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L’ I M P R E S A I TA L I A N A N E L L’ E C O N O M I A G L O B A L E
2
Europa e Italia di fronte
al risveglio asiatico
M. Weber
Cina: uno sviluppo incessante
ma con forti squilibri sociali
F. Galimberti
India: un modello “variabile”
che dà forza alla crescita
P. Bianchi
Con quali azioni rispondere
ai nuovi assetti economici
BIMESTRALE
FEBBRAIO
2006
L’ I M P R E S A I TA L I A N A N E L L’ E C O N O M I A G L O B A L E
Bimestrale di politica economica
n. 2 - Febbraio 2006
Comitato scientifico
Paolo Gnes
PRESIDENTE
Boris Biancheri
Patrizio Bianchi
Innocenzo Cipolletta
Mario Deaglio
Alberto Majocchi
Giorgio Mulè
Marco Onado
Guido M. Rey
Franco Varetto
Direttore Responsabile
Alberto Mucci
Segreteria di redazione Priscilla Bigioni
Redazione
Global Competition
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‹ editoriale ›
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Una partita aperta
L’impressionante crescita dell’economia cinese negli ultimi venticinque anni, in cui il PIL è aumentato al
tasso medio annuo del 9,4 per cento, rappresenta di per sé un fatto positivo e un successo della globalizzazione. Grazie alla svolta riformista avviata da Deng Xiaoping alla fine del 1978, ai massicci investimenti diretti dall’estero e all’apertura dei mercati completata con il suo ingresso nella WTO a fine 2001, la Cina ha agganciato il treno dello sviluppo mondiale e sta realizzando un classico modello di inseguimento delle economie
più avanzate, che potrà avvicinare gradualmente e pacificamente alla prosperità la sua immensa popolazione di oltre 1.300.000.000 abitanti.
La rapidità e l’ampiezza della crescita cinese stanno comportando tuttavia, oltre a crescenti squilibri interni e a un più generale problema di sostenibilità dello sviluppo globale, pesanti ripercussioni sulla produzione
manifatturiera occidentale, in particolare europea e italiana.
Secondo la teoria dello sviluppo, l’arricchimento dell’inseguitore non dovrebbe comportare un impoverimento dell’inseguito, in quanto entrambi dovrebbero beneficiare della modifica della divisione internazionale del lavoro conseguente al nuovo ingresso. Così è stato in occasione dei vari “miracoli economici” succedutisi nel tempo, dal tedesco all’italiano al giapponese e così via.
Ma la Cina presenta specificità dimensionali, istituzionali e strutturali che non facilitano questo risultato.
L’ampia riserva di forza lavoro e la capacità di qualificarla a tutti i livelli di istruzione le consentono di espandere la produzione senza vincoli d’offerta e tensioni inflazionistiche. Allo stesso tempo il controllo in chiave
mercantilistica dello yuan a un livello di palese sottovalutazione non consente al cambio di svolgere il suo
ruolo nel riequilibrio del commercio internazionale, com’è evidenziato dall’impressionante accumulo di avanzi delle partite correnti e di riserve valutarie, che hanno raggiunto (queste ultime) 600 miliardi di dollari.
In tali condizioni le esportazioni cinesi, che beneficiano di costi salariali stimati mediamente in un ventesimo di quelli europei (oltre che di minori costi per la sicurezza sociale e la tutela ambientale), stanno mettendo fuori mercato l’ampia e crescente area dell’industria manifatturiera europea di cui riescono a riprodurre o
sostituire i prodotti senza significativi scadimenti qualitativi, a prezzi nettamente inferiori.
La crescita cinese comporta peraltro anche una forte domanda per lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto, per le telecomunicazioni e per la produzione di energia, oltre che per investimenti produttivi e per
beni di consumo di maggior pregio, che l’industria europea potrebbe fornire, tanto più se operasse in modo
coordinato presentando progetti integrati.
Costi e opportunità, dunque. Ma esaltati i primi e contenute le seconde dalle menzionate specificità strutturali e comunque distribuiti in modo estremamente asimmetrico, anche tra i vari paesi europei, a seconda
delle rispettive specializzazioni produttive e organizzazioni industriali.
Per le economie più orientate all’alta e media tecnologia, l’opportunità di fornire alla Cina centrali nucleari, sistemi ferroviari, componenti aeronautiche, sostituendo al contempo importazioni italiane del sistema
moda-casa con meno costose importazioni cinesi, può ampiamente compensare la perdita di competitività
nelle lavorazioni tradizionali.
Ma per l’industria manifatturiera italiana, specializzata nei settori tradizionali sia pure nei comparti di maggior pregio, vale l’opposto. Per sopravvivere dovrà realizzare un riposizionamento strategico ben più ampio e
impegnativo, dal cui successo dipenderà la possibilità di conservare e possibilmente accrescere il nostro tenore di vita.
È questa la grande sfida che ci attende e che potremo vincere solo se sapremo realizzare i necessari interventi e comportamenti, su cui ci siamo soffermati nello scorso numero della Rivista e torneremo nei prossimi.
Accanto a tali azioni, necessariamente di lunga lena, dobbiamo peraltro promuovere nell’Unione una politica
più incisiva e coordinata nei confronti dell’espansione commerciale cinese e favorire nel nostro paese lo sviluppo dei servizi in cui abbiamo importanti vantaggi competitivi, quali il turismo e le attività ad esso associate.
Paolo Gnes
sommario
N.
2 -
FEBBRAIO
2006
Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico
Maria Weber
Cina: uno sviluppo incessante
ma con forti squilibri sociali
pag. 3
Fabrizio Galimberti
India: un modello “variabile”
che dà forza alla crescita
pag. 12
Patrizio Bianchi
Con quali azioni rispondere
ai nuovi assetti economici
pag. 22
Appuntamento
...con il dibattito su concorrenza
e competitività (gli interventi alla presentazione
del primo numero della Rivista)
Libri in vetrina
pag. 26
pag. 31
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
CINA:
UNO SVILUPPO INCESSANTE
MA CON FORTI SQUILIBRI SOCIALI
La Cina continua a crescere, con specifiche caratteristiche, sullo scenario mondiale,
si parli di politica monetaria, di globalizzazione o di ruoli diplomatici. L’Autrice fornisce
i dati essenziali dello scenario, analizza le prospettive e presenta i tre pilastri che si delineano
alla base della Cina di domani: dall’ “arricchirsi è giusto” alla “prosperità condivisa”;
el corso del 2005, la Cina ha continuato a imporsi
scita economica continua è stata sostenuta da una politiall’attenzione mondiale sia sul piano della politica
ca volta a stimolare l’afflusso di capitali esteri e la domanmonetaria che sul piano dell’ascesa diplomatica. Il tasso di
da interna attraverso agevolazioni fiscali. Negli anni
crescita del PIL si è mantenuto superiore al 9% per tutto il
Novanta si è intensificata la politica di investimenti pubbli2005. L’interscambio commerciale tra Cina e il resto del
ci nel settore delle infrastrutture. Tale politica dagli effetti
mondo è cresciuto ancora: le relazioni commerciali con
anti-deflazionistici è stata finanziata dall’emissione di obblil’Unione Europea sono aumentate nel corso del 2005,
gazioni governative e da un aumento delle entrate fiscaportando la Cina a divenire il secondo partner commerli, che hanno permesso di mantenere piuttosto contenuciale dell’Unione Europea dopo gli Stati Uniti. Nel 2004 la
to il deficit.
Cina è stata seconda solo agli Stati Uniti per la quantità di
investimenti diretti esteri ricevuti e ancora molte opportuLa crescita economica
nità si presenteranno agli operatori internazionali con la
definitiva apertura dei servizi finanziari, bancari ed assicuLa crescita economica nel 2004 è andata oltre le previrativi. Il peso internazionale che Pechino ha acquisito, grasioni: l’obiettivo di crescita era stato fissato in un primo
zie all’ampiezza del mercato intertempo al 7%, mentre il tasso è
no e al suo ruolo d’interlocutore
stato del 9,5%, riconfermatosi
privilegiato con i paesi asiatici, la
anche nel primo semestre del
rendono ormai inescludibile da
2005, portando il tasso di crescita
qualsiasi importante questione
previsto per il 2005 al 9,3%. La
mondiale. L'entrata della Cina nella
situazione economica appare
World Trade Organization (WTO),
quindi piuttosto surriscaldata, i
firmata a Doha nel novembre 2001
ritmi di crescita della produzione
e divenuta effettiva l’11 dicembre
sono ancora ampiamente positivi,
2001, ha segnato un importante
gli investimenti ingenti ed in alcuMARIA WEBER
passo avanti sulla via della transizioni settori decisamente eccessivi
ne economica, iniziata alla fine del
(ad esempio nel settore edile).
Insegna Relazioni internazionali e Politica com1978 su iniziativa di Deng Xiaoping
Nell’ultimo anno, il raffreddamenparata all’Università Bocconi di Milano, dove è
vice-direttore dell’ISESAO. Responsabile del proe di nuovo rilanciata dal 1992 con
to dell’economia è divenuto il
getto Focus China all’ISPI di Milano. Autrice di
la formula del socialismo di libero
primo obiettivo delle politiche
varie pubblicazioni sulla Cina tra cui: Il miracomercato. Questi ultimi venticinque
economiche del governo, assielo cinese, il Mulino, 1999 e 2003; Welfare,
anni di riforme hanno permesso al
me alla promozione di una cresciEnvironment and Us-China relations, Edward
paese di raggiungere notevoli risulta controllata, costante, stabile e
Elgar, 2005; Il dragone e l’aquila. Cina e Usa la
vera sfida, Università Bocconi Editore, 2005; La
tati economici e realizzare un tasso
più equilibrata, attraverso l’attuaCina non è per tutti, Edizioni Olivares, 2005.
medio di crescita annuale del PIL
zione delle necessarie riforme. In
del 9% negli anni Novanta. La crequest’ottica è perciò fondamenta-
N
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dall’aumento dell’età media alle riforme sociali.
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dal “crescere ad ogni costo” allo “sviluppo sostenibile”;
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‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
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le contenere la crescita degli investimenti e potenziare i
consumi, per evitare di giungere ad una situazione economica insana, con un eccesso di capacità produttiva
installata e bolle dovute a eccessi di investimenti. Queste
finalità sono state riconfermate nel marzo 2005 in occasione della convocazione annuale dell’Assemblea
Nazionale del Popolo, l’organo legislativo della
Repubblica Popolare Cinese, e trovano conferma nella
lunga e dettagliata lista di obiettivi di politica economica
per il 2005 redatta in tale sede.
Una politica fiscale più restrittiva ha iniziato a contrassegnare la strategia economica del governo.
Distaccandosi dalla linea espansiva seguita dal 1998, il
governo ha esplicitamente dichiarato di voler passare ad
un regime fiscale “prudente” mirando ad una riduzione
del deficit fiscale nel 2005, portandolo al 2% del Pil (circa
35 miliardi di US $) entro la fine dell’anno.
Sono coerenti con questa linea gli aumenti dei tassi di
interesse bancari e le misure per congelare o limitare le
concessioni di credito in alcuni settori “surriscaldati”,
come ad esempio i settori del cemento, dell’acciaio e
immobiliare. L’eccesso di investimenti può infatti portare
ad una sovraespansione della capacità produttiva a
danno della redditività del settore, generando un pericoloso circolo vizioso di insolvenza da parte delle società e
di conseguente sofferenza bancaria. Per rallentare la concessione del credito si è agito sulle banche, innalzando
per esempio la quota di riserve obbligatorie sui depositi.
La crescita economica non ha però avuto la stessa rapidità ed intensità in tutti gli ambiti; esistono dei settori che
offrono ancora molte opportunità e con forti potenzialità
di crescita. Per questo motivo stanno aumentando gli
investimenti dello Stato nel welfare e nelle aree rurali, e
sono incoraggiati i finanziamenti verso le piccole-medie
imprese private.
Tuttavia sono ancora gli investimenti a trainare e tenere alto il ritmo dello sviluppo economico, nonostante il
loro tasso di crescita – pur rimanendo elevato – abbia
registrato una flessione rispetto agli anni scorsi, soprattutto come conseguenza delle limitazioni poste dal
governo in alcuni settori. Dopo un calo di 1,9 punti percentuali nel 2004 rispetto al 2003 (il tasso di crescita
annuale del 2004 è stato del 25,8%), nel primo semestre
del 2005 gli investimenti sono aumentati del 25,4% su
base annua, 3,2 punti percentuali in meno rispetto allo
stesso periodo dell’anno precedente. L’obiettivo dichiarato dal Governo è di portarne il tasso di crescita al 16%
nel 2006. I settori nei quali sono stati registrati tassi particolarmente alti sono quelli dell’estrazione di carbone
(+81,7% su base annua nel primo semestre 2005), estrazione di petrolio e gas naturale (+36,2%), produzione e
fornitura di energia elettrica.
La domanda interna sembra aumentare progressivamente, ma non ha ancora raggiunto livelli tali da poter
divenire il motore alla base della crescita. Nel primo
semestre del 2005, le vendite al dettaglio hanno mostrato un leggero incremento su base annua: +12% in termini reali contro il +10,2% del 2004, e la loro crescita è
stata più marcata nelle aree urbane (14,2%). Sul fronte
della produzione, la domanda di materie prime sta crescendo invece a ritmi consistenti, spingendo così i prezzi degli input industriali al rialzo. Nel PIL cinese sembra
dunque accrescersi progressivamente il ruolo dei consumi e attenuarsi un poco rispetto al passato quello degli
investimenti, ma l’entità del mutamento è ancora lieve.
La crescita dei prezzi al consumo nel 2005 ha rallentato rispetto all’anno precedente. L’indice dei prezzi al consumo, utilizzato per misurare il tasso di inflazione, era
infatti aumentato del 3,9% nel 2004, mentre è previsto
che alla fine del 2005 si arresti attorno al 2,1%. A calmare l’inflazione ha contribuito la frenata dei prezzi del
grano, calati del 22,9% rispetto alla prima metà dello
2004, ottenuta grazie alle misure del governo per
aumentare la produzione; anche il leggero rafforzamento dello yuan, dopo la rivalutazione del luglio del 2005,
ha contribuito a trattenere la crescita dei prezzi al consumo. Le maggiori spinte inflazionistiche dall’aumento del
prezzo del petrolio, che ha portato al rialzo i costi di
materie prime, combustibili, trasporti e di alcune utilities,
come la fornitura di corrente elettrica (in media +9,9%
su base annua, e il ritmo non accenna a diminuire). I
prezzi della produzione industriale hanno conseguentemente subito un rilevante aumento, il 5,6% su base
annua. Complessivamente, anche se la crescita economica ha ampiamente ecceduto le stime del governo
anche nel corso del 2005, secondo la maggior parte
degli osservatori la Cina riuscirà a mantenere l’economia
sotto controllo e a ad evitare un atterraggio brusco
dovuto all’improvviso arresto di una crescita eccessiva.
Tabella 1
–
Previsioni di crescita 2005-2006.
2005
PIL reale (tassi % di crescita)
9,3
Consumi privati (tasso di crescita %)
8,2
Inflazione (prezzi al consumo, tasso %)
2,1
Esportazioni FOB (miliardi US$)
746,1
Importazioni FOB (miliardi US$)
653,6
Saldo bilancia partite correnti/PIL %
5,5
Yuan/US$ (media annua)
8,21
2006
8,0
8,5
2,0
873,9
796,3
3,5
7,90
Fonte: EIU (Economist Intelligence Unit)
La politica monetaria
La politica monetaria si è coerentemente allineata agli
obiettivi fissati dal governo. La politica monetaria è prerogativa della People’s Bank of China (PBC), la Banca
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Centrale Cinese (l’organo che invece assume le funzioni
Le linee guida dell’11° piano quinquennale
di regolamentazione e controllo del sistema bancario è la
(2006-2010)
China Banking Regulatroy Commission), che la implementa attraverso l’utilizzo di diversi strumenti monetari, come
Dall’8 all’11 ottobre 2005 si è tenuta a Pechino la quinil controllo dei tassi di interesse di riferimento o la definita sessione plenaria del 16° Comitato Centrale del Partito
zione del coefficiente di riserva obbligatoria sui depositi, e
Comunista Cinese con l’obiettivo di delineare le linee
che può anche far ricorso a misure di tipo amministrativo
guida su cui basare la formulazione del prossimo 11°
per influenzare le concessioni del credito. La politica
Piano Quinquennale (2006-2010). I partecipanti ai lavomonetaria nel primo semestre del 2005 è stata restrittiva
ri, diretti dal Politburo, sono stati i 354 membri del
e continuerà molto probabilmente ad esserlo anche per
Comitato Centrale. Hu Jintao, in veste di segretario
tutto il resto dell’anno. Nell’ottobre del 2004 la People’s
generale del Partito, ha presieduto l’incontro; il premier
Bank of China ha innalzato i tassi di interesse su prestiti e
Wen Jiabao ha spiegato le proposte per il piano quindepositi, ma il rallentamento dell’inflazione all’inizio del
quennale 2006-2011, che a detta di molti analisti por2005 non ha reso necessarie ulteriori variazioni del costo
terà cambiamenti rivoluzionari nella strategia di crescita
del denaro. Nel marzo del 2005 è stato deciso l’aumento
cinese. La sessione plenaria è terminata martedì 11 ottoanche dei tassi sui mutui ipotecari, provvedimento che si
bre.
affianca ad altre misure, anche di natura amministrativa,
Le linee guida concordate, che andranno poi discusse
precedentemente intraprese per cercare di controllare la
nei loro contenuti specifici all’Assemblea nazionale del
crescita del settore immobiliare, drogata dal progressivo
popolo del marzo 2006, si riassumono nel “concetto di
diffondersi di comportamenti speculativi.
sviluppo scientifico”. Il concetto di sviluppo scientifico
Il 21 luglio 2005, con una decisione molto attesa dagli
significa sostanzialmente l’adesione ad uno schema di
osservatori internazionali, ma giunta inaspettata per il
sviluppo economico sistematico, sostenibile e che rivolga
tempo e le modalità, la Banca centrale cinese ha annunpiù attenzione alle aree depresse e alle zone interne.
ciato di voler riformare il tasso di cambio dello yuan svinL’idea fu introdotta due anni fa dal premier Hu Jintao e
colandolo dal cambio fisso sul dollaro americano e pasracchiude in sé lo spirito delle politiche da lui promosse
sando a un regime di fluttuazione dei cambi basato su
nel tentativo di ridurre le crescenti disparità interne, il
domanda e offerta del mercato con riferimento a un
deterioramento ambientale e il sovrasfruttamento delle
paniere di valute, la cui composizione è stata specificata
risorse naturali. Il concetto riflette una strategia politica
solo un mese più tardi. Nel paniere di monete usato per
che mette al centro gli interessi ed i bisogni della gente,
fissare il cambio dello yuan è stata immediatamente notamirando ad uno sviluppo coordinato e soprattutto sosteta un forte presenza di altre valute asiatiche ad iniziare da
nibile, e si presenta come “teoria-guida per la realizzazioquella del Sud Corea.
ne di una società armoniosa (“China Daily”, 11 ottobre
A fine settembre 2005, la Banca centrale ha nuovamen2005). Questa “società armoniosa” deve essere carattete sorpreso il mondo annunciando di usare due ‘bande di
rizzata da una maggiore democrazia socialista (con più
oscillazione’ dello yuan: la prima banda, dell1’5%, riguarda
trasparenza nei processi decisionali, riconoscimenti chiail rapporto con il dollaro americano, la seconda banda, del
ri delle responsabilità dei ruoli, incentivi ai leader a
3%, riguarda l’Euro. La ‘fissazione’ cinese di quel rapporto
rispondere alle richieste della gente), un maggior ruolo
di cambio ha anche un altro significato: in passato, l’emerper la legalità e la difesa della giustizia e della stabilità
gere del ruolo dello yen giapponese fu affrontato con il
sociale.
famoso accordo al Plaza Hotel. L’accordo ovviamente fu
I prossimi cinque anni saranno cruciali per la modernizguidato dagli Stati Uniti, allora potenza leader incontrastazazione della Cina dal momento che il gruppo dirigente
ta del ”mondo libero”.
del partito comunista sembra sì intenOggi la Cina tende a farsi in casa il pro- “I prossimi cinque anni saranno zionato a proseguire ed incentivare
prio “Plaza”, a condizionare cioè, secon- cruciali per la modernizzazione una crescita economica a ritmi sostedo i propri interessi nazionali, i rapporti di della Cina. Il pericolo di scontri nuti (rimane fisso l’obiettivo di radcambio internazionali, lasciandosi anche sociali”
doppiare l’output tra il 2000 e il
notevoli margini di libertà nella futura fis2010), ma sta cercando di virare da
sazione delle bande di oscillazione. Pechino da sempre usa
una linea di sviluppo estensivo ad una di sviluppo scienla politica monetaria non solo come strumento di governo
tifico. Il Comitato centrale del partito è consapevole dei
dell’economia, ma anche come strategia di potenza internamolti problemi portati dal modello di sviluppo adottato
zionale. Il ruolo, crescente, della Cina nel panorama asiatico
per 27 anni, dall’avvio delle riforme nel 1978 ad opera
e mondiale è sempre più correlato con la politica del camdi Deng Xiaoping, e nella leadership si è col tempo
bio dello yuan: lo yuan è diventato, proprio grazie alle
accresciuta l’attenzione ai problemi sociali nel paese. La
manovre di cambio di Pechino, la moneta di “riferimento”
sensibilità del gruppo dirigente è accresciuta dall’
della nuova area economica asiatica in fase nascente.
aumento del numero delle proteste popolari negli anni
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‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
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passati, le cui ragioni di fondo vanno dall’inquinamento
famiglie totali) possiedono meno del 2% delle proprietà
dell’aria e dei terreni degli agricoltori alle disfunzioni del
totali detenute dai residenti in Cina, mentre le famiglie
sistema sanitario. Alcuni economisti hanno di fatto ossercon il reddito più alto (il 10% che hanno il reddito più
vato che la Cina sta attraversando uno stadio economielevato) ne possiedono il 40% (statistiche governative,
co nel quale è facile che una consistente parte della
dati riportati da Xinhua Agency). Il numero delle persopopolazione sia lasciata indietro, aumentando il pericolo
ne che vivono in povertà, con un reddito pro capite
di sommosse ed agitazioni. L’economia cinese si è finora
annuo inferiore a 668 yuan (circa 81 $), nel 2004 era di
basata molto sulla manifattura labour-intensive e a basso
26 milioni. La strategia di crescita fin qui seguita ha
valore aggiunto, diretta soprattutto all’esportazione
posto poi particolare attenzione alle zone costiere, creanverso paesi più avanzati, utilizzando in maniera intensiva
do una preoccupante differenza di reddito e di tenore di
le sue risorse naturali e la sua abbondante forza lavoro.
vita tra le varie zone del paese, soprattutto tra zone urbaUn surriscaldamento degli investimenti ha esposto il
ne e zone rurali. Finché anche il reddito delle zone agripaese ai danni del modello di sviluppo “classico”, il che
cole non salirà, sarà molto difficile per la Cina manteneora ha reso più urgente il passaggio ad uno sviluppo
re il tasso di crescita del 9% circa anche in futuro.
scientifico.
Fin dagli anni precedenti l’apertura al mercato dell’eIl comunicato ufficiale riferisce testualmente:
conomia cinese, le politiche del governo hanno dedica“promuovere lo sviluppo economico e migliorare la
to molta attenzione allo sviluppo delle città, trascurando
qualità della vita delle persone sono sempre stati l’obietil più delle volte le esigenze delle zone rurali. Le tecniche
tivo primario della Cina...(l’obiettivo deve essere raggiunagricole impiegate in Cina sono ancora molto arretrate.
to) ottimizzando la struttura, migliorando l’efficienza e
Le campagne soffrono inoltre di un eccesso di popolariducendo il consumo energetico”. E
“Le politiche del governo zione. Inoltre, vanno crescendo le
ancora: “abbiamo bisogno di porre
disuguaglianze imputabili ai differenti
una maggior enfasi sull’equità sociale, hanno dedicato molta atten- tassi di sviluppo delle diverse regioni
di incrementare gli sforzi nel livellare zione allo sviluppo delle città, del paese. In particolare, il reddito
la distribuzione del reddito e cercare trascurando il più delle volte le delle regioni costiere orientali sta
di contenere la tendenza alla crescita esigenze delle zone rurali”.
distaccandosi sempre più da quello
della divergenza dei livelli di reddito
delle regioni centrali e soprattutto di
tra le regioni e le parti sociali”.
quelle occidentali. Le differenti province cinesi hanno
Si sottolinea anche la necessità di rafforzare la protezioinfatti beneficiato in modo diverso della crescita econone ambientale e di predisporre uno schema di riferimenmica e alle zone costiere maggiormente sviluppate e con
to per i consumi energetici, per aumentarne l’efficienza,
un PIL più elevato si contrappongono quelle interne e
due riforme strettamente correlate con la capacità di
più occidentali ancora caratterizzate da una scarsa vitamantenere alti ritmi di crescita in futuro; emerge anche
lità e da uno sviluppo limitato. In quest’ultime, soprattutl’urgenza di migliorare il sistema di sicurezza sociale e
to, lo sviluppo delle zone più avanzate del paese appare
quello sanitario e di accrescere il livello di reddito delle
lontano dall’essere conseguito. Il governo centrale si è
fasce più povere della popolazione.
però reso conto del problema e sta implementando una
I tre pilastri dello sviluppo scientifico che guideranno la
serie di politiche (molte delle quali vanno sotto il nome
formulazione dell’11° piano quinquennale sono espressi
di Go West Policy) volte a mantenere l’Ovest del paese al
in tre formule.
passo, per quanto possibile, con lo sviluppo del resto del
paese. La crescente diseguaglianza tra le diverse aree del
1. Dall’“arricchirsi è giusto” alla “prosperità
paese e tra la popolazione urbana e quella rurale rapprecondivisa”
senta secondo molti una sfida alla sostenibilità dello sviluppo.
La teoria dell’”arricchirsi è giusto”, proposta da Deng
Xiaoping alla fine degli anni Settanta, lascia il posto al
perseguimento della “comune prosperità”, nel tentativo
di ridimensionare il divario tra ricchi e poveri e di evitare
una rischiosa polarizzazione sociale. Il bilanciamento dell’economia di mercato e la ricerca dell’egualitarismo tornano quindi alla base della direzione della crescita. La
rapida crescita cinese ha fatto uscire dalla povertà e dalla
costrizione alimentare buona parte della popolazione,
ma ha portato con sé una nuova serie di problemi che si
sono ingranditi nel tempo. Le famiglie con il reddito più
basso (il 10% delle famiglie con il reddito più basso sulle
I
REDDITI RURALI E QUELLI URBANI
Nel marzo 2004, in occasione della sessione annuale
dell’Assemblea nazionale, il premier Wen Jiabao ha sottolineato il problema del crescente divario tra i redditi
rurali e quelli urbani. Il premier Wen Jiabao ha promesso
di tagliare un punto percentuale ogni anno alle tasse per
i contadini, fino alla loro completa eliminazione nel
2009, di accrescere gli investimenti nell’economia rurale
di oltre il 20% (vale a dire di 3,6 miliardi di dollari) e di
dare sussidi diretti agli agricoltori per un ammontare di
1,2 miliardi di dollari. Il premier Wen ha indicato l’obiet-
workers" (xiagang), cioè i lavoratori dismessi dalle SOEs
ma che mantengono alcuni benefici dall'azienda d'appartenenza. Sono una categoria relativamente privilegiata, che riceve un sussidio base e l'assistenza sanitaria. I
lavoratori dismessi (xiagang) con questi benefici devono
rispondere a tre requisiti: a) aver lavorato in azienda
prima del 1986, anno di istituzione del sistema a contratto, b) non avere altri lavori, c) restare a disposizione dell'azienda. Se si aggiunge il numero di laid-off workers a
quello dei disoccupati veri e propri, la disoccupazione sale
all'8,4%. Vi sono inoltre alcune SOEs che non sono state
dichiarate ufficialmente in bancarotta, per il ruolo strategico che rivestono nell'economia cinese, ma sono comunque inattive: i loro lavoratori non rientrano in nessuna
categoria di disoccupati. Infine, dobbiamo ricordare che
ogni anno entrano nel mercato del lavoro da 10 a 13
milioni di giovani. Nel prossimo futuro, si prevede un crescente impatto della disoccupazione sulla stabilità sociale
del paese, se il mercato del lavoro non riuscirà a riassorbire almeno metà dei lavoratori dismessi dalle SOEs.
2. Dal “crescere ad ogni costo” allo “sviluppo
sostenibile”
L’undicesimo piano quinquennale conterrà il riconoscimento che crescita economica non equivale a sviluppo
economico. La leadership cinese si rende conto che
senza modificare il concetto di crescita l’economia rischia
di svilupparsi in maniera squilibrata e cerca quindi di dirigersi verso un nuovo modello di sviluppo, dipendente
più dal livello di progresso tecnologico e dall’innovazione piuttosto che dalle risorse naturali e dalla forza lavoro per la crescita. La ricerca miope della crescita economica a tutti i costi ha portato ad investimenti forsennati
e a conseguenti gravi danni ambientali. L’eccesso di
investimenti in acciaio e produzione energetica ha condotto ad un utilizzo spesso inefficiente delle risorse,
facendone aumentare velocemente i prezzi e portando
ad un rapido degrado ambientale di fiumi, laghi e città.
La crescita cinese dal 1979 al 2004 è stata del 9,4%
annuo, portando il suo GDP all’attuale 4% del GDP mondiale, mentre il suo consumo di acqua corrisponde al
15% del consumo mondiale, quello dell’acciaio al 28% e
quello del cemento al 50% del consumo totale mondiale. Istituzioni internazionali sui consumi e la produzione
energetica hanno stimato che tra il 2002 e il 2030 circa
il 21% dell’incremento mondiale di domanda energetica
proverrà dalla sola Cina; pertanto l’efficienza nell’utilizzo
delle risorse deve aumentare e il tasso di utilizzo di energia totale (consumo di energia in relazione al GDP) deve
essere ridotto del 20% rispetto al 2005.
Ulteriore sfida alla sostenibilità dello sviluppo cinese è
l’aumento dei vincoli derivanti dai problemi ambientali e
dalla crescente domanda energetica che sta aumentando la dipendenza dalle importazioni soprattutto di greg-
GLOBAL COMPETITION
tivo di crescita del PIL che il governo si pone per il prossimo biennio di circa il 7%, sensibilmente inferiore al 9,1%
conseguito nel 2003. Il governo vuole evitare che l’economia si surriscaldi eccessivamente. Gli investimenti nelle
aree rurali possono contribuire a distogliere alcune risorse
dalle zone del paese che corrono di più. Molti osservatori, compreso il governo centrale, stimano infatti che una
crescita annuale del 7% sia indispensabile per mantenere
il problema della disoccupazione sotto controllo creando
un numero adeguato di nuovi posti di lavoro.
Tra le questioni ancora aperte vi è il completamento
della riforma delle aziende di stato (SOEs). Fin dal 1995
il governo cinese ha cercato una soluzione per le imprese statali. La definizione di una strategia per le SOEs era
chiara nelle sue linee fondamentali: ristrutturare la totalità del settore, tralasciare le piccole aziende per concentrare l’attenzione su quelle medio-grandi, fare di circa
1000 tra quelle di grandi dimensioni delle vere e proprie
conglomerate, vendere, chiudere od operare fusioni ed
acquisizioni per quello che riguarda la maggior parte
delle piccole e medie imprese. Il progetto di riforma partiva dalla considerazione che soltanto 500 SOEs avevano
un peso rilevante sulle entrate dello Stato e di esse solo
50 erano in forte perdita. Il loro risanamento doveva
essere inizialmente completato entro il 1998. Tutte le
altre SOEs dovevano essere semi-privatizzate, tramite un
azionariato collettivo dei dipendenti, o dichiarate in bancarotta. Per le aziende statali di piccole dimensioni era
prevista l’acquisizione da parte di aziende più grandi, o
la cessione a privati.
Prima delle riforme, il settore industriale era dominato
dalle SOEs. Queste erano assai inefficienti, ma garantivano un’occupazione sicura ai loro dipendenti e fornivano
loro una rete di servizi sociali molto estesa. Oggi le SOEs
hanno un ruolo molto minore nell’economia cinese.
Molte chiudono, alcune sono state privatizzate, altre lo
saranno. Tutte devono adeguarsi alle esigenze della concorrenza e dell’economia di mercato. Questo ha determinato il licenziamento di molti lavoratori: la disoccupazione ufficialmente si aggira intorno al 4,5%, ma questo
dato è poco affidabile, anche perché la definizione di
“disoccupazione” adottata dalle autorità è assai restrittiva. Secondo “The Economist” (21 agosto 2004) sono
almeno 15 milioni disoccupati nelle grandi città e 150
milioni i disoccupati o sottoccupati nelle campagne.
In Cina, esistono oggi diverse categorie di persone
senza lavoro, trattate tra loro in modo differente (a differenti categorie continuano ad essere erogate differenti
prestazioni, solo alcune godono d’assistenza sociale).
Questo contribuisce ad evitare che si formi un gruppo
sociale coeso, che condivida le stesse rivendicazioni e
possa risultare socialmente destabilizzante. Vi sono diversi modi per indicare le categorie di disoccupati. Ad esempio, il termine disoccupati urbani (shiye), che usa l'ufficio
statistico di Pechino, non include i cosidetti "laid-off
2 - 2006
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
7
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
GLOBAL COMPETITION
2 - 2006
gio, in particolare per la scarsità di risorse energetiche e
la necessità di ridurre l'inquinamento atmosferico.
L’utilizzo massiccio di combustibili fossili, quali il carbone,
ha aumentato velocemente le emissioni di biossido di
carbonio (CO2) che sono cresciute più del doppio rispetto alla media mondiale. La Cina ed il Giappone sono
rispettivamente il primo e il secondo emettitore di CO2
nella regione asiatica. Inoltre, la maggior parte delle
grandi città cinesi superano, di almeno tre volte, il limite
massimo fissato dall’Organizzazione Mondiale per la
Sanità (OMS) per quanto riguarda la concentrazione di
polveri sottili e di biossido di zolfo (SO2). In Cina, ceneri
e polveri sottili derivanti dalla combustione del carbone
sono responsabili di 50.000 morti premature e 400.000
nuovi casi di bronchiti croniche all’anno in solo 11 delle
città principali.
8
Ciò provoca forti tensioni sui mercati mondiali di tali
materie prime, causandone notevoli innalzamenti del
prezzo. In parte, una dinamica del genere concorre
anche a spiegare il recente aumento del prezzo del
petrolio sul mercato mondiale. Pechino deve anche continuare a sostenere l’espansione economica verso l’estero e la crescita del commercio, creando delle imprese
davvero internazionalmente competitive.
3. Dall’aumento dell’età media alle riforme
sociali
La Cina si sta arricchendo, ma sta anche invecchiando.
Secondo le Nazioni Unite, nel 2040 ci saranno due abitanti in età lavorativa per ogni cittadino più vecchio di
60 anni. Nel 2000, il rapporto era di 6,4 a 1. Per di più,
la fine del ruolo delle imprese statali (SOEs) e delle altre
L’INQUINAMENTO DELLE ACQUE
aziende pubbliche quali fornitrici dei servizi sociali richiede la creazione di un sistema pensionistico alternativo,
Il problema forse più urgente è quello dell’inquinaper ora di fatto assente (Weber, 2004). Per quanto
mento delle acque. La Cina dispone di risorse idriche
riguarda il sistema pensionistico, occorre ricordare che le
scarse, in rapporto alla popolazione, e concentrate nel
pensioni statali coprivano solo i dipendenti statali e comsud del paese. Non può permettersi di rendere inutilizzaprendevano una quota mensile, un sussidio per l'acquibile a causa dell’inquinamento il poco che ha: già sono
sto del grano, un sussidio per le spese di altre derrate ali600 milioni i cinesi che dispongono di risorse idriche
mentari ed un sussidio per le spese funerarie. I progetti
troppo inquinate. Altro gravissimo problema è l’inquinadi riforma, ancora in discussione, pongono l'enfasi sulla
mento dell’aria. Si stima che ogni anno muoiano premacreazione di un sistema pensionistico adatto ad una ecoturamente 300.000 persone per malattie all’apparato
nomia di mercato e sul fatto che la responsabilità per la
respiratorio dovute alla pessima qualità dell’aria che
raccolta dei fondi pensione debba essere suddivisa tra
respirano. Causa principale di tale situazione è l’impiego
stato, imprese e singoli individui. Con questo obiettivo il
del carbone quale principale fonte per la produzione di
governo ha incentivato la popolazione ad aderire ai pacenergia (le centrali a carbone forniscono il 70% dell’echetti offerti da numerose assicurazioni private, di cui
nergia; in America è il 50%) e per il
alcune straniere, che propongono sia
riscaldamento delle abitazioni private.
assicurazioni sulla vita che sanitarie e
Un quarto del paese subisce piogge “Il problema forse più urgente fondi pensione integrativi. È ora in
è quello dell’inquinamento discussione un progetto di riforma
acide.
Ma ci sono segnali incoraggianti: il delle acque. La Cina dispone che crei un sistema adatto a una ecogoverno si è reso conto del problema di risorse idriche scarse, in rap- nomia di mercato e che suddivida il
e comincia ad agire, le spese destinareperimento delle risorse tra lavoratoporto alla popolazione”.
te alla protezione ambientale sono in
ri, imprese e Stato. Sono ora presenti
sensibile aumento, il trend di crescensul mercato le prime assicurazioni
te deforestazione è stato invertito, si iniziano a emettere
(anche straniere) in grado di fornire una pensione inteprovvedimenti giudiziari contro chi viola le norme sulla
grativa e sono stati introdotti incentivi affinché i lavoratori
tutela dell’ambiente. Le emissioni di alcune sostanze
le sottoscrivano, ma ancora la loro diffusione è limitata.
inquinanti già stanno riducendosi. Un’agenzia nazionaIn secondo luogo, la ristrutturazione di un sistema
le, la State Environmental Protection Administration
sanitario nazionale che non solo non è in grado di sod(SEPA), è incaricata della tutela dell’ambiente. La SEPA
disfare le esigenze di una popolazione che invecchia, ma
soffre tuttavia di fondi e organici limitati. I suoi uffici sul
che, per il momento, non raggiunge quella parte della
territorio sono spesso ancora poco efficaci, a causa delpopolazione che vive nelle zone rurali. Molti sono i prol’intralcio opposto dalle amministrazioni locali e della
blemi che affliggono la sanità in Cina. Innanzitutto un
scarsa indipendenza effettiva da queste ultime degli uffiaccesso iniquo agli schemi di previdenza sociale che
ci teoricamente dipendenti dalla SEPA.
vedono le fasce più povere della popolazione residenti
Per sostenere la crescita economica, la Cina necessita
nelle zone agricole praticamente sprovviste di qualsiasi
di quantitativi sempre maggiori di materie prime, che in
tipo di assistenza. La sanità cinese ha subito un’evoluziomolti casi non possono essere reperiti in territorio cinese.
ne parallela al resto del sistema economico: nel periodo
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
GLOBAL COMPETITION
to una classifica dei sistemi sanitari di 191 paesi: quello
cinese è stato classificato centoquarantaquattresimo, dietro ai sistemi sanitari di molti paesi africani. Notevolissima
è la disparità geografica: mentre gli indicatori delle zone
orientali più avanzate e prospere, come Shanghai, sono
in linea con gli standard occidentali, le zone più povere,
cioè quelle occidentali, si trovano in una situazione in
continuo deterioramento. Secondo alcuni osservatori, è
possibile che, nell’Ovest, l’aspettativa di vita stia calando
IL SISTEMA SANITARIO
perchè i vaccini sono ora a carico dei genitori, e alcuni
bambini non li ricevono più. Stanno anche pericolosaNel corso degli anni Ottanta, a seguito dell'inizio delle
mente ritornando tubercolosi e morbillo. La diffusione
riforme economiche, le risorse della sanità cinese sono
dell’AIDS è motivo di profonda preoccupazione. La Cina
state indirizzate verso la costruzione di ospedali in zone
ritiene che al momento ci siano un milione di cittadini
urbane e i residenti nelle zone rurali hanno cercato cure
portatori del virus. Secondo l’OMS, questo numero
negli ospedali in città. È aumentata in questo periodo la
potrebbe decuplicare entro la fine del decennio.
diseguaglianza dei servizi tra zone ricche e povere e la
Un secondo problema è costituito invece dall'aumento
prevenzione è stata trascurata. La maggior parte dei resicostante delle spese sanitarie che sono cresciute, in terdenti rurali non riceveva alcuna
mini reali, ad una media dell’11% a
forma di assistenza medica dopo il “Il sistema sanitario è arretra- partire dal 1986. Per ridurre le spese
collasso del sistema agricolo colletti- to, superato da quelli di sanitaria, il governo cinese ha avviato,
vo; inoltre nelle zone urbane l’assicu- molti paesi africani. Lo svilup- a partire dal 1996, una graduale privarazione sanitaria non copriva i disoc- po della ricerca scientifica e tizzazione della sanità sia ospedaliera
cupati, i lavoratori emigrati dalle camche ambulatoriale, introducendo sistetecnologica”.
pagne (ca 20 per cento della popolami di assicurazione privata. Misure
zione di Pechino, e di più a Shenzhen). Durante il perionecessarie a ridurre le spese ma che hanno disincentivado dengista, il governo oscillava tra la volontà di tornato il ricorso alle strutture sanitarie da parte della popolare a forme di assistenza collettiva e la ricerca di nuove
zione più povera. Con il frantumarsi infatti dei cooperative medical systems messi in piedi dall'economia pianiricette assistenziali, dovute alla scarsità di fondi. Gli ospeficata e con l'aumento dei costi per le spese mediche,
dali furono largamente costretti ad autofinanziarsi, censono sempre di più i cinesi che non possono permettertrando su servizi redditizi. Nel 1997, il governo decise
si le necessarie cure mediche.
drastiche riforme: introdurre forme di assicurazione
medica per i dipendenti di tutti settori. Nel 2000, in vista
Il comunicato, approvato l’11 ottobre 2005, riconosce
dell'entrata della Cina nella WTO, la nuova legislazione
l’esistenza del rischio di conflitti interni dovuti alla situapermette anche la creazione di joint-venture sino-estere
zione sociale. Il nuovo Piano Quinquennale sosterrà
(equity, co-operative ma non contractual) nelle istituzioni
molto i servizi sociali per appianare gli squilibri causati
mediche.
dallo sviluppo economico. La leadership cinese si è
Il sistema sanitario è una delle principali vittime dei credimostrata ormai consapevole dell’urgenza di risolvere la
scenti deficit di bilancio: le tasse riscosse dal governo cordicotomia tra una forte crescita economica e un debole
rispondono solo al 18% del Pil. In vent’anni, la quota
progresso sociale. Il problema è particolarmente serio
nelle aree rurali, dove i sistemi sanitari e di welfare sono
della spesa sanitaria coperta dal governo centrale s’è
molto deboli. Anche la qualità delle abitazioni, dell’eduall’incirca dimezzata: oggi, il governo centrale copre
cazione, della salute pubblica e dell’ambiente dovrà
meno del 40% delle spese complessive per la salute. Gli
essere aumentata considerevolmente. Si prevede che
stessi ospedali pubblici ricevono dallo Stato appena il
tutti bambini nelle aree rurali saranno in grado di riceve10% dei loro fondi. Ospedali e cliniche chiedono quindi
re 9 anni di istruzione primaria gratuita entro i prossimi
ai privati pagamenti sempre maggiori, e molti cittadini
anni, alleggerendo notevolmente il bilancio familiare.
non possono affatto permetterseli, o devono pesante“Nei prossimi cinque anni la Cina enfatizzerà la ricerca
mente indebitarsi (la diffusione delle assicurazioni sanitascientifica e tecnologica, le politiche per la salute e l’edurie è ancora minima, specialmente all’infuori delle città:
cazione”, riferisce alla Xinhua Agency il 12 ottobre 2005
nelle campagne, il 90% della popolazione non ha alcuDing Yuanzhu, ricercatore economico per la National
na copertura sanitaria; nelle città, il 60%). Le incertezze
Development and Reform Commission. Nelle aree urbasulle spese sanitarie sono, insieme ai costi per l’educazione il problema sociale maggiore è ancora rappresentato
ne, uno dei motivi dell’alto tasso di risparmio cinese
dalla disoccupazione; il dato del 4,2% come tasso di disoc(superiore in media al 40% del reddito).
cupazione urbana nel 2004 sottostima fortemente la graL’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stila-
2 - 2006
maoista (1949-76) vigeva il collettivismo, nel periodo
dengista (1979-97) si sono messe in atto le prime riforme, nel periodo post-dengista (1997-2003) si è proceduto ad una drastica privatizzazione. Durante il maoismo,
il governo decise di concentrare le politiche sanitarie
verso le zone rurali. Il sistema si basava sull’agricoltura
collettiva, era gratuito e veniva finanziato da “communal
welfare funds”.
9
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
vità della situazione reale. Cao Xin, professore al
Dipartimento Economico della Central Party School, ha
dichiarato al “China Daily”: “la crescita economica del futuro sarà di alta qualità, sostenibile e graverà meno sull’ambiente. La Cina sta rivedendo il suo modello di sviluppo”.
GLOBAL COMPETITION
2 - 2006
PECHINO
10
INIZIA A PARLARE DI DEMOCRAZIA…
Mercoledì 19 ottobre 2005 il governo di Pechino ha
pubblicato il primo libro bianco sulla democrazia, dal
titolo “La costruzione della democrazia politica” (The building of political democracy). Il primo libro bianco presenta un dettagliato resoconto dell’avvio, dello sviluppo e
delle caratteristiche della “democrazia politica socialista”,
ma mette anche a fuoco i problemi ancora da superare
e i passi principali che le prossime riforme dovranno
intraprendere. Il libro bianco afferma che nei trascorsi
vent’anni la Cina ha molto migliorato il suo sistema politico e l’amministrazione, e rafforzato la protezione dei
gruppi sociali più svantaggiati.
Il libro è piuttosto lungo: si compone di dieci capitoli,
una prefazione e una conclusione. I capitoli toccano i
diversi aspetti del tema della democrazia: il ruolo del
Partito nel rendere realmente il popolo padrone dello
Stato, l’analisi del sistema di governo, il sistema multi-partito, le autonomie regionali etniche, la democrazia rappresentativa delle elezioni a livello di villaggio, la difesa e
la tutela dei diritti umani, il ruolo delle leggi.
Nel primo capitolo del libro, dal significativo titolo
“Una scelta adatta alle caratteristiche cinesi” si ripete con
enfasi che la democrazia cinese è una democrazia del
popolo sotto la guida del Partito Comunista Cinese, in
cui la maggior parte del popolo è padrone dello Stato, è
una democrazia garantita dalla dittatura democratica del
popolo ed è una democrazia in cui il centralismo democratico è il principio alla base dell’organizzazione e del
modo di operare. Il resto del testo è una dettagliata rassegna dei risultati conseguiti in diversi ambiti nel proces-
so di edificazione di un sistema politico democratico
socialista: il sistema di governo, il sistema di cooperazione multi-partitica sotto la guida del PCC, il sistema delle
autonomie regionali per le minoranze etniche hanno
avuto dei continui miglioramenti. La garanzia dei diritti
democratici popolari è aumentata molto ed il capitolo
sesto (“Democrazia popolare nelle aree urbane e rurali”)
fa esplicito riferimento alle forme di democrazia diretta
rappresentate dalle elezioni popolari a livello di villaggio.
Il capitolo settimo (“Rispetto e salvaguardia dei diritti
umani”) è interamente dedicato al tema dei diritti umani:
“(…) Il popolo può godere di ampi diritti e libertà nei limiti della legge e questo è un presupposto intrinseco per
lo sviluppo della democrazia socialista.”
Nel marzo 2004 è stato approvato un emendamento
alla Costituzione che recita: “Lo stato rispetta e salvaguardia i diritti umani”, segnando così un passo avanti nel
progresso in materia da parte della Cina.
Un altro aspetto che emerge è l’attenzione all’accresciuto ruolo delle leggi e della legalità: “i principali aspetti della
politica, dell’economia, della cultura e della società cinese
sono ora regolati dalla legge”. Viene riconosciuta anche
l’esistenza di corruzione a livello locale e la necessità di
valorizzare il concetto di democrazia e di legalità, come
anche “deve essere aumentata la partecipazione politica
dei cittadini in maniera sistematica e regolare.” La grande
questione del XXI secolo è quella della democrazia, o
meglio della democratizzazione, dell’Impero di Mezzo.
Dalla ‘soluzione’ che Pechino troverà dipende anche l’assetto del futuro mondo globalizzato. Si tratta, cioè, della
‘questione delle questioni’. Basta leggere i giornali un
momento: i fatti di questi giorni, da Harbin alle miniere di
carbone dove continuano a morire come mosche gli operai cinesi, riprongono con estrema forza la questione della
trasparenza e quindi della democrazia e dello stato di diritto nell’Impero di Mezzo. Tutte le strategie che aprono le
porte del mondo alla Cina e che consentono l’apertura
cinese sono contributi positivi alla sua integrazione.
LE MOLTE RISERVE DEL DRAGONE: VIZIO O VIRTÙ?
A cura di Giovanni Ajassa e Paola Verduci - Ufficio Studi BNL
Nel 2005 la consistenza complessiva delle riserve internazionali detenute dalle autorità monetarie di tutto il pianeta ha toccato il livello più alto mai raggiunto nei 60 anni
trascorsi dalla fine del secondo conflitto mondiale: escludendo l’oro, lo stock totale alla fine del 2004 si avvicinava
a 3.900 miliardi di dollari e nella prima metà del 2005 è
ulteriormente aumentato. La corsa all’accumulazione di
riserve è trainata soprattutto dalle economie emergenti tra
le quali spicca la Cina, le cui riserve non aurifere potrebbero raggiungere i mille miliardi di dollari nel 2006. Di fatto
sette dei primi otto paesi in via di sviluppo per ammontare
di riserve sono asiatici. La parte del leone spetta alla Cina,
che dopo il Giappone è dal 1996 il secondo paese al
mondo per riserve, distaccandosi anche nettamente dai paesi
che la seguono (possiede più del doppio delle riserve del terzo
paese, che è Taiwan).
La Cina è passata negli ultimi anni da uno stato di adeguatezza delle riserve internazionali ad uno stato di relativa
eccedenza di scorte valutarie. In particolare, dal 2001 l’am-
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
ASIA EMERGENTE: RISERVE INTERNAZIONALI AL NETTO
DELL’ORO (1990-2004 in mln USS)
700,000
Cina
600,000
Taiwan
500,000
400,000
Corea del Sud
300,000
India
200,000
100,000
Hong Kong
0
montare delle riserve è letteralmente decollato, con un
incremento superiore a 4 volte quello realizzato l’anno precedente. Nei tre anni successivi al 2001 la Cina ha accantonato ogni anno riserve una volta e mezzo superiori a quelle
accantonate l’anno precedente. Nel 2004 l’aumento è stato
pari a 206 miliardi di dollari USA, superando complessivamente i 600 miliardi in valore, equivalente ad un terzo del PIL complessivo.
Le riserve di valuta estera detenute dalla Cina hanno continuato ad aumentare anche nel corso del 2005, raggiungendo a settembre 2005 i 769 miliardi di dollari USA rispetto ai 614 miliardi del 2004.
La quota delle riserve cinesi ha raggiunto il 38% delle riserve totali dei paesi asiatici, il 25% dei paesi in via di sviluppo
e il 16% delle riserve mondiali. L’ammontare attuale è quindi oggi più che sufficiente per garantire un’adeguata protezione e assicurazione da eventuali crisi. Accumulare risorse inattive serve da precauzione per fronteggiare improvvise avversità, ma allo stesso tempo imbriglia energie che
potrebbero essere più efficacemente dedicate a promuovere lo sviluppo, dato il costo-opportunità derivante dalla
rinuncia ai ritorni verosimilmente assai più elevati conseguenti ad un utilizzo maggiormente produttivo delle
medesime risorse.
Riserve internazionali al netto dell’oro e relative quote, 2004,
(in mln USS, primi 10 paesi al mondo)
2004
Riserve Quota
(%)
Giappone
Cina
Taiwan
Corea
India
Hong Kong
Russia
Singapore
Stati Uniti
Malaysia
Mondo
833.891
614.500
241.739
198.997
126.593
123.540
120.809
112.232
75.890
66.384
3.865.742
21,6
15,9
6,3
5,1
3,3
3,2
3,1
2,9
2,0
1,7
100
Fonte: FMI
GLOBAL COMPETITION
2 - 2006
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
11
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
INDIA: ‘ UN
MODELLO “VARIABILE”
CHE DA FORZA ALLA CRESCITA
L’India si delinea come un “punto caldo” della crescita mondiale nei prossimi anni.
Costringerà i paesi di vecchia industrializzazione a difficili adattamenti.
L’Autore illustra come l’India ha lasciato “il tasso di crescita indù”
ed è entrata a vele spiegate, con un suo specifico “modello”, nell’economia di mercato:
GLOBAL COMPETITION
2 - 2006
sta diventando il simbolo della globalizzazione dei servizi, dal software al turismo medico.
12
tasso di crescita indù": così venne chiamato dall'eco"Ilnomista
Raj Krishna il modesto tasso di crescita dell'e-
Qualcuno ha detto: il problema del mondo è che ci sono
circa 200 paesi ma più di 5mila etnie. E l’India è un esemconomia indiana nel trentennio che seguì l'indipendenza
pio preclaro di questi “problemi”. Non si tratta di un paese
proclamata nel 1947. Quella rassegnazione quasi mistica
facile da governare. Un economista indiano, Meghnad
a una performance insufficiente (un tasso annuo
Desai (ora Lord Desai) ha detto: “Per rimanere pacifica e
dell'1,7% nel 1950-1980 per il reddito pro-capite) ha forstabile, l’India deve essere un rumoroso pasticcio”. Non ci
tunatamente lasciato il passo a un'accelerazione, dal
sono alternative alla ricerca di un continuo e difficile con3,8% del 1980-2000 al 5-6% di questi anni.
senso, a governi di coalizione che devono comporre le
Complessi fattori culturali e riforme intelligenti hanno
domande di una società composita, divisa in 25 stati (la
gettato un paese di 1,1 miliardi di abitanti nell'area dell'erepubblica indiana è una federazione) a diversi gradi di
conomia di mercato. Mentre l'India sta diventando il simsviluppo e con una vasta autonomia in molti campi di
bolo della globalizzazione dei servizi, dal software al
governo.
turismo medico e dentario, le previsioni di crescita
L’India ha una storia millenaria – nel 2500-2000 a.C. era
hanno semmai un rischio verso l'alto. Il sub-continente
probabilmente la civiltà più avanzata del pianeta – ma è
indiano promette di essere un punto caldo della crescisolo nella seconda metà dell’Ottocento che acquistò una
ta mondiale per gli anni a venire e costringerà i paesi di
“statualità” amministrativa, come parte dell’impero inglevecchia industrializzazione a diffise, amministrata da un viceré assicili adattamenti.
stito da un consiglio di notabili
La crescita dell’economia indialocali, soggetti peraltro all’insindana, nel bene e nel male, viene da
cabile giudizio finale del rapprelontano. Ma prima vediamo alcuni
sentante della lontana casa
dati di base del sub-continente
regnante inglese. Le ragioni dello
indiano. Con l’indipendenza del
stentato “tasso di crescita indù”
1947 questo fu diviso lungo linee
menzionato all’inizio affondano le
religiose e non etniche, con il
radici nel peso di un’eredità coloPakistan musulmano a ovest e a est
niale, dove le decisioni della politiFABRIZIO GALIMBERTI
(la parte orientale del Pakistan
ca economica dipendevano da
ottenne a sua volta l’indipendenza
interessi lontani e non da una
nel 1971, acquistando il nome di
dominante preoccupazione per il
Dal 1986 editorialista de “Il Sole24Ore”.
Un’articolata esperienza di incarichi di
Bangladesh) e l’India al nord e al
benessere degli indiani. Per esemeconomista e di docente. Studi di econocentro. L’India propria, con un
pio, il viceré Lytton, che “viceremia alla Bocconi e alla Columbia
sesto della popolazione mondiale e
gnò” nel periodo 1876-80, pose il
University, insegnamento universitario a
un’estensione che ne fa il settimo
veto alla decisione del consiglio
Ferrara, economista all'Ocse (Parigi).
Capo economista della Fiat (Torino). Ha
paese più grande del mondo, è
locale (l’organo indiano di autogoricoperto anche la carica di consigliere
uno dei paesi maggiormente diververno) di mantenere i dazi sulle
economico del Ministro del Tesoro (Roma).
sificati dal punto di vista etnico.
importazioni di manufatti tessili.
anche un problema di scarsa mobilità sociale, di mancata
“fertilizzazione incrociata”, sia nel senso letterale che nel
senso metaforico dell’espressione. Per molto tempo queste rigidità hanno tenuto al guinzaglio la crescita indiana.
Il quarto fattore è anch’esso politico-sociale e sta nella
lotta per l’indipendenza. L’indipendenza, come si è detto,
fu raggiunta nel 1947, ma la lotta durava, in pratica, da
sempre (cioè da circa cent’anni prima, quando l’intero
sub-continente divenne parte – non volontaria! – dell’impero britannico). Le classi dirigenti indiane che si andavano formando avevano in cima alla lista delle priorità la
lotta per l’indipendenza e non lo sviluppo dell’economia.
Questa comprensibile scala di priorità ha fatto sì che l’economia non solo fosse scarsamente considerata ma anche
deliberatamente imbrigliata in uno statalismo a volte esasperato, come se le regole (il famoso sistema raj di licenze, per cui “tutto quello che non è permesso è proibito”)
servissero a dire all’economia: non ci dare fastidio, stai
dentro il recinto delle norme, che noi abbiamo cose più
importanti cui pensare. Il ruolo centrale di Gandhi nella
lotta per l’indipendenza ebbe un risvolto economico. La
strategia del Mahatma (il titolo di ‘Mahatma’ dato a
Gandhi vuol dire, in sanscrito, ‘Grande anima’) per sfidare la gigantesca macchina del dominio britannico fu quella di un generale boicottaggio di tutto quel ch’era inglese, dalle merci alle scuole, ai collegi, ai tribunali, ai titoli,
agli onori, e, se tutti questi boicottaggi dovessero fallire,
bisognava anche boicottare il fisco. L’economia, insomma, era chiaramente subordinata alla politica.
Questi quattro fattori hanno tenuto “sotto schiaffo” lo
sviluppo dell’economia per gran parte del dopoguerra.
Che cosa è successo di recente? Qual è stata la scintilla –
o le scintille – che hanno permesso il decollo? E quali
sono le prospettive per il futuro, sia per l’India che per i
concorrenti, presenti e potenziali, dell’economia indiana?
La scintilla della crescita
Son passati quasi due secoli e mezzo dalla pubblicazione della Ricchezza delle nazioni di Adam Smith, e gli economisti ancora non riescono a darsi compiutamente
conto delle cause della “ricchezza delle nazioni”. Perché
un paese è ricco e un altro è povero? E, soprattutto, perchè un paese povero riesce a diventare ricco e un altro
rimane povero?
Il caso dell’India è al centro di queste domande.
Guardiamo, per esempio, a questo passaggio dal recente libro di Thomas Friedman The World is Flat. L’autore
riporta un’intervista con Tarun Das, che era da lungo
tempo il direttore della ‘Confindustria’ indiana. Dopo
aver descritto con minuzia le soffocanti regole burocratiche e l’estensione della proprietà pubblica nelle imprese,
Das parla con entusiasmo delle riforme del 1991: “Cadde
il nostro Muro di Berlino” – dice Das – “e fu come aprire
lo sportello a una tigre in gabbia. Eravamo sempre anda-
GLOBAL COMPETITION
Ma questa decisione, che oggi (quando fortunatamente
domina la convinzione che la libertà degli scambi sia una
precondizione per la crescita) sarebbe considerata illuminata, fu invece una bieca subordinazione agli interessi
dell’industria manifatturiera inglese che voleva mantenere
aperti gli sbocchi ai suoi prodotti in quella che era a tutti
gli effetti una propria colonia. I dazi per l’India avevano in
ogni caso soprattutto una giustificazione fiscale: il governo della colonia aveva un disperato bisogno di entrate, in
un periodo di carestia e di disordini nel mondo agricolo
(e l’agricoltura era il 90% dell’economia!). Ma gli interessi
delle manifatture tessili inglesi ebbero la meglio.
L’argomento dell’”industria nascente” – una delle poche
eccezioni alla libertà degli scambi che possono giustificare misure protezionistiche (non il protezionismo!) – non
potè essere usato in favore dell’economia indiana.
Un secondo fattore che contribuì per molto tempo a
intralciare il cammino dell’economia indiana fu quello che
Lord Desai chiamò il “rumoroso pasticcio”, cioè la necessità di tenere continuamente a bada le tensioni sociali e
politiche che sono insite in un paese così variegato: si può
pensare a moltiplicare per venti il dualismo italiano e si
avrà una pallida idea di quello che vuol dire governare
l’India, tanto più che alle divisioni etniche si aggiungono
quelle religiose. Le fissioni di origine religiosa non furono
sanate con la cristallizzazione statuale (nel Pakistan) delle
regioni musulmane; anche nell’India rimasero delle aree
musulmane che fomentarono discriminazioni e discontenti. La “lotta continua” a livello sociale e politico ha un
prezzo, e il prezzo sta in un ambiente non favorevole
all’imprenditorialità.
Un terzo fattore di intralcio affonda nella cultura e nelle
tradizioni induistiche: il sistema delle caste non è certo di
aiuto allo sviluppo dell’economia. Ne abbiamo una vaga
idea in Occidente, dove la “casta” femminile è stata per
secoli sotto-istruita e sotto-utilizzata. Ancora oggi il tasso di
occupazione femminile in tutti i paesi è più basso di quello maschile, il che vuol dire che l’economia non utilizza
appieno le proprie potenzialità. «Mi sembra sia una semplice evidenza aritmetica: se metà della popolazione viene
tenuta indietro, la crescita è tenuta indietro». Le parole
sono di Paul Wolfowitz, il “falco” della guerra in Iraq, passato dalle stanze del Pentagono alla presidenza della
Banca mondiale. Sposato adesso a una femminista araba
(le vie del Signore sono infinite...) Paul Wolfowitz in un
recente viaggio in India ha più volte sottolineato il problema dell’emancipazione femminile come via alla crescita
economica. Gli è piaciuta molto l’immagine che gli ha
gettato in faccia una donna di Dhok Tabarak, un villaggio
pakistano: lo sviluppo è come un carro a due ruote; se
una delle ruote non gira, il carro non andrà lontano. Ma
il problema delle caste va molto al di là dell’emancipazione femminile (che è “una casta nelle caste”). Non solo vi
è un problema di sotto-istruzione e di sotto-utilizzo delle
caste deboli, a partire dai famosi “intoccabili”, ma c’è
1 - 2005
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
13
Figura 1
SVILUPPO ECONOMICO IN INDIA 1960-2000
(SCALA LOGARITMICA, 1960=1)
2.5
2
PIL/pro capite
PIL/lavoratore
1.5
TFP
1
Fonte: Bosworth and Collins (2003); PWT 6.1.
2000
1998
1994
1996
1992
1990
1988
1984
1986
1980
1982
1978
1974
1976
1972
1970
1968
1964
1966
0.5
1962
14
ti avanti crescendo al 3%, il cosidetto ‘tasso di crescita
indù’ [i tassi di crescita citati all’inizio dell’introduzione
si riferivano al reddito pro-capite, mentre qui si parla
del PIL totale] e ora siamo a tassi del 7% (Friedman,
2005, pag. 50).
L’entusiasmo di Tarun Das richiede una spiegazione
e un ammonimento. Primo, in che cosa consistevano
le riforme del 1991?
Il primo leader indiano dopo la guerra e l’indipendenza, Nehru, era un socialista fabiano che aveva
grande fede nella pianificazione, e financo presiedette l’organo incaricato di avviare i piani quinquennali.
Nehru ebbe la saggezza di tenere l’India fra i non-allineati, col risultato di avere aiuti sia dagli Stati Uniti che
dalla Russia e dal Giappone. Dopo Nehru il timone del
paese venne preso da Indira Gandhi (vedi riquadro)
che lasciò il potere (assassinata) nel 1984.
Il suo posto venne preso dal figlio Rajiv che cominciò una politica economica più liberale. Assassinato a
sua volta nel 1991, il nuovo governo ebbe come figura di punta l’attuale primo ministro, Manmohan Singh,
che, come ministro delle Finanze, diede inizio a un
programma serrato di riforme. Citando, nel suo discorso al Parlamento del 1991, Victor Hugo – “Nessuna
forza al mondo può fermare un’idea quando il tempo
è maturo” – Singh disboscò molte incrostazioni burocratiche, diede un forte taglio ai raj (licenze), semplificò il sistema fiscale, liberalizzò gli scambi riducendo i
dazi e in generale creò un ambiente più favorevole
alle imprese. Favorevole in senso buono, naturalmente, che la riduzione di dazi protettivi può non essere
favorevole per le imprese bisognose di protezione, ma
certamente stimola tutti a una maggiore efficienza. Ed
ecco spiegata la contentezza di Tarun Das menzionata poco sopra.
1960
GLOBAL COMPETITION
2 - 2006
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
Dinastie indiane
Jawaharlal Nehru fu il primo ministro dell’India
moderna, e rimase al potere dal 1947 al 1964.
Nacque nel 1889, da Motilal e Swarup Rani Nehru; la
famiglia apparteneva a una casta di bramini del
Kashmir chiamata Pandit.
Indira Gandhi, figlia di Jawaharlal Nehru, divenne
primo ministro nel 1966. Nata nel 1917, fu chiamata
Indira Priyadarshini Nehru. Da dove venne il nome di
Gandhi? Ci sono due teorie in proposito. Indira si innamorò di Feroze Khan, un amico di famiglia, e lo volle
sposare. Il padre di Feroze Khan, Nawab Khan, era un
musulmano e la madre era una persiana musulmana.
Nehru non approvava questo matrimonio inter-casta,
per ragioni politiche. Se Indira avesse sposato un
musulmano avrebbe dovuto rinunciare a diventare l’erede politica del padre. A questo punto, secondo una
versione della storia, lo stesso Mahatma Gandhi intervenne e adottò Feroze Khan, dandogli il suo nome.
Così Indira Nehru sposò Feroze (Khan) Gandhi nel
1942 e divenne Indira Gandhi, cosa che l’aiutò molto
politicamente, come figlia di Nehru – il “primo primo
ministro” dell’Unione Indiana – e nuora di Gandhi – il
padre della patria.
La seconda storia afferma invece che Feroze aveva
un padre Parsi il cui cognome era Ghandi e non
Gandhi. Fu lo stesso Mahatma Gandhi a suggerire a
Nehru di compitare come ‘Gandhi’ il cognome di
Feroze. Indira Gandhi fu eletta primo ministro nel 1966
e rimase al potere fino al 1984, a parte un breve periodo dal 1977 al 1980. Il figlio Rajiv Gandhi, che aveva
sposato l’italiana Sonia Miano, divenne primo ministro
nel 1984, dopo l’assassinio della madre a opera di una
sua stessa guardia del corpo. Rajiv rimase al governo
fino al 1989. Nel 1991, nel corso della campagna elettorale per nuove elezioni, fu assassinato da una terrorista suicida. La dinastia Nehru-Gandhi sembrava venuta al termine, dato che Sonia Gandhi declinò l’offerta
di diventare presidente del partito del Congresso (il partito di maggioranza relativa), cui avevano appartenuto
sia Indira che Rajiv. Ma nelle elezioni del 2004 Sonia
portò il partito del Congresso alla vittoria e, anche se
rifiutò di divenire primo ministro, la dinastia ha ancora
frecce al proprio arco, nei volti dei figli di Sonia e Rajiv:
il figlio Rahul (34 anni nel 2004) e la figlia Priyanka (33
anni) hanno partecipato e vinto nelle elezioni. La storia
dell’ascesa di Sonia Gandhi da una cittadina piemontese all’India moderna è una storia di amore, morte e
dinastia, che disegna la trasformazione di una donna
italiana della media borghesia in un kingmaker di una
nazione di un miliardo di abitanti.
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
Figura 2
CRESCITA DEL PIL REALE EFFETTIVA E POTENZIALE
14
12
10
8
6
4
2
0
-2
-4
4
/0
2
03
20
01
20
1 - 2005
Crescita del PIL rettificata per
le piogge
/0
0
8
/0
99
19
19
97
/9
6
4
19
95
/9
2
/9
93
19
19
91
/9
0
8
19
89
/9
6
/8
19
87
/8
4
19
85
/8
2
19
83
/8
19
81
/8
0
8
Crescita del PIL reale
Come si vede nella Figura 2, che riporta i risultati di un
dettagliato studio del Fondo monetario sul tasso di crescita potenziale dell’India, anche normalizzando il fattore meteorologico si nota un distinto scalino nella capacità di crescere dell’economia indiana a partire dagli
anni Ottanta.
Forse, allora, furono eventi esterni a favorire la crescita? Forse l’economia fu trascinata da un ambiente
esterno favorevole, che, attraverso il primum movens
delle esportazioni, innescò lo sviluppo in una economia riottosa?
Figura 3
RAGIONI DI SCAMBIO DELL’INDIA, 1960-2000
Indice, 1980=100
180
160
140
120
100
80
Tassi di crescita di settore
Fonte: Computi del personale impiegando i dati della Central Statistical Organization (CSO).
40
20
Fonte: Dani Rodrik e Arvind Subramanian
2000
1998
1996
1994
1992
1990
1988
1986
1984
1982
1980
1978
1976
1974
1972
1970
1968
0
1966
1981-1990 1991-2000
4.4
3.1
6.8
5.8
6.6
7.5
5.8
5.8
1964
Agricoltura
Industria
Servizi
PIL
1951-1980
2.1
5.3
4.5
3.5
60
1962
Crescita media (%/anno)
1960
–
79
Crescita del PIL rettificata per
le piogge, potenziale
In un saggio affascinante apparso nei
Working Papers del Fondo monetario, Dani Rodrik e
Arvinan Subramanian (Rodrik e Subramanian, 2005, passim, d’ora in poi chiamati R&A), dopo aver notato come
l’accelerazione del saggio di crescita dell’economia indiana predati quell’inizio degli anni Novanta che era la soglia
convenzionalmente indicata, cercano, da bravi detective
economici, di trovare la felix culpa che ha reso possibile
quel decollo. Una investigazione, insomma, in stile
smithiano, sulla “Natura e le cause della ricchezza delle
nazioni”. Dapprincipio, in un paese dove l’agricoltura non
solo copre ancora circa il 25% del Pil (ricordiamo che nei
grandi paesi industriali il settore agricolo non copre più
del 2-3% del Pil) ma è anche un settore strapazzato dal
clima (a causa della variabilità dei monsoni), bisogna
innanzitutto chiedersi se la marcia del Pil indiano non sia
stata scalata verso l’alto da qualche regalo meteorologico.
La Tavola 1 mostra che in effetti il settore agricolo è cresciuto più rapidamente, negli anni Ottanta, ma questo
non basta a spiegare il salto di qualità nella crescita indiana.
Tabella 1
19
19
Crescita rettificata per le piogge
potenziale media del periodo
GLOBAL COMPETITION
Il brodo di coltura
77
/7
6
4
/7
19
75
/7
73
19
71
/7
2
-6
19
Allora, furono le riforme pro-business
del 1991 a dare il via alla crescita? Per realizzare “la ricchezza delle nazioni” la ricetta giusta è quella di togliere quei pesi
regolamentari che tarpano le ali a produzione e scambi? La Figura 1 comunica
qualche dubbio in proposito.
Come si può vedere, lo slancio della
crescita cominciò ben prima delle riforme
del 1991. Sia per quel che riguarda il reddito pro-capite che la produttività del
lavoro (reddito per lavoratore) o la produttività totale dei fattori (TFP), si nota un
distinto cambio di marcia già a partire dall’inizio degli anni Ottanta. Insomma, le
riforme del 1991 hanno certamente confermato il risveglio dell’economia e
hanno permesso il mantenimento e l’accelerazione di quella tendenza, ma la tendenza positiva era cominciata già prima.
Da dove era scoccata, allora, la scintilla
della crescita?
15
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
vennero al pettine, a fine decennio, l’incombere della crisi finanziaria concentrò
INDIA: TASSO DI CAMBIO EFFETTIVO REALE, 1968–2000
gli spiriti e portò ai rimedi attuati da Singh.
Secondo questa tesi, insomma, non
5.4
c’è niente di strutturale in quello che
sembrava un “salto di qualità”: c’è solo
con sovvenzioni alle esportazioni
la vecchia storia di un’economia droga5.2
ta dai deficit, che alfine deve essere risanata con misure – quelle sì – strutturali.
5.0
Ma anche questa spiegazione non
senza sovvenzioni alle esportazioni
convince. Lo stimolo di bilancio viene
in parte perduto attraverso maggiori
4.8
importazioni che vanno a beneficiare
le economie degli altri paesi, e in parte
4.6
attiva la domanda interna. Negli anni
Ottanta il deficit con l’estero aumentò,
ma non di pari passo col deficit pubbli4.4
co, che quindi in effetti stimolò l’economia. Tuttavia, questo stimolo non basta
4.2
a spiegare l’aumento della produttività.
Lo spendere e lo spandere del bilancio
Fonte: Information notice System del FMI
pubblico mettono sì più soldi nelle
tasche dei cittadini, ma questo non
R&A esaminano la spinta esterna ma non la trovano
vuol dire che il sistema produttivo diventi più efficiente.
determinante. Anzi – e questo non fa che approfondire
La sola possibilità che questo accada sta in un permail mistero, come si conviene all’Oriente misterioso – l’amnente più alto grado di utilizzo della capacità, che di
biente esterno fu nel complesso ostile ai paesi in via di
per sé implica maggiori economie di scala e quindi un
sviluppo. Le ragioni di scambio volsero contro l’India,
aumento della produttività. Questa possibilità è stata
come si vede dalla Figura 3.
testata con una analisi che considera il grado di utilizzo
Neanche la competitività, intesa come cambio effetdelle risorse fra le variabili esplicative della produttività,
tivo reale, favorì la crescita indiana. Per gran parte
ma i risultati di R&A portano a escludere che l’aumento
degli anni Ottanta il cambio reale si mantenne elevadi produttività possa essere interamente spiegato dalla
to (Figura 4). La netta diminuzione a partire dalla
variabile di tasso di utilizzo. Rimane un grosso residuo
seconda metà degli anni Ottanta, insieme alle riforme
non spiegato, e quindi anche l’ipotesi “spinta del bilandel 1991, spiega certamente come l’India abbia pigiacio” deve essere esclusa dalle spiegazioni del “mistero
to ancora sull’acceleratore negli anni Novanta e
della transizione”, come gli autori chiamano l’improvviancora oggi, ma non spiega perché già dall’inizio
so risveglio, a partire dagli anni Ottanta, dell’economia
degli anni Ottanta l’India abbandonò il famoso e
indiana. Passiamo a un’altra possibile spiegazione. Si
modesto “tasso indù di crescita”.
trattò forse della liberalizzazione degli scambi? Sia gli
Continuiamo nella ricerca. Fu forse la politica di
studi della Banca Mondiale per quel che riguarda i
bilancio espansiva? Non dimentichiamo che quando
paesi in via di sviluppo, sia l’esperienza dei paesi induMahoman Singh pronunciò il famoso discorso nel
striali nel primo dopoguerra convergono nell’affermare
1991, scomodando Victor Hugo, una delle ragioni che
che l’apertura agli scambi è una molla potente per il
lo spinsero a far qualcosa di diverso fu il rischio della
decollo dell’economia. I dati raccolti nella Tavola 2 non
bancarotta: il bilancio dello Stato registrava un enorme
forniscono tuttavia alcuna evidenza di un significativo
deficit, pari all’8,5% del Pil, e la fiducia internazionale
miglioramento nel grado di protezione accordato all’insi andava sgretolando. Grossi deficit furono in effetti
dustria indiana nel corso degli anni Ottanta. I dati conregistrati in tutto il periodo degli anni Ottanta: il disafermano invece che una forte liberalizzazione e una
vanzo pubblico, da una media del 5% del Pil negli anni
forte diminuzione del tasso effettivo di protezione ebbeSettanta, passò al 9% circa negli anni Ottanta. Allora,
ro luogo negli anni Novanta, e certamente diedero un
furono quei disavanzi a tirare l’economia indiana?
contributo all’acceso e continuo sviluppo dell’India in
Questa rispettabile spiegazione, sostenuta da T.N.
quel periodo e fino ad oggi. Ma non è questo secondo
Srinivasan (Srinivasan e Tendulkar, 2003, passim)
slancio che ha bisogno di essere spiegato. È il primo
vede quindi gli anni Ottanta come sospinti da una
decollo del periodo 1980-1990 che deve essere dipanainsostenibile espansione di bilancio. Quando i nodi
to, e ancora non ci siamo riusciti. Andiamo avanti.
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2000
1998
1996
1994
1992
1990
1988
1986
1984
1982
1980
1978
1976
1974
1972
1970
1988
2 - 2006
Scala logaritmica
Figura 4
–
India: misure di protezione commerciale,
1980 – 2000 (in %)
Tutte le industrie
1980-85 1986-90 1991-95
Tasso di protezione effettivo medio
115.1 125.9
1996-00
80.2
40.4
Indice di copertura delle importazioni
97.6
91.6
38.0
24.8
Indice di penetrazione delle import.
10.0
11.0
12.0
16.0
Indice di protezione effettivo medio 147.0 149.2
87.6
40.1
Indice di copertura delle importazioni
98.3
98.3
41.8
27.6
Indice di penetrazione delle import.
11.0
13.0
15.0
18.0
Indice di protezione effettivo medio
62.8
78.5
54.2
33.3
Indice di copertura delle importazioni
95.1
77.2
20.5
8.2
Indice di penetrazione delle import.
12.0
12.0
12.0
19.0
Indice di protezione effettivo medio 101.5 111.6
80.6
48.3
Indice di copertura delle importazioni
98.7
87.9
45.7
33.4
Indice di penetrazione delle import.
4.0
4.0
4.0
10.0
Prodotti semilavorati
Beni strumentali
Beni strumentali
Fonte: Das (2003)
Un altro candidato alla spiegazione del “mistero” è l’investimento pubblico, specialmente infrastrutturale.
Questo possibile fattore di stimolo è diverso dalla spinta
indifferenziata che il deficit pubblico fornisce alla domanda globale (abbiamo esaminato quel fattore poco sopra):
è diverso perché in questo caso non si tratta di esaminare il contributo alla domanda che proviene dalla spesa in
investimenti pubblici, ma gli effetti di secondo ordine connessi alla maggiore efficienza che scaturisce dai miglioramenti alle infrastrutture. Come dice il solito proverbio
cinese: se volete che una regione diventi ricca, per prima
cosa costruite una strada.
Tuttavia, la conclusione è quella di prima. Analizzando
le possibili vie attraverso le quali si costruisce questo effetto di stimolo via efficienza, la conclusione è che bisogna
torturare i dati per trovare questo effetto (gli econometrici dicono: se torturate i dati abbastanza a lungo, confesseranno qualsiasi cosa!). Se l’effetto è contemporaneo o
quasi, lo stimolo è trascurabile; per avere uno stimolo
decente bisogna ipotizzare un ritardo di almeno cinque
anni fra le infrastrutture e gli effetti sull’economia.
Un altro candidato promettente per spiegare la svolta
degli anni Ottanta è la liberalizzazione interna. Cioè lo
smantellamento di quegli ostacoli allo scambio interno
che, come le gabelle comunali nell’Italia del Medioevo,
rallentavano i commerci fra gli stati dell’Unione indiana.
Non solo: la liberalizzazione interna riguardava anche
quelle che oggi si chiamerebbero le regolamentazioni nei
mercati dei prodotti, le limitazioni alla concorrenza e
financo le autorizzazioni agli investimenti privati, stretti
in una rete kafkiana di regimi restrittivi di vario genere.
Anche questa possibile spiegazione è stata analizzata
(vedi Joshi e Little, 1994, pagg. 71-72), e la ricerca di questi autori si può così riassumere, nelle loro stesse parole:
“In conclusione, la liberalizzazione nel nostro periodo
(1964-1990) consistette in poco più di una parziale deregolamentazione del sistema delle licenze, e nell’introduzione di una qualche flessibilità nel tasso di cambio.
Questi cambiamenti non furono trascurabili, e migliorarono in effetti la performance dell’economia. Ma l’ideologia
e gli interessi costituiti preclusero ogni significativo progresso nella aree più difficili della liberalizzazione degli
scambi, di quella finanziaria e nel campo delle riforme del
mercato del lavoro e delle imprese pubbliche”.
Abbiamo parlato più sopra delle benefiche politiche di
Rajiv Gandhi, volte a smantellare il sistema dei Raj. In effetti le misure del 1984 e degli anni seguenti furono positive, ma non se ne possono esagerare gli effetti: alcuni
autori (Chopra, 1995, passim, e Hasan, 1995, passim)
hanno fatto osservare come ancora nel 1991 il 60-80%
delle attività economiche continuava a soffocare sotto le
oppressive procedure per le licenze.
I detective dell’economia sono andati eliminando molti
possibili sospetti per il fatto da spiegare, ma ancora non
siamo arrivati a chiarire il perchè di quella svolta nella crescita. R&A “sospettano” (anche il loro è un sospetto perché ammettono candidamente di non avere prove conclusive ma solo indiziarie) che l’India beneficiò di un “cambiamento culturale”. La “Natura e le cause della ricchezza
delle nazioni” si rivelano ancora una volta elusive. La crescita è un fatto così complesso che anche le sue origini
possono essere complesse, e si costruiscono su una confluenza, un “brodo di coltura” in cui coesistono fattori istituzionali e culturali, psicologici e sociali; l’economia propriamente detta è trascinata da quelle confluenze, e non
viceversa.
Questo cambiamento culturale consistette in un atteggiamento più “amichevole” del governo verso il mondo
imprenditoriale, un atteggiamento che ha a sua volta
radici politiche. Indira Gandhi, tornata al potere nel 1980
dopo tre anni “sull’Aventino”, fu costretta a cambiare le
sue tendenze socialisteggianti, sentendo sul collo il fiato
grosso del partito Janata, che aveva sconfitto Indira (e il
partito del Congresso) nelle elezioni del 1977. Il partito
Janata era un partito pro-business e, benché fosse stato a
sua volta sconfitto nel 1980, il suo avvento era il simbolo
emergente di un cambiamento in profondità. Come nota
Kohli (Kohli, 1989), la retorica politica di Indira divenne
meno secolare e populista e più orientata al mercato:
“Nella cultura politica indiana i due modelli di ‘secolarismo
e socialismo’ da una parte e di ‘chauvinismo induista e
industrialismo’ dall’altra sono andati offrendo via via due
formule alternative di legittimazione per coagulare i consensi”. A partire dal 1980 Indira Gandhi spostò l’enfasi dal
primo al secondo modello.
GLOBAL COMPETITION
Tabella 2
2 - 2006
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
17
GLOBAL COMPETITION
2 - 2006
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
18
Certamente, come abbiamo visto in precedenza quando varie spiegazioni alternative sono state via via scartate,
questo “spostare l’enfasi” non ebbe grandi conseguenze
pratiche. Le misure di liberalizzazione esterna e interna
furono parziali e tardive, sia con Indira che con Rajiv, e
non emerse, come invece emerse con le riforme di Singh
nel 1991, alcun grande e coerente disegno riformista. Ma
non importa. Gli “spiriti animali” degli imprenditori avvertivano che qualcosa era cambiato, che i governanti guardavano finalmente ai produttori come ai partner di un
“sistema-paese” e non come mucche da mungere.
La risposta in termini di crescita fu netta e andò forse al
di là di quello che c’era da aspettarsi vista la timidezza di
queste prime aperture. Ma quel che giocò in favore
dell’India fu il fatto che il sub-continente indiano si trovava, nel gergo degli economisti, ben al di qua della sua
“frontiera delle possibilità di reddito”: cioè a dire, la sua
inefficienza era tale che anche piccoli miglioramenti di
clima imprenditoriale avrebbero trovato grandi possibilità
di miglioramenti nella produzione. C’erano molti frutti nei
rami bassi, frutti che erano facili da cogliere e furono colti,
portando a un insperato scatto nel tasso di crescita.
I prossimi traguardi
Proseguirà la crescita indiana? Quali sono i vantaggi
comparati dell’India? Quale il suo posto nella divisione
internazionale del lavoro?
Il fatto che il secondo paese più abitato del mondo
(oltre un miliardo di abitanti) e la più popolosa democrazia del pianeta sia entrata a vele spiegate nell’economia di
mercato è un fatto gravido di conseguenze. Specie se si
Figura 5
PREVISIONI DELLA POPOLAZIONE IN ETÀ LAVORATIVA
(% del totale)
75
70
65
65
55
2000
2005
India
2010
Cina
2015
2020
Thailandia
2025
2030
Brasile
Fonte: United Nations, Population Database
2035
2040
Indonesia
pensa che il XXI secolo vede una forza lavoro raddoppiata rispetto al secolo precedente. Con l’ingresso di Cina,
India, Russia ed Europa orientale nell’area del mercato,
l’offerta potenziale è enormemente aumentata.
Certamente è aumentata anche la domanda, effettiva e
potenziale, ma la velocità di trasferimento delle tecnologie ha fatto sì che l’offerta possa aumentare più rapidamente della domanda, e questo fatto pone un “coperchio” all’inflazione mondiale. Quando paesi a basso costo
del lavoro acquistano rapidamente una capacità manifatturiera (e non solo manifatturiera, come vedremo nel
caso dell’India), il mondo viene inondato di prodotti a
basso prezzo, e in questo contesto è difficile che le pressioni inflazionistiche, da qualunque parte provengano (il
pensiero va, naturalmente, al petrolio) possano attecchire.
La crescita indiana proseguirà, perché, passata una
certa soglia di valori e di risorse, la crescita è un fenomeno spontaneo che si autoalimenta. L’India ha un antico
lignaggio educativo, una popolazione giovane e una
forza lavoro in crescita (vedi Figura 5), un forte spirito
imprenditoriale (come testimoniano le comunità indiane
in altri paesi), un’ottima conoscenza dell’inglese, una
comoda locazione geografica, a metà strada fra
l’Atlantico e il Pacifico, e un fuso orario favorevole se volesse, come potrebbe, diventare un centro finanziario internazionale.
I vantaggi comparati dell’India sembrano attualmente
porsi più nel campo dei servizi che in quello della manifattura, dove la Cina ha conquistato teste di ponte difficilmente espugnabili. Ma i vantaggi dell’India sulla Cina –
lingua inglese e una naturale disposizione al calcolo e
all’ingegneria – hanno permesso alla prima di “inventarsi”
un’industria di servizi che va scalando le montagne del
valore aggiunto. Già da molti anni grandi
società occidentali avevano subappaltato
in India servizi come il ticketing delle compagnie aeree o le pratiche di rimborso
75
delle assicurazioni mediche, per non parlare dei call center. Ma negli ultimi anni
l’India si è posta come un partner affidabi70
le nello sviluppo del software e molte multinazionali del settore hanno affidato a
società indiane importanti commesse. Gli
65
investimenti diretti dall’estero hanno ancora molto spazio per crescere e nei vecchi
paesi industriali solo adesso, sull’onda dei
60
successi dell’outsourcing, l’immagine
dell’India comincia a imprimersi nella retina mentale degli investitori.
55
L’export di servizi è in forte crescita, e
2045
2050
quel che fa più impressione è che gli indiani si sono mostrati molto bravi a far leva sui
loro vantaggi (a cominciare dalla lingua
inglese). Per il software non si sono limitati a sviluppare programmi ma hanno salito
Figura 6
INDIA: CAMERA BASSA DEL PARLAMENTO
15%
34%
41%
11%
(un leggero declino è previsto solo a partire dal 2045). Un
declino della popolazione in età di lavoro è previsto in
Cina già a partire dal 2010, in Thailandia dal 2015, in
Brasile dal 2020, in Indonesia dal 2030, ma in India,
come detto, la demografia preme sulla crescita fino al
2045. In un passato non lontano la demografia per l’India
era un peso perché non faceva altro che moltiplicare la
povertà. L’India fece grandi sforzi per educare la popolazione al controllo delle nascite, e l’aumento del numero
degli abitanti era qualcosa da cui difendersi. Ma quando
l’economia si avvia verso il decollo e i valori del mercato e
dell’imprenditorialità cominciano a diffondersi, quando
viene più avvertita la bontà dell’istruzione, quando il
miglioramento del “capitale umano” viene considerato un
diritto da estendersi anche alle categorie finora sfavorite,
dagli “intoccabili” alle donne, allora la demografia può
diventare un alleato e non un pericolo per lo sviluppo
economico. Vi sono poi anche ragioni macroeconomiche
che fanno degli andamenti macroeconomici un fattore di
favore per lo sviluppo. Le classi di popolazione in età di
lavoro hanno una propensione al risparmio relativamente
elevata, e quindi l’investimento può essere più facilmente
finanziato dal risparmio domestico.
Naturalmente, questo aumento della popolazione è
una condizione necessaria ma non sufficiente per la crescita. L’elasticità dell’occupazione al reddito (rapporto fra
aumento percentuale dell’occupazione e aumento percentuale del prodotto interno loro) è minore di 1, e questo vuol dire, secondo i calcoli del Fondo monetario (IMF,
2005) che nei prossimi dieci anni l’India dovrà creare 145
milioni di posti di lavoro, se non vuole vedere aumentare
il tasso di disoccupazione. L’alternativa sta nell’aumento
dell’elasticità dell’occupazione, che in effetti è una possibilità non infondata: uno dei vantaggi comparati dell’India
sta nei servizi passibili di outsourcing, e, più in generale,
un’economia in espansione fa più spazio al settore terziario che, come è noto, ha una più alta intensità di lavoro.
Ma non vi è dubbio che l’India avrà bisogno non solo
di braccia e di capitali ma anche, e forse soprattutto, di
non tornare indietro sulla strada delle riforme, dell’apertura ai mercati internazionali,
dell’abbraccio dei valori di mercato. Da
questo punto di vista non mancano i
segnali di preoccupazione. Dal punto di
vista politico, potrà l’India proseguire sulla
Altri partiti regionali
strada delle riforme? Molti avanzano dubbi,
e indipendenti
dato che il governo di Manmohan Singh si
Congresso a Alleati
basa su una coalizione variegata che include il partito comunista indiano e altri partiti
Partiti di sinistra
di sinistra (Figura 6). Ma la storia insegna
che, una volta decollato, lo sviluppo economico plasma le istituzioni stesse.
BJP (partito dei
fondamentalisti indù)
Il nuovo governo è stato costituito dopo
e Alleati
faticose negoziazioni, che trovano un sorprendente parallelo in quello che potrà suc-
GLOBAL COMPETITION
un grosso scalino e hanno cominciato a offrire sul mercato interi progetti o la presa in carico di intere funzioni aziendali.
Ci sono altri segnali che indicano la sostenibilità della
recente vivace crescita. Primo, le grandi imprese appaiono aver dato inizio a un nuovo ciclo di investimenti.
Anche se i dati di contabilità nazionale ad alta frequenza
(trimestrali) non sono disponibili, si nota che i tassi di utilizzo della capacità sono alti, e che la produzione e l’importazione di beni d’investimento sono andate tenendo per
più di due anni tassi di aumento a due cifre. Inoltre, stanno aumentando rapidamente gli investimenti diretti dall’estero, che non portano solo capitali ma anche, e spesso
soprattutto, iniezioni di tecnologia e di managerialità.
Secondo, l’India si sta rapidamente integrando nelle
grandi catene di offerta regionali e globali. Le esportazioni di merci sono andate, e non da poco tempo, aumentando a tassi del 20% annuo, e le esportazioni di servizi di
software al 30 per cento. Come si confronta questa fase
di sviluppo indiano con quella di altri paesi che partivano
da condizioni simili? Andando a prendere il Giappone a
partire dal 1955, la Cina dal 1979, le NIE (New
Industrialising Economies, Taiwan, Singapore, Corea e
Hong Kong) dal 1967 e le ASEAN 4 (Indonesia, Malaysia,
Filippine e Thailandia) dal 1973 e comparando gli anni
iniziali di quelle fasi di sviluppo con quelli dell’India dell’ultimo decennio, si notano somiglianze, ma anche criticità.
Da una parte, la fase iniziale di sviluppo indiana, pur accesa, è meno forte di quella degli altri paesi. Tuttavia, la
quota dell’India negli scambi mondiali ha molto spazio
per crescere, dato che si trova allo 0,8%, al di sotto di
quelle della altre aree, che spaziavano dall’1% (per la
Cina) al 2% (per il Giappone, le NIE e le ASEAN 4).
Terzo, c’è il fattore demografico. Le proiezioni delle
Nazioni Unite danno un aumento della forzalavoro indiana per il prossimo decennio fra 75 e 110 milioni. L’India è
uno dei pochi paesi per i quali si prevede un aumento
della popolazione in età di lavoro per i prossimi 40 anni
2 - 2006
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
19
GLOBAL COMPETITION
2 - 2006
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
20
cedere in Italia se le elezioni del 2006 dovessere essere
vinte dalla variegata coalizione di centro-sinistra. I partiti
della maggioranza hanno messo assieme un Common
Minimum Program (CMP) che copre l’arco delle esigenze,
dal partito del Congresso fino all’estrema sinistra: il governo ha dietro 12 partiti, inclusi molti che rappresentano
interessi locali (cioè dei vari stati dell’Unione indiana); questi partiti coprono però solo il 40% dei seggi al
Parlamento, e il governo dipende dall’appoggio esterno
del Fronte di sinistra (il partito comunista) e di altri due
partiti minori. Il CMP ambisce ad accelerare la crescita,
ridurre la povertà, migliorare le infrastrutture ed aumentare la spesa sociale.
Il CMP sottolinea un certo numero di misure da adottare nel medio periodo per raggiungere quegli obiettivi.
Oltre alle maggiori spese per investimenti e lotta alla
povertà, vi sono incentivi agli investimenti esteri e dazi
protettivi per l’agricoltura (che beneficia anche, così
come le piccole imprese, di agevolazioni creditizie). Più
in particolare, il CMP prevede:
- Una maggiore spesa per infrastrutture, specialmente
nelle aree rurali, pari al 3-4% del Pil a regime.
- Accesso universale all’istruzione di base e alle cure
mediche di base, attraverso un graduale raddoppio
delle relative spese, fino a raggiungere (in quota di Pil) il
6% e il 2-3%, rispettivamente.
- Una garanzia di almeno 100 giorni di lavoro (a salario minimo) per almeno un componente delle famiglie
povere; il costo stimato è pari all’1% del Pil, di cui due
terzi a carico del governo centrale e un terzo a carico
degli Stati.
- Queste maggiori spese, che assommano a circa il
10% del Pil, sono finanziate da una razionalizzazione
degli attuali sussidi per l’assistenza (che oggi finiscono
spesso per dare fondi anche a chi non ne ha bisogno),
da una maggiore efficienza nella riscossione dei tributi
(leggi “lotta all’evasione”) e dall’introduzione di una
imposta sul valore aggiunto.
Non vi è dubbio che una crescita dell’8% annuo permette di soddisfare molte esigenze alla volta, ma a patto
che non vengano scalzate proprio quelle riforme – quelle liberalizzazioni e disincrostazioni burocratiche – che
hanno favorito il decollo.
Le sfide che l’India ha davanti sono immense. Un terzo
della popolazione (più di 300 milioni di persone) continua a vivere con un reddito di 1 dollaro al giorno.
Quelle spese di sostegno al reddito che il CMP descrive
come “aumentare la spesa sociale” sono quindi senz’altro necessarie. Ma la “coperta” del bilancio pubblico,
come spesso succede, è corta. L’India non è riuscita,
malgrado la crescita, a ridurre il disavanzo pubblico: da
circa 5 anni il deficit della pubblica amministrazione (che
comprende sia il governo centrale che gli Stati) si è mantenuto fra il 9 e il 10%, facendo lievitare il debito pubblico verso l’80% e passa del Pil. Nel 2004, tuttavia, l’India
si è data una regola affine al Patto di stabilità europeo:
il FBRMA (Fiscal Responsibility and Budget Management
Act) si propone per obiettivo di azzerare entro il 20082009 il disavanzo corrente del governo centrale (una
regola affine alla Golden Rule discussa in Europa) e le
prime indicazioni sul funzionamento di questa struttura
della politica di bilancio sono positive. Sia da parte della
spesa che da parte dell’entrata (con l’introduzione di
una “Iva” indiana che coordina le disordinate imposte
indirette statali) le misure di contenimento si stanno rivelando efficaci; in ciò aiutate, senza dubbio, da una crescita che continua a ritmi dell’8 per cento.
Come ha detto un economista indiano che è oggi il
Chief Economist del Fondo monetario internazionale,
Raghuram Rajan (Rajan, 2005), in un recente discorso
rivolto agli imprenditori indiani, “Vi sono dei tempi nella
vita delle nazioni, quando queste si sentono capaci di
fronteggiare ogni sfida, di realizzare ogni sogno. Se ben
incanalato, questo spirito può essere d'enorme aiuto alla
crescita”. È questo spirito che permise la crescita esplosiva di Italia e Giappone nel dopoguerra, della Corea
negli anni Settanta, della Cina di oggi, dove la città futuristica di Pudong-Shanghai è sorta in un'area che era
agricola solo dieci anni fa. Questo spirito è cruciale perché crea una mentalità che non tollera pigrizia, approssimazione, corruzione...: “Crea generazioni pronte a
sacrificare il presente – il giapponese ha una parola speciale, karoshi – e creare opportunità per i propri figli”. Ed
è questo spirito che sta percolando per l’India di oggi e
plasmerà l’India di domani.
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
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21
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
CON
QUALI AZIONI RISPONDERE
AI NUOVI ASSETTI ECONOMICI
Lo sviluppo impetuoso dell’Estremo Oriente, e in particolare della Cina,
pone a tutto l’Occidente il tema della crescita nei prossimi anni.
Si tratta in concreto di affrontare i problemi di sostenibilità industriale, ecologica, sociale
che una tale crescita determina sull’intero contesto mondiale. Analizzato lo scenario,
GLOBAL COMPETITION
2 - 2006
l’Autore osserva con specifico riferimento all’Italia: il risveglio dell’Asia esalta le nostre
22
contraddizioni interne e diviene un’opportunità per disegnare una strategia del paese,
coerente con le analisi più volte avanzate in materia di ricerca,
trasferimento tecnologico, high-education, ruolo delle università.
La crescita impetuosa dell’Estremo Oriente, ed in parlaboratorio per intendere il cammino dell’Asia, le sue
ticolare della Cina, pone a tutto l’Occidente il tema
opportunità, i suoi limiti.
della sostenibilità dello sviluppo globale. Non si tratta di
Il suo cuore è il grande delta del Fiume delle Perle,
resistere alla crescita di nuovi entranti in mercati tradiche ha al suo vertice la grande agglomerazione urbana
zionali o in comparti marginali, ma di intendere i probledi Canton e ai due estremi Hong Kong e Macao.
mi di sostenibilità industriale, ecologica, sociale che una
Ventidue anni fa tra Canton e Hong Kong venne apertale crescita determina sull’intero contesto mondiale.
ta nella cittadina di Shen Tzen la prima zona franca
Se infatti la presenza della Cina è stata finora avverticinese che, sviluppatasi in termini esponenziali, ha oggi
ta pesantemente nei settori tradizionali, in cui il nuovo
saldato le due grandi città in un unico sistema metropoentrante poteva godere dei vantaggi di prima crescita,
litano.
a partire da bassissimi costi del lavoro, la situazione si
L’uscita di scena della Gran Bretagna ha ridato una
sta facendo rapidamente più articolata, ed è proprio in
nuova centralità a Hong Kong, che penetra ogni giorno
questa nuova complessità che possono aprirsi nuovi
di più la provincia cinese non solo con la sua economia e
spazi di sviluppo per le imprese
la sua finanza ma soprattutto con
italiane.
lo stile di vita.
La rapida crescita del colosso
Il Guang Dong è cresciuto nel
cinese sta infatti generando
2004 ad una media del 15%, con
nuovi problemi di sostenibilità
un aumento del valore industriale
interna, che anche le autorità
del 23% e con una crescita delle
centrali e provinciali stanno iniesportazioni del 26%, ma anche
ziando a valutare con grande
con un aumento delle importazioattenzione e cautela.
ni del 30%. Per l’intera Cina i dati
Il caso del Guang Dong – cioè
sono un aumento del prodotto
PATRIZIO BIANCHI
della grande provincia di Canton –
interno lordo del 9.5%, del valore
diviene così rilevante. Il Guang
industriale del 17%, con esportaRettore dell’Università di Ferrara. Professore
Dong è l’area storicamente più
zioni cresciute del 35% ed importaordinario di economia applicata ed esperto di
politiche industriali, ha lavorato a più riprese in
sviluppata ed aperta della Cina.
zioni del 38%. Numeri fantastici
Cina. Dal 2000 è membro della Consultative
Con circa novanta milioni di resiche però ci ricordano che la Cina
Conference on the Future of GuangDong
denti a cui si aggiungono i lavonon solo compete sui mercati
Province; nel 2005 gli è stata attribuita la
ratori temporanei giunti da altre
mondiali come entrante in molti
Honorary Professorship dalla South China
province, la grande provincia
settori e molti mercati, ma è tuttoUniversity of Technology di Canton.
meridionale è uno straordinario
ra uno straordinario importatore
GLOBAL COMPETITION
non solo di materie prime ma anche di beni sempre più
D’altra parte le stesse autorità cinesi si pongono già il
complessi.
tema della sostenibilità del processo di crescita acceleraEgualmente questi dati ci ricordano che l’esplosione
ta di questi anni. Nella recente sessione della
della Cina è essa stessa risultato di un immenso procesInternational Consultative Conference sul futuro dello
so di migrazione dei capitali e quindi di investimenti
sviluppo economico del Guang Dong - la prestigiosa
stranieri. In Cina gli investimenti diretti dall’estero sono
conferenza che ogni anno riunisce un numero ristretto
cresciuti nel 2004 del 21% in valore e del doppio nel
di economisti e managers di grandi multinazionali - è
Guang Dong, che si avvantaggia della partnership con
stato posto infatti il tema della sostenibilità industriale,
Hong Kong.
ecologica e sociale di uno sviluppo così rapido.
Lo sviluppo di Shen Tzen si incentra sulla attrazione di
Lo sviluppo impetuoso delle grandi città fa crescere a
investimenti diretti stranieri, con la creazione di un unico
dismisura la distanza fra campagna e città, cresce il redimmenso distretto tecnologico in cui
dito disponibile nelle città (11.8% nel
tutte le grandi multinazionali del set- “Le azioni da svolgere vanno 2004), ma cresce anche la differenza
tore ICT si concentrano sia per pro- pensate e predisposte in termi- fra ricchi e poveri, determinando situadurre per il mercato cinese che per ni progettuali, produttivi, finan- zioni di conflitto sociale, difficilmente
l’esportazione, dimostrando che – al ziari, per potersi proporre come riducibili a problemi di ordine pubblico.
di là delle straordinarie condizioni di
La città si espande e con essa il conalleati di lungo periodo e non sumo di acqua e di suolo, sapendo
lavoro – eccezionali economie di
scala ed economie di agglomerazione. come intelligenti, ma inaffidabi- bene che i rischi di squilibrio ecologico
Va infatti inteso che lo sviluppo li partner di una notte”.
potrebbero costare ad una immensa
cinese è stato sostenuto da una
conglomerazione urbana, cresciuta sul
massiccia politica di attrazione degli investimenti che ha
fragile delta di un grande fiume, il rischio di alluvioni
visto riunire nelle diverse zone franche costiere concendisastrose.
trazioni crescenti di imprese multinazionali, che proTutto questo ci ricorda che ormai la Cina non può
gressivamente hanno spostato in quelle aree non solo
essere più considerata un entrante pericoloso ma marla produzione di massa ma anche attività di ricerca e sviginale nella scena economica internazionale. La Cina è
luppo, rese possibile dalla ampia offerta di ingegneri e
entrata nel mercato internazionale certamente operantecnologi di alta qualità.
do su segmenti tradizionali, ma è cresciuta rapidamenL’attrazione di imprese multinazionali in queste zone
te ed ora si sta ponendo il tema di un’articolazione della
franche è resa possibile dalla disponibilità di giovani
sua presenza industriale, che possa rendere sostenibili
lavoratori a tempo determinato, provenienti dalle zone
nel tempo le trasformazioni sociali ed ambientali fin qui
rurali, che alla fine del periodo di lavoro tornano nelle
realizzate; una tale attenzione ha spinto ad esempio le
zone di origine con una buona qualificazione tecnica
autorità cinesi ad investire massicciamente in educazioed una esperienza di grande azienda.
ne e ricerca come base di una sostenibilità sociale futura.
Anche avvantaggiandosi di questa manodopera quaSi deve quindi prendere atto degli effetti della presenlificata, si è quindi sviluppata una industria minore che
za della Cina e più ampiamente dell’Asia nel nuovo contuttavia si agglomera in città satellite che tendono ad
testo mondiale.
assumere le caratteristiche di distretti specializzati.
In prima battuta sia dunque evidente che non si tratIntorno a Canton si è sviluppata ad esempio una corona
ta di evidenziarne solo gli effetti sul commercio internadi distretti produttivi in settori tradizionali, che producozionale, ma anche gli effetti sulla stessa organizzazione
no ormai grandi volumi di piastrelle, abbigliamento, eletdella produzione a livello mondiale. In questi anni si è
trodomestici.
ridisegnata la mappa dell’industria mondiale con l’eD’altra parte nella città di Canton sono stati realizzati
mergere di specializzazioni relative, che delineano catenegli ultimi cinque anni grandi investimenti in univerne produttive articolate a livello globale.
sità e ricerca. Le dieci università della città hanno realizIl primo tema è dunque di carattere strategico. La
zato un nuovo campus di grande qualità urbana, in cui
Cina e l’India oggi, il Giappone e la Corea ieri, pongohanno concentrato i soli studenti dei primi anni – i
no all’industria italiana lo stessa tema del posizionamencosiddetti freshmen – nella convinzione che lo sviluppo
to strategico del paese in un contesto mondiale in rapiaccelerato richiede una elevata offerta di laureati e dotda evoluzione. Il problema non è la Cina, ma l’Italia.
torati.
La crisi dei grandi gruppi, la straordinaria difficoltà ad
La politica di “ritorno dei cervelli” attuata dalle autoabbandonare il modello di controllo familiare, il riposirità centrali e provinciali sta riportando nelle università
zionamento dei gruppi maggiori verso la fornitura sul
cinesi molti ricercatori formatisi negli Stati Uniti ed invomercato interno di servizi regolati pubblicamente e la
gliati a tornare in virtù dei massicci investimenti in corso
persistenza dei gruppi minori ad operare a livello interdi realizzazione in infrastrutture di ricerca.
nazionale in settori di nicchia portano a proporre un
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‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
23
GLOBAL COMPETITION
2 - 2006
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
24
sistema produttivo frammentato e disperso; un sistema
nostri partner locali, ma non può ridursi a queste sole
industriale che non riesce a trovare leader capaci di traazioni individuali. Nell’estrema difficoltà tutta italiana di
scinare l’intero sistema produttivo italiano su grandi
coordinare azioni di sistema, la nostra presenza potrebbe
progetti-sistema, come ad esempio stanno facendo i
essere più incisiva se proponessimo noi temi oggi signifitedeschi con le ferrovie o i francesi con le forniture di
cativi per la Cina, su cui organizzare la varietà di conocentrali elettriche o con le forniture aeronautiche.
scenze proprie delle imprese, ma anche delle università e
Scontiamo oggi in Cina i problemi
delle nostre strutture di ricerca.
che da anni andiamo evidenziando “La nostra presenza in Cina
Lo stesso rapido processo di trasforin Italia. Vi è un problema di profilo non può ridursi ad azioni indi- mazione della Cina può essere allora
industriale del paese e quindi di una viduali. Dovremmo proporre un’opportunità per la nostra econoazione di politica industriale non sur- temi significativi oggi per la mia. La crescita di un nuovo ceto di
rogatoria del mercato, ma rivolta a
borghesia urbana genera una domanfavorire processi di aggregazione e Cina, su cui organizzare la da di beni di lusso tipicamente italiani,
riposizionamento della nostra indu- varietà di conoscenze proprie lo sviluppo produttivo richiede fornitudelle imprese, ma anche delle re di macchine sempre più personalizstria sul mercato internazionale.
Un’attenta strategia di crescita del università e delle nostre struttu- zate, la necessità di garantire la sosteninostro sistema produttivo implica re di ricerca”.
bilità ambientale dei processi di crescita
proprio quell’analisi delle nuove caterichiede tecnologie e competenze nel
ne produttive internazionali, che passano anche per la
settore del rilevamento dei danni ambientali, del monitoCina, ma che sarebbe un errore vedere solo come “conraggio e del disinquinamento.
correnza cinese”. Se la Cina si presenta oggi come un
Ancora una volta la possibilità di cogliere questa
formidabile competitore in molti comparti, in molti altri
domanda richiede però una volontà da parte del paese di
si presenta come utilizzatore, ed in altri come partner
rilanciare le proprie capacità industriali, certamente richieper ri-esportazioni verso paesi terzi. Come in tutte le
dendo alla Cina di garantire le regole del “fair trading”,
avventure, bisogna sapere – prima di iniziare la partita –
ma anche ponendosi in gioco come sistema produttivo,
quale gioco si vuole e si può giocare, per poi dedicarsi
educativo, di ricerca.
alla realizzazione di una strategia coerente.
Sia tuttavia evidente che un quadro così articolato
Sicuramente in Cina, come ieri in Giappone non paga
richiede una risposta altrettanto articolata sia a livello
né l’assalto individuale né l’affollamento di rappresentannazionale che europeo. Dopo una fase avviata dalla preze di regioni, di province, di associazioni, di missioni varie.
cedente Commissione europea, tesa a stabilire fra Unione
In Cina disponiamo di una rappresentanza diplomatica di
europea e Cina un confronto rivolto a presentare l’Europa
grande livello, ben radicata nel territonel suo insieme come il partner unitario
rio, molto stimata, che deve essere il “Il rilancio di un forte discorso per il nuovo protagonista asiatico, in
punto di partenza per ogni successiva europeo è oggi una necessità questa fase sembra che l’Europa debba
azione: ma le azioni vanno pensate per garantire lo sviluppo di un misurare anche in Estremo Oriente la
prima e predisposte in termini progetsua nuova debolezza, presentandosi
sistema produttivo come il divisa agli appuntamenti politici ed
tuali, produttivi, finanziari, per potersi
proporre come alleati di lungo periodo nostro che rischia di essere economici mondiali.
e non come intelligenti, ma inaffidabi- sempre troppo frammentato
Il rilancio di un forte discorso euroli partner di una notte.
per disporre di una presenza peo è oggi una necessità per garantiIn questo senso sia evidente che la stabile sui mercati globali”.
re lo sviluppo di un sistema produttivo
concorrenza internazionale richiede
come il nostro che rischia di essere
oggi un’azione collettiva in cui le imprese si sentano
sempre troppo frammentato per disporre di una preaccompagnate dai sistemi educativi e di ricerca, nel difsenza stabile sui mercati globali.
ficile tentativo non solo di competere ma anche di cooSi tratta quindi di vedere la Cina come un’opportunità
perare a livello internazionale, stabilendo legami di
per riposizionare il paese nel contesto globale, a partire
lunga durata.
dalla nostra posizione in Europa.
La forte presenza tedesca nel settore delle costruzioni
ferroviarie si unisce ad una parallela presenza del
Fraunhofer Gesellschaft, cioè della rete universitaria di
supporto alle imprese.
Ancora una volta la nostra presenza in Cina può essere
affidata a piccole e medie imprese capaci di stabilire rapporti stabili e certi con operatori locali, noi proponendo le
nostre tecnologie e richiedendo apporti conoscitivi ai
‹ Europa e Italia di fronte al risveglio asiatico ›
LA COMPETITIVITA’ DEI PAESI ASIATICI
Il nuovo indicatore messo a punto dalla Banca d’Italia
Tra le economie emergenti, la Cina assume il peso più
elevato (3,3%) tra i concorrenti dell’Italia.
Nel loro insieme, i paesi asiatici entrano con un peso di
circa il 10% nel nuovo indicatore di competitività delle
nostre imprese manifatturiere.
Come risulta evidente dal grafico, negli ultimi cinque
anni una perdita di competitività è stata segnata sui mercati internazionali dei beni manufatti da Germania,
Francia e Italia. La perdita di competitività del nostro
paese è, tuttavia, significativamente maggiore di quella
registrata dai nostri maggiori concorrenti europei.
COMPETITIVITÀ: CHI PERDE DI PIÙ IN EUROPA?
(indicatore costruito sulla base dei prezzi della
produzione dei manufatti)
1999
2000
2001
2002
2003
2004
80
GLOBAL COMPETITION
2 - 2006
Un nuovo indicatore recentemente elaborato dalla
Banca d’Italia aggiorna le misurazioni effettuabili in materia di competitività rendendole maggiormente rispondenti ai nuovi trend dell’interscambio globale. In particolare, le nuove statistiche aumentano da 25 a 62 il numero dei paesi considerati in competizione con l’Italia nel
settore manifatturiero. Entrano così nel campione dei
nostri competitor anche importanti economie asiatiche
quali la Cina.
Nel dettaglio, secondo le nuove elaborazioni, i primi
quattro concorrenti dell’Italia risultano la Germania, la
Francia, gli Stati Uniti e il Regno Unito con un peso
complessivo del 46%.
85
25
90
85
100
105
110
Italia
Fonte: Ufficio Studi BNL
Francia
Germania
Appuntamento
...con il dibattito su concorrenza e competitività
GLOBAL COMPETITION
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Interventi di Franco Venturini (giornalista esperto di problemi internazionali), Stefano
Micossi (Direttore Generale Assonime), Guido M. Rey (Scuola Superiore S. Anna di
Pisa), Maurizio Sella (Presidente ABI), Giampietro Nattino (Amministratore Delegato
Banca Finnat Euramerica), Franco Varetto (Direttore Generale Centrale dei Bilanci) e
Paolo Gnes (Presidente Centrale dei Bilanci e Cerved B.I.) alla presentazione del primo
numero della Rivista “Global Competition”.
26
GLI
INTERVENTI
La presentazione del primo
numero di “Global Competition
– L’impresa italiana nell’economia globale” ha dato l’occasione
per sviluppare e dibattere, nel
corso di una Tavola Rotonda,
svoltasi nella sede dell’Associazione della Stampa Estera a
Roma, alcune riflessioni formulate dalla Rivista sulle grandi trasformazioni che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio nel contesto dei cambiamenti dello scenario geo-politico mondiale.
Ha aperto il giro di tavolo Franco Venturini,
esperto di politica internazionale ed editorialista
del “Corriere della Sera” che ha richiamato l’attenzione sui problemi che l’Europa cerca infruttuosamente di affrontare e risolvere. L’Europa –
è il pensiero di Venturini – non riesce a curare il
suo mal di democrazia. Per anni si era detto
giustamente che l’Unione era troppo lontana
dai cittadini, che occorreva coinvolgere i popoli
nel processo integrativo. Ma quando la parola è
passata agli elettori con il risultato di affondare
la nuova Costituzione e di far vincere la sindrome della paura anche in Germania, l’auspicata
democrazia si è rivelata un boomerang che
lascia la Ue avvilita e divisa.
L’insicurezza che si esprime nelle urne (e non
illudiamoci che il fenomeno riguardi soltanto
pochi paesi) ha posto con forza all’Europa il più
decisivo dei suoi molti problemi: come evitare
che consenso democratico e competitività economica entrino stabilmente in conflitto? Come
impedire che elettorati timorosi di unirsi ai 20
milioni di disoccupati europei frenino o impediscano ragionevoli riforme modernizzatrici?
Obbligata a riconoscere un dilemma tanto complesso e tanto cruciale per il suo futuro,
l’Europa avrebbe dovuto come minimo ricoprire
nel concetto di solidarietà il motivo più profondo del suo (fino a ieri) successo. Non è così. Si
comprime il bilancio 2007-13 fino alla soglia
dell’1.03% del PIL europeo per conquistare l’appoggio dei contribuenti netti di Olanda e
Svezia, ma anche quello tacito della Germania
che non vuole spendere un euro in più, e forse
anche quello della Francia che vuole contenere
gli esborsi mentre restano intatti i finanziamenti
alla politica agricola.
Non mancano in questo periodo giri di valzer
dei governi europei (il riferimento va a Tony
Una prima risposta, con specifico
riferimento all’Europa e ai problemi economico-sociali che attanagliano il Vecchio continente è
venuta da Stefano Micossi,
direttore generale di Assonime
(l’Associazione che riunisce le
società per azioni italiane).
Micossi è partito da una constatazione troppo spesso trascurata
nel dibattito sull’attuale momento
economico e sulle sue prospettive: l’economia
mondiale va bene, molto bene, da quasi un
decennio. Vanno male solo i paesi dell’Europa
continentale, in particolare la Francia, la
Germania e l’Italia. Vanno male perché hanno
seguito politiche sbagliate di fronte alla globalizzazione: frenando l’integrazione, proteggendo
produttori domestici inefficienti, cercando di
impedire invece che assecondare il cambiamento.
Secondo Micossi, per anni direttore generale
per l’industria alla Commissione europea, le politiche industriali sono da tempo state abbandonate dall’Europa, per lasciare il passo a politiche
“orizzontali” tese a creare condizioni favorevoli
per le imprese e l’investimento. Ma ogni sistema
economico funziona – ha annotato – se ha un
buon sistema per gestire il rischio di perdere il
lavoro. Non esiste un modello unico, ma diversi
modelli appaiono soddisfacenti (più o meno).
Quello che certamente non funziona è una
difesa rigida dei posti di lavoro: così le aziende
Replica immediata di
Guido M. Rey, professore
all’a Scuola Superiore S. Anna
di Pisa, che ha posto l’accento
sui problemi della competitività
dell’industria italiana. Il prof.
Rey ha innanzitutto richiamato
l’attenzione sul concetto di
competitività che – ha detto –
non va confusa con la concorrenza (nel nostro paese il
numero delle imprese è elevato e non emergono apparentemente situazioni di posizione
dominante).
Per il prof. Rey, il tema della competitività non
può e non deve essere affrontato in termini
aggregati, ma va studiato settorialmente.
L’aggregazione va perciò effettuata rispetto alla
filiera di riferimento, ossia ai comparti produttivi
che compongono il settore non solo dal punto
di vista manifatturiero ma allargando l’orizzonte
al settore dei servizi innovativi. Questo schema
consente di individuare i settori in crisi e di
notare che questi dovevano essere abbandonati
da almeno venti anni ma non per il prodotto,
poiché i bisogni dei consumatori sono sostanzialmente stabili, ma perché non hanno saputo
2 - 2006
muoiono lo stesso, e inoltre si distruggono
molte possibilità alternative di investimento e di
innovazione. Di qui nasce la discussione dei
modelli svedese e danese: dall’esigenza di passare a una difesa flessibile delle persone disoccupate, abbandonando al loro destino imprese
che non possono più sopravvivere nel nuovo
contesto globale.
E l’Italia? Secondo Micossi, l’Italia è un caso
estremo di protezione rigida dell’esistente. Se
dovessi indicare dove mettere le mani – ha
detto polemicamente Micossi – “metterei al
primo posto la ricostruzione delle istituzioni pubbliche: la prima politica industriale che possiamo
fare è di ricostruire lo Stato, di combattere la criminalità organizzata, di fare funzionare la giustizia e la scuola, di aprire l’università al merito e
alla selezione. Subito dopo, al secondo posto,
metterei l’apertura del mercato dei servizi: utilities, nazionali e locali, distribuzione commerciale
(dove le cose già si stanno muovendo da qualche tempo), professioni e altri servizi personali.
Solo al terzo posto comincerei ad occuparmi di
politiche per l’innovazione, che dovrebbero
seguire la linea europea di creare un ambiente
favorevole al cambiamento, più che sostenere e
aiutare singoli soggetti”.
GLOBAL COMPETITION
Blair, ma anche a Barroso, a Zapatero, a
Berlusconi, ecc.). Non sono sufficienti a consolare l’Europa. Il nodo del bilancio europeo resta
complicato. Sullo sfondo – annota Venturini –
rimane l’esigenza di un risveglio politico-istituzionale. Di un’“avanguardia” europea che prenda
a modello l’odierna concertazione nell’Eurogruppo e preceda i vagoni più lenti, riempiendo di volontà politica lo strumento tecnico delle
cooperazioni rafforzate. Di un gruppo di testa
nel quale, e questo noi italiani dovremmo capirlo sin d’ora, non esisteranno posti riservati nemmeno per i soci fondatori. Non soltanto perché
con tale formula verrebbero escluse la Gran
Bretagna, la Spagna e la Polonia, ma anche
perché a fare la selezione saranno la capacità di
iniziativa e la credibilità dei singoli paesi e dei
loro governi. Forse hanno ragione i tedeschi,
che parlano di rilancio nel 2007. Ma se nel frattempo l’Europa non si sarà data i mezzi per
affrontare la sfida del consenso democratico, il
rilancio rischierà di fallire prima di cominciare.
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2 - 2006
GLOBAL COMPETITION
28
innovare e si sono addormentati al riparo delle
svalutazioni competitive, della protezione del
mercato comunitario e dell’evasione fiscale e
parafiscale. La crisi non è di questi ultimi anni
ma discende dall’incapacità di prevedere le conseguenze dell’adesione del nostro paese all’euro unita alla mancanza di linee guida per lo sviluppo di questi settori. Fra le carenze di indirizzo possiamo annoverare anche la mancanza di
selettività da parte del sistema bancario ma a
loro giustificazione si può ricordare che in questi anni le banche erano concentrate sulla ricerca della loro competitività.
Il fatto che ci siano delle medie imprese di successo non deve nascondere la contraddizione
italiana dove si assiste da oltre trent’anni alla
crisi delle grande industria, prima pubblica e
privata, adesso solo privata. In questo ambito la
finanziarizzazione delle grandi imprese non
sembra essere compatibile con la crescita della
grande impresa produttiva. L’uscita dello Stato
dalle imprese pubbliche ha creato un campo di
attrazione per la grande finanza che ha sempre
avuto come aspirazione l’entrata nei settori protetti dei servizi pubblici. Questo cambiamento
nella proprietà non si è accompagnato a una
politica antimonopolistica, che non deve limitarsi agli aspetti tecnologici ma deve toccare gli
assetti proprietari, perché la saggezza popolare
ci ricorda che il lupo perde il pelo ma non il
vizio…
Questo richiamo si associa a quello del potenziamento delle infrastrutture materiali ed immateriali che per troppi anni sono state penalizzate
dallo scontro fra le lobby che hanno paralizzato
il paese con la scusa del disavanzo pubblico e
del debito pubblico. Adesso le condizioni esterne sono cambiate perché il settore pubblico è
stato ridimensionato, i sindacati hanno accettato la concertazione, i tassi di interesse sono
sostanzialmente uguali a quelli dei concorrenti
esteri, l’inflazione è sotto controllo; spero che la
fantasia delle lobby si sia esaurita anche se è solo
un auspicio perché la Cina è vicina e io non capisco il nesso con la perdita di competitività dell’economia italiana.
Le grandi imprese devono capire, ma questo
invito va esteso anche ai mercati finanziari, che
la crescita non si realizza riducendo i costi, ed in
particolare i costi del personale, ma aumentando il valore aggiunto; ossia, la produttività cresce se aumenta il numeratore e non se diminuisce il denominatore perché si rischia di perdere
un patrimonio di conoscenza e di legami interni
ed esterni che difficilmente si possono in segui-
to ricostruire. Questa strategia difensiva alimenta un processo di involuzione che non favorisce
l’innovazione di prodotto, di processo e di organizzazione e soprattutto la crescita e la diffusione della conoscenza mediante le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione. Tengo
a precisare che – ha annotato il prof. Rey - non
sto difendendo i posti di lavoro obsoleti ma sto
suggerendo di valorizzare prima di tutto le
potenzialità di capitale umano presenti nell’impresa specie nella grande impresa.
Informazione e conoscenza sono i fattori chiave
dell’innovazione e sono anche i fattori che definiscono la capacità di concorrenza e di successo sul mercato perché favoriscono la trasparenza dei comportamenti.
Un accenno infine al ruolo che può e deve
svolgere il sistema bancario, specie nella nuova
definizione di banca universale, per aiutare le
imprese a crescere, ad innovare e a selezionare
gli investimenti da finanziare. L’occasione fornita dall’introduzione dei principi di Basilea 2
non va sprecata per la parte che richiama la
gestione del rischio mediante modelli di analisi
sofisticati. Se il sistema bancario non si dota di
competenze tecniche che possano analizzare le
grandi linee di innovazione ed in particolare la
diffusione e l’utilizzo dei servizi in rete da parte
delle imprese, non solo nei rapporti con le
banche, si corre il pericolo di ripercorrere vecchie strategie di protezione dei finanziamenti
basati sulle garanzie reali, finanziarie o politiche, e quando si punta sulle garanzie si privilegiano gli aspetti di recupero del credito piuttosto che la minimizzazione della probabilità di
escutere la garanzia. Intuisco la difesa dei banchieri ma finché non entrano nella conoscenza
della banca anche le valutazioni degli aspetti
tecnologici e quindi la banca diventa a pieno
titolo una banca universale, l’orizzonte temporale dell’innovazione sarà sempre troppo breve
e fra le anomalie dell’economia italiana continueremo ad osservare l’ampiezza del capitale
circolante come conseguenza delle difficoltà di
finanziamento delle imprese, specie delle grandi imprese incluse le amministrazioni pubbliche, della mancanza di fluidità nel sistema dei
pagamenti e di una scarsa attenzione ai servizi
di cash management forniti dalle banche alle
imprese.
Dall’analisi macroeconomica alla riflessione,
con dati di fatto, sui cambiamenti intervenuti,
sui passi compiuti, sui nuovi scenari che si delineano. Ha disegnato il quadro di riferimento il
presidente dell’ABI (l’Associazione delle banche)
Ha integrato le annotazioni
del presidente Sella il cav. lav.
Giampietro Nattino,
amministratore delegato di
Banca Finnat Euramerica, il
quale ha sottolineato come
nel settore finanziario e bancario la competizione globale
abbia portato in tutto il
mondo grandi trasformazioni.
Anche nel nostro paese si è
sentita la necessità di profonde riforme per adeguare alle nuove esigenze il sistema impresa.
L’Associazione Bancaria Italiana c ha affermato
Nattino – ha iniziato un lavoro di importante
Dopo le banche, le imprese
manifatturiere. Ha analizzato
la situazione Franco
Varetto, direttore generale
di Centrale dei Bilanci, il quale
ha osservato che per molto
tempo le imprese italiane, specie quelle di piccole e medie
dimensioni, si sono sviluppate
facendo leva sulla loro flessibilità, sulla creatività e sulla
capacità di rispondere più prontamente e
meglio alle esigenze dei clienti. Accanto ai brillanti risultati passati faceva peraltro riscontro la
scarsa spesa in R&S, l’affermarsi di un modello
di specializzazione fondato sulle produzioni
tradizionali, l’investimento in innovazione
soprattutto di processo e raramente di prodotto. La leva del cambio, com’è noto, interveniva di quando in quando per sostenere le
esportazioni.
Negli anni più recenti questo modello ha manifestato i suoi limiti, con una pesante stagnazione produttiva, con significative perdite di competitività e riduzioni di quote di mercato nel
commercio internazionale. Crisi specifiche nel
comparto della grande dimensione hanno reso
più acute le difficoltà complessive.
L’uscita dal circolo vizioso “piccola dimensionescarsa R&S-carenza di prodotti innovativi-scarsa
competitività-stagnazione produttiva-bassa produttività-bassi salari-bassa crescita della domanda e del reddito” richiede un formidabile sforzo
di innovazione da parte delle imprese e di irrobustimento dei processi di internazionalizzazione (di cui la delocalizzazione costituisce solo
una componente).
2 - 2006
media europea.
Quanto alle prospettive del rapporto tra banche
e imprese, Sella ha ribadito che se i criteri dell'accordo Basilea 2 “saranno ben applicati porteranno straordinari vantaggi per le imprese perché ci sarà una migliore erogazione del credito”. Sulle priorità più generali per l’Italia, il presidente dei banchieri ha sottolineato tra l’altro
che è importante creare un ambiente favorevole, sviluppare le infrastrutture, portare a compimento la legge fallimentare (i cui ritardi implicano costi pari a mezzo punto di PIL e limitano
l’arrivo di investimenti esteri).
L’impresa bancaria – ha spiegato Sella – ha
fatto la rivoluzione negli ultimi 13 anni. Sono
state portate a termine 600 fusioni con un marcato aumento delle dimensioni operative di singole banche: “i primi 5 gruppi bancari – ha ricordato – coprono oggi il 51% del mercato”. Sono
dati di fatto indiscutibili.
Anche i prezzi offerti dalle banche italiane – ha
detto Sella – sono allineati se non inferiori a
quelli dei nostri competitori e questo nonostante il peso del fisco sia molto più consistente da
noi che negli altri grandi paesi europei: noi
paghiamo il 30% di tasse, contro il 28% della
Gran Bretagna, il 22% della Francia e il 18,5%
della Spagna.
innovazione di tutto il settore per mettere le
nostre aziende in grado di competere a livello
internazionale. Il compito è molto impegnativo,
con alti costi sia economici che umani. Quanto
già fatto ed in corso d’opera non è assolutamente sufficiente poiché il tutto va coniugato
con una rivisitazione dell’intero sistema, dalle
infrastrutture al mondo del lavoro, al settore
fiscale, alla burocrazia. Bisogna mettere gli
imprenditori nella condizione di poter competere partendo da basi analoghe con i concorrenti.
È un lavoro impegnativo, ha osservato. L’intero
sistema paese è chiamato a riparametrare l’ambiente produttivo alle nuove esigenze. È una
sfida importante ma perseguibile con la buona
volontà di tutti gli interlocutori.
GLOBAL COMPETITION
Maurizio Sella. Dal tempo
della “foresta pietrificata” –
ha detto – le banche italiane
hanno fatto grossi passi
avanti, si sono ristrutturate e
sono oggi più efficienti, ma
guadagnano ancora poco.
Come conferma il tasso che
misura la redditività, il Roe,
degli istituti di credito che è
più basso del 3% rispetto alla
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2 - 2006
GLOBAL COMPETITION
30
Allo sforzo microeconomico richiesto alle imprese – ha detto Varetto – deve accompagnarsi
necessariamente una prolungata e pervasiva
politica nazionale che costruisca le condizioni di
contorno indispensabili al rilancio industriale.
Di particolare rilievo appaiono le politiche:
- per la ricerca scientifica, con la definizione di
campi prioritari cui destinare gli investimenti più
consistenti, con la semplificazione dei rapporti
impresa-università per accelerare il passaggio
delle invenzioni dai laboratori alle aziende, con
il favorire l’insediamento di imprese estere hightech, con il ridare slancio alle facoltà scientifiche;
- per la razionalizzazione e l’aumento della concorrenza nel settore dei servizi, favorendo l’affermarsi di un terziario avanzato;
- per il miglioramento del sistema logistico complessivo.
Quest’ultimo è cruciale anche da un altro punto
di vista. Uno dei fattori di appesantimento delle
imprese italiane rispetto a quelle dei paesi europei con cui ci confrontiamo riguarda la maggiore intensità di capitale circolante operativo per
unità di prodotto: ne deriva un eccesso di capitale per scorte e, soprattutto, di crediti (al netto
dei debiti commerciali) che viene finanziato prevalentemente con debiti a breve termine che
gravano sulle strutture patrimoniali e sui conti
economici (via oneri finanziari). Una logistica
efficiente ed un sistema moderno dei pagamenti commerciali, allineato ai termini prevalenti in
Europa, consentirebbero alle imprese italiane di
ridurre l’indebitamento finanziario senza sacrificare il finanziamento degli investimenti fissi, con
evidenti benefici anche ai fini di Basilea 2.
Ha concluso il dibattito, con
alcune rapide annotazioni, il dottor Paolo Gnes, presidente di
Centrale dei Bilanci e di Cerved
B. I., riprendendo il filo dell’analisi interpretativa delle grandi trasformazioni che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio: l’apertura dei mercati internazionali e
la globalizzazione dell’economia
mondiale, il rilancio del processo
di integrazione europea e l’adozione della
moneta unica, l’evoluzione del sistema finanziario e bancario italiano, il passaggio della politica
di bilancio dal “deficit spending” al necessario
ma faticoso riequilibrio, la crescente difficoltà
dell’industria manifatturiera a reggere il confronto con la concorrenza estera nel nuovo contesto
del mercato globale e della tendenziale unicità e
stabilità dei prezzi all’interno dell’eurozona.
Questa sintesi interpretativa, che – ha detto
Paolo Gnes – sarà via via approfondita nei suoi
singoli aspetti nei prossimi numeri di “Global
Competition, consente peraltro d’individuare fin
d’ora alcuni tratti essenziali della linea editoriale
della nuova Rivista: la globalizzazione come
contesto con il quale l’industria italiana dovrà
continuare a confrontarsi; il ruolo essenziale che
l’Unione Europea può svolgere nell’affrontare la
globalizzazione contenendone i costi e valorizzandone le opportunità e quindi l’esigenza di
un ruolo proattivo da parte nostra nel promuovere il rafforzamento politico dell’Unione e il
ruolo dell’Italia al suo interno; la necessità di
preservare la stabilità garantita dall’euro e dalla
politica di riequilibrio dei conti pubblici, da assumere come vincolo nell’impostazione delle politiche di rilancio industriale, che dovranno essere
di carattere essenzialmente strutturale, come
richiesto peraltro dalla natura dei problemi da
risolvere.
Mario Deaglio (a cura di) – Ed. Guerini e Associati
– Milano – 2005 – pagg. 171 – € 24,50
È un vero e proprio atlante della globalizzazione
quello che Mario Deaglio ha curato nell’ambito
delle attività del Centro di
Documentazione e Ricerca
“Luigi Einaudi”. Le ottanta
tavole, corredate da altrettante schede informative,
costituiscono infatti la trama
di un viaggio attraverso i
grandi cambiamenti che
condizionano nel bene e
nel male lo scenario mondiale in questo avvio di
millennio: dai temi demografici a quelli politicoreligiosi, dalle grandi rivoluzioni economiche ai
nuovi equilibri dell’industria e del commercio
senza dimenticare il terrorismo, gli squilibri
ambientali e il ruolo sempre più importante, ma
anche ancora scarsamente incisivo, delle grandi
organizzazioni internazionali. Un libro che ha la
giusta ambizione di essere insieme una carta
geografica e una bussola: una carta geografica
per capire le difficoltà del cammino di ogni
uomo, di ogni azienda, di ogni nazione, una
bussola per cercare la direzione giusta senza perdere l’orientamento. Con una conclusione molto
significativa: “Il mondo non si aggiusta da sé”.
Per affrontare i grandi squilibri, per avviare una
più equa distribuzione delle ricchezze, per colmare i divari non solo alimentari, ma anche tecnologici, sono necessarie scelte aperte e coraggiose. “Una deliberata politica di trasferimento
di risorse – scrive Deaglio – è indispensabile per
non creare un futuro di tensioni a noi e ai
nostri figli”.
“La Cina non è per tutti”
Maria Weber (a cura di) – Ed. Guerini e Associati –
Ed. Olivares – Milano –
2005 – pagg. 290 - € 30
“La Cina non è per tutti”,
curato da Maria Weber,
non è uno dei tanti libri che
affollano le librerie sull’onda
dell’interesse creato dalla
travolgente crescita del
colosso asiatico. Già il titolo
indica che si tratta di una
guida pratica, di una serie
di istruzioni per l’uso, di una serie di analisi utili
per chi vuole in qualche modo avviare qualche
forma di collaborazione commerciale, industriale
o finanziaria con Pechino.
Maria Weber, docente di Relazioni internazionali
all’Università Bocconi di Milano, ha infatti raccolto una serie di contributi di grandi esperti non
solo italiani partendo dal presupposto, tanto
spesso citato solo come slogan, secondo cui la
Cina è soprattutto un’opportunità. Ed è un’opportunità non solo come mercato, ma anche
come realtà imprenditoriale e come potenzialità
finanziaria.
Una serie di contributi di esperti dei diversi rami
economici contribuisce ad offrire l’immagine di
una realtà altrettanto interessante quanto difficile: in effetti non c’è solo la distanza geografica, ci
sono colossali differenze dal punto di vista culturale e linguistico oltre che sensibili ostacoli dal
profilo delle norme, delle abitudini, dell’organizzazione aziendale e della logistica commerciale.
Una serie di casi aziendali di imprese italiane che,
con alterna fortuna, sono riuscite ad avviare partnership di vario tipo con realtà cinesi costituisce
un ulteriore spunto per segnalare con estrema
concretezza che se è difficile (e anche costoso)
avviare i rapporti sulla strada giusta è tuttavia
estremamente appagante raggiungere risultati
positivi. Per raggiungere l’obiettivo bisogna, tra
l’altro, stare attenti ai particolari: per esempio se
un cinese vi guarda fisso negli occhi più che un
gesto di attenzione e interesse nella maggior
parte dei casi è un gesto di sfida.
“Gli enigmi dell’economia”
Paolo Savona (a cura di) – Ed. Luiss University
Press – Roma – 2005 – pagg. 290 – €16
Il libro di Paolo Savona sembra
scritto apposta per smentire
un pregiudizio, quello secondo cui l’economia sarebbe
troppo complessa per essere
spiegata dagli economisti.
Sulla complessità è d’accordo
lo stesso Savona, anzi negli
ultimi anni la dimensione dei
problemi è anche aumentata
con nuove realtà come la
moneta unica europea, l’apertura della Cina, la
competzione globale, le incognite del terrorismo,
le innovazioni (e gli scandali) finanziari, le nuove
2 - 2006
“La bussola del cambiamento”
a cura di Gianfranco Fabi
GLOBAL COMPETITION
Libri in vetrina
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2 - 2006
GLOBAL COMPETITION
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frontiere tecnologiche. I vecchi strumenti dell’analisi economica, così come le tradizionali forme
di gestione della dimensione economica della
società, rischiano di trovare posto nell’armadio di
nonna Speranza se non vengono costantemente
passate al vaglio della conoscenza e soprattutto
dell’aggiornamento. Ecco allora che una guida
come quella di Savona è utile, quasi indispensabile, per capire quali sono le nuove relazioni dei
tradizionali soggetti e in particolare quali i nuovi
effetti di vecchi comportamenti. L’obiettivo è certamente ambizioso, quanto indispensabile: far
capire che ogni persona è protagonista di quel
sistema chiamato mercato e che ogni scelta,
ogni comportamento, ogni decisione ha inevitabilmente un effetto sugli equilibri generali. È un
obiettivo, tuttavia, che viene avvicinato cercando
di appianare le terminologie più aspre, i generi
letterari esclusivi, le formulazioni da iniziati. E per
chi volesse scavare più in profondità Paolo
Savona propone “cento llibri per il viaggio”, una
bibliografia aggiornata e documentata per mettere qualcosa di utile nella valigia della conoscenza economica: non solo Adam Smith (che tuttavia, giustamente, non manca), ma anche
Gasparo Scaruffi che nel 1582 pubblicò “Il discorso sopra le monete”.
“Oro nero, conti in rosso”
Cristina Corazza – Ed. Il Sole-24 ore – Milano –
2005 – pagg. 206 – € 24,50
Il petrolio è certamente uno
dei fattori centrali che
hanno permesso e insieme
caratterizzato lo sviluppo
industriale del secolo scorso. Ma è anche una risorsa,
che ha già provocato guerre e recessioni e sul cui futuro gravano preoccupazioni
non tanto e non solo per le
quantità disponibili (comunque non infinite), quanto per le tendenze, talvolta apparentemente erratiche, al continuo rialzo
dei prezzi. Agli inizi del 2004 il petrolio costava
30 dollari al barile; nel 2005 ha superato i 50,
con punte anche fortemente superiori, e secondo molti esperti potrebbe salire e superare addirittura i 100 dollari entro pochi anni.
Quello del petrolio può apparire come una grande gioco internazionale, un gioco in cui interessi
enormi si sovrappongono e si contrastano, in cui
politica ed economia sono strettamente intrecciate, in cui le decisioni di pochi potenti possono
condizionare la vita quotidiana di ciascuno di noi.
Un filo d’Arianna per capire quali sono i fattori
che condizionano questo mercato, quali le forze
in campo, quali le prospettive, viene fornito da
Cristina Corazza in un libro (“Oro nero, conti in
rosso”) che spicca insieme per chiarezza e profondità. Un viaggio attento e documentato tra sceicchi e uomini d’alta finanza, tra tecnologie di
estrazione e analisi delle riserve, tra prospettive
dei grandi paesi e ricadute su un’Italia che non
ha brillato certo in passato per la sua politica
energetica.
“Oltre il declino”
Tito Boeri, Riccardo Faini, Andrea Ichino,
Giuseppe Pisauro, Carlo Scarpa – Ed. Il Sole-24
ore – Milano – 2005 – pagg. 296 – € 20
Di fronte a un’Italia con
un’economia stagnante e
una società appagata si
sono moltiplicate negli ultimi anni attente analisi e
preoccupate diagnosi. Con
una larga convergenza di
opinioni sulla necessità di
una svolta che permetta
alle imprese di riconquistare
competitività e alle persone
di tornare a guardare con
fiducia al proprio futuro.
Sui passi avanti, ovvero sulle terapie da adottare,
non solo tuttavia c’è una palese difficoltà di catalizzare i consensi (anche se la crescita non
dovrebbe essere né di destra, né di sinistra), ma
c’è anche la necessità di dare ossigeno al cantiere delle idee per evitare di affrontare con le vecchie ricette problemi del tutto nuovi.
La Fondazione Rodolfo Debenedetti ha chiamato a raccolta alcuni tra i più autorevoli, e vivaci,
economisti italiani affidando loro il compito di
affrontare il tema “come superare il declino” con
un profilo il più possibile costruttivo. Ne sono nati
numerosi rapporti, un convegno e infine un libro
che raccoglie la trama delle idee emerse in queste occasioni. Con un profilo fortemente costruttivo e con una sorpresa. Il profilo costruttivo è
dato dal fatto che si tratta di proposte largamente attuabili in tempi brevi: dalle vere liberalizzazioni alle regole per i mercati finanziari, dall’abolizione dei concorsi universitari all’impiego delle risorse europee per la ricerca. La sorpresa è che la
gran parte di queste riforme sarebbero, dal profilo finanziario, praticamente a costo zero. Certo
resterebbe il costo politico. Ed è in fondo per
questo che riforme di questo tipo incontrano
tante difficoltà.