Numero 4 Ottobre - Dicembre - Azienda Ospedaliera San Camillo
Transcript
Numero 4 Ottobre - Dicembre - Azienda Ospedaliera San Camillo
000 Front. + indice 1-4 21-01-2008 11:08 Pagina 1 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 Direttore FRANCO SALVATI Comitato di redazione ALFONSO ALTIERI, FRANCESCO BELLI, MAURO CALVANI, GIUSEPPE CARDILLO, PAOLO MATTIA, GIOVANNI MINARDI, MAURIZIO MORUCCI, FABRIZIO NESI, BRUNO NOTARGIACOMO, SERGIO PILLON, ELIO QUARANTOTTO, MAURIZIO RUSSO, PIETRO SACCUCCI, MICHELE SCOPPIO, GIAN DOMENICO SEBASTIANI, ALESSANDRO SEVERINO, MARIO VALLE Segreteria di redazione: RITA VESCOVO, ALMERINDA ILARIA Comitato scientifico-editoriale Coordinatore ROBERTO CANOVA LOREDANA ADAMI, MARIO GIUSEPPE ALMA, CATERINA AMODDEO, DONATO ANTONELLIS, MARCELLO ASSUMMA, GIANLUCA BELLOCCHI, FRANCO BIANCO, PIETRO BORMIOLI, PIO BUONCRISTIANI, ALESSANDRO CALISTI, ILIO CAMMARELLA, ALBERTO CIANETTI, MASSIMO CICCHINELLI, ENRICO COTRONEO, FRANCESCO CREMONESE, ALBERTO DELITALA, EUGENIO DEL TOMA, FILIPPO DE MARINIS, LORENZO DE MEDICI, CARLO DE SANCTIS, SALVATORE DI GIULIO, GIUSEPPE DI LASCIO, CLAUDIO DONADIO, VITTORIO DONATO, ALDO FELICI, LAURA GASBARRONE, GIAMPIERO GASPARRO, CLAUDIO GIANNELLI, EZIO GIOVANNINI, LUCIA GRILLO, MASSIMO LENTINI, IGNAZIO MAJOLINO, CARLO MAMMARELLA, LUCIO MANGO, EMILIO MANNELLA, LAURO MARAZZA, MIRELLA MARIANI, MASSIMO MARTELLI, ANTONIO MENICHETTI, GIOVANNI MINISOLA, CINZIA MONACO, FRANCESCO MUSUMECI, REMO ORSETTI, PAOLO ORSI, GIOVACCHINO PEDICELLI, ROBERTO PISA, LUIGI PORTALONE, LUCA PIERELLI, COSIMO PRANTERA, GIOVANNI PUGLISI, GIORGIO RABITTI, SANDRO ROSSETTI, ENRICO SANTINI, EUGENIO SANTORO, GIOVANNI SCHMID, CIRIACO SCOPPETTA, FABRIZIO SOCCORSI, CORA STERNBERG, GIUSEPPE STORNIELLO, PIERO TANZI, ROBERTO TERSIGNI, ANNA RITA TODINI, CLAUDIO TONDO, MIRELLA TRONCI, ROBERTO VIOLINI Segreteria: GIOVANNA DE PAOLA NUOVA EDITRICE GRAFICA 000 Front. + indice 1-4 21-01-2008 11:08 Pagina 2 Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini Roma Direttore Generale: Luigi Macchitella Direttore Sanitario: Fulvio Forino Direttore Amministrativo: Roberto Noto NUOVA EDITRICE GRAFICA Abbonamenti 2007: istituzionali 100, privati 73 Per la richiesta di abbonamenti e per la richiesta di inserzioni pubblicitarie rivolgersi a Nuova Editrice Grafica srl, Via Francesco Donati, 180 - 00126 Roma Tel. 065219380 - Fax 06 5219399 Internet: www.negeditrice.it E-mail: [email protected] Garanzia e riservatezza per gli abbonati L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Nuova Editrice Grafica srl, Via Francesco Donati, 180 - 00126 Roma. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico della Nuova Editrice Grafica srl verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati vantaggiose proposte commerciali (legge 675/96). Direttore responsabile: Franco Salvati Iscrizione al registro della Stampa n. 176/98 con ordinanza del Tribunale di Roma in data 6/5/1998 © Copyright Nuova Editrice Grafica srl Finito di stampare nel mese di gennaio 2008 nella tipografia della NUOVA EDITRICE GRAFICA srl - Roma I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i paesi. 000 Front. + indice 1-4 21-01-2008 11:08 Pagina 3 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 Contenuto EDITORIALE La strategia europea contro le malattie non trasmissibili P. D’ARGENIO The European Strategy for the Prevention and Control of non communicable diseases ARTICOLI ORIGINALI L’ecocardiografia nella valutazione dei risultati a medio-termine della chirurgia riparativa della valvola mitrale nel m. di Barlow. G. MINARDI, G. PULIGNANO, C. MANZARA, G. LUZI, G. CASALI, A. CAROSELLI, L. FABRIZI, R. VENUSTI, L. GUERRIERI, A. LORETTU, E. GIOVANNINI, F. MUSUMECI Echocardiography in the evaluation of the mid-term results of the mitral valve repair in Barlow’s disease. 7 11 Follow-up clinico e respiratorio in un campione di bambini nati pretermine, affetti da displasia broncopolmonare (BPD) I. PROIETTI, G. PELLEGRINI Clinical and respiratory follow-up of a premature newborn sample with bronchopulmonary dysplasia 17 Cardio-RM: tecnica e metodologia dello studio morfologico del cuore e della cinetica cardiaca A. CORTESE, A. BAIONI, C. BAIONI, S. BAIONI, B. COSENTINO, C. MANZARA, P. MATTIA Cardiac MRI: technique and methodology in the assessment of cardiac morphology and function 27 RASSEGNE Modello cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico. Implicazioni cliniche P. CIURLUINI, D. AIELLO, C. DI FONZO Cognitive-behavioral model for panic disorder. Clinical implications Le protesi in urologia C. SALVATORE Prothesis in urology CASO CLINICO Necrosi cutanea in corso di terapia con anticoagulanti orali. Caso clinico I. SCHACTHER, P.L. ANTIGNANI, C. ALLEGRA Cutaneos necrosis during anticoagulant. Case report GESTIONE E ORGANIZZAZIONE SANITARIA Telemedicina respiratoria: risultati dopo 8 anni di monitorizzazione nell’Ospedale “A&C Cartoni” Rocca Priora (Roma) C.M. FIORANI, A. LUSTRISSIMI, M. ROMEO Respiratory Telemedicine: results after 8 years of monitoring in “A&C Cartoni” Hospital, Rocca Priora (Rome) 33 47 53 57 RECENSIONI Le basi statistiche della Biologia e della Medicina M. SIGNORA 61 Conoscere e potenziare il cervello L. GASBARRONE 62 NOTIZIARIO F. SALVATI 63 ERRATA CORRIGE 64 000 Front. + indice 1-4 21-01-2008 11:08 Pagina 4 “La Rivista è stata selezionata da ELSEVIER BV BIBLIOGRAPHIC DATABASES per l’indicizzazione nei databases EMBASE, Compendex, GEOBASE, EMBiology, Elsevier BIOBASE, FLUIDEX, World Textiles, SCOPUS” www.scamilloforlanini.rm.it 001 Edit. D'Argenio 5-9 21-01-2008 11:10 Pagina 5 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 Editoriale LA STRATEGIA EUROPEA CONTRO LE MALATTIE NON TRASMISSIBILI THE EUROPEAN STRATEGY FOR THE PREVENTION AND CONTROL OF NON COMMUNICABLE DISEASES PAOLO D’ARGENIO Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, Ministero della Salute, Roma Parole chiave: Malattie non trasmissibili. Prevenzione. Politiche sanitarie. Key words: Non communicable diseases. Prevention. Health policy Nel settembre 2006 i 52 Stati Membri dell’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Italia inclusa, hanno approvato la strategia europea per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili Gaining Health1, una strategia messa a punto su richiesta degli Stati membri, attraverso una consultazione che ha coinvolto diversi Paesi, esperti, organizzazioni non governative e altri soggetti interessati, con la partecipazione attiva del Ministero della Salute Italiano. L’esigenza di una strategia europea deriva dal fatto che, in poche decine di anni, il quadro epidemiologico si è modificato. In Italia, come negli altri paesi europei dall’Atlantico agli Urali, il carico di sofferenze dovuto alle malattie riconosce un ristretto gruppo di cause: le malattie cardiovascolari e le neoplasie sono responsabili del 70% dei decessi in Italia, percentuale che supera l’80% quando si considera anche il diabate, le malattie respiratorie e del digerente; mentre, in termini di anni di vita in buona salute persi, a causa di morte prematura o disabilità, oltre a queste malattie, assumono importanza i disturbi mentali, le malattie muscoloscheletriche, i deficit sensoriali2. Tab.1: Decessi e carico di malattia in Italia (anno 2004)3 Cause Decessi Numero Tasso x migliaia 100.000 % Disability Adjiusted Numero Tasso x migliaia 100.000 Lost Years % Tutte le Cause Trasmissibili, materna, perinatale Malattie Cronico-degenerative 570,7 22,5 523 992,8 39,1 909,9 100,0% 3,9% 91,6% 6789 289 6018 11811 503 10469 100,0% 4,3% 88,6% • Malattie Cardiovascolari • Neoplasie Maligne • Condizioni Neurtopsichiatriche • Malattie Respiratorie • Malattie del Digerente • Diabete • Malattie Muscoloscheletriche • Altre Neoplasie • Disturbi endocrini • Disturbi degli organi di senso • Malattie Genitourinarie • Malattie della Pelle • Anomali e Congenite • Salute orale Cause Violente • Non Intenzionali • Intenzionali 247,7 154 23.6 29,6 25 19,3 2,1 7,1 4,2 0 8,2 0,7 1,4 0 25,2 20,7 4,5 430,9 267,8 41 51,5 43,5 33,6 3,7 12,4 7,3 0,1 14,3 1,3 2,4 0 43,8 36 7,9 43,4% 27,0% 0,2% 5,2% 4,4% 3,4% 0,4% 1,2% 0,7% 0,0% 1,4% 0,1% 0,2% 0,0% 4,4% 3,6% 0,8% 1222 1202 1712 350 261 253 319 43 94 361 73 11 64 52 482 400 82 2126 2091 2978 609 454 441 555 75 164 628 127 20 112 91 839 696 143 18,0% 17,7% 25,2% 5,2% 3,8% 3,7% 4,7% 0,6% 1,4% 5,3% 1,1% 0,2% 0,9% 0,8% 7,1% 5,9% 1,2% 001 Edit. D'Argenio 5-9 21-01-2008 11:10 Pagina 6 6 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 È notevole che, nei Paesi sviluppati, il 50-60% del carico di malattia (in Daly) è causato da sette fattori di rischio principali4: tabagismo, ipertensione arteriosa, alcol, eccesso di colesterolo, sovrappeso, scarso consumo di frutta e verdura, inattività fisica. Anche il diabete è stato riconosciuto fra i fattori di rischio principali e può favorire lo sviluppo di malattie cardiovascolari. L’alcol, dopo il tabacco, è il fattore di rischio principale sia per la disabilità sia per la mortalità in giovane età in Europa. Tab. 2: Sette principali rischi di malattie croniche, in termini di DALYs nei paesi sviluppati Fattori di rischio Tabacco Ipertensione arteriosa Alcol Colesterolo Sovrappeso Scarsi introiti di frutta e vegetali Inattività fisica % su totale DALYs 12,1% 10,9% 9,2% 7,6% 7,4% 3,9% 3,3% Fonte: WHO (2002) Queste malattie e questi fattori di rischio non sono distribuiti uniformemente nella popolazione, ma si concentrano soprattutto tra le persone più povere e vulnerabili: i gruppi più svantaggiati dal punto di vista socioeconomico presentano un rischio almeno doppio di sviluppare malattie gravi e di morire prematuramente5. Per il miglioramento delle condizioni di vita e della qualità delle cure mediche, e l’aumento conseguente dell’aspettativa di vita, in alcuni Paesi, incluso l’Italia, da 3 a 4 abitanti su 10 convivono con malattie croniche. Il 70-80% delle risorse sanitarie è impiegato proprio per far fronte a queste patologie, anche perché questi pazienti gravano a lungo sui servizi sanitari. Morire giovani o convivere con una malattia cronica o una disabilità ha delle ripercussioni economiche, sia per le famiglie che per la società. Datori di lavoro e società devono sostenere i costi dell’assenteismo, della minore produttività e del ricambio continuo dei lavoratori. Sulle famiglie e sulla società gravano invece le spese sanitarie dirette e indirette, la ridu- zione dei guadagni, il pensionamento prematuro e una maggiore necessità di assistenza sociosanitaria. In Italia, in cui il sistema sanitario è regionalizzato, ben sei Regioni hanno accumulato, negli anni passati, un indebitamento tale che ha costretto il Governo a stanziare fondi aggiuntivi specifici, in considerazione del fatto che queste Regioni non avrebbero potuto, da sole con risorse proprie, far fronte al disavanzo. L’erogazione dei finanziamenti statali aggiuntivi è però legata alla sottoscrizione di un accordo con il Governo il quale verifica il mantenimento dell’erogazione dei livelli di assistenza. È probabile che nei prossimi anni altre Regioni possano trovarsi nelle condizioni di avere bisogno di risorse aggiuntive. Benché alcuni ritengano che questo indebitamento sia legato a inefficienze e, in alcuni casi a sprechi, è indubbio che l’aumento di frequenza di “malattie che non guariscono” mette a dura prova l’esistenza stessa del sistema sanitario universalistico e del diritto all’assistenza sanitaria di cui il nostro Paese va giustamente fiero. Come è possibile fare fronte ad una situazione tanto complessa, e mettere in campo per tempo misure adeguate a salvare il nostro servizio sanitario? È realistico e possibile pensare a ridurre il carico di malattie croniche, attraverso la prevenzione? È possibile e realistico pensare di ridurre i costi dell’assistenza sanitaria, senza ridurne l’accessibilità e l’efficacia? La strategia è stata pensata come una risposta integrata e completa a queste sfide. La prospettiva della strategia Agire in modo integrato e intersettoriale sui fattori di rischio e i determinanti di salute Il quadro di riferimento per l’azione, della strategia, si basa sull’idea che per ridurre il carico di malattie croniche che grava sulla popolazione è necessario ridurre i principali rischi e i loro determinanti. La figura 1 riporta questi concetti: l’ambiente fisico e sociale determina i principali rischi di malattia cronica. I principali rischi si formano quindi al di fuori del sistema sanitario: molto presto nella vita, da ragazzi cominciamo a subire 001 Edit. D'Argenio 5-9 21-01-2008 11:10 Pagina 7 P. D’Argenio: La Strategia Europea contro le Malattie non trasmissibili le pressioni a fumare, nella famiglia apprendendo questi comportamenti dai genitori, e successivamente dai pari; l’organizzazione sociale induce comportamenti sedentari, ad esempio i bambini non possono muoversi e giocare liberamente in modo attivo e ripiegano sui TV e videogiochi in cui possono sognare di essere attivi, mentre i messaggi pubblicitari li invitano a consumare alimenti altamente calorici, la cui produzione è favorita da sovvenzioni e incentivi. 7 per rendere più facili le scelte salutari6. Ad esempio, il Ministero della Salute ha stimato che un aumento del prezzo delle sigarette pari al 10% potrebbe provocare una riduzione di fumatori pari al 4%. Che cosa fa il sistema sanitario per promuovere la salute e prevenire le malattie croniche Considerando i determinanti, ambientali e sociali, delle malattie croniche il sistema salute ha un duplice ruolo: da una parte i professioFig. 1: Il quadro di riferimento della strategia nisti della salute, le aziende sanitarie, gli assessorati Società Sistema Sanitario alla sanità delle Promozione Prevenzione Servizi regioni e il Minidella salute delle malattie sanitari stero della Salute possono operare Continuum delle malattie croniche quali avvocati della salute fornendo determinanti fattori di rischio malattie un indirizzo alla popolazione ed – Promozione della salute rivolta alla popolazione sana esercitando presapproccio – Programmi mirati agli individui ad alto rischio sioni sui diversi – Miglioramento di copertura e qualità dell’assistenza sanitaria responsabili delle integrato – Trasformazione dei servizi sanitari adattati alla cronicità politiche che in– Riduzione sistematica delle disequità fluiscono sulla salute, a livello nazionale e locale; d’altra parte il sistema sanitario può tratInsomma, i comportamenti ricadono in tare le persone a rischio perché esistono parte sotto la sfera della responsabilità intrattamenti efficaci per gli individui ad aldividuale, in parte sono determinati dalto rischio come i fumatori, i soggetti affetl’organizzazione sociale. La strategia racti da ipertensione arteriosa o ipercolestecomanda agli Stati azioni per rendere facirolemia, i bevitori problematici. In alcuni li le scelte salutari, un motto particolarcasi, è anche conveniente attivare promente efficace in quanto il termine scelta grammi di screening di massa, come per il sottolinea la responsabilità dell’indiviuo, cancro del seno, quello della cervice uterimentre il termine rendere facili sottolinea na e quello del colon retto. Lo screening la responsabilità dei governi e dei diversi può prevenire decessi e disabilità, ma può settori della società: la salute e il benesseanche migliorare la qualità della vita, a re devono diventare un valore presente in patto che venga attuato in modo efficace e tutte le politiche dei governi. Ad esempio, che sia disponibile una terapia efficace, le azioni per la pedonalizzazione dei centri accessibile e accettabile per chiunque la storici, l’aumento del tempo dedicato alrichieda. Attualmente, pochi test di screel’attività motoria nelle scuole, la riduzione ning si sono dimostrati in grado di identidel sale negli alimenti, l’aumento della difficare gli individui ad alto rischio e quelli fusione dei punti vendita di frutta e verdisponibili richiedono un certo investidura, dovrebbero essere considerati un inmento da parte dei sistemi sanitari per atvestimento in salute. Se ci si sofferma a rituarli in modo efficace, specialmente atflettere, chiunque ha responsabilità collettraverso programmi organizzati di screetive, dai governi nazionali e locali fino ai ning della popolazione7,8. manager delle aziende, può fare qualcosa 001 Edit. D'Argenio 5-9 21-01-2008 11:10 Pagina 8 8 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 6 MESSAGGI CHIAVE 1. la prevenzione lungo tutto l’arco della vita è un vero e proprio investimento in salute e sviluppo 2. la società dovrebbe offrire un contesto ambientale che faciliti le scelte più salutari 3. i servizi sanitari dovrebbero adattarsi a questo obiettivo, affrontando l’attuale carico di malattia e aumentando le opportunità di promozione della salute 4. le persone dovrebbero essere messe nelle condizioni di promuovere la propria salute, di interagire con i servizi sanitari ed essere parte attiva della gestione delle malattie 5. per garantire il diritto alla salute è fondamentale che tutti abbiano accesso alla promozione della salute, alla prevenzione delle malattie e ai servizi sanitari 6. a tuttii i livelli, i governi hanno la responsabilità di proporre politiche di intervento all’insegna della salute e di assicurare un’azione integrata in tutti i settori. Spostare il paradigma dell’assistenza verso un modello per le malattie croniche L’organizzazione sanitaria attuale, ed i servizi ospedalieri in particolare, sono stati progettati per guarire le malattie. Come possono questi servizi adattarsi per trattare adeguatamente malattie che non guariscono, con un uso efficiente delle risorse? Le persone affette da diabete, artrosiartrite, scompenso cardiaco, broncopatia cronica ostruttiva, asma, ictus e altre malattie croniche si rivolgono spesso al medico generale e si ricoverano in ospedale frequentemente. Diverse esperienze e progetti dimostrativi hanno evidenziato che, adottando un modello di cure appropriato alle malattie croniche, è possibile, per queste malattie, ridurre in modo consistente i ricoveri, la loro durata, le visite urgenti, senza peggioramenti o con miglioramenti dello stato di salute9,10,11. I punti chiave del modello per le malattie croniche sono12: – il sostegno e il rafforzamento delle risorse del paziente e della sua famiglia che, se ben motivati ed istruiti, aderiscono meglio al trattamento e gestisco- no autonomamente parte della cura; – il supporto nell’ambito delle cure primarie, che consiste nella registrazione e nella messa a punto di un piano di controlli e trattamenti, nella verifica che il paziente effettui i controlli e i trattamenti (case management); – l’integrazione tra le diverse strutture assistenziali (strutture di assistenza primaria, ospedali, pronto soccorso, ecc), cui ci si riferisce anche con i termini di continuità assistenziale e integrazione tra ospedale e territorio. Sotto la pressione del mutamento dell’epidemiologia, negli ultimi anni, in Italia si è andati ad una riduzione dei posti letto ospedalieri, una tendenziale chiusura dei piccoli ospedali, lo spostamento di risorse da strutture ad alta intensità di capitale verso la creazione di forme assistenziali più flessibili, come strutture semiresidenziali, hospice, medicina di famiglia associata, in team o in coperative, reti di medici di famiglia, uso della telemedicina. Lo stesso concetto di prevenzione tende a estendersi sempre più fino a comprendere la prevenzione dell’ospedalizzazione, della disabilità e delle soffrenze nella fine della vita. In conclusione, la strategia contro le malattie croniche si basa su promozione della salute rivolta alla popolazione sana, programmi di prevenzione mirati agli individui ad alto rischio, trasformazione dei servizi sanitari: adattati alla cronicità. BIBLIOGRAFIA 1. WHO Regional Office for Europe. Gaining Health, the European strategy for the prevention and control of non communicable diseases. 2006. Copenaghen (http://www.euro.who.int/document/E8930 6.pdf) 2. WHO. Prevenire le malattie croniche: un investimento vitale. 2005. Ginevra (http://who.int/chp/chronic_disease_report/co ntents/Italian%20full%20report.pdf). 3. WHO Burden of Diseases. http://www.euro.who.int/eprise/main/who/pr ogs/chhita/home. 4. WHO Regional Office for Europe. The European health report 2005. Public health action for healthier children and populations. 2005. Copenaghen. (http://www.euro.who.int/Informa- 001 Edit. D'Argenio 5-9 21-01-2008 11:10 Pagina 9 P. D’Argenio: La Strategia Europea contro le Malattie non trasmissibili tionSources/Publications/Catalogue/20050909_1). 5. Wilkinson R., Marmot M. (ed), Social determinants of health: the solid facts. Seconda edizione. Copenaghen, Ufficio regionale dell’Oms Europa, 2005. (http://www.euro.who.int/document/e81384.pdf) 6. Europen Observatory on health systems and policies. Health in all policies: prospects and potentials. Stahl T. ed. Ministry of social affairs Finland. 2006. 7. National cancer control guidelines: policies and managerial guidelines. Seconda edizione. Ginevra, Organizzazione Mondiale della Sanità, 2002. (http://www.who.int//cancer/media/en/408.p df). 8. Comprehensive cervical cancer control. A guide to essential practice. Ginevra, Organizzazione mon- 9 diale della sanità, 2006 (http://www.who.int/reproductive-health/publications/cervical_cancer_gep/index.htm ) 9. Ashton CM, Souchek J, Petersen NJ, et al. Hospital use and survival among Veterans affaire beneficiaries. N Eng J Med 2003; 349: 1637-46. 10. Jha AK, Perlin JB, Kizer KW, Dudley RA Effect of transformation of Veteran Affaire health care system on the quality of care. N Eng J Med 2003; 348: 2218-27. 11. Ham C, York N, Surch S, Shaw R. Hospital bed utilisation in the NHS, Kaiser Permanente and the US Medicare programme: analysis of routine data. BMJ 2003;327:1257-60. 12. Department of Health. USA Chronic disease management: a compendium of information. May 2004. ____ Per richiesta estratti: Dott. Paolo D’Argenio Via Sommeiller, 25 - Scala A/7 -00185 Roma 002 Minardi 10-16 21-01-2008 11:12 Pagina 10 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 Articoli originali L’ECOCARDIOGRAFIA NELLA VALUTAZIONE DEI RISULTATI A MEDIO TERMINE DELLA CHIRURGIA RIPARATIVA DELLA VALVOLA MITRALE NEL M. DI BARLOW. ECHOCARDIOGRAPHY IN THE EVALUATION OF THE MID-TERM RESULTS OF THE MITRAL VALVE REPAIR IN BARLOW’S DISEASE. GIOVANNI MINARDI1, GIOVANNI PULIGNANO1, CARLA MANZARA1, GIAMPAOLO LUZI2, GIOVANNI CASALI2, ATTILIA CAROSELLI1, LINO FABRIZI1, RITA VENUSTI1, LUCA GUERRIERI1, ALDA LORETTU1, EZIO GIOVANNINI1, FRANCESCO MUSUMECI2 1 Divisione di Cardiologia -2 Cardiochirurgia Dipartimento Cardiovascolare - Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma RIASSUNTO: Scopo. Scopo del presente lavoro è stato quello di analizzare i risultati a medio termine della chirurgia riparativa “anatomica” della valvola mitrale in pazienti affetti da Malattia di Barlow attraverso l’ecocardiografia transtoracica. Metodo e Risultati. Sono stati arruolati i 33 soggetti con M. di Barlow selezionati tra i 330 pazienti ricoverati nel nostro Ospedale e sottoposti a chirurgia riparativa della valvola mitrale (”sliding technique” + anuloplastica con goretex) per insufficienza (IM) pura di grado severo. In tutti i pazienti è stata eseguita una valutazione pre-operatoria con ecocardiografia transtoracica (ETT) e transesofagea (ETE), intraoperatoria con ETE, post-operatoria pre-dimissione, a 1 mese e a distanza di 20±5 mesi con ETT. L’ETT pre-dimissione e a 1 mese ha evidenziato assenza di IM in 17 pazienti e minima insufficienza in 16, normali gradienti ed area di flusso. Al follow-up, l’ETT ha evidenziato assenza di IM in 17 pazienti, minima IM in 15 e lieve IM in 1, una significativa diminuzione della pressione sistolica in arteria polmonare, una riduzione dei diametri del ventricolo e dell’atrio sinistro ed un significativo miglioramento della CF NYHA Conclusioni. Nella nostra esperienza la tecnica chirurgica impiegata si è dimostrata efficace nel trattamento della insufficienza mitralica dei pazienti con M. di Barlow, con risultati stabili nel tempo. L’ETT si è confermata tecnica diagnostica attendibile ed affidabile nella valutazione pre e post-operatoria, per la capacità di fornire informazioni sugli aspetti anatomici e funzionali della valvulopatia e della sua correzione chirurgica. Abbreviazioni IM: insufficienza mitralica LVOTO: ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro ETE: ecocardiogramma transesofageo ETT: ecocardiogramma transtoracico NYHA: New York Heart Association FE: frazione di eiezione CPB: by-pass cardiopolmonare ASE: American Society of Echocardiography DTDVS: diametro telediastolico del ventricolo sinistro DTSVS: diametro telesistolico del ventricolo sinistro VTDVS: volume telediastolico del ventricolo sinistro VTSVS: volume telesistolico del ventricolo sinistro FS: fractional shortening PAPs: pressione sistolica in arteria polmonare AS: atrio sinistro VS: ventricolo sinistro Parole chiave: Malattia di Barlow. Ecocardiografia. Cardiochirurgia 002 Minardi 10-16 21-01-2008 11:12 Pagina 11 G. Minardi et al.: L’ecocardiografia nella riparazione della mitrale nel m. di Barlow 11 SUMMARY: Aims. The purpose of the present study was to analyse, by means of echocardiography, the mid-term results of surgical “anatomical” repair of the mitral valve in patients with pure severe mitral regurgitation (MR) due to Barlow’s disease. Methods and Results. Thirty three patients were selected to enter the study. All pts underwent pre- and post-operative transthoracic echocardiography (TTE) and intraoperative transesophageal echocardiography (TEE). Pre-discharge and one-month TTE showed absence of MR in 17 pts and trivial MR in 16 pts, normal mitral valve area and gradients. Mid-term follow-up (20±5 months) TTE confirmed previous results and furthermore showed significant decrease in left atrial and ventricular dimension and in pulmonary artery pressure; one patient with trivial MR at discharge showed mild MR. Conclusion. In our study population the employed surgical technique showed a favourable impact on several cardiac parameters, evaluated by means of TTE, at mid-term follow-up. TTE confirmed its value in diagnostic and prognostic evaluation. Key words: Echocardiography. Barlow’s disease. Cardiac surgery INTRODUZIONE Negli ultimi 30 anni sono state sviluppate molte tecniche chirurgiche per correggere l’insufficienza mitralica (IM), causata da patologie degenerative, in particolare da degenerazione mixomatosa1-5, per migliorare la funzione valvolare e la durata nel tempo dell’intervento correttivo e per prevenire la comparsa di ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro (LVOTO). Con l’utilizzo di queste nuove tecniche chirurgiche sono stati dimostrati buoni effetti funzionali a medio e lungo termine6-9. Tuttavia persistono incertezze sulla stabilità a lungo termine nei casi di correzione di valvole con estesa degenerazione mixomatosa dei lembi6-12 e sulla emodinamica valvolare in condizioni di stress. L’Ecocardiografia transtoracica con Doppler (ETT) è la tecnica più utile ed usata per valutare gli effetti dei risultati della riparazione mitralica, poichè permette di definire la morfologia e la funzione valvolare (area, gradienti, presenza e grado dell’eventuale IM residua, la presenza di LVOTO13-25 ). Scopo del presente studio è stato quello di analizzare i risultati a medio termine della riparazione della valvola mitrale, in soggetti con Malattia di Barlow26, trattati presso la nostra Azienda Ospedaliera, utilizzando l’ETT. Come è noto per M. di Barlow si intende una malattia degenerativa dell’apparato valvolare mitralico, caratterizzata da proliferazione mixomatosa e ridondanza dei lembi, allungamento delle corde tendinee e dilatazione dell’anello, con conseguente prolasso dei lembi in atrio sinistro e insufficienza valvolare. METODO Casistica Tra ottobre 1998 e gennaio 2004, 330 pazienti sono stati trattati nella Cardiochirurgia della nostra Azienda Ospedaliera con intervento riparativo della valvola mitrale per IM pura. Di questi, 33 pazienti (10%) avevano la M. di Barlow26. I rilievi diagnostici, ottenuti pre-operatoriamente in tutti i pazienti con ETT ed Ecocardiogramma transesofageo (ETE), consistevano in: ipertrofia dei muscoli papillari, ridondanza dell’apparato sottovalvolare, dilatazione dell’anello, ispessimento e sovrabbondanza tissutale dei lembi con prolasso e valvola “floppy”, riduzione dell’area di apposizione con dislocazione del piano di coaptazione al di sopra del piano dell’anello. Tutti i pazienti avevano IM di grado severo. La diagnosi è stata confermata al tavolo operatorio in tutti i casi. Tutti i 33 pazienti rappresentano la popolazione dello studio per l’ETT pre- e post-operatorio. Si tratta di 18 uomini e 15 donne, di età media 69±9 anni (range 4875). Al momento del ricovero 4 pazienti erano in classe funzionale I sec. la New York Heart Association (NYHA) I, 17 in classe II e 12 in classe III. 002 Minardi 10-16 12 21-01-2008 11:12 Pagina 12 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 Tutti i pazienti sono stati sottoposti a coronarografia pre-operatoria per escludere la possibilità di una coronaropatia associata. Tutti i pazienti hanno dato il consenso, informato, al protocollo di studio. Protocollo ETT All’ingresso in Ospedale, tutti i pazienti sono stati sottoposti a ETT ed ETE, utilizzando un Ecocardiografo HP Sonos 5500 (Agilent Technologies, Andover, Mass), con protocollo standard, per valutare i diametri del ventricolo sinistro (DTDVS, DTSVS) e i volumi (VTDVS, VTSVS), il fractional shortening (FS) e la frazione di eiezione, con il metodo di Simpson (FE), le dimensioni dell’atrio sinistro (AS), la fisiopatologia del prolasso valvolare e l’entità dell’IM, il flusso diastolico transmitralico, il diametro dell’anello mitralico, l’insufficienza tricuspidale per calcolare la pressione sistolica in arteria polmonare (PAPs), applicando il principio di Bernoulli e una stima presunta di pressione atriale destra di 10 mmHg. L’ETE intraoperatorio è stato eseguito prima del bypass cardiopolmonare (CPB) per confermare i rilievi preoperatori e subito dopo l’intervento riparativo per controllare la continenza della valvola, il flusso transvalvolare e l’assenza di LVOTO. L’ETT è stato eseguito prima della dimissione per confermare i rilievi intra-operatori, verificare la funzione ventricolare ed escludere la presenza di un eventuale versamento pericardico. A distanza di 1 mese dalla dimissione e di circa 20±5 mesi (range 12-44), tutti i pazienti sono stati riesaminati con ETT. Sono stati calcolati i seguenti parametri: la continenza valvolare, il gradiente massimo e medio utilizzando la planimetria del segnale di flusso diastolico rilevato con Doppler CW, l’area valvolare con la formula del “pressure half-time”, il diametro dell’anello, la PAPs, il VTDVS, il VTSVS, la FE, la possibile presenza di LVOTO. I calcoli sono espressione delle medie rilevate su 5 battiti in ritmo sinusale o di 7 battiti in fibrillazione atriale. Tutti gli esami sono stati eseguiti da ecocardiografisti esperti e registrati su video-tape per un possibile riesame delle immagini. Tecnica chirurgica La valvola mitrale è stata riparata durante CPB normotermico, dopo sternotomia mediana convenzionale. La protezione miocardica è stata assicurata con cardioplegia ematica calda intermittente anterograda. La valvola mitrale è stata esposta attraverso una incisione parallela al piano Waterston. In presenza di rotture di corde tendinee del lembo posteriore è stata eseguita una resezione quadrangolare del lembo. In assenza di qualsiasi segmento “flail”, è stata escissa una parte dello scallop mediano del lembo posteriore. Le altre porzioni del lembo posteriore sono state staccate dall’anello fino al trigono e la loro altezza è stata ridotta in modo da lasciare un margine non più ampio di 1-1.5 centimetri. Quindi il lembo posteriore è stato riattaccato all’anello usando una sutura continua 4-0 Ethibond in modo da restringere la porzione posteriore dell’anello (“sliding technique”). La continuità del lembo posteriore è stata ottenuta suturando le due estremità con suture continue 4-0 Ethibond. L’anuloplastica posteriore è stata completata con un segmento di un graft di 3mm ∆ in gore-tex. Il lembo anteriore è stato trattato chirurgicamente solo in presenza di una porzione “flail” dovuta a rottura di corde tendinee, attraverso l’inserzione di corde in goretex, passate attraverso i muscoli papillari ed il margine libero del lembo “flail”. Solo in 1 caso è stata effettuata una rivascolarizzazione miocardica, a causa di una coronaropatia associata. Il tempo di CPB è stato di 66±25 min.; il clampaggio aortico è stato di 50±19 min. Analisi statistica Il confronto di ciascun valore ricavato dall’esame pre-operatorio con il valore riscontrato al controllo a 1 mese e al followup è stato effettuato usando il test di Student per dati appaiati. Le variabili continue sono state espresse come media ± deviazione standard (SD). E’ stata considerata significativa una p<0.05. RISULTATI L’ETT e l’ETE pre-operatori hanno evidenziato in tutti i 33 pazienti una IM di 002 Minardi 10-16 21-01-2008 11:12 Pagina 13 13 G. Minardi et al.: L’ecocardiografia nella riparazione della mitrale nel m. di Barlow grado severo. Un prolasso del lembo posteriore della valvola mitrale, associato o no a rotture di corde, era responsabile dell’insufficienza valvolare in tutti i pazienti. In 3 pazienti era inoltre presente una rottura di corde del lembo anteriore. Era inoltre presente una lieve dilatazione del ventricolo sinistro (DTDVSD 62+ 5mm, VTDVS 130+45ml) con funzione sistolica ventricolare sinistra preservata (FE 58+10%) e un lieve aumento della PAPs (42+16mmHg). I più significativi rilievi pre-operatori dell’ETT sono riportati nella Tabella I. L’ETE intraoperatorio, prima del CPB, ha confermato i rilievi pre-operatori. Dopo lo svezzamento dal CPB, tutti i pazienti erano in ritmo sinusale. L’ETE ha evidenziato una ottima coaptazione dei lembi, un normale flusso diastolico transmitralico, una IM minima o assente, l’assenza di LVOTO. La durata della degenza è stata di 8.5±2.5 giorni. Non si verificato nessun decesso. Alla dimissione, l’ETT ha evidenziato: assenza di IM in 17 pazienti (52%), IM trascurabile in 16 pazienti (48%), una FEVS media di 52+7%. A 1 mese dalla dimissione, l’ETT ha evidenziato, in confronto con i dati pre-operatori, una significativa diminuzione dei diametri dell’AS (p<0.001) e del VS, dei volumi del VS, del FS e della FE, una significativa variazione del grado di IM, che risultava assente in 17 e trascurabile in 16 pazienti; non si rilevavano invece significative modificazioni dei parametri rispetto ai dati della dimissione (Tabella I). Al follow-up (media 20±5 mesi), tutti i pazienti erano in condizioni emodinamiche stabili, 26 pazienti in classe NYHA I e 7 in classe II. All’ETT, i rilievi rimanevano sostanzialmente immodificati, ad eccezione della PAPs, che risultava significaticamente ridotta rispetto ai valori pre-operatori (30+11mmHg vs 42+16mmHg ); 1 paziente con IM trascurabile al momento della dimissione risultava avere una IM di grado lieve (Tabella I). Tab. 1 - Ecocardiogramma pre-operatorio, a 1 mese e al follow-up (33 pts) VARIABILE AS (mm) DTDVS (mm) DTSVS (mm) FS (%) VTDVS (ml) VTDVS (ml) FE (%) IM entità PAPs (mmHg) (3+/4+) (0/1+/2+) PRE-OPERATORIO P 52+10 62+5 35+5 43+6 130 + 45 55 + 28 58+10 15/18 0/0/0 42+16 <0.001 0.01 ns 0.04 ns ns 0.01 0.001 DISCUSSIONE Nel corso degli ultimi anni sono state sviluppate molte tecniche chirurgiche per correggere l’insufficienza mitralica nella malattia degenerativa, per estendere la fattibilità della riparazione a lesioni sempre più complesse e per ottimizzare la durata nel tempo dei risultati chi- 0.3 1 MESE P FOLLOW-UPGG. 47+5 56+6 35+6 36+5 120+32 55+20 52+7 0/0 17/16/0 37+12 ns ns ns ns ns ns ns ns 43+6 52+8 34+10 35+10 112+55 56+21 55+13 0/0 17/15/1 32+11 ns rurgici1-5. In Letteratura sono riportati buoni risultati in termini di “event-free survival” (tromboembolismo, emorragie correlate alla terapia anticoagulante, endocarditi), funzione valvolare a riposo, grado dell’IM residua e stabilità a lungo termine della riparazione6-12. Tuttavia sono stati descritti anche alcuni problemi 002 Minardi 10-16 14 21-01-2008 11:12 Pagina 14 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 potenzialmente correlati alle tecniche chirurgiche. In particolare il LVOTO, causato dal movimento sistolico anteriore del lembo anteriore della valvola mitrale, che può verificarsi in presenza di eccesso di tessuto dei lembi mitralici e da un inadeguata dimensione dell’anello, con il risultato di “a too small ring for a too large anterior leaflet” 3. Inoltre nei pazienti trattati con “double-orifice technique”27 è stata riscontrata una compromissione del flusso diastolico transmitralico, con un significativo aumento del gradiente transvalvolare e della PAPs durante esercizio fisico. Inoltre, usando un anello rigido, è stata riscontrata una compromissione della dinamica dell’anello ed una scarsa modificazione della FE del VS, correlata all’esercizio fisico28-29. Infine, quando si usa il pericardio per l’anuloplastica posteriore, è stata osservata a distanza di tempo una calcificazione dell’anello30-31. L’ETT è la più comune ed usata tecnica diagnostica per valutare la dinamica e la funzione valvolare mitralica in fase preoperatoria, mentre l’ETE viene abitualmente utilizzata intraoperatoriamente per la valutazione immediata dei risultati della riparazione valvolare. Il nostro studio ha arruolato 33 pazienti con M. di Barlow e IM significativa. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a riparazione chirurgica “anatomica”, supportata da anuloplastica posteriore, con un segmento di tubo di 3mm ∆ in goretex. Questa tecnica ha lo scopo di preservare la configurazione morfologica, non planare, dell’anello mitralico, preservando la sua fisiologia e la sua dinamica, rispettando l’interazione anatomica e funzionale valvolo-ventricolare e di evitare la comparsa di LVOTO. I nostri risultati hanno confermato l’efficacia, la stabilità e la durata nel tempo della riparazione della valvola mitrale, usando questa tecnica chirurgica, come dimostrato dalla valutazione ecocardiografica intra-operatoria, a 1 mese e al follow-up a medio termine. Una ulteriore conferma dei buoni risultati chirurgici è stata data dal significativo miglioramento della classe funzionale in tutti i pazienti. Il nostro studio conferma i dati già presenti in Letteratura, dove molti studi e con dati di follow-up hanno dimostrato che la riparazione della valvola mitrale è una tecnica sicura e riproducibile, che i risultati sono stabili nel tempo e con un basso rischio di reintervento, che si ottiene una diminuzione del DTSVS e del VTSVS, un miglioramento della funzione ventricolare sinistra e che molti pazienti ritornano in classe funzionale I-II. Inoltre tutti questi studi hanno dimostrato che la riparazione della valvola mitrale non solo elimina l’insufficienza valvolare, ma è gravata da minori complicanze, rispetto alla sostituzione della valvola6-9. LIMITI DELLO STUDIO Il nostro studio ha preso in considerazione un numero limitato di pazienti; pertanto l’analisi statistica potrebbe essere stata condizionata sfavorevolmente dall’inappropriato campione dello studio. Sarebbe necessario, ed è in corso, un più lungo follow-up clinico ed ecocardiografico per confermare ulteriormente la stabilità dei risultati nel tempo. CONCLUSIONI La correzione “anatomica” dell’IM, secondaria a estesa degenerazione mixomatosa dei lembi, ha un favorevole impatto sulla funzione valvolare a breve e medio termine, valutata con ETT. Infatti al follow-up si dimostra una significativa riduzione delle dimensioni dell’AS e del VS ed una assente o minima insufficienza valvolare residua. L’ETT e l’ETE si confermano tecniche fondamentali e insostituibili nella valutazione pre-, intra- e post-operatoria. 002 Minardi 10-16 21-01-2008 11:12 Pagina 15 G. Minardi et al.: L’ecocardiografia nella riparazione della mitrale nel m. di Barlow 15 BIBLIOGRAFIA 1. Carpentier A, Deloche A, Dauptain J, et al: A new reconstructive operation for correction of mitral and tricuspid insufficiency. J Thorac Cardiovasc Surg. 1971; 61: 1-13 2. Carpentier A. The sliding leaflet technique. Le club Mitrale Newletter 1988; I-5 3. Carpentier A, Lessana A, Relland JYM, et al. The “phisio-ring”: an advanced concept in mitral valve annuloplasty. Ann Thorac Surg 1995; 60: 1177-86 4. Fucci C, Sandrelli L, Pardini A, et al. Improved results with mitral valve repair using new surgical techniques. Eur J Cardiothorac Surg 1995; 9: 621-7 5. Maisano F, Torracca L, Oppizzi M, et al. The “edge-edge” technique: a simplified method to correct mitral insufficiency. Eur J Cardiothorac Surg 1998; 13: 240-6 6. David TE, Armstrong S, Sun Z et al. Late results of mitral repair for mitral egurgitation due to degenerative disease.Ann Thorac Surg 1993; 56: 7-14 7. Alvarez JM, Deal CW, Loveridge K et al. Repairing the degenerative mitral valve: ten- to fifteen-year follow-up. J Thorac Cardiovasc Surg 1996; 112: 238-47 8. David TE, Omran A, Armstrong S, et al. Long-term results of mitral valve repair for myxomatous disease with and without chordal replacement with expanded polytetrafluoroethylene sutures. J Thorac Cardiovasc Surg 1998; 115: 1279-86 9. Gillinov AM, Cosgrove DM, Blackstone EH, et al. Durability of mitral valve repair for degenerative disease. J Thorac Cardiovasc Surg 1998; 116: 734-43 10. Enriquez-Sarano M, Freeman WK, Tribouilloy CM, et al. Functional anatomy of mitral regurgitation J Am Coll Cardiol 1999; 34: 1129-36 11. Yacoub M, Halim M, Radley-Smith R, et al. Surgical treatment of mitral regurgitation caused by floppy valves: repair versus replacement. Circulation 1981; 64(suppl II): 210-6 12. Deloche A, Jebara VA, Relland JYM, et al. Valve repair with Carpentier techniques. J Thorac Cardiovasc Surg 1990; 99: 990-1002 13. Ormiston JA, Shah PM, Tei C, et al. Size and motion of the mitral valve annulus in man. A two-dimensional echocardiographic method and finding in normal subjects. Circulation 1981; 64: 113-20 14. Lesebre JP, Tribouilloy C. Echo-Doppler quantitative assessment of non-ischaemic mitral regurgitation. Eur Heart J 1991; 12 (suppl B): 10-14 15. Bolger AF, Eigler NL, Maurer G. Quantifying valvular regurgitation: limitations and inherent assumptions of Doppler techniques. Circulation 1988; 78: 1316-8 16. Yoshida K, Yoshikawa J, Yamaura Y et al. Assessment of mitral regurgitation by biplane transesophageal colour Doppler flow mapping. Circulation 1990; 82: 1121-6 17. Smith MD, Harrison MR, Pinton R, et al. Regurgitant jet size by transesophageal compared with transthoracic Doppler colour flow imaging. Circulation 1991; 83: 79-86 18. Gallerstein PE, Berger M, Rubenstein S, et al. Systolic anterior motion of the mitral valve and outflow obstruction after mitral valve reconstruction. Chest 1983; 83: 819-20 19. Kronzon I, Cohen ML, Winer HE, et al. Left ventricular outflow obstruction: a complication of valvuloplasty. J Am Coll Cardiol 1984; 4: 825-8 20. Galler M, Krozon I, Slater J, et al. Long-term follow-up after mitral valve reconstruction: incidence of postoperative left ventricle outflow obstruction. Circulation 1986; 74 (suppl I): I-99-I-103 21. Kreidel MS, Schiavone WA, Lever HM, et al. Systolic anterior motion of the mitral valve after Carpentier ring valvuloplasty for mitral valve prolapse. Am J Cardiol 1986; 57: 408-12 22. Mihaileanu S, Marino JP, Chauvaud S, et al. Left ventricular outflow obstruction after mitral valve repair (Carpentier’s technique): proposed mechanisms of disease. Circulation 1988; 78(suppl I): I-78-I-84 23. Jebara VA, Mihaileanu S, Acar C, et al. Left ventricular outflow tract obstruction after mitral valve repair. Results of the sliding leaflet technique. Circulation 1993; 88 (part 2): 30-4 24. Maslow AD, Regan MM, Haering M, et al Echocardiographic predictors of left ventricular outflow tract obstruction and systolic anterior motion of the mitral valve after mitral valve reconstruction for myxomatous valve disease. J Am Coll Cardiol 1999; 34: 2096-104. 25. Shah PM, Raney AA, Echocardiographic correlates of left ventricular outflow obstruction and systolic anterior motion following mitral valve repair. J Heart Valve Dis 2001; 10: 302-6 26. Barlow JB. Idiopatic (degenerative) and rheumatic mitral valve prolapse: historical aspects and an overview. J Heart Valve Dis 1992; 1: 163-74 27. Borghetti V, Campana M, Scotti C, Parrinello G, Lorusso R. Preliminary observations on hemodynamics durino physiological stress conditions following “double-orifice” mitral 002 Minardi 10-16 16 21-01-2008 11:12 Pagina 16 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 valve repair. Eur J Cardiothorac Surg 2001; 20: 262-9 28. David TE, Komeda M, Pollick C, Burns RJ., Mitral valve annuloplasty: the effect of the type on left ventricular function. Ann Thorac Surg 1989; 47: 524-8 29. Okada Y, Shomura T, Yamaura Y, Yoshikawa J. Comparison of the Carpentier and Duran prosthetic rings used in mitral valve reconstruction Ann Thorac Surg 1995; 59: 658-9 30. Scrofani R, Moriggia S, Salati M, Fundaro P, Danna P, Santoli C. Mitral valve remodelling: long-term results with posterior pericardial annuloplasty. Ann Thorac Surg 1996; 61: 895-9 31. Borghetti V, Campana M, Scotti C, et al. Biological versus prosthetic ring in mitral valve repair: enhancement of mitral annulus dynamics and left ventricular function with pericardial annuloplasty at long-term. Eur J Cardiothorac Surg 2000; 17: 431-9 ____ Per richiesta estratti: Prof. Giovanni Minardi, via Sebino, 11 - 00199 Roma Tel/Fax 0039-0685302557 E-mail: [email protected] 003 Proietti 17-26 21-01-2008 11:15 Pagina 17 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 FOLLOW-UP CLINICO E RESPIRATORIO IN UN CAMPIONE DI BAMBINI NATI PRETERMINE AFFETTI DA DISPLASIA BRONCOPOLMONARE (BPD) CLINICAL AND RESPIRATORY FOLLOW-UP OF A PREMATURE NEWBORN SAMPLE WITH BRONCHOPULMONARY DYSPLASIA ILARIA PROIETTI, GABRIELLA PELLEGRINI U.O.C Neonatologia con TIN - Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma RIASSUNTO: 30 neonati pretermine con un peso alla nascita compreso tra 500 e 1500 grammi e un’età gestazionale(EG) tra 25 e 30 settimane sono stati presi in esame e suddivisi in 2 gruppi: un gruppo con una diagnosi di Displasia Broncopolmonare (BPD) e un gruppo di controllo con diagnosi di Sindrome da Distress Respiratorio (RDS). Lo studio si pone il duplice obbiettivo di verificare, in questa popolazione di neonati, l’incidenza dei fattori di rischio della BPD intrinseci (EG, peso alla nascita, sesso) ed estrinseci (dotto arterioso pervio, sepsi, leucomalacia periventricolare, emorragia intraventricolare) e di valutare, nel follow-up a due anni, in entrambi i gruppi a confronto, l’incidenza di patologia respiratoria con gli eventuali episodi di riospedalizzazione ad essa collegati e l’andamento dei parametri auxologici (peso, lunghezza e circonferenza cranica). Parole chiave: Prematurità. Displasia broncopolmonare. Sindrome da distress respiratorio. SUMMARY: 30 preterm newborns with a weight between 500 and 1500 grams and GA (gestational age) between 25 and 30 weeks were considered and divided into 2 groups: one group with a diagnosis of BPD (Broncopulmonary Dysplasia) and a control group with a diagnosis of RDS (Respiratory Distress Syndrome). The purpose of this study was to verify, with this population of newborns, the incidence of risk factors of BPD intrinsic (GA, weight at birth, sex) and extrinsic (patent ductus arteriosus, sepsis, periventricular leucomalacia, intraventricular hemorrage) and to evaluate, in the follow-up at two years, in both groups, the incidence of respiratory pathology with re-hospitalization episodes that are related and the improvement of height, weight and cranial circumference. Key words: Premature birth. Bronchopulmonary dysplasia. Respiratory distress syndrome. INTRODUZIONE Bancalari che suggerì 3 criteri diagnostici: La BPD è la più importante complicanza respiratoria a lungo termine della prematurità. Il termine di BPD fu per la prima volta introdotta da Northway nel 1967 per identificare una forma di patologia polmonare cronica cui andavano incontro alcuni neonati pretermine, con RDS alla nascita, trattati con ventilazione meccanica ed elevate concentrazioni di O2 per più di 150 ore. Northway identificò 4 stadi clinici della malattia sulla base di criteri radiografici e anatomo-patologici1. La definizione fu successivamente modificata da • necessità di Ventilazione a Pressione Positiva Intermittente (IPPV) durante la prima settimana di vita per un minimo di 3 giorni; • O2-dipendenza per più di 28 giorni per mantenere una PaO2 > 50 mmHg; • evidenza alla RX del torace di bande radiopache alternate ad aree di aumentata trasparenza2. Nello stesso anno Edwards e in seguito Tooley definirono per la prima volta questa patologia non come BPD, bensì come 003 Proietti 17-26 21-01-2008 11:15 Pagina 18 18 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 “malattia polmonare cronica” (CLD), tenendo conto più delle manifestazioni cliniche (tachipnea, rientramenti intercostali, rantoli all’auscultazione), che dell’eziologia del danno polmonare e dei criteri radiografici3. Secondo Shennon per definire un neonato affetto da BPD, bisognava considerare l’O2 dipendenza fino a 36 settimane post-concezionali, che prediceva con maggiore sensibilità e specificità la morbilità a lungo termine4. Recentemente nel 2001 nel Workshop, sponsorizzato dal National Institute of Health and Human Development (NICHD), sono stati definiti i nuovi criteri diagnostici della BPD e cioè: • O2-dipendenza a 36 settimane di età post-concezionale corretta; • somministrazione di O2 >21% per almeno 28 giorni5. A quest’ultima definizione appartengono i neonati considerati in questo studio6-13. OBIETTIVI L’obbiettivo di questo studio è duplice: 1) verificare l’incidenza dei fattori di rischio intrinseci ed estrinseci della BPD in una popolazione di 30 neonati pretermine con un peso alla nascita compreso tra 500 e 1500 grammi e un’EG tra 25 e 30 settimane suddivisi in 2 gruppi: un gruppo con una diagnosi di BPD e un gruppo di controllo con diagnosi di RDS; 2) valutare, nel follow-up a due anni, in entrambi i gruppi di neonati a confronto: • l’incidenza di patologia respiratoria e di episodi di riospedalizzazione ad essa collegati; • l’andamento dei parametri auxologici: peso, lunghezza e circonferenza cranica. MATERIALI E METODI Per questo studio sono stati selezionati 30 pazienti nati presso l’Ospedale San Camillo di Roma dal 1° Gennaio 2001 al 31 Dicembre 2004, tra la 25a e la 30a settimana di EG e con un peso alla nascita compreso tra 500 e 1500grammi. Si è scelto di effettuare uno studio retrospettivo caso-controllo. I 15 “casi” (9 femmine e 6 maschi) sono stati dimessi dalla Terapia Intensiva Neonatale con una diagnosi di BPD (O2-dipendenza a 36 settimane di età corretta e/o somministrazione di O2 > 21% per almeno 28 giorni) e i 15 “controlli” (8 maschi e 7 femmine) sono stati presi random tra tutti i nati negli stessi anni con i medesimi requisiti di EG e peso, non affetti da BPD ma con una storia di RDS. Sono stati esclusi da questo studio i neonati piccoli per l’età gestazionale (Small for Gestational Age, SGA), con peso alla nascita inferiore al 10° centile, i neonati trasferiti precocemente ad altro ospedale, quelli affetti da malformazioni congenite gravi, tali da rappresentare di per sé una causa di morte o un fattore preponderante nel determinare l’outcome a lungo termine (es.: anomalie cromosomiche). I neonati dimessi dalla TIN sono stati seguiti in follow-up evolutivo per 24 mesi di età corretta. Nei 30 neonati presi in esame, tutti “inborn”, sono stati analizzati i parametri di seguito elencati. Il peso alla nascita e alla dimissione è stato rilevato mediante bilancia elettronica pesa neonati con arrotondamento a 5 grammi. L’età gestazionale è stata espressa in settimane compiute, come raccomandato dall’OMS6, in base alla migliore stima ostetrica: quando l’età postmestruale non era corrispondente a quella ecografica, quest’ultima è stata considerata miglior stima se la prima ecografia è stata effettuata entro le 12 settimane. La valutazione della crescita è stata effettuata tenendo in considerazione gli standard antropometrici neonatali utilizzati nelle tabelle auxologiche della Lubchenco. La rottura delle membrane è stata considerata in ore prima del parto prendendo come valore soglia le 18 ore. La profilassi corticosteroidea, per l’induzione della maturazione polmonare, è stata considerata completa se alla madre erano state somministrate due dosi di cortisonico i.m. 24 ore prima del parto. 003 Proietti 17-26 21-01-2008 11:15 Pagina 19 I. Proietti et al.: Follow-up clinico e respiratorio in un campione di bambini nati pretermine... L’indice di APGAR è stato attribuito a 1 e 5 minuti. Per ventilazione convenzionale si è inteso una ventilazione a pressione continua intermittente (IPPV) mediante respiratori Babylog e VipBird. Per NCPAP si è inteso l’utilizzo di pressione positiva continua attraverso le nasocannule. La dose di surfactante è stata valutata indipendentemente dalla dose somministrata e dalla distanza dal parto. Sono stati considerati affetti da RDS i neonati che presentavano contemporaneamente una PaO2 < 50 mmHg in aria, cianosi in aria o richiesta di supplementazione di O2 per mantenere una PaO2 > 50 mmHg. con RX torace compatibile con la diagnosi di RDS (ipoespansione, aspetto dei campi polmonari reticolo-granulare con o senza broncogramma aereo). Per i neonati affetti da BPD sono state calcolate le ore totali di ossigeno-dipendenza durante la degenza, quelle in cui l’ossigeno veniva erogato in una percentuale ≥ 40%, la somministrazione di cortisonici e diuretici e la presenza di retinopatia della prematurità (ROP). Un neonato è stato considerato affetto da pervietà del dotto arterioso (PDA) se vi era un’evidenza ecografica di PDA con shunt sin-dx documentato. Sono stati considerati affetti da sepsi batterica “sospetta” i neonati che presentavano una sintomatologia compatibile (apnea, instabilità della temperatura, difficoltà di alimentazione, peggioramento del distress respiratorio o instabilità emodinamica) e contemporaneamente neutrofilia o neutropenia e PCR aumentata, e da sepsi batterica “certa” in caso di isolamento nel sangue o nel liquor di un microrganismo patogeno. Abbiamo considerato la sepsi “precoce”, quando insorta entro il 3° giorno e “tardiva” se insorta dopo 3 giorni di vita. Per la valutazione della ROP è stata eseguita l’oftalmoscopia indiretta, ma ai fini di questo studio non si è tenuto conto della suddivisione nei 3 stadi clinici della malattia. 19 Per emorragia intraventricolare (IVH) si è intesa la presenza di sangue all’interno dei ventricoli con o senza dilatazione ventricolare ed emorragia intraparenchimale. Per leucomalacia periventricolare (LPV) si è intesa la presenza di cisti periventricolari multiple. L’alimentazione è stata valutata alla dimissione, registrando se il bambino assumeva latte materno in modo esclusivo o parziale o se veniva alimentato con latte in formula. Il follow-up dei 30 pazienti è stato effettuato con visite ambulatoriali periodiche e condotto fino all’età corretta di 2 anni. Durante questo periodo sono stati effettuati i controlli clinici fondamentali (respiratori, cardiaci, neurologici) e valutato l’andamento del peso, lunghezza e circonferenza cranica. Inoltre, dove presenti, sono state individuate e valutate le patologie respiratorie più frequentemente associate a BPD, e gli eventuali ricoveri ad esse riconducibili. Si sono poi confrontati i risultati di queste ultime valutazioni con quelli riportati in letteratura. I dati presi in considerazione sono stati tratti dalle cartelle cartacee dei ricoveri ordinari e delle successive visite presso l’ambulatorio di follow-up Neonatale dell’Ospedale San Camillo di Roma. RISULTATI Nel 2003-2004 si è realizzato nella regione Lazio un progetto che ha richiesto la collaborazione di tutti i centri TIN e che ha permesso di conoscere le modalità di accesso alle cure dei parti e dei nati pretermine e le caratteristiche di questi ultimi7. In base ai dati forniti dall’Agenzia di Sanità Pubblica, dal 1° gennaio 2003 al 31 Dicembre 2004 sono nati vivi nella regione Lazio 599 neonati con un peso alla nascita ≤ 1500g e un’EG compresa tra la 25a e la 30a settimana. L’incidenza di BPD in questa popolazione di neonati è pari al 7%. 003 Proietti 17-26 21-01-2008 11:15 Pagina 20 20 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 Fig. 1 - Incidenza della BPD nella Regione Lazio dal 1° Gennaio 2003 al 31 Dicembre 2004 Come si può notare, la frequenza di BPD è considerevolmente più alta nelle classi di peso ed età gestazionale più basse in accordo con i dati della letteratura relativi agli stessi anni. Per l’analisi dei fattori di rischio della patologia associata alla BPD e dei parametri auxologici a distanza questo studio ha considerato oltre ai nati nel biennio 2003-2004, anche i nati nei biennio precedente in modo da reclutare 15 neonati affetti da BPD e 15 affetti da RDS, paragonabili per EG, peso e sesso (Tab. 1). L’EG è in media 27 settimane in entrambi i gruppi, il peso medio alla nascita è pari a 824g nei casi e pari a 899g nei controlli, valore non significativo. Nel gruppo degli affetti da BPD le femmine rappresentano il 60%, ma la differenza tra i due gruppi non è significativa. La somministrazione di steroidi alla madre, per la profilassi dell’RDS, è stata eseguita in 12 casi (80%) e 10 controlli (66%) con una p=0,651. Nel 40% dei casi e nel 20% dei controlli (p=0,480) si è verificata una PROM superiore a 18 ore. Una condizione di asfissia neonatale (punteggio di Apgar, a 1 minuto, inferiore o uguale a 3) si è verificata in 10 casi e in 7 controlli che per tale motivo sono stati intubati in sala parto. Nell’86% dei casi e nel 66% dei controlli è stato somministrato surfactante per via endotracheale; di questi, in 2 casi e in 3 controlli, con la tecnica “INSURE” (INtubazione-SURfactante-Estubazione). Tutti i casi di BPD sono stati sottoposti a ventilazione meccanica convenzionale per una durata media di 19,3 giorni; mentre fra i controlli, soltanto 8 sono stati sottoposti a ventilazione meccanica per una durata media di 8,7; il valore di p=0,04 è statisticamente significativo. La somministrazione di ossigeno è stata necessaria nei pazienti con BPD per una durata media di 74 giorni mentre negli affetti da RDS per una durata media di 15 giorni con una valore di p=0,004, statisticamente significativo. I giorni totali di NCPAP sono stati in media 14 nei neonati affetti da BPD e 6 nei neonati RDS (p=0,03). Anche questa differenza è risultata statisticamente significativa. Fra i neonati con BPD la media dei giorni di degenza è stata 109 giorni, fra i controlli 88 giorni con un valore di p=0,07. I valori sopra menzionati sono riportati nella tabella 2. Tab. 1 - Valore medio + DS del peso, dell’EG e del n. maschi/femmine nei due gruppi di neonati considerati ETÀ GESTAZIONALE (settimane) PESO ALLA NASCITA (kg) SESSO (M/F) BPD (n=15) RDS (n=15) Valore di p 27,2 ± 1,70 0,824 ± 0,21 6/9 27,67 ± 1,72 899 ± 0,25 8/7 0,40 0,38 0,72 003 Proietti 17-26 21-01-2008 11:15 Pagina 21 I. Proietti et al.: Follow-up clinico e respiratorio in un campione di bambini nati pretermine... 21 Tab. 2 - Durata in giorni (media ±DS) della ventilazione meccanica, di O2 terapia, di NCPAP e di ricovero nei due gruppi di neonati a confronto BPD (n=15) gg. DI VENTILAZIONE MECCANICA 19,3 ± 16,9 gg. DI O2-TERAPIA 74,8 ± 36,1 gg. DI NCPAP 14 ± 11,9 gg. DI RICOVERO 109,4±32,3 RDS (n=15) 7,73 ± 13 15,1 ± 16 6,13 ± 7,70 88,4±30,3 Valore di p 0,04 0,004 0,03 0.07 L’incidenza dei fattori di rischio estrinseci nei due gruppi è riportata nella tabella 3. Tab. 3 - Tipi di patologie nei due gruppi di neonati a confronto PDA SEPSI PDA+SEPSI LPV IVH BPD (n=15) 73,3% 33,3% 33,3% 26,6% 6,6% Il PDA è stato riscontrato nel 73,3% dei neonati con BPD e nell’ 86,6% di quelli con RDS con un valore di p=0,667. E’ stato necessario un intervento per la chiusura chirurgica del dotto in 2 neonati con BPD e in 1 controllo, mentre in tutti gli altri neonati la chiusura del dotto è stata indotta farmacologicamente. La sepsi è stata riscontrata in 5 neonati (33,3%) con BPD e in 4 neonati con RDS (26%), con una differenza non statisticamente significativa. La presenza associata di PDA e sepsi si è verificata in 5 casi (33,3%) e in nessun controllo con una p pari a 0,05, differenza pertanto significativa. RDS (n=15) 86,6% 26,6% 0% 33,3% 0% Valore di p 0,66 0.98 0,05 0,98 0,90 Hanno sviluppato una LPV il 40% dei casi (n=6) e il 33,3% dei controlli (n=5), differenza non significativa. 1 tra i 15 neonati affetti da BPD e nessuno di quelli affetti da RDS ha avuto una IVH. Il peso, la lunghezza e la circonferenza cranica rilevati al momento della dimissione non rivelano differenze significative: il peso alla dimissione è lievemente superiore nei bambini con BPD, ma tale parametro è molto verosimilmente imputabile al periodo di degenza più prolungato in questi bambini rispetto a quello dei controlli (tabella 4). Tab. 4 - Peso, lunghezza e circonferenza cranica dei due gruppi di neonati, alla dimissione Peso (kg) Lunghezza (cm) Circonferenza Cranica (cm) BPD (n=15) 2,59 ± 0,5 45,2+2,97 33,1 ± 2,04 RDS (n=15) 2,41 ± 0,15 46,8 ± 3,1 33,3 ± 1,1 Valore di p 0,18 0,16 1 003 Proietti 17-26 21-01-2008 22 11:15 Pagina 22 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 L’andamento dei parametri ponderostaturali e della circonferenza cranica (CC) è stato valutato a 6-12-18-24 mesi di età corretta con visite ambulatoriali ad intervalli di tempo regolari di circa 6 mesi. A sei mesi di età corretta il peso medio del gruppo con BPD è di 5,75 kg mentre i controlli hanno un peso medio di 6,9 kg (p=0,02). La lunghezza media è nel primo gruppo di 61,8 cm e nel secondo 65 cm (p=0,05). Alla fine del primo anno, quando il peso di un bambino sano a termine è intorno ai 10kg, il valore medio del peso dei bambini con BPD è 7,8kg e 10 bambini su 15 hanno un peso inferiore al 10°centile. Il peso medio nei controlli è 9,03kg. A 18 mesi il peso medio è di 9,15kg nei casi e 10,78kg nei controlli, la lunghezza 76,7 cm nei primi e 81 cm nei secondi. Queste differenze sono entrambe risultate significative (p=0,08 per il peso; p=0,005 per l’altezza). A 2 anni si conferma nuovamente un accrescimento ampiamente sotto la norma nei bambini affetti da BPD il cui peso medio non raggiunge i 10kg e il 60% si trova ancora sotto il 10° centile. Nei bambini che hanno presentato alla nascita una RDS,invece, la crescita è decisamente migliore e l’80% ha un peso e un’altezza tra il 10° e il 90° centile. Le tabelle (Tabb. 5, 6 e7) e i grafici seguenti (Fig. 3, 4 e 5) riassumono i risultati. Tab. 5 - Valore medio del peso, in kg, nei due gruppi considerati a 6-12-18-24 mesi MESI 6 12 18 24 BPD 5,75 ±1,02 7,83 ± 1,43 9,15 ±1,46 9,98 ±1,58 RDS 6,9 ±1,49 9,03 ± 1,78 10,78 ± 1,65 11,64 ± 1,71 Valore di p 0,02 0,02 0,008 0,01 Tab. 5 - Valore medio dell’altezza, in cm, nei due gruppi considerati a 6-12-18-24 mesi MESI 6 12 18 24 BPD 61,80 ± 4,229 70,68 ± 4,73 76,73 ± 4,04 79,82 ± 3,67 RDS 65,03 ± 4,48 73,46 ± 3,41 81,03 ± 3,61 85,56 ± 3,14 Valore di p 0,05 0,07 0,005 0,001 Tab. 5 - Valore medio della circonferenza cranica, in cm, nei due gruppi considerati a 6-12-18-24 mesi MESI 6 12 18 24 BPD 41,63 ± 1,98 44,16 ± 2,11 45,86 ± 1,80 46,85 ± 1,72 RDS 42,30 ± 1,72 45,43 ± 1,85 47,28 ± 1,92 47,78 ± 1,92 Valore di p 0,334 0,09 0,04 1 003 Proietti 17-26 21-01-2008 11:15 Pagina 23 I. Proietti et al.: Follow-up clinico e respiratorio in un campione di bambini nati pretermine... Fig. 3 - Accrescimento ponderale nei due gruppi rispetto ai mesi (età corretta) Fig. 5 - Circonferenza cranica nei due gruppi rispetto ai mesi(età corretta) 23 Fig. 4 - Accrescimento staturale nei due gruppi rispetto ai mesi(età corretta) La profilassi con anticorpi monoclonali umanizzati (palivizumab, Synagis®) contro il virus respiratorio sinciziale (VRS), è stata somministrata nell’80% dei neonati affetti da BPD e nel 66% di quelli con RDS. La prima somministrazione è stata effettuata all’inizio della stagione invernale, seguita da altre 4-5 somministrazioni a distanza di 1 mese l’una dall’altra. Le patologie respiratorie che si sono osservate con maggior frequenza nei 2 anni di follow-up sono state la bronchiolite, con una percentuale del 40% nei bambini con BPD e del 6,6% nei controlli, la bronchite asmatica con una percentuale del 20% in entrambi i gruppi e la broncopolmonite, diagnosticata nel 26,6% dei casi e in nessun controllo. Il dato fortemente significativo che va sottolineato è che per il 53,3% dei bambini con BPD è stato necessario un successivo ricovero (2 bambini anche più di uno) a causa delle patologie respiratorie infettive sopra menzionate. In nessuno dei controlli si sono effettuati ricoveri per tali patologie. (p=0,004). Tab. 5 - Patologie respiratorie e riospedalizzazioni ad esse collegate PROFILASSI PER VRS BRONCOPOLMONITE BRONCHITE ASMATICA BRONCHIOLITE RIOSPEDALIZZAZIONI BPD (n=15) 80% 26,6% 20% 40% 53,3% RDS (n=15) 66% 0% 20% 6,6% 0% Valore di p 0,651 0,1 1 0,07 0,004 003 Proietti 17-26 24 21-01-2008 11:15 Pagina 24 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 DISCUSSIONE Dall’elaborazione dei dati considerati nel presente studio è emerso che la frequenza della BPD in una popolazione di neonati di peso alla nascita tra 500 e 1500g ed un’ EG compresa tra 25 e 30 settimane, è stata nella regione Lazio, negli anni 2003-2004, del 7%. Tale valore del 7% è comunque in linea con parte delle casistiche riportate in letteratura8, anche se l’incidenza di BPD riportata in altri studi epidemiologici varia ampiamente9. Ciò è probabilmente da mettere in relazione all’eterogeneità dei campioni numerici degli studi riportati in letteratura, ai diversi livelli assistenziali nelle varie TIN, al diverso grado di aggressività nel praticare la ventilazione assistita e l’O2 terapia, ai diversi target di ossigenazione ritenuti accettabili dai vari clinici. Analizzando inoltre la frequenza di BPD suddivisa per classi di peso e per EG si osserva la sua prevalenza fra i nati di peso estremamente basso alla nascita e con EG inferiore a 27 settimane. Questo dato è riportato in maniera unanime in tutta la letteratura10. Nonostante nell’80% dei casi e nel 66% dei controlli sia stata eseguita la profilassi corticosteroidea prima della nascita e, nell’86% dei casi e nel 66% dei controlli, sia stato somministrato surfactante postnatale per la prevenzione dell’RDS il 100% dei neonati ha comunque manifestato una RDS iniziale, anche se in alcuni controlli, in forma più lieve. Questo conferma quanto già descritto in letteratura circa l’introduzione nella pratica clinica della profilassi prenatale con cortisone e del surfactante somministrato dopo la nascita: tali presidi terapeutici, pur diminuendo la gravità della patologia respiratoria, non la prevengono del tutto; inoltre, permettendo una maggiore sopravvivenza dei neonati gravemente pretermine potrebbero determinare un aumento della frequenza di BPD10. Questo studio caso-controllo conferma l’importanza di alcune condizioni perinatali correlate all’insorgenza della BPD. Tra i fattori di rischio intrinseci è da sottolineare ancora una volta che tanto più bassi sono il peso e l’EG, tanto maggiore è il rischio di BPD. Per quanto riguarda il sesso, la letteratura riporta un’incidenza più alta nei maschi rispetto alle femmine11, cosa che non si è verificata in questo studio, dove al contrario nel gruppo di neonati affetti da BPD le femmine sono risultate la maggioranza. Ciò è da riportare presumibilmente al numero limitato dei casi presi in considerazione L’analisi dei fattori di rischio estrinseci ha permesso di verificare differenze significative tra i due gruppi sia per quanto riguarda i giorni totali in cui è stato somministrato ossigeno (p=0,004) sia per i giorni totali in NCPAP (p=0,03) e in IPPV (p=0,04) La presenza del PDA nei casi non si è rivelata significativa in disaccordo con quanto riportato in letteratura12, se non in associazione con la sepsi (p=0.05) Sia la LPV sia l’ IVH non si sono mostrate statisticamente più frequenti nel gruppo dei neonati con BPD. La ROP, che colpisce in genere i neonati con un peso alla nascita inferiore a 1500g, sottoposti a ventilazione meccanica e ossigeno-dipendenti per un lungo periodo di tempo, solo in un caso ha raggiunto uno stadio di gravità tale da rendere necessario un intervento di fotocoagulazione. La letteratura riporta una considerevole diminuzione dell’insorgenza di infezioni delle alte e basse vie respiratorie nei primi due anni di vita in seguito alla somministrazione di anticorpi monoclonali antiVRS. In questo studio la frequenza delle infezioni respiratorie si è mantenuta relativamente bassa confermando i dati della letteratura sopra menzionati. Il dato che emerge nel nostro studio è che il numero di bambini affetti da BPD, che hanno richiesto nuovi ricoveri ospedalieri a causa di un deterioramento acuto della situazione respiratoria provocato da un’infezione, è significativamente superiore a quello dei controlli (p=0,004). Tutti i neonati di questo studio sono stati dimessi dopo almeno 1-2 settimane di sospensione dell’O2-terapia, se in grado 003 Proietti 17-26 21-01-2008 11:15 Pagina 25 I. Proietti et al.: Follow-up clinico e respiratorio in un campione di bambini nati pretermine... di alimentarsi adeguatamente , in assenza di crisi di apnea/desaturazione e con una crescita soddisfacente, di regola quando si siano raggiunti almeno i 2kg di peso. A 40 settimane di età corretta, circa il 70% di questi neonati ha presentato valori di peso e lunghezza inferiori al 3° centile. A sei mesi di età corretta il 60% dei casi si trova tra il 3° e il 9° centile per peso e lunghezza e il 40 % sotto il 3° centile, mentre quasi il 50% dei controlli ha un peso e una lunghezza tra il 10° e il 50° centile. A 12 mesi di età corretta più del 60% dei bambini con BPD ha un peso inferiore al 10° centile, mentre il 50% dei controlli si trova tra il 10° e il 50° centile e il 26% ha addirittura superato il 50° centile. A 18 mesi di età corretta ancora più del 50% dei casi si trova sotto il 10° centile sia come peso che come lunghezza. A 2 anni di età corretta il peso medio dei bambini affetti da BPD è 9,98 kg; mentre nei controlli il peso medio ha quasi raggiunto i 12 kg. Questa differenza è risultata significativa. CONCLUSIONI Considerando quanto esposto e quanto emerso dall’elaborazione dei dati si può affermare che l’incidenza di BPD nei neonati con peso alla nascita tra 500 e 1500g, nati nel biennio 2003 al 2004 nella Regione Lazio è in linea con quella riportata in Letteratura. Questo studio caso-controllo ci dimostra che la sola prematurità non incide significantemente sullo sviluppo della BPD. Risultano di fondamentale importanza nell’incidenza della BPD altri fattori quali il peso alla nascita, le ore di ventilazione meccanica, la durata dell’O2-terapia e la pervietà del dotto arterioso associato alla sepsi. La gestione dei neonati di basso peso alla nascita,quindi, prevede l’adozione di tecniche di ventilazione sempre meno invasive, la riduzione al minimo delle ore totali di ventilazione, la chiusura precoce del dotto arterioso e la prevenzione delle condizioni di infezione prenatale (corionamniotite) e postnatale (sepsi). Tra le complicanze è da segnalare l’alta frequenza di ROP nei bambini con BPD; 25 fortunatamente nella maggior parte dei casi la patologia è regredita completamente. La dimissione dei neonati deve avvenire quanto prima possibile per evitare le lunghe ospedalizzazioni, che incidono sia sulla loro salute, che sui costi del ricovero, e per favorire l’inserimento del bambino nell’ambiente familiare. È importante consigliare alla famiglia una serie di norme comportamentali tra cui il divieto assoluto di fumare in casa, l’allontanamento del bambino da ambienti comunitari, l’uso di mascherine in caso di infezioni respiratorie nei familiari, la profilassi delle malattie infettive con le vaccinazioni, scoraggiando la frequenza in asili nido agli eventuali fratelli fino a che il paziente non abbia compiuto almeno 2 anni. Valutando l’incidenza della patologia respiratoria nei primi 2 anni di vita, si è osservato una maggiore incidenza di episodi di bronchiolite e broncopolmonite nei soggetti affetti da BPD rispetto ai neonati senza BPD. Questo mette la BPD, al primo posto come causa essenziale nel determinare l’aumento della frequenza di patologie delle alte e basse vie respiratorie e delle riospedalizzazioni. La BPD, rispetto alla RDS, sembra influenzare, nelle sue forme più gravi, sia l’accrescimento ponderale che staturale nei primi 2 anni di vita, mentre la circonferenza cranica è risparmiata mantenendosi, più frequentemente, nei limiti della norma. Si può supporre che la differenza di crescita tra i bambini affetti da BPD e quelli del gruppo di controllo possa ricondursi ad una diminuzione dell’ossigenazione emoglobinica e tissutale dei primi rispetto ai secondi. Infatti, essendo la SaO2tc di regola13 ridotta nei soggetti con BPD ed essendo la crescita garantita con una SaO2tc tra il 90 e il 100% si può ipotizzare che sia proprio questa riduzione a determinare il minor accrescimento. Può, quindi, risultare utile, durante le visite di follow up, oltre che rilevare i parametri auxologici, monitorare anche i valori della SaO2tc così da confermare questa ipotesi. 003 Proietti 17-26 21-01-2008 11:15 Pagina 26 26 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 Si sottolinea, inoltre, l’importanza di condurre uno studio prospettico caso-controllo aggiungendo, ai parametri fino ad ora utilizzati nei follow up dei bambini con BPD, la valutazione prolungata nelle 24h della SaO2tc. BIBLIOGRAFIA 1. Northway WH, Rosan RC, Porter DY. Polmonary disease following respiratory therapy of Hyaline Membrane Disease:Bronchopulmonary dysplasia. N Engl J Med. 1967; 276: 357-68 2. Bancalari E, Abdenour G, Feller R, Gannon J. Bronchopulmonary dysplasia: clinical presentation. J Pediatr. 1979; 95: 819-23. 3. Edwards DK. Radiographic aspects of BPD. J Pediatr 1979; 95: 823-9 4. Shennon AT Abnormal pulmonary outcomes in premature infants: prediction from oxygen requirement in the neonatal period. Pediatrics 1988; 82: 527. 5. Jobe AH, Bancalari E. NICHD/NHLBI/ORD. Workshop Summary: Bronchopulmonary Dysplasia. Am J Respi Crit Care Med 2001; 163: 1723-9. 6. Chiswick ML. Commentary on current WHO definitions used in perinatal statistics Arch Dis Child 1986;61: 708-10. 7. Agenzia di Sanità Pubblica della Regione Lazio Progetto regionale sui parti e nati pretermine. Sintesi dei risultati. Anni 2003-2004. Pubblicato a Marzo 2006. 8. Cavazza A, Tagliabue P, Fedeli T, and the investigators of the Italian group of Neonatal Pneumology. Impact of chronic lung disease on very low birth weight infants: a collaborative study of the ltalian Group of Neonatal Pneumology. Ital J Pediatr 2004; 30: 393-400 9. Bancalari E, Claure N, Sosenko IRS. Bronchopulminary Displasia: Changes in pathogenesis, epidemiology and definition. Semin Neonatol 2003; 8: 63-71. 10. Banaclari E. Changes in the pathagenesis and clinical presentation of the new Bronchopulmonary dysplasia. Ital J Pediatr 2004; 30: 340-2. 11. Fiascone JM Bronchopulmonary displasia: a review for the pediatrician. Curr Probl Pediatr 1989; 19: 177 12. Del Moral T, Claure N. Duration of patent ductus arteriosus as a risk facto for BPD Pediatr Res 2001; 49: 882A 13. The IMPACT-RSV Study Group. Palivizumab, a humanized RSV monoclonal antibody, reduces hospitalization from RSV infection in high-risk infants Pediatrics 1998; 104: 531. ____ Per richiesta estratti: Dott.ssa Ilaria Proietti, Via Gallese, 30 - 00189 Roma Tel. ab.: 0633251917 - Fax: 0633251917; cell. 3287477400 email: [email protected] 004 Cortese 27-32 21-01-2008 11:17 Pagina 27 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 CARDIO-RM: TECNICA E METODOLOGIA DELLO STUDIO MORFOLOGICO DEL CUORE E DELLA CINETICA CARDIACA CARDIAC MRI: TECHNIQUE AND METHODOLOGY IN THE ASSESSMENT OF CARDIAC MORPHOLOGY AND FUNCTION ANDREA CORTESE1, ALESSIO BAIONI1, CLAUDIO BAIONI1, STEFANO BAIONI1, BRUNO COSENTINO1, CARLA MANZARA2, PAOLO MATTIA1 1 Radiologia Centrale. 2 UTIC Azienda Opsedaliera San Camillo-Forlanini - Roma RIASSUNTO: La Risonanza Magnetica non è ancora di uso comune nella Diagnostica per Immagini delle malattie cardiovascolari; è peraltro riconosciuta come utile integrazione alle altre metodologie. L’implementazione tecnologica, insieme all’uso del mezzo di contrasto ed alla riduzione dei tempi di esecuzione dell’esame, ne hanno accresciuto le possibilità di impiego. La Risonanza Magnetica è peraltro indispensabile nello studio del ventricolo destro, la cui particolare forma rende imprecise le tecniche di misurazione volumetrica con assunzioni geometriche. Parole chiave: Malattie cardio-vascolari. RM. SUMMARY: MRI is a useful and powerful tool in diagnostic of cardiovascular disease. Even if is not a first choise in practiacl clinic, MRI can give important information as an integration of a diagnostic track. The techinacal implementation, with new sequences and the use of paramagnetic contrast agent, has reduced the scan time and widened the indications. Particularly important is in the differential diagnosis of hybernating myocardium, between primary or postischemic dilated cardiomyopathy, and expecially useful in the diagnosis of arrhytmogenic right ventricular displasia cardiomiopathy. Key words: Cardiology. Magnetic Resourance Imaging. IMAGING CARDIACO: GENERALITÀ La Risonanza Magnetica (RM), tradizionalmente ritenuta metodica “lenta”, si propone oggi nello studio del sistema cardiovascolare per l’implementazione di nuove sequenze di impulsi, che ottimizzano la rappresentazione morfologica delle cavità cardiache, riproducendone fedelmente la cinetica. La RM non è ancora indagine di prima scelta nella routine clinica cardiologica, poiché l’ecocardiografia è di prima istanza per lo studio morfologico del cuore (forma, spessore delle pareti e delle valvole cardiache, volumetria e parametri funzionali), fornendo nella maggior parte dei casi informazioni diagnostiche e qualità di im- magini sufficienti a soddisfare le necessità cliniche. Le tecniche Doppler consentono valutazioni sul flusso ematico cardiaco. L’ecocardiografia è sicuramente efficace in termini di costo e tempi di esecuzione ma è ancora operatore-dipendente e soffre delle problematiche relative alla finestra acustica del paziente. Inoltre, presenta alcune limitazioni nella precisa quantificazione della volumetria cardiaca, soprattutto per quanto riguarda il ventricolo destro, ed in tutti quei casi in cui estese anomalie della cinesi distrettuale (aneurismi ventricolari, rimodellamento…) rendono difficile e poco accurata la valutazione di una FE (frazione di eiezione) attendibile. La RM, con la 004 Cortese 27-32 28 21-01-2008 11:17 Pagina 28 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 sua capacità di esplorare le strutture cardiache su tutti i piani dello spazio, permette quasi sempre un’accurata e precisa valutazione della FE ed è metodica di prima scelta per l’esplorazione funzionale del ventricolo destro, la cui particolare e complessa geometria rende la valutazione ecocardiografica particolarmente difficile e poco accurata, tanto che, a tutt’oggi, non è possibile ottenerne una attendibile stima della FE. La RM ha la possibilità di effettuare una valutazione quantitativa precisa della funzione destra, senza dover ricorrere ad artifizi geometrici. È metodica indispensabile, e talora di prima scelta, nel difficile percorso diagnostico della displasia aritmogena del vetricolo destro, patologia di elevato impatto sociale, per essere la prima causa di morte improvvisa tra i giovani e gli atleti. L’integrazione tra il riconoscimento di anomalie cinetiche distrettuali e l’alterazione del segnale di parete, anche se non sufficienti a formulare una diagnosi sicura, possono indirizzare i pazienti con una più elevata probabilità di malattia verso l’esecuzione di una biopsia miocardia. La Risonanza Magnetica del cuore entra nell’iter diagnostico-clinico qualora l’esame ecocardiografico sia inficiato o impedito da motivi di ordine tecnico o, più genericamente, da limitazioni di finestra acustica e, in alcuni casi, come metodologia diagnostica integrata. Le peculiarità della RM rispetto alle altre metodologie diagnostiche non invasive riguardano la possibilità di ottenere immagini digitali bi e tridimensionali ad alto contrasto tra il sangue e le strutture muscolari, sia per l’analisi morfologica che per lo studio dinamico, senza uso di radiazioni ionizzanti (vs Cardio-CT), in assenza di limitazioni relative alla finestra acustica (vs ecocardiografia), panoramiche, valutabili da più di un operatore, non invasive (vs ecografia trans-esofagea e cateterismo cardiaco). Le capacità della Cardio-RM sono relative anche alla valutazione della funzione cardiaca, con la rappresentazione della perfusione e della vitalità miocardica a mezzo dell’imaging-RM dinamico. CARDIO-RM: TECNICA , METODOLOGIA, SEQUENZE Condizione unica e necessaria per l’ottimale resa diagnostica dell’esame è la corretta applicazione di una idoneo e rigoroso protocollo di analisi. Il cuore è un organo in continuo movimento, per cui le possibilità di ottenere immagini di qualità sono obbligatoriamente legate alla perfetta sincronizzazione delle sequenze e con gli atti respiratori e con la cinetica cardiaca, non essendo ancora perseguibile, per motivi tecnologici, l’unica altra, teorica alternativa, che consisterebbe nella acquisizione rapidissima delle sequenze, in una con i movimenti del cuore e dei polmoni. Prerequisito necessario per un accurato studio morfologico del cuore con RM è quindi un’efficace sincronizzazione con l’elettrocardiogramma, in presenza di un ritmo sinusale (ovvero in assenza di un ritmo molto disordinato). La presenza di aritmie prolunga infatti automaticamente i tempi di acquisizione oltre le possibilità di cooperazione del paziente. Secondo tecnica consolidata, le immagini vengono acquisite in apnea espiratoria e nelle varie fasi del ciclo cardiaco, utilizzando sistemi di cardiosincronizzazione mediante elettrocardiogramma, che consentono di rappresentare il cuore come se fosse immobile in una fase del suo ciclo funzionale. Si usano bobine dedicate di superficie del tipo phased array multicanale (4-8-16 canali), che consentono un netto miglioramento del rapporto segnale/rumore. Nella prima fase di acquisizione viene ripresa una serie di immagini nei 3 piani ortogonali dello spazio (scout-survey), non cardiosincronizzate (fig. 1). Quindi vengono eseguite scansioni sul piano assiale, per lo studio del mediastino (valutazione di eventuali patologie associate ) e per l’impostazione delle sequenze successive (fig. 2). I piani assiali sono necessari per la valutazione morfologica dell’aorta, del pericardio, delle vene cave superiore ed inferiore; questi tuttavia non corrispondono agli assi anatomici del cuore, relativi all’orientamento delle singole cavità cardia- 004 Cortese 27-32 21-01-2008 11:17 Pagina 29 A. Cortese et al.: Cardio-RM: tecnica e metodologia dello studio morfologico del cuore e della cinetica... che, variabile in ciascun paziente. Ne consegue che una valutazione della morfologia cardiaca secondo i piani ortogonali non consente l’ analisi dell’orientamento delle cavità e degli spessori cardiaci. Per una corretta tecnica di studio, eseguita secondo gli assi cardiaci, è necessario individuare gli strati assiali ove sia identificabile il ventricolo sinistro; eseguendo sequenze orientate parallelamente al setto e passanti per l’apice ventricolare, si ottengono immagini secondo l’asse lungo verticale “2 camere”, utili nella valutazione dell’apice del ventricolo, delle pareti anteriore e diaframmatica, delle valvole atrio-ventricolari e delle dimensioni cranio-caudali degli atri (fig. 3). Da questo, secondo un piano ortogonale. si eseguono scansioni secondo l’asse corto, passanti dalla valvola mitrale all’apice. Questa fase di studio è indispensabile per la valutazione della volumetria e degli spessori cardiaci. Dalle 2 camere in asse lungo ed in asse corto (figg. 4 e 6) è possibile orientare l’acquisizione per ottenere i piani 4 camere (fig. 5) e 3 camere (fig. 7). La classica distinzione tra sequenze morfologiche e dinamiche non viene piu’ riconosciuta, per l’elevato dettaglio presente nelle sequenze cinetiche. Le sequenze morfologiche propriamente dette o a sangue nero (black blood) rappresentano acquisizioni statiche in grado di rappresentare con elevato dettaglio i contorni endo e pericardici e la struttura parietale del ventricolo destro e sinistro. La fase rappresentata è quella telediastolica; possono essere acquisite nei vari piani dello spazio in relazione alla indicazione clinica. Le sequenze cinetiche o a sangue bianco (white blood) di rappresentano il movimento cardiaco, attraverso l’acquisizione di 20-40 fotogrammi nell’arco del ciclo cardiaco, sullo stesso strato. Sono irrinunciabili sequenze di base e sull’asse corto 2 camere, che consentono il rilievo del maggior numero di dati sulla contrattilità, spessori parietali e volumetria nelle fasi sistolica e diastolica. L’esecuzione di una Cardio-Rm di base richiede circa 40 minuti, comprendendo il tempo necessario per il corretto posizionamento degli elettrodi e per gli aggiustamenti tecnici rela- 29 tivi alla selezione della derivazione ECG utile e degli altri parametri delle sequenze cardiache. CONTROINDICAZIONI ALLA CARDIO-RM Sono quelle generiche di tutti i pazienti candidati alla indagine-RM e sono dovute o a dislocazione di sostanze ferromagnetiche o all’azione di correnti elettriche in conduttori o sensori elettromagnetici, con azioni conseguenti di malfunzionamento o disattivazione e riscaldamento. Controindicazioni assolute sono i pacemaker cardiaci, le clips vascolari ferromagnetiche, i cateteri di Swan-Ganz, gli impianti protesici ferromagnetici acustici ed oculari. Controindicazioni relative, perché in grado di inficiare la qualità diagnostica dell’esame, sono rappresentate da tutte quelle condizioni che, attraverso qualsiasi espressione, determinano la non ottimale collaborazione del paziente (claustrofobia, tremori e movimenti involontari, impossibilità a mantenere la corretta posizione per il tempo necessario…). Come buona regola, è prudente poter disporre di una radiografia del torace di data recente, ad escludere con sicurezza la presenza di pace-maker e di clips metalliche. Le piccole dosi di mezzo di contrasto paramagnetico necessarie alla esecuzione dell’esame consentono tranquillità di impiego, pur sempre considerando i rischi generici di reazioni di ipersensibilità, sempre possibili con l’uso di sostanze iniettabili. APPLICAZIONI CLINICHE Cardiopatie congenite Quelle più semplici (difetti interatriali / interventricolari; pervietà del dotto di Botallo...) sono ben valutati dalla ecocardiografia, così da rendere superfluo l’esame-RM. Di fronte a situazioni malformative più complesse, la tecnica-RM dovrà di volta in volta essere mirata a seconda delle strutture anatomiche da valutare, indirizzando l’esame verso la documentazione di eventuali fistole artero/venose, ritorni venosi anomali, stenosi o comunicazioni dirette o indirette tra i due rami delle arterie polmonari. 004 Cortese 27-32 30 21-01-2008 11:17 Pagina 30 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 L’esame-RM è elettivo per la dimostrazione delle anomalie di origine e decorso dei vasi epiaortici e delle arterie polmonari, perché ecocardiografia ed ecografia transesofagea possono fornire risposte incomplete e comunque non adeguate, in presenza di anelli vascolari. Nei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico, le possibilità di esecuzione di un corretto esame ecocardiografico sono ridotte dallo sbarramento acustico originato dalla cicatrice chirurgica e dalla variazione dei rapporti tra le strutture mediastiniche, con difficoltà di valutazione dei diametri della arteria polmonare e dei suoi rami Patologia valvolare La RM trova indicazione per la sua capacità di analizzare il flusso ematico (sia esso normale che alterato) attraverso gli orifizi valvolari. Dalla valutazione delle caratteristiche fisiche del “vuoto” di segnale (durata e dimensioni), che esprime nell’immagine-RM la turbolenza del flusso attraverso una valvola alterata, può essere dedotta e quantificata la gravità della patologia valvolare. Certamente, in tali patologie la RM non trova ampie applicazioni ma la possibilità di una precisa valutazione quantitativa dei rigurgiti e dei parametri ad essi correlati, sempre più richiesti dal chirurgo (volume di rigurgito, frazione di rigurgito), la rendono una indagine preziosa in alcuni casi selezionati e particolarmente complessi, per decidere il giusto timing chirurgico. Studio del Miocardio La Cardio-RM fornisce precise indicazioni di ordine anatomico , relativamente alla morfologia, all’orientamento ed alle dimensioni delle camere cardiache, e di ordine funzionale, con riferimento alla cinesi ed alla continenza valvolare. Con l’utilizzazione dei mezzi di contrasto paramagnetici sono possibili le analisi di perfusione, con la valutazione dell’enhancement del miocardio al primo passaggio del mezzo di contrasto (firts pass), indispensabili nei test di provocazione. La RM si mostra un indispensabile completamento alla ecocardiografia nello studio delle ipertrofie distrettuali (apice ventricolare), nelle forme restrittive (studio del pericardio), nelle cardiomiopatie dilatative (per la distinzione dei quadri post ischemici) e nella discriminazione tra miocardio ibernato e cicatrice, con conseguenti implicazioni terapeutiche. Va ricordato, inoltre, che la RM è ormai ritenuta nella Letteratura Internazionale indagine indispensabile nella conferma diagnostica di miocardio non compatto. Altra importante applicazione clinica è nello studio delle cardiomiopatie ipertrofiche, in quanto la RM può identificare l’ipertrofia in regioni non facilmente visualizzabili dall’ecocardiografia (ad es parete antero-laterale), confermando pertanto una diagnosi che porta a percorsi terapeutici ben precisi. Altrettanto utile è nella conferma di cardiomiopatie restrittive (in particolare l’amiloidosi) e nella cardiomiopatia dilatativa, potendone distinguere con grande accuratezza la etiologia, ischemica o primitiva. CONCLUSIONI Il risultato di una corretta acquisizione è la precisa riproduzione morfologica delle cavità cardiache di destra e di sinistra, in associazione alla valutazione dinamica della cinetica parietale globale e distrettuale. Tutto ciò comporta la la possibilità di ottenere misurazioni riproducibili dei parametri cardiaci (frazione di eiezione, volumetria, massa, gittata) e, con le sequenze con mezzo di contrasto, informazioni sulla perfusione e vitalità del ventricolo sinistro. La Risonanza Magnetica rappresenta attualmente metodica integrativa alla ecocardiografia, per lo studio cardiaco morfologico e funzionale delle cavità cardiache. Lo sviluppo dei sistemi di acquisizione e di elaborazione delle immagini ha consentito un netto progresso nella valutazione della perfusione e della vitalità del miocardio, con interessantissime prospettive nello studio della cardiopatia ischemica. 004 Cortese 27-32 21-01-2008 11:17 Pagina 31 A. Cortese et al.: Cardio-RM: tecnica e metodologia dello studio morfologico del cuore e della cinetica... 31 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Atkinson DJ, Burstein D and Edelman RR. Firstpass cardiac perfusion: evaluation with ultrafast MR imaging. Radiology 1990; 174: 757. Di Cesare E, Di Renzi P. Risonanza Magnetica del Cuore e Grossi Vasi. Idelson Gnocchi 1994 Erriquez D, Di Cesare E, Barile A, Gallucci M, Splendiani A, Masciocchi C. Cardiac MRI: comparison between single-shot fast spin echo and conventional spin echo sequences in the morphological evaluation of the ventricles. Radiol Med 2002; 103: 34-44 Frances RJ. Arrhytmogenic right ventricular displasia cardiomiopathy. A review and update. International J of Cardiology XX (2005) XXX-XXX) Hoffmann E, Midiri M. Risonanza Magnetica Cardiovascolare. Idelson Gnocchi 1996 Lombardi M, Bartolozzi C. Risonanza magnetica de cuore ed ei vasi. Sprinter 2004 Simonetti G, Del Maschio A, Bartolozzi C, Passariello R. Trattato Italiano di Risonanza Magnetica Idelson Gnocchi 1998 Fig. 1. Scout di riferimento secondo la proiezione coronale Fig. 2. Sequenza Fiesta non cardiosincronizzata, piano assiale a livello del ventricolo sinistro Orientamento per l’asse lungo 2 camere Fig. 3. Sequenza Fiesta asse lungo 2 camere. Piani ortogonali per la realizzazione dell’asse corco 2 camere Fig. 4. Sequenza Fiesta asse corto; orientamento per il piano 4 camere 004 Cortese 27-32 21-01-2008 11:17 Pagina 32 32 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 Fig. 5. Sequenza Fiesta piano 4 camere Fig 7. Piano 3 camere; rappresentati nella stessa immagine le 2 camere di sinistra e il ventricolo destro. Piano ottimale anche per la valutazione del bulbo aortico ____ Per richiesta estratti: Dott. Andrea Cortese Via P. Revoltella 108, Roma - Tel 3356874562 [email protected] Fig 6. Sequenza Fiesta; orientamento per la realizzazione del piano 3 camere 005 Ciurlini 33-46 21-01-2008 11:19 Pagina 33 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 Rassegne MODELLO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE PER IL DISTURBO DI PANICO. IMPLICAZIONI CLINICHE COGNITIVE-BEHAVIORAL MODEL FOR PANIC DISORDER. CLINICAL IMPLICATIONS PAOLA CIURLUINI, DANIELA AIELLO, CRISTINA DI FONZO Unità Operativa di Psicologia Clinica, Centro Cognitivo-Comportamentale Azienda Opsedaliera San Camillo-Forlanini - Roma RIASSUNTO: Il disturbo da attacchi di panico rappresenta una condizione morbosa il cui studio occupa, da circa un decennio, una parte preminente della ricerca psicologica e psichiatrica. Fondamentale per la diagnosi di disturbo di panico è il manifestarsi di attacchi di panico. Questi attacchi consistono in periodi delimitati di paura intensa o di disagio in cui almeno quattro dei sintomi citati dal DSM si sviluppano improvvisamente e arrivano a un crescendo in 10 minuti. Attacchi possono tuttavia ripetersi più volte e rapidamente; una volta che questi sintomi diminuiscono un’ansia marcata può permanere anche per molte ore. Esistono diverse teorie che provano a spiegare tale disturbo, tra cui le teorie cognitive (evoluzionista, razionaliste, costruttiviste, strutturaliste) e quelle comportamentiste, l’anxiety sensitivity theory, le teorie biologiche e quelle neuropsicologiche. Secondo il modello cognitivo-comportamentale, un attacco di panico può considerarsi un’attivazione neurovegetativa di sequenze comportamentali basiche, incongrua alla situazione, perché attivato dalla sfera cognitiva senza avere le caratteristiche oggettive del pericolo. Per quanto riguarda il trattamento, quello di maggior efficacia e più utilizzato nei centri internazionali è la terapia cognitivo-comportamentale, in particolare questa è considerata la terapia elettiva del Disturbo da Attacchi di Panico con Agorafobia sia da sola che in trattamento integrato. Essendo dunque il Disturbo da Attacchi di Panico con e senza Agorafobia una condizione debilitante che colpisce almeno 1 ogni 75 persone a livello mondiale durante la durata della loro vita, con quest’articolo abbiamo voluto fornire, oltre che una panoramica delle ricerche più recenti sull’argomento, anche un modello d’intervento psicologico cognitivo-comportamentale. Infatti un trattamento precoce nello sviluppo di tale disturbo può accorciarne la durata e può prevenire complicazioni, incluse agorafobia e depressione. Parole chiave: Disturbo di Panico. Modello Cognitivo-Comportamentale. Trattamento del Disturbo di Panico. SUMMARY: Panic disorder is a disabling illness, its study occupes a vary important part of psychological and psychiatry research. Manifestation of panic attacks is fondamental for its diagnosis. The attacks consist in periods of acute fear or disagree, with almost four syntoms related by DSM that develop immediately and grow up in ten minutes. Attacks can therefore repeat more and more and quickly; when these syntoms decrease a severe anxiety can remain for many hours too. There are different theories wich try to explain this disorder, that are cognitivistic theories (evolutionist, razionalist, constructivist, structuralist) and behavioral theories, anxiety sensitivity theory, biologic theories, neuropsychologic theories. Following cognitive-behavioral model, a panic attack can be considered a neurovegetative activation of behavioral basic sequences, not in agreement with the situation, because it is activated by cognitive sphere without obgective caracteristics of danger. About treatment, cognitive-behavioral therapy is the most effective and useful in international centers, in particolar way this is considered the elective therapy of Panic Disorder with Agoraphobia both in isolate as in integrated treatment. As Panic Disorder with and without agoraphobia is a disabling condition wich occurs almost one of 75 persons in the world in their full life, with this article we want to offer a panoramic of current researches about this problem, and in addiction we want to offer a model of psychological cognitive-behavioral intervention. Infact a precocious intervention in the development of this disorder can decrease its lenght and can prevent complications, agoraphobia and depression included. Key words: Panic Disorder. Cognitive-behavioral Model. Panic Disorder. Treatment. 005 Ciurlini 33-46 21-01-2008 11:19 Pagina 34 34 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 CARATTERISTICHE GENERALI Diagnosi Il disturbo da attacchi di panico rappresenta una condizione morbosa il cui studio occupa, da circa un decennio, una parte preminente della ricerca psicologica e psichiatrica1. La definizione di tale entità clinica distinta da altri disturbi su base ansiosa deriva da studi in campo farmacologico condotti a partire dall’inizio degli anni ’60. Dall’inizio degli anni ’60 ricercatori e clinici cominciarono a differenziare pazienti che avevano improvvisi attacchi d’ansia da pazienti con gli altri disturbi d’ansia. La categoria diagnostica di disturbi di panico fu riconosciuta per la prima volta ufficialmente con la pubblicazione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (3ª edizione) dell’Associazione Psichiatrica Americana nel 1980 (DSM-III). Questi criteri furono cambiati leggermente con la pubblicazione delle versioni successive del Manuale Diagnostico, DSM-III-R e DSM-IV. Fondamentale per la diagnosi di disturbo di panico è il manifestarsi di attacchi di panico. Questi attacchi consistono in periodi delimitati di paura intensa o di disagio in cui almeno quattro dei sintomi citati sotto si sviluppano improvvisamente e arrivano a un crescendo in 10 minuti. Attacchi possono tuttavia ripetersi più volte e rapidamente; una volta che questi sintomi diminuiscono un’ansia marcata può permanere anche per molte ore2. I sintomi includono: – dispnea o sensazione di soffocamento – vertigini, sensazioni di sbandamento, di instabilità o di testa leggera o di svenimento – palpitazioni o accelerazioni del ritmo cardiaco – tremori fini o a grandi scosse – sudorazione – nausea o disturbi addominali – depersonalizzazione o derealizzazione – irrigidimento o sensazioni di formicolio (parestesie) agli arti – brividi o vampate di calore – oppressione al torace o disagio – paura di morire – paura di impazzire o di perdere il controllo Gli Attacchi di panico possono verificarsi come incidenti isolati e rari che hanno poco o nessun impatto sul comportamento dell’individuo o come grappoli di attacchi con effetti secondari. Possono verificarsi anche durante il sonno. Per soddisfare il criterio diagnostico per disturbo di panico almeno alcuni degli attacchi di panico devono accadere all’improvviso o spontaneamente, in assenza, cioè, di specifici stimoli ambientali o situazionali come ascensori, parlare in pubblico, serpenti, spazi chiusi, o altre situazioni che possono evocare paura in molte persone. Inoltre, il criterio diagnostico richiede almeno un attacco in 1 mese e la presenza di ansia anticipatoria (ossia il timore di esperimentare ancora tali attacchi) che prevede e determina a sua volta lo scatenarsi di una nuova crisi di panico, paura della paura (conseguenze degli attacchi), alterazioni del comportamento (legate agli attacchi). Infatti il verificarsi periodico di tali attacchi induce la strutturazione di condotte di evitamento delle situazioni o luoghi in cui tali episodi si sono manifestati. Spesso si assiste ad una elaborazione ipocondriaca che consiste nella convinzione del paziente di essere affetto da una malattia fisica con la conseguenza rilevante di medicalizzare il disturbo. Attualmente due sottotipi principali di disturbo di panico sono riconosciuti estesamente, e sono codificati nel DSM-IV. Questi sottotipi variano nella gravità ed estensione dell’evitamento fobico: disturbo di panico senza agorafobia e disturbo di panico con agorafobia. Per agorafobia si intende la fobia per gli spazi aperti, si prova ansia quando si tratta di uscire di casa da soli. Nei casi di disturbo di panico con agorafobia c’è dunque un evitamento di luoghi o situazioni dai quali la fuga sarebbe difficile o imbarazzante, o in cui nel caso di un attacco di panico l’aiuto non sarebbe disponibile. Il grado di evitamento può variare da mite a moderato o, all’estremo, ad uno stile di vita restrittivo imposto da un pesante evitamento, che fa sì che l’individuo, stia quasi sempre chiuso in casa, o comunque preda di un comportamento gravemente patologico. È stata anche studiata la possibilità di dividere i pazienti affetti 005 Ciurlini 33-46 21-01-2008 11:19 Pagina 35 P. Ciurlini et al.: Modello cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico. Implicazioni cliniche da DP in due gruppi in base alla presenza/assenza di depersonalizzazione3 (processo in cui l’individuo non percepisce più se stesso come presente nella sua vita quotidiana e come interagente con i propri simili, condizione caratterizzata anche da vuoto emotivo, apatia, difficoltà ad organizzare in modo congruo i propri pensieri, è accompagnata anche da derealizzazione o perdita progressiva del senso della realtà); la presenza sembra correlata ad una maggior gravità del disturbo, in termini di un numero maggiore di attacchi, una più grave disfunzione sociale ed un punteggio più alto alle scale per ansia e fobie. Sebbene la ricerca sia indirizzata a esaminare e raffinare questi criteri, c’è un largo consenso sul fatto che il disturbo di panico, come attualmente definito, sia una condizione distinta con una presentazione specifica, per il decorso, la positività nella storia della famiglia, le complicazioni, e la risposta al trattamento. Il Disturbo di panico deve essere differenziato da altri disturbi che possono condividere caratteristiche cliniche simili. Oggi la diagnosi è dipendente da un accertamento clinico particolareggiato dei disturbi presentati e della storia, perché non ci sono prove di laboratorio specifiche. È raccomandato un esame medico accurato per escludere le altre condizioni. Allo stesso tempo deve esserci attenzione per evitare il rischio di un errore diagnostico che conduca a investigazioni mediche costose e dilazioni nel trattamento per il disturbo di panico. Inoltre bisogna considerare la comorbidità del DP con altre patologie: è ben noto infatti che questa sindrome molto spesso si associa a disturbi di interesse internistico, quali le broncopneumopatie croniche ostruttive o la sindrome da intestino irritabile, e di interesse psichiatrico, quali i disturbi depressivi, il disturbo bipolare e la schizofrenia. I ricercatori stanno cercando sviluppare modi supplementari per definire i sottotipi di disturbo di panico basati sulla fenomenologia, età di esordio, risposta al trattamento ecc. che può avere implicazioni per eziologia, diagnosi e trattamento. Esso è uno dei disturbi più dolorosi, più stabili e di cura più difficile. 35 Patogenesi Per quanto riguarda la patogenesi, studi familiari e sui gemelli suggeriscono un grosso contributo genetico alla patogenesi con ereditarietà stimata intorno al 46%. Tra i disturbi d’ansia il Disturbo di Panico è quello che mostra il maggior carico genetico, ma non sono ancora definiti possibili geni coinvolti. L’ipotesi è che la patogenesi del disturbo sia di tipo multifattoriale. Un recente studio di Yurgen e Catalano4 evidenzia un fattore genetico diverso nei due sessi, nel senso di un’eccessiva attività delle monoamino-ossidasi nel sesso femminile, come fattore di maggiore vulnerabilità biologica. Accanto alle teorie patogeniche di tipo genetico-biologico molti autori riconoscono l’importanza di fattori ambientali e psicologici. Negli anni precedenti l’esordio del Disturbo di Panico si riscontrano in anamnesi un numero elevato di eventi stressanti con forte impatto emotivo. Prima di 15 anni è frequente la separazione da un genitore, specie la madre. È stato ipotizzato inoltre un tipo di attaccamento ansioso durante l’infanzia, un blocco dell’esplorazione nella fanciullezza, difficoltà introspettive nell’adolescenza. Alcuni autori5 hanno messo in evidenza nei soggetti con Disturbo di Panico una specifica tipologia dei familiari che inviano particolari messaggi di preoccupazione per la salute corporea e per la vita, e presentano una iperproiettività ansiosa con eccesso di controllo sul figlio. Epidemiologia e decorso Il Disturbo da Attacchi di Panico con e senza Agorafobia è una condizione debilitante che colpisce almeno 1 ogni 75 persone a livello mondiale durante la durata della loro vita. Gli attacchi di panico insorgono in età adolescenziale o giovane adulta, ma sono oggi note anche forme più rare nei bambini in età scolare, spesso oligosintomatiche. Di fronte ad episodi acuti di ansia, magari mascherata da pianti improvvisi ed inspiegabili, fughe, somatizzazioni acute, è sempre opportuno esplorare la presenza di un disturbo di panico, soprattutto se è presente una familiarità positiva (per disturbi di panico, per altri disturbi 005 Ciurlini 33-46 21-01-2008 11:19 Pagina 36 36 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 d’ansia, per disturbi depressivi) ed un’anamnesi positiva per disturbo d’ansia di separazione, che è talora un precursore del panico. La prevalenza degli attacchi di panico varia nella popolazione generale dall’1 al 3% con un rapporto fra i due sessi di 2:1 a favore del sesso maschile. È frequente la comorbidità con altri disturbi psichiatrici, come la depressione maggiore e una associazione con il suicidio durante l’adolescenza6. La diagnosi di Disturbo di Panico spesso è difficile perché sintomi simili possono insorgere anche dopo un esercizio fisico estremo o in certi disturbi somatici (ad es. in corso di ipertiroidismo), o da astinenza o viceversa intossicazione da parte di certe sostanze. Approssimativamente un terzo degli individui con disturbo di panico hanno anche agorafobia, sebbene in ambito clinico, la maggioranza si presenti con agorafobia. Un modello comune di esordio è il verificarsi di attacchi di panico improvvisi e occasionali che aumentano in frequenza e sono associati con paure crescenti di avere attacchi susseguenti. Spesso nel tempo si concretizzano comportamenti di evitamento dell’ansia che tendono ad aumentare. I dati limitati ad oggi suggeriscono che in più casi è un disturbo cronico che sfuma e cala di gravità. Comunque, delle persone possono avere un periodo limitato di disfunzione che non riappare, mentre altri possono esperimentare una forma cronica e severa del disturbo. Quelli con agorafobia tendono ad avere un decorso più grave e complicato. Un trattamento precoce nello sviluppo di tale disturbo può accorciarne la durata e può prevenire complicazioni, incluse agorafobia e depressione. do catastrofico (ad es. ‘mi sta venendo un infarto!’), vengono scatenate ulteriori sensazioni corporee, che a loro volta alimentano ulteriormente i pensieri negativi, provocando un’ansia maggiore e da ultimo l’attacco di panico. Questa teoria non attribuisce direttamente un ruolo particolare ai processi di coping nella psicopatologia dell’attacco di panico, però si presume che persone che interpretano male le sensazioni corporee, siano caratterizzate da una varietà di risposte disadattative (ad es. evitano quelle situazioni che evocano determinate sensazioni corporee) che potrebbero mantenere l’ansia focalizzata sulle sensazioni del corpo. In particolare Goldstein & Chambless8 nel 1978 propongono un modello basato sulla teoria dell’apprendimento e che riprende il concetto di “paura della paura” di Razran9 nel 1961: il soggetto diventerebbe molto attento alle sensazioni corporee interpretandole come segni di imminenti attacchi di panico. Anche Beck10 nel 1985 e Clark11 nel 1986 sottolineano l’importanza dell’interpretazione catastrofica di sensazioni di tipo somatico come momento fondamentale dello scatenamento delle crisi. Wells12 nel 1990 propone un modello modificato di Clark secondo il quale ogni stimolo, esterno o interno, che è giudicato minaccioso, produce ansia; questa a sua volta induce vari sintomi, somatici e cognitivi, che vengono interpretati dal soggetto in modo catastrofico, contribuendo così ad alimentare ulteriormente lo stato d’ansia, ed instaurando un circolo vizioso autoperpetuantesi. Teorie eziopatogenetiche del Disturbo di Panico Teorie Cognitive Razionaliste La teoria cognitiva degli attacchi di panico enfatizza le false credenze catastrofiche, legate ai processi corporei del panico come fondamentale meccanismo coinvolto con il disturbo7. Secondo questa prospettiva, il paziente si focalizza sui cambiamenti somatici, che possono essere interpretati in diversi modi. Quando le reazioni corporee correlate all’ansia sono interpretate in mo- Fig. 1. Modello cognitivo del disturbo di panico di Clark modificato, con aggiunta del ciclo di mantenimento di Wells. 005 Ciurlini 33-46 21-01-2008 11:19 Pagina 37 P. Ciurlini et al.: Modello cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico. Implicazioni cliniche Secondo la teoria cognitivo-razionalista, quindi, l’evento è spesso una sensazione fisica dovuta a stanchezza, malesseri transitori, etc. Alle sensazioni corporee fisiologiche verrebbe attribuito un significato peculiare; si attiverebbero, infatti, schemi cognitivi catastrofizzanti deputati all’analisi delle sensazioni somatiche; gli stimoli enterocettivi, che di per sé sarebbero neutri, verrebbero invece esperiti come sensazioni somatiche terrorizzanti, come risultato delle distorsioni introdotte in tale analisi; il disturbo verrebbe poi mantenuto da un eccesso di apprensione e ipervigilanza nei confronti delle sensazioni somatiche stesse. La messa in atto di comportamenti di evitamento e protettivi, volti a evitare le conseguenze temute dell’attacco, favorirebbero un ciclo di mantenimento del disturbo, poiché impedirebbero la disconferma delle credenze erronee del soggetto, continuando così ad attribuire a tali comportamenti la capacità di impedire il verificarsi delle conseguenze temute; inoltre, i comportamenti protettivi potrebbero peggiorare direttamente i sintomi a causa di un’attenzione selettiva verso questi (per es. controllare la frequenza del respiro può aumentare la sensazione di mancanza d’aria). Le interpretazioni erronee più frequentemente riscontrate, associate ai sintomi d’ansia sono: • palpitazioni, dolore toracico: sto per avere un infarto; • vertigine, irrealtà: sto per perdere il controllo, per impazzire, per svenire, ho un tumore al cervello; • nodo alla gola, mancanza d’aria: sto per soffocare. Secondo Beck, insieme alla catastrofizzazione ideica c’è la percezione di non poter affrontare la crisi utilizzando le risorse personali (deficit di strategie di “fronteggiamento”). C’è una sovrastima del pericolo ed una sottostima delle proprie risorse per fronteggiarlo. Teorie comportamentiste Secondo la teoria comportamentista in persone psicologicamente e/o biologica- 37 mente vulnerabili, gli attacchi di panico condizionano il livello d’ansia interocettiva, uno stato di preparazione corporea orientata al futuro, che stimola e intensifica il successivo attacco di panico. Gli attacchi di panico costituiscono quindi uno stimolo incondizionato il quale, presentandosi in relazione temporale o spaziale con uno stimolo intrinsecamente neutro (luoghi e situazioni in cui gli attacchi si manifestano), conferisce a quest’ultimo la proprietà di evocare una risposta condizionata. Alla fine si crea così un circolo vizioso, per mezzo del quale gli stimoli condizionati scatenano l’attacco. Le condotte di evitamento riducono il contatto con le situazioni ansiogene, contenendo, quindi, il numero degli attacchi di panico, e proprio per questo vengono sempre più rinforzate (rinforzo negativo). Nel tempo il comportamento fobico viene ad estendersi, fino a comprendere tutte quelle situazioni in cui il paziente ritiene difficile trovare aiuto o tentare la fuga. In questo modo l’“estinzione”, cioè il processo per cui gli stimoli condizionati perdono il legame di associazione con gli stimoli incondizionati, diventa difficile per il progressivo incremento dell’evitamento. Anche le sensazioni enterocettive o specifici contenuti di pensiero, secondo questa ottica, possono divenire stimolo condizionato per gli episodi critici, se posti in relazione inizialmente ad un attacco di panico di origine sconosciuta. Sebbene le modalità di coping (pensieri e comportamenti a cui le persone ricorrono per gestire le situazioni stressanti) sono considerati come fattori che potrebbero accrescere o diminuire il cambiamento dell’apprendimento di tale associazione, ad essi non viene assegnato un ruolo specifico nella genesi del disturbo. Comunque, uno stile di coping di tipo evitante, che consiste nell’evitare l’impatto di una situazione riducendo il grado per il quale è valutato come stressante, in termini di stati emozionali negativi esercita un ruolo nel mantenimento del disturbo13. Teorie Cognitive Costruttiviste Tutte le teorie cognitive partono dall’osservazione e dallo studio di problematiche cliniche ma prevedono una teoria 005 Ciurlini 33-46 38 21-01-2008 11:19 Pagina 38 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 della mente che considera l’uomo come fornito di una personale “rete cognitiva” costituita da convinzioni, aspettative e tendenze che ne guidano le interazioni con l’ambiente e che organizzano la conoscenza di sé e degli altri14. La crescita del sistema avviene attraverso un equilibrio tra processi di assimilazione e accomodamento; nel processo di assimilazione la nuova informazione che arriva verrebbe attivamente modificata così da renderla il più possibile simile a quella già conservata mentre nel processo di accomodamento le strutture cognitive cambierebbero per adattarsi alla nuova informazione. Nella sua continua obbligatoria evoluzione, ogni sistema conoscitivo tende gradualmente verso livelli di maggiore complessità ed ordine interno, cercando sempre di mantenere una propria coerenza sistemica interna e tentando di conservare integro il senso della propria identità personale15. Lo squilibrio nella crescita del sistema si verifica quando l’individuo non assimila gli stimoli ambientali oppure quando i cambiamenti indotti dall’ambiente nel sistema sono tanto rapidi da impedire lo svilupparsi del senso di continuità e di identità personale. La perdita di equilibrio si verifica quando si produce all’interno del sistema una situazione caratterizzata da notevoli livelli di contraddizione fra i costrutti (in particolare i costrutti sovraordinati) e quando si manifesta una notevole inadeguatezza delle previsioni del sistema stesso, sottoposte a ripetute invalidazioni, in particolare riguardo al Sé e all’interazione con il mondo. I processi di invalidazione, qualora avvengano all’interno di un sistema sufficientemente elastico, permettono, attraverso un adeguato meccanismo di accomodazione, una modifica dei costrutti che si sono dimostrati privi di adeguate capacità previsionali e, quindi, un miglioramento della conoscenza: migliorerà, di conseguenza, la coerenza complessiva del sistema. Viceversa in un sistema rigido, l’invalidazione e il conseguente accomodamento di un costrutto si ripercuotono facilmente sulle strutture sovraordinate, i costrutti relativi all’identità personale. In un sistema rigido, poco ramificato, con poche alternative soprattutto riguardo ai costrutti relativi al sé, l’invalidazione rischia di indurre un notevole livello di incoerenza che conduce allo squilibrio, vale a dire alla comparsa di una sintomatologia clinica manifesta. Qualora l’invalidazione colpisca un sistema a struttura lassa, con previsioni generiche e nessi fra i costrutti scarsamente definiti, l’invalidazione di uno di questi costrutti rende difficile un suo accomodamento, una sua ristrutturazione, e il sistema rischia di avere un vuoto previsionale non essendo stato in grado di cogliere l’informazione e di utilizzarla al fine di migliorare la conoscenza. Secondo la teoria costruttivista il sintomo ansia rappresenta la transizione tra costrutti dovuta alla minaccia di autonomia e indipendenza, sentita nel momento in cui la persona si prevede senza la figura significativa di protezione. La poca autonomia e indipendenza invalida la previsione del costrutto; il sistema rigido non riesce a riarticolarsi e ciò provoca la sintomatologia di transizione. Teorie cognitivo-evoluzioniste Mc Lean16 nel 1984 sostiene che le strutture cerebrali del sistema limbico, fondamentali per l’esperienza emozionale, sono evolutivamente più arcaiche della neocorteccia, che è invece indispensabile per la strutturazione del pensiero. La teoria dei tre cervelli suggerisce che il cervello dell’uomo sia costituito da tre porzioni (cervello rettiliano; sistema limbico; neocorteccia) che si sono sviluppate in due fasi successive durante l’evoluzione. In una prima fase, al cervello rettiliano, costituito da tronco encefalico e gangli della base, si sarebbe aggiunto il sistema limbico, formando il paleopallio; nella seconda fase, che ha coinciso con la comparsa della specie umana, la neocorteccia si è sovrapposta al paleopallio. Le specie dotate unicamente di cervello rettiliano sanno procacciarsi il cibo, sanno accoppiarsi, esplorano porzioni limitate 005 Ciurlini 33-46 21-01-2008 11:19 Pagina 39 P. Ciurlini et al.: Modello cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico. Implicazioni cliniche dell’ambiente e difendono il territorio in cui vivono; non sanno, però, formare relazioni sociali implicanti un durevole riconoscimento reciproco. I vertebrati dotati, invece, di cervello bipartito (uccelli, mammiferi) possiedono, oltre ai sistemi motivazionali innati propri del cervello rettiliano, anche i sistemi motivazionali sociali connessi alle operazioni del paleopallio: grazie al sistema limbico compare la motivazione “primaria e innata” a stabilire relazioni con i conspecifici (attaccamentoaccudimento, tipo agonistico finalizzato a stabilire ranghi sociali, tipo che conduce a formare coppie sessuali relativamente stabili). Forme speciali di comportamento basico sono: – dominio (selezione e preparazione della tana, delimitazione del territorio, utilizzazione di un ambiente); – territorio (marcamento, sorvegliamento, difesa, combattimenti intraspecie per la difesa); – display di trionfo per un successo difensivo e assunzione di posture difensive o cambiamenti di colore per la segnalazione della resa; – utilizzazione di luoghi per la defecazione; – ricerca del cibo; – caccia; – ritorno alla tana; – accumulo di provviste; – formazione di gruppi; – formazione di una gerarchia sociale per mezzo di display ritualistici; – saluto; – grooming; – display di corteggiamento, accoppiamento, procreazione e accudimento della prole; – migrazione. L’apparato comportamentale dell’uomo, dunque, comprende tre gruppi di comportamenti autonomi ma regolati con reciprocità funzionale: • comportamenti di origine rettiliana (alimentazione, esplorazione dell’ambiente circostante, difesa del territorio, 39 territorialità, predazione, sonno-veglia); • comportamenti sociali limbici (attaccamento-accudimento, accoppiamento sessuale durevole: coppia durevole, competizione per il rango: dominanza e subordinazione, cooperazione paritetica: obiettivo comune); • comportamenti puramente neocorticali (incremento conoscitivo, ricerca di significati, coerenza) probabilmente miranti a dare ordine e coesione a tutte le informazioni o conoscenze legate all’operare dei sistemi motivazionali evolutivamente più antichi fino a costituire una coerente visione di sé, degli altri, del mondo. Esistono, quindi, strutture innate, schemi percettivo-motori che coordinano l’agire dell’individuo verso i conspecifici in vista di precisi obiettivi (comportamenti basici, sequenze comportamentali che seguono gli schemi percettivo-motori); l’esperienza di interazione con i conspecifici introdurrà modificazioni e sviluppi nei primitivi schemi senso-motori. Tenendo conto di ciò si può ipotizzare, secondo la teoria evoluzionista, che le emozioni possiedano un valore informativo o significativo biologicamente determinato con uno statuto di antecedenza e relativa autonomia rispetto alle strutture e ai processi di pensiero. La paura è una delle cinque emozioni basiche (paura, rabbia, tristezza, gioia, disgusto); come tale è un fenomeno adattativo, utile cioè ai fini della sopravvivenza dell’individuo e della specie. Infatti, essa ci permette di riconoscere prontamente un pericolo e preparandoci ad affrontarlo, attraverso la mobilitazione di risorse appropriate per fronteggiare la situazione; nel bambino assolve fondamentali funzioni evolutive a protezione dell’individuo e della specie (preparadness di Seligman). Come la paura, anche l’ansia ha una funzione adattativa. L’ansia ci avverte della presenza di un pericolo indefinito o futuro, riguarda l’aspettativa di un pericolo che non è immediato e nemmeno sempre ben definito. Sensazioni semplici, come la sete, il dolore e la paura, sono sperimentate istan- 005 Ciurlini 33-46 40 21-01-2008 11:19 Pagina 40 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 taneamente; al contrario, l’ansia richiede un lavoro cognitivo che la paura non richiede. L’attacco di panico (ansia acuta) potrebbe così essere considerato la reazione cognitiva che utilizza schemi deputati ad una funzione di sopravvivenza di fronte a pericoli (interni od esterni) vissuti come particolarmente nocivi (es. morte) o sconosciuti e che porta all’attivazione della sequenza comportamentale basica. Si può considerare come minaccia per scopi o bisogni personali soprattutto inerenti il futuro. Teorie cognitivo-strutturaliste Le teorie cognitivo-strutturaliste nascono direttamente dagli studi di Bowlby sull’attaccamento17 e da quelli di Guidano e Liotti18. La conoscenza si costruisce attraverso le perturbazioni del sistema conoscitivo formatesi dagli stimoli provenienti dai vari rapporti significativi. Le informazioni via via ottenute si organizzano in vari prototipi che sono la lente attraverso cui l’individuo legge le nuove esperienze. Di questi prototipi ne sono stati descritti cinque e sono stati chiamati col termine che indica il tipo di squilibrio sintomatologico a cui preferenzialmente vanno incontro: fobico, dapico (dei disturbi alimentari psicogeni), ossessivo, depressivo, psicotico. L’organizzazione fobica viene a crearsi all’interno di relazioni di reciprocità con figure di attaccamento rappresentate da genitori iperprotettivi e controllanti, che tendono a trasmettere messaggi di pericolo esterno, di debolezza-vulnerabilità del bambino, e che male tollerano la manifestazione delle emozioni da parte del bambino stesso. Il bambino che cresce in un ambiente di questo tipo tende, così, a costruirsi un’immagine di sé come debole e vulnerabile: da questo nasce la necessità di controllare i pericoli, sia quelli rappresentati dalle forti emozioni, verso le quali il soggetto ha poca dimestichezza, e che vengono controllate, attraverso l’evitamento di sensazioni nuove o improvvise, limitando i cambiamenti e le modifiche nella propria nicchia ecologica, assumendo un atteggiamento di leadership nei rapporti interpersonali e del “don giovan- ni” nelle relazioni sentimentali; vi è un’attenzione selettiva anche ai pericoli del mondo esterno. Il bambino sentirà da un lato la necessità fisiologica di esplorare l’ambiente, allontanandosi dalla figura di attaccamento, dall’altra, però, percependo il mondo come pericoloso e sé come soggetto debole, tenderà a non allontanarsi troppo dalla figura d’attaccamento, rinunciando così ad esplorare. Così, anche nell’adulto, si verifica l’oscillare fra due dimensioni essenziali, sicurezza e libertà: la predominanza della sicurezza porta a sentimenti di costrizione, la predominanza della libertà viene invece percepita come solitudine. In entrambi i casi, il mancato raggiungimento di un equilibrio fra le due dimensioni comporta sofferenza per il soggetto. In questo senso gli eventi scatenanti per una persona con tratti organizzativi fobici sono quelli in cui essa percepisce costrizione (un legame affettivo poco soddisfacente, vissuto come non modificabile) o senso di solitudine intollerabile (rottura di un legame affettivo) che attivano la sequela sintomatologica attivando la reazione neurovegetativa di allarme. Anxiety Sensitivity Teory Tale teoria enfatizza il ruolo delle differenze indivuali di tratto nel reputare le conseguenze negative fisiche, sociali e psicologiche delle sensazioni correlate all’ansia19. I teorici AS ritengono che le sensazioni corporee possono stimolare un’escalation di ansia e panico in persone con un’ alta sensibilità all’ansia, perché questi individui sono fermamente convinti che le sensazioni sono personalmente nocive. I teorici di quest’orientamento sottolineano che le persone non necessariamente interpretano male le proprie sensazioni corporee, ma sono piuttosto preoccupate per i processi corporei a causa delle loro credenze preesistenti circa tali sensazioni. Teorie Biologiche Le Teorie Biologiche del PD hanno delineato tipi specifici di vulnerabilità neurobiologiche nel produrre un Disturbo di Panico. L’elaborazione di Klein20 della precedente ipotesi di Gorman sull’ipersensibilità al carbon diosside, ha ricevuto una 005 Ciurlini 33-46 21-01-2008 11:19 Pagina 41 P. Ciurlini et al.: Modello cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico. Implicazioni cliniche grande attenzione scientifica negli ultimi anni. Seconto questo resoconto, una bassa soglia per l’attivazione dell’allarme di soffocamento caratterizza il Disturbo di Panico.Quest’allarme sarebbe direttamente innescato mediante specifici livelli di carbon diosside e indirettamente da stimoli interni ed esterni che causano un imminente insulto polmonare (es. drammatica perdita di ossigeno). Le Teorie Biologiche pongono dunque l’accento sui processi biologici quali fattori critici nella genesi e nel mantenimento del PD. Teorie neuropsicologiche Recenti studi mediante tecniche di neuroimmagine, hanno contribuito alla definizione di modelli neuroanatomofunzionali del disturbo di panico. Tra questi è importante citare il modello di Gorman et al.21, che hanno tentato di risolvere la dicotomia tra aspetti biologici e cognitivo-comportamentali del DP, individuando differenti e distinte componenti della malattia (attacco di panico, ansia anticipatoria ed evitamento fobico), cui corrispondono differenti loci neuroanatomici (tronco cerebrale, lobo limbico e corteccia prefrontale, rispettivamente); gli autori propongono che la genesi della malattia sia da ricondurre alle reciproche innervazioni tra questi centri del sistema nervoso centrale, attribuendo un ruolo preminente all’amigdala. Un modello più articolato e complesso è quello riportato da Davidson22, in cui si mette in risalto il ruolo centrale della corteccia prefrontale e dell’amigdala nell’elaborazione degli stimoli affettivi, nella regolazione emotiva e nella patogenesi dell’ansia. Più in dettaglio, l’autore attribuisce alla corteccia prefrontale la regolazione dei sistemi dio approach (facilitanti i comportamenti appetitivi e le risposte affettive positive) e withdrawal (facilitanti il ritiro da situazioni aversive e le risposte a stimoli minacciosi) legati alla motivazione ed all’emotività, fattori determinanti nella genesi della fenomenologia connessa ai disturbi d’ansia. Tra gli altri modelli, significativo è anche quello di Grove et al.23, che rimanda sostanzialmente all’iperattività dei circuiti serotoninergici (suddivisi dagli autori in porzioni afferenti ed efferenti, fisiologicamente implicati nelle risposte emotivo- 41 comportamentali di paura e difesa). Dunque gli studi di neuroimmagine del DP sembrano suggerire una disfunzione dei circuiti fronto-temporo-limbici, con coinvolgimento preferenziale dell’emisfero destro; tuttavia la maggiorparte degli studi presenta vari limiti metodologici. Studi longitudinali e multi-modali, che coinvolgano un maggior numero di pazienti, possibilmente integrati con studi genetici e di popolazione, potrebbero contribuire a chiarire i meccanismi patogenetici del DP. Spiegazione cognitiva dei sintomi Un attacco di panico può considerarsi un’attivazione neurovegetativa di sequenze comportamentali basiche, incongrua alla situazione, perché attivato dalla sfera cognitiva senza avere le caratteristiche oggettive del pericolo24. L’evento attivante (interno od esterno) entrerebbe in relazione con schemi personologici vulnerabili costruiti nella reciprocità con le figure di attaccamento che si attivano in relazione a quell’evento. Le modalità d’interazione tra l’evento e gli schemi personologici vulnerabili sembrano avere vincoli precisi. L’evento sembra definirsi in situazioni di distacco o soffocamento in un legame significativo. La percezione netta di stare male in un rapporto stimola la fantasia di concreto distacco dal rapporto stesso: l’idea del distacco attiva il senso di solitudine e la conseguente paura; percepirsi non in grado di stare da soli spaventa perché minaccia l’esigenza di autonomia. Le modalità di controllo non riescono più a riequilibrare la dissonanza emotivocognitiva (voglia di essere libero/necessità di avere qualcuno che mi protegge); emozioni confuse e disagevoli vengono inserite nel sistema conoscitivo e l’attribuzione di significato diventa confusa e centrata sul corpo, perché questo è un percorso facilitato nelle organizzazioni fobiche. Il soggetto fobico si considera, infatti, incapace di tollerare l’ansia e vorrebbe “eliminare” ogni attivazione neurovegetativa vissuta come disturbante: l’esagerazione di queste convinzioni lo pone in una sorta di trappola cognitiva il cui effetto è proprio la produzione della temuta attivazione neurovegetativa. 005 Ciurlini 33-46 42 21-01-2008 11:19 Pagina 42 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 Se una persona con organizzazione fobica prova emozioni (anche piacevoli) senza controllo può attivare un meccanismo per cui sperimenta sensazioni confuse e poco definite che, a loro volta, attivano il controllo. Se continua a provare emozioni attiva immagini ancora più pericolose: è come se non ce la facesse a provare emozioni senza elaborarle come pericolose e conseguentemente attivare controllo. In quest’ottica i sintomi diverrebbero la risultante di una interconnessione tra eventi personali significativi e una struttura cognitiva preesistente che presenta schemi particolarmente vulnerabili con quel tipo di evento (asse dipendenza/autonomia). Anche il sintomo agorafobico, nella sua manifestazione clinica, sembra avere alla base un meccanismo etologico come la territorialità. Partendo dalla percezione di “pericolo” interno rispetto ad un corpo che non si sente più sicuro ed affidabile, viene percepito come pericolosa la distanza dal territorio personale inteso come legame con figura significativa e si disattiva incongruamente la sequenza comportamentale basica di esplorazione. Valutazione diagnostica La diagnosi di disturbo di panico è basata sul racconto della storia fatto sia dal paziente che dalla sua famiglia e dai caregivers, sull’esame dello stato mentale del paziente, sull’esame fisico e sulle indagini scelte per vagliare i fattori fisici che potrebbero contribuire allo sviluppo dei sintomi. Tali indagini includono gli esami del sangue, livello di glucosio, livello di calcio, test sulla funzione della tiroide, a un ECG. Il disturbo di panico o gli attacchi di panico sono spesso indizi per altre condizioni psichiatriche. Dunque la valutazione di una persona con attacchi di panico dovrebbe includere un’indagine per i sintomi della depressione, disturbi generali d’ansia e disturbi fobici. Inoltre dovrebbe essere considerato l’eventuale uso di farmaci sotto-banco, droghe illecite, alcool, caffeina. In uno studio di grande interesse sono stati riportati tutti gli strumenti diagnostici utilizzati per valutare lo stile di co- ping (modalità individuale cognitiva di affrontare e reagire ai fattori stressanti) presente in persone con disturbo di panico. Secondo questi autori valutare gli stili di coping dei pazienti è importante ai fini della diagnosi, ma soprattutto per individuare la direzione in cui si deve muovere il trattamento psicologico. Le ricerche hanno dimostrato che uno strategie di coping orientate verso l’evitamento, presente in persone che hanno la tendenza ad evitare le esperienze emozionali, sono associate ad accresciuti livelli di ansia che si riflette in sensazioni corporee esagerate. Dunque questo stile di coping può essere un fattore predittore del livello d’ansia e delle terribili risposte alle perturbazioni corporee. Gli strumenti che vengono adoperati nello studio e che si possono adoperare per valutare efficacemente il disturbo di panico e lo stile di coping di un paziente sono: • il Panic Attack Questionnaire (PAQ)25, sviluppato per misurare nello specifico se una persona ha avuto esperienza di un attacco di panico, i sintomi di panico, dove si manifesta l’attacco, l’intensità dei sintomi di panico, e la durata degli attacchi. Inoltre il PAQ richiede partecipanti per stimare 30 diversi contesti in cui possono verificarsi gli attacchi di panico, e per valutare anche le 14 strategie di coping che vengono usate, e l’efficacia percepita di ognuna delle strategie. • il Panic Attack Coping Questionnaire (PACQ)26, questionario self-report designato per misurare le strategie di coping che i pazienti con panico utilizzano per affrontare gli attacchi. I partecipanti valutano 27 strategie di coping in termini di frequenza di utilizzo, efficacia nella riduzione dei sintomi, ed efficacia nell’eliminazione dei pensieri negativi. Dall’analisi fattoriale sono emersi sette fattori, che sono: attività, attività diretta ai sintomi, richiesta di aiuto, cambiamento del focus, sforzo, autolesionismo, distrazione. Il questionario è dotato di un’adeguata attendibilità split-half e coerenza interna. Trattamento Gli obbiettivi del trattamento del disturbo di panico sono: inibire gli attacchi 005 Ciurlini 33-46 21-01-2008 11:19 Pagina 43 P. Ciurlini et al.: Modello cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico. Implicazioni cliniche di panico, diminuire l’ansia anticipatoria e l’invalidazione fobica, considerare le condizioni di comorbidità, prevenire la recidiva e la ricorrenza dei sintomi, e migliorare il livello di funzionamento dei pazienti. Un corpus crescente di conoscenze indica che alcune terapie e selezionati trattamenti psicosociali sono efficaci per i disturbi di panico, con e senza evitamento agorafobico. Vari antidepressivi (cioè, triciclici, inibitori di monoaminossidasi e, soprattutto, atipici di ultima generazione serotoninergici) così come alcune benzodiazepine (per es., alprazolam, lorazepam, e clonazepam) sono risultati efficaci nel ridurre o eliminare attacchi di panico associati con le varie forme di disturbo di panico. Gli agenti farmacologici possono presentare problemi come indesiderabili effetti secondari, il rischio di dipendenza, e un tasso significativo di ricaduta una volta che è cessata la farmacoterapia27. Anche molte variazioni e combinazioni di approcci di trattamento cognitivo comportamentali hanno dimostrato efficacia nell’eliminazione e/o riduzione di attacchi di panico e agorafobia. Infatti studi svolti su giovani e adulti di mezza età hanno scoperto che il disturbo di panico tipicamente si sviluppa in sintomi cronici o episodi ricorrenti. Dunque la getione del disturbo richiede un approccio a lungo termine. Molti pazienti restano sintomatici nonostante la farmacoterapia, e per questi individui dovrebbe essere considerato un trattamento a tempo indeterminato. Nei pazienti che sperimentano un miglioramento consistente o totale dei sintomi, potrebbe essere tentata una medicazione gradualmente discontinua dopo 12, 18 mesi del mantenuto trattamento. Comunque molti pazienti sperimentano recidive o ricorrenze dei sintomi dopo che è stata interrotta la cura, necessitando di nuovo il ristabilirsi del trattamento e una terapia a lungo termine. Molti studi hanno scoperto che che la maggiorparte di pazienti trattati con un corso standard di CBT (terapia cognitivo-comportamentale, 12-20 sessioni) restano liberi da attacchi di panico a un follow-up a 2 anni. Quindi la CBT sembra avere un effetto duraturo in molti pazienti28. Gli attacchi di panico che invece si presentano per la prima volta in età tarda, di solito si scatenano in un contesto di 43 malattia depressiva. Un appropriato trattamento della depressione risolverà contemporaneamente il problema degli attacchi di panico. Dunque resta ancora da valutare se l’approccio farmacologico sia da considerare la strategia terapeutica più efficace, poiché di fatto questi altri interventi hanno dato risultati forse anche più soddisfacenti e duraturi. La Terapia Cognitivo-Comportamentale La terapia cognitivo-comportamentale è considerata la terapia elettiva del Disturbo da Attacchi di Panico con Agorafobia sia da sola che in trattamento integrato29. Essa comprende i seguenti elementi: una psicoeducazione, il controllo continuo del panico, la ristrutturazione cognitiva (che consiste nel cambiare pensieri, interpretazione e predizioni che generano ansia in pensieri meno ansiogeni e più razionali) e il momento cruciale di tutte le terapie cognitivocomportamentali è l’esposizione del paziente allo stimolo fobico. L’esposizione può essere effettuata in vivo, ponendo realmente il paziente di fronte alle situazioni che sono oggetto concreto dell’evitamento fobico, sia nell’immaginario, cioè aiutando il paziente a rievocare la situazione fobica mediante la ristrutturazione cognitiva. In genere si effettuano varie sedute nelle quali il paziente viene portato, secondo uno schema gerarchico pianificato caso per caso, a confrontarsi progressivamente con la situazione fobica in modo sempre più globale. La durata dell’intervento va da circa 6 mesi a 1 anno. Il tasso di drop-out in studi controllati va dal 5 all’8% nelle terapie cognitivo-razionaliste e dal 12 al 16% nei trattamenti basati su rilassamento ed esposizione in vivo30. Altre Psicoterapie I trattamenti psicoterapeutici più frequentemente usati sono: 1) terapia comportamentale; 2) terapia cognitivista; 3) terapia ipnotica; 4) terapia ad indirizzo dinamico. Per quanto riguarda la terapia ipnotica riportiamo il successo della tecnica ericksoniana dello pseudo orientamento nel tempo applicata agli aspetti agorafobici: il paziente viene fatto proiettare nel futuro dove vive soggettivamente il raggiungimento dell’obiettivo terapeuti- 005 Ciurlini 33-46 44 21-01-2008 11:19 Pagina 44 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 co31. Per quanto riguarda le terapie ad indirizzo dinamico, esse si propongono una modificazione strutturale della personalità, poiché si basano sulla valorizzazione dei meccanismi psicogenetici che sono alla base della costruzione psichica dove si esprimono e si compensano forze diverse32; ci sono psicoterapie dinamiche individuali, di coppia e di gruppo, lunghe e brevi. Poiché il DAP può apparire privo di contenuti psicologici, senza apparenti fattori determinanti ambientali o intrapsichici, il ruolo dello psicologo ad orientamento psicodinamico è spesso considerato irrilevante nel trattamento di questi pazienti33. Però tali psicoterapie che sembrano non avere un’efficacia dimostrata nel panico, possono comunque essere utili per altre difficoltà che i pazienti presentano: infatti una percentuale significativa di persone che soffrono di attacchi di panico ha tali attacchi a causa di fattori psicodinamici, e potrebbe quindi rispondere a questo tipo di interventi psicologici, sono numerosi gli studi che hanno evidenziato come in tali pazienti l’inizio del disturbo sia preceduto da una maggior incidenza di eventi stressanti, in particolare eventi di perdita, rispetto ai controlli34. Viene suggerito che in questi casi gli episodi di panico vengano preparati da immagini, sensazioni, pensieri paurosi che possono essere inconsci e correlati all’angoscia di essere “intrappolati” e/o separati da figure di riferimento. Nei casi in cui possono rilevarsi tali problematiche la terapia psicoanalitica ha il compito di procedere gradualmente nell’ambito delle dinamiche transferali a partire dalla ricostruzione delle interazioni precoci madre-bambino e alla loro progressiva internalizzazione, fino al conseguimento della costanza d’oggetto strettamente connessa con la sicurezza di sé. Inoltre una terapia dinamica breve può servire a ridurre la vulnerabilità psicosociale correlata con tale disturbo, oppure può essere necessario per quei pazienti che credono che l’assumere farmaci li stigmatizzi come malati mentali, o ancora in alcuni casi difficoltà caratterologiche possono interferire con il trattamento farmaceutico (è stato dimostrato che la presenza di disturbi di personalità influisce negativamente sull’esito terapeutico dei pa- zienti con DAP)35. In questi e altri casi un’attenta valutazione psicodinamica aiuterà a soppesare i contributi dei fattori biologici e dinamici. Alcuni studiosi hanno proposto una terapia integrata36. Innanzitutto si può parlare correttamente di integrazione quando esiste un progetto terapeutico che si traduce in un programma di terapia, con verifiche durante il corso e alla fine del trattamento. Particolare importanza riveste, nell’introduzione alla terapia, la fase psicodiagnostica, poiché essa consente di avere un quadro preciso della personalità di base e dello stato psicologico del soggetto. Secondo gli autori il vantaggio della terapia farmacologica è nell’accessibilità immediata, con i limiti tipici legati all’escalation delle dosi e all’assunzione degli psicofarmaci (dipendenza, effetti collaterali). Un ulteriore limite al ricorso allo psicofarmaco può rivelarsi nella presenza di fattori quali la personalità di base, l’ambiente familiare e la struttura nevrotica del soggetto. D’altra parte secondo questi autori va sottolineato che se il paziente viene seguito solamente con l’approccio psicoterapico vi è un’alta probabilità di comparsa di AP in corso di trattamento. Ciò costituisce un rinforzo negativo per il soggetto; appare quindi opportuno agli autori un trattamento che miri a integrare gli aspetti positivi dei vari approcci. Il trattamento farmacologico, riducendo o bloccando gli AP, soddisfa il bisogno soggettivo immediato di guarigione, inteso in quest’ambito come senso di liberazione dai sintomi, rappresentando un rinforzo positivo per il paziente. L’approccio psicoterapico proposto dagli autori è il training autogeno di J. H. Schultz (le sei formule standard: pesantezza, calore, cuore, respiro, plesso solare, fronte fresca) che, realizzando attraverso il vissuto di rilassamento una autopercezione positiva dei vari distretti corporei, determina nel soggetto una esperienza corporea integrante. L’effetto risultante da questo approccio metodologico integrato è quello di interrompere il circolo nevrotico, incidendo sui comportamenti di evitamento, sui vissuti depressivi e sull’elaborazione ipocondriaca correlati al DAP. Ulteriori risultati possono evidenziarsi 005 Ciurlini 33-46 21-01-2008 11:19 Pagina 45 P. Ciurlini et al.: Modello cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico. Implicazioni cliniche dal sinergismo tra benzodiazepine e training autogeno poiché hanno entrambe un’azione elettiva sull’ansia d’attesa che, com’è noto dalla letteratura, costituisce un fenomeno predittivo dell’AP. Infine questa modalità d’intervento, definita dagli autori terapia integrata e da altri doppio binario, permetterebbe una riduzione nel tempo dell’assunzione del farmaco e, di conseguenza, una più facile separazione da esso: una metafora del superamento dell’ansia di separazione, la quale risulta essere uno dei fattori in grado di predisporre i pazienti con DAP ad un’evoluzione in senso agorafobico. Altri studiosi hanno rivisitato studi sull’efficacia dei self-management interventions per il disturbo di panico37. Tali interventi includevano una terapia cognitivo-comportamentale e l’esposizione agli stimoli che scatenano attacchi di panico, e tutti prevedevano compiti a casa. Essi si sono dimostrati efficaci in termini di riduzione dei sintomi e di benessere psicologico, se messi a confronto con le cure standard o con il classico rilassamento. Non è universalmente accettata la definizione di auto-gestione nell’arena della salute38. In verità i termini auto-aiuto, auto-cura, e auto-gestione (self-help, self-care, self-management) vengono di solito usati intercambiabilmente. Gli approcci collettivisti riflettono il reciproco aiuto provvisto dai gruppi di auto-aiuto, tipicamente destinati ad una diagnosi specifica (depressione). I gruppi di auto-aiuto sono visti come supplumentari all’assistenza professionale e tipicamente giocano un ruolo supportivo piuttosto che fornire istruzioni per acquisire nuove abilità che possono essere usate nel gestire una data condizione e le sue conseguenze. I gruppi e le organizzazioni di auto-aiuto si svilupparono molto nel 1980. Molte organizzazioni stanno ora iniziando a rispondere alle esigenze educazionali dei loro membri, mediante l’organizzione di seminari, workshops e interventi. Gli approcci individuali si riflettono nei termini di auto-cura e di auto-gestione. In generale l’auto-cura comprende strategie preventive (compiti a casa per persone sane), mentre l’auto-gestione si riferisce alle abilità individuali di gestire i sintomi, il trattamento, le conseguenze fi- 45 siche e psicosociali e i cambiamenti di stile di vita davuti ad una condizione cronica. Un’auto-gestione efficace determina lo sviluppo di abilità per controllare la condizione patologica, e per modificare le risposte cognitive, comportamentali, ed emozionali necessarie a mantenere una soddisfacente qualità di vita. Viene determinato in questo modo un processo dinamico e continuo di auto-regolazione che funziona grazie anche alla collaborazione di qualificati professionisti della salute. Bisogna notare che gli interventi cognitivo-comportamentali sono maggiormente usati nel campo della salute mentale piùttosto che nel campo deli disturbi cronici. Ed è importante distinguere tra interventi terapeutici che confidano nella presenza di un professionista, e gli interventi di self-management che possono coinvolgere professionisti, ma che confidano anche sulle tecniche di auto-gestione da praticare individualmente nella vita di tutti i giorni39. Centrale nel self-management è la promozione del controllo e della responsabilità nell’individuo che può così prendere confidenza con le proprie abilità per gestire i sintomi e l’impatto dei sintomi sulla sua vita. Questo approccio differisce dal trattamento comportamentale: l’uso del termine trattamento suggerisce l’intervento del terapeuta e non è lo stesso degli interventi che sono formati da principi comportamentali. Non si hanno ancora ampie informazioni su problemi come: 1. l’efficacia di trattamenti psicosociali combinati con trattamenti farmacologici, 2. i meccanismi di azione terapeutica, 3. fattori demografici, e non solo, relativi ai pazienti che possono predire una sensibilità o classificare una risposta ad un trattamento, 4. l’efficacia a lungo termine di trattamenti per il disturbo di panico una volta completato il trattamento, e 5. il valore di questi trattamenti per quei pazienti che soffrono di disturbi di panico in combinazione con altri disturbi psicologici e psichiatrici. L’ultimo gruppo rappresenta un segmento veramente significativo dei pazienti che soffrono di disturbi di panico. 005 Ciurlini 33-46 46 21-01-2008 11:19 Pagina 46 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 BIBLIOGRAFIA 1. Sarti M, Galassi F, Puccetti F, Bartolini S. Il disturbo da attacchi di panico. Psychomedia telematic rev, www.psychomedia.it 1996. 2. D’Alessandro P. Attacchi di panico e disturbo di panico. Gli attacchi come disturbo d’ansia. www.disturbodipanico.com, 2005-2006. 3. Marquez J, Garcia L, Canet J, Salvador-Carulla L, Optiz M. Depersonalization in panic disorder: a clinic study. Comprehensive Psychiatry 2000; 41: 172-8. 4. Jurgen D, Catalano M. Ejccess of high activity monoaminoaxidase. A gene promoter alleles in female patients with Panic Disorder. Human Molecular Genetics 1999; 8: 621-4. 5. De Vanna M, Baiocchi P, Allegranti L. Alcune caratteristiche della famiglia di origine di soggetti con Disturbo di Panico. Minerva Psichiatr 1999; 40: 17-22. 6. Francis G, Last C, Strass C. Expression of separation anxiety disorder: the roles of age and gender. Child Psychiatry Hum Dev 1987; 18: 82-9. 7. Galassi F, Ciampelli M. Modelli cognitivisti e intervento integrato nel disturbo di panico con agorafobia. Psychomedia telematic rev, www.psychomedia.it, 1996. 8. Goldstein AJ, Chambless DL. A re-analysis of agoraphobia. Behavior Therapy 1978; 9: 47-59. 9. Razran G. The observable unconscious and the inferable conscious in current Soviet psychophysiology: interoceptive conditioning, semantic conditioning, and the orienting reflex. Psychological Rev 1961; 68: 81-147. 10. Beck AT, Emery C, Greenberg RL. (1985). Anxiety Disorders and phobias: a Cognitive Perspective. New York: Basic Books 11. Clark DM. A cognitive model of panic. Behav Res Ther. 1986;24, 461-70 12. Wells A. Cognitive Therapy of Anxiety Disorders. A Practice Manual and Conceptual Guide. 1997, John Wiley & Sons, Ltd. Tr. It. Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia, McGrawHill Italiana, Milano,1999. 13. Feldner MT, Zvolensky MJ, Leen-Feldner EW. A critical review of the empirical literature on coping and panic disorder. Clin Psychol Rev 2004; 24:123-48. 14. Kelly GA. The psychology of personal constructs. New York: Norton & Co. Inc., 1955. 15. Volpe U, Merlotti E, Mucci A, Galderisi S. Il contributo del brain imaging allo studio del disturbo di panico. Epidem e psich sociale 2004; 237-48. 16. McLean P.D. A Triune Concept of the Brain and Behaviour. University of Toronto Press, 1973. 17. Bowlby J. Developmental psychiatry comes of age. Am J Psychiatry,1988;145,1-10. 18. Guidano VF, Liotti G. Cognitive processes and emotional disorders. New York: Guildford press, 1983. 19. Reiss S. An expectancy model of fear, anxiety, and panic. Clin Psychol Rev 1991; 11: 141-53. 20. Klein DF. False suffocation alarms, spontaneous panics, and related conditions: an integrative hypothesis. Archives of general psychiatry 1993; 50:306-17. 21. Gorman JM, Fyer MR, Goetz R, et al. Ventilatory phisiology of patients with panic disorder. Arch Gen Psychiatry 1988; 45:31-9. 25. Norton GR, Dorward J, Cox BJ. Factors associated with panic attacks in nonclinical partecipants. Behavior Therapy 1986; 17:239-52. 26. Borden JW, Clum GA, Broyles SE, Watkins PL. Coping strategies and panic. J Anxiety Disord 1988; 2:339-52. 27. Flint AJ, Gagnon N. Diagnosis and management of panic disorder in older patients. Drugs Aging 2003; 20:881-91. 28. Nadiga DN, Hensley PL, Uhlenhuth EH. Review of the long-term effectiveness of cognitive behavioral therapy compared to medications in panic disorder. Depress Anxiety 2003; 17:58-64 29. American Psychiatric Association. Practice guideline for the treatment of patients with panic disorder. Am J Psychiatry 1998; 155: 51-534. 30. Clark DM, Salkovskis PM, Hackmann A, Wells A, Ludgate J, Gelder M. Brief cognitive therapy for panic disorder: a randomized controlled trial. J Consult Clin Psychol 1999; 67: 583-9. 31. Erickson MH. Nuove vie dell’ipnosi. Roma: Ed. Astrolabio, 1978. 32. Galimberti U. Enciclopedia di Psicologia. Milano: Garzanti, 2003. 33. Gabbard GO. Psychodinamic Psychiatry in Clinical Practice. Third Edition. Inc: American Psychiatric Press, 2000. 34. Busch FN, Shear MK, Cooper AM, etol. An empirical study of defense mechanisms in panic disorder. J Nerv Ment Dis 1995; 183: 299-303. 35. Reich JH. DSM-III personality disorders and the outcome of treated panic disorder. Am J Psychiatry 1988; 145: 1149-52. 36. Merra S, Godeas L, Persico G. Terapia integrata nel disturbo da attacchi di panico. Minerva Psichiatr 1993; 34:121-4. 37. Barlow JH, Ellard DR, Hainsworth JM, Jones FR, Fisher A. A review of self-management interventions for panic disorders, phobias and obsessive-compulsive disorders. Acta Psychiatr Scand 2005; 111: 272-85. 38. Barlow J, Wright C, Sheasby J, Turner A, Hainsworth J. Self-management approaches for people with chronic conditions: a review. Patient Educ Couns 2002; 48: 177-87. ____ Per richiesta estratti: Dr. Giuseppe De Angelis, via Achille Loria, 39 - 00191 Roma - Cell. 328-6210224 - [email protected] 006 Salvatore 47-52 21-01-2008 11:21 Pagina 47 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 LE PROTESI IN UROLOGIA PROTHESIS IN UROLOGY COSIMO SALVATORE U.O. Chirurgia Urologica Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma RIASSUNTO: Vengono aggiornate le conoscenze sull’utilizzo delle protesi in Urologia. Sono descritte le protesi più utilizzate nella pratica clinica con brevi accenni sulle tecniche di inserimento. Parole chiave: Protesi, stent. UroLume. Sling. Reti. Prolene. Silicone. SUMMARY: This manuscript updates the current knowledge of urological prosthesis and reports the main technical details. Key words: Prosthesis. Stent. UroLume. Mesh. Polypropylene. Silicone. Lo scopo di quest’articolo è quello di approfondire le conoscenze sulle protesi usate in Chirurgia Urologica. In letteratura esistono numerosi lavori, che trattano in maniera specifica dei vari tipi di protesi urologiche. Può essere utile riassumere le conoscenze fondamentali e più aggiornate sull’argomento. Le protesi vengono molto usate nella Chirurgia ricostruttiva di varie Specialità (protesi cardiache, aortiche, d’anca, etc.). La tecnologia fornisce vari dispositivi affidabili dal punto di vista della funzione, della biocompatibiltà e dell’habitat dell’ospite. Alcune protesi urologiche non hanno trovato applicazione pratica in clinica (vedi sostituzione vescicale ed ureterale), altre sono entrate stabilmente nell’armamentario del- Fig. 1. Stent ureterale DJ in sede l’Urologo (endoprotesi ureterali ed uretrali, protesi prostatiche, sfintere urinario, reti per la correzione del prolasso vescicale e della volta vaginale, nastri sintetici o sling e palloncini espansibili per l’incontinenza urinaria da sforzo, protesi peniene e testicolari). ENDOPROTESI URETERALI L’introduzione in clinica delle endoprotesi (stents) ureterali ha contribuito notevolmente allo sviluppo dell’endourologia. Lo stent ureterale è un catetere in materiale plastico con una o due estremità a ricciolo (mono- o doppio J), autostatiche, ottenute con procedimento termico, che conferisce loro una memoria. Le estremità vengono posizionate nel bacinetto renale ed in vescica, in modo da impedirne la migrazione (Figg. 1-2). Fig. 2. Stent ureterale DJ in sede. Immagine radiologica. 006 Salvatore 47-52 48 21-01-2008 11:21 Pagina 48 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 Lo stent assicura il deflusso urinario dal rene alla vescica e può essere inserito in corso di endoscopia o di intervento chirurgico a cielo aperto. Esistono vari tipi di stents, diversi a seconda delle caratteristiche morfologiche e biologiche (tipo di J, ad una o due anse, estremità a punta aperta o chiusa, presenza o meno di fori laterali per tutta la lunghezza o alle estremità, sezione, calibro interno, lunghezza e centimetratura, radiopacità, tipo di materiale). I materiali utilizzati sono: poliuretano, poliuretano modificato, Silitek, C-Flex, Percuflex ed il silicone, che resiste maggiormente alle incrostazioni e può rimanere in situ per un tempo più lungo. In pratica l’Urologo ha la possibilità di scegliere il tipo più idoneo alla situazione clinica contingente. L’indicazione principale all’uso della stent è l’ostruzione della via escretrice superiore, che può essere provocata da calcoli o stenosi (flogistiche, neoplastiche, post-attiniche, post-traumatiche, iatrogene), oppure la presenza di fistole1,2,3,4,5,6. Nella maggior parte dei casi lo stent è usato in urgenza per risolvere l’ostruzione acuta sintomatica da calcolo incuneato.In tale evenienza l’idronefrosi acuta provoca la colica renale, mal tollerata dal paziente, soprattutto se ricorrente. Lo stent più usato è quello rivestito di hydrogel, perché più scorrevole. Il rivestimento di hydrogel è costituito da polimeri idrofilici, che trattengono l’acqua; esso facilita l’inserzione dello stent, riduce il trauma da frizione sulla parete ureterale e l’adesione di proteine, cristalli e cellule sull’interfaccia stent-urotelio. La durata di permanenza nella via escretrice non deve superare 3 mesi. In pazienti affetti da patologie neoplastiche retroperitoneali con ostruzione ureterale e normale funzione vescicale, nei quali è impossibile il posizionamento di uno stent interno, si può ricorrere al bypass sottocutaneo renovescicale extraanatomico. ENDOPROTESI PROSTATICHE L’ostruzione urinaria infravescicale provocata da ipertrofia prostatica può essere risolta con un intervento chirurgico (pro- stectomia transuretrale o adenomectomia prostatica transvescicale) o con il posizionamento nell’uretra posteriore di una protesi temporanea o permanente, che assicura il deflusso urinario. Questa tecnica consente di evitare il catetere vescicale a permanenza o il cateterismo intermittente in pazienti ritenzionisti. In casi selezionati la protesi prostatica può essere un’alternativa all’intervento in pazienti ad alto rischio. Come accennato, le protesi possono essere temporanee (protesi di Fabian, Urocoil, memokath) o permanenti (Wallstent, ASI, Memotherm, Gianturco Z stent)7,8. Le protesi permanenti sono autoespandibili, di facile e rapida introduzione. I materiali utilizzati per queste protesi sono leghe leggere, acciaio inossidabile, titanio, lega di nichel e titanio (Nitinol), poliuretano, copolimero PLGA. È sufficiente l’anestesia locale per l’inserimento, che avviene sotto visione diretta endoscopica, sotto controllo radioscopico o con guida ecografica. I vantaggi di queste protesi sono:minimo trauma uretrale, breve ospedalizzazione, immediata ripresa della minzione senza necessità di cateterismo post-operatorio. Gli inconvenienti più frequenti sono l’incrostazione della protesi, frequente in pazienti predisposti alla formazione di calcoli, il dislocamento, la comparsa o il peggioramento di una sintomatologia irritativa vescicale. ENDOPROTESI URETRALI Le stenosi dell’uretra sono spesso di difficile risoluzione per l’elevata percentuale di recidive. La flogosi cronica periuretrale ostacola la guarigione definitiva dopo un primo trattamento, che può essere endoscopico (uretrotomia interna) o chirurgico (resezione del tratto stenotico uretrale ed anastomosi termino-terminale, uretroplastica in uno o due tempi). Alla fine degli anni ’80 è stato introdotto nella pratica chirurgica uno stent impiegato nelle stenosi vascolari (Wallstent Fig. 3), costituito da una mesh tubolare in fili sottili di acciaio inossidabile, autoespandibile (UroLume)9,10. 006 Salvatore 47-52 21-01-2008 11:21 Pagina 49 C. Salvatore: Le protesi in urologia Lo stent viene posizionato in corso di endoscopia a livello della stenosi uretrale.La procedura fa seguito alla uretrotomia endoscopica preliminare con adeguata dilatazione uretrale. La tecnica è di facile esecuzione e scevra di complicanze. Lo stent viene gradualmente ricoperto dalla mucosa uretrale, che prolifera tra le sue maglie e va a rivestire completamente la sua superficie interna. In alcuni casi la proliferazione mucosa può essere esuberante ed ostruire il lume uretrale.Tale evenienza può richiedere una resezione endoscopica della mucosa iperplastica allo scopo di ristabilire una canalizzazione adeguata dell’uretra. Allo stato attuale l’Urolume viene utilizzato in casi selezionati (stenosi uretrali plurirecidive in pazienti ad alto rischio per l’uretroplastica). Fig. 3. Protesi UroLume Wallstent PROTESI UROGINECOLOGICHE L’uso delle reti di materiale sintetico non assorbibile (polipropilene) o assorbibile ha rivoluzionato il trattamento chirurgico di alcuni disordini della statica pelvica femminile (colpocele anteriore da prolasso vescicale, prolasso della volta vaginale post-isterectomia, prolasso genitale totale) e dell’incontineza urinaria da sforzo, così come rivoluzionò la cura chirurgica delle ernie della parete addominale. Il concetto di sostituire strutture fasciali insufficienti con mesh di materiale biocompatibile (oltre al prolene e al vycril sono utilizzati anche il derma e la sottomucosa intestinale del suino) è stato certamente inno- 49 vativo. Lo dimostra il fatto che la percentuale di recidive degli interventi di ernioplastica mediante uso delle reti di prolene si è notevolmente ridotta (dal 4, 4% all’1, 4%). La rete di prolene è costituta da filamenti di polipropilene disposti a maglie. La dimensione dei pori dei filamenti è importante ai fini del rischio di infezione e consente ai componenti del tessuto connettivo neoformato e vascolarizzato (fibroblasti, fibre collagene, vasi sanguigni) di penetrare all’interno tra le maglie della rete, che alla fine viene inglobata dalla fibrosi definitiva. Il vantaggio principale della mesh nella chirurgia pelvica ricostruttiva è l’assenza di suture in tensione (tecnica tension-free). Gli interventi chirurgici eseguibili con l’uso delle mesh sono: la colposacropessia per prolasso della volta vaginale post-isterectomia, le plastiche vaginali per colpocele anteriore e posteriore, la correzione dell’incontinenza urinaria da sforzo femminile con sling sintetica sottouretrale. Gli interventi più semplici (ernioplastica inguinale, plastiche vaginali per colpocele, TVT) possono essere effettuati in anestesia locale in regime di day-surgery. La colposacropessia è la fissazione della volta vaginale, prolassata dopo isterectomia, alla fascia pre-sacrale mediante interposizione di una mesh collocata in sede sottoperitoneale. L’intervento consente di riposizionare la vagina nello scavo pelvico secondo il suo asse. La mesh più utilizzata è quella di prolene. L’intervento può essere eseguito anche con tecnica videolaparoscopica. Recentemente sono resi disponibili sistemi per la sospensione della cupola vaginale mediante l’utilizzo di mesh sintetiche o biologiche, posizionate mediante l’inserimento mini-invasivo di aghi per via perineale e transotturatoria. L’analisi delle varie casistiche riportate in letteratura rileva percentuali di successo variabili dal 68 al 100%11. Una mesh di materiale biocompatibile può essere usata anche nella riparazione del colpocele anteriore e/o posteriore, dovuto ad erniazione del pavimento vescicale e/o della parete rettale anteriore nella vagina. La mesh può essere di forma variabile e viene posizionata longitudinalmente o trasversalmente a seconda del tipo di difetto fa- 006 Salvatore 47-52 21-01-2008 11:21 Pagina 50 50 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 sciale dopo adeguata dissezione. La correzione del prolasso vescicale e/o rettale avviene senza tensione.Il tessuto fibroso che gradualmente si forma all’interno ed intorno alla mesh rinforza le strutture fasciali insufficienti12. Da alcuni anni è utilizzato anche materiale biologico (derma porcino) allo scopo di ridurre l’eventuale erosione dei tessuti circostanti. I vantaggi di questa tecnica sono:minore incidenza di recidive rispetto alle tecniche tradizionali, assenza di dolore post-operatorio, ridotta ospedalizzazione. Le complicanze più frequenti sono: ematoma vescico-vaginale, erosione vaginale e/o vescicale, infezione. L’incontinenza urinaria da sforzo femminile è dovuta ad incompetenza dei meccanismi di chiusura uretrale dovuta ad ipermobilità del collo vescicale, insufficienza sfinterica o entrambe queste condizioni. I meccanismi della continenza possono essere corretti mediante stabilizzazione dell’uretra o del collo vescicale, oppure con la compressione di quest’ultimo. Si utilizza a tale scopo una fionda o sling di materiale autologo o eterologo . Il materiale autologo più utilizzato è la fascia dei muscoli retti dell’addome, ma può essere usata anche la fascia lata. La sling pubo-vaginale di materiale autologo è collocata sotto il collo vescicale e fissata ai legamenti del Cooper o alla parete addominale anteriore. Il nastro di prolene sottouretrale è quello più utilizzato per stabilizzare l’uretra media (TVT: tension free vaginal tape (Fig. 4). Esso viene posizionato per via vaginale, fuoriesce a livello cutaneo ed è ancorato alla fascia endopelvica ed alle strutture muscolo-aponeurotiche della parete addominale anteriore mediante il passaggio di due aghi (Fig. 5). Dispositivi più recenti utilizzano il forame otturatorio per il passaggio e il posizionamento del nastro. La sling pubo-vaginale di materiale autologo (fascia dei muscoli retti) viene usata per la correzione di tutti i tipi di incontinenza urinaria da sforzo. La percentuale di successo della sling è dell’85% a 5 anni. Le complicanze più frequenti sono la ritenzione urinaria post-operatoria (2, 7%) di breve durata e l’insorgenza di una vescica iperattiva (7%), che viene trattata con training autogeno ed eventuale terapia anticolinergica. L’utilizzo della sling sottouretrale di polene ha semplificato il trattamento dell’incontinenza urinaria da sforzo femminile, considerato a ragione mini-invasivo per la facilità d’esecuzione, l’uso dell’anestesia locale e la possibilità di effettuare l’intervento in regime di Day Surgery. Per questo motivo ha trovato larga diffusione13,14. La percentuale di guarigione delle sling sottouretrali è del 90% a 7 anni. La complicanze più comune è una transitoria ritenzione urinaria. Sono descritti rari casi di ematoma retropubico e perforazione vescicale da passaggio degli aghi, ritenzione urinaria persistente. Tali complicanze sono evitate con la tecnica transotturatoria. La compressione estrinseca del collo vescicale e dell’uretra membranosa, incompe- Fig. 4. Sling sottouretrale. Disegno schematico. Fig. 5. Nastro di prolene e aghi per il passaggio transotturatorio della sling. 006 Salvatore 47-52 21-01-2008 11:21 Pagina 51 51 C. Salvatore: Le protesi in urologia tenti nell’incontinenza urinaria da sforzo, può essere ottenuta anche con palloncini di silicone introdotti per via percutanea (ACT: adjustable continence therapy) o con l’iniezione transuretrale o periuretrale di materiale inerte, biocompatibile come il teflon, il collagene bovino o le particelle di silicone. La percentuale di cura è del 48% a 5 anni. PROTESI SFINTERICA L’introduzione nella pratica clinica della protesi sfinterica o sfintere urinario artificiale ha modificato notevolmente la qualità di vita dei pazienti affetti da incontinenza urinaria, altrimenti costretti all’uso di pannoloni assorbenti o al catetere vescicale a permanenza. La protesi è stata introdotta da Scott nel 1972 ed ha subito nel tempo varie modifiche tecniche15,16,17. Il modello attualmente in uso dà ottime garanzie di biocompatibilità, sicurezza, efficacia e durata. La protesi è un sistema idraulico di silicone a 3 componenti (cuffia, pompa, serbatoio Fig. 6). La cuffia viene impiantata intorno all’uretra bulbare maschile o al collo vescicale, si collega mediante tubicini di raccordo al pallone-serbatoio, posizionato in sede preperitoneale in fossa iliaca ed alla pompa collocata nello scroto o nel grande labbro. L’attivazione manuale della pompa apre l’uretra o il collo vescicale e permette la minzione. Il sistema ripristina automaticamente il suo meccanismo di chiusura (cuffia piena-uretra chiusa) e mantiene la continenza urinaria. L’indicazione all’impianto dello sfintere urinario artificiale è l’incontinenza urinaria Fig. 6. Protesi sfinterica AMS 800 (cuffia, pompa e serbatoio) da sforzo di 2°-3° grado da deficit sfinterico primitivo o secondario. Dato il costo elevato della protesi è indispensabile una selezione accurata dei pazienti. La sopravvivenza a 10 anni di una protesi sfinterica è del 66%. PROTESI PENIENE Le protesi peniene sono utilizzate nell’impotenza da disfunzione erettile, che non può essere trattata con terapia medica. I componenti principali di queste protesi sono 2 cilindri di silicone di diametro e lunghezza variabili, inseriti all’ interno dei corpi cavernosi. Non esiste una protesi ideale utilizzabile in tutti i casi. Per questo motivo sono state ideate vari tipi di protesi peniene: non idrauliche (semirigide, malleabili, meccaniche) e idrauliche (mono, bi-e tricomponenti Fig. 7). La scelta dipende dalle caratteristiche psico-fisiche del paziente ed è compito del Chirurgo informare e guidare il paziente nella decisione più idonea. A titolo di esempio una protesi idraulica è più indicata nel paziente paraplegico, che conserva l’uso degli arti superiori, indispensabili per l’attivazione e la deattivazione della pompa;per la sua morbidezza ha una minore l’incidenza di decubiti da alterato trofismo tissutale. Nei pazienti diabetici la scelta va fatta tenendo presente l’incidenza più elevata di complicanze infettive. Infine è necessario tener conto del costo della protesi, più elevato per una tricomponente. Fig. 7. Protesi peniena bicomponente. 006 Salvatore 47-52 52 21-01-2008 11:21 Pagina 52 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 L’impianto di una protesi peniena mediante accesso infrapubico, penieno, penoscrotale o perineale non è particolarmente difficile. Grande attenzione va posta nel risparmio della vascolarizzazione dei tessuti, che devono essere manipolati con estrema delicatezza per non comprometterne la vitalità. Cura particolare va posta nel prevenire l’infezione, norma fondamentale in chirurgia protesica, in quanto è responsabile della maggior parte degli espianti18,19,20,21. BIBLIOGRAFIA 1. Smith AD, Lee CK: Ureteral stents: versatile tools for urinary drainage. Contemp. Urol. 1990; 31. 2. Segura JW, Preminger GM, Assimos DG, et al: Ureteral stones clinical guidelines panel summary report on the management of ureteral calculi. J Urol 1997; 158:1915-21. 3. Davis DM: Intubated ureterotomy: a new operation for ureteral and ureteropelvic stricture. Surg Gynecol Obstet 1943: 76: 513-7. 4. Pearle MS, Pierce HL, Miller GL, et al: Optimal method of urgent decompression of the collecting system for obstruction and infection due to ureteral calculi.J Urol 1998; 160:1260-4. 5. Watterson JD, Mahoney JE, Futter NG, et al:Iatrogenic ureteric injuries: approaches to etiology and management. Can J Surg 1998; 41: 379-82. 6. Joshi HB, Stainthorpe A, Keeley Fx Jr, et al. Indwelling ureteral stents:evaluation quality of live to aid outcome analysis. J Endourol 2001; 15: 151-4. 7. Fabian KW: Der intraprostatiche “partielle Katheter” (urologische Spirale). Urologe A 1980; 19: 236. 8. Oesterling JE, Epstein H, and the North American UroLume Study Group: The North American experience with the UroLume endoprosthesis as a tratment for symptomatic BPH: long term results. J Urol (part 2) 1993; 149: 216A. 9. Madersbacher S: Stents for prostatic disease: Any progress after 25 years? Eur Urol 2006; 49: 212-4. 10. Milroy EJG, Chapple CR, Eldin A, Wallstent A. A new treatment for urethral strictures: a permanently implanted urethral stent. J Urol 1989; 141: 1120. 11. Costantini E, Lombi R, Micheli C, et al. Colposacropexy with Gore-Tex mesh in marked vagi- 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. nal and ureterovaginal prolapse. Eur Urol 1998; 34: 111-7. Nicita G. A new operation for genitourinary prolapse. J Urol 1998; 160: 741-5. Ulmstein U, Henriksson L, Johnson P, Varhos G. An ambulatory surgical procedure under local anesthesia for treatment of female urinary incontinence. Int Urogynecol J Pelvic Floor Dysfunct 1996; 7: 81-5. Nilsson CG, Falconer C, Rezapour M. Seven years follow-up of the tension-free vaginal tape procedure for treatment of urinary incontinence. Obstet Gynecol 2004; 104: 1259-62. Scott FB, Bradley WE, Timm GW. Treatment of urinary incontinence by an implantable prosthetic urinary sphincter. J Urol 1974; 112: 75-80. Hussain M, Greenwell TJ, Venn SN, Mundy AR. The current role of the artificial urinary sphincter for the treatment of urinary incontinence, J Urol 2005; 174: 418-424. Ratan L, Summertone J, Wilson SK, Terry TR. Development and current status of the AMS 800 artificial urinary sphincter. Eur Urol Update 4-3: 2006; 117-28. Nielsen KT, Bruskewitz. Semirigid and malleable rod penil prosthesis. Urol Clin N Am 1989; 16: 13-23. Scott FB, Bradley WE, Timm GW. Management of erectile impotence: use of implantable inflatable prosthesis. Urology 1973; 2:80. Gavier FE, Gibbons RP, Correa RJ, et al. Mechanical reliability, surgical complications and patient and partner satisfaction of the modern three-piece inflatable penil prosthesis.Urology 1998; 52: 282-6. Montorsi F, Rigatti P, Carmignani G et al. AMS three-piece inflatable implants for erectile dysfunction: a long term multi-istitutional study in 200 consecutive patients. Eur Urol 2000; 37:50-5. ____ Per richiesta estratti: Dott. Cosimo Salvatore Via del Casaletto, 161 - 00151 Roma. Tel. 065376359-3471837581 - E-mail: [email protected] 007 Antignani 53-56 21-01-2008 11:22 Pagina 53 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 Caso clinico NECROSI CUTANEA IN CORSO DI TERAPIA CON ANTICOAGULANTI ORALI. CASO CLINICO CUTANEOUS NECROSIS DURING ANTICOAGULANT. CASE REPORT ILANA SCHACTHER, PIER LUIGI ANTIGNANI, CLAUDIO ALLEGRA UOC di Angiologia - A.O. S. Giovanni-Addolorata - Roma RIASSUNTO: L’efficacia della terapia anticoagulante nel tromboembolismo venoso, sia per la terapia in acuto che per la profilassi a lungo termine, in pazienti con TVP recidivanti e persistenza dei fattori di rischio, è stata convalidata da molti studi. Essa però non è scevra da rischi, come le emorragie o, più raramente, la necrosi cutanea. Il caso clinico giunto alla nostra osservazione riguarda un paziente che presentava concomitanza di fattori procoagulanti congeniti (Fattore II genico variante positivo eterozigote e MTHFR positivo eterozigote) e acquisiti nel corso della terapia anticoagulante verosimilmente per consumo della proteina C, con comparsa di necrosi cutanea. La sostituzione della terapia anticoagulante con l’eparina a basso peso molecolare a dosaggio anticoagulante e contemporanea medicazione topica personalizzata, ha portato alla risoluzione della manifestazione clinica con restitutio ad integrum del tessuto cutaneo. Parole chiave: Terapia anticoagulante. Trombosi venosa profonda. Ulcera venosa. SUMMARY: The effectiveness of anticoagulant therapy for venous thromboembolism, with regards to both acute phase and long period prophylaxis, in patients with recurrent DVT and persistence of risk factors, has been confirmed by many studies. However it is not free of complications such as haemorrhage or, more rarely, cutaneous necrosis. The patient, observed by us since 1994, was affected from deficiency of congenital procoagulant factors (factor II heterozygote and MTHFR positive heterozygote) and secondary deficiency of procoagulant factors due to the consume of protein C, with appearance of cutaneous necrosis. The change of therapy from oral anticoagulant to LMWH (low molecular weight heparin) and the use of personalized topic dressing, led on the solution of the clinical symptoms and on the recovery of the cutaneous tissue. Key words: Anticoagulant treatment. Deep vein thrombosis. Venous ulcer. INTRODUZIONE La terapia del tromboembolismo venoso viene effettuata con tipi diversi di anticoagulanti: warfarin, acenocumarolo, eparina non frazionata ed eparina a basso peso molecolare. Nello 0.01-1% dei casi si verificano complicazioni con necrosi cutanea1-3. In corso di terapia con ACO, l’effetto negativo collaterale può manifestarsi precocemente, a distanza di alcuni giorni e fino a 15 anni dall’assunzione4,5. L’esordio della sintomatologia si presenta con la comparsa di eritrosi cutanea con veloce evoluzione in aspetto bolloso, di ulcera e infine di necrosi del tessuto6-8. CASO CLINICO Riportiamo il caso di un uomo caucasico nato nel 1966, che viene ricoverato nel 1988, all’età di 22 anni, per dolore in zona lombare con irradiazione agli arti inferiori, a cui si accompagna, nei giorni successivi, aumento volumetrico degli arti, rialzi termici e difficoltà alla deambulazione. Dall’anamnesi risulta incidente automobilistico 20 giorni prima, con riscontro di contusione al ginocchio destro. Anamnesi familiare negativa per patologie cardiovascolari. Alla TC, effettuata al momento del ricovero, riscontro di trombosi cavale. 007 Antignani 53-56 54 21-01-2008 11:22 Pagina 54 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 Inizia terapia anticoagulante con eparina a dosaggio pieno, ma il PTT resta nella norma. Per tale motivo si ipotizza la presenza di un deficit coagulativo e vengono eseguite le specifiche indagini (Fattore II genico variante positivo eterozigote, MTHFR positivo eterozigote, Antitrombina 90%, Proteina C 95%, LAC, ANA - negativi). In considerazione dell’assenza di deficit degli inibitori fisiologici della coagulazione, si inizia terapia con anticoagulanti orali (ACO), mantenendo l’INR tra 2-3. L’evoluzione clinica è caratterizzata dalla sindrome post-trombotica: reticolo venoso superficiale a carico della parete addomino-pelvica, discromia cutanea al terzo inferiore degli arti inferiori, lesioni trofiche recidivanti perimalleolari interne bilaterali. Dal 1994, il paziente viene seguito per tale patologia nel nostro reparto. È stato effettuato nuovamente lo screening trombofilico, che ha confermato i valori nella norma dell’Antitrombina (81%), ma iniziale discesa dei valori della Proteina C a 63%; È stata proseguita terapia con ACO e per il persistere delle lesioni perimalleolari, si è aggiunta terapia infusionale con la Pentossifilina, vaccino antipiogeno, medicazioni topiche e bendaggi elastocompressivi, in base all’obiettività clinica, con buon esito clinico. Il paziente è tornato alla nostra osservazione nel Maggio 2004, presentando re- cidiva di lesioni trofiche perimalleolari e una nuova lesione del diametro di circa 1 cm, al livello del lato esterno del ginocchio destro, con fondo sanioso. Il paziente ha riferito che tale lesione è comparsa spontaneamente, preceduta dalla formazione di una chiazza eritematosa-violacea. Nell’arco di pochi giorni, è comparsa una seconda chiazza violacea adiacente, che è andata rapidamente incontro ad ulcerazione ed è confluìta nella prima lesione, con eritrosi periulcerosa; nei giorni successivi, si è assistito ad un aumento della dimensione e della profondità della lesione (Fig. 1). Si è proceduto a controlli ematochimici, dai quali è risultato: • INR 2.58 • Fibrinogeno 463 mg • Antitrombina 120% • Proteina C 35% • Proteina S 30% • Piastrine 196.000 • Omocisteina 10 micromoli/l • MTHFR positivo omozigote • Fatt. II genico variante - positivo eterozigote Alla luce di tali referti, è stato sospeso il trattamento ACO e si è iniziata terapia con eparina a basso peso molecolaree (EBPM) 0.8 per 2 volte al dì, terapia sistemica con antibiotici e medicazioni topiche. Dopo 3 mesi di trattamento della lesione (Fig. 2), è stato effettuato un innesto dermo-epidermico e si è ottenuta una ci- Fig. 1. Lesione trofica estesa in sede perigenicolare esterna a fondo sanioso con deposito. Fig 2. La lesione trofica dopo 3 mesi si è ridotta di dimensioni e presenta un fondo parzialmente granulaggiante. 007 Antignani 53-56 21-01-2008 11:22 Pagina 55 P. Antignani et al.: Necrosi cutanea in corso di terapia con ACO - Caso clinico catrizazione completa nell’arco di pochi mesi (Fig. 3). A distanza di tempo il paziente non ha presentato recidive, prosegue terapia anticoagulante con EBPM. Fig. 3. Quasi completa cicatrizzazione dopo innesto dermo-epidermico. DISCUSSIONE La necrosi cutanea in corso di terapia anticoagulante è un raro effetto collaterale importante in quanto, anche se occasionalmente, può portare a menomazioni (ad esempio la necrosi cutanea della mammella nelle donne) e ad exitus1,3,6. La prima descrizione di tale effetto collaterale avvenne nel 19431, e fino al 2002 sono stati osservati e riconosciuti 400 casi2,8,9. La lesione cutanea può manifestarsi in sede di iniezione (genesi allergica) o a distanza (reazione immunologica). La necrosi cutanea da ACO è molto rara e si può manifestare nello 0.01-0.1% della totalità dei casi. L’eziologia non è ad oggi del tutto conosciuta, ma si è riscontrata la presenza di uno stato procoagulante congenito o acquisito2-9. I fattori della coagulazione che, se alterati quantitativamente o qualitativamente, possono indurre la necrosi cutanea durante la terapia con ACO sono: Proteina C, Proteina S, Fattore V di Leiden, Fattore II genico variante, LAC. La riduzione della proteina C risulta essere la causa più comune. Gli antagonisti della vitamina K hanno struttura affine alla vitamina K e interferi- 55 scono con meccanismo competitivo al legame tra il fattore terzo piastrinico e i gruppi y carbossilici del complesso protrombinico. In tal modo entrano in circolo proteine anomale dette PIVKA (Protein Induced by Vitamin K Absence) con azione inibente sulla coagulazione a vari livelli2,5. La vitamina K è necessaria per una normale produzione nell’epatocita dei fattori II, VII, IX, X, e delle proteine C e S. La proteina C è una glicoproteina plasmatica, vitamina K dipendente (emivita 6 ore) attivata dal complesso trombina/ trombomodulina. Essa agisce sui fattori V e VIII e viene potenziata dalla vitamina S. L’emivita della proteina C è minore dell’emivita dei fattori II, IX e X, perciò, in caso di deficit della proteina C o proteina S si ha un alterato rapporto della bilancia emostatica in senso procoagulativo e tale condizione può provocare necrosi cutanea1-9. Il meccanismo supposto nel nostro caso è stato il potenziamento dello stato trombofilico, secondario al deficit acquisito dei fattori della coagulazione, Proteina C e Proteina S, associato ad uno stato trombofilico congenito (fattore II genico variante e MTHFR entrambi positivi in eterozigosi). La Proteina C, se attivata, neutralizza l’inibitore dell’attivatore tissutale del plasminogeno, con effetto di aumento dell’attività del tPA (proteina dotata di attività proteolitica sul plasminogeno, prodotta dall’endotelio vasale) e, quindi, aumento della fibrinolisi. La via estrinseca della fibrinolisi consiste nella liberazione del tPA in presenza di coagulo intravasale con conseguente dissoluzione dei coaguli intravasali, lisi locale ed eliminazione della fibrina dai tessuti infiammati. La diminuzione della Proteina C e della Proteina S porta a trombosi microvasale transitoria con successiva necrosi accompagnata da microemorragie nella zona necrotica4,6,7. La sede anatomica interessata dal danno microvascolare varia: arto inferiore, mammella femminile e, raramente, collo e viso, con predilezione per le donne di mezza-avanzata età1-9. 007 Antignani 53-56 56 21-01-2008 11:22 Pagina 56 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 In genere tale manifestazione avviene nei primi 10 giorni dall’inizio della terapia ma, a volte, anche dopo molti anni, come nel caso esaminato. Gli esami istologici confermano la mi- crotrombosi e la deposizione della fibrina in sede pericapillare, l’emorragia e la necrosi diffusa nel derma e nel tessuto sottocutaneo, maggiormente evidente a livello del tessuto adiposo8,9. BIBLIOGRAFIA 1. Jurg I, Fenyvesi T, Harenberg J. Anticoagulantrelated skin reaction. Expert Opin Drug Saf 2002; 1:287-94 2. Harenberg J., Hoffman U., Huhle G., Winker M., Bayerl C. Cutaneous reactions to anticoagulants. Recognition and management. Am J Clin Dermatol 2001; 2:69-75 3. Piffoux M, Tcherakian F, Tcherakian S, Horellou MH. Cutaneous necrosis at the initiation of antivitamin K treatment disclosing hereditary protein C deficiency. Rev Pneumol Clin 1990; 46:125-7 4. Rose VL, Kwaan HC, Williamson K, Hoppenstead D, Walenga J, Farred J. Protein C antigen deficiency and Warfarin necrosis. Ann Clin Pathol 1986; 86:635-53. 5. Chan YC, Valenti D, Mansfield O, Stansby G.Warfarin induced skin necrosis. Br J Surg 2000; 87:266-72 6. Jillella AP, Lutcher CL. Reinstitution warfarin in patient who develop warfarin skin necrosis. Haematologica 1996; 52:117-9 7. Jimenez-Gonzalo FJ, Medina-Perez M, MarinMartin J: Acenocumarol-induced leukocytoclastic vasculitis. Haematologica 1999; 84: 462-3 8. Soisson A, Brittain PC, Chamales I: An unusual cutaneous reaction to anticoagulant therapy. Military Med 1994; 159: 252-3 9. Arguad L, Guerin C, Thomas L, Fournier G. Extensive coumarin-induced skin necrosis in a patient with acquired protein C deficiency. Intensive Care Med 2001; 27:1555. ____ Per richiesta estratti: Prof. Pierluigi Antignani - Via Germanico, 211 - 00192 Roma Tel. 063243833 - Cell. 335-318430 - [email protected] 008 Fiorani 57-60 21-01-2008 11:24 Pagina 57 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 Gestione e organizzazione sanitaria TELEMEDICINA RESPIRATORIA: RISULTATI DOPO 8 ANNI DI MONITORIZZAZIONE NELL’OSPEDALE “A&C CARTONI” ROCCA PRIORA (ROMA) RESPIRATORY TELEMEDICINE: RESULTS AFTER 8 YEARS OF MONITORING IN “A&C CARTONI” HOSPITAL, ROCCA PRIORA (ROME) CESARE MARIA FIORANI, ANTONELLA LUSTRISSIMI, MICHELE ROMEO U.O.C. Malattie Apparato Respiratorio Ospedale “A&C Cartoni” di Rocca Priora (Roma) Parole chiave: Telemedicina. Telemonitoraggio respiratorio. Insufficienza respiratoria cronica. Key words: Telemedicine. Respiratory telemonitoring. Lung diseases, obstructive. INTRODUZIONE Il termine “Telemedicina” si riferisce a “una particolare modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria che permette di fornire servizi di diagnosi ed assistenza medica integrata, superando i vincoli della distribuzione territoriale delle competenze, della distanza tra esperto ed utente e della frammentazione temporale dell’intervento sul singolo assistito”. Tale erogazione avviene quando la distanza è un fattore critico, per cui è necessario usare, da parte degli operatori, le tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni, al fine di scambiare informazioni utili alla diagnosi, al trattamento ed alla prevenzione delle malattie e per garantire un’informazione continua agli erogatori di prestazioni sanitarie e supportare la ricerca e la valutazione della cura” (definizione dell’OMS)1. A livello territoriale dev’essere implementata l’assistenza domiciliare integrata, in particolare per i pazienti affetti da insufficienza respiratoria grave in ossigenoterapia, con disponibilità al domicilio del paziente, dove necessario, degli strumenti di monitoraggio della funzione respiratoria, anche in modalità telematiche. DIMENSIONI SOCIALE DEL PROBLEMA DELLE INSUFFICIENZE RESPIRATORIE CRONICHE Le malattie respiratorie rappresentano la terza causa di morte in Italia, dopo le malattie cardiovascolari ed i tumori (dati ISTAT 2001-2003)2,3 e sono in alta crescita tendenziale. Il numero assoluto di morti per malattie respiratoria nel Lazio è stato pari a 2.766, mentre i tassi di mortalità4 per 10.000 abitanti sono del 5,27, ma se si considera la fascia di età over 65 tali tassi aumentano a 26,42 per 10.000 abitanti. ANALISI DEI DATI UFFICIALI DEL LAZIO RIFERITI AL 2003 Da una analisi più approfondita dei dati epidemiologici relativi solo alle malattie respiratorie croniche (tumori esclusi), di cui al I Corso sulla Assistenza Respiratoria Domiciliare tenuto dal dott. M. Marceca della U.O. Assistenza Distrettuale della ASP della Regione Lazio, che si è tenuto nel 2005, su dati del 20035, emergono altre caratteristiche epidemiologiche che sono riassunte come segue: Insufficienza respiratoria (cod. 786.09): dimissioni 1906, dimessi da reparti di Pneumologia solo 5%, transito in Terapia Intensiva nel 9,7%, mortalità intraospedaliera nel 12,2%, ossigenoterapia durante i ricoveri nel 1,7%, degenza media 7,3; Insufficienza respiratoria (cod. 518.81): dimissioni 4.960, dimessi da reparti di Pneumologia solo 20,8%, transito in Terapia Intensiva nel 24,8%, mortalità intraospedaliera nel 24,9%, ossigenoterapia nel 6,1%, degenza media 14,1; Broncopneumopatia cronica ostruttiva (cod. 490-496): dimissioni 13.810, dimessi da reparti di Pneumologia 20,5, transito 008 Fiorani 57-60 58 21-01-2008 11:24 Pagina 58 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 in Terapia Intensiva 1,8%, mortalità intraospedaliera 3,1%, ossigenoterapia 1,8%, degenza media 8,4; Bronchite cronica (cod. 491): dimissioni 10.592, dimessi da reparti di Pneumologia 21,31%, transito in Terapia Intensiva 2,13%, mortalità intraospedaliera 3,88%, degenza media 9,3. ASMA (cod. 493): dimissioni 2.312, dimessi da reparti di Pneumologia 14,9%, transito in Terapia Intensiva 0,4%, mortalità intraospedaliera 0,2%, degenza media 4,7. L’impatto economico sul SSR dei ricoveri per insufficienza respiratoria (dei codd. 786.09 e 518.81), delle broncopneumopatie croniche ostruttive e dell’asma è stato il seguente: insufficienza respiratoria costo medio del ricovero 5.309 euro (x 6.866 dimessi); BPCO costo medio per ricovero 3.041 euro (x 11.221 dimessi); asma costo medio per ricovero 1.763 euro (x 2.312 dimessi)6. L’andamento temporale delle dimissioni negli anni 1996-2003 ha dato un lievissimo decremento delle BPCO e dell’asma, a fronte di un notevole incremento delle insufficienze respiratorie a partire dal 1999. ANALISI DEI DATI UFFICIALI DEL LAZIO RIFERITI AL 2005 I dati ufficiali a nostra disposizione sono quelli dell’ASP del Lazio6 – Assessorato alla Sanità di cui alla nota prot. 101353/4V/01 del 7 settembre 2006 a firma del Direttore Regionale dott. S. Natoli – che si riferiscono all’anno 2005, e che abbiamo ulteriormente elaborato a fini statistici. Essi si riferiscono solo ai ricoveri, mentre non sono disponibili e frammentari i dati relativi all’assistenza ambulatoriale e tanto meno all’assistenza domiciliare. Nel Lazio, nel 2005, sono state effettuate 47.730 dimissioni da strutture ospedaliere6 della regione per patologia respiratoria. Di queste dimissioni, quelle fatte per malattie respiratorie croniche, invalidanti e che richiedono, quindi, un controllo anche dopo il ricovero, sono state: 14.400 per broncopneumopatia cronica ostruttiva, 7.268 per insufficienza respiratoria, 1.840 per malattie infiammatorie croniche fibrosanti, 6.498 per tumori maligni pleuro-polmonari; mentre le dimis- sioni per malattie polmonari che danno esito in una buona percentuale dei casi (ma non sempre) alla restitutio ad integrum, sono state: 12.435 per polmoniti, 1.274 per bronchiti e bronchioliti acute, 3.183 per pleuriti, 832 per tubercolosi. Il tasso di dimissioni per 10.000 abitanti6 è stato di 100 dimissioni per 10.000 abitanti per le femmine. Del totale delle dimissioni effettuate nel 2005, solo il 24% sono state fatte da reparti di Pneumologia, mentre il 76% da altri reparti, ed il 4% dei pazienti durante il ricovero è transitato in reparti di Terapia Intensiva. La mortalità intraospedaliera6 è stata pari al 6,8% dei casi, e, particolarmente, è stata nelle forme di insufficienza respiratoria del 15,5%, nella broncopneumopatia cronica ostruttiva del 1,8%, nei tumori respiratori del 10,7%, mentre è stata del 5,9% nelle restanti patologie respiratorie. Si registra anche una diversità significativa della mortalità intraospedaliera6 fra i dimessi da reparti di Pneumologia (ove è stata del 4,5%), ed i dimessi da altri reparti non specialistici (ove è stata del 18,5%). La degenza, se si eccettua l’Ospedale del Bambino Gesù, che raccoglie le malattie respiratorie pediatriche, varia da 7 giorni a 17 giorni, ed è stata di un valore di 10,66 gg. di degenza media6, per un totale di 389.356 giornate complessive di degenza. Conclusioni statistiche che si possono trarre dai dati di cui sopra sono le seguenti: • Le malattie respiratorie sono prevalenti nella popolazione anziana e siccome in Italia la vita media è in aumento, tendono a crescere ulteriormente, • È presente un elevato numero di ricoveri/anno per le forme croniche invalidanti non più passibili di guarigione, e che richiedono un monitoraggio continuo onde ritardarne l’aggravamento, e prevenire ulteriori ricoveri. • La degenza media per un ricovero è quasi di 11 giorni in reparti a normale intensità di cure, ma il 4% dei pazienti transita durante il ricovero in reparti di Terapia Intensiva, ad alto costo. • La mortalità intraospedaliera è più di tre volte inferiore se il ricovero è fatto in reparti specialistici di Pneumologia, 008 Fiorani 57-60 21-01-2008 11:24 Pagina 59 C.M. Fiorani et al.: Telemedicina respiratoria: risultati dopo 8 anni di monotorizzazione nell’ospedale... • • • • • • • • • • • • • e ciò sta ad attestare il miglior esito delle malattie respiratorie se queste sono seguite dagli specialisti Pneumologi. Attualmente meno di un quarto dei pazienti ricoverati è seguito dagli specialisti Pneumologi. DATI SULLA OSSIGENO-TERAPIA DOMICILIARE Nel 2001 in Italia erano 62.500 pazienti in OLT, corrispondenti ad una tasso di 1,08/1.000 abitanti, con un consumo complessivo di 32 milioni di mc di O2 (Assotecnici 2003)7; In Umbria dati recenti del Progetto ODUE8 riportano una prevalenza di 107 casi di OLT/100.000 abitanti ed una incidenza di 66 nuovi casi per anno/100.000 abitanti; Nel Lazio dati del COSISAN9 dimostrano per il 2004 che 10.140 pazienti hanno utilizzato almeno 1 bombola di ossigeno liquido per anno (tasso 194,8 pazienti/100.000 abitanti); Nel 2005 il numero dei pazienti è salito a 10.323; Di tali pazienti l’82,03% era costituito da ultra 65 anni, ed il 60% da maschi. Nel Lazio i pazienti che hanno utilizzato più di 23 bombole per anno è stato nel 2004 di 1.655, mentre nel 2005 tale numero è salito a 1.8969. Il costo della OLT con ossigeno liquido eseguita per 20 ore al giorno è di 10,58 euro al giorno. Il costo della OLT con concentrazione di ossigeno per 20 ore al giorno è di 1,44 euro di corrente elettrica al giorno, ma il costo iniziale del concentratore di ossigeno è di circa 1.000 euro a paziente. Attualmente in Italia i concentratori di ossigeno sono quasi del tutto assenti. In alcuni paesi europei (Polonia) il concentratore di ossigeno è l’unico metodo di somministrazione consentito. DATI RECENTI SULLA TELEMEDICINA RESPIRATORIA In Italia l’unico dato di rilievo per esperienza pluriennale ed al numero di pazienti è quello di Dal Negro di Verona10, che riporta: un calo delle giornate di degenza da 36,9 gg. prima della telemedicina, a 7,4 gg. dopo telesorveglianza domiciliare con telemedicina respiratoria; I ricoveri per anno passano da 1,8 sen- • • • 59 za telemedicina a 0,5 per anno con telemedicina; I pazienti non complianti alla OLT passano da 10-15% senza telemedicina all’1% con telemedicina. I costi diretti/anno passano da 790.000 dollari senza telemedicina a 125.300 dollari con telemedicina. Nel Lazio l’unico dato a disposizione è quello della ASL Roma H che riporta nel 200211, su 75 pazienti con insufficienza respiratoria cronica in OLT, un abbassamento delle riacutizzazioni con telesorveglianza in telemedicina da 1,69 per anno a 0,77 per anno. I ricoveri sono passati da 2,55 per anno ad 1,23 per anno. RISULTATI DOPO OTTO ANNI DI MONITORIZZAZIONE NELLA U.O.C. “MAL. APP. RESP.” DELL’OSPEDALE “A&C CARTONI” DI ROCCA PRIORA Nel 1999 sono stati arruolati 75 pazienti con Insufficienza Respiratoria Cronica per una monitorizzazione domiciliare (pulsossimetria notturna continua per una-due volte alla settimana, e secondo il bisogno nei periodi di riacutizzazione). I parametri di accesso sono stati una SaO2 sotto il 90% a riposo e necessità di ossigenoterapia domiciliare a lungo termine, almeno 2 ricoveri/anno nel periodo precedente l’arruolamento. Le modalità di registrazione dei dati prevedeva per tutti i casi la monitorizzazione durante tutta la notte almeno 2 volte a settimana secondo un calendario concordato. Nei periodi di possibile riacutizzazione la trasmissione dei dati avveniva secondo prescrizione medica, anche ogni notte o in tempo reale al momento della chiamata telefonica. La patologia di base in 72 casi era rappresentata da BPCO, in un caso da fibrosi polmonare, in un caso da Distrofia du Duchenne, in un caso da BPCO nel polmone residuo dopo pneumonectomia. Nel settembre 2007, dopo 8 anni di monitorizzazione, 18 pazienti sono usciti dallo studio per trasferimenti domiciliari, scarsa compliance, motivi vari. Quindici pazienti sono deceduti: 10 per cause respiratorie e 5 per cause non respiratorie. Nel corso del 2006 e 2007 sono stati ar- 008 Fiorani 57-60 21-01-2008 11:24 Pagina 60 60 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 9, 4, 2007 ruolati altri 2 pazienti con gli stessi criteri di accesso di cui sopra (tutti affetti da BPCO), dei quali 3 pazienti si sono persi, uscendo dallo studio, per cui attualmente la coorte dei pazienti seguiti a domicilio è di 51 soggetti. Da meno di 1 anno si è attivato un servizio di videotelefonia per alcuni pazienti domiciliari con videotelefoni erogati dalla ASL. I risultati sono i seguenti: • Il numero di ricoveri è stato di 3 nel corso di 8 anni; • il tasso di ricovero medio è stato di 0,37 per anno, mentre prima delle Telemedicina la media era di 2,55/anno; • in 21 pazienti nel corso di 8 anni di monitorizzazione Domiciliare non vi è stata necessità di alcun ricovero; • tutti i casi sono stati sottoposti a controlli ambulatoriali (visita, EGA, spirometria, Rx torace) programmi a scadenze fisse, o a seconda del bisogno (con ambulatorio dedicato a registrazione diretta, e quindi con visita ed esami immediati) e dettati dall’esame dei grafici delle monitorizzazioni domiciliari. Le conclusioni sono che la Telemedicina è una metodica utile per trattare a domicilio le Insufficienze Respiratorie Croniche, per cogliere immediatamente i primi segni delle riacutizzazioni e quindi per abbassare drasticamente la necessità di ricovero, con un risparmio notevole in termini monetari12. Le prospettive discendono dall’esperienza acquisita in questi 8 anni e dall’analisi degli errori fatti. Ad esempio si fa osservare che solo in 3 pazienti il tasso dei ricoveri è stato altissimo (oltre 20 ricoveri in 8 anni) e ciò sta a significare che in tali pazienti la monitorizzazione domiciliare, lungi da rappresentare un metodo per il trattamento domiciliare, è stato vissuto da tali soggetti (forse troppo gravi e con un enorme carico d’ansia) come un metodo per ricoverarsi subito ai primi segni di aggravamento, che potevano benissimo essere gestiti a domicilio. Probabilmente tali pazienti dovevano essere messi fuori dalla Telemedicina (ma non ci si è sentiti di farlo). ____ Per richiesta estratti: Cesare Maria Fiorani E-mail: [email protected] Senza questi 3 casi, la media dei ricoveri in 8 anni scende ancora da 3 a 2,35, con una media di 0,29 per anno. I vantaggi della Telemedicina sono indiscutibili, ma perché decolli debbono realizzarsi alcune condizioni fondamentali. La prima è il cambiamento di cultura, una presa di coscienza dei grandi vantaggi13 che questo sistema può offrire ai pazienti ed ai medici. Ci dovrà poi essere una promozione delle tecnologie avanzate da parte degli enti di ricerca internazionali e degli accordi che consentano che le prestazioni rispondano ad uno standard affidabile. BIBLIOGRAFIA 1. Cpme.Cpme guidelines for telemedicine. Brussels, 2000. 2. Istat “Health for All” Database 2002. 3. Istat “Stili di vita e condizioni di salute”, 2002. 4. Istat La mortalità per causa nelle regioni italiane. http//www.istat.it/dati/catalogo/20021203_00/. 5. Ministero della Salute: “Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero.dati SDO 2003”. www.ministerosalute.it. 6. Mappa dati. Attività ospedaliera - Anno 2005. http://www.asplazio.it/. 7. Dati consumo ossigeno. Asso tecnici 2003. 8. Progetto Odue: Ossigenoterapia Domiciliare in Umbria Studio epidemiologico (2004-2005). 9. Cosisan: Rapporto sulla prescrizione farmaceutica Regione Lazio, 2004. http://www.asplazio.it/asp_online/att_territoriale/files/farmaceutica/prodotti/Rapporto_2004.pdf. 10. Dal Negro RW, Goldberg AI: Ossigenoterapia Domiciliare a lungo termine in Italia. Il valore aggiunto delle telemedicina. Milano, SpringerVerlag Italia, 2006. 11. Maiolo C, Mohamed E, Fiorani CM, De lorenzo A. Home telemonitoring for patients with severe respiratory illness: the italian experience. J. Telemed telecare 2003; 9 (2): 67-71. 12. Ram SFS, Wedzicha JA, Wright J, Greenstone M. Hospital at home for acut exacerbations of chronic obstructive pulmonary disease. Cochrane database pf Systematic Reviews (4): CD003573, 2003. 13. Strode SW, Gustke S, Allen A. Technical and clinical progress in Telemedicine. Jama 1999; 281: 1066, 8 009 Rassegne 61-62 21-01-2008 11:25 Pagina 61 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 Rassegne LE BASI STATISTICHE DELLA BIOLOGIA E DELLA MEDICINA La Società Editrice Universo nel 2006 ha pubblicato l’opera del prof. Pietro Cugini “Biostatistica, Cronobiologia, Caosbiologia della Metodologia Medica”, importante volume di circa 740 pagine che si prefiggeva lo scopo di affrontare i Principi, i Metodi e le Applicazioni di Biostatistica, con lo studio della Probabilità, della Cronobiologia, con lo studio della Periodicità e della Caosbiologia, con lo studio della Imprevedibilità, applicati ai fenomeni bio-medici. L’impegno era arduo e, anche se cercava di usare un linguaggio non eccessivamente tecnico, richiedeva una concentrazione non indifferente per il lettore medio. A circa un anno di distanza il professor Cugini torna sull’argomento con il testo dal titolo “Le basi statistiche della biologia e medicina” e sottotitolo “Principi-MetodiApplicazioni”. (2007 SEU Editore, volume in brossura di 248 pagine, prezzo: 28 euro). La concezione di questo testo è interessante: lo scopo è quello di limitare la trattazione alla parte Biostatistica rimandato al testo d’origine per gli altri aspetti. Inoltre, allo scopo di contenere le dimensioni dell’opera parte del materiale (le applicazioni e il tabulario statistico) è stato allegato in formato elettronico nel CD allegato sotto forma di un file in pdf (Portable Document Format). L’Editore mette a disposizione sul sito (http//:store.seu-roma.it) anche l’ebook. L’esposizione della materia si giova della vasta esperienza dell’Autore che, co- me egli stesso afferma nella prefazione, ha personalmente e attivamente vissuto le trasformazioni del ruolo della Statistica nella Medicina. La crescente quantità di osservazioni raccolte nella pratica o in laboratorio nello scorso secolo ha richiesto l’introduzione di nuovi metodi matematico-filosofici di interpretazione dei dati e dei concetti ad essi legati. Il progresso tecnologico con la diffusione dei computer e delle analisi statistiche attraverso specifici software ha stravolto in pochi decenni l’approccio metodologico in Medicina: oggi test di elevata complessità sono alla portata di tutti ma solo pochi sono veramente in grado di comprendere i risultati ottenuti. Il testo del professor Cugini, con il forte legame che in ogni pagina si avverte con la pratica medica, si rivela un prezioso strumento; l’opera vuole essere, ed è, sintetica: questo è un pregio e un limite in quanto, in alcuni passaggi, si avverte il bisogno di un commento un po’ più dettagliato e di un più pratico orientamento sulla scelta tra i tanti test esposti. Vi è infatti ancora un ruolo per il Maestro e forse anche in questo campo che può sembrare ai limiti della Medicina non solo per gli studenti, ma anche e, forse ancora di più per i professionisti della Sanità che molto spesso non si possono avvalere di figure tecniche nelle loro strutture tanto quanto sarebbe necessario. Mauro Signora 009 Rassegne 61-62 21-01-2008 11:25 Pagina 62 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 CONOSCERE E POTENZIARE IL CERVELLO Il breve saggio (Conoscere e potenziare il cervello - 127 pagine; Giunti Editore 2007, prezzo: 8 euro) scritto dal nostro collega neurologo Carlo Blundo, responsabile della UOSD di Neuropsicologia e neuropsichiatria nel Dipartimento di Neuroscienze Lancisi, tratta delle funzioni cerebrali e delle condotte. da seguire per cercare di mantenerle il più possibile integre nel tempo. Cosa si intende per mente e cervello , come si sviluppano le diverse funzioni cerebrali, quale ruolo hanno gli stimoli ambientali nel determinare il loro sviluppo? Sono queste le domande alle quali nei primi capitoli l’Autore cerca di rispondere offrendo al lettore una breve ma stimolante guida alla conoscenza dei nostri processi mentali. Nei due successivi capitoli vengono più specificatamente trattate le funzioni della memoria e della attenzione, non solo definendone la natura, ma indicando anche diverse strategie per potenziarle. Un capitolo è dedicato ad un argomento di notevole attualità: l’invecchiamento cerebrale e la demenza. A tale riguardo, rispondendo ad una serie di domande rivolte da un potenziale paziente allo specialista (del tipo: “Mi devo preoccupare se dimentico spesso le cose?”; “Dottore ho 1’Alzheimer?”), Blundo spiega le caratteristiche del deterioramento cognitivo, i pregiudizi e gli errori diagnostici che riguardo a tale malattia spesso i “non addetti ai lavori” hanno ed infine suggerisce delle strategie comportamentali da seguire quando si ha in famiglia un paziente affetto da demenza. Chiude il libro un breve capitolo su come “prendersi cura del proprio cervello” che ricorda a medici e pazienti l’importanza di numerosi fattori, quali ad esempio il controllo dei rischi vascolari, l’alimentazione, l’esercizio fisico, nella prevenzione dei deficit cognitivi legati all’invecchiamento cerebrale. In sintesi si tratta di un piccolo libro di agevole e rapida lettura, rivolto non solo ai medici ma al pubblico in generale, molto apprezzabile perché in termini scientifici, ma con tono divulgativo, offre una serie di informazioni sul cervello e le sue funzioni, la cui conoscenza è indispensabile per proteggerle e se possibile, anche potenziarle. Laura Gasbarrone 010 Notiziario 63 21-01-2008 11:26 Pagina 63 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 Notiziario Presieduto da G. Puglisi, Direttore della U.O.C. di Pneumolgia e Infettivologia Respiratoria dell’Azienda Ospedaliera S. Camillo-Forlanini di Roma e dal Co-presidente F. Vigorito Direttore del Dipartimento di Pneumologia e Tisiologia della A.O. Monaldi di Napoli, si è tenuto a Fiuggi dal 27 al 29 settembre 2007 il 3ª Congresso Interregionale Campano-Laziale in Pneumologia avente come tema gli “Aspetti diagnostico-terapeutici innovativi in Patologia Respiratoria”: sono stati proposti oltre che argomenti di carattere innovativo anche verifiche delle procedure clinico-terapeutiche sperimentate negli ultimi anni. Per quanto concerne l’asma gli interventi relativi ai nuovi presidi terapeutici hanno riguardato in particolare gli anticorpi monoclonali anti-IgE ed il loro posizionamento nel complessivo trattamento della malattia e sono state fornite precisazioni sull’impiego dei leucotrieni. Nel campo del BPCO sono stati trattati approfondimenti sui risultati terapeutici ottenuti con i recenti anti-vagali e sulle nuove modalità di somministrazione dei broncodilatatori in associazione precostituita. Particolarmente analizzati sono stati gli aspetti non ancora sufficientemente valutati concernenti il trattamento con antiossidanti, i problemi legati ai riflessi sistemici nella BPCO nonché ai processi della riacutizzazione infettiva bronchiale. Nella seconda giornata una intera seduta è stata dedicata alla Insufficienza respiratoria, stadio finale non soltanto della BPCO, ma anche delle Pneumopatie Interstiziali e delle Malattie Vascolari Polmonari, queste ultime oggetto di particolare studio da parte degli Pneumologi campani che da anni si sono “dedicati” con grande competenza alla complessa gestione di tale patologia. Notevole attenzione è stata riservata nella 3ª giornata del Congresso alla Patologia della sierosa pleurica della quale sono state sottolineate sia le difficoltà diagnostiche (anche in considerazione della ampia molteplicità etiologica dei versamenti pleurici) sia la necessità di un comune approccio diagnostico-terapeutico da parte dello Pneumologo e del Chirurgo Toracico. In questa sessione del Congresso è stata data particolare sottolineatura alle problematiche relative al mesotelioma pleurico, neoplasia che si va sempre più allontanando dal campo delle Malattie rare. Assai nutrito il dibattito al termine delle singole sessioni anche grazie ai vari Moderatori (F. Benassi, G. Galluccio, F. Salvati, C. Crispino, S. Martufi, C.M. Fiorani, G. Perillo, G. Cocco etc.): il Congresso ha riscosso indubbiamente un notevole successo in rapporto alla alta qualificazione dei Relatori, sia quelli campani (M. Sofia, R. Muto, A. Sanduzzi Zamparelli, F. Vigorito etc.) sia quelli del Lazio (G. Puglisi, L. Portalone, G. Pedicelli, G. Farinelli, E. Li Bianchi, C. Mollica, M.G. Alma, A. Altieri, etc.) sia infine dei numerosi altri “stranieri” (A. Rossi, S. Amaducci, P.L. Paggiaro, etc.). Di particolare interesse le relazioni riguardanti la Tubercolosi che hanno evidenziato quanto sia tuttora necessaria la continua sorveglianza di questo fenomeno patologico costantemente in agguato, soprattutto per quanto concerne l’Infezione Tubercolare Latente. Franco Salvati 011 Errata corrige 64 21-01-2008 11:27 Pagina 64 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 9, Numero 4, Ottobre-Dicembre 2007 Errata corrige Nell’articolo originale pubblicato nel Volume 9, numero 3, Luglio-Settembre 2007 dal titolo “Studio retrospettivo fonicap sul follow-up di ottuagenari trattati con exeresi radicale per non-small cell lung carcinoma” degli Autori F. Salvati, M. Signora, G. Cardillo, R. Orsetti, R. Pisa, P. Graziano, L. Portalone, M. Martelli: 1) alla pag. 12 in luogo di “età 80-84 anni” va riportato “età 80-85 anni” 2) alla pag. 13 nella Tabella 1 in luogo di “range 80-94” va riportato “range 80-85”