Numero 4 Ottobre - Dicembre - Azienda Ospedaliera San Camillo

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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007
Direttore
FRANCO SALVATI
Comitato di redazione
ALFONSO ALTIERI, FRANCESCO BELLI,
MAURO CALVANI, GIUSEPPE CARDILLO, PAOLO MATTIA,
GIOVANNI MINARDI, MAURIZIO MORUCCI, FABRIZIO NESI, BRUNO NOTARGIACOMO,
SERGIO PILLON, ELIO QUARANTOTTO, MAURIZIO RUSSO, PIETRO SACCUCCI,
MICHELE SCOPPIO, GIAN DOMENICO SEBASTIANI, ALESSANDRO SEVERINO, MARIO VALLE
Segreteria di redazione:
RITA VESCOVO, ALMERINDA ILARIA
Comitato scientifico-editoriale
Coordinatore ROBERTO CANOVA
LOREDANA ADAMI, MARIO GIUSEPPE ALMA, CATERINA AMODDEO, DONATO ANTONELLIS,
MARCELLO ASSUMMA, GIANLUCA BELLOCCHI, FRANCO BIANCO, PIETRO BORMIOLI, PIO BUONCRISTIANI,
ALESSANDRO CALISTI, ILIO CAMMARELLA, ALBERTO CIANETTI, MASSIMO CICCHINELLI, ENRICO COTRONEO,
FRANCESCO CREMONESE, ALBERTO DELITALA, EUGENIO DEL TOMA, FILIPPO DE MARINIS, LORENZO DE MEDICI,
CARLO DE SANCTIS, SALVATORE DI GIULIO, GIUSEPPE DI LASCIO, CLAUDIO DONADIO, VITTORIO DONATO,
ALDO FELICI, LAURA GASBARRONE, GIAMPIERO GASPARRO, CLAUDIO GIANNELLI, EZIO GIOVANNINI,
LUCIA GRILLO, MASSIMO LENTINI, IGNAZIO MAJOLINO, CARLO MAMMARELLA, LUCIO MANGO, EMILIO MANNELLA,
LAURO MARAZZA, MIRELLA MARIANI, MASSIMO MARTELLI, ANTONIO MENICHETTI, GIOVANNI MINISOLA,
CINZIA MONACO, FRANCESCO MUSUMECI, REMO ORSETTI, PAOLO ORSI, GIOVACCHINO PEDICELLI, ROBERTO PISA,
LUIGI PORTALONE, LUCA PIERELLI, COSIMO PRANTERA, GIOVANNI PUGLISI, GIORGIO RABITTI, SANDRO ROSSETTI,
ENRICO SANTINI, EUGENIO SANTORO, GIOVANNI SCHMID, CIRIACO SCOPPETTA, FABRIZIO SOCCORSI,
CORA STERNBERG, GIUSEPPE STORNIELLO, PIERO TANZI, ROBERTO TERSIGNI, ANNA RITA TODINI,
CLAUDIO TONDO, MIRELLA TRONCI, ROBERTO VIOLINI
Segreteria:
GIOVANNA DE PAOLA
NUOVA EDITRICE GRAFICA
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Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini
Roma
Direttore Generale:
Luigi Macchitella
Direttore Sanitario:
Fulvio Forino
Direttore Amministrativo:
Roberto Noto
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100, privati
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San Camillo e Forlanini
Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007
Contenuto
EDITORIALE
La strategia europea contro le malattie non trasmissibili
P. D’ARGENIO
The European Strategy for the Prevention and Control of non communicable diseases
ARTICOLI ORIGINALI
L’ecocardiografia nella valutazione dei risultati a medio-termine della chirurgia riparativa
della valvola mitrale nel m. di Barlow.
G. MINARDI, G. PULIGNANO, C. MANZARA, G. LUZI, G. CASALI, A. CAROSELLI, L. FABRIZI, R. VENUSTI,
L. GUERRIERI, A. LORETTU, E. GIOVANNINI, F. MUSUMECI
Echocardiography in the evaluation of the mid-term results of the mitral valve repair
in Barlow’s disease.
7
11
Follow-up clinico e respiratorio in un campione di bambini nati pretermine,
affetti da displasia broncopolmonare (BPD)
I. PROIETTI, G. PELLEGRINI
Clinical and respiratory follow-up of a premature newborn sample with
bronchopulmonary dysplasia
17
Cardio-RM: tecnica e metodologia dello studio morfologico del cuore
e della cinetica cardiaca
A. CORTESE, A. BAIONI, C. BAIONI, S. BAIONI, B. COSENTINO, C. MANZARA, P. MATTIA
Cardiac MRI: technique and methodology in the assessment of cardiac morphology
and function
27
RASSEGNE
Modello cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico. Implicazioni cliniche
P. CIURLUINI, D. AIELLO, C. DI FONZO
Cognitive-behavioral model for panic disorder. Clinical implications
Le protesi in urologia
C. SALVATORE
Prothesis in urology
CASO CLINICO
Necrosi cutanea in corso di terapia con anticoagulanti orali. Caso clinico
I. SCHACTHER, P.L. ANTIGNANI, C. ALLEGRA
Cutaneos necrosis during anticoagulant. Case report
GESTIONE E ORGANIZZAZIONE SANITARIA
Telemedicina respiratoria: risultati dopo 8 anni di monitorizzazione
nell’Ospedale “A&C Cartoni” Rocca Priora (Roma)
C.M. FIORANI, A. LUSTRISSIMI, M. ROMEO
Respiratory Telemedicine: results after 8 years of monitoring in “A&C Cartoni”
Hospital, Rocca Priora (Rome)
33
47
53
57
RECENSIONI
Le basi statistiche della Biologia e della Medicina
M. SIGNORA
61
Conoscere e potenziare il cervello
L. GASBARRONE
62
NOTIZIARIO
F. SALVATI
63
ERRATA CORRIGE
64
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“La Rivista è stata selezionata da
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San Camillo e Forlanini
Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007
Editoriale
LA STRATEGIA EUROPEA CONTRO LE MALATTIE
NON TRASMISSIBILI
THE EUROPEAN STRATEGY FOR THE PREVENTION
AND CONTROL OF NON COMMUNICABLE DISEASES
PAOLO D’ARGENIO
Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, Ministero della Salute, Roma
Parole chiave: Malattie non trasmissibili. Prevenzione. Politiche sanitarie.
Key words: Non communicable diseases. Prevention. Health policy
Nel settembre 2006 i 52 Stati Membri
dell’Ufficio Europeo dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità, Italia inclusa, hanno approvato la strategia europea per la
prevenzione e il controllo delle malattie
non trasmissibili Gaining Health1, una
strategia messa a punto su richiesta degli
Stati membri, attraverso una consultazione che ha coinvolto diversi Paesi, esperti,
organizzazioni non governative e altri
soggetti interessati, con la partecipazione
attiva del Ministero della Salute Italiano.
L’esigenza di una strategia europea deriva dal fatto che, in poche decine di anni, il
quadro epidemiologico si è modificato. In
Italia, come negli altri paesi europei dall’Atlantico agli Urali, il carico di sofferenze dovuto alle malattie riconosce un ristretto
gruppo di cause: le malattie cardiovascolari e le neoplasie sono responsabili del 70%
dei decessi in Italia, percentuale che supera
l’80% quando si considera anche il diabate,
le malattie respiratorie e del digerente;
mentre, in termini di anni di vita in buona
salute persi, a causa di morte prematura o
disabilità, oltre a queste malattie, assumono importanza i disturbi mentali, le malattie muscoloscheletriche, i deficit sensoriali2.
Tab.1: Decessi e carico di malattia in Italia (anno 2004)3
Cause
Decessi
Numero
Tasso x
migliaia
100.000
%
Disability Adjiusted
Numero
Tasso x
migliaia
100.000
Lost Years
%
Tutte le Cause
Trasmissibili, materna, perinatale
Malattie Cronico-degenerative
570,7
22,5
523
992,8
39,1
909,9
100,0%
3,9%
91,6%
6789
289
6018
11811
503
10469
100,0%
4,3%
88,6%
• Malattie Cardiovascolari
• Neoplasie Maligne
• Condizioni Neurtopsichiatriche
• Malattie Respiratorie
• Malattie del Digerente
• Diabete
• Malattie Muscoloscheletriche
• Altre Neoplasie
• Disturbi endocrini
• Disturbi degli organi di senso
• Malattie Genitourinarie
• Malattie della Pelle
• Anomali e Congenite
• Salute orale
Cause Violente
• Non Intenzionali
• Intenzionali
247,7
154
23.6
29,6
25
19,3
2,1
7,1
4,2
0
8,2
0,7
1,4
0
25,2
20,7
4,5
430,9
267,8
41
51,5
43,5
33,6
3,7
12,4
7,3
0,1
14,3
1,3
2,4
0
43,8
36
7,9
43,4%
27,0%
0,2%
5,2%
4,4%
3,4%
0,4%
1,2%
0,7%
0,0%
1,4%
0,1%
0,2%
0,0%
4,4%
3,6%
0,8%
1222
1202
1712
350
261
253
319
43
94
361
73
11
64
52
482
400
82
2126
2091
2978
609
454
441
555
75
164
628
127
20
112
91
839
696
143
18,0%
17,7%
25,2%
5,2%
3,8%
3,7%
4,7%
0,6%
1,4%
5,3%
1,1%
0,2%
0,9%
0,8%
7,1%
5,9%
1,2%
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È notevole che, nei Paesi sviluppati, il
50-60% del carico di malattia (in Daly) è
causato da sette fattori di rischio principali4: tabagismo, ipertensione arteriosa, alcol, eccesso di colesterolo, sovrappeso, scarso consumo di frutta e verdura, inattività
fisica. Anche il diabete è stato riconosciuto
fra i fattori di rischio principali e può favorire lo sviluppo di malattie cardiovascolari.
L’alcol, dopo il tabacco, è il fattore di rischio principale sia per la disabilità sia per
la mortalità in giovane età in Europa.
Tab. 2: Sette principali rischi di malattie
croniche, in termini di DALYs nei paesi
sviluppati
Fattori di rischio
Tabacco
Ipertensione arteriosa
Alcol
Colesterolo
Sovrappeso
Scarsi introiti di frutta e vegetali
Inattività fisica
% su totale
DALYs
12,1%
10,9%
9,2%
7,6%
7,4%
3,9%
3,3%
Fonte: WHO (2002)
Queste malattie e questi fattori di rischio non sono distribuiti uniformemente
nella popolazione, ma si concentrano soprattutto tra le persone più povere e vulnerabili: i gruppi più svantaggiati dal
punto di vista socioeconomico presentano
un rischio almeno doppio di sviluppare
malattie gravi e di morire prematuramente5. Per il miglioramento delle condizioni
di vita e della qualità delle cure mediche,
e l’aumento conseguente dell’aspettativa
di vita, in alcuni Paesi, incluso l’Italia, da
3 a 4 abitanti su 10 convivono con malattie croniche. Il 70-80% delle risorse sanitarie è impiegato proprio per far fronte a
queste patologie, anche perché questi pazienti gravano a lungo sui servizi sanitari.
Morire giovani o convivere con una malattia cronica o una disabilità ha delle ripercussioni economiche, sia per le famiglie
che per la società. Datori di lavoro e società devono sostenere i costi dell’assenteismo, della minore produttività e del ricambio continuo dei lavoratori. Sulle famiglie e sulla società gravano invece le
spese sanitarie dirette e indirette, la ridu-
zione dei guadagni, il pensionamento prematuro e una maggiore necessità di assistenza sociosanitaria.
In Italia, in cui il sistema sanitario è regionalizzato, ben sei Regioni hanno accumulato, negli anni passati, un indebitamento tale che ha costretto il Governo a
stanziare fondi aggiuntivi specifici, in considerazione del fatto che queste Regioni
non avrebbero potuto, da sole con risorse
proprie, far fronte al disavanzo. L’erogazione dei finanziamenti statali aggiuntivi è
però legata alla sottoscrizione di un accordo con il Governo il quale verifica il mantenimento dell’erogazione dei livelli di assistenza. È probabile che nei prossimi anni
altre Regioni possano trovarsi nelle condizioni di avere bisogno di risorse aggiuntive.
Benché alcuni ritengano che questo indebitamento sia legato a inefficienze e, in alcuni casi a sprechi, è indubbio che l’aumento
di frequenza di “malattie che non guariscono” mette a dura prova l’esistenza stessa
del sistema sanitario universalistico e del
diritto all’assistenza sanitaria di cui il nostro Paese va giustamente fiero.
Come è possibile fare fronte ad una situazione tanto complessa, e mettere in
campo per tempo misure adeguate a salvare il nostro servizio sanitario?
È realistico e possibile pensare a ridurre il carico di malattie croniche, attraverso la prevenzione? È possibile e realistico
pensare di ridurre i costi dell’assistenza
sanitaria, senza ridurne l’accessibilità e
l’efficacia? La strategia è stata pensata come una risposta integrata e completa a
queste sfide.
La prospettiva della strategia
Agire in modo integrato e intersettoriale sui fattori di rischio e i determinanti di
salute
Il quadro di riferimento per l’azione,
della strategia, si basa sull’idea che per ridurre il carico di malattie croniche che
grava sulla popolazione è necessario ridurre i principali rischi e i loro determinanti. La figura 1 riporta questi concetti:
l’ambiente fisico e sociale determina i
principali rischi di malattia cronica. I
principali rischi si formano quindi al di
fuori del sistema sanitario: molto presto
nella vita, da ragazzi cominciamo a subire
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le pressioni a fumare, nella famiglia apprendendo questi comportamenti dai genitori, e successivamente dai pari; l’organizzazione sociale induce comportamenti
sedentari, ad esempio i bambini non possono muoversi e giocare liberamente in
modo attivo e ripiegano sui TV e videogiochi in cui possono sognare di essere attivi,
mentre i messaggi pubblicitari li invitano
a consumare alimenti altamente calorici,
la cui produzione è favorita da sovvenzioni e incentivi.
7
per rendere più facili le scelte salutari6. Ad
esempio, il Ministero della Salute ha stimato che un aumento del prezzo delle sigarette pari al 10% potrebbe provocare
una riduzione di fumatori pari al 4%.
Che cosa fa il sistema sanitario per promuovere la salute e prevenire le malattie
croniche
Considerando i determinanti, ambientali e sociali, delle malattie croniche il sistema salute ha un duplice ruolo: da una
parte i professioFig. 1: Il quadro di riferimento della strategia
nisti della salute,
le aziende sanitarie, gli assessorati
Società
Sistema Sanitario
alla sanità delle
Promozione
Prevenzione
Servizi
regioni e il Minidella salute
delle malattie
sanitari
stero della Salute
possono operare
Continuum delle malattie croniche
quali avvocati della salute fornendo
determinanti
fattori di rischio
malattie
un indirizzo alla
popolazione
ed
– Promozione della salute rivolta alla popolazione sana
esercitando presapproccio
– Programmi mirati agli individui ad alto rischio
sioni sui diversi
– Miglioramento di copertura e qualità dell’assistenza sanitaria
responsabili delle
integrato
– Trasformazione dei servizi sanitari adattati alla cronicità
politiche che in– Riduzione sistematica delle disequità
fluiscono sulla salute, a livello nazionale e locale;
d’altra parte il sistema sanitario può tratInsomma, i comportamenti ricadono in
tare le persone a rischio perché esistono
parte sotto la sfera della responsabilità intrattamenti efficaci per gli individui ad aldividuale, in parte sono determinati dalto rischio come i fumatori, i soggetti affetl’organizzazione sociale. La strategia racti da ipertensione arteriosa o ipercolestecomanda agli Stati azioni per rendere facirolemia, i bevitori problematici. In alcuni
li le scelte salutari, un motto particolarcasi, è anche conveniente attivare promente efficace in quanto il termine scelta
grammi di screening di massa, come per il
sottolinea la responsabilità dell’indiviuo,
cancro del seno, quello della cervice uterimentre il termine rendere facili sottolinea
na e quello del colon retto. Lo screening
la responsabilità dei governi e dei diversi
può prevenire decessi e disabilità, ma può
settori della società: la salute e il benesseanche migliorare la qualità della vita, a
re devono diventare un valore presente in
patto che venga attuato in modo efficace e
tutte le politiche dei governi. Ad esempio,
che sia disponibile una terapia efficace,
le azioni per la pedonalizzazione dei centri
accessibile e accettabile per chiunque la
storici, l’aumento del tempo dedicato alrichieda. Attualmente, pochi test di screel’attività motoria nelle scuole, la riduzione
ning si sono dimostrati in grado di identidel sale negli alimenti, l’aumento della difficare gli individui ad alto rischio e quelli
fusione dei punti vendita di frutta e verdisponibili richiedono un certo investidura, dovrebbero essere considerati un inmento da parte dei sistemi sanitari per atvestimento in salute. Se ci si sofferma a rituarli in modo efficace, specialmente atflettere, chiunque ha responsabilità collettraverso programmi organizzati di screetive, dai governi nazionali e locali fino ai
ning della popolazione7,8.
manager delle aziende, può fare qualcosa
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MESSAGGI CHIAVE
1. la prevenzione lungo tutto l’arco della vita è
un vero e proprio investimento in salute e
sviluppo
2. la società dovrebbe offrire un contesto ambientale che faciliti le scelte più salutari
3. i servizi sanitari dovrebbero adattarsi a
questo obiettivo, affrontando l’attuale carico di malattia e aumentando le opportunità
di promozione della salute
4. le persone dovrebbero essere messe nelle
condizioni di promuovere la propria salute,
di interagire con i servizi sanitari ed essere
parte attiva della gestione delle malattie
5. per garantire il diritto alla salute è fondamentale che tutti abbiano accesso alla promozione della salute, alla prevenzione delle malattie e ai servizi sanitari
6. a tuttii i livelli, i governi hanno la responsabilità di proporre politiche di intervento all’insegna della salute e di assicurare un’azione integrata in tutti i settori.
Spostare il paradigma dell’assistenza verso un modello per le malattie
croniche
L’organizzazione sanitaria attuale, ed i
servizi ospedalieri in particolare, sono stati progettati per guarire le malattie. Come
possono questi servizi adattarsi per trattare adeguatamente malattie che non
guariscono, con un uso efficiente delle risorse?
Le persone affette da diabete, artrosiartrite, scompenso cardiaco, broncopatia
cronica ostruttiva, asma, ictus e altre malattie croniche si rivolgono spesso al medico generale e si ricoverano in ospedale frequentemente. Diverse esperienze e progetti dimostrativi hanno evidenziato che,
adottando un modello di cure appropriato
alle malattie croniche, è possibile, per
queste malattie, ridurre in modo consistente i ricoveri, la loro durata, le visite
urgenti, senza peggioramenti o con miglioramenti dello stato di salute9,10,11.
I punti chiave del modello per le malattie croniche sono12:
– il sostegno e il rafforzamento delle risorse del paziente e della sua famiglia
che, se ben motivati ed istruiti, aderiscono meglio al trattamento e gestisco-
no autonomamente parte della cura;
– il supporto nell’ambito delle cure primarie, che consiste nella registrazione e
nella messa a punto di un piano di controlli e trattamenti, nella verifica che il
paziente effettui i controlli e i trattamenti (case management);
– l’integrazione tra le diverse strutture
assistenziali (strutture di assistenza
primaria, ospedali, pronto soccorso,
ecc), cui ci si riferisce anche con i termini di continuità assistenziale e integrazione tra ospedale e territorio.
Sotto la pressione del mutamento dell’epidemiologia, negli ultimi anni, in Italia
si è andati ad una riduzione dei posti letto ospedalieri, una tendenziale chiusura
dei piccoli ospedali, lo spostamento di risorse da strutture ad alta intensità di capitale verso la creazione di forme assistenziali più flessibili, come strutture semiresidenziali, hospice, medicina di famiglia associata, in team o in coperative, reti di medici di famiglia, uso della telemedicina. Lo stesso concetto di prevenzione
tende a estendersi sempre più fino a comprendere la prevenzione dell’ospedalizzazione, della disabilità e delle soffrenze nella fine della vita.
In conclusione, la strategia contro le
malattie croniche si basa su promozione
della salute rivolta alla popolazione sana,
programmi di prevenzione mirati agli individui ad alto rischio, trasformazione dei
servizi sanitari: adattati alla cronicità.
BIBLIOGRAFIA
1. WHO Regional Office for Europe. Gaining Health,
the European strategy for the prevention and control of non communicable diseases. 2006. Copenaghen (http://www.euro.who.int/document/E8930
6.pdf)
2. WHO. Prevenire le malattie croniche: un investimento vitale. 2005. Ginevra
(http://who.int/chp/chronic_disease_report/co
ntents/Italian%20full%20report.pdf).
3. WHO Burden of Diseases.
http://www.euro.who.int/eprise/main/who/pr
ogs/chhita/home.
4. WHO Regional Office for Europe. The European
health report 2005. Public health action for
healthier children and populations. 2005. Copenaghen. (http://www.euro.who.int/Informa-
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tionSources/Publications/Catalogue/20050909_1).
5. Wilkinson R., Marmot M. (ed), Social determinants
of health: the solid facts. Seconda edizione. Copenaghen, Ufficio regionale dell’Oms Europa, 2005.
(http://www.euro.who.int/document/e81384.pdf)
6. Europen Observatory on health systems and policies. Health in all policies: prospects and potentials. Stahl T. ed. Ministry of social affairs Finland.
2006.
7. National cancer control guidelines: policies and
managerial guidelines. Seconda edizione. Ginevra, Organizzazione Mondiale della Sanità, 2002.
(http://www.who.int//cancer/media/en/408.p
df).
8. Comprehensive cervical cancer control. A guide to
essential practice. Ginevra, Organizzazione mon-
9
diale della sanità, 2006 (http://www.who.int/reproductive-health/publications/cervical_cancer_gep/index.htm )
9. Ashton CM, Souchek J, Petersen NJ, et al. Hospital use and survival among Veterans affaire
beneficiaries. N Eng J Med 2003; 349: 1637-46.
10. Jha AK, Perlin JB, Kizer KW, Dudley RA Effect of
transformation of Veteran Affaire health care system on the quality of care. N Eng J Med 2003;
348: 2218-27.
11. Ham C, York N, Surch S, Shaw R. Hospital bed
utilisation in the NHS, Kaiser Permanente and
the US Medicare programme: analysis of routine
data. BMJ 2003;327:1257-60.
12. Department of Health. USA Chronic disease management: a compendium of information. May
2004.
____
Per richiesta estratti:
Dott. Paolo D’Argenio
Via Sommeiller, 25 - Scala A/7 -00185 Roma
002 Minardi 10-16
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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
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Articoli originali
L’ECOCARDIOGRAFIA NELLA VALUTAZIONE DEI RISULTATI
A MEDIO TERMINE DELLA CHIRURGIA RIPARATIVA DELLA VALVOLA
MITRALE NEL M. DI BARLOW.
ECHOCARDIOGRAPHY IN THE EVALUATION OF THE MID-TERM RESULTS
OF THE MITRAL VALVE REPAIR IN BARLOW’S DISEASE.
GIOVANNI MINARDI1, GIOVANNI PULIGNANO1, CARLA MANZARA1, GIAMPAOLO LUZI2,
GIOVANNI CASALI2, ATTILIA CAROSELLI1, LINO FABRIZI1, RITA VENUSTI1, LUCA GUERRIERI1,
ALDA LORETTU1, EZIO GIOVANNINI1, FRANCESCO MUSUMECI2
1
Divisione di Cardiologia -2 Cardiochirurgia
Dipartimento Cardiovascolare - Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
RIASSUNTO: Scopo. Scopo del presente lavoro è stato quello di analizzare i risultati a medio
termine della chirurgia riparativa “anatomica” della valvola mitrale in pazienti affetti da Malattia di Barlow attraverso l’ecocardiografia transtoracica.
Metodo e Risultati. Sono stati arruolati i 33 soggetti con M. di Barlow selezionati tra i 330 pazienti ricoverati nel nostro Ospedale e sottoposti a chirurgia riparativa della valvola mitrale (”sliding technique” + anuloplastica con goretex) per insufficienza (IM) pura di grado severo. In tutti i pazienti è stata eseguita una valutazione pre-operatoria con ecocardiografia transtoracica
(ETT) e transesofagea (ETE), intraoperatoria con ETE, post-operatoria pre-dimissione, a 1 mese
e a distanza di 20±5 mesi con ETT. L’ETT pre-dimissione e a 1 mese ha evidenziato assenza di
IM in 17 pazienti e minima insufficienza in 16, normali gradienti ed area di flusso. Al follow-up,
l’ETT ha evidenziato assenza di IM in 17 pazienti, minima IM in 15 e lieve IM in 1, una significativa diminuzione della pressione sistolica in arteria polmonare, una riduzione dei diametri del
ventricolo e dell’atrio sinistro ed un significativo miglioramento della CF NYHA
Conclusioni. Nella nostra esperienza la tecnica chirurgica impiegata si è dimostrata efficace nel
trattamento della insufficienza mitralica dei pazienti con M. di Barlow, con risultati stabili nel
tempo. L’ETT si è confermata tecnica diagnostica attendibile ed affidabile nella valutazione pre
e post-operatoria, per la capacità di fornire informazioni sugli aspetti anatomici e funzionali della valvulopatia e della sua correzione chirurgica.
Abbreviazioni
IM:
insufficienza mitralica
LVOTO: ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro
ETE:
ecocardiogramma transesofageo
ETT:
ecocardiogramma transtoracico
NYHA: New York Heart Association
FE:
frazione di eiezione
CPB:
by-pass cardiopolmonare
ASE:
American Society of Echocardiography
DTDVS: diametro telediastolico del ventricolo sinistro
DTSVS: diametro telesistolico del ventricolo sinistro
VTDVS: volume telediastolico del ventricolo sinistro
VTSVS: volume telesistolico del ventricolo sinistro
FS:
fractional shortening
PAPs:
pressione sistolica in arteria polmonare
AS:
atrio sinistro
VS:
ventricolo sinistro
Parole chiave: Malattia di Barlow. Ecocardiografia. Cardiochirurgia
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SUMMARY: Aims. The purpose of the present study was to analyse, by means of echocardiography, the mid-term results of surgical “anatomical” repair of the mitral valve in patients with
pure severe mitral regurgitation (MR) due to Barlow’s disease.
Methods and Results. Thirty three patients were selected to enter the study. All pts underwent
pre- and post-operative transthoracic echocardiography (TTE) and intraoperative transesophageal echocardiography (TEE). Pre-discharge and one-month TTE showed absence of MR in 17 pts
and trivial MR in 16 pts, normal mitral valve area and gradients. Mid-term follow-up (20±5
months) TTE confirmed previous results and furthermore showed significant decrease in left
atrial and ventricular dimension and in pulmonary artery pressure; one patient with trivial MR
at discharge showed mild MR.
Conclusion. In our study population the employed surgical technique showed a favourable impact
on several cardiac parameters, evaluated by means of TTE, at mid-term follow-up. TTE confirmed its value in diagnostic and prognostic evaluation.
Key words: Echocardiography. Barlow’s disease. Cardiac surgery
INTRODUZIONE
Negli ultimi 30 anni sono state sviluppate molte tecniche chirurgiche per correggere l’insufficienza mitralica (IM), causata
da patologie degenerative, in particolare da
degenerazione mixomatosa1-5, per migliorare la funzione valvolare e la durata nel tempo dell’intervento correttivo e per prevenire
la comparsa di ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro (LVOTO). Con l’utilizzo di
queste nuove tecniche chirurgiche sono stati dimostrati buoni effetti funzionali a medio e lungo termine6-9. Tuttavia persistono
incertezze sulla stabilità a lungo termine
nei casi di correzione di valvole con estesa
degenerazione mixomatosa dei lembi6-12 e
sulla emodinamica valvolare in condizioni
di stress. L’Ecocardiografia transtoracica
con Doppler (ETT) è la tecnica più utile ed
usata per valutare gli effetti dei risultati
della riparazione mitralica, poichè permette di definire la morfologia e la funzione
valvolare (area, gradienti, presenza e grado
dell’eventuale IM residua, la presenza di
LVOTO13-25 ). Scopo del presente studio è
stato quello di analizzare i risultati a medio
termine della riparazione della valvola mitrale, in soggetti con Malattia di Barlow26,
trattati presso la nostra Azienda Ospedaliera, utilizzando l’ETT. Come è noto per M.
di Barlow si intende una malattia degenerativa dell’apparato valvolare mitralico, caratterizzata da proliferazione mixomatosa
e ridondanza dei lembi, allungamento delle
corde tendinee e dilatazione dell’anello, con
conseguente prolasso dei lembi in atrio sinistro e insufficienza valvolare.
METODO
Casistica
Tra ottobre 1998 e gennaio 2004, 330 pazienti sono stati trattati nella Cardiochirurgia della nostra Azienda Ospedaliera con intervento riparativo della valvola mitrale per
IM pura. Di questi, 33 pazienti (10%) avevano la M. di Barlow26. I rilievi diagnostici,
ottenuti pre-operatoriamente in tutti i pazienti con ETT ed Ecocardiogramma transesofageo (ETE), consistevano in: ipertrofia
dei muscoli papillari, ridondanza dell’apparato sottovalvolare, dilatazione dell’anello,
ispessimento e sovrabbondanza tissutale
dei lembi con prolasso e valvola “floppy”, riduzione dell’area di apposizione con dislocazione del piano di coaptazione al di sopra del
piano dell’anello. Tutti i pazienti avevano
IM di grado severo. La diagnosi è stata confermata al tavolo operatorio in tutti i casi.
Tutti i 33 pazienti rappresentano la popolazione dello studio per l’ETT pre- e post-operatorio. Si tratta di 18 uomini e 15
donne, di età media 69±9 anni (range 4875). Al momento del ricovero 4 pazienti
erano in classe funzionale I sec. la New
York Heart Association (NYHA) I, 17 in
classe II e 12 in classe III.
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Tutti i pazienti sono stati sottoposti a coronarografia pre-operatoria per escludere la
possibilità di una coronaropatia associata.
Tutti i pazienti hanno dato il consenso,
informato, al protocollo di studio.
Protocollo ETT
All’ingresso in Ospedale, tutti i pazienti sono stati sottoposti a ETT ed ETE, utilizzando un Ecocardiografo HP Sonos
5500 (Agilent Technologies, Andover,
Mass), con protocollo standard, per valutare i diametri del ventricolo sinistro
(DTDVS, DTSVS) e i volumi (VTDVS, VTSVS), il fractional shortening (FS) e la
frazione di eiezione, con il metodo di Simpson (FE), le dimensioni dell’atrio sinistro
(AS), la fisiopatologia del prolasso valvolare e l’entità dell’IM, il flusso diastolico
transmitralico, il diametro dell’anello mitralico, l’insufficienza tricuspidale per calcolare la pressione sistolica in arteria polmonare (PAPs), applicando il principio di
Bernoulli e una stima presunta di pressione atriale destra di 10 mmHg.
L’ETE intraoperatorio è stato eseguito
prima del bypass cardiopolmonare (CPB)
per confermare i rilievi preoperatori e subito dopo l’intervento riparativo per controllare la continenza della valvola, il flusso
transvalvolare e l’assenza di LVOTO.
L’ETT è stato eseguito prima della dimissione per confermare i rilievi intra-operatori, verificare la funzione ventricolare ed
escludere la presenza di un eventuale versamento pericardico.
A distanza di 1 mese dalla dimissione e
di circa 20±5 mesi (range 12-44), tutti i
pazienti sono stati riesaminati con ETT.
Sono stati calcolati i seguenti parametri:
la continenza valvolare, il gradiente massimo e medio utilizzando la planimetria
del segnale di flusso diastolico rilevato con
Doppler CW, l’area valvolare con la formula del “pressure half-time”, il diametro
dell’anello, la PAPs, il VTDVS, il VTSVS,
la FE, la possibile presenza di LVOTO. I
calcoli sono espressione delle medie rilevate su 5 battiti in ritmo sinusale o di 7
battiti in fibrillazione atriale. Tutti gli
esami sono stati eseguiti da ecocardiografisti esperti e registrati su video-tape per
un possibile riesame delle immagini.
Tecnica chirurgica
La valvola mitrale è stata riparata durante CPB normotermico, dopo sternotomia mediana convenzionale. La protezione miocardica è stata assicurata con cardioplegia ematica calda intermittente anterograda. La valvola mitrale è stata
esposta attraverso una incisione parallela
al piano Waterston. In presenza di rotture
di corde tendinee del lembo posteriore è
stata eseguita una resezione quadrangolare del lembo. In assenza di qualsiasi
segmento “flail”, è stata escissa una parte
dello scallop mediano del lembo posteriore. Le altre porzioni del lembo posteriore
sono state staccate dall’anello fino al trigono e la loro altezza è stata ridotta in modo da lasciare un margine non più ampio
di 1-1.5 centimetri. Quindi il lembo posteriore è stato riattaccato all’anello usando
una sutura continua 4-0 Ethibond in modo da restringere la porzione posteriore
dell’anello (“sliding technique”). La continuità del lembo posteriore è stata ottenuta suturando le due estremità con suture
continue 4-0 Ethibond. L’anuloplastica posteriore è stata completata con un segmento di un graft di 3mm ∆ in gore-tex. Il
lembo anteriore è stato trattato chirurgicamente solo in presenza di una porzione
“flail” dovuta a rottura di corde tendinee,
attraverso l’inserzione di corde in goretex, passate attraverso i muscoli papillari
ed il margine libero del lembo “flail”. Solo
in 1 caso è stata effettuata una rivascolarizzazione miocardica, a causa di una coronaropatia associata.
Il tempo di CPB è stato di 66±25 min.; il
clampaggio aortico è stato di 50±19 min.
Analisi statistica
Il confronto di ciascun valore ricavato
dall’esame pre-operatorio con il valore riscontrato al controllo a 1 mese e al followup è stato effettuato usando il test di Student per dati appaiati. Le variabili continue sono state espresse come media ± deviazione standard (SD). E’ stata considerata significativa una p<0.05.
RISULTATI
L’ETT e l’ETE pre-operatori hanno evidenziato in tutti i 33 pazienti una IM di
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grado severo. Un prolasso del lembo posteriore della valvola mitrale, associato o
no a rotture di corde, era responsabile dell’insufficienza valvolare in tutti i pazienti.
In 3 pazienti era inoltre presente una rottura di corde del lembo anteriore. Era
inoltre presente una lieve dilatazione del
ventricolo sinistro (DTDVSD 62+ 5mm,
VTDVS 130+45ml) con funzione sistolica
ventricolare sinistra preservata (FE
58+10%) e un lieve aumento della PAPs
(42+16mmHg). I più significativi rilievi
pre-operatori dell’ETT sono riportati nella
Tabella I.
L’ETE intraoperatorio, prima del CPB,
ha confermato i rilievi pre-operatori. Dopo
lo svezzamento dal CPB, tutti i pazienti
erano in ritmo sinusale. L’ETE ha evidenziato una ottima coaptazione dei lembi, un
normale flusso diastolico transmitralico,
una IM minima o assente, l’assenza di
LVOTO. La durata della degenza è stata
di 8.5±2.5 giorni. Non si verificato nessun
decesso.
Alla dimissione, l’ETT ha evidenziato:
assenza di IM in 17 pazienti (52%), IM
trascurabile in 16 pazienti (48%), una
FEVS media di 52+7%. A 1 mese dalla dimissione, l’ETT ha evidenziato, in confronto con i dati pre-operatori, una significativa diminuzione dei diametri dell’AS
(p<0.001) e del VS, dei volumi del VS, del
FS e della FE, una significativa variazione del grado di IM, che risultava assente
in 17 e trascurabile in 16 pazienti; non si
rilevavano invece significative modificazioni dei parametri rispetto ai dati della
dimissione (Tabella I).
Al follow-up (media 20±5 mesi), tutti i
pazienti erano in condizioni emodinamiche stabili, 26 pazienti in classe NYHA I e
7 in classe II.
All’ETT, i rilievi rimanevano sostanzialmente immodificati, ad eccezione della
PAPs, che risultava significaticamente ridotta rispetto ai valori pre-operatori
(30+11mmHg vs 42+16mmHg ); 1 paziente con IM trascurabile al momento della
dimissione risultava avere una IM di grado lieve (Tabella I).
Tab. 1 - Ecocardiogramma pre-operatorio, a 1 mese e al follow-up (33 pts)
VARIABILE
AS (mm)
DTDVS (mm)
DTSVS (mm)
FS (%)
VTDVS (ml)
VTDVS (ml)
FE (%)
IM entità
PAPs (mmHg)
(3+/4+)
(0/1+/2+)
PRE-OPERATORIO
P
52+10
62+5
35+5
43+6
130 + 45
55 + 28
58+10
15/18
0/0/0
42+16
<0.001
0.01
ns
0.04
ns
ns
0.01
0.001
DISCUSSIONE
Nel corso degli ultimi anni sono state
sviluppate molte tecniche chirurgiche
per correggere l’insufficienza mitralica
nella malattia degenerativa, per estendere la fattibilità della riparazione a lesioni sempre più complesse e per ottimizzare la durata nel tempo dei risultati chi-
0.3
1
MESE
P
FOLLOW-UPGG.
47+5
56+6
35+6
36+5
120+32
55+20
52+7
0/0
17/16/0
37+12
ns
ns
ns
ns
ns
ns
ns
ns
43+6
52+8
34+10
35+10
112+55
56+21
55+13
0/0
17/15/1
32+11
ns
rurgici1-5. In Letteratura sono riportati
buoni risultati in termini di “event-free
survival” (tromboembolismo, emorragie
correlate alla terapia anticoagulante, endocarditi), funzione valvolare a riposo,
grado dell’IM residua e stabilità a lungo
termine della riparazione6-12. Tuttavia sono stati descritti anche alcuni problemi
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potenzialmente correlati alle tecniche
chirurgiche. In particolare il LVOTO,
causato dal movimento sistolico anteriore del lembo anteriore della valvola mitrale, che può verificarsi in presenza di
eccesso di tessuto dei lembi mitralici e da
un inadeguata dimensione dell’anello,
con il risultato di “a too small ring for a
too large anterior leaflet” 3. Inoltre nei
pazienti trattati con “double-orifice technique”27 è stata riscontrata una compromissione del flusso diastolico transmitralico, con un significativo aumento del
gradiente transvalvolare e della PAPs
durante esercizio fisico. Inoltre, usando
un anello rigido, è stata riscontrata una
compromissione della dinamica dell’anello ed una scarsa modificazione della FE
del VS, correlata all’esercizio fisico28-29.
Infine, quando si usa il pericardio per
l’anuloplastica posteriore, è stata osservata a distanza di tempo una calcificazione dell’anello30-31.
L’ETT è la più comune ed usata tecnica
diagnostica per valutare la dinamica e la
funzione valvolare mitralica in fase preoperatoria, mentre l’ETE viene abitualmente utilizzata intraoperatoriamente
per la valutazione immediata dei risultati
della riparazione valvolare.
Il nostro studio ha arruolato 33 pazienti con M. di Barlow e IM significativa. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a
riparazione chirurgica “anatomica”, supportata da anuloplastica posteriore, con
un segmento di tubo di 3mm ∆ in goretex. Questa tecnica ha lo scopo di preservare la configurazione morfologica, non
planare, dell’anello mitralico, preservando la sua fisiologia e la sua dinamica, rispettando l’interazione anatomica e funzionale valvolo-ventricolare e di evitare
la comparsa di LVOTO.
I nostri risultati hanno confermato l’efficacia, la stabilità e la durata nel tempo
della riparazione della valvola mitrale,
usando questa tecnica chirurgica, come
dimostrato dalla valutazione ecocardiografica intra-operatoria, a 1 mese e al follow-up a medio termine. Una ulteriore
conferma dei buoni risultati chirurgici è
stata data dal significativo miglioramento
della classe funzionale in tutti i pazienti.
Il nostro studio conferma i dati già presenti in Letteratura, dove molti studi e
con dati di follow-up hanno dimostrato
che la riparazione della valvola mitrale è
una tecnica sicura e riproducibile, che i risultati sono stabili nel tempo e con un
basso rischio di reintervento, che si ottiene una diminuzione del DTSVS e del VTSVS, un miglioramento della funzione
ventricolare sinistra e che molti pazienti
ritornano in classe funzionale I-II. Inoltre
tutti questi studi hanno dimostrato che la
riparazione della valvola mitrale non solo
elimina l’insufficienza valvolare, ma è
gravata da minori complicanze, rispetto
alla sostituzione della valvola6-9.
LIMITI DELLO STUDIO
Il nostro studio ha preso in considerazione un numero limitato di pazienti; pertanto l’analisi statistica potrebbe essere
stata condizionata sfavorevolmente dall’inappropriato campione dello studio.
Sarebbe necessario, ed è in corso, un più
lungo follow-up clinico ed ecocardiografico
per confermare ulteriormente la stabilità
dei risultati nel tempo.
CONCLUSIONI
La correzione “anatomica” dell’IM, secondaria a estesa degenerazione mixomatosa dei lembi, ha un favorevole impatto
sulla funzione valvolare a breve e medio
termine, valutata con ETT. Infatti al follow-up si dimostra una significativa riduzione delle dimensioni dell’AS e del VS ed
una assente o minima insufficienza valvolare residua.
L’ETT e l’ETE si confermano tecniche
fondamentali e insostituibili nella valutazione pre-, intra- e post-operatoria.
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____
Per richiesta estratti:
Prof. Giovanni Minardi, via Sebino, 11 - 00199 Roma
Tel/Fax 0039-0685302557 E-mail: [email protected]
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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007
FOLLOW-UP CLINICO E RESPIRATORIO IN UN CAMPIONE
DI BAMBINI NATI PRETERMINE AFFETTI DA DISPLASIA
BRONCOPOLMONARE (BPD)
CLINICAL AND RESPIRATORY FOLLOW-UP OF A PREMATURE
NEWBORN SAMPLE WITH BRONCHOPULMONARY DYSPLASIA
ILARIA PROIETTI, GABRIELLA PELLEGRINI
U.O.C Neonatologia con TIN - Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
RIASSUNTO: 30 neonati pretermine con un peso alla nascita compreso tra 500 e 1500 grammi
e un’età gestazionale(EG) tra 25 e 30 settimane sono stati presi in esame e suddivisi in 2 gruppi:
un gruppo con una diagnosi di Displasia Broncopolmonare (BPD) e un gruppo di controllo con diagnosi di Sindrome da Distress Respiratorio (RDS). Lo studio si pone il duplice obbiettivo di verificare, in questa popolazione di neonati, l’incidenza dei fattori di rischio della BPD intrinseci (EG,
peso alla nascita, sesso) ed estrinseci (dotto arterioso pervio, sepsi, leucomalacia periventricolare, emorragia intraventricolare) e di valutare, nel follow-up a due anni, in entrambi i gruppi a
confronto, l’incidenza di patologia respiratoria con gli eventuali episodi di riospedalizzazione ad
essa collegati e l’andamento dei parametri auxologici (peso, lunghezza e circonferenza cranica).
Parole chiave: Prematurità. Displasia broncopolmonare. Sindrome da distress respiratorio.
SUMMARY: 30 preterm newborns with a weight between 500 and 1500 grams and GA (gestational age) between 25 and 30 weeks were considered and divided into 2 groups: one group with
a diagnosis of BPD (Broncopulmonary Dysplasia) and a control group with a diagnosis of RDS
(Respiratory Distress Syndrome). The purpose of this study was to verify, with this population of
newborns, the incidence of risk factors of BPD intrinsic (GA, weight at birth, sex) and extrinsic
(patent ductus arteriosus, sepsis, periventricular leucomalacia, intraventricular hemorrage) and
to evaluate, in the follow-up at two years, in both groups, the incidence of respiratory pathology
with re-hospitalization episodes that are related and the improvement of height, weight and cranial circumference.
Key words: Premature birth. Bronchopulmonary dysplasia. Respiratory distress syndrome.
INTRODUZIONE
Bancalari che suggerì 3 criteri diagnostici:
La BPD è la più importante complicanza respiratoria a lungo termine della prematurità. Il termine di BPD fu per la prima volta introdotta da Northway nel 1967
per identificare una forma di patologia
polmonare cronica cui andavano incontro
alcuni neonati pretermine, con RDS alla
nascita, trattati con ventilazione meccanica ed elevate concentrazioni di O2 per più
di 150 ore. Northway identificò 4 stadi clinici della malattia sulla base di criteri radiografici e anatomo-patologici1. La definizione fu successivamente modificata da
• necessità di Ventilazione a Pressione
Positiva Intermittente (IPPV) durante
la prima settimana di vita per un minimo di 3 giorni;
• O2-dipendenza per più di 28 giorni per
mantenere una PaO2 > 50 mmHg;
• evidenza alla RX del torace di bande
radiopache alternate ad aree di aumentata trasparenza2.
Nello stesso anno Edwards e in seguito
Tooley definirono per la prima volta questa patologia non come BPD, bensì come
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“malattia polmonare cronica” (CLD), tenendo conto più delle manifestazioni cliniche (tachipnea, rientramenti intercostali,
rantoli all’auscultazione), che dell’eziologia del danno polmonare e dei criteri radiografici3.
Secondo Shennon per definire un neonato affetto da BPD, bisognava considerare l’O2 dipendenza fino a 36 settimane post-concezionali, che prediceva con maggiore sensibilità e specificità la morbilità a
lungo termine4. Recentemente nel 2001
nel Workshop, sponsorizzato dal National
Institute of Health and Human Development (NICHD), sono stati definiti i nuovi
criteri diagnostici della BPD e cioè:
• O2-dipendenza a 36 settimane di età post-concezionale corretta;
• somministrazione di O2 >21% per almeno 28 giorni5.
A quest’ultima definizione appartengono i neonati considerati in questo studio6-13.
OBIETTIVI
L’obbiettivo di questo studio è duplice:
1) verificare l’incidenza dei fattori di rischio intrinseci ed estrinseci della BPD in
una popolazione di 30 neonati pretermine
con un peso alla nascita compreso tra 500
e 1500 grammi e un’EG tra 25 e 30 settimane suddivisi in 2 gruppi: un gruppo con
una diagnosi di BPD e un gruppo di controllo con diagnosi di RDS;
2) valutare, nel follow-up a due anni, in
entrambi i gruppi di neonati a confronto:
• l’incidenza di patologia respiratoria e di
episodi di riospedalizzazione ad essa
collegati;
• l’andamento dei parametri auxologici:
peso, lunghezza e circonferenza cranica.
MATERIALI E METODI
Per questo studio sono stati selezionati
30 pazienti nati presso l’Ospedale San Camillo di Roma dal 1° Gennaio 2001 al 31
Dicembre 2004, tra la 25a e la 30a settimana di EG e con un peso alla nascita compreso tra 500 e 1500grammi.
Si è scelto di effettuare uno studio retrospettivo caso-controllo.
I 15 “casi” (9 femmine e 6 maschi) sono
stati dimessi dalla Terapia Intensiva Neonatale con una diagnosi di BPD (O2-dipendenza a 36 settimane di età corretta e/o
somministrazione di O2 > 21% per almeno
28 giorni) e i 15 “controlli” (8 maschi e 7
femmine) sono stati presi random tra tutti i nati negli stessi anni con i medesimi
requisiti di EG e peso, non affetti da BPD
ma con una storia di RDS.
Sono stati esclusi da questo studio i neonati piccoli per l’età gestazionale (Small for
Gestational Age, SGA), con peso alla nascita inferiore al 10° centile, i neonati trasferiti precocemente ad altro ospedale, quelli
affetti da malformazioni congenite gravi,
tali da rappresentare di per sé una causa di
morte o un fattore preponderante nel determinare l’outcome a lungo termine (es.:
anomalie cromosomiche).
I neonati dimessi dalla TIN sono stati
seguiti in follow-up evolutivo per 24 mesi
di età corretta.
Nei 30 neonati presi in esame, tutti “inborn”, sono stati analizzati i parametri di
seguito elencati.
Il peso alla nascita e alla dimissione è
stato rilevato mediante bilancia elettronica pesa neonati con arrotondamento a 5
grammi.
L’età gestazionale è stata espressa in
settimane compiute, come raccomandato
dall’OMS6, in base alla migliore stima
ostetrica: quando l’età postmestruale non
era corrispondente a quella ecografica,
quest’ultima è stata considerata miglior
stima se la prima ecografia è stata effettuata entro le 12 settimane.
La valutazione della crescita è stata effettuata tenendo in considerazione gli
standard antropometrici neonatali utilizzati nelle tabelle auxologiche della Lubchenco.
La rottura delle membrane è stata considerata in ore prima del parto prendendo
come valore soglia le 18 ore.
La profilassi corticosteroidea, per l’induzione della maturazione polmonare, è
stata considerata completa se alla madre
erano state somministrate due dosi di cortisonico i.m. 24 ore prima del parto.
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L’indice di APGAR è stato attribuito a 1
e 5 minuti.
Per ventilazione convenzionale si è inteso una ventilazione a pressione continua intermittente (IPPV) mediante respiratori Babylog e VipBird.
Per NCPAP si è inteso l’utilizzo di pressione positiva continua attraverso le nasocannule.
La dose di surfactante è stata valutata
indipendentemente dalla dose somministrata e dalla distanza dal parto.
Sono stati considerati affetti da RDS i
neonati che presentavano contemporaneamente una PaO2 < 50 mmHg in aria,
cianosi in aria o richiesta di supplementazione di O2 per mantenere una PaO2 > 50
mmHg. con RX torace compatibile con la
diagnosi di RDS (ipoespansione, aspetto
dei campi polmonari reticolo-granulare
con o senza broncogramma aereo).
Per i neonati affetti da BPD sono state
calcolate le ore totali di ossigeno-dipendenza durante la degenza, quelle in cui
l’ossigeno veniva erogato in una percentuale ≥ 40%, la somministrazione di cortisonici e diuretici e la presenza di retinopatia della prematurità (ROP).
Un neonato è stato considerato affetto
da pervietà del dotto arterioso (PDA) se vi
era un’evidenza ecografica di PDA con
shunt sin-dx documentato.
Sono stati considerati affetti da sepsi
batterica “sospetta” i neonati che presentavano una sintomatologia compatibile
(apnea, instabilità della temperatura, difficoltà di alimentazione, peggioramento
del distress respiratorio o instabilità emodinamica) e contemporaneamente neutrofilia o neutropenia e PCR aumentata, e da
sepsi batterica “certa” in caso di isolamento nel sangue o nel liquor di un microrganismo patogeno. Abbiamo considerato la
sepsi “precoce”, quando insorta entro il 3°
giorno e “tardiva” se insorta dopo 3 giorni
di vita.
Per la valutazione della ROP è stata
eseguita l’oftalmoscopia indiretta, ma ai
fini di questo studio non si è tenuto conto
della suddivisione nei 3 stadi clinici della
malattia.
19
Per emorragia intraventricolare (IVH)
si è intesa la presenza di sangue all’interno dei ventricoli con o senza dilatazione
ventricolare ed emorragia intraparenchimale.
Per leucomalacia periventricolare (LPV)
si è intesa la presenza di cisti periventricolari multiple.
L’alimentazione è stata valutata alla
dimissione, registrando se il bambino assumeva latte materno in modo esclusivo o
parziale o se veniva alimentato con latte
in formula.
Il follow-up dei 30 pazienti è stato effettuato con visite ambulatoriali periodiche e condotto fino all’età corretta di 2
anni.
Durante questo periodo sono stati effettuati i controlli clinici fondamentali (respiratori, cardiaci, neurologici) e valutato
l’andamento del peso, lunghezza e circonferenza cranica.
Inoltre, dove presenti, sono state individuate e valutate le patologie respiratorie più frequentemente associate a BPD, e
gli eventuali ricoveri ad esse riconducibili.
Si sono poi confrontati i risultati di queste
ultime valutazioni con quelli riportati in
letteratura.
I dati presi in considerazione sono stati tratti dalle cartelle cartacee dei ricoveri
ordinari e delle successive visite presso
l’ambulatorio di follow-up Neonatale dell’Ospedale San Camillo di Roma.
RISULTATI
Nel 2003-2004 si è realizzato nella regione Lazio un progetto che ha richiesto la
collaborazione di tutti i centri TIN e che
ha permesso di conoscere le modalità di
accesso alle cure dei parti e dei nati pretermine e le caratteristiche di questi ultimi7. In base ai dati forniti dall’Agenzia di
Sanità Pubblica, dal 1° gennaio 2003 al 31
Dicembre 2004 sono nati vivi nella regione Lazio 599 neonati con un peso alla nascita ≤ 1500g e un’EG compresa tra la 25a
e la 30a settimana.
L’incidenza di BPD in questa popolazione di neonati è pari al 7%.
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Fig. 1 - Incidenza della BPD nella Regione Lazio dal 1° Gennaio 2003 al 31 Dicembre 2004
Come si può notare, la frequenza di
BPD è considerevolmente più alta nelle
classi di peso ed età gestazionale più basse in accordo con i dati della letteratura
relativi agli stessi anni.
Per l’analisi dei fattori di rischio della
patologia associata alla BPD e dei parametri auxologici a distanza questo studio
ha considerato oltre ai nati nel biennio
2003-2004, anche i nati nei biennio precedente in modo da reclutare 15 neonati
affetti da BPD e 15 affetti da RDS, paragonabili per EG, peso e sesso (Tab. 1).
L’EG è in media 27 settimane in entrambi i gruppi, il peso medio alla nascita
è pari a 824g nei casi e pari a 899g nei
controlli, valore non significativo.
Nel gruppo degli affetti da BPD le femmine rappresentano il 60%, ma la differenza tra i due gruppi non è significativa.
La somministrazione di steroidi alla
madre, per la profilassi dell’RDS, è stata
eseguita in 12 casi (80%) e 10 controlli
(66%) con una p=0,651.
Nel 40% dei casi e nel 20% dei controlli (p=0,480) si è verificata una PROM superiore a 18 ore.
Una condizione di asfissia neonatale
(punteggio di Apgar, a 1 minuto, inferiore
o uguale a 3) si è verificata in 10 casi e in
7 controlli che per tale motivo sono stati
intubati in sala parto. Nell’86% dei casi e
nel 66% dei controlli è stato somministrato surfactante per via endotracheale; di
questi, in 2 casi e in 3 controlli, con la tecnica “INSURE” (INtubazione-SURfactante-Estubazione).
Tutti i casi di BPD sono stati sottoposti
a ventilazione meccanica convenzionale
per una durata media di 19,3 giorni; mentre fra i controlli, soltanto 8 sono stati sottoposti a ventilazione meccanica per una
durata media di 8,7; il valore di p=0,04 è
statisticamente significativo.
La somministrazione di ossigeno è stata necessaria nei pazienti con BPD per
una durata media di 74 giorni mentre negli affetti da RDS per una durata media di
15 giorni con una valore di p=0,004, statisticamente significativo.
I giorni totali di NCPAP sono stati in
media 14 nei neonati affetti da BPD e 6
nei neonati RDS (p=0,03). Anche questa
differenza è risultata statisticamente significativa.
Fra i neonati con BPD la media dei
giorni di degenza è stata 109 giorni, fra i
controlli 88 giorni con un valore di p=0,07.
I valori sopra menzionati sono riportati nella tabella 2.
Tab. 1 - Valore medio + DS del peso, dell’EG e del n. maschi/femmine nei due gruppi
di neonati considerati
ETÀ GESTAZIONALE
(settimane)
PESO ALLA NASCITA (kg)
SESSO (M/F)
BPD (n=15)
RDS (n=15)
Valore di p
27,2 ± 1,70
0,824 ± 0,21
6/9
27,67 ± 1,72
899 ± 0,25
8/7
0,40
0,38
0,72
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Tab. 2 - Durata in giorni (media ±DS) della ventilazione meccanica, di O2 terapia, di
NCPAP e di ricovero nei due gruppi di neonati a confronto
BPD (n=15)
gg. DI VENTILAZIONE MECCANICA 19,3 ± 16,9
gg. DI O2-TERAPIA
74,8 ± 36,1
gg. DI NCPAP
14 ± 11,9
gg. DI RICOVERO
109,4±32,3
RDS (n=15)
7,73 ± 13
15,1 ± 16
6,13 ± 7,70
88,4±30,3
Valore di p
0,04
0,004
0,03
0.07
L’incidenza dei fattori di rischio estrinseci nei due gruppi è riportata nella tabella 3.
Tab. 3 - Tipi di patologie nei due gruppi di neonati a confronto
PDA
SEPSI
PDA+SEPSI
LPV
IVH
BPD (n=15)
73,3%
33,3%
33,3%
26,6%
6,6%
Il PDA è stato riscontrato nel 73,3% dei
neonati con BPD e nell’ 86,6% di quelli con
RDS con un valore di p=0,667. E’ stato necessario un intervento per la chiusura chirurgica del dotto in 2 neonati con BPD e in
1 controllo, mentre in tutti gli altri neonati la chiusura del dotto è stata indotta farmacologicamente.
La sepsi è stata riscontrata in 5 neonati (33,3%) con BPD e in 4 neonati con RDS
(26%), con una differenza non statisticamente significativa. La presenza associata di PDA e sepsi si è verificata in 5 casi
(33,3%) e in nessun controllo con una p
pari a 0,05, differenza pertanto significativa.
RDS (n=15)
86,6%
26,6%
0%
33,3%
0%
Valore di p
0,66
0.98
0,05
0,98
0,90
Hanno sviluppato una LPV il 40% dei
casi (n=6) e il 33,3% dei controlli (n=5),
differenza non significativa.
1 tra i 15 neonati affetti da BPD e nessuno di quelli affetti da RDS ha avuto una
IVH.
Il peso, la lunghezza e la circonferenza
cranica rilevati al momento della dimissione non rivelano differenze significative:
il peso alla dimissione è lievemente superiore nei bambini con BPD, ma tale parametro è molto verosimilmente imputabile
al periodo di degenza più prolungato in
questi bambini rispetto a quello dei controlli (tabella 4).
Tab. 4 - Peso, lunghezza e circonferenza cranica dei due gruppi di neonati, alla dimissione
Peso (kg)
Lunghezza (cm)
Circonferenza Cranica (cm)
BPD (n=15)
2,59 ± 0,5
45,2+2,97
33,1 ± 2,04
RDS (n=15)
2,41 ± 0,15
46,8 ± 3,1
33,3 ± 1,1
Valore di p
0,18
0,16
1
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L’andamento dei parametri ponderostaturali e della circonferenza cranica
(CC) è stato valutato a 6-12-18-24 mesi di
età corretta con visite ambulatoriali ad intervalli di tempo regolari di circa 6 mesi.
A sei mesi di età corretta il peso medio
del gruppo con BPD è di 5,75 kg mentre i
controlli hanno un peso medio di 6,9 kg
(p=0,02). La lunghezza media è nel primo
gruppo di 61,8 cm e nel secondo 65 cm
(p=0,05).
Alla fine del primo anno, quando il peso di un bambino sano a termine è intorno
ai 10kg, il valore medio del peso dei bambini con BPD è 7,8kg e 10 bambini su 15
hanno un peso inferiore al 10°centile. Il
peso medio nei controlli è 9,03kg.
A 18 mesi il peso medio è di 9,15kg nei
casi e 10,78kg nei controlli, la lunghezza
76,7 cm nei primi e 81 cm nei secondi.
Queste differenze sono entrambe risultate
significative (p=0,08 per il peso; p=0,005
per l’altezza).
A 2 anni si conferma nuovamente un
accrescimento ampiamente sotto la norma
nei bambini affetti da BPD il cui peso medio non raggiunge i 10kg e il 60% si trova
ancora sotto il 10° centile. Nei bambini
che hanno presentato alla nascita una
RDS,invece, la crescita è decisamente migliore e l’80% ha un peso e un’altezza tra
il 10° e il 90° centile.
Le tabelle (Tabb. 5, 6 e7) e i grafici seguenti (Fig. 3, 4 e 5) riassumono i risultati.
Tab. 5 - Valore medio del peso, in kg, nei due gruppi considerati a 6-12-18-24 mesi
MESI
6
12
18
24
BPD
5,75 ±1,02
7,83 ± 1,43
9,15 ±1,46
9,98 ±1,58
RDS
6,9 ±1,49
9,03 ± 1,78
10,78 ± 1,65
11,64 ± 1,71
Valore di p
0,02
0,02
0,008
0,01
Tab. 5 - Valore medio dell’altezza, in cm, nei due gruppi considerati a 6-12-18-24 mesi
MESI
6
12
18
24
BPD
61,80 ± 4,229
70,68 ± 4,73
76,73 ± 4,04
79,82 ± 3,67
RDS
65,03 ± 4,48
73,46 ± 3,41
81,03 ± 3,61
85,56 ± 3,14
Valore di p
0,05
0,07
0,005
0,001
Tab. 5 - Valore medio della circonferenza cranica, in cm, nei due gruppi considerati
a 6-12-18-24 mesi
MESI
6
12
18
24
BPD
41,63 ± 1,98
44,16 ± 2,11
45,86 ± 1,80
46,85 ± 1,72
RDS
42,30 ± 1,72
45,43 ± 1,85
47,28 ± 1,92
47,78 ± 1,92
Valore di p
0,334
0,09
0,04
1
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Fig. 3 - Accrescimento ponderale nei due gruppi rispetto ai mesi (età corretta)
Fig. 5 - Circonferenza cranica nei due gruppi
rispetto ai mesi(età corretta)
23
Fig. 4 - Accrescimento staturale nei due gruppi rispetto ai mesi(età corretta)
La profilassi con anticorpi monoclonali
umanizzati (palivizumab, Synagis®) contro il virus respiratorio sinciziale (VRS), è
stata somministrata nell’80% dei neonati
affetti da BPD e nel 66% di quelli con
RDS. La prima somministrazione è stata
effettuata all’inizio della stagione invernale, seguita da altre 4-5 somministrazioni a distanza di 1 mese l’una dall’altra.
Le patologie respiratorie che si sono osservate con maggior frequenza nei 2 anni
di follow-up sono state la bronchiolite, con
una percentuale del 40% nei bambini con
BPD e del 6,6% nei controlli, la bronchite
asmatica con una percentuale del 20% in
entrambi i gruppi e la broncopolmonite,
diagnosticata nel 26,6% dei casi e in nessun controllo. Il dato fortemente significativo che va sottolineato è che per il 53,3%
dei bambini con BPD è stato necessario un
successivo ricovero (2 bambini anche più
di uno) a causa delle patologie respiratorie
infettive sopra menzionate.
In nessuno dei controlli si sono effettuati ricoveri per tali patologie. (p=0,004).
Tab. 5 - Patologie respiratorie e riospedalizzazioni ad esse collegate
PROFILASSI PER VRS
BRONCOPOLMONITE
BRONCHITE ASMATICA
BRONCHIOLITE
RIOSPEDALIZZAZIONI
BPD (n=15)
80%
26,6%
20%
40%
53,3%
RDS (n=15)
66%
0%
20%
6,6%
0%
Valore di p
0,651
0,1
1
0,07
0,004
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DISCUSSIONE
Dall’elaborazione dei dati considerati
nel presente studio è emerso che la frequenza della BPD in una popolazione di
neonati di peso alla nascita tra 500 e
1500g ed un’ EG compresa tra 25 e 30 settimane, è stata nella regione Lazio, negli
anni 2003-2004, del 7%.
Tale valore del 7% è comunque in linea
con parte delle casistiche riportate in letteratura8, anche se l’incidenza di BPD riportata in altri studi epidemiologici varia
ampiamente9. Ciò è probabilmente da
mettere in relazione all’eterogeneità dei
campioni numerici degli studi riportati in
letteratura, ai diversi livelli assistenziali
nelle varie TIN, al diverso grado di aggressività nel praticare la ventilazione assistita e l’O2 terapia, ai diversi target di
ossigenazione ritenuti accettabili dai vari
clinici.
Analizzando inoltre la frequenza di
BPD suddivisa per classi di peso e per EG
si osserva la sua prevalenza fra i nati di
peso estremamente basso alla nascita e
con EG inferiore a 27 settimane. Questo
dato è riportato in maniera unanime in
tutta la letteratura10.
Nonostante nell’80% dei casi e nel 66%
dei controlli sia stata eseguita la profilassi corticosteroidea prima della nascita e,
nell’86% dei casi e nel 66% dei controlli,
sia stato somministrato surfactante postnatale per la prevenzione dell’RDS il
100% dei neonati ha comunque manifestato una RDS iniziale, anche se in alcuni
controlli, in forma più lieve. Questo conferma quanto già descritto in letteratura
circa l’introduzione nella pratica clinica
della profilassi prenatale con cortisone e
del surfactante somministrato dopo la nascita: tali presidi terapeutici, pur diminuendo la gravità della patologia respiratoria, non la prevengono del tutto; inoltre,
permettendo una maggiore sopravvivenza
dei neonati gravemente pretermine potrebbero determinare un aumento della
frequenza di BPD10.
Questo studio caso-controllo conferma
l’importanza di alcune condizioni perinatali correlate all’insorgenza della BPD.
Tra i fattori di rischio intrinseci è da
sottolineare ancora una volta che tanto
più bassi sono il peso e l’EG, tanto maggiore è il rischio di BPD.
Per quanto riguarda il sesso, la letteratura riporta un’incidenza più alta nei maschi rispetto alle femmine11, cosa che non
si è verificata in questo studio, dove al
contrario nel gruppo di neonati affetti da
BPD le femmine sono risultate la maggioranza. Ciò è da riportare presumibilmente al numero limitato dei casi presi in considerazione
L’analisi dei fattori di rischio estrinseci
ha permesso di verificare differenze significative tra i due gruppi sia per quanto riguarda i giorni totali in cui è stato somministrato ossigeno (p=0,004) sia per i
giorni totali in NCPAP (p=0,03) e in IPPV
(p=0,04)
La presenza del PDA nei casi non si è
rivelata significativa in disaccordo con
quanto riportato in letteratura12, se non in
associazione con la sepsi (p=0.05)
Sia la LPV sia l’ IVH non si sono mostrate statisticamente più frequenti nel
gruppo dei neonati con BPD.
La ROP, che colpisce in genere i neonati con un peso alla nascita inferiore a
1500g, sottoposti a ventilazione meccanica e ossigeno-dipendenti per un lungo periodo di tempo, solo in un caso ha raggiunto uno stadio di gravità tale da rendere necessario un intervento di fotocoagulazione.
La letteratura riporta una considerevole diminuzione dell’insorgenza di infezioni
delle alte e basse vie respiratorie nei primi due anni di vita in seguito alla somministrazione di anticorpi monoclonali antiVRS.
In questo studio la frequenza delle infezioni respiratorie si è mantenuta relativamente bassa confermando i dati della
letteratura sopra menzionati.
Il dato che emerge nel nostro studio è
che il numero di bambini affetti da BPD,
che hanno richiesto nuovi ricoveri ospedalieri a causa di un deterioramento acuto
della situazione respiratoria provocato da
un’infezione, è significativamente superiore a quello dei controlli (p=0,004).
Tutti i neonati di questo studio sono
stati dimessi dopo almeno 1-2 settimane
di sospensione dell’O2-terapia, se in grado
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di alimentarsi adeguatamente , in assenza di crisi di apnea/desaturazione e con
una crescita soddisfacente, di regola
quando si siano raggiunti almeno i 2kg di
peso.
A 40 settimane di età corretta, circa il
70% di questi neonati ha presentato valori
di peso e lunghezza inferiori al 3° centile.
A sei mesi di età corretta il 60% dei casi
si trova tra il 3° e il 9° centile per peso e
lunghezza e il 40 % sotto il 3° centile, mentre quasi il 50% dei controlli ha un peso e
una lunghezza tra il 10° e il 50° centile.
A 12 mesi di età corretta più del 60%
dei bambini con BPD ha un peso inferiore
al 10° centile, mentre il 50% dei controlli
si trova tra il 10° e il 50° centile e il 26%
ha addirittura superato il 50° centile.
A 18 mesi di età corretta ancora più del
50% dei casi si trova sotto il 10° centile sia
come peso che come lunghezza.
A 2 anni di età corretta il peso medio
dei bambini affetti da BPD è 9,98 kg;
mentre nei controlli il peso medio ha quasi raggiunto i 12 kg. Questa differenza è
risultata significativa.
CONCLUSIONI
Considerando quanto esposto e quanto
emerso dall’elaborazione dei dati si può
affermare che l’incidenza di BPD nei neonati con peso alla nascita tra 500 e 1500g,
nati nel biennio 2003 al 2004 nella Regione Lazio è in linea con quella riportata in
Letteratura.
Questo studio caso-controllo ci dimostra che la sola prematurità non incide significantemente sullo sviluppo della BPD.
Risultano di fondamentale importanza
nell’incidenza della BPD altri fattori quali il peso alla nascita, le ore di ventilazione meccanica, la durata dell’O2-terapia e
la pervietà del dotto arterioso associato alla sepsi. La gestione dei neonati di basso
peso alla nascita,quindi, prevede l’adozione di tecniche di ventilazione sempre meno invasive, la riduzione al minimo delle
ore totali di ventilazione, la chiusura precoce del dotto arterioso e la prevenzione
delle condizioni di infezione prenatale (corionamniotite) e postnatale (sepsi).
Tra le complicanze è da segnalare l’alta
frequenza di ROP nei bambini con BPD;
25
fortunatamente nella maggior parte dei
casi la patologia è regredita completamente.
La dimissione dei neonati deve avvenire quanto prima possibile per evitare le
lunghe ospedalizzazioni, che incidono sia
sulla loro salute, che sui costi del ricovero,
e per favorire l’inserimento del bambino
nell’ambiente familiare. È importante
consigliare alla famiglia una serie di norme comportamentali tra cui il divieto assoluto di fumare in casa, l’allontanamento
del bambino da ambienti comunitari, l’uso
di mascherine in caso di infezioni respiratorie nei familiari, la profilassi delle malattie infettive con le vaccinazioni, scoraggiando la frequenza in asili nido agli eventuali fratelli fino a che il paziente non abbia compiuto almeno 2 anni.
Valutando l’incidenza della patologia
respiratoria nei primi 2 anni di vita, si è
osservato una maggiore incidenza di episodi di bronchiolite e broncopolmonite nei
soggetti affetti da BPD rispetto ai neonati
senza BPD. Questo mette la BPD, al primo posto come causa essenziale nel determinare l’aumento della frequenza di patologie delle alte e basse vie respiratorie e
delle riospedalizzazioni.
La BPD, rispetto alla RDS, sembra influenzare, nelle sue forme più gravi, sia
l’accrescimento ponderale che staturale
nei primi 2 anni di vita, mentre la circonferenza cranica è risparmiata mantenendosi, più frequentemente, nei limiti della
norma.
Si può supporre che la differenza di crescita tra i bambini affetti da BPD e quelli
del gruppo di controllo possa ricondursi ad
una diminuzione dell’ossigenazione emoglobinica e tissutale dei primi rispetto ai
secondi.
Infatti, essendo la SaO2tc di regola13 ridotta nei soggetti con BPD ed essendo la
crescita garantita con una SaO2tc tra il 90
e il 100% si può ipotizzare che sia proprio
questa riduzione a determinare il minor
accrescimento.
Può, quindi, risultare utile, durante le
visite di follow up, oltre che rilevare i parametri auxologici, monitorare anche i valori della SaO2tc così da confermare questa ipotesi.
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Si sottolinea, inoltre, l’importanza di
condurre uno studio prospettico caso-controllo aggiungendo, ai parametri fino ad
ora utilizzati nei follow up dei bambini
con BPD, la valutazione prolungata nelle
24h della SaO2tc.
BIBLIOGRAFIA
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Membrane Disease:Bronchopulmonary dysplasia. N Engl J Med. 1967; 276: 357-68
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Res 2001; 49: 882A
13. The IMPACT-RSV Study Group. Palivizumab,
a humanized RSV monoclonal antibody, reduces hospitalization from RSV infection in
high-risk infants Pediatrics 1998; 104: 531.
____
Per richiesta estratti:
Dott.ssa Ilaria Proietti, Via Gallese, 30 - 00189 Roma
Tel. ab.: 0633251917 - Fax: 0633251917; cell. 3287477400
email: [email protected]
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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007
CARDIO-RM: TECNICA E METODOLOGIA
DELLO STUDIO MORFOLOGICO DEL CUORE
E DELLA CINETICA CARDIACA
CARDIAC MRI: TECHNIQUE AND METHODOLOGY
IN THE ASSESSMENT OF CARDIAC MORPHOLOGY AND FUNCTION
ANDREA CORTESE1, ALESSIO BAIONI1, CLAUDIO BAIONI1, STEFANO BAIONI1,
BRUNO COSENTINO1, CARLA MANZARA2, PAOLO MATTIA1
1
Radiologia Centrale. 2 UTIC
Azienda Opsedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
RIASSUNTO: La Risonanza Magnetica non è ancora di uso comune nella Diagnostica per Immagini delle malattie cardiovascolari; è peraltro riconosciuta come utile integrazione alle altre
metodologie. L’implementazione tecnologica, insieme all’uso del mezzo di contrasto ed alla riduzione dei tempi di esecuzione dell’esame, ne hanno accresciuto le possibilità di impiego. La Risonanza Magnetica è peraltro indispensabile nello studio del ventricolo destro, la cui particolare
forma rende imprecise le tecniche di misurazione volumetrica con assunzioni geometriche.
Parole chiave: Malattie cardio-vascolari. RM.
SUMMARY: MRI is a useful and powerful tool in diagnostic of cardiovascular disease. Even if is
not a first choise in practiacl clinic, MRI can give important information as an integration of a
diagnostic track. The techinacal implementation, with new sequences and the use of paramagnetic contrast agent, has reduced the scan time and widened the indications. Particularly important is in the differential diagnosis of hybernating myocardium, between primary or postischemic dilated cardiomyopathy, and expecially useful in the diagnosis of arrhytmogenic right
ventricular displasia cardiomiopathy.
Key words: Cardiology. Magnetic Resourance Imaging.
IMAGING CARDIACO: GENERALITÀ
La Risonanza Magnetica (RM), tradizionalmente ritenuta metodica “lenta”, si
propone oggi nello studio del sistema cardiovascolare per l’implementazione di
nuove sequenze di impulsi, che ottimizzano la rappresentazione morfologica delle
cavità cardiache, riproducendone fedelmente la cinetica.
La RM non è ancora indagine di prima
scelta nella routine clinica cardiologica,
poiché l’ecocardiografia è di prima istanza
per lo studio morfologico del cuore (forma,
spessore delle pareti e delle valvole cardiache, volumetria e parametri funzionali), fornendo nella maggior parte dei casi
informazioni diagnostiche e qualità di im-
magini sufficienti a soddisfare le necessità cliniche.
Le tecniche Doppler consentono valutazioni sul flusso ematico cardiaco.
L’ecocardiografia è sicuramente efficace in termini di costo e tempi di esecuzione ma è ancora operatore-dipendente e
soffre delle problematiche relative alla finestra acustica del paziente.
Inoltre, presenta alcune limitazioni
nella precisa quantificazione della volumetria cardiaca, soprattutto per quanto
riguarda il ventricolo destro, ed in tutti
quei casi in cui estese anomalie della cinesi distrettuale (aneurismi ventricolari,
rimodellamento…) rendono difficile e poco
accurata la valutazione di una FE (frazione di eiezione) attendibile. La RM, con la
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sua capacità di esplorare le strutture cardiache su tutti i piani dello spazio, permette quasi sempre un’accurata e precisa
valutazione della FE ed è metodica di prima scelta per l’esplorazione funzionale del
ventricolo destro, la cui particolare e complessa geometria rende la valutazione ecocardiografica particolarmente difficile e
poco accurata, tanto che, a tutt’oggi, non è
possibile ottenerne una attendibile stima
della FE.
La RM ha la possibilità di effettuare
una valutazione quantitativa precisa della funzione destra, senza dover ricorrere
ad artifizi geometrici.
È metodica indispensabile, e talora di
prima scelta, nel difficile percorso diagnostico della displasia aritmogena del vetricolo destro, patologia di elevato impatto
sociale, per essere la prima causa di morte improvvisa tra i giovani e gli atleti.
L’integrazione tra il riconoscimento di
anomalie cinetiche distrettuali e l’alterazione del segnale di parete, anche se non
sufficienti a formulare una diagnosi sicura, possono indirizzare i pazienti con una
più elevata probabilità di malattia verso
l’esecuzione di una biopsia miocardia.
La Risonanza Magnetica del cuore entra nell’iter diagnostico-clinico qualora l’esame ecocardiografico sia inficiato o impedito da motivi di ordine tecnico o, più genericamente, da limitazioni di finestra
acustica e, in alcuni casi, come metodologia diagnostica integrata.
Le peculiarità della RM rispetto alle altre metodologie diagnostiche non invasive
riguardano la possibilità di ottenere immagini digitali bi e tridimensionali ad alto contrasto tra il sangue e le strutture
muscolari, sia per l’analisi morfologica
che per lo studio dinamico, senza uso di
radiazioni ionizzanti (vs Cardio-CT), in
assenza di limitazioni relative alla finestra acustica (vs ecocardiografia), panoramiche, valutabili da più di un operatore,
non invasive (vs ecografia trans-esofagea
e cateterismo cardiaco).
Le capacità della Cardio-RM sono relative anche alla valutazione della funzione
cardiaca, con la rappresentazione della
perfusione e della vitalità miocardica a
mezzo dell’imaging-RM dinamico.
CARDIO-RM: TECNICA ,
METODOLOGIA, SEQUENZE
Condizione unica e necessaria per l’ottimale resa diagnostica dell’esame è la
corretta applicazione di una idoneo e rigoroso protocollo di analisi. Il cuore è un organo in continuo movimento, per cui le
possibilità di ottenere immagini di qualità
sono obbligatoriamente legate alla perfetta sincronizzazione delle sequenze e con
gli atti respiratori e con la cinetica cardiaca, non essendo ancora perseguibile, per
motivi tecnologici, l’unica altra, teorica alternativa, che consisterebbe nella acquisizione rapidissima delle sequenze, in una
con i movimenti del cuore e dei polmoni.
Prerequisito necessario per un accurato studio morfologico del cuore con RM è
quindi un’efficace sincronizzazione con l’elettrocardiogramma, in presenza di un ritmo sinusale (ovvero in assenza di un ritmo molto disordinato). La presenza di
aritmie prolunga infatti automaticamente
i tempi di acquisizione oltre le possibilità
di cooperazione del paziente.
Secondo tecnica consolidata, le immagini vengono acquisite in apnea espiratoria e nelle varie fasi del ciclo cardiaco, utilizzando sistemi di cardiosincronizzazione
mediante elettrocardiogramma, che consentono di rappresentare il cuore come se
fosse immobile in una fase del suo ciclo
funzionale.
Si usano bobine dedicate di superficie
del tipo phased array multicanale (4-8-16
canali), che consentono un netto miglioramento del rapporto segnale/rumore.
Nella prima fase di acquisizione viene
ripresa una serie di immagini nei 3 piani
ortogonali dello spazio (scout-survey), non
cardiosincronizzate (fig. 1).
Quindi vengono eseguite scansioni sul
piano assiale, per lo studio del mediastino
(valutazione di eventuali patologie associate ) e per l’impostazione delle sequenze
successive (fig. 2).
I piani assiali sono necessari per la valutazione morfologica dell’aorta, del pericardio, delle vene cave superiore ed inferiore; questi tuttavia non corrispondono
agli assi anatomici del cuore, relativi all’orientamento delle singole cavità cardia-
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che, variabile in ciascun paziente. Ne consegue che una valutazione della morfologia cardiaca secondo i piani ortogonali
non consente l’ analisi dell’orientamento
delle cavità e degli spessori cardiaci.
Per una corretta tecnica di studio, eseguita secondo gli assi cardiaci, è necessario individuare gli strati assiali ove sia
identificabile il ventricolo sinistro; eseguendo sequenze orientate parallelamente al setto e passanti per l’apice ventricolare, si ottengono immagini secondo l’asse
lungo verticale “2 camere”, utili nella valutazione dell’apice del ventricolo, delle
pareti anteriore e diaframmatica, delle
valvole atrio-ventricolari e delle dimensioni cranio-caudali degli atri (fig. 3).
Da questo, secondo un piano ortogonale.
si eseguono scansioni secondo l’asse corto,
passanti dalla valvola mitrale all’apice.
Questa fase di studio è indispensabile per
la valutazione della volumetria e degli
spessori cardiaci. Dalle 2 camere in asse
lungo ed in asse corto (figg. 4 e 6) è possibile orientare l’acquisizione per ottenere i
piani 4 camere (fig. 5) e 3 camere (fig. 7).
La classica distinzione tra sequenze
morfologiche e dinamiche non viene piu’
riconosciuta, per l’elevato dettaglio presente nelle sequenze cinetiche.
Le sequenze morfologiche propriamente dette o a sangue nero (black blood) rappresentano acquisizioni statiche in grado
di rappresentare con elevato dettaglio i
contorni endo e pericardici e la struttura
parietale del ventricolo destro e sinistro.
La fase rappresentata è quella telediastolica; possono essere acquisite nei vari piani dello spazio in relazione alla indicazione clinica. Le sequenze cinetiche o a sangue bianco (white blood) di rappresentano
il movimento cardiaco, attraverso l’acquisizione di 20-40 fotogrammi nell’arco del
ciclo cardiaco, sullo stesso strato. Sono irrinunciabili sequenze di base e sull’asse
corto 2 camere, che consentono il rilievo
del maggior numero di dati sulla contrattilità, spessori parietali e volumetria nelle
fasi sistolica e diastolica. L’esecuzione di
una Cardio-Rm di base richiede circa 40
minuti, comprendendo il tempo necessario
per il corretto posizionamento degli elettrodi e per gli aggiustamenti tecnici rela-
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tivi alla selezione della derivazione ECG
utile e degli altri parametri delle sequenze cardiache.
CONTROINDICAZIONI
ALLA CARDIO-RM
Sono quelle generiche di tutti i pazienti candidati alla indagine-RM e sono dovute o a dislocazione di sostanze ferromagnetiche o all’azione di correnti elettriche
in conduttori o sensori elettromagnetici,
con azioni conseguenti di malfunzionamento o disattivazione e riscaldamento.
Controindicazioni assolute sono i pacemaker cardiaci, le clips vascolari ferromagnetiche, i cateteri di Swan-Ganz, gli impianti protesici ferromagnetici acustici ed
oculari. Controindicazioni relative, perché
in grado di inficiare la qualità diagnostica
dell’esame, sono rappresentate da tutte
quelle condizioni che, attraverso qualsiasi
espressione, determinano la non ottimale
collaborazione del paziente (claustrofobia,
tremori e movimenti involontari, impossibilità a mantenere la corretta posizione
per il tempo necessario…).
Come buona regola, è prudente poter disporre di una radiografia del torace di data
recente, ad escludere con sicurezza la presenza di pace-maker e di clips metalliche.
Le piccole dosi di mezzo di contrasto paramagnetico necessarie alla esecuzione dell’esame consentono tranquillità di impiego,
pur sempre considerando i rischi generici di
reazioni di ipersensibilità, sempre possibili
con l’uso di sostanze iniettabili.
APPLICAZIONI CLINICHE
Cardiopatie congenite
Quelle più semplici (difetti interatriali /
interventricolari; pervietà del dotto di Botallo...) sono ben valutati dalla ecocardiografia,
così da rendere superfluo l’esame-RM.
Di fronte a situazioni malformative più
complesse, la tecnica-RM dovrà di volta in
volta essere mirata a seconda delle strutture anatomiche da valutare, indirizzando l’esame verso la documentazione di eventuali
fistole artero/venose, ritorni venosi anomali, stenosi o comunicazioni dirette o indirette tra i due rami delle arterie polmonari.
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L’esame-RM è elettivo per la dimostrazione delle anomalie di origine e decorso
dei vasi epiaortici e delle arterie polmonari, perché ecocardiografia ed ecografia
transesofagea possono fornire risposte incomplete e comunque non adeguate, in
presenza di anelli vascolari.
Nei pazienti sottoposti ad intervento
chirurgico, le possibilità di esecuzione di
un corretto esame ecocardiografico sono
ridotte dallo sbarramento acustico originato dalla cicatrice chirurgica e dalla variazione dei rapporti tra le strutture mediastiniche, con difficoltà di valutazione
dei diametri della arteria polmonare e dei
suoi rami
Patologia valvolare
La RM trova indicazione per la sua capacità di analizzare il flusso ematico (sia
esso normale che alterato) attraverso gli
orifizi valvolari.
Dalla valutazione delle caratteristiche
fisiche del “vuoto” di segnale (durata e dimensioni), che esprime nell’immagine-RM
la turbolenza del flusso attraverso una
valvola alterata, può essere dedotta e
quantificata la gravità della patologia valvolare.
Certamente, in tali patologie la RM
non trova ampie applicazioni ma la possibilità di una precisa valutazione quantitativa dei rigurgiti e dei parametri ad essi
correlati, sempre più richiesti dal chirurgo (volume di rigurgito, frazione di rigurgito), la rendono una indagine preziosa in
alcuni casi selezionati e particolarmente
complessi, per decidere il giusto timing
chirurgico.
Studio del Miocardio
La Cardio-RM fornisce precise indicazioni di ordine anatomico , relativamente
alla morfologia, all’orientamento ed alle
dimensioni delle camere cardiache, e di
ordine funzionale, con
riferimento alla cinesi ed alla continenza valvolare.
Con l’utilizzazione dei mezzi di contrasto paramagnetici sono possibili le analisi
di perfusione, con la valutazione dell’enhancement del miocardio al primo passaggio del mezzo di contrasto (firts pass),
indispensabili nei test di provocazione.
La RM si mostra un indispensabile
completamento alla ecocardiografia nello
studio delle ipertrofie distrettuali (apice
ventricolare), nelle forme restrittive (studio del pericardio), nelle cardiomiopatie
dilatative (per la distinzione dei quadri
post ischemici) e nella discriminazione tra
miocardio ibernato e cicatrice, con conseguenti implicazioni terapeutiche.
Va ricordato, inoltre, che la RM è ormai
ritenuta nella Letteratura Internazionale
indagine indispensabile nella conferma
diagnostica di miocardio non compatto.
Altra importante applicazione clinica è
nello studio delle cardiomiopatie ipertrofiche, in quanto la RM può identificare l’ipertrofia in regioni non facilmente visualizzabili dall’ecocardiografia (ad es parete
antero-laterale), confermando pertanto
una diagnosi che porta a percorsi terapeutici ben precisi.
Altrettanto utile è nella conferma di
cardiomiopatie restrittive (in particolare
l’amiloidosi) e nella cardiomiopatia dilatativa, potendone distinguere con grande
accuratezza la etiologia, ischemica o primitiva.
CONCLUSIONI
Il risultato di una corretta acquisizione è la precisa riproduzione morfologica
delle cavità cardiache di destra e di sinistra, in associazione alla valutazione dinamica della cinetica parietale globale e
distrettuale. Tutto ciò comporta la la
possibilità di ottenere misurazioni riproducibili dei parametri cardiaci (frazione
di eiezione, volumetria, massa, gittata)
e, con le sequenze con mezzo di contrasto, informazioni sulla perfusione e vitalità del ventricolo sinistro.
La Risonanza Magnetica rappresenta
attualmente metodica integrativa alla
ecocardiografia, per lo studio cardiaco
morfologico e funzionale delle cavità cardiache.
Lo sviluppo dei sistemi di acquisizione
e di elaborazione delle immagini ha consentito un netto progresso nella valutazione della perfusione e della vitalità del
miocardio, con interessantissime prospettive nello studio della cardiopatia ischemica.
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Simonetti G, Del Maschio A, Bartolozzi C, Passariello R. Trattato Italiano di Risonanza Magnetica
Idelson Gnocchi 1998
Fig. 1. Scout di riferimento secondo la proiezione coronale
Fig. 2. Sequenza Fiesta non cardiosincronizzata, piano assiale a livello del ventricolo sinistro
Orientamento per l’asse lungo 2 camere
Fig. 3. Sequenza Fiesta asse lungo 2 camere.
Piani ortogonali per la realizzazione dell’asse
corco 2 camere
Fig. 4. Sequenza Fiesta asse corto; orientamento per il piano 4 camere
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Fig. 5. Sequenza Fiesta piano 4 camere
Fig 7. Piano 3 camere; rappresentati nella
stessa immagine le 2 camere di sinistra e il
ventricolo destro. Piano ottimale anche per la
valutazione del bulbo aortico
____
Per richiesta estratti:
Dott. Andrea Cortese
Via P. Revoltella 108, Roma - Tel 3356874562
[email protected]
Fig 6. Sequenza Fiesta; orientamento per la
realizzazione del piano 3 camere
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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007
Rassegne
MODELLO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE PER IL DISTURBO
DI PANICO. IMPLICAZIONI CLINICHE
COGNITIVE-BEHAVIORAL MODEL FOR PANIC DISORDER.
CLINICAL IMPLICATIONS
PAOLA CIURLUINI, DANIELA AIELLO, CRISTINA DI FONZO
Unità Operativa di Psicologia Clinica, Centro Cognitivo-Comportamentale
Azienda Opsedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
RIASSUNTO: Il disturbo da attacchi di panico rappresenta una condizione morbosa il cui studio occupa, da circa un decennio, una parte preminente della ricerca psicologica e psichiatrica. Fondamentale per la diagnosi di disturbo di panico è il manifestarsi di attacchi di panico. Questi attacchi
consistono in periodi delimitati di paura intensa o di disagio in cui almeno quattro dei sintomi citati dal DSM si sviluppano improvvisamente e arrivano a un crescendo in 10 minuti. Attacchi possono
tuttavia ripetersi più volte e rapidamente; una volta che questi sintomi diminuiscono un’ansia marcata può permanere anche per molte ore. Esistono diverse teorie che provano a spiegare tale disturbo, tra cui le teorie cognitive (evoluzionista, razionaliste, costruttiviste, strutturaliste) e quelle comportamentiste, l’anxiety sensitivity theory, le teorie biologiche e quelle neuropsicologiche. Secondo il
modello cognitivo-comportamentale, un attacco di panico può considerarsi un’attivazione neurovegetativa di sequenze comportamentali basiche, incongrua alla situazione, perché attivato dalla sfera
cognitiva senza avere le caratteristiche oggettive del pericolo. Per quanto riguarda il trattamento,
quello di maggior efficacia e più utilizzato nei centri internazionali è la terapia cognitivo-comportamentale, in particolare questa è considerata la terapia elettiva del Disturbo da Attacchi di Panico con
Agorafobia sia da sola che in trattamento integrato. Essendo dunque il Disturbo da Attacchi di Panico con e senza Agorafobia una condizione debilitante che colpisce almeno 1 ogni 75 persone a livello
mondiale durante la durata della loro vita, con quest’articolo abbiamo voluto fornire, oltre che una
panoramica delle ricerche più recenti sull’argomento, anche un modello d’intervento psicologico cognitivo-comportamentale. Infatti un trattamento precoce nello sviluppo di tale disturbo può accorciarne la durata e può prevenire complicazioni, incluse agorafobia e depressione.
Parole chiave: Disturbo di Panico. Modello Cognitivo-Comportamentale. Trattamento del Disturbo
di Panico.
SUMMARY: Panic disorder is a disabling illness, its study occupes a vary important part of psychological and psychiatry research. Manifestation of panic attacks is fondamental for its diagnosis. The attacks consist in periods of acute fear or disagree, with almost four syntoms related by
DSM that develop immediately and grow up in ten minutes. Attacks can therefore repeat more
and more and quickly; when these syntoms decrease a severe anxiety can remain for many hours
too. There are different theories wich try to explain this disorder, that are cognitivistic theories
(evolutionist, razionalist, constructivist, structuralist) and behavioral theories, anxiety sensitivity theory, biologic theories, neuropsychologic theories. Following cognitive-behavioral model, a
panic attack can be considered a neurovegetative activation of behavioral basic sequences, not in
agreement with the situation, because it is activated by cognitive sphere without obgective caracteristics of danger. About treatment, cognitive-behavioral therapy is the most effective and
useful in international centers, in particolar way this is considered the elective therapy of Panic
Disorder with Agoraphobia both in isolate as in integrated treatment. As Panic Disorder with and
without agoraphobia is a disabling condition wich occurs almost one of 75 persons in the world
in their full life, with this article we want to offer a panoramic of current researches about this
problem, and in addiction we want to offer a model of psychological cognitive-behavioral intervention. Infact a precocious intervention in the development of this disorder can decrease its lenght and can prevent complications, agoraphobia and depression included.
Key words: Panic Disorder. Cognitive-behavioral Model. Panic Disorder. Treatment.
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CARATTERISTICHE GENERALI
Diagnosi
Il disturbo da attacchi di panico rappresenta una condizione morbosa il cui studio
occupa, da circa un decennio, una parte preminente della ricerca psicologica e psichiatrica1. La definizione di tale entità clinica
distinta da altri disturbi su base ansiosa deriva da studi in campo farmacologico condotti a partire dall’inizio degli anni ’60. Dall’inizio degli anni ’60 ricercatori e clinici cominciarono a differenziare pazienti che avevano improvvisi attacchi d’ansia da pazienti con gli altri disturbi d’ansia. La categoria
diagnostica di disturbi di panico fu riconosciuta per la prima volta ufficialmente con
la pubblicazione del Manuale Diagnostico e
Statistico dei Disturbi Mentali (3ª edizione)
dell’Associazione Psichiatrica Americana
nel 1980 (DSM-III). Questi criteri furono
cambiati leggermente con la pubblicazione
delle versioni successive del Manuale Diagnostico, DSM-III-R e DSM-IV.
Fondamentale per la diagnosi di disturbo di panico è il manifestarsi di attacchi di panico. Questi attacchi consistono
in periodi delimitati di paura intensa o di
disagio in cui almeno quattro dei sintomi
citati sotto si sviluppano improvvisamente e arrivano a un crescendo in 10 minuti.
Attacchi possono tuttavia ripetersi più
volte e rapidamente; una volta che questi
sintomi diminuiscono un’ansia marcata
può permanere anche per molte ore2.
I sintomi includono:
– dispnea o sensazione di soffocamento
– vertigini, sensazioni di sbandamento, di
instabilità o di testa leggera o di svenimento
– palpitazioni o accelerazioni del ritmo
cardiaco
– tremori fini o a grandi scosse
– sudorazione
– nausea o disturbi addominali
– depersonalizzazione o derealizzazione
– irrigidimento o sensazioni di formicolio
(parestesie) agli arti
– brividi o vampate di calore
– oppressione al torace o disagio
– paura di morire
– paura di impazzire o di perdere il controllo
Gli Attacchi di panico possono verificarsi come incidenti isolati e rari che hanno poco o nessun impatto sul comportamento dell’individuo o come grappoli di
attacchi con effetti secondari. Possono verificarsi anche durante il sonno.
Per soddisfare il criterio diagnostico per
disturbo di panico almeno alcuni degli attacchi di panico devono accadere all’improvviso o spontaneamente, in assenza,
cioè, di specifici stimoli ambientali o situazionali come ascensori, parlare in pubblico, serpenti, spazi chiusi, o altre situazioni
che possono evocare paura in molte persone. Inoltre, il criterio diagnostico richiede
almeno un attacco in 1 mese e la presenza
di ansia anticipatoria (ossia il timore di
esperimentare ancora tali attacchi) che
prevede e determina a sua volta lo scatenarsi di una nuova crisi di panico, paura
della paura (conseguenze degli attacchi),
alterazioni del comportamento (legate agli
attacchi). Infatti il verificarsi periodico di
tali attacchi induce la strutturazione di
condotte di evitamento delle situazioni o
luoghi in cui tali episodi si sono manifestati. Spesso si assiste ad una elaborazione
ipocondriaca che consiste nella convinzione del paziente di essere affetto da una
malattia fisica con la conseguenza rilevante di medicalizzare il disturbo. Attualmente due sottotipi principali di disturbo di
panico sono riconosciuti estesamente, e sono codificati nel DSM-IV. Questi sottotipi
variano nella gravità ed estensione dell’evitamento fobico: disturbo di panico senza
agorafobia e disturbo di panico con agorafobia. Per agorafobia si intende la fobia
per gli spazi aperti, si prova ansia quando
si tratta di uscire di casa da soli. Nei casi
di disturbo di panico con agorafobia c’è
dunque un evitamento di luoghi o situazioni dai quali la fuga sarebbe difficile o
imbarazzante, o in cui nel caso di un attacco di panico l’aiuto non sarebbe disponibile. Il grado di evitamento può variare da
mite a moderato o, all’estremo, ad uno stile di vita restrittivo imposto da un pesante evitamento, che fa sì che l’individuo,
stia quasi sempre chiuso in casa, o comunque preda di un comportamento gravemente patologico. È stata anche studiata
la possibilità di dividere i pazienti affetti
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da DP in due gruppi in base alla presenza/assenza di depersonalizzazione3 (processo in cui l’individuo non percepisce più se
stesso come presente nella sua vita quotidiana e come interagente con i propri simili, condizione caratterizzata anche da
vuoto emotivo, apatia, difficoltà ad organizzare in modo congruo i propri pensieri,
è accompagnata anche da derealizzazione
o perdita progressiva del senso della
realtà); la presenza sembra correlata ad
una maggior gravità del disturbo, in termini di un numero maggiore di attacchi,
una più grave disfunzione sociale ed un
punteggio più alto alle scale per ansia e fobie. Sebbene la ricerca sia indirizzata a
esaminare e raffinare questi criteri, c’è un
largo consenso sul fatto che il disturbo di
panico, come attualmente definito, sia una
condizione distinta con una presentazione
specifica, per il decorso, la positività nella
storia della famiglia, le complicazioni, e la
risposta al trattamento.
Il Disturbo di panico deve essere differenziato da altri disturbi che possono condividere caratteristiche cliniche simili.
Oggi la diagnosi è dipendente da un accertamento clinico particolareggiato dei
disturbi presentati e della storia, perché
non ci sono prove di laboratorio specifiche.
È raccomandato un esame medico accurato per escludere le altre condizioni. Allo
stesso tempo deve esserci attenzione per
evitare il rischio di un errore diagnostico
che conduca a investigazioni mediche costose e dilazioni nel trattamento per il disturbo di panico. Inoltre bisogna considerare la comorbidità del DP con altre patologie: è ben noto infatti che questa sindrome molto spesso si associa a disturbi di interesse internistico, quali le broncopneumopatie croniche ostruttive o la sindrome
da intestino irritabile, e di interesse psichiatrico, quali i disturbi depressivi, il disturbo bipolare e la schizofrenia. I ricercatori stanno cercando sviluppare modi supplementari per definire i sottotipi di disturbo di panico basati sulla fenomenologia, età di esordio, risposta al trattamento
ecc. che può avere implicazioni per eziologia, diagnosi e trattamento. Esso è uno dei
disturbi più dolorosi, più stabili e di cura
più difficile.
35
Patogenesi
Per quanto riguarda la patogenesi, studi familiari e sui gemelli suggeriscono un
grosso contributo genetico alla patogenesi
con ereditarietà stimata intorno al 46%.
Tra i disturbi d’ansia il Disturbo di Panico è quello che mostra il maggior carico
genetico, ma non sono ancora definiti possibili geni coinvolti. L’ipotesi è che la patogenesi del disturbo sia di tipo multifattoriale. Un recente studio di Yurgen e Catalano4 evidenzia un fattore genetico diverso nei due sessi, nel senso di un’eccessiva attività delle monoamino-ossidasi nel
sesso femminile, come fattore di maggiore
vulnerabilità biologica. Accanto alle teorie
patogeniche di tipo genetico-biologico molti autori riconoscono l’importanza di fattori ambientali e psicologici. Negli anni precedenti l’esordio del Disturbo di Panico si
riscontrano in anamnesi un numero elevato di eventi stressanti con forte impatto
emotivo. Prima di 15 anni è frequente la
separazione da un genitore, specie la madre. È stato ipotizzato inoltre un tipo di
attaccamento ansioso durante l’infanzia,
un blocco dell’esplorazione nella fanciullezza, difficoltà introspettive nell’adolescenza. Alcuni autori5 hanno messo in evidenza nei soggetti con Disturbo di Panico
una specifica tipologia dei familiari che
inviano particolari messaggi di preoccupazione per la salute corporea e per la vita, e presentano una iperproiettività ansiosa con eccesso di controllo sul figlio.
Epidemiologia e decorso
Il Disturbo da Attacchi di Panico con e
senza Agorafobia è una condizione debilitante che colpisce almeno 1 ogni 75 persone a livello mondiale durante la durata
della loro vita.
Gli attacchi di panico insorgono in età
adolescenziale o giovane adulta, ma sono
oggi note anche forme più rare nei bambini in età scolare, spesso oligosintomatiche. Di fronte ad episodi acuti di ansia,
magari mascherata da pianti improvvisi
ed inspiegabili, fughe, somatizzazioni acute, è sempre opportuno esplorare la presenza di un disturbo di panico, soprattutto se è presente una familiarità positiva
(per disturbi di panico, per altri disturbi
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d’ansia, per disturbi depressivi) ed un’anamnesi positiva per disturbo d’ansia di
separazione, che è talora un precursore
del panico. La prevalenza degli attacchi di
panico varia nella popolazione generale
dall’1 al 3% con un rapporto fra i due sessi di 2:1 a favore del sesso maschile. È frequente la comorbidità con altri disturbi
psichiatrici, come la depressione maggiore
e una associazione con il suicidio durante
l’adolescenza6. La diagnosi di Disturbo di
Panico spesso è difficile perché sintomi simili possono insorgere anche dopo un
esercizio fisico estremo o in certi disturbi
somatici (ad es. in corso di ipertiroidismo),
o da astinenza o viceversa intossicazione
da parte di certe sostanze. Approssimativamente un terzo degli individui con disturbo di panico hanno anche agorafobia,
sebbene in ambito clinico, la maggioranza
si presenti con agorafobia.
Un modello comune di esordio è il verificarsi di attacchi di panico improvvisi e occasionali che aumentano in frequenza e sono associati con paure crescenti di avere attacchi susseguenti. Spesso nel tempo si
concretizzano comportamenti di evitamento dell’ansia che tendono ad aumentare.
I dati limitati ad oggi suggeriscono che
in più casi è un disturbo cronico che sfuma
e cala di gravità. Comunque, delle persone possono avere un periodo limitato di
disfunzione che non riappare, mentre altri
possono esperimentare una forma cronica
e severa del disturbo. Quelli con agorafobia tendono ad avere un decorso più grave
e complicato. Un trattamento precoce nello sviluppo di tale disturbo può accorciarne la durata e può prevenire complicazioni, incluse agorafobia e depressione.
do catastrofico (ad es. ‘mi sta venendo un
infarto!’), vengono scatenate ulteriori sensazioni corporee, che a loro volta alimentano ulteriormente i pensieri negativi, provocando un’ansia maggiore e da ultimo l’attacco di panico. Questa teoria non attribuisce direttamente un ruolo particolare ai
processi di coping nella psicopatologia dell’attacco di panico, però si presume che persone che interpretano male le sensazioni
corporee, siano caratterizzate da una varietà di risposte disadattative (ad es. evitano quelle situazioni che evocano determinate sensazioni corporee) che potrebbero mantenere l’ansia focalizzata sulle sensazioni
del corpo. In particolare Goldstein & Chambless8 nel 1978 propongono un modello basato sulla teoria dell’apprendimento e che
riprende il concetto di “paura della paura”
di Razran9 nel 1961: il soggetto diventerebbe molto attento alle sensazioni corporee interpretandole come segni di imminenti attacchi di panico. Anche Beck10 nel 1985 e
Clark11 nel 1986 sottolineano l’importanza
dell’interpretazione catastrofica di sensazioni di tipo somatico come momento fondamentale dello scatenamento delle crisi.
Wells12 nel 1990 propone un modello modificato di Clark secondo il quale ogni stimolo,
esterno o interno, che è giudicato minaccioso, produce ansia; questa a sua volta induce vari sintomi, somatici e cognitivi, che
vengono interpretati dal soggetto in modo
catastrofico, contribuendo così ad alimentare ulteriormente lo stato d’ansia, ed instaurando un circolo vizioso autoperpetuantesi.
Teorie eziopatogenetiche
del Disturbo di Panico
Teorie Cognitive Razionaliste
La teoria cognitiva degli attacchi di panico enfatizza le false credenze catastrofiche, legate ai processi corporei del panico
come fondamentale meccanismo coinvolto
con il disturbo7. Secondo questa prospettiva, il paziente si focalizza sui cambiamenti
somatici, che possono essere interpretati in
diversi modi. Quando le reazioni corporee
correlate all’ansia sono interpretate in mo-
Fig. 1. Modello cognitivo del disturbo di panico di Clark modificato, con aggiunta del ciclo
di mantenimento di Wells.
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Secondo la teoria cognitivo-razionalista, quindi, l’evento è spesso una sensazione fisica dovuta a stanchezza, malesseri transitori, etc. Alle sensazioni corporee
fisiologiche verrebbe attribuito un significato peculiare; si attiverebbero, infatti,
schemi cognitivi catastrofizzanti deputati
all’analisi delle sensazioni somatiche; gli
stimoli enterocettivi, che di per sé sarebbero neutri, verrebbero invece esperiti come sensazioni somatiche terrorizzanti, come risultato delle distorsioni introdotte in
tale analisi; il disturbo verrebbe poi mantenuto da un eccesso di apprensione e
ipervigilanza nei confronti delle sensazioni somatiche stesse.
La messa in atto di comportamenti di
evitamento e protettivi, volti a evitare le
conseguenze temute dell’attacco, favorirebbero un ciclo di mantenimento del disturbo, poiché impedirebbero la disconferma delle credenze erronee del soggetto,
continuando così ad attribuire a tali comportamenti la capacità di impedire il verificarsi delle conseguenze temute; inoltre, i
comportamenti protettivi potrebbero peggiorare direttamente i sintomi a causa di
un’attenzione selettiva verso questi (per
es. controllare la frequenza del respiro
può aumentare la sensazione di mancanza d’aria).
Le interpretazioni erronee più frequentemente riscontrate, associate ai sintomi
d’ansia sono:
• palpitazioni, dolore toracico: sto per
avere un infarto;
• vertigine, irrealtà: sto per perdere il
controllo, per impazzire, per svenire, ho
un tumore al cervello;
• nodo alla gola, mancanza d’aria: sto per
soffocare.
Secondo Beck, insieme alla catastrofizzazione ideica c’è la percezione di non poter affrontare la crisi utilizzando le risorse personali (deficit di strategie di “fronteggiamento”). C’è una sovrastima del pericolo ed una sottostima delle proprie risorse per fronteggiarlo.
Teorie comportamentiste
Secondo la teoria comportamentista in
persone psicologicamente e/o biologica-
37
mente vulnerabili, gli attacchi di panico
condizionano il livello d’ansia interocettiva, uno stato di preparazione corporea
orientata al futuro, che stimola e intensifica il successivo attacco di panico. Gli attacchi di panico costituiscono quindi uno
stimolo incondizionato il quale, presentandosi in relazione temporale o spaziale
con uno stimolo intrinsecamente neutro
(luoghi e situazioni in cui gli attacchi si
manifestano), conferisce a quest’ultimo la
proprietà di evocare una risposta condizionata. Alla fine si crea così un circolo vizioso, per mezzo del quale gli stimoli condizionati scatenano l’attacco.
Le condotte di evitamento riducono il
contatto con le situazioni ansiogene, contenendo, quindi, il numero degli attacchi
di panico, e proprio per questo vengono
sempre più rinforzate (rinforzo negativo).
Nel tempo il comportamento fobico viene
ad estendersi, fino a comprendere tutte
quelle situazioni in cui il paziente ritiene
difficile trovare aiuto o tentare la fuga. In
questo modo l’“estinzione”, cioè il processo
per cui gli stimoli condizionati perdono il
legame di associazione con gli stimoli incondizionati, diventa difficile per il progressivo incremento dell’evitamento.
Anche le sensazioni enterocettive o
specifici contenuti di pensiero, secondo
questa ottica, possono divenire stimolo
condizionato per gli episodi critici, se posti
in relazione inizialmente ad un attacco di
panico di origine sconosciuta. Sebbene le
modalità di coping (pensieri e comportamenti a cui le persone ricorrono per gestire le situazioni stressanti) sono considerati come fattori che potrebbero accrescere o
diminuire il cambiamento dell’apprendimento di tale associazione, ad essi non
viene assegnato un ruolo specifico nella
genesi del disturbo. Comunque, uno stile
di coping di tipo evitante, che consiste nell’evitare l’impatto di una situazione riducendo il grado per il quale è valutato come
stressante, in termini di stati emozionali
negativi esercita un ruolo nel mantenimento del disturbo13.
Teorie Cognitive Costruttiviste
Tutte le teorie cognitive partono dall’osservazione e dallo studio di problematiche cliniche ma prevedono una teoria
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della mente che considera l’uomo come
fornito di una personale “rete cognitiva”
costituita da convinzioni, aspettative e
tendenze che ne guidano le interazioni con
l’ambiente e che organizzano la conoscenza di sé e degli altri14.
La crescita del sistema avviene attraverso un equilibrio tra processi di assimilazione e accomodamento; nel processo di
assimilazione la nuova informazione che
arriva verrebbe attivamente modificata
così da renderla il più possibile simile a
quella già conservata mentre nel processo
di accomodamento le strutture cognitive
cambierebbero per adattarsi alla nuova
informazione.
Nella sua continua obbligatoria evoluzione, ogni sistema conoscitivo tende gradualmente verso livelli di maggiore complessità ed ordine interno, cercando sempre di mantenere una propria coerenza sistemica interna e tentando di conservare
integro il senso della propria identità personale15.
Lo squilibrio nella crescita del sistema
si verifica quando l’individuo non assimila
gli stimoli ambientali oppure quando i
cambiamenti indotti dall’ambiente nel sistema sono tanto rapidi da impedire lo
svilupparsi del senso di continuità e di
identità personale.
La perdita di equilibrio si verifica
quando si produce all’interno del sistema
una situazione caratterizzata da notevoli
livelli di contraddizione fra i costrutti (in
particolare i costrutti sovraordinati) e
quando si manifesta una notevole inadeguatezza delle previsioni del sistema stesso, sottoposte a ripetute invalidazioni, in
particolare riguardo al Sé e all’interazione
con il mondo.
I processi di invalidazione, qualora avvengano all’interno di un sistema sufficientemente elastico, permettono, attraverso un adeguato meccanismo di accomodazione, una modifica dei costrutti che si
sono dimostrati privi di adeguate capacità
previsionali e, quindi, un miglioramento
della conoscenza: migliorerà, di conseguenza, la coerenza complessiva del sistema.
Viceversa in un sistema rigido, l’invalidazione e il conseguente accomodamento
di un costrutto si ripercuotono facilmente
sulle strutture sovraordinate, i costrutti
relativi all’identità personale.
In un sistema rigido, poco ramificato,
con poche alternative soprattutto riguardo ai costrutti relativi al sé, l’invalidazione rischia di indurre un notevole livello di
incoerenza che conduce allo squilibrio, vale a dire alla comparsa di una sintomatologia clinica manifesta.
Qualora l’invalidazione colpisca un sistema a struttura lassa, con previsioni generiche e nessi fra i costrutti scarsamente
definiti, l’invalidazione di uno di questi costrutti rende difficile un suo accomodamento, una sua ristrutturazione, e il sistema rischia di avere un vuoto previsionale non essendo stato in grado di cogliere l’informazione e di utilizzarla al fine di
migliorare la conoscenza.
Secondo la teoria costruttivista il sintomo ansia rappresenta la transizione tra
costrutti dovuta alla minaccia di autonomia e indipendenza, sentita nel momento
in cui la persona si prevede senza la figura significativa di protezione. La poca autonomia e indipendenza invalida la previsione del costrutto; il sistema rigido non
riesce a riarticolarsi e ciò provoca la sintomatologia di transizione.
Teorie cognitivo-evoluzioniste
Mc Lean16 nel 1984 sostiene che le
strutture cerebrali del sistema limbico,
fondamentali per l’esperienza emozionale,
sono evolutivamente più arcaiche della
neocorteccia, che è invece indispensabile
per la strutturazione del pensiero.
La teoria dei tre cervelli suggerisce che
il cervello dell’uomo sia costituito da tre
porzioni (cervello rettiliano; sistema limbico; neocorteccia) che si sono sviluppate
in due fasi successive durante l’evoluzione. In una prima fase, al cervello rettiliano, costituito da tronco encefalico e gangli
della base, si sarebbe aggiunto il sistema
limbico, formando il paleopallio; nella seconda fase, che ha coinciso con la comparsa della specie umana, la neocorteccia si è
sovrapposta al paleopallio.
Le specie dotate unicamente di cervello
rettiliano sanno procacciarsi il cibo, sanno
accoppiarsi, esplorano porzioni limitate
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dell’ambiente e difendono il territorio in
cui vivono; non sanno, però, formare relazioni sociali implicanti un durevole riconoscimento reciproco. I vertebrati dotati,
invece, di cervello bipartito (uccelli, mammiferi) possiedono, oltre ai sistemi motivazionali innati propri del cervello rettiliano, anche i sistemi motivazionali sociali connessi alle operazioni del paleopallio:
grazie al sistema limbico compare la motivazione “primaria e innata” a stabilire relazioni con i conspecifici (attaccamentoaccudimento, tipo agonistico finalizzato a
stabilire ranghi sociali, tipo che conduce a
formare coppie sessuali relativamente
stabili).
Forme speciali di comportamento
basico sono:
– dominio (selezione e preparazione della
tana, delimitazione del territorio, utilizzazione di un ambiente);
– territorio (marcamento, sorvegliamento, difesa, combattimenti intraspecie
per la difesa);
– display di trionfo per un successo difensivo e assunzione di posture difensive o
cambiamenti di colore per la segnalazione della resa;
– utilizzazione di luoghi per la defecazione;
– ricerca del cibo;
– caccia;
– ritorno alla tana;
– accumulo di provviste;
– formazione di gruppi;
– formazione di una gerarchia sociale per
mezzo di display ritualistici;
– saluto;
– grooming;
– display di corteggiamento, accoppiamento, procreazione e accudimento della prole;
– migrazione.
L’apparato comportamentale dell’uomo, dunque, comprende tre gruppi di comportamenti autonomi ma regolati con reciprocità funzionale:
• comportamenti di origine rettiliana
(alimentazione, esplorazione dell’ambiente circostante, difesa del territorio,
39
territorialità, predazione, sonno-veglia);
• comportamenti sociali limbici (attaccamento-accudimento, accoppiamento
sessuale durevole: coppia durevole,
competizione per il rango: dominanza e
subordinazione, cooperazione paritetica: obiettivo comune);
• comportamenti puramente neocorticali
(incremento conoscitivo, ricerca di significati, coerenza) probabilmente miranti a dare ordine e coesione a tutte le
informazioni o conoscenze legate all’operare dei sistemi motivazionali evolutivamente più antichi fino a costituire
una coerente visione di sé, degli altri,
del mondo.
Esistono, quindi, strutture innate,
schemi percettivo-motori che coordinano
l’agire dell’individuo verso i conspecifici in
vista di precisi obiettivi (comportamenti
basici, sequenze comportamentali che seguono gli schemi percettivo-motori); l’esperienza di interazione con i conspecifici
introdurrà modificazioni e sviluppi nei
primitivi schemi senso-motori.
Tenendo conto di ciò si può ipotizzare,
secondo la teoria evoluzionista, che le
emozioni possiedano un valore informativo o significativo biologicamente determinato con uno statuto di antecedenza e relativa autonomia rispetto alle strutture e
ai processi di pensiero.
La paura è una delle cinque emozioni
basiche (paura, rabbia, tristezza, gioia, disgusto); come tale è un fenomeno adattativo, utile cioè ai fini della sopravvivenza
dell’individuo e della specie. Infatti, essa
ci permette di riconoscere prontamente un
pericolo e preparandoci ad affrontarlo, attraverso la mobilitazione di risorse appropriate per fronteggiare la situazione; nel
bambino assolve fondamentali funzioni
evolutive a protezione dell’individuo e della specie (preparadness di Seligman).
Come la paura, anche l’ansia ha una
funzione adattativa. L’ansia ci avverte
della presenza di un pericolo indefinito o
futuro, riguarda l’aspettativa di un pericolo che non è immediato e nemmeno sempre ben definito.
Sensazioni semplici, come la sete, il dolore e la paura, sono sperimentate istan-
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taneamente; al contrario, l’ansia richiede
un lavoro cognitivo che la paura non richiede.
L’attacco di panico (ansia acuta) potrebbe così essere considerato la reazione
cognitiva che utilizza schemi deputati ad
una funzione di sopravvivenza di fronte a
pericoli (interni od esterni) vissuti come
particolarmente nocivi (es. morte) o sconosciuti e che porta all’attivazione della sequenza comportamentale basica. Si può
considerare come minaccia per scopi o bisogni personali soprattutto inerenti il futuro.
Teorie cognitivo-strutturaliste
Le teorie cognitivo-strutturaliste nascono direttamente dagli studi di Bowlby
sull’attaccamento17 e da quelli di Guidano
e Liotti18. La conoscenza si costruisce attraverso le perturbazioni del sistema conoscitivo formatesi dagli stimoli provenienti dai vari rapporti significativi. Le
informazioni via via ottenute si organizzano in vari prototipi che sono la lente attraverso cui l’individuo legge le nuove
esperienze. Di questi prototipi ne sono
stati descritti cinque e sono stati chiamati col termine che indica il tipo di squilibrio sintomatologico a cui preferenzialmente vanno incontro: fobico, dapico (dei
disturbi alimentari psicogeni), ossessivo,
depressivo, psicotico.
L’organizzazione fobica viene a crearsi
all’interno di relazioni di reciprocità con
figure di attaccamento rappresentate da
genitori iperprotettivi e controllanti, che
tendono a trasmettere messaggi di pericolo esterno, di debolezza-vulnerabilità del
bambino, e che male tollerano la manifestazione delle emozioni da parte del bambino stesso. Il bambino che cresce in un
ambiente di questo tipo tende, così, a costruirsi un’immagine di sé come debole e
vulnerabile: da questo nasce la necessità
di controllare i pericoli, sia quelli rappresentati dalle forti emozioni, verso le quali
il soggetto ha poca dimestichezza, e che
vengono controllate, attraverso l’evitamento di sensazioni nuove o improvvise,
limitando i cambiamenti e le modifiche
nella propria nicchia ecologica, assumendo un atteggiamento di leadership nei
rapporti interpersonali e del “don giovan-
ni” nelle relazioni sentimentali; vi è un’attenzione selettiva anche ai pericoli del
mondo esterno. Il bambino sentirà da un
lato la necessità fisiologica di esplorare
l’ambiente, allontanandosi dalla figura di
attaccamento, dall’altra, però, percependo
il mondo come pericoloso e sé come soggetto debole, tenderà a non allontanarsi
troppo dalla figura d’attaccamento, rinunciando così ad esplorare. Così, anche nell’adulto, si verifica l’oscillare fra due dimensioni essenziali, sicurezza e libertà: la
predominanza della sicurezza porta a sentimenti di costrizione, la predominanza
della libertà viene invece percepita come
solitudine. In entrambi i casi, il mancato
raggiungimento di un equilibrio fra le due
dimensioni comporta sofferenza per il soggetto.
In questo senso gli eventi scatenanti
per una persona con tratti organizzativi
fobici sono quelli in cui essa percepisce costrizione (un legame affettivo poco soddisfacente, vissuto come non modificabile) o
senso di solitudine intollerabile (rottura
di un legame affettivo) che attivano la sequela sintomatologica attivando la reazione neurovegetativa di allarme.
Anxiety Sensitivity Teory
Tale teoria enfatizza il ruolo delle differenze indivuali di tratto nel reputare le
conseguenze negative fisiche, sociali e psicologiche delle sensazioni correlate all’ansia19. I teorici AS ritengono che le sensazioni corporee possono stimolare un’escalation di ansia e panico in persone con un’
alta sensibilità all’ansia, perché questi individui sono fermamente convinti che le
sensazioni sono personalmente nocive. I
teorici di quest’orientamento sottolineano
che le persone non necessariamente interpretano male le proprie sensazioni corporee, ma sono piuttosto preoccupate per i
processi corporei a causa delle loro credenze preesistenti circa tali sensazioni.
Teorie Biologiche
Le Teorie Biologiche del PD hanno delineato tipi specifici di vulnerabilità neurobiologiche nel produrre un Disturbo di Panico. L’elaborazione di Klein20 della precedente ipotesi di Gorman sull’ipersensibilità al carbon diosside, ha ricevuto una
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grande attenzione scientifica negli ultimi
anni. Seconto questo resoconto, una bassa
soglia per l’attivazione dell’allarme di
soffocamento caratterizza il Disturbo di
Panico.Quest’allarme sarebbe direttamente innescato mediante specifici livelli
di carbon diosside e indirettamente da stimoli interni ed esterni che causano un imminente insulto polmonare (es. drammatica perdita di ossigeno). Le Teorie Biologiche pongono dunque l’accento sui processi biologici quali fattori critici nella genesi e nel mantenimento del PD.
Teorie neuropsicologiche
Recenti studi mediante tecniche di neuroimmagine, hanno contribuito alla definizione di modelli neuroanatomofunzionali
del disturbo di panico. Tra questi è importante citare il modello di Gorman et al.21,
che hanno tentato di risolvere la dicotomia
tra aspetti biologici e cognitivo-comportamentali del DP, individuando differenti e
distinte componenti della malattia (attacco
di panico, ansia anticipatoria ed evitamento fobico), cui corrispondono differenti loci
neuroanatomici (tronco cerebrale, lobo limbico e corteccia prefrontale, rispettivamente); gli autori propongono che la genesi della malattia sia da ricondurre alle reciproche innervazioni tra questi centri del sistema nervoso centrale, attribuendo un ruolo
preminente all’amigdala.
Un modello più articolato e complesso è
quello riportato da Davidson22, in cui si
mette in risalto il ruolo centrale della corteccia prefrontale e dell’amigdala nell’elaborazione degli stimoli affettivi, nella regolazione emotiva e nella patogenesi dell’ansia. Più in dettaglio, l’autore attribuisce alla corteccia prefrontale la regolazione dei
sistemi dio approach (facilitanti i comportamenti appetitivi e le risposte affettive positive) e withdrawal (facilitanti il ritiro da
situazioni aversive e le risposte a stimoli
minacciosi) legati alla motivazione ed all’emotività, fattori determinanti nella genesi
della fenomenologia connessa ai disturbi
d’ansia. Tra gli altri modelli, significativo è
anche quello di Grove et al.23, che rimanda
sostanzialmente all’iperattività dei circuiti
serotoninergici (suddivisi dagli autori in
porzioni afferenti ed efferenti, fisiologicamente implicati nelle risposte emotivo-
41
comportamentali di paura e difesa). Dunque gli studi di neuroimmagine del DP
sembrano suggerire una disfunzione dei
circuiti fronto-temporo-limbici, con coinvolgimento preferenziale dell’emisfero destro;
tuttavia la maggiorparte degli studi presenta vari limiti metodologici. Studi longitudinali e multi-modali, che coinvolgano
un maggior numero di pazienti, possibilmente integrati con studi genetici e di popolazione, potrebbero contribuire a chiarire i meccanismi patogenetici del DP.
Spiegazione cognitiva dei sintomi
Un attacco di panico può considerarsi
un’attivazione neurovegetativa di sequenze comportamentali basiche, incongrua alla situazione, perché attivato dalla sfera
cognitiva senza avere le caratteristiche
oggettive del pericolo24.
L’evento attivante (interno od esterno)
entrerebbe in relazione con schemi personologici vulnerabili costruiti nella reciprocità con le figure di attaccamento che si
attivano in relazione a quell’evento.
Le modalità d’interazione tra l’evento e
gli schemi personologici vulnerabili sembrano avere vincoli precisi.
L’evento sembra definirsi in situazioni
di distacco o soffocamento in un legame significativo. La percezione netta di stare
male in un rapporto stimola la fantasia di
concreto distacco dal rapporto stesso: l’idea del distacco attiva il senso di solitudine e la conseguente paura; percepirsi non
in grado di stare da soli spaventa perché
minaccia l’esigenza di autonomia.
Le modalità di controllo non riescono
più a riequilibrare la dissonanza emotivocognitiva (voglia di essere libero/necessità
di avere qualcuno che mi protegge); emozioni confuse e disagevoli vengono inserite nel sistema conoscitivo e l’attribuzione
di significato diventa confusa e centrata
sul corpo, perché questo è un percorso facilitato nelle organizzazioni fobiche. Il
soggetto fobico si considera, infatti, incapace di tollerare l’ansia e vorrebbe “eliminare” ogni attivazione neurovegetativa
vissuta come disturbante: l’esagerazione
di queste convinzioni lo pone in una sorta
di trappola cognitiva il cui effetto è proprio la produzione della temuta attivazione neurovegetativa.
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Se una persona con organizzazione fobica prova emozioni (anche piacevoli) senza controllo può attivare un meccanismo
per cui sperimenta sensazioni confuse e
poco definite che, a loro volta, attivano il
controllo.
Se continua a provare emozioni attiva
immagini ancora più pericolose: è come se
non ce la facesse a provare emozioni senza elaborarle come pericolose e conseguentemente attivare controllo.
In quest’ottica i sintomi diverrebbero la
risultante di una interconnessione tra
eventi personali significativi e una struttura cognitiva preesistente che presenta
schemi particolarmente vulnerabili con
quel tipo di evento (asse dipendenza/autonomia).
Anche il sintomo agorafobico, nella sua
manifestazione clinica, sembra avere alla
base un meccanismo etologico come la territorialità. Partendo dalla percezione di
“pericolo” interno rispetto ad un corpo che
non si sente più sicuro ed affidabile, viene
percepito come pericolosa la distanza dal
territorio personale inteso come legame
con figura significativa e si disattiva incongruamente la sequenza comportamentale basica di esplorazione.
Valutazione diagnostica
La diagnosi di disturbo di panico è basata sul racconto della storia fatto sia dal
paziente che dalla sua famiglia e dai caregivers, sull’esame dello stato mentale del
paziente, sull’esame fisico e sulle indagini
scelte per vagliare i fattori fisici che potrebbero contribuire allo sviluppo dei sintomi. Tali indagini includono gli esami del
sangue, livello di glucosio, livello di calcio,
test sulla funzione della tiroide, a un ECG.
Il disturbo di panico o gli attacchi di panico sono spesso indizi per altre condizioni
psichiatriche. Dunque la valutazione di
una persona con attacchi di panico dovrebbe includere un’indagine per i sintomi della depressione, disturbi generali d’ansia e
disturbi fobici. Inoltre dovrebbe essere
considerato l’eventuale uso di farmaci sotto-banco, droghe illecite, alcool, caffeina.
In uno studio di grande interesse sono
stati riportati tutti gli strumenti diagnostici utilizzati per valutare lo stile di co-
ping (modalità individuale cognitiva di affrontare e reagire ai fattori stressanti) presente in persone con disturbo di panico.
Secondo questi autori valutare gli stili di
coping dei pazienti è importante ai fini della diagnosi, ma soprattutto per individuare la direzione in cui si deve muovere il
trattamento psicologico. Le ricerche hanno
dimostrato che uno strategie di coping
orientate verso l’evitamento, presente in
persone che hanno la tendenza ad evitare
le esperienze emozionali, sono associate ad
accresciuti livelli di ansia che si riflette in
sensazioni corporee esagerate. Dunque
questo stile di coping può essere un fattore
predittore del livello d’ansia e delle terribili risposte alle perturbazioni corporee.
Gli strumenti che vengono adoperati
nello studio e che si possono adoperare per
valutare efficacemente il disturbo di panico e lo stile di coping di un paziente sono:
• il Panic Attack Questionnaire (PAQ)25,
sviluppato per misurare nello specifico se
una persona ha avuto esperienza di un
attacco di panico, i sintomi di panico, dove si manifesta l’attacco, l’intensità dei
sintomi di panico, e la durata degli attacchi. Inoltre il PAQ richiede partecipanti
per stimare 30 diversi contesti in cui possono verificarsi gli attacchi di panico, e
per valutare anche le 14 strategie di coping che vengono usate, e l’efficacia percepita di ognuna delle strategie.
• il Panic Attack Coping Questionnaire
(PACQ)26, questionario self-report designato per misurare le strategie di coping che i pazienti con panico utilizzano per affrontare gli attacchi. I partecipanti valutano 27 strategie di coping in
termini di frequenza di utilizzo, efficacia nella riduzione dei sintomi, ed efficacia nell’eliminazione dei pensieri negativi. Dall’analisi fattoriale sono
emersi sette fattori, che sono: attività,
attività diretta ai sintomi, richiesta di
aiuto, cambiamento del focus, sforzo,
autolesionismo, distrazione. Il questionario è dotato di un’adeguata attendibilità split-half e coerenza interna.
Trattamento
Gli obbiettivi del trattamento del disturbo di panico sono: inibire gli attacchi
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P. Ciurlini et al.: Modello cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico. Implicazioni cliniche
di panico, diminuire l’ansia anticipatoria
e l’invalidazione fobica, considerare le
condizioni di comorbidità, prevenire la recidiva e la ricorrenza dei sintomi, e migliorare il livello di funzionamento dei pazienti. Un corpus crescente di conoscenze
indica che alcune terapie e selezionati
trattamenti psicosociali sono efficaci per i
disturbi di panico, con e senza evitamento
agorafobico. Vari antidepressivi (cioè, triciclici, inibitori di monoaminossidasi e, soprattutto, atipici di ultima generazione
serotoninergici) così come alcune benzodiazepine (per es., alprazolam, lorazepam,
e clonazepam) sono risultati efficaci nel ridurre o eliminare attacchi di panico associati con le varie forme di disturbo di panico. Gli agenti farmacologici possono presentare problemi come indesiderabili effetti secondari, il rischio di dipendenza, e
un tasso significativo di ricaduta una volta che è cessata la farmacoterapia27.
Anche molte variazioni e combinazioni
di approcci di trattamento cognitivo comportamentali hanno dimostrato efficacia
nell’eliminazione e/o riduzione di attacchi
di panico e agorafobia. Infatti studi svolti su
giovani e adulti di mezza età hanno scoperto che il disturbo di panico tipicamente si
sviluppa in sintomi cronici o episodi ricorrenti. Dunque la getione del disturbo richiede un approccio a lungo termine. Molti
pazienti restano sintomatici nonostante la
farmacoterapia, e per questi individui dovrebbe essere considerato un trattamento a
tempo indeterminato. Nei pazienti che sperimentano un miglioramento consistente o
totale dei sintomi, potrebbe essere tentata
una medicazione gradualmente discontinua dopo 12, 18 mesi del mantenuto trattamento. Comunque molti pazienti sperimentano recidive o ricorrenze dei sintomi dopo
che è stata interrotta la cura, necessitando
di nuovo il ristabilirsi del trattamento e una
terapia a lungo termine. Molti studi hanno
scoperto che che la maggiorparte di pazienti trattati con un corso standard di CBT (terapia cognitivo-comportamentale, 12-20
sessioni) restano liberi da attacchi di panico a un follow-up a 2 anni. Quindi la CBT
sembra avere un effetto duraturo in molti
pazienti28. Gli attacchi di panico che invece
si presentano per la prima volta in età tarda, di solito si scatenano in un contesto di
43
malattia depressiva. Un appropriato trattamento della depressione risolverà contemporaneamente il problema degli attacchi di
panico. Dunque resta ancora da valutare se
l’approccio farmacologico sia da considerare
la strategia terapeutica più efficace, poiché
di fatto questi altri interventi hanno dato
risultati forse anche più soddisfacenti e duraturi.
La Terapia Cognitivo-Comportamentale
La terapia cognitivo-comportamentale è
considerata la terapia elettiva del Disturbo
da Attacchi di Panico con Agorafobia sia da
sola che in trattamento integrato29. Essa
comprende i seguenti elementi: una psicoeducazione, il controllo continuo del panico,
la ristrutturazione cognitiva (che consiste
nel cambiare pensieri, interpretazione e
predizioni che generano ansia in pensieri
meno ansiogeni e più razionali) e il momento cruciale di tutte le terapie cognitivocomportamentali è l’esposizione del paziente allo stimolo fobico. L’esposizione può essere effettuata in vivo, ponendo realmente
il paziente di fronte alle situazioni che sono
oggetto concreto dell’evitamento fobico, sia
nell’immaginario, cioè aiutando il paziente
a rievocare la situazione fobica mediante la
ristrutturazione cognitiva. In genere si effettuano varie sedute nelle quali il paziente viene portato, secondo uno schema gerarchico pianificato caso per caso, a confrontarsi progressivamente con la situazione fobica in modo sempre più globale. La
durata dell’intervento va da circa 6 mesi a
1 anno. Il tasso di drop-out in studi controllati va dal 5 all’8% nelle terapie cognitivo-razionaliste e dal 12 al 16% nei trattamenti basati su rilassamento ed esposizione in vivo30.
Altre Psicoterapie
I trattamenti psicoterapeutici più frequentemente usati sono: 1) terapia comportamentale; 2) terapia cognitivista; 3)
terapia ipnotica; 4) terapia ad indirizzo
dinamico. Per quanto riguarda la terapia
ipnotica riportiamo il successo della tecnica ericksoniana dello pseudo orientamento nel tempo applicata agli aspetti agorafobici: il paziente viene fatto proiettare
nel futuro dove vive soggettivamente il
raggiungimento dell’obiettivo terapeuti-
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co31. Per quanto riguarda le terapie ad indirizzo dinamico, esse si propongono una
modificazione strutturale della personalità, poiché si basano sulla valorizzazione
dei meccanismi psicogenetici che sono alla
base della costruzione psichica dove si
esprimono e si compensano forze diverse32;
ci sono psicoterapie dinamiche individuali, di coppia e di gruppo, lunghe e brevi.
Poiché il DAP può apparire privo di contenuti psicologici, senza apparenti fattori
determinanti ambientali o intrapsichici, il
ruolo dello psicologo ad orientamento psicodinamico è spesso considerato irrilevante nel trattamento di questi pazienti33.
Però tali psicoterapie che sembrano non
avere un’efficacia dimostrata nel panico,
possono comunque essere utili per altre
difficoltà che i pazienti presentano: infatti
una percentuale significativa di persone
che soffrono di attacchi di panico ha tali
attacchi a causa di fattori psicodinamici, e
potrebbe quindi rispondere a questo tipo
di interventi psicologici, sono numerosi gli
studi che hanno evidenziato come in tali
pazienti l’inizio del disturbo sia preceduto
da una maggior incidenza di eventi stressanti, in particolare eventi di perdita, rispetto ai controlli34. Viene suggerito che in
questi casi gli episodi di panico vengano
preparati da immagini, sensazioni, pensieri paurosi che possono essere inconsci e
correlati all’angoscia di essere “intrappolati” e/o separati da figure di riferimento.
Nei casi in cui possono rilevarsi tali problematiche la terapia psicoanalitica ha il
compito di procedere gradualmente nell’ambito delle dinamiche transferali a partire dalla ricostruzione delle interazioni
precoci madre-bambino e alla loro progressiva internalizzazione, fino al conseguimento della costanza d’oggetto strettamente connessa con la sicurezza di sé.
Inoltre una terapia dinamica breve può
servire a ridurre la vulnerabilità psicosociale correlata con tale disturbo, oppure
può essere necessario per quei pazienti
che credono che l’assumere farmaci li stigmatizzi come malati mentali, o ancora in
alcuni casi difficoltà caratterologiche possono interferire con il trattamento farmaceutico (è stato dimostrato che la presenza di disturbi di personalità influisce negativamente sull’esito terapeutico dei pa-
zienti con DAP)35. In questi e altri casi
un’attenta valutazione psicodinamica aiuterà a soppesare i contributi dei fattori
biologici e dinamici.
Alcuni studiosi hanno proposto una terapia integrata36.
Innanzitutto si può parlare correttamente di integrazione quando esiste un
progetto terapeutico che si traduce in un
programma di terapia, con verifiche durante il corso e alla fine del trattamento.
Particolare importanza riveste, nell’introduzione alla terapia, la fase psicodiagnostica, poiché essa consente di avere un
quadro preciso della personalità di base e
dello stato psicologico del soggetto. Secondo gli autori il vantaggio della terapia farmacologica è nell’accessibilità immediata,
con i limiti tipici legati all’escalation delle
dosi e all’assunzione degli psicofarmaci
(dipendenza, effetti collaterali). Un ulteriore limite al ricorso allo psicofarmaco
può rivelarsi nella presenza di fattori quali la personalità di base, l’ambiente familiare e la struttura nevrotica del soggetto.
D’altra parte secondo questi autori va sottolineato che se il paziente viene seguito
solamente con l’approccio psicoterapico vi
è un’alta probabilità di comparsa di AP in
corso di trattamento. Ciò costituisce un
rinforzo negativo per il soggetto; appare
quindi opportuno agli autori un trattamento che miri a integrare gli aspetti positivi dei vari approcci. Il trattamento farmacologico, riducendo o bloccando gli AP,
soddisfa il bisogno soggettivo immediato
di guarigione, inteso in quest’ambito come
senso di liberazione dai sintomi, rappresentando un rinforzo positivo per il paziente. L’approccio psicoterapico proposto
dagli autori è il training autogeno di J. H.
Schultz (le sei formule standard: pesantezza, calore, cuore, respiro, plesso solare,
fronte fresca) che, realizzando attraverso
il vissuto di rilassamento una autopercezione positiva dei vari distretti corporei,
determina nel soggetto una esperienza
corporea integrante. L’effetto risultante
da questo approccio metodologico integrato è quello di interrompere il circolo nevrotico, incidendo sui comportamenti di
evitamento, sui vissuti depressivi e sull’elaborazione ipocondriaca correlati al DAP.
Ulteriori risultati possono evidenziarsi
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dal sinergismo tra benzodiazepine e training autogeno poiché hanno entrambe
un’azione elettiva sull’ansia d’attesa che,
com’è noto dalla letteratura, costituisce
un fenomeno predittivo dell’AP. Infine
questa modalità d’intervento, definita dagli autori terapia integrata e da altri doppio binario, permetterebbe una riduzione
nel tempo dell’assunzione del farmaco e,
di conseguenza, una più facile separazione da esso: una metafora del superamento dell’ansia di separazione, la quale risulta essere uno dei fattori in grado di predisporre i pazienti con DAP ad un’evoluzione in senso agorafobico.
Altri studiosi hanno rivisitato studi
sull’efficacia dei self-management interventions per il disturbo di panico37. Tali interventi includevano una terapia cognitivo-comportamentale e l’esposizione agli
stimoli che scatenano attacchi di panico, e
tutti prevedevano compiti a casa. Essi si
sono dimostrati efficaci in termini di riduzione dei sintomi e di benessere psicologico, se messi a confronto con le cure standard o con il classico rilassamento. Non è
universalmente accettata la definizione di
auto-gestione nell’arena della salute38. In
verità i termini auto-aiuto, auto-cura, e
auto-gestione (self-help, self-care, self-management) vengono di solito usati intercambiabilmente. Gli approcci collettivisti
riflettono il reciproco aiuto provvisto dai
gruppi di auto-aiuto, tipicamente destinati ad una diagnosi specifica (depressione).
I gruppi di auto-aiuto sono visti come supplumentari all’assistenza professionale e
tipicamente giocano un ruolo supportivo
piuttosto che fornire istruzioni per acquisire nuove abilità che possono essere usate nel gestire una data condizione e le sue
conseguenze. I gruppi e le organizzazioni
di auto-aiuto si svilupparono molto nel
1980. Molte organizzazioni stanno ora iniziando a rispondere alle esigenze educazionali dei loro membri, mediante l’organizzione di seminari, workshops e interventi. Gli approcci individuali si riflettono
nei termini di auto-cura e di auto-gestione. In generale l’auto-cura comprende
strategie preventive (compiti a casa per
persone sane), mentre l’auto-gestione si
riferisce alle abilità individuali di gestire i
sintomi, il trattamento, le conseguenze fi-
45
siche e psicosociali e i cambiamenti di stile di vita davuti ad una condizione cronica. Un’auto-gestione efficace determina lo
sviluppo di abilità per controllare la condizione patologica, e per modificare le risposte cognitive, comportamentali, ed
emozionali necessarie a mantenere una
soddisfacente qualità di vita. Viene determinato in questo modo un processo dinamico e continuo di auto-regolazione che
funziona grazie anche alla collaborazione
di qualificati professionisti della salute.
Bisogna notare che gli interventi cognitivo-comportamentali sono maggiormente
usati nel campo della salute mentale piùttosto che nel campo deli disturbi cronici.
Ed è importante distinguere tra interventi terapeutici che confidano nella presenza
di un professionista, e gli interventi di
self-management che possono coinvolgere
professionisti, ma che confidano anche
sulle tecniche di auto-gestione da praticare individualmente nella vita di tutti i
giorni39. Centrale nel self-management è
la promozione del controllo e della responsabilità nell’individuo che può così prendere confidenza con le proprie abilità per
gestire i sintomi e l’impatto dei sintomi
sulla sua vita. Questo approccio differisce
dal trattamento comportamentale: l’uso
del termine trattamento suggerisce l’intervento del terapeuta e non è lo stesso
degli interventi che sono formati da principi comportamentali.
Non si hanno ancora ampie informazioni su problemi come:
1. l’efficacia di trattamenti psicosociali
combinati con trattamenti farmacologici,
2. i meccanismi di azione terapeutica,
3. fattori demografici, e non solo, relativi
ai pazienti che possono predire una
sensibilità o classificare una risposta
ad un trattamento,
4. l’efficacia a lungo termine di trattamenti per il disturbo di panico una volta completato il trattamento, e
5. il valore di questi trattamenti per quei
pazienti che soffrono di disturbi di panico in combinazione con altri disturbi
psicologici e psichiatrici.
L’ultimo gruppo rappresenta un segmento veramente significativo dei pazienti che soffrono di disturbi di panico.
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Per richiesta estratti:
Dr. Giuseppe De Angelis, via Achille Loria, 39 - 00191 Roma - Cell. 328-6210224 - [email protected]
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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007
LE PROTESI IN UROLOGIA
PROTHESIS IN UROLOGY
COSIMO SALVATORE
U.O. Chirurgia Urologica
Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
RIASSUNTO: Vengono aggiornate le conoscenze sull’utilizzo delle protesi in Urologia. Sono descritte le protesi più utilizzate nella pratica clinica con brevi accenni sulle tecniche di inserimento.
Parole chiave: Protesi, stent. UroLume. Sling. Reti. Prolene. Silicone.
SUMMARY: This manuscript updates the current knowledge of urological prosthesis and reports
the main technical details.
Key words: Prosthesis. Stent. UroLume. Mesh. Polypropylene. Silicone.
Lo scopo di quest’articolo è quello di approfondire le conoscenze sulle protesi usate
in Chirurgia Urologica.
In letteratura esistono numerosi lavori,
che trattano in maniera specifica dei vari tipi di protesi urologiche.
Può essere utile riassumere le conoscenze fondamentali e più aggiornate sull’argomento.
Le protesi vengono molto usate nella
Chirurgia ricostruttiva di varie Specialità
(protesi cardiache, aortiche, d’anca, etc.).
La tecnologia fornisce vari dispositivi affidabili dal punto di vista della funzione,
della biocompatibiltà e dell’habitat dell’ospite.
Alcune protesi urologiche non hanno trovato applicazione pratica in clinica (vedi sostituzione vescicale ed ureterale), altre sono
entrate stabilmente nell’armamentario del-
Fig. 1. Stent ureterale DJ in sede
l’Urologo (endoprotesi ureterali ed uretrali,
protesi prostatiche, sfintere urinario, reti
per la correzione del prolasso vescicale e
della volta vaginale, nastri sintetici o sling
e palloncini espansibili per l’incontinenza
urinaria da sforzo, protesi peniene e testicolari).
ENDOPROTESI URETERALI
L’introduzione in clinica delle endoprotesi (stents) ureterali ha contribuito notevolmente allo sviluppo dell’endourologia.
Lo stent ureterale è un catetere in materiale plastico con una o due estremità a ricciolo (mono- o doppio J), autostatiche, ottenute con procedimento termico, che conferisce loro una memoria.
Le estremità vengono posizionate nel bacinetto renale ed in vescica, in modo da impedirne la migrazione (Figg. 1-2).
Fig. 2. Stent ureterale DJ in sede. Immagine
radiologica.
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Lo stent assicura il deflusso urinario dal
rene alla vescica e può essere inserito in
corso di endoscopia o di intervento chirurgico a cielo aperto.
Esistono vari tipi di stents, diversi a seconda delle caratteristiche morfologiche e
biologiche (tipo di J, ad una o due anse,
estremità a punta aperta o chiusa, presenza
o meno di fori laterali per tutta la lunghezza o alle estremità, sezione, calibro interno,
lunghezza e centimetratura, radiopacità, tipo di materiale). I materiali utilizzati sono:
poliuretano, poliuretano modificato, Silitek,
C-Flex, Percuflex ed il silicone, che resiste
maggiormente alle incrostazioni e può rimanere in situ per un tempo più lungo.
In pratica l’Urologo ha la possibilità di
scegliere il tipo più idoneo alla situazione
clinica contingente.
L’indicazione principale all’uso della
stent è l’ostruzione della via escretrice superiore, che può essere provocata da calcoli
o stenosi (flogistiche, neoplastiche, post-attiniche, post-traumatiche, iatrogene), oppure la presenza di fistole1,2,3,4,5,6.
Nella maggior parte dei casi lo stent è
usato in urgenza per risolvere l’ostruzione
acuta sintomatica da calcolo incuneato.In
tale evenienza l’idronefrosi acuta provoca la
colica renale, mal tollerata dal paziente, soprattutto se ricorrente.
Lo stent più usato è quello rivestito di
hydrogel, perché più scorrevole. Il rivestimento di hydrogel è costituito da polimeri
idrofilici, che trattengono l’acqua; esso facilita l’inserzione dello stent, riduce il trauma
da frizione sulla parete ureterale e l’adesione di proteine, cristalli e cellule sull’interfaccia stent-urotelio.
La durata di permanenza nella via
escretrice non deve superare 3 mesi.
In pazienti affetti da patologie neoplastiche retroperitoneali con ostruzione ureterale e normale funzione vescicale, nei
quali è impossibile il posizionamento di
uno stent interno, si può ricorrere al bypass sottocutaneo renovescicale extraanatomico.
ENDOPROTESI PROSTATICHE
L’ostruzione urinaria infravescicale provocata da ipertrofia prostatica può essere
risolta con un intervento chirurgico (pro-
stectomia transuretrale o adenomectomia
prostatica transvescicale) o con il posizionamento nell’uretra posteriore di una protesi
temporanea o permanente, che assicura il
deflusso urinario. Questa tecnica consente
di evitare il catetere vescicale a permanenza o il cateterismo intermittente in pazienti ritenzionisti.
In casi selezionati la protesi prostatica
può essere un’alternativa all’intervento in
pazienti ad alto rischio.
Come accennato, le protesi possono essere temporanee (protesi di Fabian, Urocoil,
memokath) o permanenti (Wallstent, ASI,
Memotherm, Gianturco Z stent)7,8.
Le protesi permanenti sono autoespandibili, di facile e rapida introduzione.
I materiali utilizzati per queste protesi
sono leghe leggere, acciaio inossidabile, titanio, lega di nichel e titanio (Nitinol), poliuretano, copolimero PLGA.
È sufficiente l’anestesia locale per l’inserimento, che avviene sotto visione diretta
endoscopica, sotto controllo radioscopico o
con guida ecografica.
I vantaggi di queste protesi sono:minimo trauma uretrale, breve ospedalizzazione, immediata ripresa della minzione senza necessità di cateterismo post-operatorio.
Gli inconvenienti più frequenti sono l’incrostazione della protesi, frequente in pazienti predisposti alla formazione di calcoli,
il dislocamento, la comparsa o il peggioramento di una sintomatologia irritativa vescicale.
ENDOPROTESI URETRALI
Le stenosi dell’uretra sono spesso di difficile risoluzione per l’elevata percentuale
di recidive. La flogosi cronica periuretrale
ostacola la guarigione definitiva dopo un
primo trattamento, che può essere endoscopico (uretrotomia interna) o chirurgico (resezione del tratto stenotico uretrale ed anastomosi termino-terminale, uretroplastica
in uno o due tempi).
Alla fine degli anni ’80 è stato introdotto
nella pratica chirurgica uno stent impiegato nelle stenosi vascolari (Wallstent Fig. 3),
costituito da una mesh tubolare in fili sottili di acciaio inossidabile, autoespandibile
(UroLume)9,10.
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C. Salvatore: Le protesi in urologia
Lo stent viene posizionato in corso di endoscopia a livello della stenosi uretrale.La
procedura fa seguito alla uretrotomia endoscopica preliminare con adeguata dilatazione uretrale.
La tecnica è di facile esecuzione e scevra
di complicanze.
Lo stent viene gradualmente ricoperto
dalla mucosa uretrale, che prolifera tra le
sue maglie e va a rivestire completamente
la sua superficie interna.
In alcuni casi la proliferazione mucosa
può essere esuberante ed ostruire il lume
uretrale.Tale evenienza può richiedere una
resezione endoscopica della mucosa iperplastica allo scopo di ristabilire una canalizzazione adeguata dell’uretra.
Allo stato attuale l’Urolume viene utilizzato in casi selezionati (stenosi uretrali plurirecidive in pazienti ad alto rischio per l’uretroplastica).
Fig. 3. Protesi UroLume Wallstent
PROTESI UROGINECOLOGICHE
L’uso delle reti di materiale sintetico non
assorbibile (polipropilene) o assorbibile ha
rivoluzionato il trattamento chirurgico di
alcuni disordini della statica pelvica femminile (colpocele anteriore da prolasso vescicale, prolasso della volta vaginale post-isterectomia, prolasso genitale totale) e dell’incontineza urinaria da sforzo, così come rivoluzionò la cura chirurgica delle ernie della
parete addominale.
Il concetto di sostituire strutture fasciali
insufficienti con mesh di materiale biocompatibile (oltre al prolene e al vycril sono utilizzati anche il derma e la sottomucosa intestinale del suino) è stato certamente inno-
49
vativo. Lo dimostra il fatto che la percentuale di recidive degli interventi di ernioplastica mediante uso delle reti di prolene si
è notevolmente ridotta (dal 4, 4% all’1, 4%).
La rete di prolene è costituta da filamenti di polipropilene disposti a maglie.
La dimensione dei pori dei filamenti è
importante ai fini del rischio di infezione e
consente ai componenti del tessuto connettivo neoformato e vascolarizzato (fibroblasti,
fibre collagene, vasi sanguigni) di penetrare
all’interno tra le maglie della rete, che alla
fine viene inglobata dalla fibrosi definitiva.
Il vantaggio principale della mesh nella
chirurgia pelvica ricostruttiva è l’assenza di
suture in tensione (tecnica tension-free).
Gli interventi chirurgici eseguibili con
l’uso delle mesh sono: la colposacropessia
per prolasso della volta vaginale post-isterectomia, le plastiche vaginali per colpocele
anteriore e posteriore, la correzione dell’incontinenza urinaria da sforzo femminile
con sling sintetica sottouretrale.
Gli interventi più semplici (ernioplastica
inguinale, plastiche vaginali per colpocele,
TVT) possono essere effettuati in anestesia
locale in regime di day-surgery.
La colposacropessia è la fissazione della
volta vaginale, prolassata dopo isterectomia,
alla fascia pre-sacrale mediante interposizione di una mesh collocata in sede sottoperitoneale. L’intervento consente di riposizionare la vagina nello scavo pelvico secondo il
suo asse. La mesh più utilizzata è quella di
prolene. L’intervento può essere eseguito anche con tecnica videolaparoscopica.
Recentemente sono resi disponibili sistemi per la sospensione della cupola vaginale
mediante l’utilizzo di mesh sintetiche o biologiche, posizionate mediante l’inserimento
mini-invasivo di aghi per via perineale e
transotturatoria.
L’analisi delle varie casistiche riportate
in letteratura rileva percentuali di successo
variabili dal 68 al 100%11.
Una mesh di materiale biocompatibile
può essere usata anche nella riparazione
del colpocele anteriore e/o posteriore, dovuto ad erniazione del pavimento vescicale e/o
della parete rettale anteriore nella vagina.
La mesh può essere di forma variabile e viene posizionata longitudinalmente o trasversalmente a seconda del tipo di difetto fa-
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sciale dopo adeguata dissezione. La correzione del prolasso vescicale e/o rettale avviene senza tensione.Il tessuto fibroso che
gradualmente si forma all’interno ed intorno alla mesh rinforza le strutture fasciali
insufficienti12. Da alcuni anni è utilizzato
anche materiale biologico (derma porcino)
allo scopo di ridurre l’eventuale erosione dei
tessuti circostanti.
I vantaggi di questa tecnica sono:minore
incidenza di recidive rispetto alle tecniche
tradizionali, assenza di dolore post-operatorio, ridotta ospedalizzazione.
Le complicanze più frequenti sono: ematoma vescico-vaginale, erosione vaginale e/o
vescicale, infezione.
L’incontinenza urinaria da sforzo femminile è dovuta ad incompetenza dei meccanismi di chiusura uretrale dovuta ad ipermobilità del collo vescicale, insufficienza sfinterica o entrambe queste condizioni.
I meccanismi della continenza possono
essere corretti mediante stabilizzazione
dell’uretra o del collo vescicale, oppure con
la compressione di quest’ultimo.
Si utilizza a tale scopo una fionda o sling
di materiale autologo o eterologo .
Il materiale autologo più utilizzato è la
fascia dei muscoli retti dell’addome, ma può
essere usata anche la fascia lata.
La sling pubo-vaginale di materiale autologo è collocata sotto il collo vescicale e fissata ai legamenti del Cooper o alla parete
addominale anteriore.
Il nastro di prolene sottouretrale è quello più utilizzato per stabilizzare l’uretra
media (TVT: tension free vaginal tape (Fig.
4). Esso viene posizionato per via vaginale,
fuoriesce a livello cutaneo ed è ancorato alla fascia endopelvica ed alle strutture muscolo-aponeurotiche della parete addominale anteriore mediante il passaggio di due
aghi (Fig. 5).
Dispositivi più recenti utilizzano il forame otturatorio per il passaggio e il posizionamento del nastro.
La sling pubo-vaginale di materiale autologo (fascia dei muscoli retti) viene usata
per la correzione di tutti i tipi di incontinenza urinaria da sforzo. La percentuale di
successo della sling è dell’85% a 5 anni.
Le complicanze più frequenti sono la ritenzione urinaria post-operatoria (2, 7%) di
breve durata e l’insorgenza di una vescica
iperattiva (7%), che viene trattata con training autogeno ed eventuale terapia anticolinergica.
L’utilizzo della sling sottouretrale di polene ha semplificato il trattamento dell’incontinenza urinaria da sforzo femminile,
considerato a ragione mini-invasivo per la
facilità d’esecuzione, l’uso dell’anestesia locale e la possibilità di effettuare l’intervento in regime di Day Surgery.
Per questo motivo ha trovato larga diffusione13,14.
La percentuale di guarigione delle sling
sottouretrali è del 90% a 7 anni. La complicanze più comune è una transitoria ritenzione urinaria. Sono descritti rari casi di
ematoma retropubico e perforazione vescicale da passaggio degli aghi, ritenzione urinaria persistente. Tali complicanze sono
evitate con la tecnica transotturatoria.
La compressione estrinseca del collo vescicale e dell’uretra membranosa, incompe-
Fig. 4. Sling sottouretrale. Disegno schematico.
Fig. 5. Nastro di prolene e aghi per il passaggio transotturatorio della sling.
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tenti nell’incontinenza urinaria da sforzo,
può essere ottenuta anche con palloncini di
silicone introdotti per via percutanea (ACT:
adjustable continence therapy) o con l’iniezione transuretrale o periuretrale di materiale inerte, biocompatibile come il teflon, il
collagene bovino o le particelle di silicone.
La percentuale di cura è del 48% a 5 anni.
PROTESI SFINTERICA
L’introduzione nella pratica clinica della
protesi sfinterica o sfintere urinario artificiale ha modificato notevolmente la qualità
di vita dei pazienti affetti da incontinenza
urinaria, altrimenti costretti all’uso di pannoloni assorbenti o al catetere vescicale a
permanenza.
La protesi è stata introdotta da Scott nel
1972 ed ha subito nel tempo varie modifiche
tecniche15,16,17. Il modello attualmente in uso
dà ottime garanzie di biocompatibilità, sicurezza, efficacia e durata.
La protesi è un sistema idraulico di silicone a 3 componenti (cuffia, pompa, serbatoio Fig. 6).
La cuffia viene impiantata intorno all’uretra bulbare maschile o al collo vescicale,
si collega mediante tubicini di raccordo al
pallone-serbatoio, posizionato in sede preperitoneale in fossa iliaca ed alla pompa collocata nello scroto o nel grande labbro.
L’attivazione manuale della pompa apre
l’uretra o il collo vescicale e permette la
minzione. Il sistema ripristina automaticamente il suo meccanismo di chiusura (cuffia
piena-uretra chiusa) e mantiene la continenza urinaria.
L’indicazione all’impianto dello sfintere
urinario artificiale è l’incontinenza urinaria
Fig. 6. Protesi sfinterica AMS 800 (cuffia, pompa e serbatoio)
da sforzo di 2°-3° grado da deficit sfinterico
primitivo o secondario.
Dato il costo elevato della protesi è indispensabile una selezione accurata dei pazienti.
La sopravvivenza a 10 anni di una protesi sfinterica è del 66%.
PROTESI PENIENE
Le protesi peniene sono utilizzate nell’impotenza da disfunzione erettile, che non
può essere trattata con terapia medica.
I componenti principali di queste protesi
sono 2 cilindri di silicone di diametro e lunghezza variabili, inseriti all’ interno dei corpi cavernosi.
Non esiste una protesi ideale utilizzabile
in tutti i casi. Per questo motivo sono state
ideate vari tipi di protesi peniene: non
idrauliche (semirigide, malleabili, meccaniche) e idrauliche (mono, bi-e tricomponenti
Fig. 7).
La scelta dipende dalle caratteristiche
psico-fisiche del paziente ed è compito del
Chirurgo informare e guidare il paziente
nella decisione più idonea.
A titolo di esempio una protesi idraulica
è più indicata nel paziente paraplegico, che
conserva l’uso degli arti superiori, indispensabili per l’attivazione e la deattivazione
della pompa;per la sua morbidezza ha una
minore l’incidenza di decubiti da alterato
trofismo tissutale.
Nei pazienti diabetici la scelta va fatta
tenendo presente l’incidenza più elevata di
complicanze infettive.
Infine è necessario tener conto del costo
della protesi, più elevato per una tricomponente.
Fig. 7. Protesi peniena bicomponente.
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L’impianto di una protesi peniena mediante accesso infrapubico, penieno, penoscrotale o perineale non è particolarmente
difficile. Grande attenzione va posta nel
risparmio della vascolarizzazione dei tessuti, che devono essere manipolati con
estrema delicatezza per non comprometterne la vitalità. Cura particolare va posta
nel prevenire l’infezione, norma fondamentale in chirurgia protesica, in quanto
è responsabile della maggior parte degli
espianti18,19,20,21.
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____
Per richiesta estratti:
Dott. Cosimo Salvatore
Via del Casaletto, 161 - 00151 Roma.
Tel. 065376359-3471837581 - E-mail: [email protected]
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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007
Caso clinico
NECROSI CUTANEA IN CORSO DI TERAPIA
CON ANTICOAGULANTI ORALI. CASO CLINICO
CUTANEOUS NECROSIS DURING ANTICOAGULANT. CASE REPORT
ILANA SCHACTHER, PIER LUIGI ANTIGNANI, CLAUDIO ALLEGRA
UOC di Angiologia - A.O. S. Giovanni-Addolorata - Roma
RIASSUNTO: L’efficacia della terapia anticoagulante nel tromboembolismo venoso, sia per la terapia in acuto che per la profilassi a lungo termine, in pazienti con TVP recidivanti e persistenza dei fattori di rischio, è stata convalidata da molti studi. Essa però non è scevra da rischi, come le emorragie o, più raramente, la necrosi cutanea. Il caso clinico giunto alla nostra osservazione riguarda un paziente che presentava concomitanza di fattori procoagulanti congeniti (Fattore II genico variante positivo eterozigote e MTHFR positivo eterozigote) e acquisiti nel corso
della terapia anticoagulante verosimilmente per consumo della proteina C, con comparsa di necrosi cutanea.
La sostituzione della terapia anticoagulante con l’eparina a basso peso molecolare a dosaggio anticoagulante e contemporanea medicazione topica personalizzata, ha portato alla risoluzione della manifestazione clinica con restitutio ad integrum del tessuto cutaneo.
Parole chiave: Terapia anticoagulante. Trombosi venosa profonda. Ulcera venosa.
SUMMARY: The effectiveness of anticoagulant therapy for venous thromboembolism, with regards to both acute phase and long period prophylaxis, in patients with recurrent DVT and persistence of risk factors, has been confirmed by many studies. However it is not free of complications such as haemorrhage or, more rarely, cutaneous necrosis. The patient, observed by us since 1994, was affected from deficiency of congenital procoagulant factors (factor II heterozygote
and MTHFR positive heterozygote) and secondary deficiency of procoagulant factors due to the
consume of protein C, with appearance of cutaneous necrosis.
The change of therapy from oral anticoagulant to LMWH (low molecular weight heparin) and the
use of personalized topic dressing, led on the solution of the clinical symptoms and on the recovery of the cutaneous tissue.
Key words: Anticoagulant treatment. Deep vein thrombosis. Venous ulcer.
INTRODUZIONE
La terapia del tromboembolismo venoso
viene effettuata con tipi diversi di anticoagulanti: warfarin, acenocumarolo, eparina
non frazionata ed eparina a basso peso molecolare. Nello 0.01-1% dei casi si verificano complicazioni con necrosi cutanea1-3.
In corso di terapia con ACO, l’effetto
negativo collaterale può manifestarsi precocemente, a distanza di alcuni giorni e fino a 15 anni dall’assunzione4,5. L’esordio
della sintomatologia si presenta con la
comparsa di eritrosi cutanea con veloce
evoluzione in aspetto bolloso, di ulcera e
infine di necrosi del tessuto6-8.
CASO CLINICO
Riportiamo il caso di un uomo caucasico nato nel 1966, che viene ricoverato nel
1988, all’età di 22 anni, per dolore in zona
lombare con irradiazione agli arti inferiori, a cui si accompagna, nei giorni successivi, aumento volumetrico degli arti, rialzi
termici e difficoltà alla deambulazione.
Dall’anamnesi risulta incidente automobilistico 20 giorni prima, con riscontro di
contusione al ginocchio destro.
Anamnesi familiare negativa per patologie cardiovascolari.
Alla TC, effettuata al momento del ricovero, riscontro di trombosi cavale.
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Inizia terapia anticoagulante con eparina a dosaggio pieno, ma il PTT resta nella norma.
Per tale motivo si ipotizza la presenza
di un deficit coagulativo e vengono eseguite le specifiche indagini (Fattore II genico
variante positivo eterozigote, MTHFR positivo eterozigote, Antitrombina 90%, Proteina C 95%, LAC, ANA - negativi).
In considerazione dell’assenza di deficit
degli inibitori fisiologici della coagulazione, si inizia terapia con anticoagulanti
orali (ACO), mantenendo l’INR tra 2-3.
L’evoluzione clinica è caratterizzata
dalla sindrome post-trombotica: reticolo
venoso superficiale a carico della parete
addomino-pelvica, discromia cutanea al
terzo inferiore degli arti inferiori, lesioni
trofiche recidivanti perimalleolari interne
bilaterali.
Dal 1994, il paziente viene seguito per
tale patologia nel nostro reparto. È stato effettuato nuovamente lo screening trombofilico, che ha confermato i valori nella norma
dell’Antitrombina (81%), ma iniziale discesa dei valori della Proteina C a 63%;
È stata proseguita terapia con ACO e
per il persistere delle lesioni perimalleolari, si è aggiunta terapia infusionale con la
Pentossifilina, vaccino antipiogeno, medicazioni topiche e bendaggi elastocompressivi, in base all’obiettività clinica, con
buon esito clinico.
Il paziente è tornato alla nostra osservazione nel Maggio 2004, presentando re-
cidiva di lesioni trofiche perimalleolari e
una nuova lesione del diametro di circa 1
cm, al livello del lato esterno del ginocchio
destro, con fondo sanioso. Il paziente ha
riferito che tale lesione è comparsa spontaneamente, preceduta dalla formazione
di una chiazza eritematosa-violacea. Nell’arco di pochi giorni, è comparsa una seconda chiazza violacea adiacente, che è
andata rapidamente incontro ad ulcerazione ed è confluìta nella prima lesione,
con eritrosi periulcerosa; nei giorni successivi, si è assistito ad un aumento della
dimensione e della profondità della lesione (Fig. 1).
Si è proceduto a controlli ematochimici,
dai quali è risultato:
• INR 2.58
• Fibrinogeno 463 mg
• Antitrombina 120%
• Proteina C 35%
• Proteina S 30%
• Piastrine 196.000
• Omocisteina 10 micromoli/l
• MTHFR positivo omozigote
• Fatt. II genico variante - positivo eterozigote
Alla luce di tali referti, è stato sospeso
il trattamento ACO e si è iniziata terapia
con eparina a basso peso molecolaree
(EBPM) 0.8 per 2 volte al dì, terapia sistemica con antibiotici e medicazioni topiche. Dopo 3 mesi di trattamento della lesione (Fig. 2), è stato effettuato un innesto
dermo-epidermico e si è ottenuta una ci-
Fig. 1. Lesione trofica estesa in sede perigenicolare esterna a fondo sanioso con deposito.
Fig 2. La lesione trofica dopo 3 mesi si è ridotta di dimensioni e presenta un fondo parzialmente granulaggiante.
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P. Antignani et al.: Necrosi cutanea in corso di terapia con ACO - Caso clinico
catrizazione completa nell’arco di pochi
mesi (Fig. 3). A distanza di tempo il paziente non ha presentato recidive, prosegue terapia anticoagulante con EBPM.
Fig. 3. Quasi completa cicatrizzazione dopo innesto dermo-epidermico.
DISCUSSIONE
La necrosi cutanea in corso di terapia
anticoagulante è un raro effetto collaterale importante in quanto, anche se occasionalmente, può portare a menomazioni (ad
esempio la necrosi cutanea della mammella nelle donne) e ad exitus1,3,6.
La prima descrizione di tale effetto collaterale avvenne nel 19431, e fino al 2002
sono stati osservati e riconosciuti 400 casi2,8,9. La lesione cutanea può manifestarsi
in sede di iniezione (genesi allergica) o a
distanza (reazione immunologica).
La necrosi cutanea da ACO è molto rara e si può manifestare nello 0.01-0.1%
della totalità dei casi.
L’eziologia non è ad oggi del tutto conosciuta, ma si è riscontrata la presenza di
uno stato procoagulante congenito o acquisito2-9.
I fattori della coagulazione che, se alterati quantitativamente o qualitativamente, possono indurre la necrosi cutanea durante la terapia con ACO sono: Proteina
C, Proteina S, Fattore V di Leiden, Fattore II genico variante, LAC. La riduzione
della proteina C risulta essere la causa
più comune.
Gli antagonisti della vitamina K hanno
struttura affine alla vitamina K e interferi-
55
scono con meccanismo competitivo al legame tra il fattore terzo piastrinico e i gruppi
y carbossilici del complesso protrombinico.
In tal modo entrano in circolo proteine anomale dette PIVKA (Protein Induced by Vitamin K Absence) con azione inibente sulla
coagulazione a vari livelli2,5.
La vitamina K è necessaria per una
normale produzione nell’epatocita dei fattori II, VII, IX, X, e delle proteine C e S.
La proteina C è una glicoproteina plasmatica, vitamina K dipendente (emivita
6 ore) attivata dal complesso trombina/
trombomodulina. Essa agisce sui fattori V
e VIII e viene potenziata dalla vitamina S.
L’emivita della proteina C è minore
dell’emivita dei fattori II, IX e X, perciò,
in caso di deficit della proteina C o proteina S si ha un alterato rapporto della
bilancia emostatica in senso procoagulativo e tale condizione può provocare necrosi cutanea1-9.
Il meccanismo supposto nel nostro caso è stato il potenziamento dello stato
trombofilico, secondario al deficit acquisito dei fattori della coagulazione, Proteina
C e Proteina S, associato ad uno stato
trombofilico congenito (fattore II genico
variante e MTHFR entrambi positivi in
eterozigosi).
La Proteina C, se attivata, neutralizza
l’inibitore dell’attivatore tissutale del plasminogeno, con effetto di aumento dell’attività del tPA (proteina dotata di attività
proteolitica sul plasminogeno, prodotta
dall’endotelio vasale) e, quindi, aumento
della fibrinolisi.
La via estrinseca della fibrinolisi consiste nella liberazione del tPA in presenza
di coagulo intravasale con conseguente
dissoluzione dei coaguli intravasali, lisi
locale ed eliminazione della fibrina dai
tessuti infiammati.
La diminuzione della Proteina C e della Proteina S porta a trombosi microvasale transitoria con successiva necrosi accompagnata da microemorragie nella zona necrotica4,6,7.
La sede anatomica interessata dal danno microvascolare varia: arto inferiore,
mammella femminile e, raramente, collo e
viso, con predilezione per le donne di mezza-avanzata età1-9.
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In genere tale manifestazione avviene
nei primi 10 giorni dall’inizio della terapia
ma, a volte, anche dopo molti anni, come
nel caso esaminato.
Gli esami istologici confermano la mi-
crotrombosi e la deposizione della fibrina
in sede pericapillare, l’emorragia e la necrosi diffusa nel derma e nel tessuto sottocutaneo, maggiormente evidente a livello
del tessuto adiposo8,9.
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9. Arguad L, Guerin C, Thomas L, Fournier G. Extensive coumarin-induced skin necrosis in a patient with acquired protein C deficiency. Intensive Care Med 2001; 27:1555.
____
Per richiesta estratti:
Prof. Pierluigi Antignani - Via Germanico, 211 - 00192 Roma
Tel. 063243833 - Cell. 335-318430 - [email protected]
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San Camillo e Forlanini
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Gestione e organizzazione sanitaria
TELEMEDICINA RESPIRATORIA: RISULTATI DOPO 8 ANNI
DI MONITORIZZAZIONE NELL’OSPEDALE “A&C CARTONI”
ROCCA PRIORA (ROMA)
RESPIRATORY TELEMEDICINE: RESULTS AFTER 8 YEARS
OF MONITORING IN “A&C CARTONI” HOSPITAL,
ROCCA PRIORA (ROME)
CESARE MARIA FIORANI, ANTONELLA LUSTRISSIMI, MICHELE ROMEO
U.O.C. Malattie Apparato Respiratorio Ospedale “A&C Cartoni” di Rocca Priora (Roma)
Parole chiave: Telemedicina. Telemonitoraggio respiratorio. Insufficienza respiratoria cronica.
Key words: Telemedicine. Respiratory telemonitoring. Lung diseases, obstructive.
INTRODUZIONE
Il termine “Telemedicina” si riferisce a
“una particolare modalità di erogazione
dell’assistenza sanitaria che permette di
fornire servizi di diagnosi ed assistenza
medica integrata, superando i vincoli della
distribuzione territoriale delle competenze,
della distanza tra esperto ed utente e della
frammentazione temporale dell’intervento
sul singolo assistito”. Tale erogazione avviene quando la distanza è un fattore critico, per cui è necessario usare, da parte degli operatori, le tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni, al fine di
scambiare informazioni utili alla diagnosi,
al trattamento ed alla prevenzione delle
malattie e per garantire un’informazione
continua agli erogatori di prestazioni sanitarie e supportare la ricerca e la valutazione della cura” (definizione dell’OMS)1.
A livello territoriale dev’essere implementata l’assistenza domiciliare integrata, in particolare per i pazienti affetti da
insufficienza respiratoria grave in ossigenoterapia, con disponibilità al domicilio
del paziente, dove necessario, degli strumenti di monitoraggio della funzione respiratoria, anche in modalità telematiche.
DIMENSIONI SOCIALE DEL
PROBLEMA DELLE INSUFFICIENZE
RESPIRATORIE CRONICHE
Le malattie respiratorie rappresentano
la terza causa di morte in Italia, dopo le
malattie cardiovascolari ed i tumori (dati
ISTAT 2001-2003)2,3 e sono in alta crescita
tendenziale. Il numero assoluto di morti
per malattie respiratoria nel Lazio è stato
pari a 2.766, mentre i tassi di mortalità4
per 10.000 abitanti sono del 5,27, ma se si
considera la fascia di età over 65 tali tassi
aumentano a 26,42 per 10.000 abitanti.
ANALISI DEI DATI UFFICIALI
DEL LAZIO RIFERITI AL 2003
Da una analisi più approfondita dei dati epidemiologici relativi solo alle malattie
respiratorie croniche (tumori esclusi), di
cui al I Corso sulla Assistenza Respiratoria Domiciliare tenuto dal dott. M. Marceca della U.O. Assistenza Distrettuale della ASP della Regione Lazio, che si è tenuto nel 2005, su dati del 20035, emergono
altre caratteristiche epidemiologiche che
sono riassunte come segue:
Insufficienza respiratoria (cod. 786.09):
dimissioni 1906, dimessi da reparti di
Pneumologia solo 5%, transito in Terapia
Intensiva nel 9,7%, mortalità intraospedaliera nel 12,2%, ossigenoterapia durante i ricoveri nel 1,7%, degenza media 7,3;
Insufficienza respiratoria (cod. 518.81):
dimissioni 4.960, dimessi da reparti di
Pneumologia solo 20,8%, transito in Terapia Intensiva nel 24,8%, mortalità intraospedaliera nel 24,9%, ossigenoterapia nel
6,1%, degenza media 14,1;
Broncopneumopatia cronica ostruttiva
(cod. 490-496): dimissioni 13.810, dimessi
da reparti di Pneumologia 20,5, transito
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in Terapia Intensiva 1,8%, mortalità intraospedaliera 3,1%, ossigenoterapia 1,8%,
degenza media 8,4;
Bronchite cronica (cod. 491): dimissioni
10.592, dimessi da reparti di Pneumologia
21,31%, transito in Terapia Intensiva
2,13%, mortalità intraospedaliera 3,88%,
degenza media 9,3.
ASMA (cod. 493): dimissioni 2.312, dimessi da reparti di Pneumologia 14,9%,
transito in Terapia Intensiva 0,4%,
mortalità intraospedaliera 0,2%, degenza
media 4,7.
L’impatto economico sul SSR dei ricoveri per insufficienza respiratoria (dei
codd. 786.09 e 518.81), delle broncopneumopatie croniche ostruttive e dell’asma è
stato il seguente: insufficienza respiratoria costo medio del ricovero 5.309 euro (x
6.866 dimessi); BPCO costo medio per ricovero 3.041 euro (x 11.221 dimessi);
asma costo medio per ricovero 1.763 euro
(x 2.312 dimessi)6.
L’andamento temporale delle dimissioni negli anni 1996-2003 ha dato un lievissimo decremento delle BPCO e dell’asma,
a fronte di un notevole incremento delle
insufficienze respiratorie a partire dal
1999.
ANALISI DEI DATI UFFICIALI
DEL LAZIO RIFERITI AL 2005
I dati ufficiali a nostra disposizione sono quelli dell’ASP del Lazio6 – Assessorato
alla Sanità di cui alla nota prot.
101353/4V/01 del 7 settembre 2006 a firma del Direttore Regionale dott. S. Natoli
– che si riferiscono all’anno 2005, e che abbiamo ulteriormente elaborato a fini statistici. Essi si riferiscono solo ai ricoveri,
mentre non sono disponibili e frammentari i dati relativi all’assistenza ambulatoriale e tanto meno all’assistenza domiciliare.
Nel Lazio, nel 2005, sono state effettuate 47.730 dimissioni da strutture ospedaliere6 della regione per patologia respiratoria. Di queste dimissioni, quelle fatte
per malattie respiratorie croniche, invalidanti e che richiedono, quindi, un controllo anche dopo il ricovero, sono state:
14.400 per broncopneumopatia cronica
ostruttiva, 7.268 per insufficienza respiratoria, 1.840 per malattie infiammatorie
croniche fibrosanti, 6.498 per tumori maligni pleuro-polmonari; mentre le dimis-
sioni per malattie polmonari che danno
esito in una buona percentuale dei casi
(ma non sempre) alla restitutio ad integrum, sono state: 12.435 per polmoniti,
1.274 per bronchiti e bronchioliti acute,
3.183 per pleuriti, 832 per tubercolosi.
Il tasso di dimissioni per 10.000 abitanti6 è stato di 100 dimissioni per 10.000
abitanti per le femmine.
Del totale delle dimissioni effettuate
nel 2005, solo il 24% sono state fatte da reparti di Pneumologia, mentre il 76% da
altri reparti, ed il 4% dei pazienti durante
il ricovero è transitato in reparti di Terapia Intensiva.
La mortalità intraospedaliera6 è stata
pari al 6,8% dei casi, e, particolarmente, è
stata nelle forme di insufficienza respiratoria del 15,5%, nella broncopneumopatia
cronica ostruttiva del 1,8%, nei tumori respiratori del 10,7%, mentre è stata del
5,9% nelle restanti patologie respiratorie.
Si registra anche una diversità significativa della mortalità intraospedaliera6
fra i dimessi da reparti di Pneumologia
(ove è stata del 4,5%), ed i dimessi da altri
reparti non specialistici (ove è stata del
18,5%).
La degenza, se si eccettua l’Ospedale
del Bambino Gesù, che raccoglie le malattie respiratorie pediatriche, varia da 7
giorni a 17 giorni, ed è stata di un valore
di 10,66 gg. di degenza media6, per un totale di 389.356 giornate complessive di degenza.
Conclusioni statistiche che si possono
trarre dai dati di cui sopra sono le seguenti:
• Le malattie respiratorie sono prevalenti nella popolazione anziana e siccome
in Italia la vita media è in aumento,
tendono a crescere ulteriormente,
• È presente un elevato numero di ricoveri/anno per le forme croniche invalidanti non più passibili di guarigione, e
che richiedono un monitoraggio continuo onde ritardarne l’aggravamento, e
prevenire ulteriori ricoveri.
• La degenza media per un ricovero è
quasi di 11 giorni in reparti a normale
intensità di cure, ma il 4% dei pazienti
transita durante il ricovero in reparti
di Terapia Intensiva, ad alto costo.
• La mortalità intraospedaliera è più di
tre volte inferiore se il ricovero è fatto
in reparti specialistici di Pneumologia,
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C.M. Fiorani et al.: Telemedicina respiratoria: risultati dopo 8 anni di monotorizzazione nell’ospedale...
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e ciò sta ad attestare il miglior esito
delle malattie respiratorie se queste sono seguite dagli specialisti Pneumologi.
Attualmente meno di un quarto dei pazienti ricoverati è seguito dagli specialisti Pneumologi.
DATI SULLA OSSIGENO-TERAPIA
DOMICILIARE
Nel 2001 in Italia erano 62.500 pazienti in OLT, corrispondenti ad una tasso
di 1,08/1.000 abitanti, con un consumo
complessivo di 32 milioni di mc di O2
(Assotecnici 2003)7;
In Umbria dati recenti del Progetto
ODUE8 riportano una prevalenza di
107 casi di OLT/100.000 abitanti ed
una incidenza di 66 nuovi casi per anno/100.000 abitanti;
Nel Lazio dati del COSISAN9 dimostrano per il 2004 che 10.140 pazienti hanno utilizzato almeno 1 bombola di ossigeno liquido per anno (tasso 194,8 pazienti/100.000 abitanti);
Nel 2005 il numero dei pazienti è salito a 10.323;
Di tali pazienti l’82,03% era costituito
da ultra 65 anni, ed il 60% da maschi.
Nel Lazio i pazienti che hanno utilizzato più di 23 bombole per anno è stato
nel 2004 di 1.655, mentre nel 2005 tale
numero è salito a 1.8969.
Il costo della OLT con ossigeno liquido
eseguita per 20 ore al giorno è di 10,58
euro al giorno.
Il costo della OLT con concentrazione di
ossigeno per 20 ore al giorno è di 1,44
euro di corrente elettrica al giorno, ma il
costo iniziale del concentratore di ossigeno è di circa 1.000 euro a paziente.
Attualmente in Italia i concentratori di
ossigeno sono quasi del tutto assenti.
In alcuni paesi europei (Polonia) il concentratore di ossigeno è l’unico metodo
di somministrazione consentito.
DATI RECENTI SULLA
TELEMEDICINA RESPIRATORIA
In Italia l’unico dato di rilievo per esperienza pluriennale ed al numero di pazienti è quello di Dal Negro di Verona10,
che riporta: un calo delle giornate di degenza da 36,9 gg. prima della telemedicina, a 7,4 gg. dopo telesorveglianza domiciliare con telemedicina respiratoria;
I ricoveri per anno passano da 1,8 sen-
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za telemedicina a 0,5 per anno con telemedicina;
I pazienti non complianti alla OLT passano da 10-15% senza telemedicina
all’1% con telemedicina.
I costi diretti/anno passano da 790.000
dollari senza telemedicina a 125.300
dollari con telemedicina.
Nel Lazio l’unico dato a disposizione è
quello della ASL Roma H che riporta
nel 200211, su 75 pazienti con insufficienza respiratoria cronica in OLT, un
abbassamento delle riacutizzazioni con
telesorveglianza in telemedicina da
1,69 per anno a 0,77 per anno. I ricoveri sono passati da 2,55 per anno ad 1,23
per anno.
RISULTATI DOPO OTTO ANNI
DI MONITORIZZAZIONE NELLA
U.O.C. “MAL. APP. RESP.”
DELL’OSPEDALE “A&C CARTONI”
DI ROCCA PRIORA
Nel 1999 sono stati arruolati 75 pazienti con Insufficienza Respiratoria Cronica per una monitorizzazione domiciliare
(pulsossimetria notturna continua per
una-due volte alla settimana, e secondo il
bisogno nei periodi di riacutizzazione).
I parametri di accesso sono stati una
SaO2 sotto il 90% a riposo e necessità di
ossigenoterapia domiciliare a lungo termine, almeno 2 ricoveri/anno nel periodo
precedente l’arruolamento.
Le modalità di registrazione dei dati
prevedeva per tutti i casi la monitorizzazione durante tutta la notte almeno 2 volte a settimana secondo un calendario concordato. Nei periodi di possibile riacutizzazione la trasmissione dei dati avveniva
secondo prescrizione medica, anche ogni
notte o in tempo reale al momento della
chiamata telefonica.
La patologia di base in 72 casi era rappresentata da BPCO, in un caso da fibrosi
polmonare, in un caso da Distrofia du Duchenne, in un caso da BPCO nel polmone
residuo dopo pneumonectomia.
Nel settembre 2007, dopo 8 anni di monitorizzazione, 18 pazienti sono usciti dallo studio per trasferimenti domiciliari,
scarsa compliance, motivi vari.
Quindici pazienti sono deceduti: 10 per
cause respiratorie e 5 per cause non respiratorie.
Nel corso del 2006 e 2007 sono stati ar-
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ruolati altri 2 pazienti con gli stessi criteri di accesso di cui sopra (tutti affetti da
BPCO), dei quali 3 pazienti si sono persi,
uscendo dallo studio, per cui attualmente
la coorte dei pazienti seguiti a domicilio è
di 51 soggetti. Da meno di 1 anno si è attivato un servizio di videotelefonia per alcuni pazienti domiciliari con videotelefoni
erogati dalla ASL.
I risultati sono i seguenti:
• Il numero di ricoveri è stato di 3 nel
corso di 8 anni;
• il tasso di ricovero medio è stato di 0,37
per anno, mentre prima delle Telemedicina la media era di 2,55/anno;
• in 21 pazienti nel corso di 8 anni di monitorizzazione Domiciliare non vi è stata necessità di alcun ricovero;
• tutti i casi sono stati sottoposti a controlli ambulatoriali (visita, EGA, spirometria, Rx torace) programmi a scadenze fisse, o a seconda del bisogno (con
ambulatorio dedicato a registrazione diretta, e quindi con visita ed esami immediati) e dettati dall’esame dei grafici
delle monitorizzazioni domiciliari.
Le conclusioni sono che la Telemedicina
è una metodica utile per trattare a domicilio le Insufficienze Respiratorie Croniche, per cogliere immediatamente i primi
segni delle riacutizzazioni e quindi per abbassare drasticamente la necessità di ricovero, con un risparmio notevole in termini monetari12.
Le prospettive discendono dall’esperienza acquisita in questi 8 anni e dall’analisi
degli errori fatti. Ad esempio si fa osservare che solo in 3 pazienti il tasso dei ricoveri è stato altissimo (oltre 20 ricoveri in 8
anni) e ciò sta a significare che in tali pazienti la monitorizzazione domiciliare, lungi da rappresentare un metodo per il trattamento domiciliare, è stato vissuto da tali
soggetti (forse troppo gravi e con un enorme carico d’ansia) come un metodo per ricoverarsi subito ai primi segni di aggravamento, che potevano benissimo essere gestiti a domicilio. Probabilmente tali pazienti dovevano essere messi fuori dalla Telemedicina (ma non ci si è sentiti di farlo).
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Per richiesta estratti:
Cesare Maria Fiorani
E-mail: [email protected]
Senza questi 3 casi, la media dei ricoveri in 8 anni scende ancora da 3 a 2,35,
con una media di 0,29 per anno.
I vantaggi della Telemedicina sono indiscutibili, ma perché decolli debbono
realizzarsi alcune condizioni fondamentali. La prima è il cambiamento di cultura,
una presa di coscienza dei grandi vantaggi13 che questo sistema può offrire ai pazienti ed ai medici. Ci dovrà poi essere
una promozione delle tecnologie avanzate
da parte degli enti di ricerca internazionali e degli accordi che consentano che le
prestazioni rispondano ad uno standard
affidabile.
BIBLIOGRAFIA
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2. Istat “Health for All” Database 2002.
3. Istat “Stili di vita e condizioni di salute”, 2002.
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http//www.istat.it/dati/catalogo/20021203_00/.
5. Ministero della Salute: “Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero.dati SDO
2003”. www.ministerosalute.it.
6. Mappa dati. Attività ospedaliera - Anno 2005.
http://www.asplazio.it/.
7. Dati consumo ossigeno. Asso tecnici 2003.
8. Progetto Odue: Ossigenoterapia Domiciliare in
Umbria Studio epidemiologico (2004-2005).
9. Cosisan: Rapporto sulla prescrizione farmaceutica Regione Lazio, 2004.
http://www.asplazio.it/asp_online/att_territoriale/files/farmaceutica/prodotti/Rapporto_2004.pdf.
10. Dal Negro RW, Goldberg AI: Ossigenoterapia
Domiciliare a lungo termine in Italia. Il valore
aggiunto delle telemedicina. Milano, SpringerVerlag Italia, 2006.
11. Maiolo C, Mohamed E, Fiorani CM, De lorenzo
A. Home telemonitoring for patients with severe respiratory illness: the italian experience.
J. Telemed telecare 2003; 9 (2): 67-71.
12. Ram SFS, Wedzicha JA, Wright J, Greenstone
M. Hospital at home for acut exacerbations of
chronic obstructive pulmonary disease.
Cochrane database pf Systematic Reviews (4):
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13. Strode SW, Gustke S, Allen A. Technical and
clinical progress in Telemedicine. Jama 1999;
281: 1066, 8
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Rassegne
LE BASI STATISTICHE DELLA BIOLOGIA E DELLA MEDICINA
La Società Editrice Universo nel 2006
ha pubblicato l’opera del prof. Pietro Cugini “Biostatistica, Cronobiologia, Caosbiologia della Metodologia Medica”, importante volume di circa 740 pagine che si
prefiggeva lo scopo di affrontare i Principi, i Metodi e le Applicazioni di Biostatistica, con lo studio della Probabilità, della
Cronobiologia, con lo studio della Periodicità e della Caosbiologia, con lo studio della Imprevedibilità, applicati ai fenomeni
bio-medici. L’impegno era arduo e, anche
se cercava di usare un linguaggio non eccessivamente tecnico, richiedeva una concentrazione non indifferente per il lettore
medio.
A circa un anno di distanza il professor
Cugini torna sull’argomento con il testo
dal titolo “Le basi statistiche della biologia
e medicina” e sottotitolo “Principi-MetodiApplicazioni”. (2007 SEU Editore, volume
in brossura di 248 pagine, prezzo: 28 euro).
La concezione di questo testo è interessante: lo scopo è quello di limitare la trattazione alla parte Biostatistica rimandato al
testo d’origine per gli altri aspetti. Inoltre,
allo scopo di contenere le dimensioni dell’opera parte del materiale (le applicazioni
e il tabulario statistico) è stato allegato in
formato elettronico nel CD allegato sotto
forma di un file in pdf (Portable Document
Format). L’Editore mette a disposizione
sul sito (http//:store.seu-roma.it) anche l’ebook. L’esposizione della materia si giova
della vasta esperienza dell’Autore che, co-
me egli stesso afferma nella prefazione, ha
personalmente e attivamente vissuto le
trasformazioni del ruolo della Statistica
nella Medicina. La crescente quantità di
osservazioni raccolte nella pratica o in laboratorio nello scorso secolo ha richiesto
l’introduzione di nuovi metodi matematico-filosofici di interpretazione dei dati e
dei concetti ad essi legati. Il progresso tecnologico con la diffusione dei computer e
delle analisi statistiche attraverso specifici software ha stravolto in pochi decenni
l’approccio metodologico in Medicina: oggi
test di elevata complessità sono alla portata di tutti ma solo pochi sono veramente in
grado di comprendere i risultati ottenuti.
Il testo del professor Cugini, con il forte legame che in ogni pagina si avverte con la
pratica medica, si rivela un prezioso strumento; l’opera vuole essere, ed è, sintetica:
questo è un pregio e un limite in quanto, in
alcuni passaggi, si avverte il bisogno di un
commento un po’ più dettagliato e di un
più pratico orientamento sulla scelta tra i
tanti test esposti. Vi è infatti ancora un
ruolo per il Maestro e forse anche in questo campo che può sembrare ai limiti della
Medicina non solo per gli studenti, ma anche e, forse ancora di più per i professionisti della Sanità che molto spesso non si
possono avvalere di figure tecniche nelle
loro strutture tanto quanto sarebbe necessario.
Mauro Signora
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CONOSCERE E POTENZIARE IL CERVELLO
Il breve saggio (Conoscere e potenziare
il cervello - 127 pagine; Giunti Editore
2007, prezzo: 8 euro) scritto dal nostro collega neurologo Carlo Blundo, responsabile
della UOSD di Neuropsicologia e neuropsichiatria nel Dipartimento di Neuroscienze Lancisi, tratta delle funzioni cerebrali e delle condotte. da seguire per cercare di mantenerle il più possibile integre
nel tempo.
Cosa si intende per mente e cervello , come si sviluppano le diverse funzioni cerebrali, quale ruolo hanno gli stimoli ambientali nel determinare il loro sviluppo? Sono
queste le domande alle quali nei primi capitoli l’Autore cerca di rispondere offrendo
al lettore una breve ma stimolante guida alla conoscenza dei nostri processi mentali.
Nei due successivi capitoli vengono più specificatamente trattate le funzioni della memoria e della attenzione, non solo definendone la natura, ma indicando anche diverse
strategie per potenziarle. Un capitolo è dedicato ad un argomento di notevole attualità: l’invecchiamento cerebrale e la demenza. A tale riguardo, rispondendo ad una serie di domande rivolte da un potenziale paziente allo specialista (del tipo: “Mi devo
preoccupare se dimentico spesso le cose?”;
“Dottore ho 1’Alzheimer?”), Blundo spiega
le caratteristiche del deterioramento cognitivo, i pregiudizi e gli errori diagnostici che
riguardo a tale malattia spesso i “non addetti ai lavori” hanno ed infine suggerisce
delle strategie comportamentali da seguire
quando si ha in famiglia un paziente affetto da demenza.
Chiude il libro un breve capitolo su come “prendersi cura del proprio cervello”
che ricorda a medici e pazienti l’importanza di numerosi fattori, quali ad esempio il
controllo dei rischi vascolari, l’alimentazione, l’esercizio fisico, nella prevenzione
dei deficit cognitivi legati all’invecchiamento cerebrale.
In sintesi si tratta di un piccolo libro di
agevole e rapida lettura, rivolto non solo
ai medici ma al pubblico in generale, molto apprezzabile perché in termini scientifici, ma con tono divulgativo, offre una serie di informazioni sul cervello e le sue
funzioni, la cui conoscenza è indispensabile per proteggerle e se possibile, anche potenziarle.
Laura Gasbarrone
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Notiziario
Presieduto da G. Puglisi, Direttore della U.O.C. di Pneumolgia e Infettivologia
Respiratoria dell’Azienda Ospedaliera S.
Camillo-Forlanini di Roma e dal Co-presidente F. Vigorito Direttore del Dipartimento di Pneumologia e Tisiologia della
A.O. Monaldi di Napoli, si è tenuto a Fiuggi dal 27 al 29 settembre 2007 il 3ª Congresso Interregionale Campano-Laziale in
Pneumologia avente come tema gli
“Aspetti diagnostico-terapeutici innovativi in Patologia Respiratoria”: sono stati
proposti oltre che argomenti di carattere
innovativo anche verifiche delle procedure
clinico-terapeutiche sperimentate negli
ultimi anni. Per quanto concerne l’asma
gli interventi relativi ai nuovi presidi terapeutici hanno riguardato in particolare
gli anticorpi monoclonali anti-IgE ed il loro posizionamento nel complessivo trattamento della malattia e sono state fornite
precisazioni sull’impiego dei leucotrieni.
Nel campo del BPCO sono stati trattati approfondimenti sui risultati terapeutici ottenuti con i recenti anti-vagali e sulle
nuove modalità di somministrazione dei
broncodilatatori in associazione precostituita. Particolarmente analizzati sono
stati gli aspetti non ancora sufficientemente valutati concernenti il trattamento
con antiossidanti, i problemi legati ai riflessi sistemici nella BPCO nonché ai processi della riacutizzazione infettiva bronchiale.
Nella seconda giornata una intera seduta è stata dedicata alla Insufficienza respiratoria, stadio finale non soltanto della
BPCO, ma anche delle Pneumopatie Interstiziali e delle Malattie Vascolari Polmonari, queste ultime oggetto di particolare studio da parte degli Pneumologi
campani che da anni si sono “dedicati” con
grande competenza alla complessa gestione di tale patologia.
Notevole attenzione è stata riservata
nella 3ª giornata del Congresso alla Patologia della sierosa pleurica della quale sono state sottolineate sia le difficoltà diagnostiche (anche in considerazione della
ampia molteplicità etiologica dei versamenti pleurici) sia la necessità di un comune approccio diagnostico-terapeutico da
parte dello Pneumologo e del Chirurgo Toracico. In questa sessione del Congresso è
stata data particolare sottolineatura alle
problematiche relative al mesotelioma
pleurico, neoplasia che si va sempre più allontanando dal campo delle Malattie rare.
Assai nutrito il dibattito al termine delle singole sessioni anche grazie ai vari
Moderatori (F. Benassi, G. Galluccio, F.
Salvati, C. Crispino, S. Martufi, C.M. Fiorani, G. Perillo, G. Cocco etc.): il Congresso ha riscosso indubbiamente un notevole
successo in rapporto alla alta qualificazione dei Relatori, sia quelli campani (M. Sofia, R. Muto, A. Sanduzzi Zamparelli, F.
Vigorito etc.) sia quelli del Lazio (G. Puglisi, L. Portalone, G. Pedicelli, G. Farinelli, E. Li Bianchi, C. Mollica, M.G. Alma, A. Altieri, etc.) sia infine dei numerosi altri “stranieri” (A. Rossi, S. Amaducci,
P.L. Paggiaro, etc.).
Di particolare interesse le relazioni riguardanti la Tubercolosi che hanno evidenziato quanto sia tuttora necessaria la
continua sorveglianza di questo fenomeno
patologico costantemente in agguato, soprattutto per quanto concerne l’Infezione
Tubercolare Latente.
Franco Salvati
011 Errata corrige 64
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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007
Errata corrige
Nell’articolo originale pubblicato nel Volume 9, numero 3, Luglio-Settembre
2007 dal titolo “Studio retrospettivo fonicap sul follow-up di ottuagenari
trattati con exeresi radicale per non-small cell lung carcinoma” degli Autori F. Salvati, M. Signora, G. Cardillo, R. Orsetti, R. Pisa, P. Graziano, L. Portalone, M. Martelli:
1) alla pag. 12 in luogo di “età 80-84 anni” va riportato “età 80-85 anni”
2) alla pag. 13 nella Tabella 1 in luogo di “range 80-94” va riportato “range 80-85”