Corso Politiche Economiche Europee – Appunti lezione 30 ottobre

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Corso Politiche Economiche Europee – Appunti lezione 30 ottobre
Corso Politiche Economiche Europee – Appunti lezione 30 ottobre – Docente MG Briotti
LA POLITICA DI COESIONE DELL’UNIONE EUROPEA (Paragrafo 4.3 del Rapporto Sapir)
TUE …. Obiettivo dell’Unione… rafforzamento della coesione economica e sociale….
TICE … La Comunità … propria azione … per rafforzare la sua coesione economica e sociale…
…in particolare la Comunità mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie
regioni… il ritardo di talune regioni… comprese le zone rurali
In Europa i processi politici nazionali e sovranazionali sono improntati a un forte spirito di
coesione: intensa redistribuzione interpersonale dai sistemi fiscali, prestazioni sociali,
normativa)
=> Politiche nazionali (S.M.) e locali
=> Piccolo numero strumenti sovranazionali nel quadro delle politiche di coesione dell’unione per
compensare le disparità di redditi che il processo stesso di integrazione può determinare a livello
nazionale e regionale.
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La dimensione del Bilancio Comunitario è molto contenuta; molto più piccola del bilancio
federale americano o del bilancio pubblico degli Stati Uniti.
Il bilancio dell’Unione Europea ammonta complessivamente, nel 2013, a 152 miliardi di euro di
“stanziamenti d’impegno”, ossia l’1,11 % dell’PIL dell’UE.
Il bilancio dell’Unione copre un periodo di 7 anni: 2007 –2013. Il prossimo sarà 2014 –2021.
E’ organizzato su 6 “rubriche”. Le principali sono:
“Crescita sostenibile”, cioè le politiche di sviluppo regionale e le politiche di R&S
“Natural resources”, cioè le politiche agricole. Ad esse si aggiungono altre azioni esterne ed
interne all’Unione.
La dimensione del Bilancio comunitario si è ridotta, seppur lievemente, negli ultimi periodi di
programmazione.
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La voce 1b rappresenta l’insieme delle politiche per la coesione sociale e economica
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Le Politiche Regionali dell’Unione Europea: l’analisi teorica
Teoria economica della crescita: analisi dei processi di convergenza/divergenza fra aree
geografiche differenti.
Convergenza processo per cui economie meno avanzate mostrano tassi di crescita economica più
elevati rispetto a quelli delle economie più avanzate (quali il PIL pro capite o la produttività)
Divergenza processo opposto per cui aumentano nel tempo le disparità fra regioni (nazioni)
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Teoria economica distingue due indirizzi:
Il primo è rappresentato dalle teorie neoclassiche (Solow 1956 e sue estensioni successive) che
ipotizzano meccanismi di crescita automatici che portano alla convergenza del reddito procapite
nel lungo periodo (i.e. le economie più povere crescono a tassi più elevati).
Le ipotesi di base dei modelli neoclassici sono:
Economie di scala costanti; produttività marginale del capitale decrescente; sostituibilità fra
capitale e lavoro; progresso tecnico esogeno e uniforme ( o in via di diventarlo)
Investimenti e risparmi dovrebbero favorire la convergenza dei redditi pro capite quando le
condizioni tecnologiche sono uniformi o stanno per diventarlo all’interno di entità geografiche
contraddistinte da rendimenti di scala costanti. In tale contesto la libera circolazione dei fattori di
produzione e delle merci dovrebbe favorire l’allineamento della produttività marginale e dei
redditi in tutta la regione integrata.
A partire da diverse condizioni di partenza nei livelli di reddito, la produzione dovrebbe
aumentare più rapidamente nelle regioni (o paesi) con redditi inizialmente relativamente più
basi, grazie ai movimenti di capitale (in entrata) mentre il commercio permette a ciascuno di
specializzarsi nei settori i cui detiene un vantaggio comparativo.
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Secondo indirizzo
In realtà l’attività economica non si ripartisce in modo uniforme nell’ambito di un’area sia pure
integrata. Ad esempio si addensa in zone industriali => agglomerazione:
a => New economic geography model (Krugman 1991; Krugman e Venables 1995; Fujita,
Krugman e Venables 1999). Rendimenti di scala crescente e fenomeni di polarizzazioni
all’interno di date aree a scapito di altre (più povere)
Inoltre il progresso tecnologico può essere endogeno:
b = > modelli di crescita endogena (Romer 1986; 1990; Grossman e Helpman 1991; 1994)
Se guardiamo al progresso tecnico come accumulazione del capitale umano (acquisizione di
abilità e conoscenze attraverso l’istruzione) o come delle esternalità (ad esempio durante il
processo di accumulazione del capitale possono essere ideati nuovi e più avanzati processi
produttivi) possono portare ad una crescita dell’economia con produttività del capitale non
decrescente e quindi con crescita destinata a perpetuarsi piuttosto che convergere verso lo stato
uniforme
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Elenco incompleto modelli crescita endogena
(M. Franzini et al. Politica economica - temi scelti –pag. 37, Egea spa – Tools -2011)
Modello di Lucas (1988)
Accumulazione anche di capitale umano:
incremento della
conoscenza che si
contrappone
ai
rendimenti
marginali
decrescenti al crescere dell’accumulazione
Learning-by-doing e spillover della conoscenza :
accrescimento della produttività del capitale.
Ruolo della R&S
Organizzazione
industriale
–
neoschumpeteriana – innovazione di prodotto
Ruolo spesa pubblica infrastruttura produttività del capitale
Romer (1986 - 1988)
Aghion-howitt (1992,1998)
Barro (1990)
Tali modelli (a e b) superano le ipotesi neoclassiche dei rendimenti decrescenti e del progresso
tecnologico esogeno => Centrale è l’esistenza di esternalità positive che generano rendimenti
crescenti ed economie di agglomerazione
Tali teorie ipotizzano l’esistenza di forze economiche che possono produrre, attraverso un
imperfetto funzionamento dei mercati e l’azione di economie di scala di diversa natura,
divergenza:
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Diverse implicazioni in termini di politica economica:
Nei modelli neoclassici la politica regionale non è efficace, non potendo influenzare il tasso di
crescita di lungo periodo. (Barro e Sala-i-Martin, 1991).
Negli altri modelli, la
politica regionale è potenzialmente efficace: incentivando
l’accumulazione di capitale sia fisico che umano e promuovendo l’innovazione e la diffusione
tecnologica può influire positivamente sul tasso di crescita di lungo periodo.
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Riquadro 4.3 pag 107 (Sapir) e cap 1 (Viesti e Prota)
Trattato 1957 la questione dello sviluppo regionale è materia nazionale e non comunitaria.
Innanzitutto i 6 Stati fondatori (IT FR DE Benelux) rappresentavano un gruppo abbastanza
omogeneo dal punto di vista economico (ad eccezione dell’Italia meridionale)
Inoltre, grande fiducia sull’effetto di sviluppo del mercato comune. Unica istituzione comunitaria:
BEI eroga prestiti per infrastrutture.
Unici Fondi: FSE E FEAOG. Stati membri intervengono con politiche di incentivo alle imprese e
realizzazione di infrastrutture
1973 Rapporto Thompson disparità regionali potenziale danno processo di integrazione.
Metà anni ‘70: nasce il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale FESR ha dotazione limitata;
Metà anni ‘80: allargamento mediterraneo acuisce disparità di sviluppo nella Comunità
Rapporti Padoa Schioppa (1987) e Cecchini (1988) sottolineano rischi di aggravamento dei divari
regionali a seguito della maggiore integrazione comunitaria. Processi di polarizzazione spaziale
dello sviluppo (Krugman 1991)
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Atto Unico 1987 => Politica della coesione economica e sociale diviene parte integrante del
completamento del mercato unico. Riforma dei Fondi Strutturali e del Titolo v del Trattato
(Coesione Economica e Sociale) Raddoppio delle risorse destinate ai fondi per lo sviluppo
regionale (insieme a riforma PAC e bilancio).
Giugno 1988, proposta di regolamento-quadro presentata dalla Commissione. I 4 principi guida
per la gestione dei Fondi strutturali (Fondo europeo per lo sviluppo regionale, Fondo sociale
europeo e Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia)
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Concentrazione: prevede che gli interventi strutturali comunitari siano concentrati su 5
obiettivi prioritari. C. geografica (ob 1[adeguamento strutturale] 2 [riconversione
economica] e 5b [sviluppo aree rurali] ovvero sviluppi regionali) e C. funzionale (ob 3 4
5a occupazione e adeguamento strutture agricole -> orizzontale su intero territorio)
[obiettivi territoriali e funzionali:
Ob. 1 regioni in ritardo di sviluppo (con PIL procapite PPA < 75% media comunitaria)
Ob.2 riconversione regioni industriali in declino (individuate con zonizzazione fine)
Ob.3 lotta alla disoccupazione lunga durata
Ob.4 promozione occupazione giovanile
Ob.5 a adeguamento strutture agricole
Ob. 5 b sviluppo zone rurali]
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2. Programmazione: strategie pluriennali di sviluppo – processo decisionale di concertazione
– tra le varie parti in causa, varie tappe, monitoraggio e valutazione dei singoli interventi e del
programma nel suo complesso (invece di singoli progetti) e stretto coordinamento dei diversi
strumenti comunitari.
3. Partenariato: concertazione permanente tra la Commissione europea e le autorità
competenti di ciascuno stato membro verticale (nazionale regionale locale) orizzontale
(autorità politiche e forze economico-sociali. Inoltre partenariato di responsabilità tra i livelli
istituzionali partecipanti e responsabilità primaria del livello regionale
4. Addizionalità: intende evitare la sostituzione di risorse nazionali con quelle europee
(cofinanziamento nazionale)
1992: Il Trattato di Maastricht e la seconda riforma dei fondi strutturali: viene creato il Fondo
di Coesione (per Stati membri – e non regioni – con PIL pro capite < 90% media comunitaria:
irlanda, spagna, portogallo e grecia)).
Agli inizi degli anni novanta all’interno della Comunità sono presenti forti disparità di reddito
occupazione. Ciò rappresenta un problema e la convergenza diventa la sfida in vista dell’Unione
economica e monetaria e di eventuali ulteriori ampliamenti. Politiche di sviluppo ancora più
necessarie perché moneta unica, con eliminazione cambi, può creare ulteriore, forte
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polarizzazione territoriale dello sviluppo economico. Rilevanza delle politiche strutturali e
necessità politiche comunitarie in ambiti quali ambiente energia e trasporti.
1995: entrano nell’UE Sv At e Fl e nuovo obiettivo Nuts (6° obiettivo)
1997: Trattato di Amsterdam
Nel timore che l’Unione monetaria riduca la possibilità di adattamento degli stati nazionali e delle
regioni agli shock asimmetrici esterni e che i meccanismi di aggiustamento siano solo
disoccupazione e salari più bassi => mercato unico e unione monetaria possono aggravare gli
squilibri, in presenza di lavoro poco mobile fra regioni e paesi.
-> Agenda di Lisbona => ribadisce la priorità delle politiche di coesione e la centralità politica di
sviluppo regionale anche in vista dei nuovi candidati
Possibile allargamento ad Est dell’Unione può portare problemi regionali ancora più rilevanti
Riforma: riduzione obiettivi fondi strutturali da 6 a 3, 2 regionali 1 orizzontale; introduzione del
phasing out e introduzione strumenti pre-adesione(+ Fondi strutturali + Fondo coesione).
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Periodo 2000-2006: totale stanziamento di 213 miliardi di euro a favore della politica di coesione
di cui circa 195 miliardi (90%) per i fondi strutturali e 18 miliardi (10%) fondo di coesione (Grecia,
Spagna, Irlanda (fino al 2003) e Portogallo)
Fondi strutturali 3 obiettivi (invece di 6)
70% fondi adeguamento strutturale regioni in ritardo sviluppo
Sviluppo regioni affette da declino industriale
Adeguamento e modernizzazione sistemi istruzione e formazione
Fondi coesione (nato nel 1993, portata nazionale piuttosto che regionale) suddiviso in 3 parti
65% a regioni a basso reddito
25% obiettivi orizzontali
10% orientamento nazionale
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