52).
107
Sentenze 3 ottobre 2002, causa C-136/00, Danner, Racc. pag. I-8147, punto 56, nonché, Sentenza Skandia e Ramstedt,
cit. , punto 53.
108
Sentenza ICI, cit. , punto 26; Sentenza 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-7587,
punto 45; X e Y, cit. , punto 62, nonché Sentenza 4 marzo 2004, causa C-334/02, Commissione/Francia, Racc. pag. I2229, punto 27.
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Se il mero fatto che una società residente controlli una società in uno Stato membro diverso non può
giustificare una presunzione di evasione fiscale, allo stesso modo si deve ammettere che, una normativa che
restringa la libertà di stabilimento è giustificata se ha lo scopo precipuo di evitare pratiche consistenti nelle
costruzioni di puro artificio realizzate per eludere la normativa fiscale dello Stato membro interessato
109
.
Deve verificarsi, dunque, la circostanza che la normativa controversa abbia lo scopo precipuo di combattere
costruzioni puramente artificiose volte all’evasione fiscale.
Nel fare questo, prosegue la Corte, deve comunque tenersi presente, come è stato più volte espresso in
precedenti procedimenti, quello che è l’obiettivo perseguito dalla libertà di stabilimento
110
.
L’obiettivo della libertà di stabilimento è quello di garantire l’esercizio da parte di un cittadino o di una società
di attività indipendenti in Stati membri diversi rispetto a quello di stabilimento, al fine di favorire l’integrazione
economica e sociale all’interno della Comunità
111
.
La libertà di stabilimento comporta che un cittadino comunitario partecipi “in maniera stabile e duratura” alla
vita economica di uno Stato membro diverso da quello di origine e che ne tragga vantaggio.
Posto che questo è l’obiettivo della libertà di stabilimento, la Corte si sofferma ancora su quella che è la
nozione di stabilimento.
Stabilimento implica che una attività economica venga esercitata in uno Stato membro, effettivamente e per
un periodo di tempo indeterminato.
Tale nozione di stabilimento comporta, dunque, un insediamento effettivo e l’esercizio di una attività
economica reale nel paese di stabilimento.
In base a quanto affermato, è necessario verificare se una normativa quale quella in esame prevede delle
misure che siano idonee a restringere l’eserczio della libertà di stabilimento, ma al solo scopo di impedire il
porre in essere di pratiche consistenti in costruzioni puramente artificiose, costruzioni che sarebbero dirette, in
contrasto con quanto sopra asserito, a comportamenti privi di una effettività economica e soprattutto finalizzati
a eludere la normativa imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale
112
.
Occorre quindi, afferma la Corte, verificare se lo scopo precipuo della normativa in esame sia quello di
contrastare in generale le costruzioni di puro artificio.
La normativa fiscale inglese sulle società controllate estere impone delle misure restrittive alle sole situazioni
in cui una società controllata da una residente e stabilita in un altro Stato membro, sia soggetta ad una
imposta che sia inferiore ai ¾ dell’imposta che avrebbe dovuto essere assolta nel Regno Unito se lì fosse
stata tassata.
109
Sentenza ICI, cit. , punto 26; Sentenza12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst, Racc. pag. I-11779,
punto 37; De Lasteyrie du Saillant, cit. , punto 50, nonché Sentenza Marks and Spencer, cit. , punto 57.
110
Sentenza Centros, punto 25, e X e Y, punto 42.
111
Sentenza 21 giugno 1974, causa 2/74, Reyners, Racc. pag. 631, punto 21.
112
Analogamente a quanto sancito dalla sentenza Marks & Spencer i comportamenti volti a porre in essere delle
costruzioni puramente artificiose sono tali da violare il diritto degli Stati membri di esercitare la propria competenza
fiscale in relazione alle attività svolte sul loro territorio e da compromettere, così, un’equilibrata ripartizione del potere
impositivo fra gli Stati membri. Ai sensi del punto 49 della sentenza Marks & Spencer devono essere considerate abusive
quelle pratiche consistenti nell’organizzare trasferimenti di perdite, all’interno di un gruppo di società, in direzione delle
società stabilite negli Stati membri che applicano aliquote fiscali magigori ed in cui, di conseguenza, è maggiore il valore
fiscale delle perdite.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Quindi, la legislazione in esame, nel disporre l’inclusione degli utili di una SEC soggetta a regime fiscale di
favore nella base imponibile della società residente, dovrebbe consentire di contrastare le pratiche il cui scopo
è quello di eludere l’imposta dovuta sugli utili derivanti da attività poste in essere sul territorio nazionale.
La Corte conclude il proprio iter argomentativo volto ad esamire l’eventuale giustificazione ad una normativa
restrittiva quale quella in esame, affermando che, tale normativa è idonea a raggiungere l’obiettivo per il quale
è stata adotta.
Essa, infatti, stabilendo che gli utili di una controllata estera soggetti ad un regime fiscale più favorevole
vengano inclusi nella base imponibile della società residente, persegue decisamente lo scopo di contrastare
pratiche volte ad eludere l’imposta dovuta sugli utili generati da attività realizzate nel territorio nazionale.
Ulteriore passaggio che deve essere fatto, riguarda la verifica volta ad accertare che, sebbene la normativa de
quo sia idonea a perseguire l’obiettivo prefissato, tuttavia non ecceda quanto necessario per raggiungere un
tale obiettivo.
Come si è già avuto modo di sottolineare, la SEC prevede, comunque, una serie di ipotesi in cui,
eccezionalmente, non trova applicazione: si tratta di situazioni in cui sembra chiaro che non vi sia alcuna
costruzione artificiosa volta ad eludere la normativa fiscale inglese.
Nell’ipotesi in cui nessuna delle condizioni poste affinchè si possa beneficiare delle deroghe si verifichi, la Sec
non viene applicata solo se la società residente soddisfa il “motive test”.
Quest’ultimo impone due condizioni che cumulativamente devono essere soddisfatte. In primo luogo viene
richiesto che la società residente dimostri che la diminuzione dell’imposta non è l’obiettivo principale, o uno
degli obiettivi principali, delle operazioni.
In secondo luogo, vi è in capo alla società residente un onere di provare che la ragione principale o una delle
ragioni principali della decisione di detenere partecipazioni in una determinata società non residente non era,
per l’esercizio considerato, l’ottenimento di una diminuzione dell’imposta nel Regno Unito tramite distrazione
di utili in tale Stato membro.
A riguardo, le società ricorrenti hanno osservato che il fatto che nessuna delle eccezioni possa trovare
applicazione nella fattispecie in esame unitamente al fatto che l’intenzione sottesa fosse quella di ottenere una
diminuzione della base imponibile, non può portare comunque ad affermare che ci si trovi di fronte ad una
costruzione di puro artificio volta ad eludere la normativa fiscale inglese.
La Corte sottolinea che, affichè si possa parlare di tali costruzioni è necessario la presenza congiunta di
elementi soggettivi, quali la volontà di ottenere uno sgravio fiscale, e di elementi oggettivi dai quali sia
possibile desumere che l’obiettivo era quello di porre in essere pratiche volte ad eludere la normativa fiscale in
questione
113
.
Anche nel caso in cui nessuna delle eccezioni indicate possa considerarsi esistente, la legislazione sulle SEC
può ritenersi non applicabile nell’ipotesi in cui lo stabilimento e le attività della SEC soddisfano il motive test.
Questo requisito fa si che la società residente non incorra nella legislazione sulle SEC nell’ipotesi in cui possa
dimostrare, da un lato, che la minor tassazione alla quale sono assoggettate le operazioni tra le società e la
113
Sentenza 14 dicembre 2000, causa C- 110/99, Emsland-Starke, Racc. pag. I-11569, punti 52 e 53, e Sentenza 21
febbraio 2006, causa C-255/02, halifax e a. , Racc. pag. I-1609, punti 74 e 75.
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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SEC non rappresentava l’obiettivo, o uno degli obiettivi principali, delle operazioni e, dall’altro, che
l’ottenimento di un regime fiscale meno gravoso di quello proprio del Regno Unito per mezzo della distrazione
degli utili nel senso della detta legislazione non era la ragione della costituzione della SEC.
Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte ha affermato che perché la legislazione sulle SEC possa essere
considerata conforme al diritto comunitario, essa deve potersi disapplicare ogni volta in cui, pur in presenza di
motivazioni di natura fiscale, la costituzione di una SEC corrisponda ad una realtà economica, cioè quando
corrisponda ad un insediamento reale il cui scopo è l’espletamento di attività economiche effettive nello Stato
membro di stabilimento.
La constatazione di cui sopra deve essere basata su elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi. Solo
nell’ipotesi in cui dalla verifica di tali elementi dovesse risultare che la SEC in realtà non è altro che una
installazione fittizia il cui scopo non è quello di esercitare una attività economica effettiva sul territorio dello
Stato membro di stabilimento, la creazione di tale SEC dovrebbe essere ritenuta costruzione di puro artificio.
2. CFC and Dividend Group Litigation
Nell’ordinanza del 23 aprile 2008 nel procedimento Test Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation,
C- 201/05, la Corte, confermando i principi già espressi nella sentenza Cadbury Schweppes, riconosce che le
norme sulle controlled foreign corporation (CFC) realizzano una restrizione alla libertà di stabilimento sancita
dagli articoli 43 e 48 del Trattato.
In particolare, la Corte stabilisce che gli articoli sulla libertà di stabilimento sono contrari ad una normativa
fiscale che preveda l’inclusione, nella base imponibile di una società residente in uno Stato membro, degli utili
realizzati da una società controllata stabilita in un altro Stato qualora tali utili siano ivi soggetti ad un livello
impositivo inferiore a quello applicabile nel primo Stato, a meno che tale inclusione riguardi esclusivamente
costruzioni di puro artificio destinate a eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta. L’applicazione di una
tale misura impositiva deve essere esclusa nell’ipotesi in cui da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi
risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la società controllata sia realmente impiantata nello
Stato membro di stabilimento, allo scopo di esercitare delle attività economiche effettive.
2.1 I fatti
La controversia in esame riguarda la domanda proposta da 21 gruppi di società internazionali avverso
l’amministrazione finanziaria del Regno Unito dinanzi alla High Court of Justice, Chancery Division.
Davanti al giudice del rinvio, alcuni dei gruppi in questione sostengono che se fossero stati informati del fatto
che le disposizioni tributarie del Regno Unito sulle SEC e sui dividendi non erano conformi al diritto
comunitario, non si sarebbero conformate a tali disposizioni e, di conseguenza, non avrebbero assolto
l’imposta sui dividendi riscossi da SEC i sugli utili realizzati da SEC.
In particolare, esse lamentavano il fatto di aver dedotto dalla loro imposta alcuni sgravi che avrebbero potuto
essere utilizzati per altri scopi o che avrebbero potuto essere riportati, di aver versato dividendi ai fini
dell’ottenimento dell’esonero ai sensi di una politica di distribuzione accettabile, dal momento che tali
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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versamenti non rispondevano al loro interesse commerciale o che il momento del versamento imposto dalle
condizioni previste dalla normativa sulle SEC con riferimento all’esonero in questione dava vita ad un
trattamento fiscale sfavorevole.
Per le ragioni sopra esposte, chiedevano al giudice del rinvio il rimborso delle somme indebitamente percepite
e/o il risarcimento dei danni risultati dalle disposizioni della normativa sulle SEC e sui dividendi nonché la
rifusione dei costi sostenuti per conformarsi a tali disposizioni.
In particolare, la domanda di un gruppo atteneva alla imposizione, in capo ad alcune società residenti, di
dividendi percepiti da società non residenti in cui le prime detenevano, ai fini di investimento, partecipazioni di
portafoglio che costituiscono meno del 10 per cento dei diritti di voto, in modo tale che tali società residenti
non sono state assoggettate alla normativa sulla SEC.
Anche in questo caso veniva chiesto il rimborso degli importi indebitamente riscossi e/o risarcimento del
danno risultante dall’imposizione dei dividendi percepiti da società stabilite in altri Stati membri e in Paesi terzi.
2.2 Le questioni pregiudiziali
La High Court of Justice, Chancery Division sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte una serie di
questioni pregiudiziali volte ad accertare, sostanzialmente, la compatibilità delle norme del Trattato in materia
di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali con il regime sulle società controllate estere (SEC),
nonché con il regime di tassazione dei dividendi corrisposti a una società residente da una società non
residente.
2.3 Le argomentazioni della Corte
Prima di procedere all’esame delle questioni sollevate e sottoposte al suo vaglio, la Corte premette che tali
questioni presentano contiguità di contenuto con quelle sollevate in altre pronunce
114
.
Ulteriore premessa viene fatta in merito alle ragioni dell’ordinanza.
Infatti, ai sensi dell’articolo 104, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura, nell’ipotesi in cui una
questione pregiudiziale sia identica ad una questione sulla quale la Corte abbia già statuito, o qualora la
soluzione di tale questione possa essere desunta dalla giurisprudenza, la Corte, dopo aver sentito l' Avvocato
generale, statuisce con ordinanza motivata.
La Corte ha confermato i principi già espressi nella sentenza Cadbury Schweppes, riconoscendo che le norme
sulle controlled foreign corporation (CFC) realizzano una restrizione alla libertà di stabilimento sancita dagli
articoli 43 e 48 del Trattato.
In particolare la Corte rispondeva alla terza questione sottoposta al suo vaglio dal giudice del rinvio
affermando che le norme relative alla libertà di stabilimento, sancita dal Trattato, devono essere interpretati
114
Sentenza 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995;
Sentenza 12 dicembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I11673 e causa C-446704, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I-11753, nocnhè Sentenza 13 marzo
2007, causa C-524/04, test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Racc. pag. I-2107
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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nel senso che sono contrari ad una normativa fiscale che preveda l’inclusione nella base imponibile di una
società residente in uno Stato membro degli utili realizzati da una SEC stabilita in un altro Stato qualora tali
utili siano ivi soggetti ad un livello impositivo inferiore a quello applicabile nel primo Stato.
Tale affermazione di principio vale solo nell’ipotesi in cui tale inclusione non riguardi esclusivamente
costruzioni di pure artificio destinate ad eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta.
Inoltre, l’applicazione di una tale misura impositiva deve essere esclusa ove da elementi oggettivi e verificabili
da parte di terzi risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la SEC sia realmente impiantata
nello Stato membro di stabilimento ivi esercitando attività economiche effettive.
Tuttavia, gli articoli 43 48 del Trattato devono essere interpretati nel senso che non sono contrarti alla
normativa fiscale di uno Stato membro che imponga taluni requisiti di conformità qualora la società residente
intenda essere esentata da imposte già versate sugli utili della società medesima controllata nello Stato della
propria residenza, in quanto tali requisiti siano finalizzati a verificare che la società estera controllata sia
realmente impiantata in uno Stato di stabilimento in cui esercita attività economiche effettive, senza che ciò
implichi eccessivi oneri amministrativi.
In particolare, viene ripercorso il medesimo iter logico e interpretativo che la Corte aveva eseguito nella
sentenza Cadbury Schweppes, per cui dapprima viene accertata la natura restrittiva della normativa SEC.
La Corte rileva, a tal proposito, che la normativa in questione comporta una disparità di trattamento fra le
società residenti in funzione del livello di tassazione applicato alla società in cui esse detengano una
partecipazione tale da assicurargli il controllo.
Tale disparità crea uno svantaggio fiscale per la società residente cui sia applicabile la legislazione SEC
115
che ostacola l’esercizio alla libertà di stabilimento da parte di tali società, dissuadendole dal costituire,
acquisire o mantenere una controllata in uno Stato membro che applichi aliquote inferiori.
Affermata la natura restrittiva della normativa della SEC, la Corte procede nel proprio ragionamento,
riaffermando i medesimi principi sostenuti nella sentenza Cadbury Schweppes, fino a giungere alla decisione
finale sfociata con l’ordinanza del 23 aprile 2008.
2.4 Conclusioni
Nei casi analizzati la Corte si pronuncia in merito alla compatibilità delle normative CFC con le libertà sancite
dal Trattato.
Essa nell’affrontare le questioni sottoposte al suo vaglio sancisce il principio in base al quale “una misura
nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa solo se concerne specificatamente le costruzioni
di puro artificio finalizzate a sottrarre l’impresa alla legge dello Stato interessato”
116
.
115
Sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, citata, punti 43 e 45.
Ord., punto 77 nonché sentenza Cadbury Schweppes, citata, punto 51; Senten za 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI
in Racc. pad. I-4695, punto 26; Sentenza 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst, in Racc. pag. I-11779,
punto 37; Sentenza 11 marzo 2004, causa C-9/02, De Lasteyrie du Saillant, in Racc. pag. I-2409, punto 50; nonché
Sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer, in Racc. pag. I-10837, punto 57.
116
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia
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Perché possa affermarsi l’esistenza di una “costruzione di pure articificio” è necessario il presupposto
soggettivo, rappresentato dalla volontà di ottenere un vantaggio fiscale e un insieme di elementi oggettivi “dai
quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dall’ordinamento comunitario, l’obiettivo
perseguito dalla libertà di stabilimento non sia stato raggiunto”
117
.
L’obiettivo in questione viene raggiunto nell’ipotesi in cui all’esercizio del diritto di stabilimento corrisponde una
realtà economica e l’accertamento di tale requisito si basi su elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi,
riguardanti in particolare il livello di presenza fisica in termini di locali, di personale e di attrezzature.
In altre parole, non si può parlare di una costruzione di puro artificio quando la società comunitaria è “
realmente impiantata nello Stato membro di stabilimento, ivi esercitando attività economiche effettive “.
118
In base alla giurisprudenza della Corte la nozione di costruzione di puro artificio deve ricavarsi in negativo
quando non vi è da parte della società comunitaria un livello di presenza fisica in termini di locali, di personale
e di attrezzature il cui scopo sia quello di testimoniare l’esistenza effettiva di un soggetto realmente impiantato
nello Stato membro di stabilimento in cui sia dedito all’esercizio di attività economiche.
Quindi due sono i presupposti che devono essere soddisfatti affinché vi sia un esercizio non abusivo della
libertà di stabilimento:
(i)
un livello minimo di presenza fisica da parte della società comunitaria dello Stato di stabilimento;
(ii)
l’esercizio di un’attività economica
A riguardo è necessario chiarire che, qualora una società dovesse essere considerata una costruzione di puro
artificio sulla base dei canoni ermeneutici tratti dalla giurisprudenza della Corte, tale società non costituisce
perciò stesso una realtà contra legem.
Infatti, la conseguenza è quella di non consentire a tale società le garanzie previste dal Trattato in tema di
libertà di stabilimento.
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117
Ord., punto 78; Sentenza Cadbury Schweppes, citata, punto 64;Sentenza 14 dicembre 2000, causa C-110/99, EmslandStarke, in Racc. pag. I-11569, punti 52 53; Sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a., in Racc. pag. I-1609,
punti 74 75.
118
Ord., punto 81; Cadbury Schweppes citata, punto 75.
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Giurisprudenza
-Sentenza 17.07.1997, C-28/95 – Leur-Bloem
-Sentenza 16.07.1998, C-264/96 - ICI (UK)
-Sentenza 18.11.1999, C-200/98 - X AB et Y AB
-Sentenza 13.12.2005, C-446/03 – Marks & Spencer plc
-Sentenza 29.03.2007, C-347/04 – Rewe Zentralfinanz
-Sentenza 18.07.2007, C-231/05 – Oy AA
-Sentenza 27.11.2008, C-418/2007- Papillon
-Sentenza 15.05.1997, C-250/95 – Futura and Singer (L)
-Sentenza 21.09.1999, C-307/97- Saint- Gobain
-Sentenza 14.12.2000, C-141/99 – AMID (B)
-Sentenza 28.02.2008, C-293/06 – Deutsche Shell GmbH
-Sentenza 15.05.2008, C-414/06 - Lidl Belgium
-Sentenza 23.10.2008, C-157/2007- Finanzamt fur Koerperschaften III in Berlin
-Sentenza 12.09.2006, C-196/04 - Cadbury Schweppes
-Sentenza 23.04.2008, C-201/05 - CFC and Dividend Group Litigation
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai
casi della Corte di giustizia