SORDELLO, LE POESIE.

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SORDELLO, LE POESIE.
Marco BONI
SORDELLO, LE POESIE.
NUOVA EDIZIONE CRITICA CON STUDIO INTRODUTTIVO,
TRADUZIONI, NOTE E GLOSSARIO A CURA DI MARCO BONI
A Silvio Pellegrini
VII
PREMESSA
Una nuova edizione delle poesie di Sordello era da molti desiderata, sia per
essere il libro del De Lollis, pubblicato ben cinquantasette anni fa 1, ormai
introvabile, sia perché l’edizione curata dall’illustre studioso risultava oggi
incompleta, in seguito alle scoperte di nuovi componimenti, fatte dal Bertoni 2 e da
A. Jeanroy3, sia perché in vari punti il testo del De Lollis appariva suscettibile di
grandi o piccoli miglioramenti, anche a chi non spingesse lo sguardo sino ai
manoscritti e si limitasse a tener presenti le numerose correzioni che furono
proposte dagli studiosi che ebbero a suo tempo a recensire l’opera 4 o ebbero ad
occuparsi, in epoca posteriore, del trovatore di Goito5. Ed era pure giudicata cosa
quanto mai
C. DE LOLLIS, Vita e poesie di Sordello di Goito, Halle, 1896 («Romanische Bibliothek», vol. XI).
G. BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, in Giornale storico della letteratura italiana, XXXVIII, 1901, p. 269 e
segg.
3 A. JEANROY, Poésies provençales inédites d’après les manuscrits de Paris, in Annales du Midi, XVII, 1905, p. 476 e
segg.
4 Particolarmente importanti, per i problemi testuali, le recensioni di A. MUSSAFIA, Zur Kritik und Interpretation
romanischer Texte. - Sordel, in Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften di Vienna, Philosophisch-historische
Klasse, CXXXIV, 1895, IX Abh., p. 1 e segg.; di O. SCHULTZ-GORA, in Zeitschrift für romanische Philologie, XXI,
1897, p. 237 e segg.; di G. NAETEBUS, in Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen, XCVIII,
1897, p. 202 e segg.; di A. JEANROY, in Revue critique d’histoire et de littérature, XLII, 1896, p. 283 e segg.
Parecchie proposte di correzioni fece anche P. E. GUARNERIO, in Giorn. stor. d. lett. it., XXVIII, 1896, p. 383 e
segg.; ma sono in gran parte inaccettabili. Per altre recensioni — che saranno citate nel corso della trattazione
quando sarà necessario — cfr. la n. 6 e la bibliografìa in fondo al volume.
5 Meritano particolare ricordo gli importanti contributi di G. BERTONI, I trovatori d’Italia, Modena, 1915,
specialm. a p. 297 e segg.
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opportuna che venissero ripresi in esame, dopo le molte e talora assai accese
discussioni a cui il libro del De Lollis dette origine (fra cui la famosa polemica tra il
De Lollis e il Torraca, che per poco non dette luogo, come è noto, ad un duello) 6 e
dopo i numerosi studi successivi 7, i problemi riguardanti la biografìa e le opere del
poeta, tenendo conto anche delle ricerche compiute in questi primi cinquant’anni
del Novecento intorno a quei trovatori che, come Aimeric de Peguilhan, Uc de Saint
Circ, Guilhem de la Tor, Bertran d’Alamanon, Peire Bremon Ricas Novas, Guilhem
Montanhagol, Granet, ebbero rapporti con Sordello.
A questa duplice esigenza cerca di soddisfare il presente volume, che si
propone non solo di tracciare di nuovo — rimeditandone i problemi, alla luce di
tutte le indagini che sono state fatte su Sordello dalla pubblicazione del libro del De
Lollis ad oggi, nonché dei non pochi e spesso importantissimi studi recentemente
venuti alla luce sulla storia francese e italiana del sec. XIII 8 — la biografia del
trovatore di Goito e di studiarne le opere, ma anche di dare una nuova edizione
completa di tutte le poesie sordelliane, fondata su una revisione completa di tutta la
tradizione manoscritta. Tale revisione, come si vedrà, è stata assai fruttuosa, perché
mi ha permesso di correggere parecchi errori del De Lollis e anche qualche svista
sfuggita al Bertoni nel testo e nell’apparato delle liriche da lui accolte nel suo
fondamentale volume dedicato ai Trovatori d’Ita-
Si veda: F. TORRACA, Sul «Sordello» di Cesare de Lollis, in Giornale dantesco, IV, 1897, p. 1 e segg.; A proposito di
Sordello, ivi, IV, 1897, p. 297 e segg. e V, 1898, p. 191 e segg.; Sul «Pro Sordello» di Cesare De Lollis, ivi, VI, 1898,
p. 417 e segg., p. 529 e segg. e VII, 1899, p. 1 e segg., 120 e segg., 174 e segg.; C. DE LOLLIS, Pro Sordello de
Godio, milite, in Giorn. stor. d. lett. it., XXX, 197, p. 125 e segg.; P. E. GUARNERIO, A proposito di Sordello, in
Giornale dantesco, V, 1898, p. 106 e segg.
7 Non essendo possibile, naturalmente, enumerarli tutti, basterà qui ricordare, come particolarmente notevoli,
tra gli studi di carattere generale, quelli del CRESCINI, del NOVATI, del BERTONI, dello JEANROY, del
PARDUCCI, del DE BARTHOLOMAEIS, dell’UGOLINI, del VISCARDI, e, fra i contributi particolari, quelli del
TALLONE e del MONCHIERO, relativi al feudo di La Morra in provincia di Cuneo, assegnato da Carlo d’Angiò
a Sordello, e quelli del BISCARO. Di questi studi si troveranno le indicazioni bibliografiche complete nella
bibliografia in fondo al volume. A questa bibliografia rimando anche per altri studi su cui qui sorvolo.
8 Anche queste indagini storiche erano necessarie per precisare vari particolari della biografia e dell’opera del
trovatore. Inoltre, esse mi hanno permesso di rintracciare vari nuovi atti angioini, del tutto ignoti fino ad ora
agli studiosi di Sordello, in cui il trovatore di Goito appare, come in parecchi altri già segnalati dal DE LOLLIS,
nell’elenco dei testimoni, tra i più alti baroni della corte provenzale.
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lia, e persino di restituire a una canzone (la XXV dell’ed. De Lollis; in questa
edizione al n. X) la seconda tornada, della cui esistenza il De Lollis non si era accorto.
Seguendo una consuetudine ormai universalmente diffusa nelle edizioni di
poesie trobadoriche, ho creduto opportuno far seguire a ogni testo di Sordello la
traduzione. L’edizione del De Lollis era del tutto priva di traduzioni; e di molti
componimenti del trovatore mantovano questa è la prima traduzione che venga
pubblicata.
Sento il dovere di ringraziare qui vivamente Silvio Pellegrini, il quale mi ha
suggerito, quattro anni fa, questo lavoro — che perciò ho voluto che fosse a lui
dedicato — e mi ha dato molti preziosi consigli. E assieme a Silvio Pellegrini voglio
qui ricordare con animo grato Francesco A. Ugolini, che fin dal 1939, nella prima
edizione del suo bel volume su La poesia provenzale e l’Italia, aveva detto quanto mai
desiderabile un «coordinatore lavoro complessivo» su Sordello 9, e che ha seguito con
grande interesse lo sviluppo delle mie ricerche.
Ringrazio inoltre Mademoiselle J. Vieilliard, direttrice dell’«Institut de
Recherches et d’Histoire des Textes» di Parigi, e Mademoiselle E. Brayer, direttrice
della sezione francese di tale Istituto, che hanno lasciato a mia disposizione, per
tutto il tempo che mi è stato necessario, le fotografie di molti manoscritti, e la
direttrice della Biblioteca Estense, dott. Emma Pirani, che mi ha agevolato in ogni
modo lo studio dei preziosi codici modenesi 10.
MARCO BONI
F. A. UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, Modena, 1939 (collez. «Testi e manuali» dell’Istituto di filologia
romanza dell’Università di Roma), p. XXXIX. Cfr. anche la 2ª ed., Modena, 1949, alla stessa pagina.
10 Avverto che degli scritti citati nelle note si sono date indicazioni bibliografiche complete solo la prima volta
in cui sono stati ricordati; successivamente essi sono stati citati in forma abbreviata. Si potranno ritrovare
facilmente i dati bibliografici completi ricorrendo alla bibliografia posta in fondo al volume. Con la sigla P. C.
rimando alla Bibliographie der Troubadours di A. PILLET e H. CARSTENS, Halle, 1933.
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INTRODUZIONE
XIII
I
LA VITA DI SORDELLO
1. SORDELLO FINO ALLA PARTENZA DALL’ITALIA
Sordello è, in complesso, uno dei trovatori di cui si può tracciare la vita con
una certa ampiezza — benché non senza incertezze e dubbi non facilmente solubili
in modo sotto ogni rispetto soddisfacente —, per l’abbondanza delle notizie che
intorno a lui possediamo, ricavabili non solo dalle sue poesie e dalle due biografie
provenzali, in genere, come vedremo, assai attendibili, che i codici ci hanno
tramandato (una, più ampia e più autorevole 11, conservata, come è noto, da A a a’,
un’altra, più breve, data da I K) 12, nonché dalle poesie dei trovatori con cui ebbe
rapporti, ma anche da numerosi documenti e diplomi che riguardano il nostro
trovatore o lo citano nell’elenco dei testimoni.
Sul luogo di nascita di Sordello — nome proprio assai diffuso in quel
tempo13, e diminutivo, come il meno comune Surdinus14,
Che la vida di A a a’ sia la migliore è attestato, come già notò il DE LOLLIS (Vita e poesie di Sordello, p. 3), dalla
esattezza della notizia della nascita del trovatore a Goito, e dal ricordo dei tre feudatari di casa Strasso, dei
quali, come vedremo, si trova ricordo in documenti contemporanei.
12 Trascuro, naturalmente, d, copia di K fatta nel sec. XVI, e ρ, estratto da K risalente al sec. XVII.
13 Un «Sordellus qui fuit de Marano», ad es., è ricordato tra i cittadini del quartiere di Santo Stefano di Vicenza
che giurarono il trattato concluso nel 1254 tra Ezzelino III da Romano e Uberto Pelavicino (cfr. C. MERKEL,
Sordello di Goito e Sordello di Marano, in Giorn. stor. d. lett. it., XVII, 1891, p. 381 e segg., che confuta
l’identificazione col trovatore tentata dal GITTERMANN, Ezzelin von Romano, I Teil, Die Gründung der Signorie,
Stuttgart, 1890, p. 95); un «Oldericus Sordelli», forse figlio del precedente, è citato in un atto dell’11 settembre
1260 tra i cittadini posti dal comune di Vicenza a custodia del «girone» sopra la porta del Leone in Bassano,
dopo lo sfacelo della signoria ezzeliniana (cfr. VERCI, Storia degli Ecelini, Bassano, 1779, III, p. 427); un
«Sordello Mazocho» compare come testimonio in alcuni atti rogati a Cherasco nel 1273 e nel 1289 (Historiae
Patriae Monumenta edita iussu regis Caroli Alberti, Chartarum t. II, Torino, 1853, col. 1643, 1709, 1714). Il DE
LOLLIS (Vita e poesie, p. 2 n.) cita anche un «Waltherius Surdellus» che nel 1206 permuta alcuni beni con
l’abate di Tournay.
14 Un «Surdinus» compare in un docum. del 1203 citato dal MORIONDO, Monumenta Aquensia, I, Torino, 1789,
col. 130.
11
XIV
di Surdus, da cui venne poi il cognome Sordi 15, e non soprannome giullaresco, come,
sulle orme di una osservazione del De Lollis 16, ha ripetuto anche recentemente il
Bertoni17, nonostante che nella vida più breve18, in varie rubriche19, ai v. 6 e 10 dello
scambio di cobbole tra Uc de Saint Circ e Alberico da Romano 20, e al v. 9 del
sirventese En la mar major di Peire Bremon Ricas Novas21 il nome sia fatto precedere
dall’articolo22 — abbiamo testimonianze sicure. La prima e più ampia vida afferma
che il nostro trovatore
Cfr. anche F. BERTOLINI, Sordello, in Nuova Antologia, CCVIII, 1906, p. 457.
DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 1. Il DE LOLLIS però si limita a osservare, citando i luoghi dei canzonieri
provenzali in cui il nome del nostro trovatore appare preceduto dall’articolo, che il nome Sordello «dové
apparire quasi un nomignolo derivato da forme provenzali quali sordei, sordejar...»; e soggiunge che in realtà, il
nome non è che un diminutivo di «Surdus».
17 Nella voce Sordello dell’Enciclopedia Italiana (cfr. XXXII, 1936, p. 155).
18 Si veda il testo della vida pubblicato in appendice.
19 Tali rubriche si trovano nei seguenti codici: A, c. 209 a e b, 210 c; D, c. 140 a; I, c. 123 d; K, c. 109 c e d.
20 Basti qui rimandare all’ed. delle poesie di Uc de Saint Circ di A. JEANROY e J. J. SALVERDA DE GRAVE,
Toulouse, 1913, p. 112 e ai Trovatori d’Italia del BERTONI, p. 267. Cfr. P. C. 457, 20 a.
21 Cfr. l’ed. delle poesie di Peire Bremon Ricas Novas curata da J. BOUTIÈRE, Toulouse-Paris, 1930, p. 69.
Cfr. P. C. 330, 6.
22 Il DE LOLLIS pensava, come si è visto, che il fatto che davanti al nome del trovatore sia posto l’articolo
mostri che il nome veniva quasi considerato «un nomignolo derivato da forme provenzali quali sordeis, sordejar,
e destinato a contrassegnare un uomo di qualità morali tutt’altro che elevate». Il rapporto però tra il nome
Sordel e sordeis o sordejar è molto dubbio: cfr. O. SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschrift f. rom.
Phil., XXI, 1897, p. 238 e XXII, 1898, p. 302; C. APPEL, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Literaturblatt für
germanische und romanische Philologie, XIX, 1898, col. 227. Vanno respinti anche il rapporto che il DE LOLLIS
poneva (Vita e poesie, p. 1 e 14) tra il nome del trovatore preceduto dall’articolo e l’aneddoto di Benvenuto da
Imola (di cui si parlerà ampiamente più oltre), e la supposizione, legata a tale rapporto, che Benvenuto abbia
attinto l’aneddoto a una biografia provenzale a noi ignota: cfr. SCHULTZ-GORA, ibid. e APPEL, ibid.;
NAETEBUS, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 203; e soprattutto F. NOVATI, Il canto VI del Purgatorio letto nella sala
di Dante in Orsanmichele, Firenze, 1903, p. 49 e segg., che opportunamente osserva che Benvenuto tende a
spiegare in modo simbolico i nomi dei personaggi di cui parla, mettendoli in rapporto coi casi della loro vita, e
si compiace di giuochi di parole, sì che non vi è alcun bisogno di pensare a una fonte provenzale per spiegare
il rapporto che Benvenuto istituisce tra Sordello e «sordidus».
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16
XV
«fo de Mantoana, d’un castel que a nom Got»23; e la notizia è pienamente
confermata non solo da una rubrica del codice H (c. 43 a) ove il poeta è detto Sordel
de Goi, ma anche da vari documenti 24 ove è chiamato Sordellus de Godio:
testimonianza, quest’ultima, di notevolissima importanza, perché rispecchia
l’opinione comune corrente negli ambienti ufficiali della corte angioina,
probabilmente risalente a dichiarazioni del trovatore stesso o da lui approvata. Né
parrebbe in sostanziale contraddizione con questa notizia l’indicazione fornita dalla
vida minore, che lo dice nativo «de Sirier de Mantoana»25: infatti Sirier potrebbe
essere identificato, secondo l’ipotesi messa innanzi dal De Lollis 26, con Cereda o
Cereta (pronuncia locale Serida), presso Volta Mantovana, a circa 6 km da Goito, o
con Sereno (pron. locale Serino), località posta secondo il De Lollis nelle immediate
vicinanze della precedente, oppure anche — benché sia meno probabile, essendo i
toponimi più lontani dalla forma della vida provenzale27 — con le località Cerlongo e
I Cerri, poste a circa 3 km a NO di Goito28.
Le due vidas concordemente ci attestano anche che il nostro tro-
Cito la lezione di A. Si cfr. il testo in appendice.
Il primo di tali documenti è l’accordo tra Carlo d’Angiò e Genova circa questioni di confine, del 21 luglio
1262, ove Sordello è citato tra i testimoni; gli altri sono i diplomi, conservati dai registri angioini dell’Archivio
di Stato di Napoli, relativi alle concessioni di feudi in Abruzzo fatte da Carlo d’Angiò a Sordello (di tutti
questi documenti si tratterà ampiamente più oltre).
25 Cito per questa vida, come base, la lezione di I. Cfr. l’Appendice.
26 Vita e poesie, p. 2 e segg.
27 Si potrebbe però osservare, a questo proposito, che non è possibile pretendere una puntuale
corrispondenza tra il toponimo italiano moderno e quello provenzale, che è evidentemente una traduzione
approssimativa (e non sappiamo quanto fedele), fatta dal compilatore stesso della vida, e forse storpiata poi
dai copisti, di un toponimo locale e dialettale antico.
28 Secondo O. SCHULTZ-GORA , Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, in Zeitschrift f. rom. Phil., VII,
1883, p. 203, n. 2 (e cfr. la rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, p. 238) il Sirier della vida sarebbe da identificare
piuttosto con Serere a est di Mantova, località che non si trova più registrata nella carta d’Italia dell’Istituto
Geografico Militare né in altre nostre carte moderne, ma che corrisponde — come ho potuto accertare
mediante un confronto fra la carta al 25.000 dell’I.G.M. (f.o 63, tav. III S. O., Quistello) e la «Topographische
Karte von Mittelitalien» usata dallo SCHULTZ-GORA — alla frazione di Corte Cerreto a ovest di Quingentole.
Tale località però ci porterebbe, mi sembra, troppo lontano da Goito. Naturalmente, però, anche l’ipotesi del
DE LOLLIS lascia non pochi dubbi.
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XVI
vatore fu di nobile nascita, benché appartenesse alla piccola nobiltà: la prima vida lo
dice «gentils catanis», cioè appartenente alla classe dei «cattani» o signori di castelli,
che nella gerarchia feudale avevano, come è noto, un grado intermedio tra i conti e i
semplici valvassori; e la seconda lo dice figlio di un cavaliere, specificando però che
questo cavaliere era povero di averi: notizia assai credibile, e che ci spiega come il
trovatore abbandonasse il luogo natio e tentasse la fortuna nelle corti. La seconda
vida aggiunge che il padre di Sordello «avia nom sier el Cort»: espressione nella quale
non si sa se si debba ravvisare il vero nome del padre, come inclina a credere il De
Lollis29, il quale avverte che «Curtus, nome e patronimico, fu comunissimo nell’Italia
settentrionale al secolo XIII», o come un soprannome, allusivo alla breve statura o
alle scarse rendite del cavaliere, come vorrebbe invece l’Ugolini 30.
Quanto alla data di nascita, che le vidas naturalmente non danno, e che non
conosciamo da altra fonte, dovremo fissarla per congettura: ma non è certo troppo
arrischiato pensare ai primi anni del sec. XIII o forse, meglio, agli ultimi anni del sec.
XII31.
Bello di persona, come attesta la biografia più ampia 32 e, co-
Vita e poesie, p. 8, n.
UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXX. Anche il FAURIEL, nel suo saggio su Sordello pubblicato
nella Bibliothèque de l’École des Chartes, IV, p. 95, aveva ritenuto il Cort come un soprannome allusivo alla
povertà del padre del trovatore. Il NOVATI, II canto VI del Purgatorio, p. 21, dice Sordello «probabilmente di
gran lignaggio, perché a chi conosca le misere condizioni nelle quali sullo scorcio del secolo decimosecondo
versavano le più nobili ed antiche famiglie italiane per la suddivisione indicibile dei patrimoni aviti, non può
far stupore che i cattani di Goito fossero altrettanto nobili quanto miserabili». È giusta l’osservazione che
molte delle più nobili famiglie italiane fossero allora in piena decadenza; ma che Sordello fosse «di gran
lignaggio» è ipotesi che lascia non pochi dubbi. Sui nobili di Goito cfr. F. C. CARRERI, Le condizioni medievali di
Goito, in Atti e Memorie della R. Accademia Virgiliana di Mantova, 1897-98, p. 157 e segg., e P. TORELLI, Un
comune cittadino in territorio ad economia agricola, Mantova, 1930, I, p. 53 e segg. Ma sarebbero utili approfondite
ricerche particolari.
31 Cfr. UGOLINI, ibid. Collocano la nascita del trovatore «intorno al 1200» il DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio,
milite, p. 136; il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 9; il CRESCINI, Sordello, Padova, 1897, p. 16; il
BERTONI, Il Duecento, Milano, Vallardi, 1947, p. 27 (e cfr. la voce dell’Enciclopedia italiana; il VISCARDI, Poesie di
Sordello, in Dizionario letterario Bompiani, Milano, 1948, V, p. 678. Ai primi anni del sec. XIII pensano invece lo
SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italianischen Trobadors, p. 203; e J. ANGLADE, Les Troubadours, Paris,
1929, p. 235.
32 In essa si legge infatti: «E fo avinens hom de la persona...».
29
30
XVII
me possiamo facilmente intuire, di ingegno vivace e di animo avventuroso e
generoso, Sordello preferì alla vita meschina e monotona di un piccolo nobile del
contado la vita del giullare e dell’uomo di corte, più vivace e brillante, e che offriva
anche la possibilità di fare fortuna. Erano i tempi in cui la Marca Trevigiana
risuonava tutta di canti occitanici, e nelle grandi e piccole corti della regione (quella
degli Estensi, quella dei Da Romano, quella dei San Bonifacio, ecc.) trovavano
protezione e ottenevano plauso per le loro liriche vari trovatori, fra cui primeggiava
Aimeric de Peguilhan 33. E numerosissimi erano i giovani giullari, che invadevano le
corti, avidi di doni e di ricompense, ansiosi di affermarsi, rissosi e spregiudicati, in
lotta fra loro, ma senza riguardi anche per i trovatori anziani, contro i quali si
appuntano pure le loro invidie: i «croi joglaret novel», «enojos e mal parlan», di cui
parla Aimeric de Peguilhan nel famoso sirventese Li fol e·il put e·il filol, lagnandosi
che essi corrano «un pauc trop enan» e aggiungendo (vv. 6-8).
E son ja, li mordedor
per un de nos dui de lor;
e non es qui los n’esquerna34.
Tra questa turba di giullaretti novelli ritroviamo in un primo tempo Sordello,
partecipe dei loro giochi e delle loro risse; benché
Sulla lirica trovadorica nella Marca Trevigiana e presso gli Estensi, oltre al vecchio studio di T. CASINI, I
trovatori nella Marca Trivigiana, in Il Propugnatore, XVIII, 1885, p. 149 e segg., basti rimandare alle seguenti opere:
BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 16 e segg., e Il Duecento, p. 20 e segg.; A. JEANROY, La poésie lyrique des
troubadours, Toulouse-Paris, 1934, I, p. 244 e segg.; V. DE BARTHOLOMAEIS, La poesia provenzale in Italia, nel
vol. Provenza e Italia, Firenze, 1930, p. 28 e segg. e passim (pagine ripetute senza grandi mutamenti nell’introd.
alle Poesie provenzali storiche relative all’Italia, Roma, 1931, I, p. XXXV e segg.), e Primordi della lirica d’arte in Italia,
Torino, 1943, principalm. p. 178 e segg.; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXI e segg.
34 Cito dal testo critico dato dall’UGOLINI, ibid., p. 57 e segg. (e cfr. p. 148), migliore in alcuni punti anche di
quello dato dalla recentissima ed. critica delle poesie di Aimeric de Peguilhan di W. P. SHEPARD e F. M.
CHAMBERS, Evanston, Illinois, 1950, p. 166. Cfr. anche la ricostruzione, accompagnata da un accuratissimo
commento, di V. CRESCINI, Note sopra un famoso sirventese di Aimeric di Peguilhan, in Studi medievali, n. s., III, 1930,
p. 6 e segg., riprodotta nel vol. Romanica fragmenta, Torino, 1932, p. 541 e segg., e quella di V. DE
BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. 241 e segg. Del sirventese il DE BARTHOLOMAEIS ha trattato
anche nel saggio Il sirventese di Aimeric de Peguilhan Li fol, li put e·il filhol, in Studi romanzi, VII, 1911, p. 296 e
segg.; cfr. anche Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 96 e segg. La composizione del sirventese si può collocare
circa al 1220: cfr. UGOLINI, ibid., p. XXIII; e cfr. DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. 241 e
segg.
33
XVIII
certo subito si distinguesse tra essi per il suo ingegno, per la sua fierezza (di cui
vedremo in seguito notevoli testimonianze), e per le sue doti di poeta e di musico,
che la più ampia delle vidas espressamente ricorda35. Infatti nel sirventese sopra
ricordato (vv. 11-16) Aimeric de Peguilhan lo distingue chiaramente dalla folla dei
«joglaret novel», per quanto non lo stacchi da essi che ironicamente, e lo presenti
come un accanito giocatore di dadi, sempre squattrinato, tanto da esser costretto a
lasciare il gioco quando gli manchi chi gli presti del denaro:
Non o dic contra’n Sordel,
q’el non es d’aital semblan,
ni no·is vai ges percassan
si co·l cavallier doctor,
mas, qan faillo·l prestador
non pot far cinc, cines, terna36.
Questo sirventese di Aimeric de Peguilhan è un prezioso documento degli anni
giovanili di Sordello, il quale, al tempo in cui Aimeric scrisse questi versi, doveva
essere all’incirca ventenne37. Un altro documento è costituito dallo scambio di
cobbole tra Aimeric de Peguilhan e Sordello, che costituisce il testo XXX di questa
Vi si dice infatti che Sordello «fo bon chantaire e bon trobaire». Mette conto di ricordare, a proposito del
tirocinio poetico del nostro trovatore, che il BERTONI (Il Duecento, p. 29) formula l’ipotesi che Sordello sia
stato ammaestrato nell’«arduo esercizio» del rimare in provenzale da Rambertino Buvalelli, che era stato
podestà di Mantova nel 1215-16, e aveva usato, per primo, per indicare la donna amata, il senhal di «Restaur»,
caro poi a Sordello. È un’ipotesi suggestiva, ma che non si appoggia ad alcuna prova sicura.
36 Seguo per il v. 16, tanto discusso, la lezione del CRESCINI e dell’UGOLINI, che mi sembra del tutto
soddisfacente. La lezione del DE BARTHOLOMAEIS, No pot far cinc et ill terna, assai lontana dalla tradizione
manoscritta, mi sembra meno convincente, nonostante il raffronto istituito con un passo del sirventese Mout
m’es (P. C 80, 28) di Bertran de Born (cfr. Il sirventese di Aimeric de Peguilhan, p. 314, e Poesie provenzali storiche, I,
p. 243): anche ammettendo, infatti, che Sordello avesse dinanzi questo componimento, non si può escludere
che abbia variato l’espressione del suo modello. Né mi sembra accettabile la lezione No pot far cinc ni sieis terna
data dall’ed. SHEPARD, CHAMBERS, p. 166 e 169. A proposito dell’interpretazione generale del passo è da
notare che il DE BARTHOLOMAEIS pensa che qui Aimeric presenti Sordello come «un procacciante vivente di
prestiti e di truffe » (Poesie provenzali storiche, I, p. 243); probabilmente è più nel vero il CRESCINI (Note sopra un
famoso sirventese), il quale ritiene che l’ironia sia assai meno pungente. Cfr. anche TORRACA, Sul «Sordello» di C.
De Lollis, p. 7 e segg.
37 Per la data del sirventese cfr. nota 34 Sordello si trovava allora nella Marca Trevigiana, non a Saluzzo: cfr.
DE BARTHOLOMAEIS, Il sirventese di Aimeric de Peguilhan, p. 303 e segg., e Poesie provenzali storiche, I, p. 243.
35
XIX
edizione, interessante perché ci mostra Sordello in aperto contrasto col trovatore
tolosano: nella prima cobla infatti Aimeric rinfaccia a Sordello di essersi buscato un
colpo di anguistara sulla testa (evidentemente in una rissa in una taverna), e,
osservando ironicamente che egli, però, aveva un cuore tanto umile e tanto nobile
da prendersi in pace ogni colpo, pur che non vedesse del sangue, lo accusa
velatamente di essere un vile; nella seconda Sordello replica violentemente,
scagliando contro Aimeric la solita accusa di avarizia, e deridendone la bruttezza e la
pretesa — come par che si debba intendere — di voler fare il galante malgrado l’età
avanzata38.
A queste cobbole, conservate in P, può essere accostata anche un’altra
cobbola, conservata da H, in cui Sordello ricorda con compiacenza il colpo di spada
con cui un certo Auziers 39 ferì, in modo da tagliargli tutta la guancia, un certo Figeira
— che si potrebbe (benché la cosa sia tutt’altro che sicura) identificare con Guilhem
Figueira40 — che lo aveva assalito in un sirventese in cui faceva prova della sua
«lenga falsa e messongeira». Tale cobbola (testo XXVII di questa edizione) e la
precedente sono i più antichi componimenti che ci siano rimasti del nostro
trovatore.
Di questi versi però non è possibile dare una datazione sicura.
Rimando alle note che accompagnano il testo per l’indicazione delle edizioni e per altri particolari. La data
del componimento è assai incerta: il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 73 afferma che risale «forse al 1216 o
1220»; il DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 78 si limita a dirlo anteriore alla partenza di
Sordello dall’Italia, che egli assegna al 1228; lo SHEPARD e il CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 22
e 73, inclinano alla data proposta dallo SCHULTZ-GORA (Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 204),
che lo poneva intorno al 1225. Il DE LOLLIS pensava invece al 1220: cfr. più oltre.
39 Qualche studioso ha voluto identificarlo con Guglielmo Augier Novella: cfr. P. MEYER, rec. del vol. di E.
LEVY su Guilhem Figueira, in Romania, X, 1881, p. 202; SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnissen der italienischen
Trobadors, p. 120; J. MÜLLER, Gedichte der Guillem Augier Novella, in Zeitschrift f. rom. Phil., XXIII, 1899, p. 51; DE
BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 62 e seg. e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 183.
40 L’identificazione tra il Figeira o Figera di questo componimento e delle cobbole giulleresche di cui si parla in
queste pagine e Guilhem Figueira è stata negata risolutamente dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali
storiche, I, p. 250 e seg. e II, p. 63 (ma in parte partendo da un errore messo in luce dall’UGOLINI), e Primordi
della lirica d’arte in Italia, p. 111 e 183 e seg.; ed è messa in dubbio dall’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p.
XXVIII e seg. Per la tesi favorevole all’identificazione (accettata anche dal PILLET e dal CARSTENS,
Bibliographie, n. 217) basti citare: E. LEVY, Guilhem Figueira, Berlin, 1880, p. 2 e segg.; DE LOLLIS, Vita e poesie,
p. 4 e segg.; e Pro Sordello de Godio, milite, p. 124 e segg.; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 2 e segg.; e
Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 419 e segg.; SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 20 e
segg., 79 e seg., 94 e segg.
38
XX
A una data sicura aveva creduto di poter arrivare il De Lollis 41, il quale, ricollegando
queste cobbole ad altre sette conservate in H, una di seguito all’altra (nn. 194-200)42
a non molta distanza dalla cobla di Sordello contro Figeira (che è al n. 237), aveva
creduto di poter riferire tutte e dieci le cobbole a un medesimo avvenimento, ossia a
una contesa tra giullari che egli pensava avvenuta «verso il 1220» in una taverna di
Firenze: deducendo la data dai versi di chiusa della cobla Bertran d’Aurei, se moria,
assegnata nel ms. a Figera, che alludono alla Metgia di Aimeric de Peguilhan e non
danno a Federico II che il titolo di re, e sono perciò anteriori alla coronazione
imperiale di Federico, avvenuta il 22 novembre 1220, e la località dal v. 4 della cobla
di Paves. Sarebbe in tal modo possibile pensare a un soggiorno di Sordello a Firenze
nell’anno 1220.
La tesi del De Lollis, fondata su sottili accostamenti, poteva a prima vista
apparire suggestiva. Egli riuniva le prime quattro cobbole date da H (nn. 194-197),
che hanno la stessa struttura strofica e le stesse rime, e sono evidentemente
connesse tra loro anche per il contenuto 43, alle cobbole 199 e 200, chiaramente
collegate asVita e poesie, p. 4 e segg.; Pro Sordello de Godio, milite, p. 124 e segg.
Per chiarezza, elenco qui le sette cobbole, nell’ordine in cui si trovano nel codice, citando il primo verso di
ciascuna, e indicando l’autore a cui ciascuna è attribuita:
n. 194. Figera. Bertram d’Aurel, se moria (P. C. 217, 1 b);
n. 195. N’ Aimerics de Piguillan. Bertram d’Aurel, s’[aucizia] (P. C. 10, 13);
n. 196. Bertram d’Aurel. N’ Aimeric, laissar poria (P. C. 79, 1);
n. 197. Lambertz. Seigner, scel qi la putia (P. C. 280, 1);
n. 198. Paves. Anc de Roland ni del pro n’Auliver (P. C. 320, 1);
n. 199. Figera. Anc tan bel colp de ioncada (P. C. 217, 1 a);
n. 200. N’ Aimerics de Piguillan. Anc tan bella espazada (P. C., 10,9).
Le cobbole (edite diplomaticamente dal GAUCHAT e dal KEHRLI in Studi di filologia romanza, V, 1891,
p. 523 e segg.) sono state stampate — trascurando edizioni più antiche, come quella del MAHN — dal
TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 419 e segg.; dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I,
250 e segg., II, 76 e segg.; e da SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 73, 79 e seg., 94 e
segg. Le cobbole 194, 195, 196, 197, 199 e 200 si trovano anche nell’ed. delle poesie di Guilhem Figueira del
LEVY, p. 55 e seg. La cobbola di Paves (198) è anche nei Trovatori d’Italia del BERTONI, p. 301; e le cobbole
194, 196 e 197 si trovano pure nell’ed. delle poesie di Rambertino Buvalelli del BERTONI (Dresden, 1908), p.
58 e 65 e seg.
43 Nella cobla 194 Figera, imitando lo schema di una tenzone tra Guido di Cavaillon e il conte di Tolosa (cfr.
TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis; DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite;
LEVY, Guilhem Figueira, p. 56; DE BARTHOLOMAEIS, Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 111) si rivolge a
Bertram d’Aurel, chiedendogli a chi Aimeric de Peguilhan, se morisse prima di Ognissanti, lascerebbe le
ricchezze che ha accumulate in Lombardia soffrendo freddo e fame (la solita accusa di avarizia che gli rivolge
anche Sordello); nella 195 Aimeric stesso, prevenendo le risposte e ritorcendo le domande a danno del suo
avversario, si rivolge anch’egli a Bertran d’Aurel chiedendogli a chi «Figera ·l deptor», nel caso che fosse stato
ucciso da N’ Auzers, avrebbe potuto lasciare il suo fals cor traidor, pieno di ogni sorta di vizi, e tutte le sue
41
42
XXI
sieme dalla eguaglianza della struttura strofica e delle rime e dal contenuto,
ritenendo che la ferita che N’ Auzers dette a «‘N Guillelm Gauta-segnada» fosse da
porsi in rapporto coi primi due versi della cobbola 195; e a questa riteneva si
dovessero legare anche la 198, posta nel codice tra i due gruppi, pensando che il
colpo di pane secco e duro dato da Capitanis44 a «‘N Guillem l’enojos» fosse da
accostarsi al colpo di spada della cobla 200 e al colp de joncada della 199, dati a «‘N
Guillelm Testa-pelada» e a «‘N Guillelm Gauta-segnad» (che potrebbero essere la
stessa persona), e la 237, ove Sordello accenna a un colpo di spada che ferì Figeira, il
quale potrebbe essere identificato con i Guglielmi delle cobbole 198, 199 e 200. E
riuniva inoltre alla serie anche le due cobbole scambiate tra Aimeric de Peguilhan e
Sordello conservate da P (unite fra loro in modo indubbio dalla eguaglianza della
struttura strofica e delle rime), sia per la analogia che gli pareva di notare tra il colpo
di engrestara ricevuto da Sordello sul capo e il colp de joncada e l’espazada delle cobbole
199 e 200 (che gli faceva pensare che Sordello ricevesse il colpo di engrestara nella
stessa rissa in cui erano stati malmenati i due Guglielmi — riducibili anche a un solo
cattive compagnie; nella 196 Bertran d’Aurel distribuisce a suo modo l’eredità di Figera, assegnando a «Çoanet
lo menor» l’enjan e la tricharia, a «N’ Auzers lo fegnedor» e a «‘N Budel» il desonor, a «‘N Lambert» la putia, il
vizio del bere a «‘N Complit-Flor » e i ribaldi a «N’ Amador»; nella 197 Lambert (nel quale non mi pare da
ravvisare in alcun modo Rambertino Buvalelli: cfr. G. BERTONI, Rambertino Buvalelli trovatore bolognese e le sue
rime provenzali, Dresden, 1908, p. 11 e segg. e 67 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. 250
e segg.; SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 96) si dichiara, con molta libertà di
linguaggio, contento dell’eredità che gli è stata riserbata.
44 Questo personaggio non deve, naturalmente, essere identificato con Sordello, come voleva lo SCHULTZGORA, Die Lebensverhältnisse der italianischen Trobadors, p. 130. Cfr. anche TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis,
p. 5; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 24, 83, 301 e 358; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 77 e
segg.
XXII
personaggio — delle cobbole 198-200), sia per l’identità della struttura strofica, sia
per l’identità quasi completa delle rime45, la somiglianza del secondo verso, e il
ritorno della parola sanc nel v. 8 delle cobbole 199 e 200 e nella prima cobbola di P.
La tesi del De Lollis, che riprendeva in parte quella del Levy 46, ha suscitato
però forti obiezioni, non solo da parte del Torraca, che ne fece uno dei punti
fondamentali della sua critica al De Lollis 47, ma anche da parte del Naetebus 48 e
dello Schultz-Gora49; e anche il Bertoni, pur ammettendo la possibilità dell’ipotesi,
ne ha messo in luce il carattere oltremodo congetturale50: sicché oggi si può dire
ormai con ragione messa da parte. Le quattro cobbole 194, 195, 196 e 197 di H
stanno invero evidentemente per loro conto: infatti i vv. 1-2 della cobbola 195 non
bastano a legare strettamente questo gruppo alle altre cobbole, perché — a parte
l’incertezza dell’identificazione di Figera con «Guillelm Gauta-segnada» — non è
detto che si riferiscano al ferimento di cui parla la cobbola 200, in quanto da essi si
può ricavare soltanto che esisteva una rivalità tra Figera e N’ Auzers; e resta sempre
possibile pensare, d’altra parte, che tra queste cobbole e le altre intercorra un certo
spazio di tempo. E in tal modo vien meno la possibilità di riferire la percossa
ricevuta da Sordello mediante l’engrestara di cui parla la cobbola Anc al temps d’Artus ni
d’ara di Aimeric de Peguilhan al 1220, che è la data certa di queste quattro cobbole di
H, scritte certamente subito dopo la Metgia di Aimeric51 e anteriormente alla
coronazione imperiale (22 novembre 1220) di Federico II — che è ancora chiamato
rei al
L’unica differenza si ha nei v. 1 e 4 ove nelle cobbole 199 e 200 di H si ha la rima in -ada, mentre nella
prima cobbola di P si ha la rima in -ara.
46 LEVY, Guilhem Figueira, p. 9 e 55 e segg.
47 TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 2 e segg.; A proposito di «Sordello», p. 301; Sul «Pro Sordello» di C. De
Lollis, p. 419 e segg.
48 NAETEBUS , rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 203.
49 SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, 1897, p. 238, e cfr. XXII, 1898, p. 302. — Difese invece
la tesi del DE LOLLIS, GUARNERIO, nella sua rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 384.
50 G. BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXXVIII, 1901, p. 271; Rambertino
Buvalelli, p. 65 e segg.; I trovatori d’Italia, p. 83.
51 La Metgia è certamente del 1220: DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite, p. 136 e segg.; BERTONI, I Trovatori
d’Italia, p. 26; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. XLIII e segg., II, p. 246 e segg., e Primordi
della lirica d’arte in Italia, p. 108 e segg.; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXII; SHEPARD, CHAMBERS,
The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 20 e seg. e 148 e seg. Il DE LOLLIS in un primo tempo credeva, col DIEZ,
che fosse stata composta poco dopo il 1218 (Vita e poesie, p. 5, n.). Il TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De
Lollis, p. 432 e segg., voleva, erroneamente, riportarla a una data ancora anteriore (tra il 1214 e il 1216).
45
XXIII
v. 9 della cobla 194 — anche se è forse troppo ardito precisare più minutamente le
circostanze in cui furono composte, come fa il De Bartholomaeis, che le ritiene
composte lungo la via Emilia 52. E mi sembra assai dubbio l’accostamento alle
cobbole 199-200 della cobbola di Paves (n. 198): «Guillem l’enojos» potrebbe essere
un personaggio diverso dai Guglielmi in esse ricordati: e con questo verrebbe meno
la possibilità di collocare la rissa a Firenze 53. Anche il fatto che la cobbola s’inizia
con Anc come le cobbole 199-200 (e come le due di P) non mi sembra abbia gran
valore, come vorrebbe il De Lollis 54: si tratta infatti di una formula assai comune 55;
e, d’altra parte, anche ammettendo tra queste cobbole un rapporto di diretta
imitazione letteraria in un senso o in un altro, non se ne può trarre una deduzione
sicura per quanto riguarda la cronologia.
Più chiaro sembrerebbe il legame tra la cobbola sordelliana contro Figeira e
le cobbole 199-200 di H, sembrando il colpo di spada dato da N’ Auziers a Figeira
qui ricordato lo stesso in cui si parla nella cobla 200, inferto da N’ Auzers a Guillelm
«Gauta segnada», sempre che si ammetta che tale Guillelm sia il Figueira 56: il che
però non ci dà nessun elemento per una precisa datazione della cobla di Sordello.
Quanto alle due cobbole di P, la evidentissima somiglian-
DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. 248, 250; e cfr. Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 108 e
segg. Dubitano dell’affermazione del DE BARTHOLOMAEIS anche SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric
de Peguilhan, p. 96.
53 Il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 83 inclina invece a legare fra di loro queste tre coblas e a identificare Guillem
con il Figueira. Secondo lo SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 204, «Guillem
l’enojos» potrebbe essere Guilhem de la Tor. Anche SHEPARD e CHAMBERS sono propensi a porre in stretta
relazione le tre cobbole.
54 DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite, p. 132.
55 TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 453 e segg.
56 Questa identificazione è assai discussa: la accolgono, ad es., lo SHEPARD e il CHAMBERS, The Poems of
Aimeric de Peguilhan, cit, p. 80; la negano invece il TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 427, e il DE
BARTHOLOMAEIS, Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 183. Mette conto osservare che il Guillelm «Testa
pelada» della cobla 199 ben difficilmente potrà essere lo stesso Figera a cui la cobla è assegnata nel codice:
dev’essere un personaggio diverso. Fu forse un modesto giullare, di cui non sappiamo altro che il nome, come
sembra intendere il DE BARTHOLOMAEIS? Oppure si deve pensare che questa cobla sia una pura imitazione
letteraria di quella di Aimeric de Peguilhan, senza rispondenza con la realtà? Non bisogna dimenticare che
anche le coblas satiriche erano un «genere» letterario.
52
XXIV
za formale con le cobbole 199-200 di H (identità di struttura metrica, identità di
rime salvo quella dei v. 1 e 4, sostituita dall’assonanza, parola sanc in rima all’ultimo
verso) non può provare se non questo: che Aimeric de Peguilhan nella cobbola Anc
al temps d’Artus ni d’ara seguì lo schema delle cobbole 199-20057: nulla ci obbliga a
credere che Sordello ricevesse il colpo di engrestara nella stessa zuffa in cui N’Auzers
ferì Guillelm 58.
Dobbiamo dunque metter da parte l’ipotesi di un soggiorno di Sordello a
Firenze, così come dobbiamo mettere da parte quella di un soggiorno a Saluzzo o
genericamente in Piemonte, che si è voluta ricavare dal sirventese Li fol e·il put e·il
filol di Aimeric de Peguilhan59; e le cobbole ricordate valgono solo come documento
generico della scapigliata vita giovanile del nostro trovatore, se si vogliono,
s’intende, considerare ispirate a fatti reali e a reali situazioni, e non — come pure si
potrebbe sostenere — pure finzioni letterarie, dettate dal desiderio di dar prova di
abilità o di esercitarsi nella poesia satirica e realistica.
Sulla vita giovanile di Sordello abbiamo anche due altri curiosi documenti. Il
primo è una cobbola di ignoto, anch’essa conservata dal ms. P, subito dopo le due
cobbole ingiuriose scambiate tra Sordello e Aimeric de Peguilhan: l’anonimo
rimatore dice di perdonare volentieri a Sordello tutte le offese che gli ha fatte,
perché egli ne troverà giocando la giusta punizione: infatti — aggiunge — egli si è
giocato ambedue i suoi palafreni e il suo destriero, e ora, se giungerà a un fiume ove
non sia né guado né ponte, è costretto a spogliarsi e a mostrare le sue rotondità 60. Il
secondo è una tenzone tra Figera e Aimeric de Peguilhan che si trova nel canzoniere
H (n. 176), in cui si accenna a una movimentata partita a scacchi gio-
Si potrebbe anche sostenere che l’imitazione avvenne in senso contrario: ma mi sembra meno verisimile.
Secondo il TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 457 Sordello ricevette il colpo d’engrestara in un
soggiorno in Piemonte, che gli sembra attestato dal noto sirventese di Aimeric di Peguilhan: ma cfr. la n. 37.
59 Cfr. la nota precedente.
60 La cobla (P. C. 461, 80) è stata stampata dallo STENGEL, nell’ed. diplom. di P (in Arch. für das Stud. der neueren
Spr. und Lit., L, 1872, p. 263), dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 73, e da A. KOLSEN,
Altprovenzalisches, 18: Das Sirventes des Joan d’Albuzo gegen Sordel, in Zeit. für roman. Phil, LVIII, 1938, p. 99 e segg.
Cfr. anche BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 75 e seg. (oltre, naturalmente, a DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 7).
57
58
XXV
cata a Brescia, durante la quale Bertram d’Aurel minacciò col coltello Guillelm del
Dui-Fraire, suo avversario, che viene chiamato «maiestre d’en Sordel»: maestro di
Sordello, verisimilmente, non nel cantare o nel poetare, ma nel giocare agli scacchi 61.
Sono due componimenti difficilmente databili 62, ma che ci mostrano anch’essi la
passione del trovatore per il gioco negli anni della giovinezza. Particolarmente
interessante è il primo, dal quale, per il fatto che Sordello vi appare in possesso di
due palafreni e un destriero, il De Lollis 63 pensava che si potesse dedurre soltanto
che «i diritti di giulleria di Sordello erano molto elevati e che, dunque, sin dall’inizio
della sua carriera, i meriti trovadorici di lui eran tutt’altro che scarsi», ma forse si può
ricavare anche, e meglio, con lo Schultz-Gora64 e con altri65 che Sordello, pur
mescolandosi alla turba dei «giullaretti novelli», non era propriamente allo stesso
livello di essi, ma alquanto al disopra di essi, e spiccava non solo per il suo ingegno,
ma per la sua aspirazione a una vita più decorosa e nobile, per un vivo senso della
dignità: il che ci spiegherà le sue proteste di non essere un giullare.
La tenzone (P. C. 10,36 e 217,4 c) è stata stampata (oltre che da GAUCHAT e KEHRLI, nell’ed. diplom. di H,
p. 518) dal LEVY, Guilhem Figueira, p. 57 e segg.; dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 74, e
da SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 182 e segg. Su di essa cfr. anche DE LOLLIS, Vita
e poesie p. 25; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 7 e segg.; CRESCINI, Note sopra un famoso sirventese, p. 14
e nel vol. Romanica fragmenta, p. 551; D. J. JONES, La tençon provençale, Paris, 1934, p. 37.
62 Il DE LOLLIS ad es. (ibid., p. 7 e 25) li ricollega alla vita giovanile del trovatore, pur senza dare date precise;
il DE BARTHOLOMAEIS (Poesie provenzali storiche, II, p. 73 e segg.) li assegna genericamente al primo periodo
della vita del poeta, giudicandoli anteriori al 1228, anno in cui ritiene avvenuta, al più presto, la partenza di
Sordello dall’Italia; il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 8 e seg.) riporta il primo componimento agli
anni in cui Sordello non era più alle prime armi, mentre assegna il secondo al tempo del suo esordio poetico;
il KOLSEN (Altprovenzalisches, 18: Das Sirventes) inclina ad attribuire il primo componimento a Peire Bremon
Ricas Novas, assegnandolo quindi al soggiorno in Provenza; lo SHEPARD e il CHAMBERS (The Poems of Aimeric
de Peguilhan, p. 138) pongono il secondo prima del 1225. A mio giudizio, ambedue possono essere attribuiti,
con buone probabilità, agli anni più giovanili del poeta.
63 DE LOLLIS, ibid., p. 7.
64 Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 205, ove è detto testualmente: «dieser Umstand zeigt, dass
Sordel mit den andern joglars nicht auf eine Stufe zu stellen ist: er muss jedenfalls in seinem Auftreten etwas
Glänzenderes und in seinem Wesen etwas Vornehmeres gehabt haben».
65 Ad es. il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 8.
61
XXVI
Da tutti questi componimenti — eliminato il soggiorno a Firenze — non
possiamo però ricavare alcuna notizia esatta circa i luoghi in cui Sordello ebbe allora
a soggiornare. La prima notizia sicura che ci permette di localizzare, per così dire,
l’attività giovanile di Sordello è la tenzone (n. XIII di questa edizione) da lui
scambiata con Joanet d’Albusson66, ritrovata dal Bertoni nel ms. a’67, dalla quale si
deduce che il trovatore di Goito dovette soggiornare per qualche tempo presso la
corte estense: infatti in essa Joan rimprovera Sordello di essersi fatto giullare per
povertà e di essersi compiaciuto di accettare antan (v. 9) i drappi regalatigli dal
Marqes, nel quale è da ravvisare, come ha mostrato il Bertoni, il marchese Azzo VII
d’Este68. L’antan ci induce a ritenere il soggiorno di Sordello presso il marchese
alquanto anteriore alla tenzone, che sembra appartenere, per le allusioni a Cunizza
che paiono trovarvisi, al tempo in cui il trovatore era alla corte di Rizzardo di San
Bonifacio o addirittura, come è più probabile, al tempo in cui si trovava presso i Da
Romano dopo il ratto di Cunizza 69; d’altra parte, poiché Azzo d’Este in questo
periodo fu costantemente in relazioni amichevoli con Rizzardo di San Bonifacio,
tanto che anche nel 1230, quando Rizzardo fu catturato da Ezzelino III da Romano,
accordatosi coi Montecchi, appoggiò i Padovani, i Vicentini e i Mantovani nel loro
tentativo (che, come è noto, riuscì) di liberare il conte 70, sarebbe impossibile pensare
che il soggiorno di Sordello presso il marchese avesse avuto luogo dopo il ratto di
Cunizza. Notevole è in questa
Pensa invece al «Çoanet lo menor» ricordato nella cobbola 196 di H lo SCHULTZ-GORA, Ein Sirventes von
Guilhem Figueira gegen Friedrich II, Halle, 1902, p. 43: ma secondo me è ipotesi meno attendibile. Il DE
BARTHOLOMAEIS nelle Poesie provenzali storiche, II, p. 71 rimaneva incerto fra la tesi del BERTONI e quella dello
SCHULTZ-GORA; ma successivamente (Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 181) si è accostato, pur conservando
qualche dubbio, all’opinione del BERTONI.
67 BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, p. 271 e segg., 285 e segg., 292 e segg., e I trovatori d’Italia, p. 76; cfr.
anche DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 71 e segg.
68 Anche lo SCHULTZ-GORA (recensione allo studio Nuove rime di Sordello di Goito del BERTONI, in Zeitschrift f.
rom. Phil., XXVI, 1902, p. 367), il DE BARTHOLOMAEIS (Poesie provenzali storiche, ibid., e Primordi della lirica d’arte
in Italia, p. 181 e segg.) ammettono il soggiorno di Sordello alla corte estense.
69 Anche il DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, ibid., pensa che la lirica sia posteriore al ratto, ossia al
1226. Cfr. Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 182. Sulla questione cfr. le note al testo.
70 Basta rimandare allo studio di L. SIMEONI, Note sulla formazione della seconda lega lombarda, in Memorie della R.
Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Classe di scienze morali, s. III, t. VI (1931-32), p. 26.
66
XXVII
tenzone il fatto che Sordello vi si difende vivacemente e vigorosamente dall’accusa
di essere un giullare, dalla quale, come vedremo, dovrà difendersi anche contro Peire
Bremon Ricas Novas in Provenza. In questa sua prima difesa Sordello dichiara di
aver preso i drappi del marchese soltanto per rivestire qualche giullare (vv. 10-12):
affermazione che sembra trovare conferma nei vv. 9-10 dello scambio di cobbole tra
Falcon e Cavaire71, in cui Cavaire rinfaccia a Falcon di essersi fatto rivestire da un
joglaret del Marqes d’Est. Se in questo joglaret potesse ravvisarsi Sordello, ne
risulterebbe ulteriormente convalidata la tesi del Bertoni, secondo la quale, come si è
detto, il Marqes è Azzo VII d’Este.
I buoni rapporti tra Azzo VII d’Este e Rizzardo di San Bonifacio ci aiutano a
spiegare il passaggio di Sordello dalla corte estense a quella del conte Rizzardo in
Verona. La dimora di Sordello presso Rizzardo di San Bonifacio è attestata
concordemente dalle due vidas provenzali, la prima delle quali afferma: «Et entendet
se en madompna Conissa, sor de ser Aicelin e de ser Albric de Romans, q’era
moiller del comte de Saint Bonifaci, ab cui el estava»; e la seconda, più brevemente,
dice: «E venc s’en a la cort del comte de San Bonifaci; e·l coms l’onret molt». La
testimonianza delle vidas è confermata da Rolandino, secondo il quale — come par
che si debba intendere — Sordello appartenne alla familia del conte72: fu cioè suo
«famigliare», suo «cortigiano» o «uomo di corte» (qualifica, questa, che gli dà anche
Benvenuto da Imola, senza peraltro preci-
Su questo scambio di cobbole (P. C. 151,1 e 111,2) si veda: V. CRESCINI, Revestor, in Zeitschrift f. rom. Phil.,
XLVII, 1927, p. 47 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, 11, p. 70 e Primordi della lirica d’arte in
Italia, p. 181 (ove erroneamente il primo dei due giullari è chiamato Folco); UGOLINI, La poesia provenzale e
l’Italia, p. XXIII e seg., 71 e 148.
72 Dice infatti Rolandino (cito dalla più recente ed. di A. BONARDI, nella nuova ed. dei Rerum Italicarum
Scriptores, t. VIII, p. I, Città di Castello, 1905, p. 18; cfr. la vecchia ed. dei Monum. Germ. Hist., Script. XIX, p.
40): «...(dompnam Cunizam), vite cuius series fuit. Primo namque data est in uxorem corniti Rizardo de
Sancto Bonifacio, set tempore procedente, mandato Ecelini sui patris Sordellus, de ipsius familia, dompnam
ipsam latenter a marito subtraxit». Non è chiaro il significato di ipsius. Il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 8) lo riferì
a Rizzardo, e così par che logicamente si debba intendere, e fu inteso da molti (cfr. ad es. BERTONI, I trovatori
d’Italia, p. 76; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXI); ma vi è stato anche chi, come il DE VIT
(Cunizza da Romano, Padova, 1891) l’ha voluto riferire a Cunizza — il che in fondo non cambierebbe
sostanzialmente la posizione del trovatore —, e anche chi, come il MERKEL (Sordello e la sua dimora presso Carlo
d’Angiò, Torino, 1890, p. 8), volle riferirlo a Ezzelino, ammettendo di conseguenza che Sordello, prima di
soggiornare alla corte di Rizzardo di San Bonifacio, fosse per qualche tempo presso i Da Romano e seguisse
poi Cunizza in Verona in occasione del suo matrimonio con Rizzardo: ipotesi certo ingegnosa, ma che non
sembra del tutto convincente.
71
XXVIII
sare il signore che il trovatore avrebbe servito) 73. Ignoriamo però, al solito, in quale
momento Sordello si recò alla corte dei San Bonifacio.
Alla corte di Rizzardo di S. Bonifacio Sordello trovò Cunizza da Romano,
sorella di Ezzelino III e di Alberico da Romano, che Rizzardo aveva sposato al
principio del 122274, quando le famiglie dei Da Romano e dei San Bonifacio si erano
pacificate, suggellando i patti di pace con questo matrimonio e con quello di
Ezzelino III con Zilia, sorella di Rizzardo. Il trovatore amò la nobile dama, come
attestano concordi le due vidas75: e pare che si trattasse, in questo momento, di uno
dei soliti vagheggiamenti trovadorici, dato il valore delle espressioni entendet se e
enamoret se... a forma de solatz76. E Cunizza egli cantò nei suoi versi: abbiamo infatti un
«partimen» tra Sordello e Guilhem de la Tor (n. XV di questa edi-
Cfr. l’ed. curata da J. F. LACAITA, Firenze, 1887, III, p. 177: «Hic novus spiritus fuit quidam civis
mantuanus nomine Sordellus, nobilis et prudens miles et, ut aliqui volunt, curialis, tempore Eccirini de
Romano...».
74 Rolandino non ci dà alcuna data; ma il cronista Gherardo Maurisio afferma che il matrimonio avvenne,
insieme a quello di Ezzelino con Zilia di San Bonifacio, durante la podesteria in Vicenza di Guglielmo Amato
(«in fine potestarie ipsius domini Guillielmi dominus Ecelinus dominam Çiliam, sororem comitis Riçardi de
Sancto Bonifacio, similiter uxorem duxit, et comes Riçardus duxit in uxorem dominam Cuniçam, sororem
istorum dominorum de Romano»: cfr. la nuova ed. della cronaca a cura di G. SORANZO, nella nuova ed. dei
Rerum ltalicarum Scriptores, t. VIII, p. IV, Città di Castello, 1914, p. 20, 1. 27 e segg.). Poiché Guglielmo Amato
fu podestà di Vicenza nella seconda metà del 1221 e nella prima metà del 1222, è chiaro che dobbiamo
assegnare il matrimonio appunto alla prima metà del 1222. Tale data è appunto assegnata all’avvenimento da
L. SIMEONI, nel suo studio Il comune veronese sino ad Ezzelino e il suo primo statuto, nella Miscellanea di storia veneta
edita per cura della R. Deputazione Veneta di storia patria, s. III, t. XV, Venezia, 1922, p. 44. Così affermano anche
DE VIT, Cunizza da Romano, p. 13 e CRESCINI, Sordello, p. 16. Il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 9) lo dice invece
accaduto «tra i primi mesi del 1221 e i primi del 1222»; e così ripete il CIPOLLA, Compendio della storia politica di
Verona, Verona, 1899, p. 136, che si rifà per tutta la questione al DE LOLLIS; e a questa data si attiene anche il
BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 76.
75 La vida più ampia afferma infatti: «Et entendet se en madompna Conissa... q’era moiller del comte de San
Bonifaci, ab cui el estava»; e la più breve dice, in questo caso con maggiore abbondanza di particolari: «e
s’enamoret de la moiller del comte a forma de solatz, et ella de lui».
76 Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 13.
73
XXIX
zione)77 in cui Sordello rimette la soluzione della questione a Cunizza 78, e che è stato
certamente composto quando i rapporti tra il trovatore e Cunizza erano ancora
buoni, cioè prima del matrimonio di Sordello con Otta di Strasso, forse — come è
lecito supporre — quando Cunizza era ancora a Verona presso Rizzardo, cioè prima
del ratto79.
Fin qui la vita del trovatore non aveva avuto alcun avvenimento eccezionale
che le desse particolare rilievo. Ma a questo punto Sordello diviene protagonista di
un’impresa che, per lo scandalo che suscitò, diede al poeta una straordinaria
notorietà, ben più vasta e più clamorosa di quella che gli avevano procurato le rime
fino ad allora composte, e lo rese famoso ovunque: il celebre ratto di Cunizza,
avvenimento sul quale molto si è discusso, per le incertezze che vi sono sui
particolari di esso80, e sul quale esiste ormai una vastissima bibliografia, poiché se ne
sono occupati non solo i filologi romanzi e i dantisti, ma anche gli storici.
Il ratto avvenne certamente non per iniziativa personale di Sordello, ma per
invito dei Da Romano, come attestano concordemente le fonti, ossia le biografie
provenzali e Rolandino. Vi sono però divergenze sulla persona che dette l’ordine al
trovatore, poiché la biografia provenzale più ampia attribuisce la parte di istigatore
ad Ezzelino81, la biografia più breve pone accanto ad Ezzelino anche
Su questo partimen basti rimandare, oltre che al DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 24, 168 e segg., 274 e segg., ai
Trovatori d’Italia del BERTONI, p. 76, alle edizioni del DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 63 e
segg. (e cfr. Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 79 e 183), del BLASI, Le poesie di Guilhem de la Tor, GenèveFirenze, 1934, p. 50 e segg., 72 e segg., e dell’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXV e 68 e segg. Per
altre indicazioni e discussioni più particolari cfr. il commento al testo.
78 In AD al posto di Cunizza è nominata un’Agneseta o Aineseta. Sulla questione cfr. il commento al testo.
79 Alla tenzone con Johanet d’Albusson, che credo posteriore al ratto, si accenna più oltre.
80 Vi è stato persino chi, come il GITTERMAN (Ezzelin von Romano, I Teil, Die Grundung der Signorie, Stuttgart,
1890, appendice I), ha voluto attribuire il ratto a un altro Sordello, diverso dal trovatore; e a questa tesi mostra
di inclinare anche S. MITIS, Storia di Ezzelino IV da Romano, Maddaloni, 1896, p. 19. Ma l’ipotesi, invero assai
strana, è stata validamente combattuta dal MERKEL, Sordello di Goito e Sordello di Marano, p. 381 e segg., e
definitivamente confutata dal BERTONI, sulla base di un sirventese di Reforzat (Nuove rime di Sordello di Goito,
p. 280 e 295 e segg.; cfr. Sordello e Reforzat, in Studi romanzi, XII, 1915, p. 193 e seg.).
81 «E per volontat de miser Aicelin el emblet madompna Conissa e menet la·n via».
77
XXX
suo fratello Alberico82, mentre Rolandino83 afferma che il ratto si dovette a un
ordine del vecchio Ezzelino II (il Monaco). Tra le tre versioni, mi sembra che la più
attendibile sia quella della biografia più ampia, che attribuisce l’iniziativa della cosa
ad Ezzelino III, sia perché Ezzelino III aveva in quel tempo, come è noto, una parte
preponderante nell’attività politica della famiglia, sia perché era più direttamente
interessato all’intervento in Verona, nella quale aspirava a dominare, e alla lotta con
Rizzardo di San Bonifacio. Potrebbe però avere un fondo di verità anche la notizia
della vida più breve, in quanto si potrebbe ammettere che anche Alberico fosse a
conoscenza dell’impresa, o addirittura che la mossa fosse stata concordata da
Ezzelino col fratello: è noto infatti che Ezzelino ed Alberico si tennero strettamente
collegati nelle lotte che ebbero a svolgere nella Marca Trevigiana contro i loro
avversari. Meno convincente è il racconto di Rolandino, in quanto il vecchio
Ezzelino II, ritiratosi a vita religiosa nel chiostro di Oliera (a nord di Bassano) da lui
fondato — e perciò appunto soprannominato il Monaco — dopo aver diviso i suoi
beni tra i due figli, non ebbe più parte attiva, se non occasionalmente, nella politica
della famiglia84: d’altra parte Rolandino in tutto questo passo sembra confondere
Ezzelino III col padre, perché anche nelle righe immediatamente seguenti a quelle
citate, in cui si accenna, come vedremo, all’amore di Sordello e di Cunizza, dice che
Cunizza si trovava in patris curia85. Certo anche un interessamento di Ezzelino il
Monaco non si può del tutto escludere; e il De Vit ha sostenuto che anche il
racconto di Rolandino si potrebbe ammettere, se non altro perché par difficile
ritenere che Ezzelino II avesse rinunciato interamente all’autorità paterna 86: ma in
complesso mi pare difficilmente sostenibile.
Ancor più oscura è la questione della data del ratto. È certo che
l’avvenimento è da collocarsi in un momento in cui la tensione, anzi la lotta tra i Da
Romano e i San Bonifacio venne ripresa, dopo la passeggera tregua che seguì al
duplice matrimonio. Ezzelino, o per
«Et avenc si que·l coms estet mal com los fraires d’ella, e si s’estranjet d’ella. E sier Icellis e sier Albrics, li
fraire d’ella, si la feirent envolar al comte a sier Sordel».
83 Si cfr. il passo riportato alla n. 72.
84 Cfr. su questo punto le opportune considerazioni del DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 9 e seg.
85 Per togliere la confusione bisognerebbe interpretare l’espressione in patris curia come equivalente a «nel
palazzo del padre»: ma è interpretazione che lascia dubbi.
86 DE VIT, Cunizza da Romano, p. 18 e segg.
82
XXXI
sua personale iniziativa, o d’accordo con Alberico, dovette far rapire Cunizza dal
palazzo di Rizzardo e farla venire presso di sé in un momento in cui era in lotta con
Rizzardo, e temeva per l’incolumità di lei, o voleva anche col ratto offendere
l’avversario e rompere con lui, per cosi dire, tutti i ponti: cosa che è confermata, in
fondo, dalla vida più breve, che accenna a una ostilità tra Rizzardo e Cunizza dovuta
all’inimicizia scoppiata tra il conte e Ezzelino ed Alberico 87. Perciò è difficile pensare
che il ratto sia accaduto prima del 1226: infatti prima di questo anno non vi fu uno
stato di vera e decisa ostilità tra i Da Romano e Rizzardo di San Bonifacio. Anche
se, a quanto narra il Maurisio, i Da Romano furono urtati dal fatto che Rizzardo
aveva lasciato il passo a duecento cavalieri bresciani che accorrevano a Vicenza per
recare soccorso al podestà Lorenzo da Martinengo di Brescia 88 minacciato dal
partito aristocratico (che era quello che appoggiava i Da Romano), e se più tardi, nel
1224, Ezzelino, a quanto fa capire Rolandino, provò sdegno per le crudeltà
commesse da Azzo VII d’Este (alleato di Rizzardo nelle lotte contro Salinguerra, il
quale disputava ad Azzo il possesso di Ferrara) nel castello di Fratta, che impediva le
sue comunicazioni con Verona, e che venne da lui preso e distrutto, è certo che tutti
questi fatti non portarono a una lotta vera e propria tra i Da Romano e Rizzardo.
Né Ezzelino intervenne apertamente in Verona verso la fine del dicembre 1225,
quando il partito dei Monticoli e dei Quattrovinti (partigiani del conte staccatisi da
lui) insorse contro il partito di Rizzardo e si impadronì del potere 89; né pare essere
intervenuto nei mesi immediatamente successivi durante la podesteria di Leone dalle
Carceri90. Un intervento diretto di Ezzelino, verisimilmente sollecitato a ciò dai
Monticoli, si ha invece alla fine di maggio o ai primi di giugno del 1226: e in seguito
ad esso EzzeCfr. nota 82.
Fu podestà nel 1222 e nel 1223: è ricordato in documenti che vanno dal 5 settembre 1222 al settembre
1223 (cfr. le note all’ed. della cronaca del Maurisio curata dal SORANZO, in Rerum Italic. Script., alla n. 64, p.
30).
89 Seguo, per tutte queste vicende, la acuta ricostruzione che ne ha fatto il compianto mio Maestro LUIGI
SIMEONI nello studio, già ricordato, Il comune veronese sino ad Ezzelino, p. 44 e segg. Ivi si troveranno tutti i
necessari riferimenti alle fonti, che non starò qui a ripetere. Si vedano anche, dello stesso, le Note sulla
formazione della seconda lega lombarda, p. 3 e segg.; e cfr. le pagine del DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 10 e segg.
90 Il SIMEONI dubita alquanto del complicato racconto del Maurisio, che sembra in qualche particolare (come
l’agguato teso da Rizzardo ad Ezzelino) alquanto romanzesco, e suggerito dal desiderio di mostrare che
Ezzelino avrebbe voluto mantenersi estraneo alle lotte dei partiti in Verona, e che solo la perfidia di Rizzardo
l’aveva costretto a unirsi ai nemici di lui (Il comune veronese sino ad Ezzelino, p. 55 e segg.).
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88
XXXII
lino diventa (almeno a partire dal 5 giugno, a stare alle attestazioni dei documenti)
podestà della città. A mio parere è probabile che proprio in questo momento egli
facesse rapire Cunizza dalla casa di Rizzardo, o per sottrarla ad eventuali
rappresaglie da parte di Rizzardo o dei suoi partigiani, o perché il suo odio per
l’avversario lo spingeva ad allontanare da lui la sorella 91.
A mio giudizio quindi la data più probabile è quella a cui giunse, dopo
un’indagine assai accurata, anche se fondata in parte sul racconto romanzesco del
Maurisio, Cesare De Lollis, cioè il 1226 92: e tale data è stata accettata anche dal
Cipolla93, dal Merkel94, dallo Schultz-Gora95, dal De Bartholomaeis96, dal Cavaliere 97
e da altri98. Inclina invece ad assegnare il ratto al 1225 il Bertoni 99, fondandosi
soprattutto sul fatto che Rizzardo era allora podestà di Mantova, e che quindi quello
era un momento assai opportuno per il trovatore per rapire Cunizza: ma confesso
che questa data mi sembra assai meno probabile, per quanto sopra si è detto,
nonostante che possa anche sostenersi, data la vicinanza al momento dell’intervento
di Ezzelino in Verona, soprattutto se si pensa al mese di dicembre, in cui si preparò
e si attuò l’insurrezione contro Rizzardo; e anche questa data ha trovato qualche
sostenitore100. Del
Se si potesse credere al racconto del Maurisio, si potrebbe pensare anche ai mesi precedenti al giugno.
Vita e poesie, p. 10 e segg.; Pro Sordello de Godio, milite, p. 151.
93 Compendio della storia politica di Verona, p. 138.
94 Cfr. la rec. al vol. del DE LOLLIS, in Archivio storico lombardo, s. III, vol. VI, a. XXIII, 1896, p. 212.
95 Cfr. la rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 238.
96 Poesie provenzali storiche, I, p. XLIX, II, p. 60; Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 182.
97 Cento liriche provenzali, Bologna, 1938, p. 400.
98 Ad es., J. BOUTIÈRE, A. SCHUTZ, Biographies des troubadours, Toulouse-Paris, 1950, p. 422.
99 Nuove rime di Sordello di Goito, p. 296 e segg.; I trovatori d’Italia, p. 76; Cunizza da Romano e Folchetto di Marsiglia
nel Paradiso di Dante, nel vol. Studi critici in onore di G. A. Cesareo, Palermo, 1924, p. 225; Il Duecento, p. 29; voce
Sordello dell’Enciclopedia italiana.
100 Cfr. ad es.: H. G. CHAYTOR, The Troubadours, Cambridge, 1912, p. 101; JEANROY, SALVERDA DE GRAVE,
Poésies de Uc de Saint Circ, p. 165. L’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXI, prudentemente cita come
date possibili tanto il 1225 quanto il 1226, ponendovi a fianco un punto interrogativo.
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XXXIII
tutto da respingere per me è il 1224, a cui pensavano, sulle orme del Verci 101, il De
Vit102, il Restori103, e, in un primo tempo, anche lo Schultz-Gora104 e ancor meno
plausibile è che il ratto avvenisse nel 1222-1223, come ha pensato il Biscaro 105, il
quale si fonda su un capitolo degli Statuti trevigiani compilato nel 1225 e riguardante
coloro «qui jurant mulieres in absconso», che sarebbe stato aggiunto, secondo il
Biscaro, in conseguenza dell’avvenuto matrimonio segreto di Otta di Strasso con
Sordello, sia per lo scandalo provocato da questo fatto, sia per le pressioni degli
Strasso, di cui il podestà di Treviso nel 1225, Odolrico da Beseno, era — pare — un
lontano parente: è infatti un’ipotesi che manca, a mio parere, di ogni sicuro
fondamento, per quanto appaia ingegnosa e sembri suggestiva, potendo il
provvedimento essere stato determinato da un altro fatto qualsiasi 106. Del resto, lo
stesso Biscaro in un suo saggio molto più recente 107 ha modificato la sua precedente
ipotesi, spostando la data del ratto al 1224, e ha dichiarato ammissibile, pur
preferendo il 1224, la tesi del De Lollis.
Il ratto, secondo quanto si può desumere da un passo di Reforzat (se si vuole
ammettere, come sembra fare il Bertoni108, che nelle parole del trovatore provenzale,
scritte a tanta distanza di tempo, e in Provenza, si conservi un’eco fedele
dell’avvenimento)109 avvenne di notte:
Sordel ten hom per cavalier leial,
Qar leialmen saup la dona enantir,
Q’el fes de nueg de son alberc fugir,
Per qe·n meiret antre nos son hostal.110
Storia degli Ecelini, I, p. 120.
Cunizza da Romano, p. 19 e seg.
103 Letteratura provenzale, Milano, 1891, p. 105; Per un sirventese di Guilhem de la Tor, in Rendiconti del R. Istituto
Lombardo di scienze e lettere ed arti, s. II, XXV, 1892, p. 315.
104 Die Lebensverhältnisse der italianischen Trobadors, p. 203.
105 G. BISCARO, Sordello e lo statuto trevigiano «De his qui jurant mulieres in abscondito», in Giorn. stor. d. lett. it.,
XXXIV, 1899, p. 368 e segg.
106 Si vedano le giuste considerazioni del BERTONI nello studio Nuove rime di Sordello di Goito, p. 296 e segg.
107 La dimora opitergina di Zilia di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, in Archivio Veneto, LVII, 1927, vol. II, p.
104 e segg.: cfr. specialm. p. 114 e 130.
108 I trovatori d’Italia, p. 77; cfr. Nuove rime di Sordello di Goito, p. 295 e segg., e Sordello e Reforzat, p. 194. Su
questo serventese cfr. anche P. C. 419,1.
109 Si potrebbe anche esser tentati a pensare, a rigore, che il de nueg possa essere una ricostruzione poetica
dell’avvenimento dovuta alla fantasia di Reforzat.
110 Cito il testo del BERTONI, Sordello e Reforzat, p. 199.
101
102
XXXIV
Particolare, del resto, del tutto verisimile, anzi, direi, quasi ovvio. Non
sappiamo però (tutto questo periodo della vita di Sordello è seminato di dubbi e di
incertezze, se si vuol fermare l’attenzione sui particolari) ove il trovatore portasse la
donna. È certo che la condusse presso i fratelli, o presso Ezzelino: infatti se la vida
più ampia dice semplicemente «menet la·n via», accennando che più tardi il
trovatore andò a Treviso, e stava in casa di messer Ezzelino, la vida più breve
espressamente dichiara, subito dopo aver detto che Ezzelino e Alberico «feiren
envolar» Cunizza da Sordello, che il trovatore «s’en venc estar con lor... en gran
benenansa»; e Rolandino accenna a un soggiorno di Cunizza e di Sordello «in patris
curia», cioè nella casa dei Da Romano111. Ma è impossibile precisare se Sordello
portò Cunizza presso Ezzelino in Verona, nel periodo in cui egli si trovava in quella
città, oppure in Treviso, o in qualche altro possesso della famiglia 112.
Secondo Rolandino, dopo il ratto Sordello sarebbe divenuto l’amante di
Cunizza113. Anche qui gli studiosi sono discordi, volendo alcuni negar fede alla
testimonianza del cronista padovano – non solo per quel prudente dictum fuit con cui
egli mette innanzi la cosa, ma anche perché Rolandino, come è noto, è un accanito
avversario di Ezzelino, e la sua cronaca è soprattutto espressione dell’odio lasciato in
Padova dalle crudeltà del «tiranno», e scrive a una certa distanza degli avvenimenti –
e altri invece inclinando ad accettare la notizia 114. Certo, le biografie provenzali
parlano — come
Cfr. la nota 113.
Il BISCARO, nel saggio La dimora opitergina di Zilia di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, sopra ricordato, ha
sostenuto che Ezzelino fece da Sordello trasportare Cunizza, per evitare per quanto era possibile lo scandalo,
e per meglio custodirla, in un luogo non esposto ai colpi di mano dei nemici, nel castello di Oderzo, dove
avrebbe tenuto custodita anche la moglie Zilia, sorella di Rizzardo di San Bonifacio, ordinando poi al
trovatore di ritirarsi nel vicino castello di Levada, appartenente agli Strasso (dove Sordello avrebbe poi amato
Otta). L’ipotesi è acuta, ma debbo confessare che mi lascia molto perplesso, e che sono tutt’altro che incline
ad accettarla, perché mi sembra troppo vago il ricordo del notaio Meliorino d’Arpo, registrato nella
deposizione del 1285, su cui poggia tutta la dimostrazione del Biscaro.
113 Il cronista padovano narra infatti, nella frase immediatamente seguente al passo già citato nella n. 72: «cum
qua in patris curia permanente dictum fuit ipsum Sordelium concubuisse» (ed. BONARDI, Rer. Italic. Script., t.
VIII, p. I, p. 18; ed. Monum. Germ. Hist., Script. XIX, p. 41).
114 Inclina a prestar fede a Rolandino e a credere in un amore non soltanto platonico il DE LOLLIS, Vita e
poesie, p. 13 e segg., e Pro Sordello de Godio, milite, p. 151 e segg.; e alla sua tesi propendono, fra gli altri, il
MERKEL (recensione al vol. del DE LOLLIS, p. 213), il PARODI (Il Sordello di Dante, in Bullettino della Società
Dantesca italiana, IV, 1896-97, p. 187), il CRESCINI (Sordello, p. 16 e segg.), il SIMEONI (voce Romano (da)
nell’Enciclopedia italiana, XXX, 1936) e l’UGOLINI (La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXI). Pensano invece a un
amore puramente ideale il DE VIT (Cunizza da Romano, p. 20 e segg.), il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis,
111
112
XXXV
sembra — di un amore letterario e poetico, come si è visto, e, se avessimo solo la
testimonianza di Rolandino saremmo tentati a relegare la notizia tra le testimonianze
dell’odio anti-ezzeliniano ancor vivo in Padova. Ma abbiamo qualche altro elemento
che può indurci a dar fede all’ipotesi di un amore non soltanto platonico. Non molta
importanza ha certo Benvenuto da Imola, il cui aneddoto sugli amori di Sordello e
di Cunizza ha un evidente sapore novellistico 115, e non mi sembra derivato, come
vorrebbe il De Lollis 116 da una terza biografia provenzale scomparsa, perché il
bisticcio tra opus sordidum e locum sordidum che si trova nell’aneddoto e il rapporto,
istituito poco più oltre, fra il nome del trovatore e l’aggettivo sordidus117, non sono
legati all’accordo che un ipo-
p. 9 e segg.; A proposito di Sordello, p. 302 e segg.; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 529 e segg.) e il NOVATI (Il
canto VI del Purgatorio, p. 21 e 49). Dubitano della testimonianza di Rolandino, pur senza negarla in modo
assoluto, BISCARO (Sordello e lo statuto trevigiano, p. 373), il BERTONI (Cunizza da Romano e Folchetto di Marsiglia, p.
255 e segg.) e il D’OVIDIO (Sordello, nel vol. Studii sulla Divina Commedia, parte I, Caserta, 1931, p. 8 e seg.).
115 Cfr. l’ed. LACAITA, III, p. 177: «Nunc poëta describit virum singularem, compatriotam Virgilii. Ad cuius
intelligentiam debes prius scire, quod hic novus spiritus fuit quidam civis mantuanus nomine Sordellus,
nobilis et prudens miles, et, ut aliqui volunt, curialis, tempore Eccirini de Romano, de quo audivi (non tamen
affirmo) satis jocosum novum, quod breviter est talis formae. Habebat Eccirinus quamdam sororem suam
valde veneream, de qua fit longus sermo Paradisi capitulo IX. Quae accensa amore Sordelli ordinavit caute,
quod ille intraret ad eam tempore noctis per unum ostiolum posterius juxta coquinam palatii in civitate
Veronae; et quia in strata erat turpe volutabrum porcorum, sive pocia brodiorum, ita ut locus nullo modo
videretur suspectus, faciebat se portari per quemdam servum suum usque ad ostiolum, ubi Cunitia parata
recipiebat eum. Eccirinus autem hoc scito, uno sero subornatus sub specie servi, transportavit Sordellum et
dixit: “Sufficit. De caetero abstineas accedere ad opus tam sordidum per locum tam sordidum”. Sordellus
terrefactus suppliciter petivit veniam, promittens numquam amplius redire ad sororem. Tamen Cunitia
maledicta retraxit eum in primum fallum. Quare ipse timens Eccirinum, formidatissimum hominum sui
temporis, recessit ab eo.. ».
116 Vita e poesie, p. 14 e segg.
117 Ed. LACAITA, III, p. 194: «Dicit ergo: Sordel, et videtur nomen conveniens, quasi parum sordidus libidine».
XXXVI
tetico «novellatore provenzale» (come dice il De Lollis) o meglio l’ipotetico autore di
tale vida perduta doveva sentire tra le voci provenzali sordeis e sordejar e il nome del
poeta, ma, come acutamente ebbe ad osservare il Novati — e già ne abbiamo fatto
cenno118 — si rivelano fattura di Benvenuto, il quale si compiaceva di simili giochi di
parole e cercava sottili accordi tra i nomi delle persone e le loro azioni. Del resto lo
stesso Benvenuto racconta il fatto più che altro come un aneddoto piacevole, e
mette innanzi una prudente riserva (non tamen affirmo); e con l’audivi con cui introduce
l’aneddoto dichiara esplicitamente (anche questa osservazione è del Novati) di non
essersi servito direttamente della fonte provenzale immaginata dal De Lollis ma di
una tradizione orale.
Però bisogna pur sempre ammettere che questo aneddoto mostra che anche
Benvenuto conosceva qualche diceria, non certo derivata da Rolandino, sugli amori
tra Sordello e Cunizza119. E in accenni che si trovano presso alcuni trovatori par di
poter scorgere una conferma della fama di tali amori, che si era diffusa e correva
ormai ovunque, tra i commenti suscitati dal clamoroso rapimento. Particolarmente
significativa, a questo proposito, la risposta che Uc de Saint Circ dava a un
sirventese di Peire Guilhem de Luserna, un trovatore che parecchi studiosi credono
italiano120, il quale aveva
Cfr. la nota 22.
L’aneddoto si trova anche nel commento alla Divina Commedia dell’anonimo fiorentino, in una forma molto
simile al racconto di Benvenuto (Commento alla Divina Commedia d’anonimo fiorentino del sec. XIV, a cura di P.
FANFANI, t. II, Bologna, 1868, p. 105). Vi è tuttavia anche qualche differenza (fra l’altro, vi manca il giuoco di
parole tra opus sordidum e locum sordidum, poiché Ezzelino dice a Sordello: «Sordello, io non credevo che tu
avessi pensiero di fare questo; tu sai bene che tu non hai ragione» e «Vatti con Dio; questa volta ti perdono, et
priegoti che tu non m’offenda più»); e il SANTANGELO, Dante e i trovatori provenzali, Catania, 1921, p. 192 e seg.,
ha sostenuto che il racconto dell’anonimo fiorentino non deriva da Benvenuto e conserva l’aneddoto in una
redazione più genuina. Non essendovi però divergenze sostanziali, non ho ritenuto opportuno riferire qui il
racconto dell’anonimo (che, del resto, come ha mostrato il GUERRI, Il Commento del Boccaccio a Dante, Bari,
1926, p. 32, scriveva in epoca ancor più tarda di Benvenuto, probabilmente al principio del sec. XV).
120 Lo ritengono italiano il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 22), il GUARNERIO (Pietro Guglielmo di Luserna, trovatore
italiano del sec. XIII, Genova, 1896), il TORRACA (Federico II e la poesia provenzale in Italia, in Nuova Antologia, vol.
CXXXIX, 1895, p. 246 e seg.; Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 12; Sul «Pro Sordello» di C. de Lollis, p. 534 e segg.);
il MEYER (in Romania, XXVI, 1897, p. 154), il DE BARTHOLOMAEIS (Poesie provenzali storiche, I, p. XCIV e II, p.
59 e segg.; Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 194 e 225). Ne nega risolutamente l’italianità lo SCHULTZ-GORA,
Ein Sirventes von Guilhem Figueira, p. 59 (e cfr. rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 239). Di opinione incerta appaiono
invece JEANROY e il BERTONI: il primo nella Revue des langues romanes, XL, 1887, p. 392, ha negato l’italianità
del trovatore, ma nella Poésie lyrique des troubadours, I, p. 407 ha ammesso anche la possibilità della nascita di lui
in Piemonte, senza pronunciarsi sulla questione; mentre il secondo nei Trovatori d’Italia, p. 70 e segg. ha
ritenuto molto probabile, anche se non assolutamente certa, la nascita di Peire Guilhem in Piemonte, e nel
118
119
XXXVII
preso, con un tono un poco spavaldo, le difese di Cunizza, dicendo che chi si fosse
volto contro di lei o le avesse fatto fellonia avrebbe dovuto provare la sua spada. Uc
de Saint Circ risponde che Cunizza ha fatto una tal terna per cui ha perduto la vita
eterna121: e con la parola terna, da non intendersi, come generalmente s’intende 122,
nel senso generico di «colpo», ma nel senso proprio di «terno» o «gruppo di tre
colpi», si allude probabilmente, secondo l’acuta interpretazione dell’Ugolini123, alla
fuga di Cunizza dalla casa del marito, agli amori con Sordello e alla fuga con
Bonio124. Accanto a questo passo di Uc si possono porre i versi, che citeremo tra
poco, in cui Joanet d’Albusson allude alle peregrinazioni di Cunizza (che il trovatore,
rivolgendosi a Sordello, chiama vostra dompna) con Bonio, e alcune oscure allusioni
della tenzone — probabilmente da collocarsi in questo periodo — tra lo stesso
Joanet d’Albusson e Sordello (n. XIII di questa edizione) 125, nonché un passo
ancora più oscuro della tenzone tra Sordello e Peire Guilhem de Tolosa (n. XIV di
questa edizione) 126. Sicché mi sembra che si debba concludere che dovette
Duecento, p. 37 ha dichiarato sembrar quasi certa la sua origine provenzale. Alla tesi dell’italianità propende il
CAVALIERE, Cento liriche provenzali, p. 387. Cfr. P. C. 344.
121 Cfr. i vv. 4-6 del componimento:
Car de na Cuniça sai
qez ill fez ogan tal terna
per q’ill perdet vita eterna
Cito dal testo del BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 276.
122 Così intendono ad es. lo JEANROY e il SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint-Circ, p. 135 e 214, il
BERTONI, ibid., p. 277 e 254 e il CAVALIERE, Cento liriche provenzali, p. 391 e 568; e a tale interpretazione pare
attenersi anche il CRESCINI, Sordello, p. 20. Il DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, 62 traduce
«terno», senza dare altri chiarimenti.
123 La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII.
124 Su questo avvenimento cfr. quanto è detto in seguito.
125 Si vedano specialm. i vv. 2-3 e 29-30. Certo, i vv. 2-3 potrebbero anche essere una battuta ironica per
rintuzzare l’accusa di Joanet d’Albusson. Nei vv. 29-30 anche il BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, p. 292
scorge una probabile allusione alla sua relazione con Cunizza. Cfr. le note che accompagnano il testo.
126 Si vedano i vv. 29-30, in cui Peire Guilhem sembra insinuare un dubbio sulle oneste intenzioni di Sordello
nella corte in cui soggiornava con un richiamo assai enigmatico a un’offesa fatta — pare — a un altro signore
alla cui corte si era trovato altra volta. Il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 12 e segg. volle vedervi
però una allusione a Otta e ai suoi fratelli.
XXXVIII
essere voce assai diffusa e insistente, e non ristretta agli ambienti politicamente ostili
ad Ezzelino, che i rapporti tra Sordello e Cunizza non rimanessero entro i limiti di
una «servitù d’amore» trovadorica, anche se, come è ovvio, non possiamo dirci del
tutto sicuri della reale esistenza di tale relazione.
Dopo il ratto di Cunizza, la biografia provenzale più ampia — che definisce
Sordello «mout... truans e fals vas dompnas e vas los barons ab cui el estava» —
accenna ad un’altra clamorosa avventura del trovatore di Goito: «E pauc apres et el
s’en anet en Onedes 127, ad un castel d’aqels d’Estras 128, de ser Henric e de ser
Guillem e d’en Valpertin, q’eron mout siei amic. Et esposet una soa seror
celadamens, que avia nom Otha». La seconda biografia non fa parola di ciò; né se ne
trova traccia altrove. Anche qui possono sorgere non pochi dubbi: ma sembra che la
notizia si debba considerare attendibile, dato che i nomi dei tre personaggi di casa
Strasso si rinvengono nei documenti raccolti dal Verci e dal Bonifaccio e segnalati
dal De Lollis 129 e in altri documenti trevisani messi in luce dal Biscaro 130, e i dati
della vida appaiono quindi in perfetto accordo con la storia, salvo forse il soa seror,
che sembrerebbe inesatto, poiché parrebbe di poter desumere dalle notizie che
abbiamo che En-
Così concordemente hanno tutti i manoscritti.
Nei manoscritti qui si trova concordemente destrus (in a’ però l’u è sottosegnato dal correttore); più oltre (in
righe che saranno citate più avanti) A ha destrus, a destrais, e a’ destrous (ritoccato però in modo non del tutto
chiaro dal correttore). Ma l’emendamento d’ Estras può ritenersi sicuro.
129 Un Enrico di Strasso compare in atti degli anni 1214 e 1218 (VERCI, Storia degli Ecelini, III, p. 158, 167); un
Guglielmo l’11 novembre 1257 appare tra gli anziani che approvano l’atto con cui il vescovo di Treviso affida
al comune la custodia del castello di Mestre contro eventuali assalti dei Da Romano (ibid., p. 394); un Valperto
di Strasso fu inviato nel 1239 dal comune di Treviso a Venezia per chiedere aiuti contro l’imperatore ed
Ezzelino (BONIFACCIO, Istoria di Trivigi, Venezia, 1744, p. 192). Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 16.
130 Enrico di Strasso appare come testimonio ad una grossa vendita stipulata in Treviso il 3 aprile 1227, e nel
1229 ricompare in un atto di vendita come mallevatore per il venditore. Enrico, Guglielmo e Valpertino
figurano, inoltre, nel libro dei vecchi debiti del comune di Treviso denunciati nel 1275 dai creditori e dai loro
successori; e Valpertino da solo compare nello stesso registro nell’elenco dei militi e degli stipendiati feriti nei
combattimenti che le milizie di Alberico da Romano avevano sostenuto contro l’esercito di Ezzelino dal 1239
in poi, e per un indennizzo ottenuto nel 1238 per la perdita di un cavallo subita mentre si trovava a Ravenna
in servizio del comune. Cfr. BISCARO, La dimora opitergina di Zilia di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, p. 120.
127
128
XXXIX
rico di Strasso fosse padre di Guglielmo e di Valpertino, e che solo questi due ultimi
fossero in realtà fratelli di Otta. Non è però possibile, anche per questa nuova
avventura dell’intraprendente trovatore, chiarire i particolari del fatto; e soprattutto è
difficile identificare i luoghi in cui esso avvenne. Al De Lollis infatti la lezione
Onedes, ancorché data concordemente da A a (e data anche, aggiungiamo, da a’ che
egli non conosceva), parve errata, perché gli Strasso appaiono, per una donazione di
Enrico IV risalente al 1090, secondo una notizia data dal Bonifaccio 131, signori di
Noventa e di Levada, che si trovano sui confini del Cenedese (ossia del territorio di
Ceneda a nord di Conegliano); sì che egli pensò che si dovesse accettare la
correzione Cenedes, proposta dal Marchesan132, rigettando invece la correzione Oneges
proposta dal Carreri133, secondo il quale il toponimo si riferirebbe al territorio di
Onigo (a sud di Valdobbiadene)134. L’ipotesi del De Lollis non fu però accolta dallo
Schultz-Gora135, e non soddisfece neppure il Crescini, che nel suo Manuale per
l’avviamento agli studi provenzali136 manteneva Onedes, aggiungendo nel glossario 137,
dopo aver citato le ipotesi del Carreri e del De Lollis: «Luoghi però anche trevigiani
che potessero esser denominati Onedo (* ALNETUM), sì che fosse Onedes il territorio,
non dovettero mancare», e rimandando agli studi dell’Olivieri e del Marchesan 138. E
l’Ugolini ha più recentemente mantenuto Onedes139. Il Boutière e lo Schutz sono però
ultimamente ritornati all’emendamento accolto dal De Lollis 140.
Istoria di Trivigi, p. 107.
L’Università di Treviso nei sec. XIII e XIV, Treviso, 1892, p. 69; cfr. dello stesso Treviso medievale, Treviso,
1923, I, p. 271.
133 Versi. Estrus, Padova, 1892, p. 22; Del luogo ove Sordello amò Otta di Strasso, in Nuovo Archivio Veneto, XIII,
1897, p. 211 e segg.
134 Questa correzione lasciava assai dubbioso anche il CRESCINI (Manualetto provenzale, Padova, 1892, p.
CLXIII; Manuale per l’avviamento agli studi provenzali, Milano, 1926, p. 484), benché per un momento paresse
incline ad accettarla (Sordello, p. 18: «forse in quel d’Onigo»).
135 Nella recens. del vol. del DE LOLLIS, p. 238.
136 CRESCINI, Manuale per l'avviamento, p. 334.
137 Ibid., p. 484.
138 D. OLIVIERI, Saggio di una illustrazione generale della toponomastica veneta, Città di Castello, 1915, p. 150 e 383;
MARCHESAN, Treviso medievale, I, p. 5 e 549.
139 La poesia provenzale e l’Italia, p. 66.
140 BOUTIÈRE, SCHUTZ, Biographies des troubadours, p. 322 e 423.
131
132
XL
Certo, l’accoglimento della lezione Cenedes da parte del Boutière e dello
Schutz non è di gran peso, perché questi due studiosi per tutte le questioni
riguardanti Sordello si attengono puramente e semplicemente, per lo più, ai risultati
degli studi del De Lollis, senza riprendere in esame il problema. L’ipotesi del De
Lollis sembrerebbe però avere buone probabilità di coglier nel vero, in seguito alle
ricerche del Biscaro141, il quale dichiara bensì non degna di fede la notizia, data dal
Bonifaccio, della donazione di Noventa e Levada fatta da Enrico IV nel 1090 agli
Strasso, perché sarebbe una notizia falsa accolta dallo storico non sulla base di fonti
degne di fede, ma di annotazioni del sec. XVI dovute a un Girolamo di Strasso, che
tendeva ad esaltare la sua famiglia anche citando atti immaginari, ma dimostra,
fondandosi su documenti ritrovati negli archivi di Treviso, che il borgo di Levada
presso Ponte di Piave appartenne veramente agli Strasso, tanto che era designato
spesso col nome di «Levada de Strasio», per distinguerlo da altre due località
egualmente chiamate Levada dell’antico distretto trevisano; e ritiene, in
conseguenza, che questo fosse il castello in cui Sordello venne ospitato da ser
Enrico, ser Guglielmo e ser Valpertino di Strasso, e in cui si innamorò di Otta e la
sposò segretamente142. Resta, tuttavia, sempre il dubbio che possa trattarsi di un
altro castello della stessa famiglia; d’altra parte confesso che, come ho già avvertito,
mi lascia assai incerto il resto della ricostruzione del Biscaro, secondo il quale
Sordello si sarebbe recato a Levada per ordine di Ezzelino III subito dopo aver
accompagnato Cunizza a Oderzo.
Un altro punto delle ricerche del Biscaro è assai interessante: ed è la
dimostrazione che egli fa, fondandosi su vari documenti 143, che
La dimora opitergina di Zilia di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, p. 116 e segg.
Certo può parere arrischiato mutare la lezione data concordemente dai mss.; si deve però considerare che
nei nomi propri gli errori sono abbastanza frequenti, e che proprio in questa parte della vida in tutti i mss. la
vera lezione Estras, la cui esattezza non può essere messa in dubbio, è sostituita da lezioni errate. D’altra parte
il passaggio da Cenedes a Onedes paleograficamente è facilmente spiegabile. — Il nome Senedes compare, come è
noto, nella danseta di Uc de Saint-Circ (v. 22), di cui si farà cenno in seguito.
143 Fra l’altro, il 21 settembre 1214 Enrico di Strasso interviene quale testimone al lodo pronunciato da
Ezzelino II circa le questioni pendenti coi fratelli Da Prata, e il 4 maggio 1218 è pure presente alla richiesta di
restituzione della dote della defunta figlia Palma che Ezzelino II fa al genero Gualpertino da Cavaso; mentre il
3 aprile 1227 è testimone di una grossa vendita stipulata in Treviso da Ansedisio dei Guidotti, nipote di
Ezzelino III (Cfr. La dimora opitergina di Zilia di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, p. 118 e segg.).
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XLI
gli Strasso erano amici e fautori dei Da Romano: il che può confermare la frase della
vida in cui si allude alla grande amicizia che legava Sordello agli Strasso, in quanto
permette di spiegarci facilmente il sorgere di questa amicizia, essendo Sordello
presso i Da Romano144. Dopo il matrimonio segreto con Otta, sempre secondo la
biografia più ampia che racconta questo episodio, Sordello si recò a Treviso presso
Ezzelino: notizia che sembra confermata dalla seconda biografia, che accenna a una
dimora di Sordello presso i Da Romano. Ciò dovette avvenire, come osserva il De
Lollis145, a partire dal secondo semestre del 1227, in cui Ezzelino lasciò la podesteria
di Verona e si ritirò a Treviso, facendo di questa città il centro delle sue operazioni
fino ai primi mesi del 1229. Molto probabilmente in questo periodo Aimeric de
Peguilhan indirizzò a Sordello il suo noto flabel, in cui si difende dalla solita accusa di
vecchiaia, mossagli questa volta da una donna, che gli aveva consigliato di lasciare
donei e çan, e invita Sordello a dare sulla questione un giudizio «leial aissi cum s’es
usaz», in modo che egli possa essere discolpato 146. Ed è pure probabile che a questo
periodo appartenga anche il curioso scambio di cobbole fra Uc de Saint Circ e
Alberico da Romano, in cui Uc si rivolgeva, in tono assai ironico, con un giuoco di
parole assai bene illustrato dal Crescini, al fratello di Ezzelino, pregandolo, in nome
proprio e in nome di «el Sordel», di aiutare un tale ser Ar-
È pure degna di nota la considerazione fatta dal BISCARO (ibid., p. 131) a proposito dell’atto del 3 aprile
1227, già ricordato, in cui Enrico di Strasso interveniva in Treviso a una vendita stipulata da Ansedisio dei
Guidotti, nipote di Ezzelino III, e assai caro al potente signore: che cioè la presenza di Enrico di Strasso a
questo atto sembra escludere che a quella data vi fossero contrasti fra gli Strasso ed Ezzelino a causa di
Sordello. È un’osservazione che potrebbe servire, se si ammette il racconto dato più oltre dalla vida, secondo il
quale Sordello perseguitato dagli Strasso e dai San Bonifacio fu protetto da Ezzelino, a datare
approssimativamente le nozze segrete con Otta.
145 Vita e poesie, p. 17.
146 Sul componimento (P. C. 10,44) cfr. le edizioni che ne hanno dato il BERTONI, Noterelle provenzali, IV: Il
«flabel» di Aimeric de Peguilhan a Sordello, in Revue des langues romanes, XLVI, 1903, p. 244 e segg., il DE
BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 80 e segg., e SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de
Peguilhan, p. 208 e segg. E cfr. anche: SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 206;
DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 17; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 77; DE BARTHOLOMAEIS, Primordi della lirica
d’arte in Italia, p. 184 e seg.
144
XLII
dizzone, novel espos, e assai scarso di mezzi di sostentamento, e Alberico gli risponde
nello stesso tono, e riprendendo anch’egli il giuoco di parole, dichiarando di
accondiscendere alla preghiera per amore di lui e di Sordello, a cui dà la lode di pros e
valens147.
Il soggiorno di Sordello a Treviso però non fu lungo. La vita più ampia
racconta che quando gli Strasso seppero che il trovatore era a Treviso cercavano di
colpirlo per vendicarsi, e altrettanto facevano gli amici e i partigiani del conte di San
Bonifacio, cosicché egli se ne stava armato in casa di Ezzelino, e «qand el anava per
la terra, el cavalgava en bos destriers ab granda compaignia de cavalliers»; e prosegue
dicendo che «per paor d’aicels qe·il volion offendre, el se partic, et anet s’en en
Proenssa». La notizia della partenza per la Provenza è data anche dalla vita più
breve, che però pone senz’altro questa andata in Provenza dopo il soggiorno che il
trovatore fece «en gran benenansa» presso Ezzelino e Alberico, senza accennare
affatto non solo alle minacce degli Strasso (come è logico, dato che non vi si fa
parola di Otta), ma nemmeno a quelle dei San Bonifacio. Anche qui il racconto della
vida più ampia sembra pienamente accettabile, considerato anche che sembra
confermato da un passo del sirventese En la mar major di Peire Bremon Ricas Novas,
in cui si afferma che Sordello «fece tale ardimento da non poter starsene tra i
Lombardi» e che egli «conosce tutti i baroni da Treviso sino a Gap» 148: dal che par di
dover dedurre che anche per il Ricas Novas Treviso fu il punto di partenza del
viaggio che portò Sordello in Provenza e che il trovatore si allontanò per sfuggire
alle minacce di qualcuno 149.
Possiamo dunque credere che la decisione di partire da Treviso sia nata
nell’animo di Sordello per sfuggire alle vendette, sempre
Su questo scambio di cobbole (P. C. 457, 20 a) cfr.: JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de SaintCirc, p. 112 e segg.; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 66 e segg., 267 e seg., 519; V. CRESCINI, Ugo di Saint Circ a
Treviso. II «Meil» e «moill», in Studi medievali, n. s. II, 1929, p. 41 e segg., e poi nel vol. Romanica fragmenta, p. 586 e
segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 75, e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 184;
UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXVII e 72. — A questo tempo si potrebbe pure assegnare la già
ricordata tenzone con Joanet d’Albusson, se la si vuole credere posteriore alle nozze segrete con Otta.
148 Vv. 14-15 (cito dall’ed. di BOUTIÈRE, p. 69):
q’el fetz tal ardimen q’entre·ls Lombartz non cap,
e·ls baros conois totz de Trevis tro a Gap
149 Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 17 e segg.
147
XLIII
incombenti su di lui, degli Strasso e dei San Bonifacio150. Può darsi però che a ciò si
aggiunga anche un’altra causa. Rolandino, nel passo già ricordato, accennando al
nuovo amore di Cunizza con Bonio, dice che avvenne dopo che Sordello fu cacciato
da Ezzelino151, e Benvenuto da Imola sembra — pur dovendosi, naturalmente,
attribuire alla sua testimonianza un valore alquanto limitato, essendo essa collegata
col noto aneddoto di sapore novellistico sugli amori del trovatore con Cunizza —
confermare la notizia, non accennando però a una cacciata di Sordello da parte di
Ezzelino, ma semplicemente al timore che il trovatore aveva del feroce signore 152.
Non si può quindi escludere — anche se non vogliamo giungere ad affermare, come
fa troppo recisamente il De Lollis 153 il quale accetta pienamente, ponendola in primo
piano, la testimonianza di Rolandino, che «spinse» Sordello fuori di Treviso «l’ira del
formidabile Ezzelino» — che Sordello, come afferma l’Ugolini 154 pensasse di mutare
ambiente anche per la sensazione di esser per cadere dalle grazie di Ezzelino, a cui
certo non dovevano essere graditi i rapporti del trovatore con Cunizza, oramai
divenuti di pubblica fama, che gettavano un’ombra poco onorevole sulla famiglia dei
Da Romano155. Quanto alla data dell’avvenimento,
Il BISCARO, Sordello e lo statuto trevigiano, p. 277 e segg., pensa che Sordello temesse anche che potessero
essere applicate contro di lui le pene previste dallo statuto di Treviso non solo contro i rapitori di donne, ma
anche contro coloro che celebravano nozze segrete senza il consenso dei parenti della sposa: ma questo
timore, se vi fu, dovette avere una importanza secondaria di fronte alle minacce delle potenti casate che il
trovatore aveva offeso, che mettevano in pericolo la sua vita.
151 «Et ipso [Sordello] expulso ab Ecelino...» (ed. BONARDI, Rerum Italic. Script., VIII, p. I, p. 18; nell’ed. dei
Monum. Germ. Hist., Script., XIX, p. 41).
152 «Quare ipse, timens Eccirinum, formidatissimum hominum sui temporis, recessit ab eo» (ed. LACAITA, III,
p. 177).
153 Vita e poesie, p. 19, e Pro Sordello de Godio, milite, p. 151 e segg.
154 La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII.
155 Naturalmente questo motivo della partenza di Sordello è del tutto escluso o ritenuto molto dubbio da
coloro che stimano che Sordello non fosse legato a Cunizza che da una «servitù d’amore» puramente ideale e
poetica: cfr. DE VIT, Cunizza da Romano, p. 22 e seg.; e specialmente TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p.
9 e segg.; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 529 e segg. Anche il BERTONI accenna all’inimicizia di Ezzelino
molto dubitativamente e di sfuggita (I trovatori d’Italia, p. 77, n.: «la fuga, a decidere la quale si vuole sia
intervenuta, a un dato momento, anche un’inimicizia di Ezzelino sorta più tardi...»); e dubbi solleva pure il
CRESCINI, Sordello, p. 18. E dubbi certo sempre rimangono anche su questo punto della vita di Sordello, così
seminata di punti interrogativi.
150
XLIV
si può pensare al 1228, o al più tardi ai primi mesi del 1229 156.
Intanto Cunizza trovava, secondo quel che ci racconta Rolandino, un nuovo
amante, un miles di Treviso, di nome Bonio (o meglio, secondo le ricerche del
Biscaro, appartenente alla famiglia De Bonio) 157, dal quale si lasciò rapire e col quale,
presa da una profonda passione, fece lunghi viaggi, profondendo molto danaro e
dandosi bel tempo158. A questi viaggi di Cunizza con Bonio al-
Tale data è ormai comunemente accettata: cfr. F. DIEZ, Leben und Werke der Troubadours, Leipzig, 1882, p.
376 e segg.; SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse, p. 206; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 17, e Pro Sordello de
Godio, milite, p. 151 e segg. e 167; BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, p. 277, e I trovatori d’Italia, p. 519;
CHAYTOR, The Troubadours, p. 101; JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint Circ, p. 161; G.
BERTONI e A. JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle. Les sirventés échangés entre Sordel et Peire Bremon Ricas Novas,
in Annales du Midi, XXVIII, 1916, p. 277; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII. Vorrebbero
restringere la data al 1228 il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 14 e segg. (ma fondandosi su una
argomentazione errata, perché i sirventesi scambiati tra Sordello e Peire Bremon sono del 1240-41), il DE
BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. XCVII e II, p. 63, e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 186;
BOUTIÈRE, SCHUTZ, Biographies des troubadours, p. 422.
157 Secondo il BISCARO, La dimora opitergina di Zilla di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, p. 121 e seg., il
Bonio, che secondo Rolandino fu amante di Cunizza, potrebbe con qualche probabilità identificarsi con un
Enrico de Bonio, appartenente a una famiglia assai facoltosa di Treviso, residente in città nel quartiere di
Ripa, nella parrocchia di S. Pancrazio, il quale figura dal 1213 al 1221 in una serie di atti col titolo di judex e
colle funzioni di procuratore del comune e di console-giudice della curia del podestà. Curioso è che questo
Enrico de Bonio, in data anteriore a quella in cui sarebbe divenuto l’amante di Cunizza, appare sposato con
una donna Cecilia, che era la sua terza moglie! Il BISCARO fornisce in questo studio altre notizie interessanti
sulla famiglia de Bonio; cfr. anche Sordello e lo statuto trivigiano, p. 370. Prima del BISCARO già il CASINI, I
trovatori nella Marca Trivigiana, p. 166, n. 2 aveva indicato un Paulus de Bonio e un Zan de Bonio, che giurarono con
altri milites di Treviso l’osservanza dei patti con i Coniglianesi il 12 novembre 1259, come probabili figli
dell’amante di Cunizza. Su Enrico de Bonio e sulla sua famiglia cfr. inoltre MARCHESAN, Treviso medievale, II,
p. 207 e 273; e sugli amori tra Bonio e Cunizza cfr. DE VIT, Cunizza da Romano, p. 24 e segg.; DE LOLLIS, Vita
e poesie, p. 21 e Pro Sordello de Godio, milite, p. 153; CRESCINI, Sordello, p. 19 e segg.; G. SECRÉTANT, Il canto IX
del Paradiso, Firenze, 1911 (Lectura Dantis), p. 17; BERTONI, I Trovatori d’Italia, p. 77, e Cunizza da Romano e
Folchetto di Marsiglia nel Paradiso di Dante, p. 256; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII.
158 «Et ipso [Sordello] expulso ab Ecelino, miles quidam nomine Bonius de Tarvisio dompnam ipsam amavit
eandemque a patris curia separavit occulte; et ipsa, nimium amorata in eum, cum ipso mundi partes plurimas
circuivit, multa habendo solacia et maximas faciendo expensas» (ed. BONARDI, Rerum Italic. Script., p. 18; ed.
Monum. Germ. Hist., Script., XIX, p. 41).
156
XLV
lude molto probabilmente un sirventese di Joanet d’Albusson 159 — verisimilmente
scritto non immediatamente dopo il nuovo ratto, ma qualche tempo dopo — nel
quale questo trovatore ironicamente dice a Sordello che la sua donna lo sta
imitando160, poiché, mentre egli conquista la Provenza, l’Inghilterra, la Francia,
Lunel, il Limosino, l’Alvernia e il Viennese, e la Borgogna e la Spagna e gli altri paesi
(l’elenco è fantasiosamente ricco di nomi, per dare maggior rilievo all’ironia), ella si è
messa in moto per conquistare l’impero di Manuele, l’Ungheria e la grande Cumania,
e ha conquistato senza opposizione la Russia, ed è andata forse al di là dal mare per
conquistare anche l’impero che colà si trova: cosicché — conclude con crescente
sarcasmo Joanet — essi finiranno col conquistare tutto il mondo, conquistando
l’uno all’ingiù e l’altro all’insù. Se si ammette che nella «vostra dompna» di Joanet si
nasconda Cunizza, si può rinvenire in questo vivace sirventese una prova della
veridicità della notizia data da Rolandino sulle peregrinazioni della nobile dama con
Bonio: il che rafforza indirettamente, in genere, l’autorità del cronista padovano per
quanto riguarda Cunizza.
A questo nuovo scandalo suscitato da Cunizza, come abbiam visto, allude
forse anche Uc de Saint Circ nella risposta al sirventese di Peire Guilhem de Luserna
in difesa di Cunizza, là dove parla della terna che ha fatto, a suo giudizio, perder la
vita eterna alla dama: sì che appare ragionevole la data (1229 circa) che l’Ugolini 161
Il testo di questo sirventese (P. C. 265, 3) è stato pubblicato criticamente, con commento, dal KOLSEN,
Altprovenzalisches, 18: Das Sirventes. Cfr. anche: DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 19 e segg., e Pro Sordello de Godio,
milite, p. 153 e seg.; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 13 e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 553 e
segg. (ove però a torto, secondo il mio giudizio, si vuol togliere alla poesia ogni riferimento alla realtà,
considerandola un puro scherzo); CRESCINI, Sordello, p. 20; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII.
160 Accetto anch’io per il v. 2 la correz. vos contrafatz che fu proposta dubitativamente dal GAUCHAT e dal
KEHRLI nella loro edizione diplomatica del canzoniere H (p. 516), e che è stata accolta anche dal KOLSEN
nell’ed. cit.
161 La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII. Anche il De LOLLIS, Vita e poesie, p. 21 e segg. e il CRESCINI, Sordello,
p. 19 ritengono i due sirventesi posteriori alla partenza di Sordello da Treviso. Il BERTONI, I trovatori d’Italia, p.
73, si limita a porre le due liriche dopo il ratto di Cunizza da parte di Sordello.
159
XLVI
propone per i due sirventesi, dissentendo dal De Bartholomaeis che li assegna al
1226162.
Se queste liriche si riferiscono a Cunizza, si riferisce invece a Sordello 163
un’altra lirica, anch’essa di Uc de Saint Circ: la nota danseta, in cui Uc argutamente
deride un personaggio adombrato sotto il senhal di «Ma Vida», presentato come un
seduttore e un ingannatore di donne164, al quale rivolge appunto il suo canto, per
rallegrargli il cuore dolente. Il componimento venne scritto probabilmente nel
territorio vicentino (come par di poter ricavare dal v. 15); e nel territorio vicentino si
trovava allora anche Sordello165,
Poesie provenzali storiche, II, 59 e seg., e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 182. Ancor meno giustificata è la
data proposta da JEANROY e SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint-Circ, p. 165, che collocano i
sirventesi «vers 1225».
163 Anche per me coglie senza alcun dubbio nel segno l’ipotesi proposta dal BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 77
n., e rec. dell’ed. delle poesie di Uc de Sant Circ di Jeanroy e Salverda de Grave, in Romania, XLII, 1913, p.
110, e da JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint-Circ, p. 159 e 202, e accettata dal DE
BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 84 e segg., e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 185, secondo
cui il personaggio che si nasconde sotto il nome di «Ma Vida» è Sordello.
164 Cfr. soprattutto il mordace ritornello, che rivela che Sordello aveva fama di uomo amante delle avventure
galanti e piuttosto spregiudicato in amore:
Ab dous chan,
en dansan,
voil que s’anes conortan,
baratan
e trichan
las domnas e galian.
(Cito dall’ed. JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, p. 100; cfr. anche l’ed. del DE BARTHOLOMAEIS, Poesie
provenzali storiche, II, p. 85). È interessante notare la concordanza tra questo ritornello e la frase della biografia
più ampia che accenna alla fama di ingannatore di donne di cui godeva il nostro trovatore («mas mout fo
truans e fals vas dompnas e vas los barons ab cui el estava»). Sulla accusa di instabilità in amore fatta a
Sordello cfr. anche la tenzone Pos anc no·us valc tra Bertran d’Alamanon e Granet, v. 44: «Pos en Sordel n’a ben
camiadas cen...» (J. J. SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, Toulouse, 1902, p. 119; A.
PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, nella Miscellanea di letteratura del medio evo, pubblicata dalla Società filologica
romana, Roma, 1929, p. 24 e 34).
165 Si vedano i vv. 20-25:
Mantoana e Verones,
perdut l’ai,
e Trevis’ e Senedes
atresi sai,
e se·l perc Visentines
o·l menerai?
(ed. JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, p. 100 e seg.). Sulla presenza di Sordello e di Uc in quel tempo nel
territorio veronese basti rimandare a ibid., p. 159 e seg., e al DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p.
85 e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 185.
162
XLVII
il quale era incamminato verso la Francia meridionale, come appare dalla strofa IV,
nella quale le località sono citate, naturalmente, a caso, tenendo presenti anche le
necessità della rima, ma è chiaramente indicata la direzione del viaggio 166.
II viaggio verso la Provenza deve essere stato compiuto da Sordello a tappe,
fermandosi alle varie corti che trovava sul suo cammino, come è naturale, e come
del resto si può forse dedurre dal sirventese En la mar major di Peire Bremon Ricas
Novas, che afferma che Sordello «conosce tutti i baroni da Treviso sino a Gap» 167.
Da questo passo si potrebbe supporre anche che il trovatore passasse le Alpi per
uno dei valichi delle Alpi Cozie, essendo Gap nell’alta valle della Durance (odierno
dipartimento delle Hautes Alpes)168; ma bisogna riconoscere che di ciò siamo
tutt’altro che sicuri, poiché la località potrebbe essere stata nominata qui, come è
stato osservato169, a causa della rima170.
2. SORDELLO OLTRE LE ALPI: IL VIAGGIO IN ISPAGNA E ALTRE
PEREGRINAZIONI. IL SOGGIORNO ALLA CORTE DI PROVENZA
Passate le Alpi, e lasciati dietro di sé quei territori ove aveva vissuto anni
tanto ricchi di avventure, e dove aveva incominciato ad acquistarsi fama con le sue
liriche, Sordello dovette errare per varie
Vv. 27-32 (ibid.):
En Alvergne et en Fores
et en Veslai,
lai on no sabon qi s’es
ni·ls trag q’el trai;
pueis me trai l’en Vianes,
a Anonai.
167 «E·ls baros conois totz de Trevis tro a Gap» (v. 15: cfr. BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon
Ricas Novas, p. 69).
168 Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 23. Però è molto dubbio che, come sostiene il DE LOLLIS, nel sirventese
Qi na Cuniça guerreia di Peire Guilhem de Luserna (P. C. 344, 5) si debba scorgere una allusione a Sordello, e
che sia appunto Sordello il «malvogliente» che deve guardarsi dall’andare a Luserna: cfr., ad es., A. JEANROY ,
rec. al vol. Pietro Guglielmo di Luserna del GUARNIERO, in Revue des langues romanes, XL, 1897, p. 388 e segg.;
TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 534 e seg. Anche il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 71 e segg.
sembra non accedere all’opinione del DE LOLLIS.
169 Cfr. SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 239 e TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 544.
170 Qui il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 23) accenna anche a un soggiorno di Sordello a Saluzzo, fondandosi sul
noto sirventese Li fol e·il put e·il filol. Abbiamo già visto come questa opinione sia inaccettabile.
166
XLVIII
corti senza fermarsi a lungo in nessuna. Non è facile seguirne le prime
peregrinazioni, tanto più che pare che non si trattenesse a lungo in Provenza e
varcasse ben presto anche i Pirenei.
A questo soggiorno oltre i Pirenei accenna il sirventese En la mar major di
Peire Bremon Ricas Novas, già altre volte citato, nel quale, dopo aver detto che
Sordello «troppo conosce e troppo sa» dei baroni di Spagna 171, Peire Bremon
ricorda un signore, che rifiutò a Sordello una mula, da lui chiesta con troppa
disinvoltura172, e che parrebbe da identificarsi con il «seignor de Leon» che è
ricordato nella tornada dello stesso componimento173, e aggiunge (v. 23): «mas dels
autres dos ac qan venc d’Espaigna rics».
Il viaggio di Sordello in Ispagna è quindi del tutto sicuro: ma rimangono, al
solito, dubbi circa i particolari. Il re di León secondo il De Lollis 174 sarebbe Alfonso
IX, morto nel 1230, poiché egli fu l’ultimo sovrano che portasse questo titolo, dato
che suo figlio Ferdinando III fu re di León e di Castiglia 175. Siccome però dal v. 20
(ma no·m mand ad aquel que fo sos enemics) risulta evidente che il personaggio in
questione era ancora vivo nel momento in cui Peire Bremon Ricas Novas scriveva il
sirventese, più giustamente si pensa 176 che si tratti invece di Ferdinando III, quello
stesso contro
V. 16: «e pois d’aqels d’Espaigna trop conois e trop sap» (cito dall’ed. di BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour
Peire Bremon Ricas Novas, p. 69).
172 Vv. 20-22 (ibid.):
mas no·m mand ad aquel que fo sos enemics
que la mula no·il det, dond el fo tant enics;
mout la·il ques francamen, mas no·il en valc prezics
173 Vv. 40-41 (ibid.):
Del seignor de Leon dis aquel mal que poc
en Sordels, tan l’es greu, qand qer, c’om no·l ditz d’oc.
174 Vita e poesie, p. 26 e segg., e Pro Sordello de Godio, milite, p. 165 e segg.
175 Ebbe dapprima il regno di Castiglia dal 1217, per l’abdicazione della madre Berenguela di Castiglia, a cui
spettava il trono come erede del fratello Enrico I, morto appunto nel 1217; divenne anche re di León alla
morte del padre Alfonso IX nel 1230. Morì nel 1252.
176 Cfr. TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 14 e segg., e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 548 e segg.;
BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 277 e seg., 304 e seg.; BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour
Peire Bremon Ricas Novas, p. 115 e seg.; JEANROY, La poesie lyrique des troubadours, I, p. 213; I. FRANK, Les
troubadours et le Portugal, in Mélanges d’études portugaises offerts à M. Georges Le Gentil, Lisbona, 1949, p. 202.
171
XLIX
cui Sordello rivolgerà un sarcastico rimprovero nel famoso planh in morte di Blacas;
né fa difficoltà il fatto che sia designato soltanto col titolo di «seignor de Leon», che
era stata la principale ragione per cui il De Lollis si era fermato su Alfonso IX,
perché conviene ammettere la possibilità che un trovatore, per ragioni metriche o
per altri motivi (non esclusi i capricci della sua fantasia) designasse con uno solo dei
suoi titoli qualche personaggio che ne avesse più di uno, come prova il fatto che
Bonifacio Calvo chiama col semplice epiteto di «re di León» Alfonso X di
Castiglia177.
Nella Spagna Sordello non dovette però soggiornare solo presso il «seignor
de Leon», ma anche presso altri principi, come mostra il v. 23, già ricordato, dello
stesso sirventese, secondo il quale altri signori furono più generosi col trovatore, che
tornò ricco dalla Spagna178. È molto probabile che tra questi generosi protettori si
debba annoverare Giacomo I di Aragona, che era successo al padre Pietro II nel
1213 ancor fanciullo di 5 anni, e che quindi era ancor giovanissimo quando il
trovatore mantovano fu alla sua corte: tanto più che a questo re Sordello dedicò uno
dei suoi sirventesi morali (Qui be·is membra: n. XXII di questa edizione), in cui lo
rappresenta come l’unico «sostegno di pregio» in mezzo all’universale decadenza 179.
Non è invece probabile che Sordello sia stato alla
Nel v. 30 del sirventese Un nou sirventes ses tardar, n. XIV dell’ed. di M. PELAEZ, in Giorn. st. d. lett. it., XXIX,
1897, p. 340. Sulla questione cfr. TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 14 e seg., Sul «Pro Sordello» di C. De
Lollis, p. 549 e seg.; DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite, p. 166 e seg.; BERTONI, JEANROY, Un duel poétique
au XIIIe siècle, p. 305; BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 116; JEANROY, La poésie
lyrique des troubadours, I, p. 213. Il TORRACA cita anche un passo del sirventese Seign’ en Jorda di Paulet de
Marseilla (P. C. 319, 7 a e 248, 77) in cui Alfonso X, re di León e Castiglia, è semplicemente designato come
«lo valen rei a cui s’apen Leos» (cfr. l’ed. di E. LEVY, Le troubadour Paulet de Marseille, in Revue des langues romanes,
XXI, 1882, p. 284).
178 Lo JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 197 vorrebbe però intendere la frase in senso ironico, e
pensa che Sordello non fosse in Aragona più fortunato che in Castiglia, poiché si affrettò a lasciare la penisola
iberica per recarsi nel Poitou.
179 Lo JEANROY, ibid., ritiene il sirventese composto nel 1230; ma tale data non è, a mio parere, accettabile,
poiché nella prima tornada del componimento si celebra una dama adombrata sotto il senhal di Agradiva, che,
come vedremo, è usato da Sordello per Guida di Rodez; inoltre dal tramet del v. 39 par che si debba arguire
che il trovatore allora era lontano dalla corte aragonese, e verisimilmente nella Francia meridionale. È da
notare che nel celebre planh per la morte di Blacatz neanche Giacomo I d’Aragona, come è noto, è
risparmiato.
177
L
corte del re di Navarra Sancho VII «el Fuerte», perché questo sovrano, che era allora
alla fine della sua vita e del suo lungo regno (morì, come è noto, nel 1234, ed era
salito al trono nel 1194) negli ultimi suoi anni visse ritirato nel suo palazzo di Tudela
— tanto che fu detto anche «el Encerrado» —, e non risulta essere stato protettore
di trovatori180.
Si è avanzata anche l’ipotesi che Sordello si sia recato pure in Portogallo.
Infatti nel noto canzoniere portoghese della Biblioteca Vaticana (Vat. 4803),
pubblicato dal Monaci181, al n. 1021 si trova una breve tenzone tra due poeti
portoghesi, Joan Soarez Coelho e il giullare Picandon, nella quale Joan Soarez chiede
a un certo punto a Picandon come mai Sordello, autore di molte buone tenzoni e di
molte buone melodie, lo tenga in tale conto, benché sia così poco pratico di giulleria,
da renderlo gradito a corte, aggiungendo: «o voi o egli datemene buon conto», ossia
«datemene una convincente spiegazione» 182. Da questi versi è evidente che Sordello
fu in rapporti abbastanza stretti con i due trovatori portoghesi, e dall’ultimo risulta
anche che quando essi componevano questa tenzone il trovatore di Goito non era
molto lontano da loro. E il De Lollis in un primo tempo183 pensò che Joan Soarez e
Picandon tenzonassero in Portogallo, supponendo che Joan Soarez non si fosse mai
allontanato dalla corte portoghese; ma poi, avendo la Michaëlis de Vasconcellos
dimostrato che questo trovatore al contrario viaggiò molto e fu assai accetto nelle
corti spagnole184, mutò parere e rinunciò alla sua ipotesi, affermando che la cono-
Cfr. JEANROY, ibid., I, p. 220.
E. MONACI, Il canzoniere portoghese della Biblioteca Vaticana, Halle a. S., 1875.
182 Ecco la strofe che ci interessa:
Vedes, Picandon, som maravilhado
eu d’en Ssordel que ouço en tençôes
muytas e bôas e en mui bôos sôes,
como foi em seu preito tam errado.
Pois nom sabedes jograria fazer,
por que vus fez per corte guarecer?
Ou vos ou el dad’ ende bom recado
(MONACI, Il canzoniere portoghese, p. 352; cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 28; BERTONI, Nuove rime di Sordello, p.
281; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXVIII). Cfr. anche l’ed. del Cancioneiro da Ajuda di C.
MICHAËLIS DE VASCONCELLOS , II, Halle a. S., 1904, p. 371.
183 DE LOLLIS, ibid., p. 28 e seg.
184 C. MICHAËLIS DE VASCONCELLOS, Geschichte der portugiesischen Litteratur, in Grundriss der romanischen Philologie
del Gröber, II, p. II, Strassburg, 1897, p. 199, n. 5; cfr. inoltre, della stessa studiosa, l’ed. cit. del Cancioneiro da
Ajuda, II, p. 365, 368, 371 e segg. Anche FRANK, Les troubadours et le Portugal, p. 202, ritiene che Joan Soarez
180
181
LI
scenza tra Joan, Picandon e Sordello dovette aver luogo più verisimilmente in una
delle corti di Spagna, probabilmente in quella di León 185. Più tardi il Bertoni riprese
in considerazione la possibilità di un’andata di Sordello in Portogallo 186 fondandosi,
oltre che sulla tenzone tra Joan Soarez e Picandon, su un passo del sirventese Dui
cavalier joglar di Reforzat, altre volte ricordato, nel quale è detto che Sordello
anet al Saint, e·l Santz ac espaven,
car non lai venc plus escaridamen187.
e supponendo che il viaggio di Sordello in Portogallo sia stato legato a un suo
pellegrinaggio al celebre santuario di S. Giacomo di Compostella188. Ma in realtà non
è affatto necessario interpretare quel «Saint» come un riferimento al santuario di
Compostella, potendosi senza difficoltà riferire a qualche altro santuario: e lo stesso
Bertoni si avvide in seguito della fragilità del suo ragionamento 189. Sicché, in
complesso, considerando anche che mancano altre tracce di relazioni personali tra il
re di Portogallo e qualche trovatore190, penso che il viaggio di Sordello in Portogallo
debba ritenersi
dimorasse presso Ferdinando III. Cfr. H. R. LANG, The Relations of the Earliest Portuguese Lyric School with the
Troubadours and Trouvères, in Modern Language Notes, X, 1895, p. 104 e segg.
185 Pro Sordello de Godio, milite, p. 167.
186 Nuove rime di Sordello di Goito, p. 281 e segg.
187 Vv. 23-24: cito dal saggio ibid. p. 282 e 291. Cfr. anche l’ed. del sirventese data successivamente dallo
stesso BERTONI nel saggio Sordello e Reforzat, p. 199, ove il car è emendato in q’om.
188 Formulava anche l’ipotesi, acuta, ma invero molto fantastica, e che egli stesso presentava del resto con
ogni riserva, che Sordello avesse mascherato la sua fuga dall’Italia con un pellegrinaggio in Galizia al santuario
di S. Giacomo.
189 L’illustre studioso scriveva, nei Trovatori d’Italia, p. 80, n. 1: «In quel Saint io proposi di vedere S. Giacomo
di Compostella. Parmi oggi che la congettura possa ancora presentarsi, qualora però la si circondi di molte
cautele, perché “andare al santo” o “ai santi” può essere stato adoperato in altro senso, e cioè col semplice
significato di “andare in chiesa”, e fors’anche in una chiesa speciale...». E nel saggio su Sordello e Reforzat, p.
205 il mutamento di opinione è ancora più esplicito: «Il poeta dice che Sordello fece un viaggio che non
poteva dirsi faticoso per un cavaliere, per un giullare, per un romeo. Sordello dové dunque recarsi in luoghi
vicini, forse in una chiesa, ove fosse venerato qualche santo patrono, qualche immagine...».
190 Cfr. JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 221 e seg.; MICHAËLIS DE VASCONCELLOS, Geschichte der
portugiesischen Litteratur, p. 171.
LII
estremamente improbabile191.
È certo invece che Sordello rimase assai poco in Ispagna, come ci fa capire,
ancora una volta, una allusione del sirventese En la mar major di Peire Bremon Ricas
Novas, veramente prezioso per la ricostruzione della vita del trovatore di Goito. Al
v. 24, subito dopo il ricordo del ritorno di Sordello dalla Spagna, Peire Bremon
afferma che Sordello fece esperienza, nel Poitou, della liberalità di messer
Savarico 192. Si tratta certamente di Savaric de Mauleon, che ebbe per molti anni una
considerevole autorità nella Francia meridionale, come siniscalco del Poitou, e fu,
come afferma lo Jeanroy193, «pendant quelque dizaine d’années la providence des
troubadours», per la sua generosità, e fu trovatore egli stesso. Ora, siccome Savaric
morì prima del 27 novembre 1231, come ha mostrato il Torraca 194, nel 1231 o
addirittura nel 1230, se si accetta la supposizione dello Jeanroy che il nobile barone
sia morto in quell’anno, Sordello dovette esser di nuovo in terra di Francia 195.
È assai difficile seguire Sordello nelle altre sue peregrinazioni in terra di
Francia fino al 1241 — anno in cui incominciano a venirci in aiuto documenti
storici, che ci danno informazioni sicure —, perché qui vengono quasi del tutto
meno le notizie delle biografie, che, scritte verisimilmente in Italia 196, conoscono ben
poco del soggiorno del poeta oltralpe, e non possiamo fondarci che su dati
Anche l’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXIII, giudica poco probabile tale andata in Portogallo.
E il FRANK, Les troubadours et le Portugal, p. 202, 208 e seg., e 225, non esita a ritenere che la conoscenza tra
Sordello e Joan Soarez abbia avuto luogo fuori del Portogallo, forse alla corte di Ferdinando III. Anche la
MICHAËLIS DE VASCONCELLOS (ed. del Cancioneiro da Ajuda, p. 368 e 372 e segg.) pensa che l’incontro tra i
due poeti avvenisse in Ispagna.
192 «et apres en Peitau cum dav’en Savaric» (ed. BOUTIÈRE, p. 70).
193 La poésie lyrique des troubadours, I, p. 154 e seg.
194 Annales du Midi, XIII, p. 530. Lo CHABANEAU ne fissava la morte, invece, nel 1233 (Les biographies des
troubadours, Toulouse, 1885, p. 46, n. 6). Su Savaric cfr.: B. LEDAIN, Savari de Mauléon et le Poitou à son époque,
Saint-Maxent, 1893; JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint-Circ, p. 152 e seg.; JEANROY, La
poésie lyrique des troubadors, e Histoire sommaire de la poésie occitane des origines à la fin du XIII e siècle, Toulouse-Paris,
1945, p. 25; H. J. CHAYTOR, Savaric de Mauléon Baron and Troubadour, Cambridge, 1939; BOUTIÈRE, SCHUTZ,
Biographies des troubadours, p. 419. Cfr. per altri rimandi P. C. 432.
195 È stata avanzata anche, sia pure con molta prudenza, l’ipotesi di un secondo viaggio di Sordello oltre i
Pirenei: cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 29 e Pro Sordello de Godio, milite, p. 167 e 202; SCHULTZ-GORA, rec. al
vol. del DE LOLLIS, p. 239. Ma, a parte il fatto che questo viaggio sarebbe legato all’andata in Portogallo, del
tutto improbabile, come abbiamo visto, si tratta di un’ipotesi molto vaga, assai scarsamente fondata.
196 Il PANVINI, Le biografie provenzali. Valore e attendibilità, Firenze, 1952, p. 100 e segg. pensa che la vida più
ampia sia stata scritta in Italia, e che la vida più breve sia stata invece composta in Provenza. Ma in verità
anche la vida più breve dice ben poco della vita del trovatore in Provenza: e resta per me sempre possibile
ritenerla scritta in Italia.
191
LIII
spesso assai incerti ricavati esclusivamente dalle liriche del poeta; e la stessa
contradditorietà dei risultati a cui i vari studiosi che si sono occupati di Sordello
hanno creduto di poter giungere mostra la grande incertezza che regna in questo
punto della biografia sordelliana.
Siamo tuttavia certi che il nostro trovatore soggiornò a lungo alla corte di
Raimondo Berengario IV, conte di Provenza, come prova un passo del sirventese
Hoimais no·m cal di Peire de Castelnou, composto nel 1266 o poco dopo197, nel quale
Raimondo Berengario è lodato per aver trattenuto presso di sé Sordello 198, e come è
testimoniato, oltre che dalle due vidas, concordi nell’attestare la presenza di Sordello
presso un conte di Provenza che non può esser che Raimondo Berengario 199, da un
documento, di cui si tratterà ampiamente più oltre, in cui Sordello appare presente,
tra il seguito del conte di Provenza, al convegno tenuto nel 1241 a Montpellier tra
Raimondo Berengario IV, Giacomo I d’Aragona e Raimondo VII di Tolosa a
proposito del progettato divorzio tra Raimondo VII e Sancia d’Aragona. È
verisimile però che il soggiorno di Sordello alla corte di Provenza sia cominciato
assai prima del 1241. Il
Nella lirica (P. C. 336, 1) si allude infatti chiaramente alla battaglia di Benevento, che è appunto del 1266.
Lo JEANROY, Un sirventés contre Charles d’Anjou, in Annales du Midi, XV, 1903, p. 163 e segg., vorrebbe vedervi
invece una allusione alla battaglia di Tagliacozzo (1268); ma la sua tesi è stata confutata dal DE
BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 230 e segg., il quale ha mostrato che la lirica non può essere
posteriore alla battaglia di Tagliacozzo, in quanto al v. 6 è ricordato come ancor vivo Barrai del Baus, che
morì qualche settimana prima di questa battaglia. Cfr. anche BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, p. 277 e
segg., e I trovatori d’Italia, p. 77 e seg. (in quest’ultimo volume il Bertoni ritiene preferibile, come data, il 1268).
198
Vv. 23-27:
Per que·l pros com Berengiers o fes be,
can mosegne ‘n Sordel retenc ab se,
e, si no·is fos cortes e plazentiers
al comenzar, no·l retengra estiers,
ni no saubr’om son pretz ni sa valenza.
Cito dal BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 78; cfr. DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 232.
199 La vida più ampia infatti dice: «E per paor d’aicels qe·il volion ofendre, el se partic et anet s’en Proenssa; et
estet ab lo comte de Proenssa. Et amet una gentil dompna e bella de Proenssa...». E la vida più breve reca: «E
pois s’en anet en Proensa, on el receup grans honors de totz los bos homes, e del comte e de la comtessa, que
li deron un bon castel e moillier gentil».
197
LIV
Bertoni200 pensava che si potesse dimostrare la presenza di Sordello presso
Raimondo Berengario fin dal 1233, fondandosi sul sirventese De guerra sui deziros di
Blacasset201, nel quale questo trovatore esprimeva, colorendolo con le solite
esaltazioni della guerra e dei bei colpi di spada, che costituivano ormai, dopo Bertran
de Born, un luogo comune della poesia trobadorica, il desiderio che non si
concludesse la pace tra i conti di Tolosa e di Provenza, e si rivolgeva a Sordello
perché incitasse Raimondo Berengario a non indursi a concludere la pace col suo
avversario. Il Bertoni ritiene che il sirventese si debba ascrivere all’anno 1233,
parendogli che nei vv. 27-30:
vissem tal envazimen
far al comte proenzal,
qe cel qi ven per son mal
tengues aunitz tot sa via202
vi sia una allusione all’inviato di Federico II (Caille de Gurzan), che appunto in
quell’anno si proponeva di pacificare la Provenza, favorendo l’apertura di trattative e
placando le discordie tra i due conti 203; e pensa che Blacasset indirizzi il
componimento a Sordello appunto perché egli doveva trovarsi, verisimilmente, alla
corte di Provenza e doveva avere una certa influenza sull’animo del conte. Ed è una
ipotesi che si può accettare (ammettendo, naturalmente, viaggi e soggiorni episodici
in altri luoghi, di cui non è possibile fissare con precisione la data), benché si debba
riconoscere che è, in fondo, tutt’altro che sicura 204. Certo Sordello si trovava presso
Raimondo Berengario quando, nel 1237, come sembra, o nel 1238, scrisNuove rime di Sordello di Goito, p. 277 e segg.; I trovatori d’Italia, p. 78.
P. C. 96, 3 a.
202 Cito dall’ed. del BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, p. 289.
203 Su questa missione di Calile de Gurzan, che arrivò in Provenza al principio del 1233, e riuscì a imporre una
tregua ai contendenti, cfr. L. BARTHÉLEMY, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison de Baux,
Marseille, 1882, n. 246, 249 (p. 69 e 70); P. FOURNIER, Le royaume d’Arles et de Vienne (1138-1378), Paris, 1891,
p. 133 e segg.; V. L. BOURRILLY, R. BUSQUET, La Provence au moyen âge, Marseille, 1924, p. 49 e segg.; V. L.
BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille des origines à la victoire de Charles d’Anjou, Aix-enProvence, 1925, p. 132 e segg. I primi ad aderire agli inviti di Calile de Gurzan, promettendo di accettare la
sua mediazione, furono i Marsigliesi, Barral de Baus e Guillaume de Berre, figlio di Raimon de Baus (23
marzo 1233).
204 Lo JEANROY (rec. al vol. Nuove rime di Sordello di Goito del BERTONI, in Annales du Midi, XIV, 1902, p. 208 e
seg.) ha infatti osservato che il personaggio a cui si accenna nei v. 29-30 potrebbe anche essere Raimondo
VII, e che quindi il sirventese potrebbe anche riferirsi al 1237 o al 1239.
200
201
LV
se, come vedremo, il sirventese Puois no·m tenc o dei «tre diseredati» (n. XX di questa
edizione), poiché in tale componimento (v. 31) il conte di Provenza è chiamato dal
trovatore «mon segnor»205.
Altri dati sicuri sulla presenza di Sordello alla corte di Raimondo Berengario
ci sono forniti dai rapporti che egli ebbe con Peire Bremon Ricas Novas, col quale,
dopo un periodo di rapporti amichevoli, venne a una rottura tanto grave da giungere
con lui a quello scambio di aspri e violenti sirventesi che il Bertoni e lo Jeanroy,
dandone il testo critico, hanno definito un vero «duel poétique» 206. Sembra, a quanto
par di intendere, se si accetta l’interpretazione che dà il Boutière 207 del sirventese
Be·m meraveil d’en Sordel e de vos, che l’inimicizia sia incominciata alla corte di
Raimondo Berengario a causa di un danno o torto fatto subire dal conte (che
parrebbe essere appunto Raimondo Berengario) a Peire Bremon Ricas Novas; torto
a cui Sordello e Bertran d’Alamanon, preoccupati di non perdere il favore del loro
protettore, avrebbero assistito senza alcuna manifestazione di rincrescimento e
senza cercare di fare qualcosa in favore del Ricas Novas 208. Il fatto sembra essere
accaduto
Nello stesso modo si potrebbe forse spiegare anche il nostre del v. 16 riferito al re Giacomo I d’Aragona:
Giacomo era infatti cugino di Raimondo Berengario, poiché, come è noto, Pietro II padre di Giacomo e
Alfonso II padre di Raimondo Berengario erano fratelli.
206 BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIle siècle.
207 BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. XV e segg., 57 e seg., 108 e seg.
208 Si vedano i vv. 2-6:
... anc sosfritz mon dan
qe·l coms mi fes; anc no fezetz semblan,
s’eu pris onta ni dan, qe mal vos fos;
e degraz l’engardar de fallimen,
e mi de dan, qe·us servi lialmen;
e più oltre i vv. 15-16:
Mas ben pot far le cons sens o foudat,
qe tot li er per vos autres lausat
(Cito dall’ed. BOUTIÈRE, p. 57 e seg.). Che il conte sia Raimondo Berengario mi sembra accertato dal v. 10 del
terzo sirventese di Sordello contro Peire Bremon Ricas Novas (n. XXV di questa edizione), in cui è detto che
il conte di Provenza ha allontanato da sé il Ricas Novas (qu’a son tort l’a partit de si·l coms proensals). — Del
sirventese Be·m meraveil d’en Sordel e de vos ha dato una diversa interpretazione A. PARDUCCI, nello studio Granet
trovatore provenzale, pubblicato nella Miscellanea di letteratura del medio evo, uscita in Roma, 1929, a cura della
Società filologica romana, p. 12 e segg., attribuendo appunto la lirica (anonima in P) a Granet. Mi sembra
però che tale attribuzione (accennata già dal TORRACA, Sul «Sordello» di Cesare de Lollis, p. 19) non sia
accettabile, e che sia preferibile attribuire la lirica al Ricas Novas, come fa il BOUTIÈRE, e come è del resto
opinione comune: cfr., SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse, p. 211, e Ueber den Liederstreit zwischen Sordel und
Peire Bremon, in Arch. für das Stud. der neueren Spr. und Lit., XCIII, 1894, p. 128, n.; DE LOLLIS, Vita e poesie, p.
47; BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 276. Anche nella Bibliographie, di PILLET e CARSTENS
la lirica è elencata non tra le poesie di Granet, ma tra quelle di Peire Bremon Ricas Novas (330, 3 a).
205
LVI
dopo il 1237, poiché, come pensa, ragionevolmente, il Boutière, il compianto
composto da Peire Bremon Ricas Novas in morte di Blacas ad imitazione di quello
famoso di Sordello e di quello, anch’esso ispirato al planh sordelliano, di Bertran
d’Alamanon, è probabilmente anteriore alla rottura tra i due poeti 209. Il Ricas Novas
si recò allora a Marsiglia210, presso Barral de Baus, da cui però si allontanò per breve
tempo, per recarsi presso il conte di Tolosa Raimondo VII, il quale non sembra gli
facesse buone accoglienze211, cosicché egli tornò presso Barral.
Più tardi l’inimicizia si acuì, anche in conseguenza, a quanto par di ricavare
dalla tornada del primo sirventese di Sordello contro il Ricas Novas 212, di una rivalità
amorosa, e si arrivò al fa-
Infatti, se la rottura fosse avvenuta, Peire Bremon Ricas Novas non si sarebbe accontentato di imitare il
planh di Sordello e di citarlo all’inizio della sua lirica insieme a quello di Bertran d’Alamanon, ma lo avrebbe
criticato e avrebbe preso lo spunto da esso per mettere in ridicolo il suo avversario: cfr. ed. BOUTIÈRE, p. XV.
210 Secondo il v. 10, già citato, del terzo sirventese di Sordello contro il Ricas Novas (Sol que m’afi: n. XXV di
questa ed.) sembrerebbe che la partenza del Ricas Novas non fosse avvenuta per iniziativa del trovatore, ma
in conseguenza di un ordine del conte di Provenza. Ma non è difficile conciliare i due passi, immaginando che
Peire Bremon, già caduto in disgrazia, sia stato fatto allontanare dalla corte, e che il dan consistesse appunto in
una perdita del favore del conte, che costrinse il Ricas Novas ad allontanarsi.
211 Cfr. i vv. 41-44 del secondo sirventese di Sordello contro il Ricas Novas (Lo reproviers vai averan, n. XXIV di
questa ed.):
Gen l’a saubut lo valens coms onrar
de Tolosa, si co·is taing ni·s cove,
c’a Marseilla l’a faich azaut tornar,
per que laisset son seignor e sa fe;
e i vv. 9-11 del terzo sirventese:
.... sos sens es tals
qu’a son tort l’a partit de si·l coms proensals
e l’autre coms no·l vol, quar sap qui es ni quals.
212 Cfr. i vv. 31-33 (n. XXIII di questa ed.):
Serventes, vai dir al fals ufanier,
qe mal vic mi e mon corren destrier
e lieis, per qe m’a faich enic e brau
Sulla questione cfr.: BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 269; ed. BOUTIÈRE, p. XVII.
209
LVII
moso scambio di sirventesi, che ebbe luogo molto probabilmente nel 1240-41,
poiché la pace in tempo di primavera a cui si accenna nel terzo sirventese di
Sordello 213 sembra essere quella del 1241: infatti le sole tre paci tra il conte di
Provenza e il conte di Tolosa che si possono prendere in considerazione sono quelle
del 1234, del 1237 e del 1241; e le prime due sembrano da scartare: la prima, in
quanto Barral entrò in possesso della sua parte dell’eredità paterna soltanto alla fine
del 1234214, e quindi è difficile ammettere che Sordello potesse scrivere nel suo terzo
sirventese che Peire Bremon Ricas Novas si trovava presso Barral 215; la seconda, in
quanto in quell’anno la pace seguì a contese di breve durata, perché le ostilità non
erano state riprese che nella primavera, e Sordello — come già aveva osservato il De
Lollis216 — fa evidentemente allusione «a una guerra di qualche durata e a trattative
non brevi di pace». D’altro canto mi sembra che il «duel poétique» non possa aver
avuto inizio prima del 1237, epoca in cui i due poeti sembrano ancora in buoni
rapporti, come appare dal planh di Peire Bremon in morte di Blacas, imitazione,
senza alcuna parodia o alcun sentimento di ostilità, di quello di Sordello 217. Quando
ebbe luogo lo scambio dei sirventesi Sordello era certamente alla corte di Raimon-
213
Cfr. il v. 19:
hueymais, pus ven la patz e·l gai[s] temps de pascor
Cfr. BARTHÉLEMY, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison de Baux, n. 257, p. 73 (26
novembre 1234); DE LOLLIS, Vita e poesie di Sordello, p. 44 e Pro Sordello de Godio, milite, p. 170; ed. BOUTIÈRE,
p. 108. Dissente su questo punto il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 17, e Sul «Pro Sordello» di C. De
Lollis, p. 552.
215 Si vedano i vv. 14-15:
Be·m meravelh quo·l pot retener en Barrals,
qu’ad ops de bon senhor non es en re cabals
E si cfr. i vv. 5-8.
216 Vita e poesie, p. 45.
217 La questione della cronologia dei sirventesi scambiati tra Sordello e il Ricas Novas è tra le più complesse e
discusse. La data 1240-41, che mi sembra la più probabile, è quella proposta dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 43
e segg. e Pro Sordello de Godio, milite, p. 169 e seg., che è stata accolta dal BOUTIÈRE, ed. cit., p. XVII e seg., 109
e segg., e quindi da altri (ad es. dall’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXVI). Lo SCHULTZ-GORA era
assai vicino al DE LOLLIS, anzi, si può dire, sostanzialmente d’accordo con lui, perché proponeva come data il
1240 (Ueber den Liederstreit zwischen Sordel und Peire Bremon; rec. al vol. del DE LOLLIS; e cfr. Die
Lebensverhälltnisse, p. 211). Il BERTONI e lo JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, rimanevano incerti tra il
1234, il 1237 e il 1240-41. Il TORRACA, dal canto suo, propendeva a ritenere le liriche composte prima del
1233 (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 17 e segg.; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 546 e segg.). Per una più
minuta discussione su vari particolari rimando alle note che accompagnano il testo dei tre sirventesi di
Sordello (nn. XXIII-XXV di questa edizione). — Intorno alle guerre tra il conte di Tolosa e il conte di
Provenza che interessano la nostra questione basti rimandare qui alle opere di FOURNIER, Le royaume d’Arles et
de Vienne, p. 130 e segg.; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 124 e segg., ove si
troveranno numerosi altri rimandi bibliografici. E si veda, naturalmente, l’Histoire générale de Languedoc di C.
214
LVIII
do Berengario, come si rileva dal terzo sirventese contro il Ricas Novas218.
Alla corte di Raimondo Berengario doveva certamente essere Sordello anche
quando scrisse insieme con Guilhem Montanhagol il partimen che costituisce la lirica
XVI di questa edizione, composto verisimilmente non prima del 1241, anno in cui
venne conclusa stabilmente la pace tra i conti di Tolosa e di Provenza, in quanto è
difficile, anzi, a mio parere, del tutto inverosimile che il Montanhagol, il quale da
altre liriche ci appare fedelissimo alla causa di Raimondo VII di Tolosa, potesse fare,
prima della pacificazione tra il suo protettore e il conte provenzale, quel caldo elogio
di Raimondo Berengario che il trovatore tolosano si compiace di inserire nel nostro
componimento219. In questo periodo infatti siamo del tutto sicuri che Sordello
(come è provato anche dall’atto del 1241, già ricordato, relativo al convegno di
Montpellier) era presso Raimondo Beren-
DEVIC e J. VAISSETTE, nuova ed., Toulouse, 1866, VI, p. 664 e segg. — Sulla datazione qui accennata del
planh di Sordello in morte di Blacatz si v. più oltre.
218 Cfr. il verso 8, «e nostra cort hueymai no pes del tornar ges», da intendersi in stretta unione col v. 10, «q’a
son tort l’a partit de si·l coms proensals», e dei vv. 3-8 del primo sirventese (Lo bels terminis) di Peire Bremon
Ricas Novas contro Sordello, ove il trovatore accenna ai suoi amici di Provenza che sono lontani da lui:
car ades ai sovinenssa
— on qez eu m’estia —
de mos amics de Proenssa;
pero si·ls vezia,
car ab lor ai conoissenssa,
plus m’alegraria
(ed. BOUTIÈRE, p. 59).
219 Si vedano i vv. 1-4:
Senh’en Sordelh, mandamen
ai del ric comte plasen
proensal, qu’a pretz valen,
que·us deman....
E l’elogio ritorna nei versi della tornada scritta dal Montanhagol:
Sordelh, le ricx coms prezatz,
on es fis sabers triatz,
proensals jutge, si·l platz,
esta nostra partia...
LIX
gario; e anche se non ne avessimo la certezza per altra via, basterebbe a provarlo il v.
79 del partimen, ove Sordello chiama «mos senher» il conte provenzale che Guilhem
Montanhagol ha lodato.
È possibile che Sordello abbia anche cantato Beatrice di Savoia, moglie di
Raimondo Berengario, benché sembri — come vedremo — che egli abbia
composto le sue poesie d’amore soprattutto per Guida di Rodez 220.
Se è cosa certa che Sordello soggiornò per lungo tempo alla corte di
Raimondo Berengario IV di Provenza, non si può escludere che abbia dimorato per
più brevi periodi altrove. Non è improbabile, ad esempio, che abbia soggiornato per
qualche tempo presso la corte comitale di Rodez, o in qualche località dipendente
dai baroni di Montlaur, come Posquières (oggi Vauvert, nel dipartimento del
Gard)221: infatti, come vedremo tra poco, egli cantò, sicuramente in una canzone, e
probabilmente in varie altre liriche, Guida di Rodez, figlia di Enrico I e sorella dei
conte Ugo IV di Rodez, maritata nel
Il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 79 (e cfr. Nuove rime di Sordello, p. 280) ritiene che sia stata composta alla
corte di Provenza e per Beatrice la tenzone tra Sordello e Peire Guilhem de Tolosa (n. XIV di questa
edizione): la comtessa del v. 2, per il cui amore Sordello, a detta di Peire Guilhem, sarebbe venuto alla corte, e
per la quale Blacas è divenuto canuto, sarebbe appunto Beatrice, e li coms del v. 27 sarebbe Raimondo
Berengario. Per il DE LOLLIS anche questo componimento è invece da considerarsi scritto per Guida: cfr.
Vita e poesie di Sordello, p. 30, e Pro Sordello de Godio, milite, p. 171 e segg.; e a Guida lo avevano riferito
precedentemente il DIEZ, Leben und Werke der Troubadours, Zwickau, 1829, p. 473, e SCHULTZ-GORA, Die
Lebensverhältnisse, p. 208 (e cfr. di quest’ultimo la rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 240). Della stessa opinione sono
anche il FABRE, Guida de Rodez, baronne de Posquières, de Castries et de Montlaur, inspiratrice de la poésie provençale, in
Annales du Midi, XXIV, 1912, p. 161 e 164 e D. J. JONES, La tenson provençale, Paris, 1934, p. 40. Nega che si
tratti di Guida, e pensa invece a Beatrice il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 22 e segg.; Sul «Pro
Sordello» di C. De Lollis, p. 535 e segg.), il quale vorrebbe eliminare Guida dalla vita di Sordello e fare di
Beatrice contessa di Provenza l’ispiratrice di tutte le liriche d’amore del trovatore di Goito: tesi
manifestamente esagerata, perché, come vedremo, vi sono buone ragioni per ritenere scritta per Guida
almeno una delle canzoni di Sordello.
221 Sul soggiorno di Guida a Posquières cfr. FABRE, Guida de Rodez, baronne de Posquières, p. 159 e segg.
220
LX
1235 — a quanto pare222 — a Pons barone di Montlaur nel Vivarais. Questo
soggiorno a Rodez è ammesso anche dal De Lollis 223 e dal Bertoni224, nonché,
naturalmente, dal Fabre: e se potessimo riferire a Guida la tenzone tra Sordello e
Peire Guilhem de Tolosa225 avremmo la prova di tale soggiorno nei vv. 3-4 del
componimento, in cui Peire Guilhem dice a Sordello che tutti vanno dicendo che
egli è venuto lì per amore della contessa226, a patto, naturalmente, di ritenere la lirica
anteriore al matrimonio di Guida con Pons de Montlaur 227. Certo però si può
ammettere, come pensava anche il Bertoni 228, che Guida sia stata cantata varie volte
anche da lontano229. Non si può indicare la data di tale soggiorno, poiché non si può
escludere che Sordello abbia cantato Guida di Rodez anche dopo il suo matrimonio
col barone di Montlaur230.
Da un passo del sirventese morale Puois trobat ai231 parrebbe di poter dedurre
che Sordello fece anche un breve soggiorno a Tolosa.
A questa data si oppose il FABRE (nel suo studio già citato, ricco di dati e assai interessante e acuto, ma
anche troppo ricco di ipotesi e in molti punti evidentemente esagerato per troppo vivo entusiasmo per la tesi
sostenuta, p. 154), tentando di riportare indietro il matrimonio di Guida fino al 1226: ma il FABRE si fonda
sulla testimonianza assai dubbia di una genealogia dei Montlaur ritrovata; da un erudito locale, della quale egli,
per di più, non pubblica il testo né dà informazioni precise, e perciò la sua dimostrazione mi sembra tutt’altro
che convincente. Cfr. JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 183, n. 1.
223 Vita e poesie, p. 32.
224 I trovatori d’Italia, p. 79, n. 2.
225 Sulla questione cfr. la n. 220.
226
Qe tuit van dizen e gaban
qe per s’amor es sai vengutz
227 Non sarebbe possibile pensare a una data posteriore al 1235, poiché il v. 33 parla di un coms, e dopo il 1235
Guida dovette lasciare Rodez per seguire il marito Pons de Montlaur, che non era conte, ma soltanto barone.
228 I trovatori d’Italia, p. 79.
229 Si vedano ad es. i vv. 31-32 («q’eu tem morir desiran son cor gai | qar loing dels oillz e pres del cor
m’estai») della canzone Si co·l malaus (n. X di questa edizione), che si può ritener scritta per Guida, dato che al
v. 41 vi è usato il senhal di Restaur, di cui, come vedremo, molto probabilmente, Sordello si serve per indicare
Guida.
230 Se è giusto ritenere, come io credo, Restaur un senhal usato per Guida, possiam dire di avere una prova
sicura dell’ipotesi che Sordello abbia cantato Guida anche dopo il suo matrimonio nel fatto che a una dama
adombrata sotto il senhal di Restaur — la quale sarebbe, appunto, Guida — è indirizzato il celebre planh in
morte di Blacatz, che è probabilmente del 1237.
231 È la lirica XXI di questa edizione. Si vedano i vv. 5-6:
per que mos cor[s] en demorar s’atura
a Tolosa al mens un mes o dos.
222
LXI
Altri accenni sono troppo vaghi per ricavarne notizie che abbiano una certa
probabilità d’essere attendibili 232.
In questi anni Sordello compose molte liriche, mediante le quali dovette certo
salire in fama, ed affermarsi come uno dei più notevoli trovatori del tempo. Tra
quelle che ci sono rimaste (è lecito sospettare che parecchie siano andate perdute)
non poche sono le liriche d’amore, che fanno sorgere il problema della
identificazione della dama o meglio delle dame da lui cantate, che è forse la
questione più oscura e più difficilmente chiaribile di tutta la biografia sordelliana,
perché non abbiamo, per tentar di darne una soluzione, che indizi assai vaghi ed
incerti.
È possibile tuttavia affermare che tra le dame cantate dal trovatore il primo
posto spetta a Guida di Rodez, che abbiamo già ricordato. Ad essa Sordello rivolse
certamente — e qui mi sembra che abbia del tutto torto il Torraca che volle
negarlo 233 — la canzone Aitant ses plus (n. II di questa edizione), in cui il nome di
Guida è accennato velatamente, ai vv. 13-19, per mezzo di un gioco di parole
sottilmente elaborato, che si impernia sulle parole guitz, guidar, guida. In questa
canzone il nome di Guida è celato sotto il senhal di N’Agradiva (v. 41); ma purtroppo
questo senhal non ci serve per identificare altre liriche d’amore scritte per Guida,
poiché si trova bensì nella tornada del sirventese morale Qui be·is membra (n. XXII di
questa ed., v. 36) e nella chiusa dell’Ensenhamen d’onor (n. XLIII di questa edizione, v.
1300 e 1326) — così che queste poesie dovranno ritenersi indirizzate a Guida — ma
non compare in nessun’altra canzone d’amore. Tuttavia parecchie altre liriche
d’amore saranno state verisimilmente composte per Guida: e tra esse andranno
collocate con qualche probabilità le canzoni Gran esfortz fai, Per re no·m puesc, Qan plus
creis, Si co·l malaus, Tos temps serai (nn. VII, VIII,
Si veda quanto è detto più oltre a proposito della canzone Er encontra·l temps de mai (n. VI di questa
edizione), ove par nominata la località di Assas non lungi da Montpellier, e a proposito della canzone Tos temps
serai (n. XII di questa edizione) in cui par nominata una dama di Mison.
233 Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 20 e segg.; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 5 e segg. Che la lirica sia stata
scritta per Guida pare indubbio al DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 30, e Pro Sordello de Godio, milite, p. 171 e segg.,
203; e per Guida la ritiene scritta «con molta verisimiglianza» anche il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 81 e 535.
Per Guida sta anche lo JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 183. Sulla questione cfr. anche
GUARNERIO, A proposito di Sordello, p. 110, e rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 306.
232
LXII
IX, X, XII di questa ed.), nelle quali, come osservò il De Lollis 234 si nota, con
leggere variazioni formali, la ripetizione — che non sembra fortuita, ma voluta,
quasi a sottolineare un costante motivo ideale e a segnare un intimo legame, una
stretta affinità —, di una frase in cui si esprime «il sentimento di rispetto che
nell’animo del poeta sopraffà quello dell’amore»235. E accanto ad esse con qualche
probabilità va posto anche il «partimens» Bertrans, lo joy con Bertran d’Alamanon (n.
XVII di questa ed.), nel quale ricorre pure (v. 52) la frase «salvan s’onranza», e si
nomina esplicitamente, nella prima tornada, la contessa di Rodez. Se accettiamo
questi accostamenti, che, certo, sono, come è naturale, tutt’altro che
inoppugnabili236, dobbiamo ammettere che il trovatore mantovano si sia servito per
designare Guida anche del senhal di Restaur, poiché con tale senhal è indicata nella
canz. X (della nostra numerazione) la donna cantata dal poeta 237.
Vita e poesie, p. 32.
Canz. VII, v. 14 «s’onor salvan», v. 33 «salvan s’onor»; canz. VIII, v. 16 «gardan son bon pretz»; canz. IX,
v. 28 «salvan vostr’ onramen»; canz. X, v. 38 «salvan s’onor»; canz. XII, v. 50 «salvan s’onor».
Anche lo JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 183, n. 4 ritiene indirizzato a Guida questo partimens.
236 Si deve infatti riconoscere che queste frasi compaiono anche in altri trovatori, come ha riconosciuto per
primo lo stesso DE LOLLIS, ibid., p. 32, n. 1, e hanno sottolineato poi, tra gli altri, il TORRACA, Sul «Sordello» di
C. De Lollis, p. 21; il WECHSSLER, Das Kulturproblem des Minnesangs, Halle, 1909, p. 168; lo JEANROY e il
SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint Circ, p. 189; il PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, p. 28. Occorre
però notare che tali frasi non ricorrono mai presso altri trovatori con tanta insistenza (un’insistenza che fa
pensare a un deliberato proposito di fare di esse un modulo stilistico, una formula di particolare significato)
ma sono usate sporadicamente, occasionalmente. — Inoltre, tra gli esempi citati, bisogna distinguere quelli
anteriori a Sordello — come quello di Rambaldo di Vaqueiras o, forse, quello di Uc de Saint Circ — da quelli
che si ritrovano presso trovatori che potrebbero aver imitato Sordello, come Bertran d’Alamanon e Granet.
Sui dubbi che suscitano vari riferimenti di queste liriche a Guida cfr. anche JEANROY, ibid. — Che la contessa
nominata nel partimen con Bertran d’Alamanon sia Guida è ammesso, oltre che dal DE LOLLIS, anche dal
SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 121 e seg. (che ritiene il componimento anteriore al
1235, ossia anteriore al matrimonio di Guida), dal FABRE, Guida de Rodez, baronne de Posquières, p. 336 e segg.
(che indica come data probabile il periodo 1250-53) e dal PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, p. 7 e seg. (che
segue il Fabre nella data). Cfr. pure SELBACH, Das Streitgedicht in der altprov. Lyrik, Marburg, 1886, p. 48 e R.
ZENKER, Die provenzalische Tenzone, Leipzig, 1888, p. 51. — Sulle questioni riguardanti Guida cfr. anche F.
BERGERT, Die von den Trobadors genannten oder gefeierten Damen, Halle a. S., 1913, p. 52 e seg.
237 Sull’uso di due diversi senhals per indicare la medesima dama cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 33 e seg. e UGOLINI,
La poesia provenzale e l’Italia, p. XV.— Nega che sotto il senhal di Restaur si celebri Guida lo JEANROY, ibid..
234
235
LXIII
Più discutibile è il riferimento a Guida della canzone Atretan dei (n. III di
questa edizione), nella cui tornada è nominata chiaramente la contessa di Rodez (vv.
43-44) — onde il De Lollis inclinava a ritenerla scritta per Guida 238 — perché la
seconda parte del v. 44 sembra una allusione a un’altra donna, che sarebbe quella
veramente amata dal trovatore, mentre la contessa sarebbe unicamente la dama alla
quale il trovatore rivolge un omaggio nella tornada: interpretazione che potrebbe
trovare conferma nel v. 46, dove il lei potrebbe riferirsi a una donna diversa dalla
contessa del v. 45. Secondo lo Schultz-Gora però239 la contessa di Rodez nominata
nella tornada potrebbe essere Isabella, moglie di Ugo IV di Rodez, mentre la donna
cantata per la maggior parte della lirica e amata dal poeta potrebbe essere Guida:
ipotesi acuta e certo sostenibile, essendo accertato che Sordello amò e cantò Guida.
Non occorre dire naturalmente, che per il Torraca anche questa canzone venne
scritta per Beatrice di Provenza240.
Che Sordello amasse e cantasse Guida di Rodez è provato anche dal
sirventese Pos al comte di Granet241, nel quale questo trovatore, che afferma di
intervenire nella questione per invito del «comte» (il quale, secondo alcuni è, come è
preferibile, Raimondo Berengario, secondo altri, invece, Carlo d’Angiò) 242,
riallacciandosi
Vita e poesie, p. 32; e cfr. Pro Sordello de Godio, milite, p. 182 e segg., e 204.
Nella rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, p. 240 e XXII, p. 303 e seg.
240 Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 20; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 8 e segg.
241 È il n. II dell’ed. di PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, p. 19 e seg. Da questa ed. tolgo i versi che cito.
242 La diversa identificazione del «comte» è naturalmente in rapporto con la data che si assegna al
componimento, e che costituisce un problema sul quale molto si è discusso: il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 32 e
seg.; Pro Sordello de Godio, milite, p. 185, pensava al 1241; il FABRE, Guida de Rodez, baronne de Posquières, p. 336 e
segg. preferiva scendere fino al 1250-53, e con lui si è schierato il PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, p. 7 e
seg.; mentre il SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 121 e seg., era propenso a risalire fin
verso il 1235. La questione va strettamente collegata con la discussione sulla data del «partimen» Bertrans, lo joy
tra Sordello e Bertran d’Alamanon, ma non si deve, a mio giudizio, collegarla anche altrettanto strettamente,
come faceva il DE LOLLIS (Vita e poesie, ibid., Pro Sordello de Godio, milite, p. 172 e segg.), con quella riguardante
la tenzone Pos anc no·us valc amors tra Granet e Bertran d’Alamanon (n. IV dell’ed. PARDUCCI di Granet, p. 23 e
segg.; n. XVII della ed. SALVERDA DE GRAVE di Bertran d’Alamanon, p. 117 e segg.), che è da ritenersi
componimento completamente indipendente da Pos al comte, per quanto, naturalmente, essendo posteriore,
non sia senza riferimenti a tale lirica. Il DE LOLLIS credeva (Vita e poesie, ibid.; Pro Sordello de Godio, milite, p. 173
e segg.) che con Pos al comte Granet provocasse a tenzone Sordello e Bertran, e riteneva che la tenzone Pos anc
fosse nata dalla accettazione della sfida da parte di Bertran, che aderì all’invito (mentre Sordello l’avrebbe
lasciato cadere, non degnandosi di rispondere); ma non avvertì che in realtà Pos al comte è solo un commento
al «partimen» Bertrans, lo joy, commento che sta del tutto a sé, e non fa affatto da introduzione a Pos anc, ed
errò nel vedere nel v. 8 di Pos anc (Per qu’ie·us cosselh que de l’arma·us sovenha) un richiamo alla scelta delle armi
fatta da Bertran nella tenzone con Sordello (Bertrans, lo joy), poiché tale verso non significa affatto, com’egli
238
239
LXIV
alla tenzon partia di Sordello e di Bertran d’Alamanon, biasima sia l’uno che l’altro dei
contendenti, affermando che ciascuno dei due ha scelto follamen, perché Sordello,
che ha scelto l’amore, in amore non è valso mai nulla, e Bertrando, che ha scelto le
armi, è un uomo pieno di indolenza, che in battaglia è tutt’altro che un valoroso, e
soggiunge (vv. 17-20):
crede (Pro Sordello de Godio, milite, p. 174) «per il che vi consiglio che vi sovvenga delle armi», bensì «per la qual
cosa vi consiglio che vi sovvenga dell’anima» (si tratta cioè di una esortazione a combattere contro gli infedeli,
in rapporto alla menzione dell’Antecrist del v. 5). Su questo punto hanno senza dubbio ragione il TORRACA
(Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 20 e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 2 e segg.) e il SALVERDA DE GRAVE (Le
troubadour Bertran d’Alamanon, p. 121 e segg.), anche se, naturalmente, si può ammettere in Pos anc qualche
richiamo a Pos al comte, e, di riflesso, a Bertrans, lo joy (cfr. ed. PARDUCCI, p. 33). Certo la questione della data di
Pos anc, posteriore, può influire su quella della data di Pos al comte. Non è il caso però di discutere qui la
complessa questione della data di Pos anc: rimando in proposito alla bibliografia data dall’ed. PARDUCCI, p. 32
e seg., a cui va aggiunto SCHULTZ-GORA (rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 304). Quanto alla data di Pos al comte, a
me sembra non vi siano ragioni che obbligano assolutamente a credere che il conte sia Carlo, come vorrebbe
il PARDUCCI (p. 8), seguendo il FABRE. Osserva il PARDUCCI che Granet ci appare solo in rapporto con Carlo
d’Angiò e non con Raimondo Berengario: ma se il rapporto con Carlo è attestato dalla lirica Comte Karle (n. III
dell’ed. PARDUCCI) non per questo è da escludere del tutto che Granet avesse rapporti anche con Raimondo
Berengario. Erra poi il PARDUCCI quando sostiene che, se si fosse trattato di Raimondo Berengario, Granet
l’avrebbe chiamato piuttosto duca che conte, essendo egli «duca di Narbona»: Raimondo Berengario non fu
mai duca di Narbona, titolo che era ereditario nella famiglia dei conti di Tolosa, e fu portato, come è noto, da
Raimondo VII di Tolosa fino alla pace di Parigi del 1229, nella quale fu costretto a deporlo, e poi di nuovo a
partire dal 1242, anno in cui egli riprese il titolo (DEVIC, VAISSETTE, Histoire générale de Languedoc, VI, p. 744;
VIII, docum. CCXLVII, col. 1092 e segg.). D’altra parte — pur riconoscendo il valore di questo argomento
— non mi sembra assolutamente necessario vedere nel v. 55 di Bertrans, lo joy, ove si parla di Jean de Valery
«qu’ab pretz d’armas s’enansa» un riferimento alla crociata in cui il Valery, come racconta Joinville, tanto si
distinse: questa potrebbe essere anche un’allusione a imprese precedenti dell’illustre barone francese.
LXV
Per la comtessa de Rodes valen
an ras lor cap cavalier mais de cen;
e s’en Sordel se vol gardar de failla,
son cap raira, o ia Deus non li vailla.
La contessa di Rodez di cui qui si parla è infatti molto probabilmente Guida,
come è Guida quella contessa di Rodez che Sordello nomina nella tornada del
partimen con Bertran d’Alamanon a cui la lirica di Granet fa riferimento.
Potrebbero invece indurci a pensare a un amore di Sordello per un’altra
donna le canzoni Bel m’es ab motz e Er encontra·l temps de mai (nn. IV e VI di questa
edizione), nelle quali Sordello designa la donna col senhal di dolza enemia243. Nella
prima di queste il De Lollis 244, che era propenso a legare a Guida tutte o quasi tutte
le liriche d’amore scritte da Sordello in questi anni, ritrovava, al v. 29 (quar fis amicx
no sier ges d’aitai guia) una allusione a Guida di Rodez: ma qui, come è stato osservato
giustamente dallo Schultz-Gora245 e dal Torraca246, la parola guia (che in questo
passo significa semplicemente «maniera») è citata isolatamente, di sfuggita, senza
alcuna particolare insistenza, e senza il complicato gioco di parole che la sottolinea
nella canzone Aitant ses plus, e per di più è manifestamente richiamata alla mente del
poeta da esigenze di rima; sì che il riferimento a Guida di Rodez appare tutt’altro
che provato. Esso non è stato escluso del tutto dal Bertoni 247, il quale, riprendendo
in esame la questione, ha osservato che il v. 14 della canzone Er encontra·l temps de
mai, ove par di vedere nominata la città di Assas, posta nel dipartimento dell’Hérault
non lungi da Montpellier, potrebbe farci pensare appunto a Guida, che risiedette per
vari anni col marito (come abbiamo accennato) a Posquières (oggi Vauvert), luogo
anch’esso non lontano da Montpellier. Ma anche il Bertoni mette innanzi tale ipotesi
con molti dubbi e perplessità248:
IV, v. 33; VI, v. 41.
Vita e poesie, p. 32; Pro Sordello de Godio, milite, p. 171 e segg. e 203.
245 Rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, p. 240, e XXII, p. 303 e seg.
246 Sul «Sordello» di C. de Lollis, p. 20; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 5 e segg.
247 Nuove rime di Sordello di Goito, p. 287, 293; I trovatori d’Italia, p. 79, n.
248 Non solo il BERTONI propone con ogni riserva il riferimento a Guida possibile con la lezione Assas, ma
accenna anche alla possibilità che si debba leggere invece a Sas, castello non chiaramente localizzabile; lezione
243
244
LXVI
onde convien concludere che è assai difficile non dico accertare, ma supporre con
una qualche buona probabilità chi sia la donna che si nasconde sotto questo
senhal249.
Un’altra allusione oscura a una donna amata diversa da Guida si trova nella
canzone Si co·l malaus (n. X di questa edizione), dove ai vv. 34-35 si parla di una
dompn’ ab cor camjan da cui l’amore per la donna cantata nella lirica e designata col
senhal di Restaur (la quale è verisimilmente Guida) ha allontanato il poeta. Su questa
donna non possiamo dir nulla; ma anche questo è un elemento che ci conferma che
nella vita di Sordello oltre le Alpi entrarono varie donne; come pare dal resto di
dover ricavare — anche senza dar troppo peso a questa allusione scherzosa, che
potrebbe essere sem-
che farebbe sfumare la possibilità di vedere nella lirica una allusione a località non lontane da Montpellier.
Alla lezione a Satz inclinava anche lo SCHULTZ-GORA (cfr. BERTONI, Nuove rime di Sordello, p. 293). È da
avvertire che il BERTONI inclinava a credere che questa canzone fosse stata composta da Sordello al ritorno
dal suo viaggio in Portogallo. — Per la canzone Bel m’es si deve anche tener presente, come hanno avvertito lo
SCHULTZ-GORA (Die Lebensverhälltnisse, p. 207 e seg.) e il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 24 e seg.),
la cobla Per cinc en podetz demandar di Blacasset (P. C. 97, 9; ed. O. KLEIN, Der Troubadour Blacasset, Jahres-Bericht
der Städtische Realschule zu Wiesbaden, Wiesbaden, 1887, p. 15), nella quale questo trovatore si diverte a
scherzare ironicamente sul «furto del cuore» di cui Sordello diceva (nella seconda strofa di Bel m’es) di essere
stato vittima da parte degli huelh lairo della donna da lui cantata. Di questa cobla è interessante particolarmente
il v. 8, in cui Blacasset invita Sordello ad appellarsi al comte per chieder giustizia del furto subito: il che, mentre
escluderebbe che la canzone Bel m’es possa riferirsi a Guida sposata, moglie del barone (e non conte) Pons de
Montlaur, potrebbe anche portare ad escludere un riferimento a Guida prima del matrimonio, poiché, come
ha osservato il TORRACA, ibid., «lo scherzo poteva esser permesso... da un marito» ma un fratello non
«l’avrebbe lasciato passare senza risentirsene»: così che si potrebbe pensare che la donna cantata in Bel m’es sia
Beatrice di Provenza, moglie di Raimondo Berengario IV. Però (a parte la questione della validità
dell’osservazione del Torraca ultimamente citata) tutto il ragionamento cade se si considera che non è
strettamente necessario che la dama contro cui Sordello avrebbe potuto appellarsi fosse presente alla corte del
comte, e che Sordello avrebbe anche potuto appellarsi al comte — che potrebbe anche essere Raimondo
Berengario — per l’offesa di una donna lontana. — Nessuna indicazione utile per l’identificazione della
donna cantata come «dolz’enemia» viene dalla vida più ampia, dove è detto soltanto: «Et amet una gentil
dompna e·bella de Proenssa; et apellava la en los sieus chantars, que el fazia per lieis, ‘Doussa enemia’; per la
cal dompna el fetz maintas bonas chanssos»; notizia probabilmente ricavata esclusivamente dalla lettura delle
canzoni sordelliane in cui ricorre tale senhal. Sulla questione cfr. anche F. BERGERT, Die von den Trobadors
genannten oder gefeierten Damen, Halle, 1913, p. 53.
249 Tale è anche l’opinione dell’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXIII.
LXVII
plicemente una estrosa battuta satirica, nata in gran parte dal ricordo
dell’avventurosa giovinezza del trovatore in Italia — dal v. 44 della tenzone già
ricordata tra Granet e Bertran d’Alamanon (Pos anc no·us valc) nella quale Bertran
afferma che Sordello ha cambiato più di cento dame250.
Non sembra invece il nome di una donna amata quella na Rambauda che
Sordello designa come giudice nella prima tornada del partimen Doas domnas con
Bertran d’Alamanon (n. XVIII di questa edizione), e che è probabilmente da
identificarsi con quella Rambauda del Baus che compare nella imitazione del planh di
Sordello per la morte di Blacas scritta da Bertran d’Alamanon: questa na Rambauda
appare una dama a cui Sordello indirizza la lirica per renderle omaggio 251. E la stessa
osservazione si deve fare a proposito di quella dama di Mison (castello non lontano
da Sisteron, nel dipartimento delle Basses Alpes), che secondo alcuni 252 sarebbe
nominata nella tornada della canzone Tos temps serai253 — canzone che parrebbe una
delle liriche ispirate all’amore per Guida —: infatti il v. 50 (Salvan s’onor de lieys cuy mi
suy datz) sembrerebbe, se si accetta la lezione Mison, porre una distinzione tra la dona
de Mison e colei a cui il poeta ha consacrato il suo cuore 254.
Accanto alle liriche d’amore tengono un posto cospicuo tra le liriche di questi
anni i componimenti di ispirazione politica. Il più antico di questi pare il sirventese
Non pueis mudar (n. XIX di questa edizione) definito dal De Lollis «il più oscuro dei
sirventesi politici di Sordello», che il De Lollis 255 ritiene composto intorno al 1235,
ricollegando gli accenni, che si trovano nel sirventese, al forte malcontento dei
baroni provenzali (fra i quali particolarmente scontento nell’ultima strofa appare
Blacatz) contro il duro fiscalismo di RaimonCfr. SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 119; PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, p.
24 (e cfr. p. 34). Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 34.
251 La data del componimento è assai discussa: il S ALVERDA DE GRAVE (Le troubadour Bertran d’Alamanon, p.
84 e segg.) lo pone «avant 1235»; il F ABRE (Guida de Rodez, baronne de Poquières, p. 338) lo ritiene non anteriore
al 1250. Sulla questione cfr.. le note che accompagnano il testo. Cfr. anche S CHULTZ-GORA, Die
Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 209; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 21.
252 SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS; TORRACA, ibid.
253 N. XII di questa edizione, vv. 46-47.
254 Sarebbe quindi un caso analogo a quello della tornada della canzone Atretan deu, se si accetta la tesi dello
SCHULTZ-GORA (cfr. n. 239), secondo la quale la contessa di Rodez ivi nominata sarebbe Isabeau, moglie di
Ugo IV di Rodez.
255 Vita e poesie, p. 34.
250
LXVIII
do Berengario e la notizia a noi giunta di una convenzione conclusa tra Raimondo
Berengario e i baroni (tra i quali appunto figura in primo piano Blacatz) il 7 ottobre
1235256; ma che sembra invece anteriore al maggio 1233, perché par riferirsi —
come hanno mostrato il Torraca 257 e il Salverda de Grave258 — agli stessi
avvenimenti a cui si ispira il sirventese Qi qe s’esmai di Bertran d’Alamanon, da
assegnarsi appunto secondo il Salverda de Grave al 1233, e l’accenno a Ugo de Baus
della strofe IV sembra, in particolare, da porsi in relazione con la prigionia di Ugo
de Baus e di suo figlio Gilbert, caduti nelle mani di Raimondo Berengario nel 1231 e
liberati soltanto nel maggio 1233259.
Posteriore a questo è certamente il sirventese Puois no·m tenc (n. XX di questa
edizione), detto comunemente dei «tre diseredati», il quale è rivolto contro Giacomo
I re di Aragona, Raimondo VII conte di Tolosa e Raimondo Berengario IV conte di
Provenza, chiamati appunto al v. 6 «tres deseretatç». Intorno a questo sirventese si è
molto discusso, e sono state proposte le date più diverse, anche lasciando da parte
l’Éméric-David260, che pensava al 1229: lo Schultz-Gora lo riteneva in un primo
tempo del 1231 o al più tardi del 1232 261 — trovando consenso nel Salverda de
Grave, che adottava anch’egli questa data 262 — e più tardi del 1237-38263; il Torraca
lo assegnava al 1233264; il De Lollis lo poneva dopo il 1238 265. Io credo che non si
possa dubitare che il sirventese —
C. DE NOSTREDAME, Histoire et chronique de Provence, Lyon, 1614, p. 190; GIOFFREDO, Storia delle Alpi
Marittime, in Monumenta historiae patriae, Scriptores, II, Torino, 1839, col. 537; cfr. SCHULTZ-GORA, Zu den
Lebensverhältnissen einiger Trobadors, in Zeit. für roman. Phil., IX, 1885, p. 119, n. 2 e 133, n. 3.
257 Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 18 e segg.
258 Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 10 e segg.
259 Per altre considerazioni particolari cfr. le note che accompagnano il testo. Sulla prigionia di Ugo e di
Gilbert del Baus, oltre al TORRACA e al SALVERDA DE GRAVE e alla bibliografia ivi citata si veda: F OURNIER,
Le royaume d’Arles et de Vienne, p. 130 e segg.; BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 47 e segg.;
BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 130 e segg. — Dato il contenuto del
sirventese, si potrebbe, con le debite riserve, avanzare l’ipotesi che Sordello, quando lo componeva, non fosse
ancora alla corte di Raimondo Berengario.
260 Histoire littéraire de la France, XIX, Paris, 1838, p. 454.
261 Die Lebensverhältnisse der italienische Trobadors, p. 207, n. 2.
262 Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 102 e segg.
263 Rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, p. 247 e seg., XXII, p. 304.
264 Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 26 e segg.; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 13 e segg.
265 Il DE LOLLIS non ha definito la sua opinione in modo del tutto preciso, a questo proposito. Nel vol. Vita e
poesie, p. 37 n., sembrerebbe pensare all’incirca al 1239, mentre nel Pro Sordello de Godio, milite, p. 186 ritiene il
sirventese composto «qualche anno dopo il 1238».
256
LXIX
come hanno pensato il De Lollis e lo Schultz-Gora (quest’ultimo, si intende, nella
sua seconda proposta) — sia posteriore alla riconquista di Millau, occupata da
Giacomo I di Aragona, da parte di Raimondo VII di Tolosa, avvenimento che ebbe
luogo, a quanto sembra, nel 1237 266.
Non lontano da questo sirventese cronologicamente è il famoso compianto
in morte di Blacatz (n. XXVI di questa ediz.). Anche sulla data di questa poesia vi è
stata tra gli studiosi una lunga controversia, nella quale gli interventi sono stati anche
più numerosi che a proposito del componimento precedente, a causa della grande
notorietà della lirica, e tra le date proposte vi sono divergenze assai notevoli: il De
Lollis infatti267, seguito dal Merkel268 ritenne che la poesia si dovesse collocare
intorno al 1240, e il Fabre269 pensava addirittura al 1242, mentre il Salverda de
Grave270 credeva opportuno retrocedere fino al 1234, data che egli assegnava anche
all’imitazione di Bertran d’Alamanon271. Ma lo Strónski ha mostrato272 che Blacatz
La viscontea di Millau era stata data in pegno da Pietro II d’Aragona, padre di Giacomo I, a Raimondo VI
di Tolosa; essa venne posta sotto il controllo della Chiesa insieme ad altri feudi dell’eretico Raimondo VI, e
nel 1223 Giacomo ricusò per deferenza verso la Chiesa di accettare l’invito rivoltogli dal console e dagli
anziani della città di Millau di far valere i suoi diritti. Col trattato di Parigi (1229) il re Luigi IX la restituì a
Raimondo VII, senza tener conto dei diritti di Giacomo I, il quale non si rassegnò alla perdita, e
probabilmente nel 1237 (C. DE TOURTOULON, Don Jaime I el conquistador, traduz. spagnola, II, Valencia, 1874,
p. 8; M. A. F. DE GAUJAL, Études historiques sur le Rouergue, II, Paris, 1858, p. 105; cfr. DEVIC, VAISSETTE ,
Histoire générale de Languedoc, VI, p. 705, n. 5) ricorse alle armi e occupò la città; ma venne ben presto (sec. il
GAUJAL, ibid., nel 1237) assalito da Raimondo VII, e dovette ritirarsi. — Credo che non si debba ritentere il
sirventese molto lontano dall’avvenimento, e che quindi sia più nel vero lo SCHULTZ-GORA che il DE LOLLIS:
cfr. SCHULTZ-GORA, ibid. Si vedano per altri particolari le note che accompagnano il testo.
267 Vita e poesie, p. 37 e segg.; Pro Sordello de Godio, milite, p. 185 e segg., 204 e seg.
268 Rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 215.
269 Guida de Rodez, p. 172 e 179 e segg.
270 Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 97 e segg.
271 Ibid., p. 109.
272 Notes sur quelques troubadours et protecteurs de troubadours célébrés par Elias de Barjols, III, Blacatz, in Revue des
langues romanes, L, 1907, p. 39 e segg.; Sur la date de mort de Blacatz, in Annales du Midi, XXIV, 1912, p. 569. Non
credo che siano accettabili le riserve formulate in proposito dal F ABRE, Guida de Rodez, baronne de Poquières, p.
172 e 179 e segg., il quale vorrebbe riferire il documento del 1238 citato dallo STROŃSKI a Blacasset. Cfr.
BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 81 e 258. Cfr. però anche JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 175.
266
LXX
era già morto nel febbraio 1238, e che la sua morte doveva risalire con molta
probabilità all’anno precedente273; e altre considerazioni sembrerebbero indurre a
ritenere il componimento anteriore alla morte di Giovanni di Brienne, avvenuta il 23
marzo 1237274. D’altra parte, se è indiscutibile che il compianto è posteriore al
maggio 1234, in cui Thibaut IV conte di Champagne venne incoronato re di
Navarra275, e molto probabilmente posteriore al 7 ottobre 1235, giorno in cui
Blacatz risulterebbe ancora vivo 276, forse vi è qualche ragione per ritenerlo
posteriore anche al momento in cui (1236) Luigi IX assunse personalmente la
direzione degli affari del regno277: sì che, in complesso, anche per altre
considerazioni che verranno esposte nelle note che accompagnano l’edizione del
testo, io inclinerei a credere la lirica composta verso il 1237, o addirittura nel 1237,
data già proposta dal Diez278 e da altri279. Questo compianto, come vedre-
Anche DE NOSTREDAME (Histoire et chronique de Provence, p. 193) assegnava la morte di Blacatz al 1237: ma
di tale testimonianza, in mancanza di altre prove, era lecito dubitare.
274 Nel v. 39 dell’imitazione che del nostro planh fece Peire Bremon Ricas Novas è ricordato infatti come
ancora vivente un «reys d’Acre», che sembra doversi identificare con Giovanni di Brienne, designato
comunemente con questo titolo (SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 101; BOUTIÈRE,
Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 124 e segg.). Il planh del Ricas Novas è dunque stato scritto
prima della morte di Giovanni; e a maggior ragione è anteriore a tale data quello di Sordello. Cfr. D E
BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 134 e seg.; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXV.
275 ed. BOUTIÈRE, p. 121; SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 109.
276 Il 7 ottobre 1235 infatti pare che Blacatz firmasse, con altri baroni, una convenzione con Raimondo
Berengario (cfr. n. 256): cfr. O. SOLTAU, Blacatz, ein Dichter und Dichterfreund der Provence, Berlin, 1898, p. 29 e
53; DE LOLLIS, Vita e posie, p. 34 e 40. Dubitano però del documento il SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour
Bertran d’Alamanon, p. 98 e seg., e il BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 120 e seg.
277 Infatti il rimprovero rivolto da Sordello al re Luigi IX nei vv. 15-16 del planh sembrerebbe più giustificato
dopo che egli cominciò a regnare personalmente e non fu più obbligato a sottostare alla tutela della madre:
cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 262; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 529; ed. BOUTIÈRE, p. 122; DE BARTHOLOMAEIS ,
Poesie provenzali storiche, II, p. 135. Dissente il SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 108 e
seg.
278 Leben und Werke der Troubadours, p. 476.
279 Come lo SPRINGER, Das altprovenzalische Klagelied mit Berücksichtigung der verwandten Litteraturen, Berlin, 1895,
p. 70; lo SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 209, rec. al vol. del DE LOLLIS,
XXI, p. 241, e Ueber den Liederstreit zwischen Sordel und Peire Bremon, p. 135; e il SOLTAU, Blacatz, p. 59. Più
recentemente la data del 1237 è stata accettata dal C HAYTOR, The Troubadours, p. 103; dal BERTONI, I trovatori
d’Italia, p. 81 e 529, e voce dell’Enciclopedia italiana (però in Il Duecento, p. 29 il planhs è assegnato al 1240); dallo
JEANROY, La poésies lyrique des troubadours, II, p. 334 (cfr. però I, p. 175); dal BOUTIÈRE, ed. cit., p. 119 e segg.
Si avvicinò a tale data anche il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 28 e segg., Sul «Pro Sordello» di C. De
Lollis, p. 25 e seg.), che lo riteneva non posteriore al 1238. Il DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II,
p. 134 e segg. lo assegna al 1236 o ai primi mesi del 1237 (prima del 23 marzo), e l’U GOLINI, La poesia
provenzale e l’Italia, p. XXXV lo dice «anteriore al marzo 1237». Il CAVALIERE, Cento liriche provenzali, p. 569, lo
ritiene composto «verso il 1237».
273
LXXI
mo, ebbe subito vastissima risonanza, e fu certo una delle liriche che più
contribuirono a dare fama a Sordello, come prova anche il fatto che subito venne
imitata da due dei più noti trovatori provenzali del tempo, Bertran d’Alamanon e
Peire Bremon Ricas Novas.
A dare rilievo alla personalità di Sordello in questo periodo concorrono le sue
relazioni con i più noti trovatori del tempo. Particolarmente notevoli appaiono, dai
componimenti che ci sono stati conservati, le relazioni con Peire Bremon Ricas
Novas e Bertran d’Alamanon. Con Peire Bremon Ricas Novas il trovatore di Goito
fu dapprima, come abbiamo accennato, in rapporti assai amichevoli, come risulta
dalla tornada, della canzone Si·m ten Amors280, in cui il Ricas Novas si rivolge a
Sordello in modo assai cordiale, e forse anche dai primi versi della canzone Tut van
canson demandan281, nei quali si è voluto scorgere una allusione a Sordello 282. Ancora
nel 1237 le relazioni tra i due poeti dovevano essere buone, poiché in quell’anno,
con molta probabilità, come abbiamo accennato, il Ricas
P. C. 330, 16; ed. BOUTIÈRE, n. X, p. 37 e segg.; cfr. XV, e 100 e segg.
P. C. 330, 19; ed. BOUTIÈRE, n. XI, p. 42 e segg.
282 Tale è l’opinione del B OUTIÈRE, ibid., p. XV e 102 e segg. Su questa lirica si è assai discusso, perché è
conservata, anonima, unicamente dal ms. T, c. 223, dopo la canzone di Sordello Per re no·m puesc (n. VIII di
questa edizione), data però senza indicazione d’autore, e prima della canzone So don me cudava bordir) (P. C.
330, 17: ed. BOUTIÈRE, n. III, p. 7 e segg.) del Ricas Novas, recante nella rubrica il nome dell’autore; e
l’APPEL era stato indotto (Provenzalische inedita aus Pariser Handschriften, Leipzig, 1892, p. 224) — considerando
anche che la prima strofe contiene un elogio dei Lombardi e che nel v. 14 è detto «Lonbart sai eser» — ad
attribuire la lirica a Sordello. L’ipotesi però è stata lasciata cadere dal DE LOLLIS, che non ha accolto questa
lirica nella sua edizione (cosa di cui lo rimprovera, a torto, il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 12, e Sul
«Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 464, pur non prendendo posizione in merito al componimento), ed è stata
recisamente confutata dal BOUTIÈRE, ibid., i cui argomenti mi sembrano persuasivi.
280
281
LXXII
Novas compose, ad imitazione di Sordello, il suo planh per la morte di Blacatz, in cui
come ha mostrato giustamente il Boutière 283, non vi è nessuna punta polemica verso
Sordello (che non sarebbe mancata, naturalmente, in caso di rottura) ma è imitato
fedelmente — con le inevitabili variazioni — il componimento del trovatore
italiano. Più tardi, come abbiamo visto284, i rapporti si guastarono e la tensione
giunse fino al noto violentissimo scambio di sirventesi, a cui abbiamo già accennato,
dopo i quali nulla più ci risulta circa i rapporti tra i due poeti285.
Improntati a cordialità, per quanto si conosce, furono invece i rapporti con
Bertran d’Alamanon, che fu anch’egli a lungo alla corte di Provenza. Con Bertran
Sordello discusse due questioni d’amore nei due partimens Bertrans, lo joy e Doas
domnas (nn. XVII e XVIII di questa edizione): nel primo Bertran chiama
ripetutamente286 Sordello «amic», e nel secondo i due trovatori si danno
reciprocamente tale titolo 287. Né credo debbano intendersi come una dimostrazione
di disaccordo i versi iniziali dell’imitazione che Bertran fece del planh di Sordello in
morte di Blacatz288, che sono semplicemente, a mio avviso, un pretesto per
introdurre la nuova
Ed. BOUTIÈRE, p. XV; e cfr. p. 119 e segg.
Cfr. il sirventese Be·m meraveil, ed. BOUTIÈRE, n. XV, p. 57 e segg.
285 Il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 48, fondandosi sulla canzone Mei oill an gran manentia (P. C. 330, 10 - 331, 2)
ove si accenna a una donna che è «en Suria», pensa che il Ricas Novas abbia partecipato alia crociata del 1248;
e la sua opinione è stata accettata dal SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 102; ma il
BERTONI (Peire Bremon lo Tort, in Annales du Midi, XXV, 1913, p. 476 e segg.) e il BOUTIÈRE (Peire Bremon lo
Tort, in Romania, LIV, 1928, p. 429 e segg.; Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. XVIII e seg.)
hanno dimostrato che la lirica in questione appartiene a Peire Bremon lo Tort, e che quindi l’ipotesi del DE
LOLLIS e del SALVERDA DE GRAVE manca di un fondamento sicuro. Comunque, non si sa nulla dei rapporti
con Sordello in questi anni: certo se il Ricas Novas tornò alla corte di Provenza vi dovette essere tra i due un
ravvicinamento.
286 Vv. 11, 41, 53.
287 Vv. 2 e 48.
288 Vv. 1-8 (ed. SALVERDA DE GRAVE, n. XV, p. 95):
Mout m’es greu d’en Sordel, car l’es faillitz sos sens,
qu’eu cuidava qu’el fos savis e conoissenz;
era sui en mon cug faillitz, don sui dolenz;
car tan onrat condug don’ a tan avols genz
con lo cor d’ en Blacatz, qu’ era sobrevalenz.
Aora lo vol perdre, en que faill malamenz,
c’ aissi cum pert aquest, en perdria cinc cenz;
mas ia no·i er perduz entre·ls flacs recrezenz.
283
284
LXXIII
spartizione, che Bertran propone, del cuore del prode barone defunto. Nella
canzone Nuls hom non deu, che sembra posteriore, Bertran si rivolge ancora a
Sordello, nella tornada, con parole piene di affettuosa cordialità 289. E ai rapporti
cordiali fin qui constatati non contraddice certo l’allusione scherzosa dei vv. 44-45
della tenzone con Granet Pos anc no·us valc, ove si accenna alla volubilità di Sordello
in fatto d’amore290.
Meno riccamente testimoniate sono le relazioni con Peire Guilhem de
Tolosa, con Granet, con Guilhem Montanhagol, con Reforzat e con Montan. Con
Peire Guilhem de Tolosa Sordello scambiò, come abbiamo ricordato, la tenzone En
Sordell, qe vos es semblan (n. XIV di questa edizione)291; e a lui rivolse anche una lirica,
giuntaci verisimilmente frammentaria (n. XXXIX di questa edizione), nella quale lo
rimprovera di aver ecceduto nel lodare. In quest’ultimo componimento è ricordata
anche una «madompna de Fois», che è verisimilmente Ermengarda di Narbonne,
che andò sposa il 25 gennaio 1232 a Roger-Bernard II conte di Foix292, ed è
ricordata come ancor viva nel 1241 293.
A Granet non è rivolto alcuno dei componimenti di Sordello che ci sono
rimasti. Però Granet si rivolge a lui con molta deferenza, nel sirventese Pos al comte,
chiamandolo «seigner» (v. 2), benché ne biasimi la scelta fatta nel partimen Bertrans, lo
joy, accusandolo di non valer nulla in amore, e deridendolo per la sua concezione
tutta ideale dell’amore294.
Vv. 19-23 (ed. SALVERDA DE GRAVE, n. XX, p. 136):
Estat avem compagnon lonzamen,
amic Sordel, de ioi e d’ alegranza,
mas ar m’a Deu mis en tan gran eransa...
Secondo il Salverda de Grave la lirica è posteriore al 1240 (l’É MÉRIC-DAVID, Histoire littéraire, XIX, p. 467,
credeva invece che si riferisse all’epoca della crociata del 1238; mentre il P APON, Histoire générale de Provence,
Paris, 1777, III, p. 443, la riteneva scritta nel momento di partire per Napoli, al tempo della spedizione di
Carlo d’Angiò in Italia).
290 Ed. SALVERDA DE GRAVE, n. XVII, p. 119:
pos en Sordel n’a ben camiadas cen,
ben puesc camiar una, si no m’es bona
Cfr. l’ed. PARDUCCI, Granet, trovatore provenzale, p. 24. Per la data di questa tenzone cfr. la n. 242.
291 La tenzone è stata attribuita anche a Peire Guilhem de Luserna (cfr. P. C. 344, 3 a; 345, 1); ma credo
preferibile l’attribuzione a Peire Guilhem de Tolosa, proposta, oltre che dal B ARTSCH, Grundriss zur Geschichte
der provenzalischen Literatur, Elberfeld, 1872, 345, 1, dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 30, e dallo SCHULTZ-GORA,
Die Lebensverhälnisse der italienischen Trobadors, p. 208.
292 DEVIC, VAISSETTE, Histoire générale de Languedoc, VI, p. 672.
293 Nel testamento del padre Aimeric (ibid., p. 731).
294 Ed. PARDUCCI, p. 20 e seg. Per la data cfr. la n. 242.
289
LXXIV
Con Guilhem Montanhagol Sordello scambiò tra il 1241 e il 1245, come
abbiamo accennato, il partimen Senh’ en Sordel (n. XVI di questa edizione) su una
questione d’amore295, dove il Montanhagol, come appare dal primo verso, mostra di
avere per il nostro trovatore una grande stima, poiché ne fa precedere il nome non
solo dalla «particella onorevole», ma anche da «senh’». Pure amichevoli, a quanto ci è
attestato, le relazioni con Montan, delle quali però non abbiamo altra traccia che lo
scambio di cobbole di argomento morale, che costituiscono il componimento XXX
di questa edizione296.
A Sordello si dimostra invece ostile Reforzat, visconte di Marsiglia, signore di
Trets e di Forcalquier, barone appartenente alla stessa famiglia a cui apparteneva
Barral de Baus, che nel suo sirventese Dui cavalier joglar, composto verisimilmente
dopo il famoso «duel poétique» tra Sordello e Peire Bremon Ricas Novas
(assegnabile, probabilmente, come si è visto, al 1240-41), attacca con pungente
ironia tanto il Ricas Novas che Sordello, rimproverando a quest’ultimo la sua scarsa
lealtà297 e di essere andato «al Saint» tanto male in arnese che il Santo ne ebbe
spavento298.
Ormai Sordello godeva di larghissima rinomanza. E anche la sua posizione
sociale era ben superiore a quella che aveva avuto in Italia, ove pure si era innalzato
alla dignità di «uomo di corte» di Rizzardo di San Bonifacio e dei Da Romano. In
Provenza egli acquistò non solo notevoli ricchezze 299, ma anche la dignità caval-
Cfr. p. LVIII.
Su Montan cfr. P. C. n. 306. Il nostro testo è la 3ª lirica ivi citata.
297 Sono i noti versi, già citati, in cui si è voluto vedere un’allusione al ratto di Cunizza: cfr. p. XXXIII.
298 Anche questi versi sono stati già citati, a proposito del problema dell’andata di Sordello in Portogallo: cfr.
p. LI. Una allusione oscurissima e per di più assai dubbia a Reforzat che (stando alla lez. di D) avrebbe
sorpreso Sordello «ad Ais al macel», e forse ad altri versi di Reforzat contro Sordello, si ha nella quarta cobla
del secondo sirventese (Tant fort m’agrat) di Peire Bremon Ricas Novas contro Sordello: cfr. B ERTONIJEANROY Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 289 e 301; BOUTIÈRE, Le poésies du troubadour Peire Bremon Ricas
Novas, p. 65 e 113. Su Reforzat, oltre agli studi del BERTONI ricordati alle pag. citate, cfr. SCHULTZ-GORA, Zu
den Lebensverhältnissen einiger Trobadors, p. 127; SPRINGER, Das altprovenzalische Klagelied, p. 76; O. SOLTAU, Die
Werke des Trobadors Blacatz, in Zeitschrift. f. rom. Phil., XXIV, 1900, p. 48; BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au
XIIIe siècle, p. 276; BOUTIÈRE, Le troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. XVII.
299 Cfr. i vv. 15 e 41 del sirventese Tant fort m’agrat di Peire Bremon Ricas Novas (ed. B OUTIÈRE, XVII, p. 64 e
segg.), ove si accenna alla «longa renda» di Sordello (a meno che la frase non debba prendersi in senso
ironico), e i vv. 61-62 del sirventese Lo bels terminis m’agensa, pure del Ricas Novas (ed. BOUTIÈRE, XVI, p. 61),
ove Sordello è detto «trobador d’aver, non ges d’onor», espressione che sembra suggerita dall’invidia per la
buona accoglienza fatta a Sordello dal conte di Provenza (cfr. S CHULTZ-GORA, Ueber den Liederstreit zwischen
295
296
LXXV
leresca. Infatti da un passo del sirventese En la mar major di Peire Bremon Ricas
Novas300, invero assai oscuro e controverso, pare di dover ricavare che il trovatore
mantovano esercitò diritti feudali nella località di «Cananillas», che si ritiene vada
identificata con Chénerilles, nell’odierno dipartimento delle Basses-Alpes, a pochi
chilometri da Digne301: notizia che parrebbe confermata dalla Vida più breve, in cui
si dice che Sordello dal conte di Provenza ricevette «un bon castel e moiller
gentil»302. Che vivesse da cavaliere risulta anche dalla terza strofa del sirventese Tant
fort m’agrat di Peire Bremon Ricas Novas, nonostante l’evidente ironia 303, e
nonostante che nel sirventese successivo En la mar major si affermi che Sordello non
è mai stato cavaliere304; e del resto nella
Sordel und Peire Bremon, p. 131; BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 298; ed. BOUTIÈRE, p.
112).
300 Vv. 28-29 (ed. BOUTIÈRE, p. 70):
mas si d’entre·ls Lombartz fos el issitz plus tart,
ja mais a Cananillas non feira far issart.
301 Sulla questione cfr. SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhälnisse der italienischen Trobadors, p. 210; DE LOLLIS, Vita e
poesie, p. 25 e seg., Pro Sordello de Godio, milite, p. 168 e seg.; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 15 e seg.,
e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 546 e segg.; GUARNEIRO, A proposito di Sordello, p. 109, e rec. al DE
LOLLIS, p. 385; BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 305; BOUTIÈRE, Le troubadour Peire Bremon
Ricas Novas, p. 116. Seguo la tesi del DE LOLLIS, adottata anche dal BERTONI, dallo JEANROY e dal
BOUTIÈRE, circa la identificazione del luogo, e anche per l’interpretazione di far issart, allusione al diritto di
disboscamento (cfr. la frase exartum facere nel DUCANGE, III, p. 339 e seg., sotto exartus; e faire issartz (o eissart)
in Bertran de Born, ed. A. STIMMING, Bertran de Born, sein Leben und seine Werke, Halle, 1879, p. 163 e 217; cfr.
F. J. M. RAYNOUARD, Lexique roman, Paris, 1838-44, III, p. 245 e E. LEVY, Provenzalisches SupplementWörterbuck, Leipzig, 1894, II, p. 330.
302 È da notare che di una moglie di Sordello si parla anche nel sirventese Lo bels terminis di Peire Bremon
Ricas Novas, vv. 53 e segg. (ed. BOUTIÈRE, p. 61). Tuttavia io credo che il noto scambio di cobbole Sordel dis
mal de mi (n. XXXII di questa edizione) riguardi Carlo d’Angiò e non Raimondo Berengario (v. più oltre).
303 Vv. 17 e segg. (ed. BOUTIÈRE, p. 65):
Soven feretz d’espaza e de coutel;
pois garnitz es, ben a gauch qui·us vezes.
Dels cavaliers semblatz del bagastel
quand el cavai etz pojats ab l’arnes,
e no·us cuidetz q’ ieu en luoc vos atenda
pois q’ieu veirai c’ ab armas seretz pres...
304 Vv. 25-27 (ed. BOUTIÈRE, p. 70):
Anc en Sordels non fo, que ten hom per rainart,
cavalliers, per ma fe (so·m dis ad una part
Joanetz d’Albusson - s’el ditz ver, el s’o gart)...
L’affermazione rientra evidentemente nella serie degli aspri attacchi che il Ricas Novas muove a Sordello in
questi sirventesi; e il riferimento ironico alla testimonianza di Joanet d’Albusson mi sembra che riveli
chiaramente che in realtà Sordello conduceva vita da cavaliere.
LXXVI
cobla A lei puesc ma mort demandar (n. XXXIV di questa edizione) Sordello stesso fa
intendere chiaramente che partecipava ai tornei305.
Di questa altissima posizione in cui Sordello era salito alla corte di Raimondo
Berengario abbiamo anche una riprova indiscutibile in un documento storico: l’atto
relativo all’accordo stipulato il 5 giugno 1241 in Montpellier da Giacomo I
d’Aragona, Raimondo Berengario IV di Provenza e Raimondo VII di Tolosa, per
decidere il divorzio tra Raimondo VII e Sancia d’Aragona (zia di Giacomo I), onde
aprire la via al matrimonio — che poi non ebbe luogo 306 — tra Raimondo VII e
Sancia, terza figlia di Raimondo Berengario IV e futura erede della contea di
Provenza: accordo nel quale venne stabilito con garanzia di Giacomo I, Raimondo
Gaucelm di Lunel e Albeta di Tarascon, che Raimondo VII avrebbe obbligato
Sancia a chiedere il divorzio davanti ai giudici a ciò delegati dalla Chiesa,
minacciandola di espellerla dai suoi stati. Nell’atto figurano come testimoni il conte
di Empurias (uno dei quattro conti soggetti al re di Aragona), Eximino de Foces
(altro grande vassallo di Giacomo I), Sordello, Bertran d’Alamanon e altri illustri
personaggi. Sordello — il quale doveva evidentemente far parte, come Bertran
d’Alamanon, del seguito di Raimondo Berengario IV, come è provato dal fatto che
né lui né Bertrando sono nominati in altri due atti stipulati in quei giorni da
Raimondo VII e Giacomo I senza la partecipazione del conte di Provenza — è al
terzo posto, subito dopo i due grandi vassalli del re aragonese, mentre Bertran
d’Alamanon è all’ultimo: sì che è lecito
Più tardi, al tempo di Carlo d’Angiò, Sordello è esplicitamente chiamato miles in vari documenti che
avremo occasione di esaminare.
306 Infatti, se il fidanzamento tra Raimondo VII e Sancia di Provenza ebbe luogo per procura ad Aix l’11
agosto 1241, non si giunse alla celebrazione delle nozze: e più tardi Raimondo Berengario — forse anche per
l’influenza di Bianca di Castiglia, che voleva evitare che Raimondo VII avesse un erede, affinché il suo stato
passasse nelle mani di Alfonso di Poitiers, sposo dell’unica figlia del conte tolosano — dichiarò nulla la
promessa fatta a Raimondo VII di dargli la figlia, e sposò nel luglio 1243 Sancia a Riccardo di Cornovaglia,
fratello del re di Inghilterra Enrico III, il quale aveva sposato Eleonora, secondogenita di Raimondo
Berengario (cfr. BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 58 e seg.).
305
LXXVII
pensare che fosse considerato come uno dei più alti personaggi del seguito di
Raimondo Berengario307.
Raimondo Berengario IV morì il 19 agosto 1245; poco dopo Carlo d’Angiò,
con l’appoggio del papa Innocenzo IV e di Bianca di Castiglia, sposava, il 31
gennaio 1246, mandando a vuoto le aspirazioni degli altri pretendenti (Raimondo
VII di Tolosa, il figlio di Giacomo I d’Aragona e Corrado figlio di Federico II),
l’ultima figlia di lui Beatrice, la quale, in virtù del testamento paterno del 20 giugno
1238, era erede della contea di Provenza, e si impadroniva dello stato provenzale 308.
Sordello, che durante il periodo che va dalla morte di Raimondo Berengario e
l’avvento di Carlo d’Angiò dovette verisimilmente rimanere alla corte di Provenza
presso la contessa Beatrice, accolse con favore il nuovo signore e gli rivolse un
componimento (n. XXVIII di questa edizione), in cui esortava nobilmente il «suo
signore» a compiere alte imprese, se desiderava ottenere pregio 309. Sordello si
poneva in tal modo decisamente — a differenza
Ecco la parte finale del documento, in cui compare il nome di Sordello: «Datum Montispesulano nonas
junii, anno domini Mº.CCº.XLº. primo. Testes sunt Comes Empuriarum, Eximen de Focibus, Sordellus,
Rostangnus de Podio alto, G. de Labanera, Bertrandus Alamandoni et ego Guillermonus scriba, qui mandato
predictorum et voluntate hec scripsi, loco, die et anno prefixo». Il passo è stato pubblicato dal D E LOLLIS,
Vita e poesie, p. 316; tutto il documento era stato precedentemente stampato dal DE TOURTOULON, Don Jaime
I el conquistador, II, p. 423 e seg. sull’originale conservato nell’Archivo de la Corona de Aragón, Colección de
pergaminos de Jaime I, n. 845. Cfr. SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der itallenischen Trobadors, p. 211; DE
LOLLIS, Vita e poesie, p. 51; SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 159. Sulla situazione
politica a cui il documento si ricollega cfr. DEVIC, VAISSETE, Histoire générale de Languedoc, VI, p. 728 e seg.; DE
TOURTOULON, ibid., p. 49 e seg.
308 Cfr. K. STERNFELD, Karl von Anjou als Graf der Provence (1245-1265), Berlin, 1888, p. 21 e segg.; B OURRILLY,
BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 61 e segg.; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de
Marseille, p. 157 e segg.
309 Che in questo componimento Sordello si rivolga a Carlo d’Angiò risulta chiaro, oltre che dal mon seignor del
v. 7, anche dal fatto che la lirica appare rivolta a un «bars» ventenne, il che corrisponde perfettamente all’età di
Carlo d’Angiò, che era nato nel marzo del 1226. Anche l’esortazione a grandi imprese appar naturale se rivolta
a Carlo, in quanto questo principe, come osserva il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 52, n.), nella prima giovinezza
non pareva aver l’animo rivolto a grandi imprese, ma unicamente alle feste, ai tornei, al comporre versi e al
giocare a dadi. Lo SCHULTZ-GORA (rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 242) afferma di non essere d’accordo con
l’interpretazione data dal De Lollis a questa lirica, osservando che il verso iniziale del componimento (certo
tramandatoci in modo frammentario), che nel codice è scritto quasi a mo’ di titolo in minio, conviene
piuttosto a un pianto. Ma non mi sembra che la cobla che ci è rimasta intera ammetta altra spiegazione che
quella data dal DE LOLLIS e da me accettata. Se il primo verso appartiene a questa lirica, si può pensare che il
componimento si iniziasse con un compianto di Raimondo Berengario e continuasse con un saluto e una
esortazione a Carlo d’Angiò.
307
LXXVIII
di Guilhem Montanhagol, che, forse un poco più tardi (ma non quanto
pretenderebbe il De Lollis), nel sirventese Ges per malvestut (V dell’ed. Coulet)
rimpiange la signoria di Raimondo Berengario, accusando la signoria angioina di
avarizia e di slealtà, ed esortando il re di Aragona e il conte di Tolosa a unirsi contro
i Francesi310 — a fianco di Carlo d’Angiò, a cui rimarrà poi, come vedremo, sempre
fedele.
Carlo d’Angiò, spinto da quella grande ambizione, che si può
Cfr. J. COULET, Le troubadour Guilhem Montanhagol, Toulouse, 1898, p. 26 e seg., 95 e segg., il quale ritiene,
giustamente, che il sirventese debba collocarsi, tra il 1246 e il 1249, ma più vicino alla prima data che alla
seconda. Troppo tarda mi sembra la data del DE LOLLIS (ibid., p. 54), che vorrebbe collocare il
componimento durante l’assenza di Carlo dalla Provenza a causa della crociata; e certamente erronea è la data
del DE TOURTOULON, ibid., p. 114 il quale crede che la lirica sia posteriore all’aprile 1250, perché Raimondo
VII di Tolosa, nominato come ancor vivo al v. 24, morì, come è noto, il 27 settembre 1249. L’avvento del
dominio di Carlo d’Angiò in Provenza è accolto sfavorevolmente anche nel planh Ab marrimen doloros et ab plor,
ove si deplora la morte del conte Raimondo Berengario, e si compiangono i Provenzali che hanno perduto
«solatz, iuec e deport | e gaug e ris, onor et alegranza», poiché sono venuti «en man de cels de Franza». Il D E
LOLLIS, seguendo il BARTSCH, attribuiva questo componimento a Aimeric de Peguilhan, a cui lo danno i mss.
I e K, e a questa attribuzione si attenne anche il C OULET (ibid., p. 99 e seg.); né ha osato staccarsene lo
JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 334, pur dandola come dubbia. Ma lo ZINGARELLI, nel saggio
Per un «descort» di Amerigo di Pegugliano, compreso nel vol. Intorno a due trovatori in Italia, Firenze, 1899, p. 39 e
segg. e il BERTONI, nel saggio Il «pianto» in morte di Raimondo Berengario IV conte di Provenza (1245), inserito negli
Scritti vari di erudizione e di critica in onore di Rodolfo Renier, Torino, 1912, p. 249 e segg. hanno mostrato, in modo
che mi sembra convincente, che la lirica non può essere di Aimeric de Peguilhan; e il B ERTONI ha sostenuto,
con buone ragioni, che essa si deve attribuire, col ms. a’ (ignoto al BARTSCH, al DE LOLLIS e allo
ZINGARELLI), a Peire Bremon Ricas Novas; e tale attribuzione è stata accettata anche dal P ILLET e dal
CARSTENS (10, 1 e 330, 1 a). E in verità questo planh sembra inserirsi perfettamente in ciò che sappiamo della
attività del Ricas Novas, che fu protetto da Barral de Baus, ostile a Carlo d’Angiò (come vedremo) fino al
1251. Il BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. VIII, attribuisce invece il
componimento a Aimeric de Belenoi. Lo SHEPARD e il CHAMBERS, nella loro recentissima edizione di
Aimeric de Peguilhan, negano risolutamente che la poesia sia del Peguilhan, e citano l’attribuzione al Ricas
Novas del PILLET e del CARSTENS (p. 27 e seg., 49). Le frasi che ho citate sono tolte dall’ed. del B ERTONI,
assai migliore, in complesso, di quella dello ZINGARELLI.
310
LXXIX
considerare veramente la qualità fondamentale del suo carattere 311, e da quello
spirito avventuroso, che in lui si univa all’ambizione, e dava impeto e slancio ai suoi
sogni grandiosi (condannandoli però talora all’insuccesso), si volse ben presto a
quelle nobili imprese, a cui Sordello, con una esortazione che si adattava al fondo
segreto del carattere del principe angioino, benché fosse soltanto suggerita da una
consuetudine tradizionale nella lirica trobadorica, lo aveva chiamato. La prima di tali
imprese fu la partecipazione, nel 1248, alla settima crociata, promossa da suo fratello
Luigi IX. Sordello però, che forse era stato sollecitato a unirsi alla spedizione, non
volle seguire il conte «oltra mar»; e se ne scusò con un vivace componimento (n.
XXIX di questa edizione), in cui adduce come motivo il temere grandemente il mare
e il non saper sopportarne le furie, e propone a Carlo di prendere con sé, in sua
vece, Bertran d’Alamanon, dipingendo un po’ ironicamente le proprie paure, ma
divertendosi anche alle spalle dell’amico Bertran, che presenta come un «marinier
ben saben», aggiungendo però subito dopo che è tanto esperto dei venti «q’en un
jorn passa e s’en torna leumen»312: espressioni nelle quali riecheggia in tono
scherzoso l’accusa di pusillanimità e di mancanza di energia altre volte formulata
contro Bertran da Guigo de Cabanas, da Blacasset e da Granet313.
Carlo salpò alla volta dell’Oriente alla fine di agosto del 1248
Basti rimandare, su questo punto, al LAVISSE, Histoire de France, III, 2 (par Ch. V. LANGLOIS), Paris, 1901,
p. 45, a E. JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, Paris, 1909, p. 415 e segg. e a E. DUPRÈ
THESEIDER, Roma dal comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna, 1952, p. 86 e seg., ove è
tracciato un acuto e vivo profilo della personalità di Carlo d’Angiò. Cfr. anche BOURRILLY, BUSQUET, La
Provence au moyen âge, p. 64.
312 Pare di dover intendere col DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 53) che Bertran «si crociò altra volta, ma tornò poi
indietro al momento di imbarcarsi». Cfr. SALVERDA DE GRAVE , Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 158.
313 Cfr. SALVERDA DE GRAVE, ibid., p. 157 e seg.; per Granet cfr. anche PARDUCCI, Granet, trovatore provenzale,
p. 26 e seg., 35 e seg.; per Blacasset cfr. anche KLEIN, Der Troubadour Blacasset, p. 15. Anche altri trovatori
avevano ricusato di partecipare alle crociate: ad es. Bertran de Born, che si era scusato nella lirica Ara sai eu (P.
C. 80, 4; ed. STIMMING, p. 103) del non prender parte alla 3ª crociata; e Blacatz, che si era rifiutato di
partecipare alla crociata (la 6ª) guidata da Federico II (cfr. lo scambio di cobbole con Folquet de Romans, P.
C. 156, 4 e 97, 2: cfr. R. ZENKER, Die Gedichte des Folquet von Romans, Halle, 1896, p. 25, e 69 e seg.; SOLTAU,
Die Werke des Trobadors Blacatz, XXIII, p. 246 e XXIV, p. 57; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II,
p. 92).
311
LXXX
ad Aigues-Mortes314 e rimase lontano dalla Provenza due anni. Non sappiamo nulla
circa la vita di Sordello in questo periodo, in cui la Provenza fu agitata da vari
contrasti (provocati in parte dalla rigidità e dal fiscalismo della amministrazione
angioina), e soprattutto dalla solita, tenace resistenza di Marsiglia, e dai tentativi
autonomistici di Arles e di Avignone, che si appoggiano a Barrai de Baus (il quale
era già dal 1246 podestà di Avignone, e divenne nel dicembre 1249 anche podestà di
Arles) e giungono a una aperta ribellione 315: probabilmente continuò a vivere alla
corte comitale, presso Beatrice e il siniscalco di Carlo Amaury de Thury 316.
Nell’ottobre 1250 Carlo ritornava dall’Oriente, sbarcando ad Aigues-Mortes,
e subito intraprendeva insieme al fratello Alfonso di Poitiers un’energica azione per
sottomettere i ribelli, ottenendo rapidi successi: il 30 aprile 1251 Arles si
sottometteva a Carlo, e poco dopo, il 7 maggio, Avignone si sottometteva ad
Alfonso317. Più a lungo durò la resistenza di Barral e di Marsiglia. Nel giugno però
Barral si piegava a firmare con Carlo una tregua di undici mesi, e il 30 ottobre veniva
ad un accordo definitivo; il 19 novembre, infine, il fiero barone prestava omaggio a
Carlo, e si obbligava ad appoggiarlo nella guerra contro Marsiglia, impegnandosi a
consegnargli, come garanzia delle sue promesse, i suoi castelli, e a dargli come
ostaggi suo figlio e suo nipote Guglielmo de Pertuis. A questo atto, stipulato ad Aix,
era presente come testimone, accanto a Bertran
Cfr. STERNFELD, Karl von Anjou, p. 47; BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 67; BOURRILLY,
Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 168 e 172.
315 Su questo periodo assai intricato della storia provenzale cfr. STERNFELD, ibid., p. 52 e segg.; FOURNIER, Le
royaume d’Arles et de Vienne, p. 180 e segg.; LABANDE, Avignon au XIIIe siècle, Paris, 1908, p. 115 e segg.;
BOURRILLY, BUSQUET, ibid., p. 67 e segg.; BOURRILLY, ibid., p. 164 e segg.
316 Al periodo della permanenza di Carlo in Oriente il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 54, riferisce, oltre al
sirventese di Guilhem Montanhagol, di cui abbiamo già discorso, il sirventese Pueis chanson far di Bertran
d’Alamanon (n. V dell’ed. SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon): ma in realtà questo
componimento, come mostrano i v. 4 e 54, fu composto quando Carlo era ancora in Francia, e non era
ancora partito per l’Oriente: cfr. ibid., p. 35 e segg.
317 Cfr. STERNFELD, ibid., p. 70; BOURRILLY, BUSQUET, ibid., p. 69; BOURRILLY, ibid., p. 179 e segg.
314
LXXXI
d’Alamanon, ad Albeta di Tarascon e ad altri baroni, anche Sordello, che vi è
designato col titolo di miles318.
Più tardi anche Marsiglia si piegava alla pace, che era firmata il 26 luglio 1252
ad Aix: e anche in questo atto compare fra i testimoni Sordello, a fianco di Barral de
Baus — che sarà d’ora innanzi un fedelissimo sostenitore di Carlo — di Ponzio
d’Alamanon, di Bonifacio de Castellane e di molti altri319. Sordello, designato ancora
Ecco la parte conclusiva dell’atto, in cui compare il nome di Sordello: «Actum Aquis, in castro domini
comitis, anno Domini millesimo ducentesimo quinquagesimo primo, dominica proxima ante festum Beati
Clementis, presentibus venerabilibus patribus Philippo, Dei gratia Aquensi archiepiscopo; Fulcone, Regensi;
Benedicto, Massiliensi episcopis; et Otone, electo Vapicensi, Vicedomino, preposito Grassensi preposito
Aquensi, qui in testimonio predictorum sigilla sua presentibus apponi fecerunt. Testes etiam rogati et acciti
fuerunt Hugo de Arsicio, senescallus Provincie, Albeta de Tharascone, Guido Lupi, Symon Bagoti,
Landericus de Floriaco, Guillelmus Tade, Bertrandus de Lamannon, Sordellus et Jacobus Gantelmi milites,
Galterus, capellanus dicti domini comitis, Adam, canonicus Turonensis, ejusdem domini comitis clericus, et
plures alii. Et ego Alanus, canonicus de Lusarchiis, publicus notarius dicti domini comitis, presentibus interfui
et hanc cartam scripsi et signum meum apposui». L’atto è conservato nell’originale a Marsiglia, Archives
départementales des Bouches-du-Rhône, B 345, ed è stato pubblicato per intero dal BOURRILLY, Essai sur
l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 405 e seg., da cui ho tolto la citazione. Era stato riassunto dal
BARTHÉLEMY, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison de Baux, n. 361 e 362, p. 103 e seg. (con
la data inesatta del 22 novembre); ed era rimasto ignoto al De Lollis e a tutti gli altri studiosi che fino ad ora si
erano occupati di Sordello. Sulla situazione politica in cui l’atto venne concluso cfr. BOURRILLY, ibid., p. 183.
319 L’atto è conservato, nell’originale, a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 348; un
altro originale si trova nell’Archivio Comunale di Marsiglia, AA 13, ove se ne trova anche una copia, con la
segnatura AA 21. È stato edito dallo STERNFELD, Karl von Anjou, p. 273 e segg., e più esattamente dal
BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 407 e segg.; il passo in cui compare il nome
di Sordello è stato riprodotto, dall’ed. dello STERNFELD, anche dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 316 e seg. Tale
passo è il seguente (seguo l’ed. del BOURRILLY, ibid., p. 423 e seg., più esatta di quella dello STERNFELD):
«Acta sunt hec in castro Aquis in retrocurte, anno et die et indictione quibus supra. In presentia et testimonio
venerabilium in Christo patrum dominorum Henrici, archiepiscopi Ebredunensis; Benedicti, episcopi
Massiliensis; Bonifatii, episcopi Dignensis; F[uIconis], episcopi Regensis, B[ertrandi], episcopi Forojuliensis;
nobilis viri Lantelmi Prealoni, potestatis Massilie; domini Henrici de Soliaco; Guidonis de Miliaco; Barrali de
Baucio; Vicedomini, prepositi Grassensis; Rostagni de Agouto; Albete de Tharascone; Pontii de Alamanono;
Bertrandi de Alamanono; Sordelli; Bonifacii de Castellana; Bonifacii de Galberto; Guillelmi de Pichiniaco;
Guillelmi de Sparrono; Alani, canonici de Luzargis; Landerici de Floriaco; Symonis Bagoti; Ancelmi Feri;
Guillelmi Chaberti, causidici; Johannis Blanchi, causidici; Petri Vetuli; Andree de Portu, judicis curie comunis
Massilie; Johannis Vivaudi; Philippi Ancelmi; Guillelmi Dieude; Johannis Magistri; Raimundi Caudole;
Andriveti; Andree Peregrini; Andree Raolini, draperii; Pontii Bonifacii; Hugonis Ricavi, militis; Hugonis
Rostagni, militis; Bernardi Gaschi, campsoris; Guitelmi de Tharascone; Nicholai de Castronovo, notarii
Massilie, et Bernardi Raimundi, notarii Aquis et plurium aliorum, et mei Guillelmi Lurdi, notarii publici
Massilie, qui mandato predicti domini comitis et domine comitisse et predictorum Britoni Ancelmi et
Nicholai Guitelmi, syndicorum comunis Massilie, de predictis hanc cartam scripsi et feci et signo meo
signavi». Su questo patto tra Carlo e Marsiglia cfr. STERNFELD, ibid., p. 79 e segg.; BOURRILLY, ibid., p. 383 e
segg.; cfr. anche C. MERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 13; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 54;
SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 164.
318
LXXXII
col titolo di miles, è presente anche alla ratifica del trattato, avvenuta in Marsiglia il 27
luglio da parte del podestà Lantelmo Prealon e del consiglio del comune di
Marsiglia, alla presenza dei rappresentanti ufficiali del conte e della contessa di
Provenza, Barral de Baus, Gui de Millac e Vicedomino prevosto di Grasse, incaricati
di ricevere la conferma e il giuramento del consiglio comunale marsigliese 320. Il
nome del trovatore non compare invece fra i testimoni della cerimonia del 30 luglio,
in cui la popolazione marsigliese, riunita in pubblico parlamento, approvava a sua
volta solennemente i patti, alla presenza di Carlo d’Angiò, giunto a Marsiglia in
compagnia di una numerosa schiera di baroni e di ecclesiastici. Non è impossibile
però che Sordello fosse anch’egli presente alla cerimonia, pur non avendo apposto la
sua firma all’atto.
Sordello rimase in Provenza anche nel lungo periodo (inverno 1252primavera 1257) in cui Carlo d’Angiò ne rimase lontano, prima perché reggente del
regno di Francia, insieme col fratello Alfonso di Poitiers, nel tempo che intercorse
tra la morte della regina madre Bianca di Castiglia (27 novembre 1252) e il ritorno di
Luigi IX dall’Oriente, poi perché impegnato nell’impresa dell’Hainaut, la qua-
Ecco la parte finale dell’atto, che ci interessa: «Testes hujus rei fuerunt dominus Fabianus, miles; dominus
Johanes, judex major Provincie; Sordellus, miles; Focaudus, miles; Jo. de Villaforti, miles; Jacobus de
Aurasone, miles; Alanus, clericus domini comitis; Raembaudus de Perussa, miles; G. Guiraudus, clericus;
dominus Vaissallus Scarminatus, judex major palatii Massilie; Giraudus Maurinus, notarius; Bernardus
Raimundus, notarius domini comitis Provincie; et ego Guillelmus Lurdus, publicus notarius Massilie, qui
mandato dictorum domini Guidonis de Miliaco et domini Barrali et domini Vicedomini prepositi Grassensis,
et dicti domini Lantelmi Prealoni potestatis Massilie, et tocius dicti consilii generalis hec scripsi et signo meo
signavi». Questa ratifica fa seguito al testo del trattato e si trova perciò sia nei due originali che nella copia
citati nella nota precedente. Anche questo atto era rimasto ignoto al DE LOLLIS e agli altri studiosi di Sordello.
Sulla cerimonia cfr. STERNFELD, Karl von Anjou, p. 80; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de
Marseille, p. 187.
320
LXXXIII
le, dopo avergli fatto concepire la speranza di insignorirsi di quella ricca contea —
offertagli da Margherita, contessa di Fiandra e di Hainaut, in odio a Jean d’Avesnes
(suo figlio di primo letto, verso il quale essa provava una avversione profonda) e a
Guglielmo d’Olanda, re dei Romani, che lo sosteneva — gli fruttò soltanto una
cospicua indennità di guerra 321. Egli fu allora protetto da Barral de Baus, che era
divenuto, da avversario della dominazione angioina, uno dei più autorevoli fautori di
essa e collaborava attivamente coi siniscalchi preposti al governo della contea
(Hugues de Arcis e poi Odon de Fontaines) e con l’arcivescovo di Aix per il buon
governo della Provenza e il mantenimento della pace 322. La presenza di Sordello
presso Barral è comprovata da una serie di atti che si sono fortunatamente
conservati. Il primo (che purtroppo possediamo solo in un riassunto del sec. XV) è
un atto del 15 dicembre 1255 col quale Barral fa donazione al nostro trovatore di
cinquanta lire coronate da prelevarsi sulle rendite che gli pagava il comune di
Marsiglia323. Altri tre atti si riferiscono alla controversia sorta tra Marsiglia e Barral
de Baus, che, forte dell’appoggio di Carlo d’Angiò, considerando come non
avvenuta la transazione firmata tempo prima da suo padre Ugo con il comune di
Marsiglia, pretendeva di far valere sulla città i diritti ereditari della sua casa. Marsiglia
naturalmente si oppose a tali pretese, e riuscì, sollecitando l’intervento di Alfonso X
di
Tale indennità di guerra fu imposta alla contessa Margherita da Luigi IX (che, ritornato in Francia, decise
come arbitro la controversia) col dit di Péronne, del 24 settembre 1256, col quale si pose termine alia lunga
contesa. Sull’impresa dell’Hainaut cfr. STERNFELD, Karl von Anjou, p. 94 e segg.; CH. DUVIVIER, La querelle des
d’Avesnes et des Dampierre jusqu’à la mort de Jean d’Avesnes, Bruxelles, 1894; LAVISSE, Histoire de France, III, 2, p. 89
e segg.; H. PIRENNE, Histoire de Belgique, I5, Bruxelles, 1929, p. 258.
322 Cfr. BARTHÉLEMY, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison de Baux, n. 382, 389, 407;
STERNFELD, ibid., p. 114 e seg.; BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 72; BOURRILLY, Essai sur
l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 214.
323 Il riassunto è conservato a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 1209, n. 158:
«Item instrumentum donacionis facte per dominum Bertrandum (sic) dominum Baucii Surdello de
quinquaginta libris regalium coronatorum recipiendis de illis. CL. libris censualibus quas comune Massilie
serviebat ipsi domino Baucii annis singulis sub Mº.CCº.LVIº. indictione XV octavo decimo Kalendas januarii
signatum per A.». È stato pubblicato dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 317; ed era stato anche registrato dal
BARTHÉLEMY, ibid., n. 392 (sbagliando però il numero del registro). Cfr. anche SCHULTZ-GORA, Zu den
Lebensverhältnissen einiger Trobadors, p. 117, n. 3; MERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 14 e 29.
321
LXXXIV
Castiglia, a fare accettare a Barral l’arbitrato di frate Lorenzo, penitenziere del papa.
Primo di tali atti è quello firmato il 17 dicembre 1256, presso il castello di S.
Marcello, nelle vicinanze di Marsiglia, nel quale Barral e Bernard Gasc,
rappresentante della città di Marsiglia, accettavano come arbitro frate Lorenzo; il
secondo è quello, firmato a Marsiglia il 23 dicembre dello stesso anno, nel quale è
registrato il giudizio arbitrale pronunciato da frate Lorenzo; il terzo è quello,
stipulato nello stesso giorno, dallo stesso notaio, in cui Barral de Baus e suo figlio
Bertrand approvavano la decisione dell’arbitro (non completamente loro favorevole,
poiché stabiliva il versamento annuale di una somma da parte del comune, ma
costringeva la casata a rinunciare a ogni altra pretesa) e promettevano di
conformarvisi. In tutti e tre gli atti Sordello è ricordato nell’elenco dei testimoni,
sempre col titolo di miles324.
Forse circa in questo tempo Bonifacio de Castellane indirizzò a Sordello il
suo sirventese Era, pueis yverns325, sulla cui data e sulla
Il primo atto è inserito nel documento relativo al secondo, conservato nella sua forma originale a Marsiglia,
Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 353, e pubblicato dal BOURRILLY, Essai sur l’histoire
politique de la commune de Marseille, p. 434 e segg. Ecco il passo che interessa Sordello (ibid., p. 438 e seg.):
«Actum in area que est ante bastidam castri Sancti Marcelli, in presentia et testimonio Isnardi de Antravenis
de Tholono; Jacobi Vivaudi; Sordelli, militis; Aicardi de Sancto Felicio; Guillelmi de Lauriis; Petri Bermundi
de Auriolo; Nicholai Guitelmi; Alberti de Lavania, jurisperiti; Guillelmi Chaberti, jurisperiti; Johannis Blanci,
jurisperiti; Andree de Portu, jurisperiti; Petri Vetuli; Ancelmi Andree; Raimundi de Sancto Marcello;
Albagnete, militis; fratris Petri de ordine Minorum, et plurium aliorum testium rogatorum. Et mei Guillelmi
Lurdi, notarii publici Massilie, qui rogatu partium hoc compromissum scripsi signoque meo signavi». La parte
finale del secondo atto è la seguente: «Acta sunt hec in aula viridi palacii communis Massilie, in presentia et
testimonio domini Bonifacii de Castellana; Sentonii, jurisperiti; Imberti de Aurasone; Sordelli, militis;
Guillelmi Finaudi, judicis majoris communis Massilie; fratris Petri, de ordine Minorum; magistri Eximini;
Johannis Blanci, jurisperiti; Guillelmi Chaberti, jurisperiti; Alberti de Lavania, jurisperiti; Andree de Portu,
jurisperiti; Raimundi Caudole, vicarii; Giraudi Amalrici, notarii; Marquesii Anglici, notarii; Jacobi Davini,
notarii; Raimundi de Santo Marcello; Raimundi de Soleriis, militum, testium rogatorum, et tocius consilii
generalis Massilie, et mei Guillelmi Lurdi, notarii publici Massilie, qui mandato dicti arbitri seu arbitratoris et
rogatu dictarum partium hanc cartam feci et scripsi et signo meo signavi» (ibid., p. 448). L’originale del terzo
atto si trova anch’esso a Marsiglia, nello stesso Archivio e nello stesso registro; una copia è conservata
nell’Archivio comunale di Marsiglia, AA 5, c. 74-78. Esso non è riprodotto dal BOURRILLY; ma i testimoni
sono gli stessi che nel secondo atto. Questi tre atti non erano noti fino ad ora agli studiosi di Sordello. Sugli
avvenimenti qui ricordati basti rimandare al BOURRILLY, ibid., p. 220 e segg.
325 P. C. 102, 1; v. il testo in APPEL, Provenzalische Inedita, p. 82 e segg.: cfr. G. C HABANEAU, Le chevalier
Raimbaud et la comtesse de Flandres, in Revue des langues romanes, XXXII, 1888, p. 560 e segg.; A. PARDUCCI ,
Bonifazio di Castellana, in Romania, XLVI, 1920, p. 495 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II,
p. 175 e segg. Sordello è nominato nella tornada, al v. 52.
324
LXXXV
cui interpretazione tanto si è discusso, con risultati quanto mai diversi, poiché
secondo il Milá y Fontanals326 il componimento sarebbe da assegnare al 1241,
secondo il De Bartholomaeis327 al 1251-52, secondo l’Appel328, il Bertoni 329 e il
Parducci330 agli anni 1250-1254, secondo il De Lollis331 agli anni 1257-1262, secondo
il Salverda de Grave332 al 1259. Io credo che sia del tutto da scartare la data del Milá
y Fontanals, e che non siano sufficienti le ragioni addotte dal De Lollis e dal
Salverda de Grave per considerare il sirventese dei tempi di Corradino; e penso che
sostanzialmente siano nel vero l’Appel, il Bertoni e il Parducci nel pensare agli anni
1250-54.
Quando Carlo d’Angiò nella primavera del 1257 ritornò in Provenza,
Sordello riprese il suo posto alla sua corte: infatti lo troviamo presente in Aix, sede
della corte provenzale, in qualità di testimone (tra i primi, e col titolo di «dominus»),
insieme a Bertran d’Alamanon, alla conclusione del nuovo trattato di pace che il 2
giugno di quell’anno Carlo imponeva alla città di Marsiglia, la quale, mentre era
nell’Hainaut, aveva concluso, ripresa dal suo antico spirito autonomistico, un
trattato con Alfonso X di Castiglia, e non aveva osservato certe condizioni dei patti
precedentemente conclusi 333.
De los trovadores en España, Barcelona, 1861, p. 176.
Poesie provenzali storiche, II, p. 175 e segg. (ove però a p. 176 il 1257 è un errore di stampa per 1252 ed è
errore il dire che in quell’anno la corona di Napoli fu offerta a Edmondo d’Inghilterra; si tratta invece di
Riccardo di Cornovaglia, fratello di Enrico III re d’Inghilterra; l’offerta del regno a Edmondo, figlio cadetto
di Enrico III, avvenne dopo l’offerta a Carlo d’Angiò).
328 Provenzalische Inedita, p. 82 e 348.
329 I trovatori d’Italia, p. 27.
330 Bonifatio di Castellana, p. 485 e seg., 497 e segg. Il PARDUCCI cerca però di precisare la data dell’APPEL e del
BERTONI, ponendo il componimento tra il 13 dicembre 1250 (morte di Federico II) e il 21 maggio 1254
(morte di Corrado IV), ma inclinando a ritenerlo più vicino alla prima data che alla seconda (a p. 501 lo dice
forse «di poco posteriore alla prima metà del 1252»).
331 Vita e poesie, p. 57.
332 Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 59 e seg.
333 Ecco il passo che interessa Sordello: «Acta sunt hec Aquis, in prato castelli seu palatii domini comitis, in
presentia et testimonio domini Odonis de Fontanis, senescalci Provincie et Forcalquerii, et domini Roberti de
Laveno, legum professoris; domini Johannis de Bonamena, majoris judicis Provincie; domini Isnardi de
Antravenis de Tholono; Jacobi Gantelmi; domini Sordelli; domini Bertrandi de Alamanono; domini Imberti
de Auronis; domini Sanctonii, jurisperiti; Poncii Coisini, archidiaconi Massilie; et Rostagni Begueti; Petri
Baldi; Tergavaire; Johannis Vivaudi; Vivaudi Dalmatii; Hugonis Vivaudi; Nicolai Bouverii; Philippi Ancelmi;
Bernardi Pontevenis, clerici; domini Baralli, Provincie notarii; Guillelmi de Avinione, notarii Massilie; Poncii
Ancelmi, notarii publici Provincie, testium rogatorum, et in presentia plurium aliorum et mei Johannis de
Mafleto, clerici domini senescalci et notarii publici Provincie et Forcalquerii, qui predictis interfui et rogatus a
partibus hoc publicum instrumentum scripsi et signo meo signavi». L’originale del documento è conservato a
Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône B 354; e due copie di esso si trovano
326
327
LXXXVI
Il 17 luglio il nostro trovatore è di nuovo presente a due atti stipulati a Riez,
nel quale Guigues VII, delfino di Vienna, acconsentiva a prestare omaggio a Carlo
d’Angiò, che minacciava di muovergli guerra, per il territorio di Gap, sul quale Carlo
vantava diritti, come successore dei conti di Forcalquier334, non riconoscendo le
pretese dei delfini di Vienna, che sostenevano di aver acquistato dai conti di
Forcalquier tale territorio. È da notare che in ambedue gli atti il nome di Sordello
(accompagnato nel primo dal titolo di dominus e nel secondo da quello di miles)
compare tra i primi, subito dopo al nome dei più alti funzionari della contea, quali
Odon de Fontaines. siniscalco di Provenza e Jean «de Bonamena» giudice maggiore
della Provenza335.
nell’Archivio comunale di Marsiglia, AA 1, c. 122-137 e AA 3, c. 1-19. È stato riprodotto per intero dallo
STERNFELD, Karl von Anjou, p. 285 e segg. e dal BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille,
p. 449 e segg.; il passo riguardante Sordello è stato stampato anche dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 317 e seg.
Io ho seguito l’ed. del BOURRILLY. Avverto che la data che dà il DE LOLLIS (6 giugno) è errata: la vera data
del trattato, alla cui stipulazione fu presente Sordello, è il 2 giugno; il 6 è la data della ratifica del trattato da
parte dei Marsigliesi riuniti in parlamento, cerimonia a cui il trovatore di Goito non fu presente: cfr.
STERNFELD, ibid., p. 132; TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello (Sordello e la Morra d’Alba), nel Bollettino
storico-bibliografico subalpino, XV, 1910, p. 192; BOURRILLY, ibid., p. 223; e cfr. SCHULTZ-GORA, rec. al vol. di
DE LOLLIS, p. 259. Sulle vicende a cui si ricollega il trattato cfr. STERNFELD, ibid., p. 132; BOURRILLY,
BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 73; BOURRILLY, ibid., p. 222 e segg.; cfr. anche MERKEL, Sordello e la sua
dimora presso Carlo d’Angiò, p. 29 n. 40; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 55; SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour
Bertran d’Alamanon, p. 164.
334 La contea di Forcalquier era stata lasciata da Raimondo Berengario IV, che la possedeva per eredità
materna, alla moglie Beatrice di Savoia; nel 1256 Beatrice l’aveva ceduta a Carlo d’Angiò, in cambio di una
rendita annuale (BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 72; BOURRILLY, ibid., p. 214).
335 La parte finale del primo documento, che concerne i patti di concordia conclusi tra Carlo e il delfino di
Vienna, è la seguente: «Actum apud Regium in domo episcopali, presentibus et vocatis infrascriptis testibus,
scilicet nobili viro domino Guidone comite Foresii; domino Barallo, domino Baucii; domino Guillermo de
Bellomonte, milite dicti domini comitis Karoli; domino Henrico de Lusarchiis, canonico Carnotensi, dicti
domini comitis Karoli capellano; domino Odone de Fontanis, milite, Provincie senescallo; domino Sordello;
domino Roberto de Lavenno, juris professore, vicario Massilie; magistro Petro Lonbardo; domino Azemario;
domino Avomari; Guillermo Silbondi; domino Berllione de Turri; domino Alamando de Condriaco; domino
Guillermo Augerio; domino Raymundo de Monte Albano; domino Bertrando de Medullione de Chalma;
Petro Rostengno de Ronseto; Girardo de Sancto Marcello; domino Johanne de Bonamena, majori judice
Provincie; Bastardino de Monte Ferrato; Azemario de Bresiaco; Gonterio de Brientenio; Raymundo scriptore
notario; domino Gerino de Condriaco, et me Johanne de Mafleto, clerico et publico notano dicti domini
Karoli comitis, qui ad mandatum et requisicionem predicti domini Karoli comitis et dicti Guigonis dalfini
presentem cartam scripsi et hoc signo meo signavi». Ed ecco la parte finale del secondo documento, in cui il
delfino riconosce la signoria di Carlo sulle terre contestate: «Acta fuerunt hec Regii, in presencia predictorum
prelatorum et nobilium, qui in testimonium veritatis et ad probacionem supradictorum sigilla sua istis litteris
apposuerunt; et fuerunt eciam presentes plures et alii, scilicet Odo de Fontanis, miles, senescallo Provincie;
dominus Johannes de Bonamena, major judex Provincie; et Sordellus, miles; et Isnardus de Antravenis de
Tholone; et Bringnona de Brinonia, miles; et dominus Girardus de Saciaco, miles; dominus Johannes de
Braiesel; dominus Gaufridus de Sarginis; dominus Espero de Sperrone, et multi aliis». I documenti, che erano
conservati nell’Archivio di Stato di Napoli, Reg. ang. II, Carolus I, 1268 O, c. 130 e 131, e purtroppo sono
andati perduti in seguito alla nota distruzione del ricchissimo materiale dell’Archivio, avvenuta durante la
recente guerra, furono pubblicati dal DEL GIUDICE, Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d’Angiò, I, Napoli,
1863, app. II, doc. I, p. LXIV e segg.; i passi riguardanti Sordello furono riprodotti anche dal DE LOLLIS, Vita
LXXXVII
Il 30 agosto dello stesso anno Sordello assiste a Saint Remy, insieme a Barral
de Baus, a Bertran d’Alamanon e a Bonifacio de Castellane, alla stipulazione dell’atto
col quale il vescovo di Marsiglia cedeva a Carlo d’Angiò la città superiore. Anche qui
il trovatore di Goito è chiamato miles336.
e poesie, p. 318 e seg. Seguo il testo del DE LOLLIS, che afferma di aver ricollazionato gli originali, ponendo
però le maiuscole e la punteggiatura secondo l’uso moderno. Cfr. anche M ERKEL, Sordello e la sua dimora presso
Carlo d’Angiò, p. 29; TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 192 e seg. Sul contrasto tra Carlo e il
delfino cfr. STERNFELD, Karl von Anjou, p. 136; FOURNIER, Le royaume d’Arles et de Vienne, p. 212; BOURRILY,
BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 74; oltre, naturalmente, alla vecchia opera del VALBONNAIS, Histoire du
Dauphiné, I, Genève, 1721, p. 205 e segg.
336 Ecco la chiusa dell’atto, ove compare il nome di Sordello: «Actum apud Sanctum Remigium, in prioratu
Sancti Remigii, presentibus et vocatis testibus infrascriptis domino B. Foroiuliensi episcopo; domino
Vicedomino electo Aquensi, domino P[etro] episcopo Nicie, B[ernardo] abbate Sancti Honorati Lirignensis;
Egidio, arcidiacono Aquensi; Henrico de Lusarchiis canonico Carnotensi, supradicti domini comitis
capellano; Hugone Stacca; Barralo, domino Baucii; Bonefacio de Galbetto, domino de Salernis; Bonefacio de
Regio, domino Castellane; Sordello, milite; Roberto de Lavenno, legum professore, vicario Massilie; G. de
Brinonia, milite; Isnardo de Antravenis, domino Tholoni; Bertrando de Alamanone, domino de Rugnis;
Odone de Fontanis, milite; Girardo de Saceia, senescallo Provincie; Johanne de Arcisiis, senescallo Venessini;
Imberto de Auronis, jurisperito; Philippo de Morteriolo, milite; Hugone Petito, milite; Symone de Foresta,
milite, et me Hugone de Nivernis, publico Provincie et Forcalquerii comitatuum notario, qui mandato
dictorum domini comitis, domine comitisse et dicti domini episcopi hanc cartam scripsi et hoc signo meo
signavi». L’originale dell’atto, conservato a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B
355, è stato pubblicato dall’ALBANÈS, Gallia Christiana novissima... Marseille, Valence, 1899, n. 283, col. 152 e
segg. (al cui testo io mi sono attenuto); e si trova riassunto nell’Histoire de la ville de Marseille del DE RUFFI,
Marseille, 1642, p. 131. La parte finale, che interessa Sordello, è stata stampata anche dal DE LOLLIS, Vita e
poesie, p. 319 e seg.; cfr. SCHULTZ-GORA, Zu den Lebensverhältnissen einiger Trobadors, p. 117, n. 3; DE LOLLIS,
ibid., p. 55; SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 164; TALLONE, Un nuovo documento
intorno a Sordello, p. 193. Sulle vicende storiche a cui l’atto si ricollega vedi STERNFELD, Karl von Anjou, p. 140;
BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 73 e seg.; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la
commune de Marseille, p. 231.
LXXXVIII
Circa due anni dopo, il 19 luglio 1259, vediamo ancora Sordello (sempre col
titolo di miles) assistere in Brignoles, come testimone, in compagnia di Barral de
Baus e di altri, alla stipulazione dei nuovi e più favorevoli patti che i cittadini di
Hyères avevano concordato coi rappresentanti di Carlo d’Angiò circa l’estrazione
del sale dalle saline situate nel loro territorio 337.
Pochi giorni dopo, il nostro trovatore era presente a un nuovo atto, di ben
maggiore importanza, col quale Carlo d’Angiò ampliava la sua influenza nell’Italia
superiore (nella quale già possedeva, dal 1258, la contea di Ventimiglia) 338 e rendeva
più vasto quel dominio in terra italiana, che doveva di lì a poco servirgli come
preziosa
Il documento è conservato a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 358. La
chiusa, ove ricorre il nome di Sordello, è la seguente: «Actum Brinonie, in prato dicti domini cornitis juxta
vallatum. Et isti fuerunt testes: dominus Vicedominus, Aquensis archiepiscopus, et dictus dominus
Bertrandus, Forojuliensis episcopus; dominus Enricus de Luasarcis, domini comitis cappellanus; dominus
Barralus de Baucio; dominus Guillelmus de Bellomonte; Sordellus, miles; Petrus Blancus; Raimundus Bocius,
miles; Raimundus Quatruels de Areis; Martinus et Rodulfus et Petrus Roca, notarius domini comitis; et ego
Petrus Corraterius, notarius predicti domini comitis, qui predictis omnibus et mandato dicti domini comitis et
domine comitisse et dictorum militum et proborum hominum hanc cartam scripsi et signo meo signavi». Il
passo è stato pubblicato dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 320. Cfr. STERNFELD, Karl von Anjou, p. 151.
338 Sull’acquisto di Ventimiglia e gli inizi della dominazione angioina nell’Italia superiore cfr. soprattutto:
STERNFELD, ibid., p. 144 e seg.; C. MERKEL, Il Piemonte e Carlo d’Angiò, in Memorie della R. Accademia di Scienze di
Torino, s. II, t. XL, 1890, p. 286 (e cfr. la ristampa nel vol. Un quarto di secolo di vita comunale e le origini della
dominazione angioina in Piemonte, Torino, 1890, p. 141); JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, p.
563 e seg.; G. M. MONTI, La dominazione angioina in Piemonte, Torino, 1930, p. 4 e segg.
337
LXXXIX
base di operazioni per la conquista del regno di Sicilia: l’atto, stipulato il 24 luglio
1259 a Pignans, non lontano da Brignoles, nel quale gli inviati di Cuneo ponevano la
città sotto la protezione e la signoria del conte di Provenza. Anche qui accanto al
nostro trovatore («dominus Sordellus») si trovano Barral de Baus e Bertran
d’Alamanon339.
Sordello assisté poi il 21 luglio 1262, ad Aix, a due altri atti importanti: nel
primo venivano composti i dissidi che erano sorti per ragioni di confine tra Carlo
d’Angiò (in quanto signore della contea di Ventimiglia) e il comune di Genova; nel
secondo Carlo d’Angiò e sua moglie Beatrice di Provenza cedevano al comune di
Genova tutti i loro diritti sul castello di Dolceacqua nel territorio di Ventimiglia. È
da notare che, mentre nel secondo di questi atti Sordello è chiamato «dominus»,
come altre volte abbiamo avuto occasione di osservare, nel primo è detto «Sourdello
de Godio», appellativo che ritroveremo d’ora in poi frequentemente negli atti
angioini riguardanti il nostro trovatore, e che conferma, come si è visto, la nascita a
Goito340.
Ecco la chiusa dell’atto, ove è ricordato Sordello: «Actum apud Piniacum in viridario canonice ecclesie
Beate Marie de Pignans jucxta fontem dicti viridarii, anno a nativitate Domini millesimo cclviiijº die xxiiij julii.
Testes dominus Henricus, cappellanus predicti domini comitis; dominus Galterius de Alneto, miles, Provincie
senescallus; dominus Barralis, dominus de Baucio; dominus Sordellus; dominus Bertrandus de Lamenone;
dominus Girardus de Passerio, miles; Guillermus Olivarius; et Jacobus Cassius, admiralli eiusdem domini
comitis; et ego Raimundus Jordanus, publicus notarius domini Raimundi Berengarii condam comitis et
marchionis Provincie, de mandato predicti domini comitis et dictorum sindicorum et embaxatorum hanc
cartam scripsi». Il passo è stato pubblicato dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 320 e seg., sulla base dell’originale
dell’Archivio di stato di Torino (Perg. orig., Prov. di Cuneo, m.º 1, n. 4). Il DEL GIUDICE, Codice diplomatico del
regno di Carlo I e II d’Angiò, I, app. II, p. LXVIII e segg. pubblicò il testo inserito nel diploma con cui Carlo II
nel 1306 confermava i patti stipulati da Carlo I con Cuneo. Cfr. TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello,
p. 193. Sul trattato tra Carlo d’Angiò e Cuneo nel quadro della politica angioina, in Italia cfr. STERNFELD, Karl
von Anjou, p. 153 e seg.; MERKEL, Il Piemonte e Carlo d’Angiò, p. 288 e segg. e Un quarto di secolo di vita comunale, p.
145 e seg.; JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, p. 564; MONTI, La dominazione angioina in
Piemonte, p. 5.
340 Il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 57 e seg. e 321 erroneamente inverte l’ordine dei due documenti, ritenendo
l’atto relativo alla sistemazione dei dissidi riguardanti i confini del 22 luglio, mentre è anch’esso del 21 e
anteriore (cfr. in proposito ciò che osserva il TALLONE, ibid., p. 193). Il primo atto è conservato nell’Archivio
di stato di Torino, nell’esemplare del Liber jurium reipublicae genuensis dell’Archivio di stato di Genova (c. 412), e
nell’esemplare dello stesso Liber jurium della Biblioteca universitaria di Genova (c. 287); ed è stato pubblicato
per intero sulla base dell’originale dell’Archivio di stato di Torino nell’ed. del Liber jurium reipublicae genuensis
che fa parte dei Monumenta historiae patriae edita iussu regis Caroli Alberti, I, Torino, 1854, col. 1402 e segg. La
chiusa ove compare il nome di Sordello è nella col. 1410: «Actum Aquis in palacio predicti domini comitis, in
aula superiori, supradicto die inter tertiam et nonam, presentibus et vocatis testibus infrascriptis, videlicet
venerabilibus patribus Egidio, Tyrensi archiepiscopo, Vicedomino, Aquensi archiepiscopo, B[ertrame]
episcopo Porojuliensi; Boucardo, comite Vindocinensi; magistro Johanne, decano Meldensi; et Galterio de
Alneto; Sourdello de Godio; Guilielmo Estendardi de Boyne; Johanne de Braesilva; Roberto de Lavenno,
339
Symone de Foresta, militibus; Johanne, maiore judice Provincie et Forchalcherii; Guillielmo Olivarii; Jacobo
Cassii, admiralii Nicie; Nicholao Banbazario publico notario comunis Janue et pluribus aliis et me Martino de
Magdalena, Parisiensi, canonico Sancti Laudi Andegavensis, publico notario dicti domini comitis, qui predictis
omnibus interfui et de mandato suprascritorum domini comitis et domine comitisse et predictorum
legatorum et sindicorum hanc cartam scripsi et hoc signo meo signavi». Ho seguito l’edizione dei Monumenta
hist. patriae, introducendo le maiuscole ove occorressero e la punteggiatura. Il passo è stato pubblicato anche
dal DE LOLLIS, ibid., p. 321, sulla base dei due mss. genovesi. II secondo atto compare dopo il precedente,
nell’orig. dell’Arch. di stato di Torino, e nei cod. dell’Arch. di stato di Genova, c. 414 e della Bibl. Univ. di
Genova, c. 288, e si trova anch’esso nell’ed. del Liber jurium, col. 1411 e seg. La chiusa, ove è citato Sordello, è
la seguente (col. 1412): «Actum Aquis in palatio dicti domini comitis, presentibus domino Vicedomino,
archiepiscopo Aquensi, Bertrame, episcopo Forojuliensi, domino Sordello, magistro Johanne decano
Meldensi testibus rogatis, inter tertiam et nonam». Anche questo passo è stato edito dal DE LOLLIS, ibid., p.
231, sulla base dei codici genovesi. Su questi patti tra Genova e Carlo d’Angiò cfr. anche STERNFELD, Karl von
Anjou, p. 166 e seg.; MERKEL, Un quarto di secolo di vita comunale, p. 177, e Sordello e la sua dimora presso Carlo
d’Angiò, p. 16 e 29, n. 43; JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, p. 565.
XC
Due anni e mezzo più tardi, il 23 gennaio 1265, Sordello assisteva in Aix alla
firma del trattato di alleanza concluso da Carlo con i Torriani di Milano e coi
comuni di Lodi, Bergamo, Como e Novara341.
3. IL RITORNO IN ITALIA - LA MORTE
Questo patto preludeva, come altri conclusi da Carlo in quel tempo, alla
spedizione angioina in Italia. Questa volta Sordello seguì il suo signore. Non fece
però parte, probabilmente, del vero e proprio seguito di Carlo, il quale, imbarcatosi a
Marsiglia alla metà di maggio del 1265, venne in Italia per mare, con solo 500
cavalieri e
Il documento (conservato a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 365) è stato
edito dallo STERNFELD, ibid., p. 309 e segg., ed è stato successivamente ripubblicato da G. GALLAVRESI in
appendice al suo studio La riscossa dei Guelfi in Lombardia dopo il 1260 e la politica di Filippo della Torre, nell’Archivio
storico lombardo, s. IV, vol. V, XXXIII, 1906, p. 59 e segg. Il passo che interessa Sordello, ristampato anche dal
DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 322, è il seguente (lo cito secondo la lezione dell’originale, di cui ho preso visione
mediante una fotografia, gentilmente inviatami dall’Arch. di Marsiglia): «Actum Aquis in camera domini
comitis predicti presentibus et vocatis testibus in infrascriptis, videlicet fratre Bertrando, priore fratrum
Praedicatorum Massilie; fratre Fulcone Aycardi, de ordine fratrum Praedicatorum, fratre Petro Guffredo,
preceptore domorum militie Templi Nicie et Grasse, et fratre Boucardo, preceptore domus militie Templi de
Rua; domino Barallo domino Baucii; Petro de Vicinis, domino Limosii et senescallo Provincie et Forcalcherii;
Guillelmo de Baucio; Gauchero de Rupe; Bertrando de Baucio; Bonifacio de Gamberto; domino Sordello de
Gadio; Fulcone de Podio Riccardi; Symone Bagoto; Eustachio de Omentorio; Thoma de Castellana; Petro
Rogerii; Raymundo de Turcho, loco vicarii Massilie; et Sperone de Bigio, Petro de Laverrune, Guillelmo de
Tarascone, militibus; Guillemo Cornuto cive Massilie; et Ottone de Brayda, cive Albe; Bertrando de Beza,
cive Avinionensi; domino Johanne de Bonamena, majore judice Provincie et Forcalcherli; Guillelmo de
Villanova; Nicolao Farnello, judice Tharasconis; Petro Gortati; Petro Sardine; Frederico et Aquarato de Alba;
et Hugone Stagua, bajulo Aquensi, juris perito; Agoto de Balmis; Fremundo Berengerii; Egidio de Bonirivis,
bajulo Cistoriciensi; Guillelmo Mastarone, cive Mediolanensi, notario; et me Milone de Meldis clerico, publico
notario dicti domini comitis, cui praedicti dominus comes et Accursius praesens instrumentum et plura alia
ejusdem tenoris conscribere jusserunt, et qui praesentem cartam sive instrumentum scripsi de ipsius comitis
mandato et ad instantiam et requisitionem praedicti Accursii et hoc meo signo signavi. Anno Domini
praedicto, mense januarii, die Veneris in crastino beati Vincentii». Come si vede, l’esser risalito direttamente
all’originale mi ha permesso di correggere vari errori di trascrizione che si trovavano nel testo dato dallo
STERNFELD, riprodotto dal DE LOLLIS e (con qualche ritocco) dal GALLAVRESI, e di eliminare le incertezze
intorno alla lezione de Sadio, sulla quale si è assai discusso. Si deve leggere non de Sadio, come stamparono lo
STERNFELD, il DE LOLLIS e il GALLAVRESI, ma (per quanto le forme dell’S e del G siano nel documento assai
simili) de Gadio, come mostra l’identità tra la maiuscola iniziale di Gadio e la maiuscola iniziale di Gamberto,
nome di lettura indubbia che precede nella stessa riga. La lezione de Gadio è chiaramente un errore dello scriba
in luogo del consueto de Godio. — Sul trattato cfr. STERNFELD, ibid., p. 217 e seg.; MERKEL, Sordello e la sua
dimora presso Carlo d’Angiò, p. 16, e La dominazione di Carlo I d’Angiò in Piemonte e in Lombardia, in Memorie
dell’Accad. delle scienze di Torino, s. II, XLI, 1891, p. 230 e segg.; GALLAVRESI, ibid., p. 42 e segg.; JORDAN, Les
origines de la domination angevine en Italie, p. 572 e seg.; MONTI, La dominazione angioina in Piemonte, p. 16 e seg.
341
XCI
1000 balestrieri, sbarcando il 21 maggio presso Roma ed entrando in città il 23
maggio342. Verisimilmente Sordello, che era così poco incline, come sappiamo, ai
viaggi per mare, entrò in Italia per via di terra col grosso dell’esercito angioino, che
partì dalla Provenza nell’autunno del 1265 e attraverso il colle di Tenda giunse in
Pie-
STERNFELD, Karl von Anjou, p. 243 e segg; MERKEL, La dominazione di Carlo I d’Angiò in Piemonte e in
Lombardia, p. 241 e seg.; JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, p. 559 e seg.; DUPRÈ THESEIDER,
Roma dal comune di popolo alla signoria pontificia, p. 113 e segg.
342
XCII
monte nel novembre343. Il trovatore riponeva quindi il piede, ormai vecchio, sul
suolo della penisola, dopo più di 35 anni di assenza, in condizioni ben diverse da
quelle in cui era partito nella sua avventurosa giovinezza, che era ormai un lontano
ricordo. E tornava, mutato, in un’Italia mutata, ove molti di quelli che aveva
conosciuto o al cui fianco aveva vissuto erano scomparsi: Rizzardo di San Bonifacio
era morto nel 1253; e scomparsi, con la totale rovina della loro signoria, erano
Ezzelino da Romano, morto a Soncino il 1º ottobre 1259 in seguito alle ferite
riportate nella battaglia di Cassano d’Adda, e suo fratello Alberico, caduto per
tradimento nelle mani dei guelfi a San Zenone e trucidato ferocemente il 26 agosto
1260 insieme alla moglie e ai figli. Rimaneva viva, della potente casata, soltanto
Cunizza, che, dopo essersi sposata, morto Bonio, con un nobile della casa di
Breganze, e aver avuto, a detta di Rolandino, anche un terzo marito 344, alla caduta
dei Da Romano aveva trovato rifugio in Toscana, presso i conti di Mangona, suoi
parenti per parte di madre, e che proprio nel 1265, il 1o aprile, in Firenze, essendo
ospite in casa di Cavalcante de’ Cavalcanti, firmava un atto nel quale affrancava i
servi dei suoi fratelli, esclusi quelli — biasimati con fiere parole di esecrazione —
che avevano, col loro tradimento, permesso la cattura e lo scempio di Alberico e dei
suoi famigliari345.
Non sappiamo esattamente in quali luoghi si sia recato Sordello una volta
giunto in Italia, e se abbia partecipato — come vogliono
Sull’itinerario seguito dall’esercito angioino nella sua marcia verso l’Italia e attraverso il Piemonte e la
Lombardia cfr. MERKEL, La dominazione di Carlo l d’Angiò in Piemonte e in Lombardia, p. 257 e segg.; JORDAN,
Les origines de la domination angevine en Italie, p. 591 e segg.
344 Sulla questione, che ci interessa solo marginalmente, cfr. DE VIT, Cunizza da Romano, p. 24 e segg.;
SECRÉTANT, Il canto IX del Paradiso, p. 17; BERTONI, Cunizza da Romano e Folchetto di Marsiglia, p. 256 e seg. Il
passo di Rolandino è nell’ed. BONARDI, p. 18.
345 Cunizza visse ancora a lungo: ci resta infatti il suo testamento, rogato a Firenze il 10 giugno 1279, nel quale
essa istituiva erede di quanto possedeva e di tutti i suoi diritti Alessandro dei Conti di Mangona. È probabile
che morisse poco dopo; ma la data esatta della sua morte ci è ignota. Sulla dimora di Cunizza in Toscana cfr.
C. GUASTI, Cunizza da Romano nel cielo dantesco, in Rassegna nazionale, XXVII, 16 febbraio 1886, p. 505 e segg.;
DE VIT, ibid., p. 36 e segg.; A. BASSERMANN, Orme di Dante in Italia, trad. di E. Gorra, Bologna, 1902, p. 442 e
segg.; F. ZAMBONI, Gli Ezzelini, Dante e gli schiavi, n. ed., Roma-Torino, 1906; R. DAVIDSOHN, Geschichte von
Florenz, II, I, Berlin, 1908, p. 575; SECRÉTANT, ibid., p. 17; BERTONI, ibid., p. 256 e seg.; D’OVIDIO, Sordello, p.
14; N. ZINGARELLI, La vita, i tempi e le opere di Dante, I, Milano, 1931, p. 133.
343
XCIII
alcuni, fra cui il De Lollis 346, ma, a mio parere, senza sufficienti ragioni — alla
battaglia di Benevento, il 22 febbraio 1266. È certo però che il 22 settembre 1266 il
trovatore di Goito si trovava a Novara, come afferma chiaramente un passo di un
breve, in tale data, di papa Clemente IV a Carlo d’Angiò; passo nel quale il papa
rimprovera Carlo di aver trattato con poca generosità coloro che lo avevano seguito
e servito, citando come esempio, appunto, Sordello: «Hiis est consequens quod
inhumanus diceris, et ad nullum afficeris prout dicitur amicitia, quod ex eo a multis
presumitur, quod tuos Provinciales tanquam eos in servos emeris ad onera supra
vires adstrictos et tibi fideliter obsecutos suis fraudas stipendiis; quorum multi
perierunt inedia, multi contra sue nobilitatis et non minus tue honorem in
hospitalibus pauperum iacuerunt, multi te pedites sunt secuti. Languet in carcere
filius nobilis viri Iordani de Insula, Mediolani detentus; languet Novarie miles tuus
Sordellus, qui emendus esset immeritus nedum pro meritis redimendus; multique alii
qui te in Ytalia servierunt nudi et pauperes ad propria sunt reversi» 347.
Si può desumere dalle parole del pontefice, e specialmente dall’«emendus» e
dal «redimendus», che Sordello a Novara doveva essere trattenuto in carcere, non
semplicemente giacere ammalato, come a prima vista potrebbe far credere il
«languet» 348: ma è diffìcile determinare le ragioni di tale prigionia, che secondo alcuni
sarebbe da riconnettersi con qualche scaramuccia che pare avesse luogo
DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 60 e Pro Sordello de Godio, milite, p. 195 e segg. A questa ipotesi ha accennato
dubitativamente anche il DE BARTHOLOMAEIS, La poesia provenzale e l’Italia, p. 69, e Poesie provenzali storiche, I, p.
LXXIII. Contro questa ipotesi cfr. TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 34 e seg.
347 Il breve venne pubblicato integralmente dal MARTÈNE, Thesaurus novus anecdotorum, II, Lutetiae Parisiorum,
1717, col. 406 e segg., n. 380, e poi dal DEL GIUDICE, Codice diplomatico di Carlo I e II d’Angiò, I, p. 179, n. LIII;
ed è stato riassunto dal POTTHAST, Regesta pontificum romanorum, II, Berolini, 1865, p. 1598 e da E. JORDAN, Les
régistres de Clément IV, I, fasc. 4, Paris, 1904, p. 392, n. 1129 (Bibliothèque des Écoles francaises de Athènes et
de Rome, 2e série, XI, 4). È conservato negli Archivi Vaticani, reg. 33, c. 46, n. 254 ed è ripetuto in altri
registri.
348 Pensò che Sordello si trattenesse in Novara forse perché ammalato il MERKEL, La dominazione di Carlo I
d’Angiò in Piemonte e in Lombardia, p. 261, L’opinione dei contemporanei sull’impresa italiana di Carlo d’Angiò, in Atti
della R. Accademia dei Lincei, s. IV, vol. IV, 1888, p. 404, Sordello e la sua dimora presso Carlo I d’Angiò, p. 18, e rec.
al vol. del DE LOLLIS, p. 219 e segg. (pur non escludendo la prigionia per debiti).
346
XCIV
qua e là349, secondo altri sarebbe più verisimilmente350 una prigionia per debiti 351.
Comunque, il breve papale è importante, perché attesta in quale grande stima fosse
tenuto Sordello, citato come esempio dell’ingratitudine di Carlo accanto al figlio di
Giordano IV (signore dell’Isola - Joudain, uno dei più nobili e potenti baroni di
Carlo e uno dei capi dell’esercito angioino), e ricordato con parole di elogio così
solenni352. L’intervento del papa valse certamente ad affrettare la liberazione del
trovatore, benché, naturalmente, ci sia ignoto il momento in cui questa avvenne.
Certo Sordello era libero, e forse si ritrovava presso Carlo d’Angiò quando Luchetto
Gat-
Pare che l’esercito angioino dovesse sostenere, secondo il cronista Andrea Ungaro, un piccolo scontro
presso Vinzaglio (cfr. MERKEL, La dominazione di Carlo I d’Angiò in Piemonte e in Lombardia, p. 261), e forse altri
se ne ebbero altrove. A una prigionia di guerra pensarono il PARODI, Il Sordello di Dante, p. 188; il NOVATI, Il
canto VI del Purgatorio, p. 24 e seg., e 51; il CHAYTOR, The Troubadours, p. 102; e il BERTONI, I trovatori d’Italia, p.
80, e nella voce dell’Enciclopedia italiana.
350 Novara era città fedele a Carlo d’Angiò, in quanto retta dai Torriani (si è visto che aveva stipulato un
accordo con Carlo nel 1265); d’altra parte sappiamo che l’esercito angioino fece una tappa nella città (cfr.
MERKEL, ibid., p. 261). Non è quindi molto verisimile che proprio a Novara Sordello fosse trattenuto come
prigioniero di guerra.
351 Favorevole alla ipotesi della prigionia per debiti è l’U GOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXIV; a
questa opinone si era mostrato incline anche il MERKEL, benché non escludesse anche l’ipotesi della malattia
(cfr. gli scritti sopra citati, e specialmente la rec. al vol. del DE LOLLIS). Il CRESCINI, Sordello, p. 23, si limitò a
dire il trovatore «forse prigioniero» a Novara senza accennare alla causa. Alla tesi della prigionia, pur non
precisando la causa, inclinava il PARODI, II Sordello di Dante, p. 188; e «prigioniero per cause non note» lo ha
detto anche il DE BARTHOLOMAEIS, La poesia provenzale e l’Italia, p. 69; Poesie provenzali storiche, I, p. LXXIII,
Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 277. II TALLONE, nello studio Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 190,
accennò alle varie ipotesi senza pronunciarsi in merito; e incerto rimane anche il T ORRACA, Sul «Sordello» di C.
De Lollis, p. 34 e seg. Il VISCARDI, Poesie di Sordello, in Dizionario letterario Bompiani, V, Milano, 1948, p. 678 ha
pensato che il trovatore mantovano languisse in un ospizio destinato ai mendici. In un curioso errore è
caduto l’ANGLADE, che anche nella quarta ed. del vol. Les troubadours, Paris, 1929 affermava che Sordello
venne imprigionato da Carlo d’Angiò («Sordel reçut des donations de Charles d’Anjou, mais après avoir été
mis en prison par lui pour une cause que nous ne connaissons pas»)! Cfr. anche S CHULTZ-GORA, Die
Lebensverhältnissen der italienischen Trobadors, p. 213 e rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 243.
352 Non diminuisce il valore dell’alto riconoscimento papale dei meriti di Sordello il fatto che il papa Clemente
IV, nato a Saint Gilles presso Nîmes, figlio di un giudice e cancelliere dei conti di Tolosa, aveva conosciuto
Sordello in Provenza, forse nel 1256, quando svolse un’inchiesta sulla amministrazione del siniscalco di
Provenza per ordine di Luigi IX, o nel 1257-1259, quando fu vescovo di Puy, anni in cui, secondo il FABRE,
avrebbe — come vedremo — imitato l’Ensenhamen d’onor del trovatore mantovano.
349
XCV
tilusio gli indirizzava, chiamandolo «segn’ en Sordel», verisimilmente non molto
dopo il 27 maggio 1267, il sirventese D’un sirventes m’es granz volontatz preza, in cui
rivolgeva a Carlo, che aspirava alla vicaria o alla bailia dell’impero, vari consigli 353, e
l’altro sirventese pubblicato dal Rajna, di cui la malaugurata perdita quasi totale della
prima strofe ci vieta di citare il primo verso, scritto anch’esso fra gli ultimi mesi del
1267 e i primi del 1268354.
Carlo però non si limitò a intervenire per la liberazione di Sordello. Egli
cercò di riparare alla sua trascuratezza nei riguardi del
Per il testo di questo componimento (P. C. 290, 1 a), oltre alla edizione necessariamente lacunosa e
imperfetta del RAJNA (Un frammento di un codice perduto di poesie provenzali, in Studi di filologia romanza, V, 1891, p.
48 e segg.) fondata sul solo ms. r, cfr.: G. BERTONI, I trovatori minori di Genova, Dresden, 1903, p. 28 e segg., e I
trovatori d’Italia, p. 438 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 226 e segg.; UGOLINI, La
poesia provenzale e l’Italia, p. 120 e seg. Circa la data del sirventese credo abbia ragione l’U GOLINI, ibid., p.
XXXV e XLIX, a ritenerlo posteriore al 27 maggio 1267, giorno in cui a Viterbo Carlo d’Angiò concluse un
trattato con Baldovino II, già imperatore latino d’Oriente, promettendogli di aiutarlo a combattere Michele
Paleologo, che nel 1261 lo aveva cacciato dal trono di Costantinopoli, ma non posteriore al 1268. Sono
d’accordo con l’UGOLINI (ibid., p. 149 e seg.) nel rifiutare il riferimento alla Puglia che lo JEANROY (Annales du
Midi, XIII, 1901, p. 88) e il BERTONI (I trovatori d’Italia, p. 438 e 584), seguiti dal DE BARTHOLOMAEIS (ibid., p.
228) vollero introdurre al v. 17, con una correzione non necessaria. Il R AJNA (ibid., p. 32 e segg.) ritenne che il
componimento fosse da collocarsi tra il 1268 e il 1273; e a tale data si attenne anche il D E LOLLIS (Vita e
poesie, p. 67), mentre il BERTONI (I trovatori d’Italia, p. 584) preferiva pensare al periodo 1261-1273, e il DE
BARTHOLOMAEIS (ibid., p. 226 e segg.; Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 274) lo assegna al gennaio-febbraio
1266. Col DE BARTHOLOMAEIS sta anche G. M. MONTI, Nuovi studi angioini, Trani, 1937, p. 415. Quanto
all’autore, non v’ha dubbio che va abbandonata la vecchia attribuzione a Lanfranco Cigala proposta dal
RAJNA, sulla base della rubrica di r, unico manoscritto a lui noto, e che la lirica deve ritenersi sicuramente
(nonostante le incertezze del DE BARTHOLOMAEIS, non messe da parte neppure nel recente volume sui
Primordi della lirica d’arte in Italia, che è del 1943) di Luchetto Gattilusio, come sostenne fermamente il
BERTONI fondandosi sulla rubrica di a’: infatti, come ha dimostrato inoppugnabilmente l’U GOLINI (ibid., p.
XLII e segg.) Lanfranco Cigala morì tra il 16 marzo 1257 e il 24 settembre 1258.
354 Per il testo del sirventese cfr. RAJNA, Un frammento di un codice perduto, p. 45 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS,
Poesie provenzali storiche, II, p. 245 e segg. Anche questa lirica è stata attribuita, sulla base della rubrica di r, unico
ms. in cui è conservata, a Lanfranco Cigala (cfr. RAJNA, ibid., p. 27 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie
provenzali storiche, II, p. 245 e segg. e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 283; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 97;
P. C. 282, 26 a); ma è da togliere senz’altro a Lanfranco, per la ragione già detta, e da assegnare con molte
probabilità al Gattilusio (cfr. UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXV e XLIV). Quanto alla data non
vi sono divergenze di rilievo, anzi sostanzialmente i vari studiosi concordano: il RAJNA (ibid., p. 27 e segg.) e il
DE BARTHOLOMAEIS (Poesie provenzali storiche, II, p. 245 e segg.) collocano il componimento tra l’estate del
1267 e la primavera del 1268; il B ERTONI (ibid., p. 97) pensa che ci si possa restringere all’autunno del 1267.
353
XCVI
suo fedele cavaliere con prove più evidenti della sua benevolenza e della sua
protezione. Probabilmente non molto dopo il breve papale e la liberazione del
trovatore, Carlo investiva Sordello dei diritti feudali sopra il castello di La Morra, nel
territorio di Cuneo, e delle sue pertinenze 355. La concessione deve necessariamente
collocarsi tra il 31 novembre 1259, giorno della dedizione della città di Alba a Carlo
d’Angiò, e il 28 maggio 1269, data del documento in cui si fa menzione, per
incidenza, della avvenuta concessione dei diritti del castello di Morra e delle sue
pertinenze a Sordello 356; ma è difficile pensare che la concessione fosse avvenuta
quando Sordello era ancora in Provenza, come pure è difficile pensare che a tale
concessione Carlo addivenisse dopo aver dato al trovatore i feudi abruzzesi, la cui
prima concessione è, come vedremo, del 5 marzo 1269. Sicché credo lecito col
Tallone formulare l’ipotesi che la concessione del castello della Morra fosse una
prima concessione provvisoria, fatta da Carlo per riparare ai suoi torti nell’attesa di
ulteriori infeudazioni da farsi dopo che fosse completata la sottomissione del regno,
cioè dopo la sconfitta di Corradino 357. S’intende che siamo sempre, però, nel campo
delle ipotesi, perché mancano elementi per arrivare ad una datazione esatta 358.
Sulla questione cfr. lo studio di TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 189 e segg.; e E.
MONCHIERO, Il Piemonte sotto la dominazione angioina, in Comunicazioni della Società per gli studi storici, archeologici ed
artistici per la provincia di Cuneo, anno III, 1931, n. 2, p. 7 e segg. (specialmente l’ultima parte, p. 12 e segg., che
reca il titolo La Morra, feudo di Sordello di Goito).
356 Carlo, concedendo ad alcuni cittadini di Alba e di Cherasco, per soddisfare un debito contratto dal suo
siniscalco Guglielmo Stendardo, il ricavato della vendita delle «comunanze» di Alba e Cherasco a lui spettanti,
precisa che da tale concessione vanno eccettuati «redditus quos excipere debet Sordellus de Godio miles
noster in castro Morre et pertinencijs eius» (Arch. di stato di Napoli, Registri angioini, IV, Carolus I, 1269 B,
c. 167 r).
357 Anche MONTI, La dominazione angioina in Piemonte, p. 20 accetta la tesi del T ALLONE, assegnando la
concessione al 1266.
358 Il TALLONE (ibid.) osserva che da un documento del 4 luglio 1269 (Arch. di Stato di Napoli, Reg. ang. IV,
Carolus I, 1269 B, c. 115 v.), che integra l’atto del 28 maggio, dando disposizioni in caso di mancato accordo
tra i cittadini di Alba e Cherasco e i cittadini di Cuneo, ai quali le «comunanze» in questione erano già state
assegnate per un biennio, risulta che il biennio per il quale era stata concessa ai cittadini di Cuneo la quota
regia delle «comunanze» di Alba e Cherasco era prossimo a scadere, e che quindi la concessione delle
«comunanze» stesse doveva risalire circa alla seconda metà del 1267; ma è chiaro che ciò non permette
nessuna illazione precisa riguardo a Sordello, in quanto la concessione a lui fatta è del tutto indipendente da
quella fatta ai cittadini di Cuneo. Il MONCHIERO (ibid., p. 7 e segg.) vorrebbe far risalire la concessione
all’ottobre 1265, epoca in cui avvenne — egli dice — il soggiorno di Carlo in Alba; ma non so da quali fonti
ricavi la data di tale soggiorno, che sembra da lui ricollegato alla venuta in Italia, a quella data, dell’esercito
angioino, col quale fa discendere in Italia anche Carlo (p. 10), mentre è noto che Carlo venne in Italia non per
via di terra, ma per mare, partendo da Marsiglia alla metà del maggio 1265 e sbarcando presso Roma il 21
maggio.
355
XCVII
Più tardi, dopo che la battaglia di Tagliacozzo e il supplizio di Corradino gli
ebbero assicurato definitivamente il dominio del regno, Carlo d’Angiò includeva
Sordello nel numero di quei baroni a cui faceva ampie concessioni di feudi, sia per
premiarli della loro fedeltà e del loro appoggio, sia per inserire tra la feudalità dello
stato recentemente conquistato un buon numero di suoi fedeli, onde assicurarsi un
appoggio ed eliminare la possibilità di insurrezioni359. Il 5, o più probabilmente il 12
marzo 1269 il sovrano angioino, considerando i «grandia, grata et accepta servitia»
che Sordello gli aveva reso e gli avrebbe reso in futuro, concedeva al trovatore «et
heredibus suis utriusque sexus ex ipsius corpore legitime descendentibus natis jam et
etiam nascituris», i castelli abruzzesi di Monte Odorisio, Monte San Silvestro,
Paglieta e Pila, e il casale di Castiglione 360: feudi che complessivamente 361 avevano
una rendita
Dopo la vittoria di Benevento vi furono poche distribuzioni di feudi, poiché Carlo considerò come leali
avversari i baroni di Manfredi e dopo la battaglia li liberò e lasciò loro i feudi. Ma i baroni che si erano ribellati
ponendosi dalla parte di Corradino vennero tenuti in conto di traditori e furono spogliati dei loro beni a
profitto della corona (cfr. P. DURRIEU, Études sur la dynastie angevine de Naples. Le «Liber donationum Caroli Primi»,
in Mélanges d’archeologie et d’histoire de l’École française de Rome, VI, 1886, p. 213 e segg.).
360 Non «il castello di Casale Castiglione», come intende il D E LOLLIS, Vita e poesie, p. 61: infatti nel
documento si legge «castra Montis Odorisii, Montis Sancti Silvestri, Pallete et Pile et casale Castillonis...
donamus, tradimus et concedimus», e più oltre «de castris et casali predictis», «castra et casale predicta», etc. Si
veda il testo completo del documento in appendice. Il documento, già conservato nell’Archivio di stato di
Napoli (Reg. ang., IV, Carolus I, 1269 B, c. 13), fu segnalato dal DEL GIUDICE, Codice diplomatico del regno di
Carlo I e II d’Angiò, II, p. I, p. 268 n., e fu pubblicato integralmente dal DE LOLLIS, ibid., p. 323 e segg. È da
notare che nel registro il documento, come vari altri, era cassato, e che a margine era scritto «mutatum est et
rescriptum». Sulla questione della data cfr. T ALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 194 e seg. Cfr.
inoltre SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 213; MERKEL, Sordello e la sua dimora
presso Carlo d’Angiò, p. 19, e rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 223; DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite, p. 192;
TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 32.
361 Tale somma è indicata nel Liber donationum, Archivio di stato di Napoli, c. 90 B, 91 B. Sul Liber donationum
(che è il n. VII della serie dei registri angioini) cfr. lo studio del D URRIEU, Études sur la dynastie angevine de
Naples.
359
XCVIII
di 157 once d’oro362. È da notare che nel documento Sordello è designato coi titoli
di miles e di dilectus familiaris et fidelis noster, tra i quali è particolarmente notevole quello
di familiaris, che non si soleva concedere se non ai baroni più legati alla corte e a
quelli di più alto lignaggio, ed era unito a particolari diritti e a particolari distinzioni
alla corte363.
Il 21 maggio dava Carlo inoltre ordine ai suoi ufficiali del principato di Terra
di Lavoro e d’Abruzzo di mettere in possesso Sordello (detto ancora miles e familiaris
et fidelis noster), o un suo delegato, del castello di Civitaquana nell’Abruzzo e di tutte
le dipendenze e di tutti i diritti feudali ad esso pertinenti. Non si trattava però,
questa volta, di una donazione trasmissibile agli eredi, ma di una donazione
personale a vita364.
Verso la fine di giugno, però, essendosi decisa la concessione della contea di
Chieti a Rodolfo di Courtenay365, Sordello, evidentemente per compiacere al
sovrano e a Rodolfo, rassegnò alla regia curia i castelli di Monte San Silvestro, Pila e
Paglieta, che vennero
Tale rendita ci mostra che la donazione non era di poco conto, se si pensa che a Bertran de Baus,
appartenente a una delle più illustri casate feudali della Provenza, Carlo donava in quello stesso anno, e
sempre in Abruzzo, vari feudi (Archi, San Valentino, Filetto, Miglianico, Corbara ecc.) per una rendita di 230
once d’oro (cfr. BARTHÉLEMY, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison de Baux, n. 556, p. 159;
Arch. di stato di Napoli, Reg. ang., VI, Carolus I, 1269 D, c. 7), e che per ogni 20 once d’oro di rendita il
feudatario doveva fornire al re, in caso di guerra, un cavaliere armato ed equipaggiato (cfr. C AMERA, Annali
delle Due Sicilie, I, Napoli, 1841, p. 297; P. DURRIEU, Les Archives angevines de Naples. Étude sur les registres du roi
Charles Ier (1265-1285), I, Paris, 1886, p. 68, e Études sur la dynastie angevine de Naples, p. 201 e seg.
363 Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 61 e seg., che rimanda allo studio del DURRIEU, Les Gascons en Italie, Auch,
1885, p. 7, n. 2.
364 L’atto di donazione (Arch. di stato di Napoli, Reg. Ang., IV, Carolus I, 1269 B, c. 189 B) è stato pubblicato
dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 234 e seg.; ed è stato riprodotto integralmente in appendice. Cfr. anche
TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 196.
365 Rodolfo di Courtenay fu investito del «comitatum Theatinum situm in Justiciariatu Aprucij» il 29 giugno
(Arch. di stato di Napoli, Reg. Ang., IV, Carolus I, 1269 B, c. 152). Anche questo atto era già stato segnalato
dal DEL GIUDICE, Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d’Angiò, II, p. I, p. 269 n., ma con la data del 30
giugno. Cfr. TALLONE, ibid..
362
XCIX
aggregati alla contea di Chieti, e ne ricevette in cambio, con un decreto del 30
giugno, il castello di Palena, anch’esso nell’Abruzzo, con tutte le sue pertinenze. In
questo atto era confermata al trovatore la donazione in feudo vitalizio del castello di
Civitaquana, e insieme ad essa quella del castello di Ginestra, di cui non si parla
nell’atto del 21 maggio né in altro atto a noi giunto, ma presumibilmente avvenuta
tra il 21 maggio e il 30 giugno 366. Sordello in tal modo restava in possesso dei castelli
di Monte Odorisio e di Palena e del casale di Castiglione a titolo di feudo
trasmissibile agli eredi, e dei castelli di Civitaquana e di Ginestra a titolo vitalizio:
complessivamente questi feudi rappresentavano una rendita di 200 once d’oro 367.
Dopo la donazione di Palena, borgo famoso per le sue tintorie, e le sue
gualchiere368, sottoposte un tempo all’autorità dei feudatari del luogo, che
esercitavano dei diritti sulle loro rendite 369, vanno forse collocate le cobbole
scambiate tra Sordello e un principe, in cui si è appunto voluto vedere Carlo
d’Angiò. Su questi versi (n. XXXII di questa edizione), che costituiscono, se si
accetta la loro attribuzione a questo momento della vita del trovatore, l’ultima voce
poetica di Sordello, si è molto discusso, perché molti hanno voluto assegnarli ai
tempi di Raimondo Berengario IV, attribuendo naturalmente a questo principe la
cobbola di risposta. E veramente bisogna confessare che non abbiamo elementi
sufficienti per arrivare a una soluzione del problema che non lasci dubbi o
incertezze. Il codice che, unico, ci conserva queste cobbole (P)370 non ci dà
sfortunatamente alcun elemento utile: la rubrica che precede il componimento (cobla
de messer Sordel qera malad) ci assicura bensì che la prima cobla è di Sordello — cosa
che del resto appare dal primo verso della cobla di risposta, da cui non è escluso che
il compilatore del codice o del suo antigrafo abbia tratto lo spunto per la rubrica —
ma non ci forAnche questo atto (Arch. di stato di Napoli, Reg. ang., IV, Carolus I, 1269 B, c. 151) era stato segnalato dal
DEL GIUDICE, ibid., II, I, p. 269 n. e venne pubblicato dal DE LOLLIS, ibid., p. 325 e seg. Cfr. TALLONE, ibid.
Erra il DE LOLLIS quando afferma che della donazione di Ginestra si parla nell’atto del 21 maggio: di essa si
fa menzione solo nell’atto del 30 giugno.
367 Archivio di stato di Napoli, Liber donationum, c. 90 B.
368 Cfr. AMATI, Dizionario corografico illustrato dell’Italia, Milano, 1875 e segg., V, p. 854.
369 Cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 63, che rimanda al MINIERI-RICCIO, Biblioteca storico-topografica degli Abruzzi, Napoli,
1862, p. 421.
370 c. 65 a, n. CXLVIII: cfr. l’ed. diplomatica, di E. S TENGEL, Die provenzalische Liederhändschrift Cod. 42 der
Laurenzianischen Bibliothek in Florenz, nell’Arch. für das Stud. der neueren Spr. und Lit., L (1872), p. 281.
366
C
nisce alcuna indicazione circa l’autore della cobla di risposta; né alcun’altra rubrica è
posta, a chiarire il problema, prima di questa ultima cobbola. E nemmeno si può
trarre, naturalmente, qualche dato sicuro dalla lirica Non sai qe ie die che segue alle
nostre cobbole, preceduta dalla rubrica Aqest fe messer Sordel pro Karl, poiché tale
rubrica non prova nulla, mi sembra, riguardo a ciò che precede 371. Non ci resta
quindi che ricorrere ad elementi interni, che tuttavia sono anch’essi tutt’altro che
abbondanti e sicuri. L’accenno ai fol però sembra essere un richiamo alle gualchiere
di Palena. È stato obiettato dallo Schultz-Gora372 che Sordello non poté prender
moglie da vecchio; ma è obiezione senza fondamento, perché — a parte il fatto che,
come osservano il De Lollis 373 e il Merkel374, un matrimonio di interesse sarebbe pur
sempre stato possibile anche in età molto tarda375 — nulla ci obbliga a pensare a un
matrimonio re-
Il NAETEBUS, nella sua rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 204, vorrebbe riferire la rubrica Aqest fe messer Sordel
pro Karl non ai versi che seguono — i quali, come vedremo, non appartengono certo al trovatore mantovano,
ma sono un motet francese che si ritrova in varie raccolte — ma alla cobla di risposta del nostro
componimento. Egli pensa che questa annotazione potesse trovarsi nel margine dell’antigrafo o in un altro
ascendente di P accanto alla cobla Sordels diz mal de mi, e che la sua collocazione prima dei versi francesi Non sai
qe ie die — coi quali in questo caso non avrebbe alcun legame — sia da attribuirsi all’arbitrio di un copista; e
vorrebbe intendere pro Karl nel senso di «anstatt Karls», ammettendo in conseguenza che anche la cobla di
risposta sia stata scritta da Sordello, il quale in essa avrebbe dato forma poetica a una frase di Carlo d’Angiò
occasionata dalla cobla di Sordello. È una ipotesi assai acuta, ma non certo tale da essere accettata senza
riserve, e di fronte alla quale si resta assai incerti. — Un indizio dell’appartenenza di queste coblas agli anni in
cui Sordello visse in Italia, e quindi, nel nostro caso, agli ultimi anni della vita del trovatore, e della
identificazione del «seignor» con Carlo d’Angiò potrebbe anche essere il fatto che le coblas si trovano nel
manoscritto P, scritto in Italia, che ci conserva pure un altro testo unico, da riferirsi però alla giovinezza del
trovatore, e cioè lo scambio di cobbole con Aimeric de Peguilhan (n. XXX di questa edizione). Ma anche
questo, in verità, è un argomento tutt’altro che sicuro.
372 Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 209.
373 Vita e poesie, p. 63 e seg.
374 L’opinione dei contemporanei sull’impresa di Carlo d’Angiò, p. 133, n. 3.
375 Tanto più — si potrebbe aggiungere — che Carlo talora diede in moglie a qualche barone, per assicurargli
una ricompensa, qualche nobile damigella o vedova del reame che possedesse feudi: basti citare come
esempio caratteristico quello offerto dal Liber donationum Caroli Primi, c. 103, ove è detto: «Seville, jadis fame
de Rogier de Terne, est doneie a fame a Adenaise de Tarascon o toute sa terre, c’est a ssavoir:
371
Le castel de Terne
Le castel de Rocque
}
vaut L unces »
(cfr. P. DURRIEU, Études sur la dynastie angevine de Naples, p. 218).
CI
cente, potendo la frase accennare a un matrimonio anche di data notevolmente
anteriore376. Più seria è l’obiezione mossa dal Torraca 377, che Sordello non poteva
dirsi «paubre d’aver» dopo la donazione di questi feudi; ma si può superare,
pensando che Sordello non fosse contento di tali donazioni (che forse potevano
parergli esigue di fronte a quelle fatte ad altri baroni o situate in luoghi troppo
lontani e scomodi), o che la cobla di Sordello sia stata scritta subito dopo la
donazione, quando ancora egli, ammalato (come appare dal v. 4) e forse
impossibilitato a muoversi, non aveva riscosso alcuna rendita dai suoi feudi
lontani378. Né è obiezione di gran peso il fatto che Carlo d’Angiò non ci ha lasciato
versi provenzali, ed è noto solo come autore di versi francesi: da un lato, parecchi
suoi componimenti saranno andati perduti, ed è verisimile che abbia scritto in
ambiente provenzale qualche componimento d’occasione in lingua occitanica; d’altra
parte nulla toglie che egli abbia scritto o fatto scrivere questa cobla, eccezionalmente,
per rispondere a Sordello379.
Dopo le donazioni di Carlo, Sordello non dovette vivere a lungo.
Tale è anche l’opinione delI’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXVI e seg.
Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 32 e seg.
378 Si potrebbe anche pensare che la cobbola di Sordello sia stata scritta prima della donazione dei feudi, e la
risposta di Carlo d’Angiò subito dopo; ma non è certo il caso di pensare, col FAURIEL e col MERKEL, che la
cobbola di Sordello sia stata scritta quando il trovatore giaceva ammalato a Novara e la risposta di Carlo dopo
le note donazioni (e in particolare dopo quella delle gualchiere di Palena): tre anni di distanza sono troppi,
come ebbe giustamente ad osservare il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 33). Cfr. inoltre TALLONE,
Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 200.
379 Per la tesi favorevole all’identificazione del «seignor» di questo componimento con Carlo d’Angiò cfr.
principalmente: DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 48 e seg., 63 e seg., Pro Sordello de Godio, milite, p. 191 e segg.;
GUARNERIO, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 388; MERKEL, L’opinione dei contemporanei sull’impresa italiana di Carlo
d’Angiò, p. 405, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 26, e rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 224;
NAETEBUS, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 204; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 263 e seg. e
Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 291 e seg.; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXVI e seg. Credono
invece o inclinano a credere che si tratti di Raimondo Berengario IV lo S CHULTZ-GORA, Ueber den Liederstreit
zwischen Sordel und Peire Bremon, p. 126, e Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 209; l’APPEL, rec. al
vol. del DE LOLLIS, col. 229; il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 31 e seg., Sul «Pro Sordello» di C. De
Lollis, p. 30 e segg., e Noterelle provenzali, in Atti della R. Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Napoli, n. s.,
vol. XII, 1931-32, p. 245; il TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 197 e segg.; il BERTONI, I trovatori
d’Italia, p. 80. Cfr. anche APPEL, rec. al vol. del DE LOLLIS, col. 229.
376
377
CII
I feudi a lui assegnati infatti il 30 agosto 1269 venivano concessi 380, sempre con la
stessa dichiarazione di valore (200 once d’oro), a Bonifacio di Galibert, un cavaliere
provenzale che aveva fatto parte anch’egli della corte di Carlo d’Angiò in Provenza,
e che aveva poi, al pari di Sordello, seguito Carlo in Italia 381. Nel registro non è
notato se il trasferimento sia accaduto per cambio oppure per la morte di Sordello;
ma il fatto che nei registri angioini, come risulta dalle diligenti ricerche del De
Lollis382, il nome del nostro trovatore non compaia più, porta, a formulare l’ipotesi
che nella stessa estate del 1269 egli sia morto senza eredi, non sappiamo bene in
quale località, ma certo in Italia, e verisimilmente nel reame angioino 383.
Circa il modo in cui Sordello venne a morte si è assai discusso. Benvenuto da
Imola afferma che correva voce che Sordello fosse stato fatto uccidere da Ezzelino
da Romano: «timens Eccirinum, formidatissimum hominum sui temporis, recessit
ab eo; quem Eccirinus, fecit postea trucidari» 384; e l’anonimo fiorentino ripete la
notizia, benché non nasconda i suoi dubbi: «Vuol dire alcuno che poi fu morto di
subitana morte, e per questo l’autore il mette in questo luo-
Liber donationum Caroli Primi, c. 90 B.
Lo ritroviamo infatti, accanto a Sordello, tra i testimoni del trattato di pace firmato tra Carlo e la città di
Marsiglia il 26 luglio 1252, dell’atto di cessione della parte superiore di Marsiglia fatta dal vescovo di Marsiglia
a Carlo il 30 agosto 1257, e del trattato concluso tra Carlo e i Torriani nel 1265. Il DE LOLLIS, Vita e poesie, p.
64, n. 3, lo suppose imparentato con la famiglia dei da Castellane, poiché suo figlio è detto «Refortiatus de
Castellana» in un documento del 22 marzo 1283 (Arch. di stato di Napoli, Fasc. ang. 6, c. 131 B).
382 Cfr. Vita e poesie, p. 65 e seg., n.
383 Lo SCHULTZ-GORA suppose (Die Lebensverhaätnisse der italienischen Trobadors, p. 213) che Sordello ritornasse
in Provenza e ivi appunto venisse a morte; ma tale ipotesi venne giustamente combattuta già dal RAJNA, Un
frammento di un codice perduto, p. 40, e non è stata più ripresa, essendo manifestamente priva di fondamento. —
Bonifacio di Galibert tenne i castelli che erano stati di Sordello fino al 1279, anno in cui venne a morte,
lasciando erede dei suoi diritti il figlio Reforzat: cfr. il documento del 13 settembre 1279, Arch. di stato di
Napoli, Reg. ang., Carolus I, 1276 B, c. 235 B, nel quale si accenna alla morte recente di Bonifacio («Bonifacii
de Galberto fidelis nostri qui nuper decessit»). II figlio di lui «Refortiatus» è ricordato il 22 marzo 1283 come
«feudatarius et dominus ipsius castri Palene» (Arch. di stato di Napoli, Fasc. ang. 6, c. 131 B).
384 Ed. LACAITA, III, p. 177.
380
381
CIII
go; ma che questo intervenisse non si truova» 385. E alcuni studiosi, anche per il
luogo assegnatogli da Dante nell’antipurgatorio 386, hanno accolto l’ipotesi della
morte violenta o hanno pensato che Dante ritenesse Sordello morto
violentemente387. Tale ipotesi però a me sembra inaccettabile. È evidente che la
notizia, nella forma in cui si presenta in Benvenuto, non ha fondamento, essendo
Sordello sopravvissuto ad Ezzelino. Ma anche ammettendo che l’attribuzione della
morte violenta di Sordello a un ordine di Ezzelino sia un’invenzione di Benvenuto,
legata al racconto degli amori tra Sordello e Cunizza e all’accenno alla crudeltà di
Ezzelino, e che sia corsa realmente voce che il trovatore di Goito perisse di morte
violenta, a me non sembra che vi siano motivi sufficienti per ritenere la notizia
anteriore a Dante. Per me si tratta di una notizia nata in margine al testo dantesco,
ad opera di interpreti che dal luogo in cui è collocato Sordello nell’antipurgatorio
desumevano che egli appartenesse alla schiera dei «morti per forza», e supponevano
che Dante avesse posto in tale luogo il trovatore perché lo reputava ucciso
violentemente.
Ed. FANFANI, II, p. 105 e seg.
Essi credono, naturalmente, che Sordello faccia parte della schiera dei «morti per forza».
387 Affermano che Sordello forse morì di morte violenta l’ANGLADE, Les troubadours, p. 236 e il MARIGO, ed.
del De vulgari eloquentia, Firenze, 1938, p. 125. Il C HAYTOR, The Troubadours, p. 103 si limita a citare l’ipotesi
della morte violenta senza pronunciarsi in merito. Credettero che Dante ritenesse il trovatore morto
violentemente il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 43, A proposito di «Sordello», p. 306 e seg. e il
CRESCINI, rec. al vol. del MERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, in Giorn. stor. dela lett. it., XVII,
1896, p. 127; S. SANTANGELO, Dante e i trovatori provenzali, Catania, 1921, p. 13 e p. 188 e segg. Sembra
inclinare a porre Sordello tra i «morti per forza» anche il commento di CASINI-BARBI, n. a Purg., VII, 40 (cfr.
T. CASINI, Bull. d. Soc. Dant. II., IX, p. 51). Cfr. anche SCARTAZZINI, commento lipsiense alla Divina Commedia,
II, p. 89. Assegnano invece Sordello alla valletta il GUARNERIO, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 389 e segg.; lo
ZINGARELLI, La vita, i tempi e le opere di Dante, II, p. 1056; e fra i commentatori il Pietrobono, n. a Purg., VI, 5859 e (con l’aggiunta di un «probabilment ») il M OMIGLIANO, n. a Purg., VII, 40. Nega che appartenga alla
schiera dei «morti per forza» e lo accosta ai principi della valletta, ponendolo però quasi in una sotto-schiera
speciale il PARODI, Il Sordello di Dante, p. 190 e segg., alla cui opinione si attiene anche il D’O VIDIO, Studi sulla
Divina Commedia, I, p. 17. Ricollegano il trovatore ai principi della valletta, assegnandogli però una funzione
speciale, quella di giudice di tali anime, il CRESCINI, A proposito di Sordello, p. 43 e 60 e segg., e V. ROSSI,
commento al Purgatorio, n. a VI, 59 e VII, 40. Il D’ANCONA, Il canto VII del Purgatorio, Firenze, 1901, p. 13 e
seg., inclina a credere che Sordello appartenga alla schiera delle anime della valletta, pur senza escludere che
Dante abbia voluto in qualche modo distinguerlo da esse. Al P ORENA, comm. al Purgatorio, n. a VII, 40, il
trovatore non sembra appartenere a nessun gruppo, ma stare a sé.
385
386
CV
II
L’OPERA POETICA DI SORDELLO
I. POESIE DI SICURA ATTRIBUZIONE E POESIE DI DUBBIA
AUTENTICITÀ
Tra i trovatori, Sordello è uno di quelli di cui è stato conservato un numero
abbastanza cospicuo di liriche; tra i trovatori italiani, poi, egli merita senz’altro,
quanto al numero delle liriche pervenuteci, il primo posto. Egli ci ha lasciato infatti
quarantatre componimenti di sicura attribuzione388, uno dei quali è il lungo
poemetto didattico Ensenhamens d’onor.
Per molti componimenti l’attribuzione a Sordello è data concordemente da tutti i manoscritti, o compare
ben chiara nell’unico codice che ci ha conservato la poesia. Per qualche altro si presenta qualche oscillazione,
che però non dà luogo a vere incertezze, essendo l’attribuzione a Sordello testimoniata dai codici più
autorevoli; è il caso della canzone Gran esfortz fai (n. VII di questa edizione), anonima in f e attribuita a Peire
Bremon Ricas Novas in T, ma data a Sordello da C R, della canzone Per re no·m puesc (n. VIII di questa ed.), in
T anonima e posta dopo a Gran esfortz fai (attribuita al Ricas Novas) ma assegnata da C R a Sordello, e del
sirventese morale Qui be·is membra, dato a Sordello da tutti i manoscritti, ad eccezione di I2 K2 che lo assegnano
ad Aimeric de Peguilhan. Né suscita gravi difficoltà la attribuzione a Sordello della cobla con tornada Entre dolsor
et amar (n. XXXVIII di questa ed.), che è data a Sordello da F, ed è anonima in P. Più complesso è il problema
della lirica No·m maraveill si·l marit son gilos (n. XLI di questa ed.), conservata unicamente dal ms. I, c. 124 r., la
quale è unita senza alcuna distinzione, come se si trattasse di un’altra strofe di essa, alla lirica Si com estau taing
qu’esteja (n. XLII di questa ed.), ma evidentemente va distinta da essa, per la radicale differenza del metro (la
prima lirica è in decasillabi, la seconda è in settenari). Siccome però la lirica XLII è preceduta nel codice dalla
rubrica Densordels de mantoana possiamo ritenere con molta probabilità che anche la lirica XXI sia da assegnare
al trovatore di Goito. Mette conto di osservare che il Grundriss del BARTSCH e la Bibliographie di PILLET e
CARSTENS si dimenticano completamente di questa lirica, che non è registrata né tra le poesie di Sordello, né
tra le anonime, né tra quelle di altro trovatore, come ho potuto constatare, per la Bibliographie, scorrendo la
tavola delle rime. Il BARTSCH la riteneva certo un tutto unico con la lirica Si com estau, come si scorge anche
dal rimando al MAHN, Gedichte der Trobadors, Berlin, 1856-73, n. 1276 (benché, a dire il vero, il MAHN distingua
abbastanza chiaramente con un trattino e con una numerazione indipendente la seconda lirica dalla prima).
Nella Bibliographie del PILLET e del CARSTENS si tratta di una vera e propria svista (favorita certo dalla
dimenticanza del BARTSCH), perché la lirica Si com estau — che conserva il n. 32 assegnatole dal BARTSCH — è
accompagnata dall’indicazione «cobla», il che mostra che il PILLET e il CARSTENS hanno giustamente
considerato tale lirica una cobla isolata, ma si sono poi dimenticati di registrare anche la lirica No·m maraveill.
Forse la svista del PILLET e del CARSTENS fu favorita dal fatto che il DE LOLLIS non pensò a corredare la sua
edizione di un indice delle poesie in essa contenute. Avverto che nelle introduz. che accompagnano i testi
sono sempre notate le attribuzioni date dai codici per ciascun componimento. II sirventese Un sirventes farai ses
alegratge, attribuito a Sordello dalla tavola di C, non è certamente del trovatore di Goito: la rubrica che lo
precede nel ms. C a c. 267 r. lo dà a Bertran d’Alamanon, mentre M (c. 234 v.) lo attribuisce a «Pere
Bremont»; e oggi il componimento viene generalmente riconosciuto come opera di Bertran d’Alamanon: cfr.
SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 1 e segg.; P. C. 76, 22.
388
CVI
Di questi componimenti, come è noto, quaranta (ivi compreso l’Ensenhamen
d’onor) si trovano già nell’edizione del De Lollis. Ad essi si sono aggiunti in seguito la
canzone Er encontra·l temps de mai (P. C. 437, 4 a; n. VI di questa ed.) e la tenzone con
Joanet d’Albusson (P. C. 437, 10 a; n. XIII di questa ed.), conservate solo nel ms. a’
e pubblicate per la prima volta dal Bertoni 389, e la lirica Mant home·m fan meravilhar (P.
C. 437, 20 a; n. XL di questa ed.) sfuggita alle indagini precedenti e data alla luce per
la prima volta, di su l’unico ms. R, da Alfred Jeanroy390.
Oltre a questi 43 componimenti certi abbiamo altre due liriche la cui
attribuzione è assai discutibile. La prima è la breve lirica francese Non sai qe ie die, che
già abbiamo avuto occasione di ricordare, conservata dal cod. P, c. 65 a, n.
CXLIX391 ove è preceduta dalla rubrica Aqest fe messer Sordel pro Karl. Fondandosi
sulla rubrica il Bartsch nel suo Grundriss registrò il componimento tra le poesie di
Sordello, al n. 22; e tra le poesie di Sordello, con lo stesso numero, la lirica compare
anche nella Bibliographie di A. Pillet e H. Carstens. Ma in realtà il componimento non
è altro che un motet francese, che compare due volte392, anonimo, con poche
differenze rispetto alla
Nuove rime di Sordello di Goito, p. 285 e segg.
Poésies provençales inédites, p. 476 e seg.
391 Cfr. l’ed. diplom. dello STENGEL, p. 282. I versi vennero ripubblicati anche dal MERKEL, L’opinione dei
contemporanei sull’impresa italiana di Carlo d’Angiò, p. 406, n. 2.
392 n. CXLI, c. 235 r. e n. CCXXX, 2, c. 305 v.
389
390
CVII
redazione di P, nella raccolta di liriche francesi conservata nel codice della biblioteca
della Facoltà di medicina di Montpellier (prima metà del sec. XIV) e nel frammento
di una raccolta di motets francesi e latini della seconda metà del sec. XIII che
costituisce oggi il cod. add. 30091 del British Museum 393. Perciò il Meyer, nel suo
studio Des rapports de la poésie des trouvères avec celle des troubadours394 osservava che
molto probabilmente il componimento non è di Sordello; e forti dubbi sulla
attribuzione al trovatore mantovano avanzava il De Lollis 395, il quale notava che alla
rubrica di P non si deve dare gran fede, essendo essa «di conio italiano» come quella
che va innanzi alle cobbole scambiate tra Sordello e Carlo d’Angiò, che
immediatamente precedono, cosicché si può formulare l’ipotesi che la rubrica risalga
al compilatore di P, il quale pensò di attribuire a Sordello questi versi francesi perché
i versi provenzali che nel ms. da cui egli trascriveva li precedevano apparivano
chiaramente di Sordello in quanto il nome del trovatore compare nel primo verso
della cobla di risposta; indotto a ciò forse anche dal fatto che in questi versi francesi
si impreca contro l’avarizia, e l’accusa di avarizia è rivolta spesso da poeti e cronisti a
Carlo d’Angiò396.
Il De Lollis formula, accanto a questa, anche un’altra ipotesi (che il De Lollis
dice «altrettanto probabile» della prima, e che io credo in fondo più plausibile), che
cioè l’attribuzione a Sordello, dovuta alla fama che il trovatore di Goito godeva
come autore di poesie morali, risalisse a un’epoca anteriore alla compilazione del
codice P397, e aggiunge che forse la lirica già circolava, indipendentemente da tale
attribuzione, riferita a Carlo d’Angiò, in conseguenza della solita e ben nota accusa
di avarizia. Vi è stato anche chi, come il
Il testo del cod. di Montpellier è stato pubblicato dal DE COUSSEMAKER, L’art armonique aux XIIe et XIIIe
siècle, Paris, 1865, p. 214 (con alcuni errori, come sais al v. 1 in luogo di sai, e vilainie al v. 2 in luogo di vilanie); il
testo del cod. del British Museum è stato stampato da P. MEYER, Mélanges. III. Motets, in Romania, VII, 1878,
p. 101. Il motet è stato ristampato, tenendo a fondamento il cod. di Montpellier, con le varianti degli altri due,
da G. RAYNAUD, Recueil des motets français des XIIe et XIIIe siècle, I, Paris, 1883, p. 165 e 316.
394 Romania, XIX, 1890, p. 34.
395 Vita e poesie, p. 98, n. 1; e cfr. XV, Apparato critico.
396 Si potrebbe aggiungere che la cobla di Sordello Toz hom me van disen, che precede, poteva sembrare un’accusa
all’avarizia del «seignor» che si difende nella cobla di risposta Sordels diz mal de mi: cosicché al copista di P (o al
compilatore del suo antigrafo) parve da attribuire a Sordello anche il motet.
397 Anche P. MEYER, Des rapports de la poésie des trouvères avec celle des troubadours, in Romania, XIX, 1890, p. 34,
afferma che il nostro motet deve la sua introduzione in un canzoniere di rime provenzali al fatto che era
attribuito a Sordello.
393
CVIII
Naetebus398, ha pensato, come si è visto, che la rubrica Aqest fe messer Sordel pro Karl
non sia altro che una nota marginale esistente nell’antigrafo o in un altro ascendente
di P e riferentesi alla cobla Sordel diz mal de mi, che precede, erroneamente interpretata
come una osservazione riferentesi ai nostri versi francesi, e introdotta nel testo a
modo di rubrica dei versi francesi in conseguenza di questa falsa interpretazione.
Comunque siano andate le cose — su questo punto, come è ovvio,
dobbiamo accontentarci di ipotesi — io ritengo con la maggioranza degli studiosi 399
che questi versi non siano di Sordello, e perciò li ho senz’altro esclusi, come ha fatto
il De Lollis, dalla raccolta delle poesie del nostro trovatore. Mentre però il De Lollis
ha creduto bene non pubblicare il componimento nemmeno in una nota o in una
appendice, io ho ritenuto più opportuno ristampare questi versi in appendice, per
offrire agli studiosi la possibilità di seguire meglio questa discussione intorno ad essi.
L’altro componimento di dubbia attribuzione è il sirventese «lombardo» Poi
qe neve ni glaza che si trova, anonimo, in fondo al codice Campori (a’), e che fu dato
anch’esso alla luce per la prima volta dal Bertoni400: componimento che, come
mostrò il Bertoni, deve risalire al sec. XIII, e doveva molto probabilmente trovarsi
nella raccolta di rime messa insieme da Bernart Amoros. Il Bertoni notò che l’autore
del componimento fu certo un poeta esperto del provenzale, e quasi certamente un
trovatore italiano 401, e mise avanti l’ipotesi che potesse trattarsi di Sordello,
ricordando il noto passo del De vulgari eloquentia, in cui Dante celebra il trovatore
mantovano: «Dicimus ergo quod forte non male opinantur qui Bononienses
asserunt pulcriori locutione loquentes, cum ab Ymolensibus, Ferrarensibus et
Mutinensibus circumstantibus aliquid proprio vulgari asciscunt, sicut facere
quoslibet a finitimis suis conicimus, ut Sordellus de Mantua sua ostendit, Cremone,
Brixie atque Verone conCfr. la nota 371.
Nel P. C. questi versi sono però elencati tra i componimenti di Sordello (437, 22): e come di Sordello
erano già stati registrati dal BARTSCH nel suo Grundriss.
400 Nuove rime di Sordello di Goito, p. 298 e segg. Venne successivamente ristampato dal SAVJ-LOPEZ e dal
BARTOLI, Altitalienische Chrestomathie, Strassburg, 1903, p. 43; ed è stato recentemente edito di nuovo, in modo
assai migliore, da F. A. UGOLINI, Testi antichi italiani, Torino, 1942, p. 92 e segg.
401 Nuove rime di Sordello di Goito, p. 306 e seg. Giustamente il BERTONI osserva, fra l’altro (p. 307, n.), che dal
no m’acresco dei vv. 7-8 si può forse dedurre che l’autore del sirventese aveva composto anche sirventesi
provenzali.
398
399
CIX
fini: qui, tantus eloquentie vir existens, non solum in poetando, sed quomodocumque
loquendo patrium vulgare deseruit» (I, XV, 2)402. Sul passo molto si è disputato; e alcuni
studiosi, come il D’Ovidio403 e il De Lollis404, pensarono che il periodo — in verità non
del tutto perspicuo — sia gravemente corrotto o lacunoso. E molto spazio sarebbe
necessario per passare in rassegna e per ridiscutere punto per punto ogni
interpretazione. Ma dal contesto in cui le frasi riguardanti Sordello sono collocate — la
lode cioè data ai Bolognesi, in quanto fondono nella loro parlata i caratteri delle parlate
vicine, contemperando la mollezza degli Imolesi con la garrulitas dei Ferraresi e dei
Modenesi — mi sembra risulti evidentemente inaccettabile l’interpretazione del De
Lollis405, secondo la quale Dante colla frase patrium vulgare deseruit volle semplicemente
dire che Sordello abbandonò il patrio volgare per poetare sempre in provenzale 406.
Forse nel deseruit e nel quomodocumque loquendo si può nascondere anche un accenno
all’uso del provenzale da parte del poeta mantovano sia nei suoi componimenti poetici
sia nelle eloquenti conversazioni tenute nelle corti di Provenza durante il suo lungo
soggiorno oltralpe (che a Dante fu certamente noto) 407; ma qui Dante deve aver voluto
dire che Sordello ha fatto individualmente ciò che i Bolognesi han fatto collettivamente,
cioè ha saputo contemperare nell’arte della parola i caratteri della lingua di Mantova con
quelli della lingua delle città confinanti, e ha voluto quindi accennare, indubbiamente, a
composizioni in volgare italico; ed è quindi nel vero il Marigo, il quale ritiene408 che
«l’insieme del ragionamento di Dante porta a pensare in primo luogo ad eloquenza
oratoria e poetica in volgare italiano». Si può formulare con lo Zingarelli 409 l’ipotesi che
col quomodocumque loquendo Dante alludesse «a conversazioni auliche, a discorsi, arringhe,
delle quali egli doveva sapere, composte in un volgare italiano che non lasciava trapelare
il dialetto nativo»; e si può anche pensare che alludesse a com-
Cito il passo dall’ed. del MARIGO, Firenze, 1938, p. 124 e segg.
Saggi critici, Napoli, 1878, p. 400 n. 1.
404 Vita e poesie, p. III e segg.
405 Ibid.
406 Secondo il DE LOLLIS (ibid., p. 115 n.) qui loquendo avrebbe un senso assai vicino a quello di poetando «che
pur sta sintatticamente ad avversare». Il MARIGO (ibid., p. 126) vi vede invece, più giustamente, una allusione
alla «parola eloquent» di Sordello «nei vari uffici di uomo di corte».
407 Cfr. ed. MARIGO, p. 126.
408 Ibid.
409 La vita, i tempi e le opere di Dante, p. 574.
402
403
CX
ponimenti poetici in volgare italiano, a lui noti e poi perduti. Per questo la suggestiva
ipotesi che il nostro «sirventes lombardo» — che è componimento tutt’altro che
«rozzo», come un po’ sbrigativamente e superficialmente lo definisce il Marigo, anzi
una lirica di ispirazione dotta e aulica, e piena di provenzalismi — possa essere di
Sordello è certo alquanto arrischiata, come osserva l’Ugolini 410, ma non si può
mettere del tutto da parte. E per questo, pur senza accogliere l’attribuzione messa
innanzi dal Bertoni, anzi lasciando sussistere ogni ragionevole dubbio intorno ad
essa, ho accolto anche questo componimento nell’appendice 411.
2. SGUARDO GENERALE ALLE LIRICHE DI SORDELLO. LE
LIRICHE FRAMMENTARIE
Le quarantadue liriche che ci restano di Sordello (lasciamo per ora da parte
l’Ensenhamen d’onor, di cui tratteremo più oltre) hanno notevole varietà.
Il gruppo più numeroso è costituito dalle canzoni, che (se guardiamo solo ai
componimenti giuntici per intero) sono dodici (I-XII)412; di esse una (I) è una
canzone con ritornello.
Sette sono i sirventesi: due politici (XIX e XX), due morali (XXI e XXII), e
tre personali (contro Peire Bremon Ricas Novas: XXIII-
La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXVII.
Oltre agli scritti citati del D’OVIDIO, del DE LOLLIS, del BERTONI, dello ZINGARELLI, dell’UGOLINI, si
cfr. sulla questione dell’interpretazione del passo del De vulgari eloquentia e la possibilità che Sordello abbia
composto versi anche in volgare italiano: P. RAJNA, ed. crit. del De vulgari eloquentia, Firenze, 1896, p. CXCIX
e seg.; CRESCINI, Sordello, p. 33; PARODI, rec. al vol del DE LOLLIS, in Bullettino della Società dantesca italiana, n.
s., II, 1894-95, p. 122, e Il Sordello di Dante, p. 189 e seg. Su tale questione, e insieme sul problema dell’autore
del «sirventes lombardo» cfr.: NOVATI, Il canto VI del Purgatorio, p. 51 (il quale, pur ammettendo a p. 26 che
Sordello poetasse, tornato in Italia, anche in volgare italiano, crede che il sirventese sia opera non di un
italiano ma di un provenzale venuto in Italia, «spinto da vaghezza di novità ad abbandonare per brev’ora il
suo idioma nativo... per piegare a modi poetici la favella che udiva suonargli dintorno»); DE
BARTHOLOMAEIS, La poesia provenzale e l’Italia, p. 56 e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 67 e seg. (il quale
accenna alla possibilità che il componimento sia di Sordello, pur non escludendo che possa essere stato opera
di altro scrittore); VISCARDI, Poesie di Sordello, p. 679 (che riferisce l’ipotesi del BERTONI, senza pronunciarsi in
merito).
412 Tutti i numeri con cui vengono citati i componimenti di Sordello rimandano al nuovo ordinamento che ho
creduto opportuno di dare in questa edizione alle rime sordelliane. Stimo superfluo d’ora innanzi avvertirlo
ogni volta.
410
411
CXI
XXV). Di planh vi è un solo esempio: ed è il celeberrimo compianto scritto per la morte di
Blacatz (XXVI).
Le tenzoni e i partimen, quasi tutti di argomento amoroso, sono complessivamente
sei. Delle due tenzoni una, appartenente alla produzione giovanile del trovatore e anteriore
alla sua andata oltralpe, venne scambiata con Joanet d’Albusson (XIII); l’altra fu scambiata
con Peire Guilhem de Tolosa, durante il soggiorno in Provenza (XIV). Dei quattro
partimens il primo, scritto quando Sordello era ancora in Italia, fu scambiato con Guilhem de
la Tor (XV); gli altri tre, composti durante la dimora oltre le Alpi, furono scambiati con
Guilhem Montanhagol (XVI) e con Bertran d’Alamanon (XVII e XVIII)413.
Un’altra lirica costituisce un interessante esempio di salut (XXXIII); un’altra è un
componimento scritto in occasione della crociata, a cui, come si è visto, Sordello rifiuta di
partecipare (XXIX).
Tre sono gli scambi di cobbole; uno, giovanile, con Aimeric de Peguilhan (XXX),
uno con Montan, scritto in Provenza (XXXI), e uno, come sembra probabile, con Carlo
d’Angiò, scritto — se questa ipotesi coglie nel vero — in Italia, durante gli ultimi anni della
vita del poeta (XXXII).
Due altre liriche sono brevi componimenti di due coblas con tornada, uno di
argomento amoroso (XXXVI), l’altro di argomento morale (n. XL). E le liriche rimanenti
constano tutte di una sola cobla, con o senza tornada. Le coblas con tornada sono tre:
XXXVIII, XXXIX, XLI. Le coblas uniche senza tornada sono sei: XXVII, XXVIII, XXXIV,
XXXV, XXXVII, XLII (nel n. XXVIII la cobla è però preceduta da un verso a mo’ di
rubrica).
Le coblas isolate, con o senza tornada, sono, come si vede, assai numerose.
Probabilmente però parecchie di tali liriche non sono state composte originariamente da
Sordello nella forma in cui oggi si presentano, e sono avanzi di componimenti più ampi, di
cui è andata perduta una parte. Che ciò sia potuto avvenire è mostrato in modo evidente
dalla sorte di varie liriche sordelliane, tramandate per intero in alcuni manoscritti, ma
conservate soltanto in parte in altri codici, specialmente in F e in D c. In F infatti della
canzone Aitant, ses plus (II) sono conservate solo le coblas prima e quinta, della canzone Bel
m’es (IV) solo la cobla seconda (preceduta però dal primo verso della lirica), della canzone
Dompna, meillz (V) solo le coblas prima e
La lirica XVIII (Doas domnas) è indicata come «tenzone» nel P. C. (n. 11); ma in realtà si tratta piuttosto di
un partimen, e come tale la definisce lo JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 268.
413
CXII
terza, del sirventese Qui be·is membra (XXII) solo le coblas terza e quarta (precedute
dal primo verso)414; e in Dc, il noto florilegio di Ferrarino da Ferrara, della canzone
Aitant, ses plus (II) rimane solo la prima cobla, quasi fosse una cobla esparsa, della
canzone Atretan dei (III) son rimaste solo le coblas terza e quinta (precedute dal primo
verso della lirica), e della tenzone con Peire Guilhem de Tolosa (XIV), del partimen
con Guilhem de la Tor (XV) e del planh in morte di Blacatz (XXVI) restano
soltanto, rispettivamente, i vv. 35-36, 29-30 e 31-32.
Questo fatto si nota anche in H, in cui della canzone Bel m’es (IV) compaiono
solo la seconda cobla e la tornada, e in T, ove della canzone Aitant, ses plus (II)
abbiamo solo la seconda cobla415; ma più raramente.
Evidentemente dovremo sospettare che siano frammenti soprattutto le coblas
che compaiono solo in Dc o solo in F o anche in entrambi questi manoscritti. E
certamente frammento di una lirica più ampia è la lirica XXVIII, conservata solo in
Dc, il cui primo verso isolato è scritto in minio quasi che fosse un titolo: è avvenuto
a questo componimento quello che è accaduto, ad es., alla canzone Bel m’es in F,
ridotta, come si è visto, al primo verso e alla seconda cobla416. Ma anche le coblas
XXXIV (conservata solo in F) e XXXVII (conservata solo in D c F), di carattere
amoroso, mi sembrano quasi sicuramente frammenti di canzone417. Ed è possibile
che anche la cobla XXXV (conservata solo in F), di argomento mo-
Del partimen Bertrans, lo joy (XVIII) rimane nel codice addirittura solo la seconda tornada, ma ciò è dovuto a
una lacuna del codice (i versi della tornada sono all’inizio della c. 9 r., e la c. 8, come è noto, manca) (cfr. l’ed.
diplomatica dello STENGEL, Die provenzalische Blumenlese der Chigiana, Marburg, 1878).
415 Dc e F, che, come è noto, sono due florilegi, danno parzialmente anche molte altre liriche di altri trovatori:
ad es., della canz. Ar ab lo coinde pascor di Guilhem Montanhagol (n. II dell’ed. COULET) danno solo la seconda
cobla, preceduta a mo’ di titolo dal primo verso della lirica.
416 Si tenga presente anche la sorte del sirventese Qui be·is membra in F, ridotto al primo verso e alle coblas terza
e quarta, e della canzone Atretan dei in Dc, ridotta al primo verso e alle coblas terza e quinta. E cfr. la nota
precedente. Noto che anche nel P. C. (n. 4) il componimento è detto «Liedfragment».
417 La lirica XXXVII è ritenuta certamente un frammento di canzone dal D E LOLLIS, Vita e poesie, p. 136 (e
cfr. p. 85), e a tale opinione inclina anche il P.C. (n. 13); per la XXXIV tanto il D E LOLLIS, ibid., p. 86 e 135,
quanto il P. C. (n. 3) restano in dubbio se sia un frammento di canzone o una cobla esparsa. Si confronti la sorte
della prima cobla della canzone Aitant, ses plus in Dc, ove è conservata isolatamente.
414
CXIII
rale, sia in realtà un frammento di sirventese 418. Né in fondo, è possibile eliminare il
sospetto anche per la lirica XXXIX (cobla con tornada, conservata solo in F)419; e
forse potrebbe essere formulato anche per altri componimenti 420.
Comunque, anche se escludiamo le coblas che sono in realtà frammenti di
componimenti più ampi che la tradizione ha conservato solo parzialmente, resta
sempre nella raccolta delle rime di Sordello un certo numero di coblas sparse: e cioè,
oltre alle cobbole scambiate con Aimeric de Peguilhan (XXX), con Carlo d’Angiò
(XXXII) e con Montan (XXXI) — quest’ultima, s’intende, se non si vogliono
accettare i dubbi del De Lollis in proposito421 —, la cobbola giovanile contro
Fige[i]ra (XXVII) e la cobbola XLII. Il che mostra che anche Sordello coltivò,
accanto ai «generi» lirici di più antica tradizione, anche il nuovo «genere» delle coblas,
che, comparso alla fine del sec. XII, trovò nel sec. XIII larga diffusione422.
3. LE CANZONI
Tra le liriche di Sordello, come si è visto, il gruppo più cospicuo per numero
è quello delle canzoni, parecchie delle quali cantano o sembrano cantare l’amore per
Guida di Rodez, celata sotto i senhals di N’Agradiva e di Restaur, altre una dama
indicata col senhal di Dous’ enemia (che per alcuni sarebbe anch’essa da identificare
con Guida), altre forse qualche altra donna: problemi oscuri e difficilmente solubili
(tanto che hanno fatto dire al Bertoni, giustamente, che è «cosa molto ardua
distinguere ciò che spetta ad una o ad altra donna nelle poesie di Sordello» 423, a cui
già si è accennato, e che non occorre, dato che hanno un interesse soprattutto
biografico, riprendere in esame qui, ove si vuol guardare un po’ più da vicino la
poesia di Sordello, mettendone in luce i principali aspetti e motivi e il valore poetico.
Anche il DE LOLLIS, ibid., p. 85 e 130, e il P. C. (n. 8a), pur ammettendo che si possa trattare di cobla
esparsa, mettono innanzi anche la possibilità che questa lirica sia un frammento di sirventese.
419 Il sospetto si affaccia anche al DE LOLLIS, ibid., p. 85. Non appare invece nel P. C. (n. 19).
420 Il DE LOLLIS, ibid., ad es., pensa che sia possibile che anche lo scambio di cobbole con Montan (XXXI) sia
un frammento di un componimento più ampio, ossia di una tenzone. Secondo il P. C. anche il n. XXXVIII
potrebbe essere un frammento.
421 Ibid.
422 Ibid.; JEANROY, La poésie lyriques de troubadours, II, p. 274 e segg.
423 I trovatori d’Italia, p. 79.
418
CXIV
Nelle canzoni Sordello ripete assai spesso, con poca varietà, motivi
tradizionali in tutta la lirica trobadorica, ricantandoli per lo più senza grande novità:
come gli esordi ispirati alla stagione (peraltro assai poco sviluppati, anzi spesso
appena accennati)424, il dolore della lontananza425, il tormento che dà l’amore 426 e la
dolcezza che pur nasce dall’affanno 427, l’alternarsi di momenti di gioia e di
tristezza428, la devozione alla donna, a cui il poeta ha consacrato tutto se stesso,
talvolta espressa nella consueta forma del «vassallaggio d’amore» 429, la timidezza di
fronte all’amata430. Tuttavia non mancano anche motivi che diventano comuni solo
presso i trovatori del sec. XIII, e costituiscono una innovazione rispetto alla lirica
precedente. Tra questi specialmente è notevole una certa idealizzazione dell’amore,
che avvicina il trovatore mantovano a Guilhem Montanhagol, che di questo nuovo
spiritualismo amoroso è appunto in terra occitanica il massimo interprete.
Il Montanhagol, nella canzone Ar ab lo coinde pascor afferma che l’amore non è
peccato, anzi è un dovere, in quanto è fonte di virtù e guida verso il bene, induce alla
virtù e rende buoni i malvagi e migliori i buoni:
Ben devon li amador
de bon cor servir Amor,
quar amors non es peccatz,
anz es vertutz que·ls malvatz
fai bos, e·lh bo·n son melhor,
Un esordio primaverile si trova nella canzone Er encontra·l temps de mai (VI); e un accenno, ridotto al solo
primo verso, si ha nella canzone Tant m’abelis (XI). Un esordio estivo si nota invece nella canzone con
ritornello Ailas, e que·m fau (I). Un accenno ad un esordio invernale con richiamo all’estate (varietà di cui,
come è noto, aveva dato esempio per primo Marcabruno) si trova nella canzone Atretan deu (III).
425 Cfr., ad es., le canzoni Ailas, e que·m fau (I), v. 8-10, 23-26, 50; Dompna, meillz (V), v. 46; Er encontra·l temps de
mai (VI), v. 7-8 e 25 e segg.; Gran esfortz fai (VII), v. 13 e segg.; Qan plus creis (IX), v. 32, ecc.
426 Cfr. ad es. le canzoni Atretan dei (III), v. 25 e segg.; Gran esfortz fai (VII), passim; Si co·l malaus (X), v. 12, ecc.
427 Cfr. ad es. la canzone Si co·l malaus (X), v. 9 e segg., ecc.
428 Cfr. ad es. le canzoni Aitant, ses plus (II), v. 1 e segg.; Tos temps serai (XII), passim, ecc.
429 Cfr. ad es. le canzoni Aitant, ses plus (II), v. 42-43; Atretant dei (III), v. 18, 46; Bel m’es (IV), v. 4, 35; Dompna,
meillz (V), v. 8-10, 19-20, 51-52, ecc. Per l’immagine del vassallaggio cfr. specialmente la canzone III, v. 46.
L’immagine del vassallaggio ritorna più ampiamente nel salut (XXXIII), v. 3 e segg.
430 Cfr. ad es. la canzone Per re no·m puesc (VIII), v. 31 e segg.
424
CXV
e met om’ en via
de ben far tot dia;
e d’amor mou castitatz,
quar qui·n amor ben s’enten
no pot far que pueis mal renh.431
E proclama in un’altra canzone (No sap per que) che egli si fa custode
dell’onore della sua donna:
Triat vos ai, dompna, mi ses enjan,
de bon talan,
que ben gar vostr’onor...432
E nel sirventese Nulhs om no val afferma che è indegno del nome di amante e
non deve essere amato l’uomo che invita la donna a commettere una colpa,
un’azione che possa toglierle onore:
Mas ieu no tenc que si’ enamoratz
cel qu’en amor vay ab galiamen;
quar non ama ni deu esser amatz
om que sidons prec de nulh falhimen,
qu’ amans non deu voler per nulh talen
ren qu’a sidons tornes a desonransa,
qu’amors non es res mas aysso qu’ enansa
so que ama e vol ben lialmen,
e qui·n quier als, lo nom d’amor desmen.433
Anche Sordello dice di preferire la morte all’ottenere una gioia che rechi
nocumento al «fin pregio» della donna amata:
Aital m’ autrei, fis, vertadiers,
a vos qu’ etz ses par de valor,
q’eu am mais morir ab dolor,
qe de vos mi veng’ aligriers
q’al fin pres q’en vos s’abrija
puesca dan tener; e si ja mais me trobaz vas vos d’autre talen,
ja non aiaz merce ni chausimen.434
Bisogna, infatti, che l’amante ami soprattutto l’onore della dama: perciò
Sordello prega la sua donna di non volergli concedere ciò che egli possa chiederle
contro il suo onore:
Q’ amar non pot nuls cavaliers
sa dompna ses cor trichador,
s’engal lei non ama sa honor;
per qe·us prec, bels cors plazentiers
COULET, Le troubadour Guilhem Montanhagol, n. II, v. 11 e segg., p. 70.
Ibid., n. IX, v. 17 e segg., p. 131.
433 Ibid., n. X, v. 10 e segg., p. 140.
434 Canz. Qan plus creis (IX), v. 9 e segg.
431
432
CXVI
qe pauc ni gaire ni mija
non fassatz de re qe·us dija,
q’esser puesca contra·l vostr’onramen.
Gardaz s’ie·us am de fin cor leialmen!435
Preghiera, questa, che ritorna anche altrove:
E si·m fai ren desirar
amors, qe non deiatz faire,
per merce vos voill pregar
qe no·m faissatz pauc ni gaire,
qar mais am ‘ viur ‘ ab turmenz
qe vostre prez vailla menz,
dompna, per re qe·m fassatz...436
E all’onore della dama il poeta ha sempre rivolto lo sguardo, tanto che spesso
introduce nelle sue liriche la frase salvan s’onor o le frasi similari salvan vostr’ onramen e
gardan son pretz437, ripetute, è vero, talora meccanicamente, quasi come formule fisse
— e forse, come abbiamo visto, secondo alcuni usate nelle liriche scritte per Guida
di Rodez come frasi destinate ad esprimere la particolare venerazione del trovatore
per questa dama e a caratterizzare, per così dire, i componimenti a lei dedicati438 —,
ma che mostrano quanto Sordello si compiacesse di questo motivo.
Per questo il trovatore mantovano dichiara di rinunciare ad assaporare il
dolce frutto dell’amore, la cui dolcezza si volgerebbe in amarezza:
qu’ eu non voill ges nul fruit asaborar,
per que lo dolz me tornes en amar439
e di esser ben più felice di servir la sua dama, senza riceverne alcuna concessione,
che di amare un’altra, la quale tutta gli si concedesse:
e quar non sai autr’el mon tan presan
de qn’ie·n preses plaser jazen baisan...440
E quar am de bon pretz ses par,
am mais servir lieys en perdo
qu’autra q’ab si·m degnes colgar441
E aggiunge che si appaga soltanto di amare la sua donna e di servirla
fedelmente:
Ibid., v. 17 e segg.
Canz. Dompna, meillz (V), v. 21 e segg.
437 Cfr. la nota 235.
438 Cfr. pag. LXII.
439 Canz. Atretan dei (III), v. 23-24.
440 Ibid., v. 21-22.
441 Canz. Bel m’es (IV), v. 25 e segg.
435
436
CXVII
q’asatz ai de vos, cui dezir,
sol qe de bon cor me suffratz
qe vos posc’amar e servir 442
e di essere illuminato dal riflesso delle virtù dell’amata:
e, sitot als no m’enansa,
tant creys sos pretz ab onor,
qu’ ieu prenc per paya l’onransa;
qar gent es de sidons payatz
totz fis amans qu’es en sidons honratz443
Il nostro trovatore giunge sino a dichiarare che la dama provvista di pregio e
valore è quella di cui non si osa chiedere l’amore:
Sabetz a que pot hom triar
bona dompna qu’a pretz valen?
Quan degus non a l’ardimen
que l’auze s’amor demandar;
mas quant ela es fol’e savaya,
quascus la preya e l’asaya,
e sembla que alcus li play
als fols captenemens qu’ilh ay;
mas a bona dompna prezan
auza hom greu dir son talan.444
È vero che sfugge al poeta, un paio di volte, qualche espressione che sembra
rivelare un desiderio sensuale, come là dove par che accenni al timore che egli ha di
morire per il desiderio del bel corpo dell’amata:
S’en breu no·ill pren merces, tan soi cochatz
dels mals dun sui per s’amor tormentatz,
q’eu tem morir desiran son cors gai,
qar loing dels oillz e pres del cor m’estai445
o dove confessa che non può «ses lo joy vius durar» 446; ma (a parte il fatto che si
potrebbe per il primo esempio dubitare che la frase abbia veramente un senso
crudamente sensuale, potendosi, a mio modo di vedere, restare un po’ incerti se non
si tratti piuttosto del desiderio di vedere e di avere dinanzi a sé la donna amata, che è
lontana) si tratta — come già notò il De Lollis447 — di momenti
Canz. Dompna, meillz (V), v. 28 e segg.
Canz. Tos temps (XII), v. 5 e segg.
444 Canz. Per re no·m puesc (VIII), v. 41 e segg.
445 Canz. Si co·l malaus (X), v. 29 e segg.
446 Canz. Aitant, ses plus (II), v. 27.
447 Vita e poesie, p. 78.
442
443
CXVIII
passeggeri, forse di reminiscenze e di riecheggiamenti della concezione d’amore
diffusa presso i trovatori precedenti, che non riescono a mutare la fisionomia
fondamentale della concezione amorosa di Sordello, caratterizzata, come si è detto,
da una spiritualizzazione dell’amore448.
In armonia con questa idealizzazione dell’amore Sordello — come fa del
resto anche il Montanhagol — nel lodare la donna amata lascia da parte ogni
particolare relativo al corpo di lei (i v. 29-30 della canzone Gran esfortz fai:
que·l cors a gras, delgat, e de bel gran,
la car’humil, fresca, ab bel semblan,
sono, come già ebbe ad osservare il De Lollis 449, un’eccezione, e, del resto, di non
grande rilievo), e si limita ad espressioni generiche e vaghe, in cui ogni particolare
fisico sfuma nell’indeterminatezza, come, ad es., nella canzone Si co·l malaus (X, v. 25
e segg.):
A, can mal vi sa cara, son cors car,
e·l ric senblan, e·l bel aculimen,
e·l plazen ris e l’amoros parlar,
e·l douz esgart, e·l gai captenemen!
o nella canzone Dompna, meillz (V, v. 15 e segg.):
que·l cors a dreg e plazen,
cara douza e rizen,
e natural la beltatz
o nella canzone Tant m’abellis (XI, v. 60 e segg.):
c’ a si conques e mes a sos comans
ab gais semblans,
ed ab digz saboros,
et ab cor blos
de totz faitz malestans,
et ab trians
entiers aips cabalos...450
A questo proposito il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 152 e seg., si domanda invece se tali tratti in cui «la
sensualità erompe con i suoi desideri» non siano indizio di una «insincerità» dell’idealismo amoroso di
Sordello, che potrebbe essere «un frutto della moda letteraria», «uno degli influssi della lirica che gli sonava
d’intorno, senza per questo rispondere a un intimo bisogno del suo spirito». E aggiunge che ciò spiegherebbe
l’atteggiamento canzonatorio di Peire Guilhem de Tolosa e di Blacasset, «ai quali forse non isfuggì questo
sdoppiamento del poeta, tra sensuale e casto». Ma a me sembra che il problema della sincerità per così dire
psicologica di Sordello sia del tutto secondario, e che (pur riconoscendo il valore dell’osservazione dell’insigne
romanista) delle critiche di Peire Guilhem de Tolosa e degli altri derisori dell’amore ideale di Sordello si debba
dare almeno in parte, come si vedrà, un’altra spiegazione.
449 Vita e poesie, p. 80.
450 Naturalmente non si vuol negare con questo che esempi di tale genericità si possano trovare anche presso
trovatori anteriori al Montanhagol e a Sordello.
448
CXIX
Si noti la particolare insistenza con cui ritornano la lode del gentile e amoroso
parlare e la lode del sorriso: quest’ultima tanto cara a un altro trovatore italiano
contemporaneo — forse di qualche anno più anziano di Sordello 451 — Lanfranco
Cigala, che fece di essa uno dei motivi fondamentali della sua lirica 452.
Per questa idealizzazione dell’amore le canzoni di Sordello sono notevoli
documenti di quella trasformazione della lirica d’amore che si opera nella poesia
provenzale del sec. XIII, sia oltralpe che in Italia, e che precorre, entro certi limiti, il
«dolce stil novo». Anche a proposito di tale idealizzazione si è assai discusso: e
alcuni hanno pensato — dando del fatto una interpretazione strettamente biografica
che mi par suscettibile di varie riserve — che essa tragga origine, in Sordello,
dell’influenza di Guida di Rodez, dama di assai nobile sentire e di grandi virtù 453,
altri hanno pensato — più giustamente, a mio giudizio — che sia legata alla
diffusione di queste idee nel mondo letterario e «cortese» del tempo e anche
all’influenza diretta del Montanhagol, con cui Sordello, come si è visto, fu in
amichevoli relazioni, documentate dal partimen che con lui ebbe a scambiare (XVI),
assegnabile agli anni 1241-45. Che l’idealismo
Morì infatti tra il 16 marzo 1257 e il 24 settembre 1258 (e non nel 1278, come si credeva), come ha messo
in luce l’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XLII e segg.: il che permette di far indietreggiare di circa un
ventennio tutta l’attività del trovatore, e anche di considerare più antica di quanto non si credesse e
probabilmente riferibile, secondo l’ipotesi del RESTORI (Per le donne italiane nella poesia provenzale, in Giornale
dantesco, IX, 1901, p. 206 e seg.), ad Alasia, sorella di Guglielmo Malaspina e vedova dal 1215 di Guglielmo
marchese di Massa, la canzone Tan franc cor de dompn’ai trobat, che è quasi certamente un’esercitazione
giovanile. L’ipotesi del RESTORI era stata scartata come «non verisimile per ragioni di cronologia» dal DE
BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 157.
452 Su questo punto basti rimandare al BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 153 e segg.
453 L’idea fu formulata decisamente, dapprima, dal FABRE, Guida de Rodez, baronne de Poquières, p. 162 e segg., il
quale, esaltando per amor del suo tema l’influenza di Guida, «inspiratrice de la poésie provençale», afferma
che Guida «imposa... à Sordel un culte tout platonique et idéal». Alla tesi del FABRE accenna favorevolmente
— ricollegandola alla tesi già proposta da A. THOMAS, Francesco da Barberino et la littérature provençale en Italie au
moyen âge, Paris, 1883, p. 54, e ripresa e sviluppata con nuovi argomenti dal COULET, Le troubadour Guilhem
Montanhagol, p. 46 e segg., e da lui accettata, secondo la quale il mutamento nella poesia d’amore nel sec. XIII
fu dovuto all’influenza del clero persecutore degli eretici e di ogni immoralità — lo JEANROY (La poésie lyrique
des troubadours, II, p. 166 e seg.), il quale nota che «il est remarquable que les deux premiers chantres de
l’amour platonique, Sordel et Montanhagol, aient tous deux courtisé Guida de Rodez, dont la vertu parait
avoir été très chatouilleuse». Il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 150, ricorda anch’egli, ma brevemente, la tesi del
FABRE, senza pronunciarsi su di essa.
451
CXX
amoroso di Sordello si debba però esclusivamente all’influenza del Montanhagol,
come vorrebbero alcuni critici 454 non mi sembra sostenibile: infatti le liriche del
Montanhagol in cui più tipicamente si esprime la concezione dell’amore da cui «mou
castitatz», cioè quelle che sono state or ora ricordate, sono, a giudizio del Coulet,
posteriori almeno al 1242455, e a tale data è posteriore anche un’altra lirica del
trovatore tolosano in cui si scorge qualche accenno a questa nuova concezione 456,
mentre almeno una parte delle canzoni di Sordello sembrerebbe verisimilmente da
collocarsi a una data precedente. Certo, un’altra lirica del Montanhagol in cui vi è
pure qualche accenno alla nuova dottrina d’amore non è databile e potrebbe essere
anteriore alle altre457, e si può ammettere che varie altre liriche del Montanhagol
siano andate perdute e che da esse Sordello abbia potuto trarre qualche spunto; ma
in complesso mi sembra che Sordello non possa ridursi a un semplice imitatore del
Montanhagol. Anche se il Montanhagol ha dato alle nuove idee sull’amore
un’espressione più netta e più decisa di quella che ha dato loro Sordello, come ha
osservato il Coulet458, sì che egli appare il più caratteristico rappresentante di questa
nuova corrente, allo stato attuale delle nostre conoscenze Sordello deve ritenersi, a
mio giudizio, uno degli innovatori della lirica amorosa del sec. XIII: il che mi sembra
confermato, del resto, dai commenti ironici di cui le sue idee sull’amore sono fatte
oggetto da parte di Peire Guilhem de Tolosa, nella tenzone di cui ci occuperemo tra
poco, e da parte di Granet, che nel suo sirventese Pos al comte, che abbiamo già avuto
occasione di ricordare, mette in ridicolo la rinuncia di Sordello ai piaceri del senso:
Ben sabon tut d’en Sordel son usage,
qe ben ama, ses iauzimen, s’amia,
ni ia non voill qe·il vegna d’agradage
qe·l colg ab se, qar vergona·l penria.459
Cfr. ad es. A. VISCARDI, Letterature d’oc e d’oil, Milano, 1952, p. 420.
La canzone No sap per que pare da collocarsi nel periodo 1242-1250 (COULET, Le troubadour Guilhem
Montanhagol, p. 29 e 132); la canzone Ar ab lo coinde pascor è da porsi negli anni 1252-1257 (ibid., p. 28 e 72); e il
sirventese Nulhs om no val fu composto tra il 1252 e il 1258 (ibid., p. 28 e 144).
456 È la canz. Non an tan dig, VII dell’ed. COULET, che è da ritenersi composta tra il 1242 e il 1250 (ibid., p. 29 e
113).
457 È la canz. Non estarai, a proposito della quale il COULET dice (ibid., p. 122): «rien ne nous permet
d’entrevoir la date possible de la composition de cette chanson».
458 Ibid., p. 57.
459 V. 9-12. Cito dall’ed. PARDUCCI, p. 20. Per la data del componimento cfr. la nota 242 del cap. I.
454
455
CXXI
Questi attacchi mi sembrano mostrare non solo che Sordello non ripeteva idee
allora comuni e andava per così dire «contro corrente», ma anche che appunto appariva
come uno dei principali rappresentanti della nuova maniera di poetare, anche se non si
può escludere che tali critiche fossero dovute, come ebbe a osservare il Bertoni 460, alla
diffidenza che suscitavano queste proteste di idealismo amoroso da parte di un poeta
che era giunto in Provenza con la fama di innamorato tutt’altro che platonico e di
conquistatore intraprendente ed audace.
La questione dovrà essere ripresa più ampiamente, e dovrà essere approfondita
anche in rapporto alla posizione, in questo rinnovamento della lirica d’amore, di
Lanfranco Cigala, per la quale converrà attendere i risultati degli studi dell’Ugolini, che
ha promesso da tempo l’edizione critica completa delle rime del trovatore genovese,
nella quale verrà anche più precisamente ricostruita la cronologia delle rime cigaliane 461.
Credo però che si debba pensare, non tanto a una innovazione partita da un solo
autore, quanto piuttosto — secondo l’ipotesi già affacciata dal De Lollis462 — a un
processo di rinnovamento attuato da un «gruppo innovatore» di poeti, in cui deve
riconoscersi a Sordello una delle posizioni di primo piano463.
Interessante è anche nelle canzoni di Sordello l’analisi dell’origine dell’amore,
pur essa cara ai più tardi trovatori, e cara poi agli stilnovisti; la quale si manifesta
soprattutto, come già ebbe ad osservare il De Lollis 464, nella canzone Bel m’es (IV), ove il
trovatore descrive (v. 9 e segg.) il fenomeno dell’innamoramento notando come dagli
oc-
I trovatori d’Italia, p. 151.
Cfr. il vol. La poesia provenzale e l’Italia, p. XX. L’UGOLINI promette di riprendere ampiamente in esame
anche il problema dei rapporti tra la lirica provenzale d’oltr’Alpe e quella del Cigala, e fra la lirica del Cigala e
quella degli stilnovisti: cfr. p. XLIII.
462 Nello studio Dolce stil novo e «noel dig de nova maestria», apparso in Studi medievali, I, 1904-05, p. 17.
463 Sul problema del nuovo indirizzo della poesia d’amore nella lirica provenzale del sec. XIII e dei suoi
rapporti col «dolce stil nuovo», su cui non è possibile indugiarci in questa sede, cfr. principalmente: DE
LOLLIS, Vita e poesie di Sordello, p. 79 e seg., e studio cit.; COULET, Le troubadour Guilhem Montanhagol, p. 46 e
segg. (che però dà della questione una spiegazione che mi sembra troppo ristretta e inadeguata, in quanto
ritiene che il sorgere della nuova concezione dell’amore sia dovuto unicamente alla necessità di «désarmer la
rigueur des clercs» e di non dare occasione ai sospetti dell’inquisizione); K. VOSSLER, Die philosophischen
Grundlagen zum «süsen neuen Stil» des Guido Guinicelli, Guido Cavalcanti und Dante Alighieri, Heidelberg, 1904; P.
SAVJ-LOPEZ, Trovatori e poeti, Milano-Palermo, 1906, p. 16 e segg.; E. G. PARODI, La lettura di Dante in
Orsanmichele, in Bullettino della società dantesca italiana, n. s., XIII, 1906, p. 242 e segg.; BERTONI, I trovatori d’Italia,
p. 152 e segg. e Il Duecento, p. 247 e segg.; JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 166 e segg.; UGOLINI,
La poesia provenzale e l’Italia, op. XX; VISCARDI, Poesie di Sordello, p. 679, e Letterature d’oc e d’oil, p. 418 e segg.,
426 e segg.
464 Vita e poesie, p. 80.
460
461
CXXII
chi della sua donna Amore gli sia entrato, attraverso gli occhi, nel cuore, e abbia
tratto poi con sé il suo cuore, portandolo alla donna, la quale ora lo tiene in suo
potere:
Gen mi saup mon fin cor emblar
al prim qu’ ieu miriey sa faisso,
ab un dous amoros esguar
que·m lansero siey huelh lairo.
Ab selh esguar m’intret en aisselh dia
Amors pe·ls huelhs al cor d’aital semblan,
que·l cor en trays e mes l’a son coman,
si qu’ ab lieys es, on qu’ ieu an ni estia.
Anche se le immagini del cuore rubato da Amore o dagli occhi della donna e
degli occhi intesi come via per giungere al cuore erano già presenti nei trovatori
precedenti465, certo esse ricevono particolare sviluppo presso i trovatori più recenti:
e anche per questo Sordello ci appare in armonia col suo tempo, e si può
presumibilmente giudicare uno dei trovatori che contribuirono, per così dire, a
fissare la maniera poetica predominante ai suoi tempi.
Degna di nota è pure — anche questa è una osservazione del De Lollis 466,
che qui riprendiamo per render compiuto il nostro esame delle canzoni del trovatore
mantovano — l’insistenza con cui in Sordello ritorna la personificazione dell’amore,
comune anche presso i trovatori più antichi, ma non presentata presso di essi con
quella ricchezza di particolari con cui compare presso i trovatori del sec. XIII. Oltre
all’esempio già ricordato della canzone Bel m’es, son da citare due passi della canzone
Tant m’abellis (XI): nel primo (v. 15-16) il poeta personifica anche il desiderio e la
morte, il primo dei quali fabbrica i dardi che poi Amore scaglia nel cuore, mentre
l’altra li tempera; e nel secondo (v. 73-75) Amore intaglia nel cuore del poeta le
fattezze della donna amata.
Certo, quanto al valore poetico, bisogna riconoscere che le canzoni di
Sordello non hanno la grazia, la finezza, l’impeto lirico, la felicità espressiva di quelle
di Lanfranco Cigala. Bisogna tuttavia
465
466
Cfr. ibid., p. 81 e 282.
Ibid., p. 81.
CXXIII
anche ammettere che non mancano componimenti o passi in cui il trovatore
mantovano riesce a dare espressione abbastanza viva al suo mondo poetico.
Specialmente notevoli mi sembrano la canzone Aitant, ses plus (II) che anche il
Bertoni467 giudicava uno dei componimenti migliori del poeta, tra le sue cose «più
forti e rappresentative», e la canzone con ritornello Ailas, e que·m fau, componimento
vivace e grazioso, anch’esso segnalato dallo Schultz-Gora e dal Bertoni468.
4. LE TENZONI E I PARTIMEN
Subito dopo le canzoni possiamo collocare, in questo rapido sguardo alle poesie di
Sordello, le tenzoni e i partimen, in gran parte di argomento amoroso. L’unica
eccezione è infatti la tenzone con Joanet d’Albusson (XIII), che è la più antica delle
due tenzoni, perché risale, come si è visto, alla dimora giovanile di Sordello nella
Marca Trivigiana. È una tenzone che si potrebbe dire di argomento personale,
nonostante qualche accenno all’amore per Cunizza, e che è interessante (oltre per la
ricostruzione della biografia del poeta, come si è visto) soprattutto per l’accusa che
Joanet d’Albusson muove in essa a Sordello, di essere un giullare e di mendicare
doni — accusa che è la stessa che, come vedremo, gli verrà rivolta in Provenza, tra
le altre, da Peire Bremon Ricas Novas (il quale citerà proprio la testimonianza di
Joanet per convalidare la sua affermazione che Sordello non è cavaliere) — e per la
difesa arguta e vivace con cui il trovatore mantovano ribatte l’attacco dell’avversario,
sostenendo che non fa il giullare se non per dir bene della sua amica e che ha preso
doni solo per fare a sua volta doni a un giullare. Ben più vigorosa e alta sarà la difesa
con cui Sordello risponderà al Ricas Novas; ma questo componimento giovanile ne
presenta già, in abbozzo, alcuni motivi.
Più notevole è la seconda tenzone, scambiata oltre le Alpi con Peire Guilhem
de Tolosa (XIV). In essa Peire Guilhem deride Sordello per il suo amore del tutto
spirituale, che gli pare (v. 13-18) del tutto strano e fuor del comune:
En Sordell, anc entendedor
non sai vi mais d’aital color
com vos es; que lh’autr’amador
467
468
I trovatori d’Italia, p. 75 e 152. Cfr. anche DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 86
Cfr. SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, p. 243; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 81.
CXXIV
volon lo baizar e·l iaçer,
e vos metes a no caler
so q’ autre drut volon aver.
e insinua (v. 25-30) ironicamente dei dubbi sulla sincerità del trovatore mantovano,
invitando il coms presso cui si trova a guardarsi dall’astuzia di lui e a non fidarsi troppo.
Tra le risposte di Sordello all’avversario è interessante soprattutto la cobla quarta
(v. 19-24), in cui il poeta afferma la purezza del suo sentimento d’amore:
De leis vueilh solaz et honor,
Peire Gilhem, e si d’amor
i mesclava un pauc de sabor,
per merce e non per dever,
qi·s volges ages tot l’aver,
sol q’ ieu n’ ages aqel plazer.
Sono versi che vanno anch’essi ricordati, accanto a quelli citati delle canzoni,
come documento dell’idealismo amoroso di Sordello.
Il più antico dei partimens è quello con Guilhem de la Tor (XV), scritto, come si è
visto, quando il trovatore era ancora nella Marca Trivigiana. La questione intorno a cui
si impernia il dibattito è posta da Guilhem de la Tor, ed è se debba vivere oppure
morire colui a cui la morte ha tolto la sua amica, vedendo che non la può dimenticare.
Sordello sostiene che per chi si trovasse in una simile situazione sarebbe preferibile la
morte, anche a costo di giungere a darsela con le proprie mani: se egli morisse come la
sua dama, sarebbero per lui finiti i pianti e i sospiri, e otterrebbe la lode di aver bene
amato. Guilhem de la Tor, come era nella tradizione del genere, sostiene l’opinione
contraria.
Anche nel partimen con Guilhem Montanhagol (XVI), composto, al pari degli
altri due, in Provenza, il quesito non è posto da Sordello, ma dal Montanhagol, il quale
domanda all’amico, dicendo di averne avuto espresso incarico dal «comte... proensal»
(nel quale, come si è visto, è da ravvisare Raimondo Berengario IV) se preferisca che la
sua amia conosca il suo cuore e come egli l’ama, oppure che sia data a lui stesso la
possibilità di conoscere il cuore di lei, e se ella lo ama o lo inganna. Sordello dichiara di
preferire la prima delle due ipotesi, perché ritiene che conoscendo il suo cuore e
osservando la sua fedeltà la donna proverà pietà, e volgerà in gioia il male di cui egli
soffre; e si indugia a dichiarare la sua devozione profonda alla dama, a cui egli si è
donato, e in cui è la sua morte e la sua vita; mentre il Montanhagol sostiene esser
preferibile
CXXV
leggere nel cuore della dama, per vedere se merita tale fedeltà, perché spesso sotto un bel
sembiante si nasconde una grande falsità.
Nei rimanenti due partimens (XVII, XVIII) Sordello disputa con Bertran
d’Alamanon; e ambedue le volte pone lui stesso il quesito. In Bertrans, lo joy Sordello
domanda all’amico se preferisca ottenere l’amore delle dame o la gloria delle armi: e Bertran
sceglie le armi, la cui gloria continuamente s’accresce, dichiarando di lasciare a Sordello
l’amore, che — egli afferma — non ha mai dato gioia ad alcuno, o solo una gioia
passeggera e caduca. Sordello invece difende l’amore, senza il quale nessun uomo può avere
«pretz fi», e che gli fa sperare le più grandi gioie del mondo. In Doas domnas è trattato un
tema che presenta una certa affinità col precedente (tanto che è lecito pensare che i due
componimenti sian stati scritti a breve distanza l’uno dall’altro): Sordello chiede se ami di
più quella dama che raccomanda all’innamorato di distinguersi per mezzo delle armi più
che può, per meritare il suo amore, o quella che gli raccomanda di non pensare a ciò, se
vuole essere amato. Bertran, assumendo una posizione analoga a quella del componimento
precedente, sostiene che ama di più quella dama che vuole che l’amico combatta e conquisti
onore per mezzo di nobili gesta, poiché se fosse vile sarebbe disonorato, e il disonore
ricadrebbe su di lei; e Sordello, che ancora una volta prende le difese dell’amore, afferma
invece che ama maggiormente colei che non vuole che l’amico affronti i rischi delle guerre
e desidera che si conservi in vita e eviti mutilazioni.
Queste tenzoni e questi partimen non hanno certo un rilevante valore poetico, ma
sono interessanti come esempi di questi «generi» lirici, e possono stare alla pari di tanti
componimenti consimili che ci sono rimasti, tutti generalmente assai modesti dal punto di
vista artistico.
5. I SIRVENTESI E IL COMPIANTO
Miglior poeta è Sordello nei sirventesi, anzi in alcuni di essi e nel planh egli
raggiunge i suoi più alti accenti poetici, sì che è del tutto esatto quel che ebbe a scrivere il
Crescini, che Sordello «è, meglio assai che un poeta d’amore, un moralista e un satirico;
meglio che un poeta da canzoni, un poeta di sirventesi» 469.
Due dei sirventesi, come si è accennato, sono di argomento politico (XIX e XX). Il
più antico (verisimilmente anteriore, come si è
469
Cfr. CRESCINI, Sordello, p. 31.
CXXVI
visto, al maggio 1233), che è il più oscuro, e ci è giunto in non buone condizioni 470,
è rivolto contro Raimondo Berengario IV di Provenza, criticato per il suo fiscalismo
e la durezza del suo governo, che rendeva irrequieti e ribelli i baroni, tra i quali è
ricordato in modo particolare Blacatz. Il più recente, posteriore al 1237, è rivolto
contro i «tre diseredati», Giacomo I d’Aragona, Raimondo VII di Tolosa e
Raimondo Berengario IV di Provenza: al primo si rimprovera di aver di nuovo
perduto Millau, dopo il vano tentativo fatto per riconquistarla 471; al secondo, dopo
un accenno non del tutto chiaro alla riconquista di Beaucaire 472, si rinfaccia
l’umiliazione subita col trattato di Parigi (1229), che lo aveva spogliato di molti feudi
e lo aveva costretto a rinunciare al titolo di duca473; del terzo si dice (posto che così
si debba intendere) che riscuote ora le rendite del porto di Marsiglia, ossia della città
bassa, che gli erano state tolte dal conte di Tolosa 474.
Ha infatti, come vedremo, varie lacune, fra cui quella di un’intera strofe, rilevate dallo stesso copista, che
ha lasciato vari spazi bianchi; il che mostra che egli attingeva a un originale già lacunoso, o così danneggiato
da essere talora incomprensibile.
471 Su questo fatto cfr. la nota 266 del cap. I.
472 Cfr. su questo punto la nota illustrativa ai v. 21 e segg.
473 Raimondo VII dovette infatti cedere alla corona di Francia una parte dei suoi domini (ossia tutti i territori
che possedeva nelle diocesi di Carcassonne, Narbonne, Béziers, Montpellier, Agde, Lodève e Nîmes, e in
parte in quelle di Albi e di Rodez) che il re di Francia governò direttamente per mezzo di suoi siniscalchi, e
porre sotto il controllo della Chiesa il Venaissin, e conservò soltanto il territorio tolosano e una parte
dell’Albigeois, dei quali però veniva proclamata erede, nel caso che egli non avesse altra prole, l’unica figlia sua
Giovanna, destinata in isposa e poi maritata nel 1237 ad Alfonso di Poitiers, fratello di Luigi IX. Inoltre
Raimondo VII rinunciò ai titoli di duca di Narbona e di marchese di Provenza (cfr. D EVIC, VAISSETE, Histoire
generale de Languedoc, VI, p. 639 e seg.; FOURNIER, Le royaume d’Arles et de Vienne, p. 127 e seg.; LAVISSE, Histoire
de France, III, 2, p. 8). Raimondo riassunse poi il titolo di marchese di Provenza nel 1234, in seguito al diploma
di Federico II che gli accordava l’investitura dei Venaissin e di tutte le terre da lui anticamente tenute nel
reame di Arles (cfr. FOURNIER, ibid., p. 142; BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 52), e il titolo
di duca di Narbona nel 1242 (DEVIC, VAISSETE, ibid., VI, p. 744).
474 Nel 1230 Marsiglia, in contrasto con Raimondo Berengario IV, aveva invocato l’aiuto di Raimondo VII di
Tolosa e, accorso questi in aiuto, si era posta sotto la sua signoria con atto del 7 novembre 1230, dando inizio
in tal modo a una lunga e complicata guerra che ebbe termine soltanto, dopo vari periodi di ostilità
intramezzati da tregue (più o meno lunghe e sempre instabili) con la pace conclusa tra la città e Raimondo
Berengario il 22 giugno 1243. Su questa contesa, di cui non è il caso di rievocare qui le complesse vicende, cfr.
DEVIC, VAISSETE, ibid., VI, 664 e segg.; FOURNIER, ibid., p. 130 e segg.; BOURRILLY, BUSQUET, ibid., p. 46 e
segg.; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 122 e segg. Cfr. anche le note ai v. 31
e seg. del componimento.
470
CXXVII
In complesso sono due liriche di non grande rilievo. Il De Lollis osserva 475
che in esse si ripetono accuse abbastanza comuni, assai diffuse nei sirventesi del
tempo, e che anche l’accenno alla donna amata e all’amore che il poeta introduce
nella quinta strofa e nella tornada del secondo sirventese è tutt’altro che una novità,
poiché già alcuni sirventesi e canzoni-sirventesi di Bertran de Born terminano
inaspettatamente con un accenno all’amata476, e anche Peire Vidal chiude il suo
sirventese Per pauc de chantar, rivolto contro vari sovrani europei, con un ricordo della
gioia d’amore, in cui dice di trovar conforto al dolore che suscita in lui la scomparsa
delle più nobili virtù477; e aggiunge che è in fondo un motivo tradizionale anche la
dimostrazione di sdegnosa noncuranza — che compare nell’ultima strofe del
secondo sirventese — per il risentimento che i rimproveri susciteranno in coloro
che ne sono colpiti478: il che lo porta a concludere che «non ispetta a Sordello un
posto singolare tra i molti trovatori che cantaron di politica dopo gli avvenimenti
della crociata albigese479. Giudizio che si può sottoscrivere, in fondo, se lo si limita a
questi due sirventesi, e non lo si estende anche al planh in morte di Blacatz, come
vorrebbe, pur con qualche temperamento, il De Lollis; benché si debba riconoscere,
d’altra parte, che queste liriche possono essere ritenute degne di star accanto a molti
componimenti consimili, e che non mancano, qua e là, specie la seconda, di un certo
vigore.
Vita e poesie, p. 69 e segg.
Cfr. i sirventesi Mout m’es, No puosc mudar, Rassa, mes si e le canzoni-sirventesi Rassa, tan creis e S’abrils e
fuolhas (P. C. 80, 28, 29, 36, 37, 38; cfr. l’ed. STIMMING, rispettivamente p. 90, 99, 78, 113, 124.
477 P. C. 364, 35. Cfr. l’ed. J. ANGLADE, Les poésies de Peire Vidal, Paris, 1923, n. XXXII, p. 103.
478 Il DE LOLLIS (ibid., p. 73 e seg.) cita come esempi di questo motivo tradizionale il sirv. De sirventes faire di
Peire Cardenal (P.C. 335, 17; cfr. C. A. F. MAHN, Werke der Trobadors, Berlin, 1846-86, II, p. 224 e seg.), il sirv.
D’un sirventes far di Guilhem Figueira (ed. LEVY, p. 35, P. C. 217, 2), il sirv. Ar farai, sitot di Guilhem Anelier
(ed. GISI, Solothurn, 1887, p. 30; P. C. 204, 2), il sirv. Ja no voill di Bernart de Rovenac (P. C. 66, 3; cfr. MAHN,
ibid., III, p. 132 e seg.), e il sirv. Era pueys yverns di Bonifacio da Castellana (in APPEL, Provenzalische Inedita, p. 82
e seg. e DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 175 e segg.; P. C. 102, 1). È da notare che tra
questi sirventesi solo i primi due sono anteriori ai sirventesi di Sordello; e che l’affermazione di non curare
l’ira di coloro che il poeta biasima è in essi all’inizio del componimento, non nella chiusa, come in Sordello.
479 DE LOLLIS, ibid., p. 72.
475
476
CXXVIII
Due altri sirventesi sono di argomento morale (XXI e XXII). Ambedue sono
rivolti principalmente contro i ricchi, per quanto il poeta si allarghi da questo
argomento a considerazioni di ambito più vasto. Nel primo il trovatore mostra quanto
sia sconveniente che i prodi siano poveri e che i vili siano ricchi; auspica una migliore
distribuzione delle ricchezze, in guisa che l’eccessiva abbondanza dei ricchi «malvas e
nuallos» vada a sollevare la povertà dei valenti che son privi di mezzi; fa l’elogio della
mesura, che potrebbe sanare i mali degli uomini480, e aggiunge che le ricchezze e la
povertà non danno la misura del valore degli uomini, perché il prode, quando ha
maggiore mancanza di averi, meglio può mostrare quanto è valente, e il ricco, quando
ha maggior potenza, meglio mette in evidenza la sua flacha natura, concludendo con
l’affermare nella tornada che ciò che maggiormente importa non è la ricchezza, ma la
prodezza
qe ses aver nascet cascus de nos
e ses aver serem de verms pastura.
Il secondo — indirizzato con doppia tornada a N’Agradiva, cioè a Guida, e al re
d’Aragona Giacomo I — deplora la decadenza delle virtù più nobili, che si va
diffondendo, e l’attribuisce principalmente al fatto che i potenti e i ricchi, che guidano
la società, sono condotti a non amare più onore e pregio; da essi appunto la corruzione
discende di grado in grado ai menors, in guisa che tutta la società ne è guastata.
Anche qui siamo nel solco della tradizione. Le accuse contro i ricchi sono infatti
un motivo comune della poesia trobadorica di ispirazione morale, fin dalle sue più
antiche espressioni (si può risalire fino a Marcabru e a Guiraut de Borneill; e sarebbe
superfluo attardarsi in citazioni): e anche l’epiteto di malvaz dato ai ric (XXI, v. 22; XXII,
v. 35) è quello che ormai si era fissato nella tradizione. E tradizionale, e risalente pur
esso, come è noto, fino a Marcabruno (anzi qualche spunto se ne potrebbe additare già
in Cercamon), è pure il ricordo della decadenza di domnei, joi, solatz, onor e pretz.
L’elogio della mesura è assai caro a Sordello, che dedica ad essa un intero paragrafo dell’Ensenhamen d’onor
(v. 373-394), e vi allude anche nella lirica XXXLX, v. 9. Ma è anch’esso un motivo comune presso i trovatori
del sec. XIII: basti citare il Montanhagol, sirv. Qui voi esser, passim (ed. COULET, XIII, p. 161 e segg.) e sirv.
Nulhs om no vai, v. 28 e segg. (ed. COULET, X, p. 141) e gli esempi di Bartolomeo Zorzi ricordati dal DE
LOLLIS, Vita e poesie, p. 75, n. 5. E cfr. le osserv. del COULET, ed. cit., p. 52 e segg.
480
CXXIX
Né manca la possibilità di qualche riscontro più preciso. Come ha mostrato il De
Lollis481, Sordello deve aver tenuto presente nel comporre questi sirventesi il
sirventese Lo sabers d’[aqu]est segle es foudatz di Peire Cardenal (P. C. 335, 34), dal quale
probabilmente prese lo spunto, nel primo sirventese, per l’antitesi tra i difetti del
ricco e i pregi del povero 482, e trasse varie frasi e persino qualche verso del secondo
sirventese483, nel quale si compiacque inoltre di riprodurre fedelmente anche lo
schema metrico del suo modello. E i versi 29-35 del secondo sirventese, in cui si
descrive la discesa della malvagità dai maggiori ai minori, forse traggono lo spunto
dal sirventese Si per mo Sobre-Totz di Guiraut de Borneill (P. C. 242, 73) 484; mentre nei
versi 17 e segg. del primo, ove la morte è detta migliore di una vita a cui manchino
joi e solatz si può forse risentire un ricordo di passi di trovatori precedenti, come
Pons de Capduoill o Peire Vidal o Peire Cardenal485.
Tuttavia questi sirventesi, pur rimanendo nel solco della tradizione e
contenendo talora riecheggiamenti di idee e immagini altrui (forse minori, per altro,
in complesso, di quanto non appaia dalle pagine del De Lollis), hanno una certa
forza d’espressione; né vi mancano, specialmente nel secondo, che a me sembra il
migliore, dei versi vigorosi, ove vibra un nobile sdegno, che ravviva e rinnova anche
le eventuali reminiscenze letterarie, come nella strofe (v. 29-35) ove si accenna alla
malvestatz che discende di grado in grado dai maggiori ai minori:
DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 76.
Secondo il DE LOLLIS anche il v. 28, che afferma non potersi chiamar propriamente povertà per l’uomo
prode la mancanza di danaro, potrebbe esser stato suggerito dal v. 8 del componimento del Cardenal, nel
quale è detto che la ricchezza mondana è povertà.
483 Ecco gli esempi più significativi (cito nella prima colonna i versi del sirventese di Peire Cardenal, secondo
il testo datone dal K. VOSSLER, Peire Cardenal, ein Satiriker aus dem Zeitalter der Albigenserkriege, in Sitzungsberichte
der K. Bayerische Akademie der Wissenschaften, Phil. hist. Klasse, Jahrg. 1916, Abh. 6, p. 76, e nella seconda i versi
di Sordello):
481
482
v. 7 et al Lazer, cal mes Dieus en soan
v. 10 qu’el en pert Dieu e s’arma eissamen
v. 13 que per aver gieta Dieu a son dan
v. 22 mas tant es grans del segle·l cobeitatz
v. 20 c’onor e pretz meton en soan
v. 16 com cel qui pert Dieu e·l segle eissamen
v. 21 e Dieu e·l mon en getan a lur dan
v. 19 tant los destreing nonfes e cobeitatz
V. 37: e moc la colpa dels alsors (cito dall’ed. di A. K OLSEN, Sämtliche Lieder des Trobadors Giraut de Bornelh,
Halle a. S., 1910, p. 464).
485 Cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 76.
484
CXXX
Dels maiors mou tota la malvestatz,
e pois apres de gra en gra dissen
tro als menors, per que torna a nien
jois e pretz, si que, qui pretz vol ni·l platz,
pot n’ aver leu, car tant n’ es granz mercaz
que per cinc solz n’a hom la peza e·l pan:
si·l tenon vil li ric malvaz truan!
o come in questi altri (22-26), ove la deplorazione dell’avidità di oro e di argento,
che induce i nobili a imbastardire il loro lignaggio, e della vanità delle ricchezze
terrene si unisce alla constatazione della brevità della vita e della rapidità con cui
sopraggiunge la morte:
Ai, com pot tan esser desvergoingnatz
nuls hom gentils, que an enbastarden
son lignage per aur ni per argen?
Qe l’avers vai leumenz e la rictatz,
e·ill vida es breus e la mortz ven viatz...
Notevole anche la chiusa del primo sirventese, già citata, che venne lodata
anche dallo Schultz-Gora486.
Ma certo ai sirventesi morali sono ancor superiori i tre sirventesi satirici e
personali, diretti contro Peire Bremon Ricas Novas nel celebre «duel poétique» di
cui già si è fatto cenno. Il primo di essi, come ormai è stato assodato dalle ricerche
del Bertoni e dello Jeanroy487, che hanno mostrato l’esattezza dell’ordine proposto
dal De Lollis 488 e messo definitivamente da parte l’ordine che era stato congetturato
dallo Schultz-Gora489 e che lo Schultz-Gora stesso,
Rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 243.
BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 269 e segg. Non sto a ripetere la esauriente
dimostrazione dei due illustri studiosi, dal momento che nessuno più avanza dubbi sulle loro conclusioni, e
rimando senz’altro i lettori alle loro pagine. L’ordinamento BERTONI-JEANROY è stato accettato anche dal
BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 59 e segg., 109 e segg., e dall’UGOLINI, La poesia
provenzale e l’Italia, p. 84 e segg.
488 Vita e poesie di Sordello, p. 45 e segg.; cfr. anche la risposta allo S CHULTZ-GORA in Pro Sordello de Godio, milite,
p, 206.
489 Ueber den Liederstreit zwischen Sordel und Peire Bremon, p. 124 e segg. Lo SCHULTZ-GORA aveva avuto il merito
di riconoscere che i sirventesi Lo bels terminis, Tant fort m’agrat e En la mar major del Ricas Novas sono,
nell’ordine, le risposte ai sirventesi Qan q’ieu chantes, Lo reproviers e Sol que m’afi di Sordello, dimostrando
inaccettabile un diverso ordinamento proposto dal DIEZ, Leben und Werke der Troubadours, p. 385 e segg.; ma
sosteneva che i sei sirventesi dovettero esser composti in questo ordine: 1) Sord. Sol que m’afi, Br. En la mar
major; 2) Sord. Lo reproviers, Br. Tan fort m’agrat; 3) Sord. Qan q’ieu chantes, Br. Lo bels terminis.
486
487
CXXXI
dopo la pubblicazione del volume del De Lollis, aveva riconosciuto meno
verisimile490, è il sirventese Qan q’ieu chantes, con cui Sordello attacca il Ricas Novas,
pur senza nominarlo e senza lasciarsi andare ad allusioni troppo precise. È, dei tre
sirventesi, il meno personale, perché Sordello vi imita largamente, non solo nel tono
generale, un po’ fanfaronesco, ma anche in particolari immagini e in varie
espressioni491 il noto vanto Drogoman senher di Peire Vidal (P. C. 364, 18) — lirica che
dovette certo godere di assai larga diffusione — di cui riprende anche lo schema
metrico e le rime. Nonostante questi ricordi della lirica del trovatore tolosano
Sordello ha saputo però dare alla lirica uno sviluppo in gran parte originale: ché
mentre il Vidal nel suo vanto si era semplicemente divertito, secondo il suo costume,
ad esaltare, col suo solito piglio un po’ fanfaronesco e caricaturale, la propria
bravura nelle armi, e anche nell’amore e nella galanteria (v. cobla quarta), con lo
scopo, sin troppo evidente perché dichiarato per ben due volte (v. 1 e 25), di
ottenere dal protettore designato col senhal di Drogoman492 il dono di un buon
destriero, e perciò non aveva parlato di nemici se non in tono molto generico,
Sordello, rielaborando con bravura gli spunti tratti dal suo modello, ha fatto della
sua lirica un attacco personale ben preciso, anche se volutamente privo di allusioni
troppo esplicite, che ha già il tono violento e talora anche i tratti caricaturali che avrà
nei sirventesi seguenti, come appare soprattutto dalla terza cobla:
Cfr. la recensione al vol. del DE LOLLIS, p. 242.
Ad es. il vanto che Sordello fa nella seconda cobla della sua bravura in guerra deriva particolarmente dalle
prime due coblas del sirventese di Peire Vidal; e in particolare il v. 9 (qand eu los vei, que s’om los me mentau) e il v.
12 (per que l’es ops qe·is gart de mon esclau) sono manifestamente suggeriti dai v. 3 e 12 di Drogoman senher (c’aqui
mezeis cant hom lor me mentau... tan me dopton can senton mon esclau). Alle stesse due coblas del Vidal risale anche la
celebrazione della guerra che Sordello fa nella prima strofe. II ricordo del corren destrier che Sordello inserisce
nel v. 32 è reminiscenza dei versi 1 e 25 del trovatore tolosano; e il m’a faich enic e brau del v. 33 è suggerito da
un’altra espressione del Vidal, il mi sabon fer e salvatg’ e brau del v. 6. E la preghiera che Sordello fa nei v. 19-20
di non considerarlo uno spaccone è certo nata in margine alle vanterie a cui il Vidal, secondo il suo solito, si
abbandona nella sua lirica; così come viene dal trovatore tolosano (v. 28-30), benché sia inserita in un
contesto diverso, la menzione di Montpellier e della Crau (v. 23-24). Per altre osservazioni cfr. le note al testo.
Seguo l’ed. ANGLADE, Les poésies de Peire Vidal, n. XIV, p. 40 e segg.
492 Il personaggio è di difficile identificazione: sulla questione cfr., fra l’altro, P. M EYER, Explication de la pièce de
Peire Vidal «Drogoman senher», in Romania, II, 1873, p. 422 e segg.; JEANROY, La poésie lyrique des troubadours,
II, p. 154; S. BATTAGLIA, La poesia di Peire Vidal, in Studi romanzi, XXIII, 1933, p. 143.
490
491
CXXXII
cel qe·l conois lo ten per messongier,
flac e volpil, avol et ufanier;
c’ ab croi semblan, fals avinen, soau,
se feing cortes, e non val un denier;
qe·il dich son gros e·l faich son menudier,
per q’ entre·ls pros non es prezatz un clau.
A tale sirventese Peire Bremon Ricas Novas rispose, riprendendo lo schema
della canzone Tant ai uno cor ple de joya di Bernart de Ventadorn (P. C. 70, 44), forse
non direttamente, ma attraverso il sirventese Falsedatz e desmesura di Peire Cardenal
(P. C. 335, 25) 493, col sirventese Lo bels terminis, nel quale cerca di gettare il discredito
sull’avversario, sdegnosamente definendolo un giullare «fals ab lecharia», che è
fuggito di Lombardia per la sua condotta sleale, ne deride le pretese di apparire un
cavaliere — riallacciandosi anche all’ostentazione di bravura guerresca fatta da
Sordello nel suo sirventese —, chiamandolo «joglars garnitz»; e nota che per la sua
viltà non è neppur degno di giacere con la sua donna, suggellando la serie delle
ingiurie con l’accusa di essere un «trobador d’aver, non ges d’onor»494.
Era naturale che Sordello non lasciasse cadere la contesa, soprattutto per
quell’accusa di essere un giullare, che aveva combattuto già nella sua giovinezza,
tenzonando con Joanet d’Albusson, e che ora si ripresentava in tono più acre e
ingiurioso, con accento più sprezzante, e rispondesse con un altro sirventese alle
aspre offese, che lo pungevano nel vivo. Il nuovo sirventese (Lo reproviers vai averan),
originalissimo, anche se forse è condotto sullo schema metrico del sirventese Puois
Ventadorns di Bertran de Born (P. C. 80, 33) 495 e tutto vibrante di fierissimo sdegno,
si inizia con una strofa ironica, in cui il poeta finge di maravigliarsi che un «fals
volpills» abbia preso sopra di sé il sirventese precedente, di cui afferma
sarcasticamente di voler fargli dono. Ma subito Sordello passa a confutare le accuse
dell’avversario; e prima ritorce contro il Ricas NoChe il sirventese di Peire Cardenal sia stato il modello diretto del Ricas Novas si può desumere dal fatto
che le rime usate dal Ricas Novas nel suo componimento (che è in coblas unissonans) sono quelle usate dal
Cardenal nell’ultima cobla. Per il testo del sirventese del Cardenal cfr. F. J. M. RAYNOUARD, Choix des poésies
originales des troubadours, Paris, 1816-21, IV, p. 338 e segg.; MAHN, Werke der Trobadors, II, p. 192 e segg.
494 Cfr. la citata ed. BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIII e siècle, p. 281 e segg., e BOUTIÈRE, Les poésies
du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 59 e segg.
495 Cfr. F. W. MAUS, Peire Cardenals Strophenbau in seinem Verhältniss zu dem anderer Trobadors, Marburg, 1884, p.
90; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 129.
493
CXXXIII
vas la taccia di slealtà e di viltà, indi respinge con nobile fierezza l’accusa di essere un
giullare, quella che più lo tormentava:
Ben a gran tort car m’apella joglar,
c’ ab autre vai et autre ven ab me,
e don ses penre, et el pren ses donar,
q’ en son cors met tot qant pren per merce;
mas eu non pren ren don anta m’eschaia,
anz met ma renda e non vuoili guizerdon
mas sol d’amor; per qe·m par q’ el dechaia
et eu poje, qui nos jutga a razon.
Si noti la decisa affermazione con cui si chiude la strofe, in cui il trovatore di
Goito proclama con tanta energia la sua superiorità sull’avversario, che nasce dalla
consapevole adesione agli alti ideali cavallereschi e cortesi a cui il poeta ispira tutta la
sua vita.
E a contrasto con la nobiltà e la dignità della sua vita Sordello traccia molto
efficacemente un ritratto grottesco dell’avversario, dipingendolo come un uomo
effeminato, che non pensa che ad adornarsi, e si vagheggia ridicolmente davanti allo
specchio, immaginandosi di far innamorare tutte le donne:
Car sol si sap peigner et afaitar,
e car se feing tot jorn non sap de que,
e car se sap torser e remirar,
cre qe·is n’ azaut tota dompna de se.
Ma una nobile dama — aggiunge Sordello — non si volgerà mai ad amare un
uomo sì vile: il Ricas Novas troverà la dama che gli conviene nel quartiere
malfamato di Marsiglia.
Il sirventese termina con il ricordo sarcastico delle «degne accoglienze»
tributate al Ricas Novas dal conte di Tolosa, che non ha voluto saperne di lui e lo ha
rinviato a Marsiglia, senza che egli, peraltro, nella sua bassezza e nella sua
insensibilità morale ne provasse vergogna:
Gen l’a saubut lo valens coms onrar
de Tolosa, si co·is taing ni·s cove,
c’a Marseilla la faich azaut tornar,
per que laisset son seignor e sa fe;
mas el no tem vergogna, ni s’esmaia,
don degr’ estar marritz tota sazon
lo fals volpills q’ a nom, car pauc s’ essaia,
«cor de conill ab semblan de leon».
Il verso finale suggella in modo felicissimo il componimento, che
CXXXIV
è veramente, come giudicarono il De Lollis 496 e il Pelaez497, la più bella poesia di
Sordello (accanto, a mio giudizio, al celebre planh in morte di Blacatz), e uno dei
migliori sirventesi satirici di tutta la letteratura occitanica.
Questo sirventese non è l’ultimo della serie. Peire Bremon Ricas Novas
risponde a sua volta col sirventese Tant fort m’agrat498 — costruito sul modello
appena modificato del secondo sirventese di Sordello — fingendosi anch’egli
meravigliato che Sordello abbia ritenuto riferito a se stesso il sirventese e ritornando
ancora sulle accuse di essere un giullare e di non essere un cavaliere, con allusioni
anche assai oscure; e Sordello torna per la terza volta, col sirventese Sol que m’afi, a
scagliarsi contro l’avversario, insistendo specialmente sul fatto che non lo hanno
voluto tenere presso di sé né il conte di Provenza né quello di Tolosa: se Barral lo
respingerà, dove troverà rifugio? E rinnova in altra forma l’accusa di pusillanimità e
di viltà, aggiungendovi l’accenno a particolarità fisiche che compiono la caricatura
del suo nemico:
Que·l cors a gran e lonc, e·l cor petit e fals...
Ara·l veyrem parer, penhen et afachan,
anar d’ artelh a pe e puiar estruban,
e, son gran cors malvatz cenhen e remiran
portar camiz’ ab aur que·l molher cos tot l’ an...
Benché forse non raggiunga in tutto il precedente, anche questo sirventese, assai
originale, è certo da collocare fra le poesie migliori di Sordello. Esso provocò da
parte di Peire Bremon Ricas Novas un’ultima risposta, assai interessante per le
allusioni che contiene — e che abbiamo già avuto occasione di ricordare — a fatti
della vita del trovatore mantovano: il ricordo dell’ardimen per cui Sordello non può
aver più posto tra i Lombardi, il suo andar erranVita e poesie, p. 77. Veramente il DE LOLLIS sembra dare tale giudizio dell’ultimo dei tre sirventesi (cioè,
poiché, come si è detto, egli propose lo stesso ordine che fu poi riconosciuto per vero dagli studi successivi, il
sirv. Sol que m’afi) ma trattasi certo di una svista, perché dalle righe del testo, in cui si accenna ad una antitesi
tra le qualità di Sordello e quelle del Ricas Novas, e ancor più dalla nota, che rimanda alla Histoire littéraire des
troubadours del MILLOT (II, Paris, 1774, p. 88-89) e ai Testi antichi provenzali del MONACI (Roma, 1889, col. 9091), si comprende agevolmente che egli voleva riferirsi al secondo: infatti solo questo sirventese venne
largamente tradotto dal Millot nel suo volume, e venne riportato dal Monaci nella sua antologia.
497 Nella recensione del vol. del DE LOLLIS pubblicata nella Nuova antologia, CXLVI, 1896, p. 561.
498 Cfr. le citate ed. BERTONI, JEANROY, p. 287 e segg., e BOUTIÈRE, p. 64 e segg.
496
CXXXV
do, sì da conoscere tutti i baroni «de Trevis tro a Gap» e i baroni di Spagna, il
diniego della mula, la dimora presso Savaric de Mauleon, l’oscura allusione a
Cananillas e un’altra ancora più oscura alla sfortuna di Sordello in amore.
Non sappiamo con certezza se Sordello replicasse ancora o no; ma è molto
probabile — come del resto si può desumere dal fatto che la tradizione manoscritta
limita a questi sei sirventesi il celebre contrasto poetico — che Sordello abbia a
questo punto lasciato cadere la polemica, avendo ormai detto all’avversario tutto ciò
che l’animo gli dettava.
Resta ora da dire del celeberrimo planh in morte di Blacatz, la lirica più
famosa del nostro trovatore, e la più nota e divulgata anche nei sec. XIII e XIV,
poiché è la poesia che più frequentemente si trova trascritta nei canzonieri che ci
hanno conservato le liriche dei trovatori499. In essa Sordello ha rinnovato
originalmente la impostazione tradizionale del planh — che di solito o si limitava ad
esprimere il dolore del poeta per la scomparsa del personaggio da lui cantato e a
tesserne l’elogio, o tracciava un confronto generico fra le qualità buone del morto (le
solite del formulario trobadorico) e i vizi della società contemporanea500 —
ricorrendo (ma in modo nuovo) al motivo assai diffuso del «cuore mangiato» 501 e
invitando i più alti re e principi d’Europa a mangiare un poco del cuore del nobile
barone defunto per tentar di acquistare quelle virtù di cui gli sembravano privi. Così
del morto cavaliere si
Si trova infatti — se si tien conto anche di Dc, che ce ne ha conservato solo un esiguo frammento — in 10
manoscritti (escludendo dal computo, s’intende, le copie tardive come Ab, ecc.).
500 SPRINGER, Das altprovenzlische Klagelied; JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 237 e segg. Lo
JEANROY, ibid., II, p. 333 e segg. dà anche la lista dei planhs anteriori a quello di Sordello.
501 Per la vasta bibliografia esistente sul motivo del cuore offerto in pasto nelle sue varie forme basti citare: A.
D’ANCONA, commento alla Vita nuova di Dante, 2ª ed., Pisa, 1884, p. 32 e segg.; V. CRESCINI, Contributo agli
studi sul Boccaccio, Torino, 1887, p. 58; J. E. MATZKE, The Legend of the Eaten Hert, in Modern Language Notes,
XXVI, 1911, p. 1 e segg.; H. HAUVETTE, La 39e nouvelle du Decameron et la legende du «coeur mangé», in Romania,
XLI, 1912, p. 184 e segg.; LOMMATZSCH, Provenzalische Liederbuch, Berlin, 1917, p. 474; LÅNGFORS, introduz. a
Les chansons de Guilhem de Cabestanh , 2ª ed., Paris, 1924; J. E. MATZKE, M. DELBOUILLE, introduz. all’ed. del.
Roman du Chastelain de Couci et de la Dame de Fayel, Paris, 1936; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXV.
Ivi si troveranno altri rimandi bibliografici.
499
CXXXVI
parla appena, brevissimamente, all’inizio del componimento, e tutto il resto della
lirica è occupato dalle acerbe rampogne rivolte ai principi contemporanei, disposti,
per così dire, in ordine di importanza decrescente. La serie si inizia con l’imperatore
Federico II, a cui è data la taccia di deseretatz perché non riesce a domare i Milanesi.
Seguono i quattro re più importanti: il re di Francia, Luigi IX, a cui sono
rimproverate la rinuncia al regno di Castiglia502 e l’eccessiva condiscendenza verso la
madre; il re d’Inghilterra, Enrico III, a cui si rimprovera la rinuncia a riconquistare i
possessi che erano stati strappati alla sua casa dal re di Francia 503; il re di Castiglia,
Ferdinando III, che tiene due regni (la Castiglia e il León) 504 e non è prode
nemmeno per uno, e che anch’egli è dominato dalla madre; il re di Aragona,
Giacomo I, che «riceve onta» a causa di Marsiglia e di Millau 505. A questi segue un re
di minore importanza, Tebaldo di Navarra, prima semplice conte di Champagne, a
cui Sordello dice che valeva più come conte che come re; e ultimi vengono i due
conti di Tolosa e di Provenza, al primo dei quali il poeta rimprovera, come nel
sirventese dei «tre diseredati», le notevoli perdite di territorio da lui subite506, mentre
al secondo — alla corte del quale Sordello molto probabilmente si trovava, come
abbiam visto, quando scrisse questo componimento — non è rivolto tanto un
rimprovero quanto piuttosto un incitamento a continuare energicamente la
resistenza contro i suoi nemici.
Per queste acerbe critiche il compianto è in gran parte un vero e proprio
sirventese; e il De Lollis 507 lo accosta strettamente ai sirventesi contro Raimondo
Berengario e contro i «tre diseredati», e, pur riconoscendo l’originalità della trovata
del cuore offerto in
A cui avrebbe avuto diritto come figlio di Bianca di Castiglia, primogenita di Alfonso III: cfr. la nota al v.
14 del testo.
503 Si tratta dei territori che Filippo Augusto aveva tolto a Giovanni Senza Terra nel 1204 e che invano Enrico
III aveva cercato di riconquistare nel 1230: cfr. la nota ai v. 19-20 del testo.
504 Il primo ereditato dalla madre Berengaria, sorella minore di Bianca, il secondo ereditato dal padre Alfonso
IX di León: cfr. la nota al v. 22 del testo.
505 In quanto non riesce, come si deve intendere, a far ritornare la prima di queste città sotto la sovranità del
cugino Raimondo Berengario IV, a cui si era ribellata, e lascia nelle mani di Raimondo VII di Tolosa Millau,
antico feudo della sua casa: cfr. la nota 266, la nota 474 e la nota al v. 27 del testo.
506 Alle quali aveva dovuto piegarsi col trattato di Parigi: cfr. la nota 473 di questo capitolo.
507 Vita e poesie, p. 68 e segg.
502
CXXXVII
pasto ai principi, lo coinvolge nelle stesse critiche, osservando che anche nel planh
Sordello non fa che riprendere le accuse tradizionalmente ripetute in molti
sirventesi, a proposito degli stessi principi o di altri, e che la chiusa riprende
anch’essa motivi tradizionali, sia per quanto riguarda l’ostentato disprezzo dell’ira dei
baroni offesi, sia per il ricordo della donna amata, nell’amore della quale il poeta
dichiara di trovare conforto all’odio dei suoi nemici. E l’osservazione ha un
innegabile fondo di verità se si guarda esclusivamente al contenuto. Ma a questi
motivi mi sembra che Sordello abbia saputo dare vigoroso rilievo poetico,
rivivendoli, nell’originale impostazione del planh, con gagliardia di sentimento e
incisività di forma. Anche l’inizio della lirica, che rimpiange la scomparsa del prode
barone, nel quale il poeta ha perduto «senhor et amic bo», sì che ne ha il cuore triste
e smarrito, ha un accento commosso — pur nella sua sobria pacatezza — che non si
ritrova in molti altri componimenti consimili. Cosicché io credo che in complesso di
questa lirica nobile e fiera si debba dare un giudizio più positivo di quel che ne diede
il De Lollis, e che essa debba collocarsi accanto ai due ultimi sirventesi contro il
Ricas Novas, nel gruppo delle liriche migliori di Sordello 508. Il che spiega la sua
grande diffusione, testimoniata dai manoscritti, e spiega le imitazioni 509 che ne
fecero Bertran d’Alamanon, il quale invitò a dividersi il cuore di Blacatz le dame «de
qu’el er enveyos»510 e Peire Bremon Ricas Novas, il quale divide il corpo 511 del
nobile signore in quattro parti, assegnandole ai vari popoli d’Europa, e destinando la
testa a Gerusalemme; imitazioni che, certo, si ispirano, come osserva il De Lollis 512,
alla «trovata fondamentale» del cuore del prode offerto in pasto 513 — che era, del
resto,
Per una valutazione del planh più positiva di quella del DE LOLLIS basti citare: BERTONI, I trovatori d’Italia,
p. 81 e 532; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXV; VISCARDI, Poesie di Sordello, p. 679. Cfr. anche
PARODI, Il Sordello di Dante, p. 193.
509 Il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 42, 48 e 74 chiama «parodie» i due componimenti di Bertran d’Alamanon e
del Ricas Novas. In realtà — come ha bene osservato il BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas
Novas, p. 120 — queste imitazioni non hanno nulla che possa far veramente pensare a una parodia.
510 Cfr. le ed. dello SPRINGER, Das altprovenzalische Klagelied, p. 96 e segg. e del SALVERDA DE GRAVE, Le
troubadour Bertran d’Alamanon, p. 95 e segg.
511 A torto il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 81 e 532 afferma che il Ricas Novas invitò i popoli a dividersi «il
cuore» del prode barone.
512 DE LOLLIS, ibid., p. 74.
513 L’idea di Peire Bremon Ricas Novas di distribuire il corpo è evidentemente una variante — suggerita dal
desiderio di evitare monotonia e di trovare qualcosa di nuovo — del motivo fondamentale del planh di
Sordello, che era già stato ripreso da Bertran d’Alamanon.
508
CXXXVIII
il particolare della lirica che appariva più facilmente sfruttabile con qualche pretesa di novità
— ma che sono una testimonianza eloquente dell’ammirazione che il planh dovette
suscitare anche tra i contemporanei.
Da questo vigoroso componimento, in cui si sente, come scrive il Bertoni, la voce
di una «dignitosa e netta coscienza»514, trasse — come vedremo — ispirazione Dante per la
sua mirabile trasfigurazione del trovatore mantovano e per l’episodio della rassegna dei
principi nella valletta dell’antipurgatorio.
6. LE LIRICHE MINORI E I FRAMMENTI
Dobbiamo ora dare uno sguardo ai componimenti lirici minori, a proposito dei
quali il nostro esame potrà essere più breve.
Due di queste liriche formano un gruppo ben distinto, in quanto sono state
indirizzate sicuramente a Carlo d’Angiò. La più antica (Ar ai proat; XXVIII), giuntaci, come
abbiamo visto, allo stato di frammento, fu indirizzata a Carlo subito dopo che il suo
matrimonio con Beatrice figlia ed erede di Raimondo Berengario IV lo rese signore della
Provenza: ed è una esortazione al giovane principe, affinché si volga a nobili imprese se
aspira a ottenere pregio, poiché le imprese più belle si accordano con la giovinezza, e
difficilmente otterrà pregio nella vita chi non l’avrà ottenuto in gioventù 515. L’altra è il
rifiuto di partecipare alla crociata (XXIX), scritto, come si è detto, nel 1248: il quale, come
la lirica precedente, ha soprattutto un interesse biografico, benché non manchi di una certa
grazia, specialmente per la garbata ironia con cui il poeta dipinge la paura che egli ha del
mare, esasperandola comicamente516, e per l’ironico accenno a Bertran d’Alamanon, vivace
variazione della solita accusa di viltà e di fiacchezza che era rivolta a questo trovatore517.
Accanto ad esse possiamo collocare, per l’ispirazione personale e perché riguarda con molta
probabilità, come abbiamo accennato, Carlo d’Angiò, lo scambio di cobbole Toz hom me van
disen (XXXII), in cui il poeta da tempo ammalato sfoga la sua malinconia e si
I trovatori d’Italia, p. 81.
Per l’ipotesi che in questa lirica si piangesse anche la morte di Raimondo Berengario cfr. p. LXXVII e cfr.
le note al testo.
516 Si vedano soprattutto i v. 14-16 e 22-24.
517 Cfr. cap. I, p. LXXIX.
514
515
CXXXIX
lamenta del «seignor», il quale nella cobbola di risposta gli dà la taccia di brontolone e di
incontentabile.
Tra le liriche di ispirazione amorosa la più interessante è il componimento
Dompna valen (XXXIII), che è un esempio di salut, ossia di quella particolare e non
molto comune forma di lirica d’amore che, come è noto518, incominciava di solito
(benché non costantemente) con un saluto alla dama — particolare da cui traeva il
nome — e si svolgeva come una epistola in versi, più o meno lunga, in quanto il poeta
rivolgeva costantemente il discorso alla donna amata. Comunemente il salut era in
metro diverso da quello delle canzoni, per lo più in ottonari a rima baciata, il metro
della poesia narrativa. Due soli salut hanno la struttura metrica delle canzoni: uno è
quello di Rambertino Buvalelli (D’un saluz me voill entremetre: P. C. 282, 3)519, l’altro è
questo di Sordello, che per questo motivo è assai degno di attenzione, benché in fondo
non sia altro che un garbato complimento in versi. Tra il salut del Buvalelli e quello di
Sordello c’è però una certa differenza, perché il componimento del trovatore bolognese
è assai lungo (cinque coblas con tornada), mentre quello di Sordello consta di una cobla di
8 versi a cui ne segue un’altra più breve (6 versi) a mo’ di tornada, ma non costruita
secondo la legge che regola la struttura delle tornadas520.
Di ispirazione amorosa è anche un’altra breve lirica (due coblas con tornada;
XXXVI) in cui Sordello biasima le donne che sono restie ad accogliere l’amore dei loro
adoratori, e prega la sua donna di accordargli il suo amore, prima che il dolore di non
vedersi corrisposto lo conduca alla morte, e ricorda l’esempio di un cavaliere di Fiandra
morto per amore: lirica anch’essa non priva di grazia, e notevole per la menzione del
cavaliere di Fiandra, che ci mette dinanzi un esempio di innamorato consunto dal dolor
d’amore diverso dal solito Andrea di Francia, il cui ricordo era divenuto tradizionale e
che si trova citato innumerevoli volte dai trovatori521.
Sul salut cfr. lo studio di P. MEYER, Le salut d’amour dans les littératures provençale et française, in Bibliothèque de
l’École des chartes, XXVIII, 1867, p. 124 e segg. Il M EYER però non conosceva il salut di Sordello; e anche altri
componimenti gli sono sfuggiti, sì che il lavoro appare alquanto invecchiato. L’argomento meriterebbe di
esser ripreso in esame.
519 Su questo componimento cfr. BERTONI, Rambertino Buvalelli, p. 19 e segg., 47 e segg., e I trovatori d’Italia, p.
238 e segg., 503 e segg.; A. STIMMING, rec. del vol. di BERTONI, in Zeit. für roman. Phil., XXXIV, 1910, p. 224
e segg.
520 Cfr. però le osservazioni del NAETEBUS , rec. al vol. del DE LOLLIS, per cui cfr. le n. ai v. 10 e 12 della
lirica.
521 Un buon numero di citaz. è stato registrato dal RAYNOUARD, Choix des poésies, II, p. 299 e segg.; ma molte
altre se ne potrebbero aggiungere: cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 274 e seg., 290. Non pare che nel passo di
Sordello si debba correggere Flandres in Fransa: cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 490, e cfr. la nota al v. 2 del testo.
518
CXL
E di argomento amoroso sono anche due altri componimenti di una sola
cobla con tornada, a cui abbiamo dato i numeri XXXVIII e XLI. Nel primo (Entre
dolsor), costruito su un insistente gioco di parole fondato sul contrasto tra amar e
dolsors, il trovatore rappresenta il suo stato d’animo incerto tra la dolcezza che gli
danno gli amorosi pensieri e il tormento che gli dà il non essere amato; e termina
con una preghiera alla donna affinché ricambiandolo lo liberi da ogni amarezza. Il
secondo (No·m meraveill), più interessante, ha un carattere tutto diverso: Sordello vi si
vanta di essere tanto esperto in amore, che nessuna donna si può difendere dalle sue
lusinghe, e confessa di non meravigliarsi se i mariti sono gelosi di lui, ma aggiunge
che non si cura affatto del dolore che possa loro recare e delle loro proteste, pur che
possa godere dei piaceri d’amore. È una lirica cinicamente sensuale, degna di
qualche attenzione, perché contrasta con le canzoni, ove, come abbiamo visto,
Sordello mostra di avere una concezione così alta dell’amore e si rivela tanto
sollecito dell’onore della sua dama e incurante dei piaceri del senso, e rivela, anche
per il tono, l’influenza di Peire Vidal, il quale si compiacque spesso di vantare, col
suo fare un po’ da spaccone, le sue imprese amorose. Una «esercitazione stilistica»
alla maniera di Peire Vidal, che è un non disprezzabile documento della suggestione
esercitata su Sordello dall’originale ed estroso trovatore tolosano, la cui fama durava
certo ancora assai viva. Affine a questa lirica nel tono e nel contenuto, e anch’essa da
ricollegarsi all’influenza del Vidal, è la cobla esparsa Si com estau (XLII), tra spavalda e
cinica, in cui Sordello si compiace di rappresentarsi in guerra con tutto il mondo per
le sue imprese amorose, e di affermare che ciò non gli fa alcuna paura e che egli vive
lieto anche se gli altri siano addolorati.
Dissimili sono invece altre due cobbole di argomento amoroso (XXXIV,
XXXVII), che si presentano come coblas esparsas, ma potrebbero anche, come si è
visto, essere frammenti di componimenti più ampi, di cui una parte si è perduta. La
prima di esse (A lei puesc) è interessante perché si allontana dal sentiero trito della
comune tradizione della lirica d’amore trobadorica, in quanto descrive nei suoi vari
particolari un episodio di torneo, ed è notevole anche come documento biografico,
in quanto ci attesta — come abbiam già accennato — che Sordello partecipava a
tornei e faceva
CXLI
vita da cavaliere; mentre la seconda (Donpna, tot eissamenz) merita qualche attenzione
come garbata variazione dal motivo, assai consueto, della gioia che suscita nel poeta la
vista della sua donna e della malinconia che nasce invece quando per la lontananza non
può contemplarne le sembianze.
I componimenti XXXI, XXXV, XXXIX e XL sono di argomento morale. Il più
importante dei quattro è il XL (Mant home·m fan), pubblicato per la prima volta dallo
Jeanroy522, che è veramente notevole per la nobiltà dei sentimenti che Sordello vi
esprime, specialmente nella prima cobla, ove il trovatore proclama che le ricchezze non
gli servono che per spenderle degnamente o per farne dono, e che esse devon essere
rivolte a ottenere pregio e amore. Anche se forse è da giudicare alquanto eccessivo il
giudizio dello Jeanroy, che affermava che in questi versi «se peint, mieux peut-être qu’en
aucune autre de ses oeuvres, l’anima altera du grand poète lombard», è certo che la lirica
merita di esser posta accanto ai momenti migliori dei sirventesi morali e ai passi dei
sirventesi contro il Ricas Novas in cui Sordello, difendendosi dalle accuse
dell’avversario, proclama altamente i nobili ideali a cui si ispira la sua vita, e di esser
considerata una significativa espressione dell’animo del trovatore mantovano.
Il componimento XXXIX (Lai a’n Peire Guillem) è una cobla con tornada —
indirizzata a un Peire Guillem, che probabilmente è Peire Guilhem de Tolosa — in cui
Sordello biasima le eccessive lodi che questo trovatore non aveva avuto ritegno di
tributare non sappiamo bene a chi; ed è da ricollegare per l’argomento — del resto
abbastanza comune presso i trovatori — con un passo dell’Ensenhamen d’onor523 in cui
Sordello ritorna su questo tema. Può darsi, come abbiamo accennato, che il
componimento sia un frammento di un sirventese in parte perduto; osservazione che si
può fare anche a proposito della cobla XXXV (Ben deu esser bagordada), la quale ripropone
il consueto tema — tanto caro a Sordello — dell’esaltazione della liberalità, celebrando
il donar come una virtù essenziale a una corte, che senza di essa diverrebbe un ajost[z]
d’avols gentz. Nello scambio di cobbole con Montan (XXXI) Sordello biasima i baroni
che parlano molto del bene ma non lo fanno, e coloro che fanno promesse con
l’intenzione di non mantenerle: un biasimo
522
523
Nel saggio Poésies provençales inédites, p. 476 e segg.
Cfr. i v. 351 e segg.
CXLII
che era anch’esso, in fondo, uno dei luoghi comuni della morale trobadorica 524.
Tono violentemente satirico ha invece la nota cobbola giovanile contro quel
Fige[i]ra nel quale si è voluto vedere Guilhem Figueira (XXVIII); e analogo è il
primo dei tre scambi di cobbole che ci sono stati tramandati, quello tra Sordello e
Aimeric de Peguilhan (XXX): in esso infatti Sordello, rispondendo al trovatore
tolosano (che lo aveva accusato di viltà, ricordando un colpo di engrestara da lui
ricevuto sulla testa), ne deride l’avarizia e il meschino aspetto.
In complesso queste liriche minori non aggiungono molto alla figura poetica
di Sordello, ma, oltre all’interesse dal punto di vista biografico (per alcune di esse
invero assai rilevante), concorrono certo a dare varietà alla raccolta delle rime del
trovatore mantovano e a darci un più ampio quadro delle sue esperienze letterarie.
7. OSSERVAZIONI SULLO STILE
Sordello compone le sue liriche in uno stile semplice e piano, e rifugge del
tutto dal trobar clus. Egli stesso confessa, del resto, questa sua predilezione per uno
stile semplice e facile all’inizio della canzone Bel m’es (IV), ove dichiara che canterà
«ab motz leugiers», perché alla sua donna non piace un «chantar de maestria»:
Bel m’es ab motz leugiers a far
chanson plazen et ab guay so,
que·l melher que hom pot triar,
a cuy m’autrey e·m ren e·m do,
no vol ni·l plai chantar de maestria;
e mas no·lh plai, farai hueymais mon chan
leu a chantar e d’ auzir agradan,
clar d’ entendre e prim, qui prim lo tria.
Rifugge dalle immagini strane, dai vocaboli rari 525, dalle costruzioni contorte;
e assai scarsi sono in lui anche i giochi di parole, che pur sono assai comuni presso i
trovatori526. E in genere nemmeno ama introdurre nelle sue liriche delle similitudini.
Quelle che
Cfr. ad es. LEVY, Guilhem Figueira, p. 47.
Qualche parola rara si trova, eccezionalmente, nel sirventese contro Raimondo Berengario (XIX), in cui
talora si avverte anche la ricerca della rima difficile.
526 Un esempio abbastanza cospicuo di un insistente gioco di parole è la lirica XXXVIII, disegnata sulla
continua contrapposizione tra amar e dolsor, accanto alla quale si può collocare la XXXIX, in cui Sordello si
524
525
CXLIII
vi si incontrano sono tutt’altro che rare, e sono in numero veramente esiguo. La più
ampia è quella del malato appena guarito, che per imprudenza ricade nel male e nella
ricaduta è in condizioni peggiori di prima (canz. X, v. 1-4), derivata probabilmente
da una canzone di Peire Vidal 527:
Si co·l malaus qe no se sap gardar
qan es garitz, per qe·l mals lo repren
e·l fai trop peig en son recalivar
qe non a faich...
Appena accennate sono le altre tre o quattro che è dato di rinvenire: quella
del selvaggio che fa festa al cattivo tempo, assai diffusa 528, quella, pure comune, della
stella polare che guida la nave in mare 529 e quella del magnete o della bussola che
guida la nave530, a cui si può aggiungere il comunissimo paragone tra la donna e la
rosa o la neve531.
Che, del resto, Sordello si tenesse lontano dai maestri o dai fautori del trobar
clus o del trobar ric appare evidente anche dallo studio delle reminiscenze di vari
trovatori che si possono rintracciare qua e là nelle sue rime. Ritroviamo infatti in
Sordello varie reminiscenze, di maggiore o minore rilievo, di Peire Vidal 532, di
compiace di applicare l’artificio del mot tornat, insistendo per tutta la lirica sulle parole laus, lauzar e su voci
affini. Cfr. anche II v. 14-17, 20.
527 È la canz. S’eu fos en cort (P. C. 364, 42), ed. ANGLADE, n. VII, v. 21 e segg., p. 18.
528 Nel sirventese contro i «tre diseredati» (XX), v. 28. Sui ricordi dell’«uomo selvaggio» nella letteratura
provenzale e nell’antica lirica volgare italiana cfr. A. GASPARY, La scuola poetica siciliana, Livorno, 1882, p. 101 e
seg.; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 83 e 259, e Sul canzoniere di Chiaro Davanzali, suppl. I al Giorn. stor. d. lett. it.,
1898, p. 107; F. NERI, La maschera del Selvaggio, in Giorn. stor. d. lett. it., LIX, 1912, p. 47 e segg., ristampato nel
vol. Letteratura e leggende, Torino, 1952, p. 158 e segg.; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 298, e Il «conforto» del
Selvaggio, nel vol. Poesie, leggende e costumanze del medioevo, Modena, 1927, p. 93 e segg.; SCHULTZ-GORA,
Vermischte Beiträge zum Altprovenzalischen. I. Der «wilde Mann» in der provenzalischen Literatur, in Zeitschr. f. rom. Phil.,
XLIV, 1924, p. 129 e segg. (e cfr. Zeitschr. f. rom. Phil., XXL 1897, p. 248 e seg.).
529 Nella canz. II, v. 15-16, 17-18. Esempi di vari poeti nel DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 277 e seg.; e cfr. le note
al testo.
530 Nella canz. II, v. 16. Il DE LOLLIS, ibid., p. 82 e 277 e seg., pensava invece che qui si accennasse alla
calamita che attrae il ferro; ma cfr. BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 534 e seg.
531 Nella canz. III, v. 5-6; cfr. anche canz. XII, 38.
532 Abbiamo già notato che dal «vanto» Drogoman senher Sordello trae ispirazione per il primo sirventese contro
il Ricas Novas; che da motivi vidaliani derivano le liriche XLI e XLII; e che dalla canzone S’eu fos en cort viene
probabilmente la similitudine del convalescente che ricade nel male della canz. X. Si può aggiungere che forse
dai v. 21-24 della lirica Tant ai ben dig del Vidal (P. C. 364, 47; ed. ANGLADE, p. III; cfr. DE BARTHOLOMAEIS,
Poesie provenzali storiche, I, p. 45; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. 8) forse è stata suggerita l’immagine
dei vv. 15-16 della canz. XI. La reminiscenza indicata dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 83 n. 5 non riguarda
Peire Vidal, perché la lirica è ora comunemente assegnata a Peire Guilhem de Luserna (cfr. nota 538).
CXLIV
Peire Cardenal533, di Guiraut de Borneill 534, e forse si potrebbe risentire anche una
qualche influenza di Bernart di Ventadorn535 o di Guilhem Montanhagol536, e
qualche traccia dell’influenza di Aimeric de Peguilhan 537 o di Peire Guilhem de
Luserna538, e inoltre, benché con qualche dubbio, un tenue ricordo di un
componimento di Rambertino Buvalelli 539. Ma nessuna traccia si ritrova di Marcabru
o di Peire d’Alvernhe, né di Raimbaut d’Aurenga, né di Arnaut Daniel, né di minori
seguaci della stessa corrente, come Peire Raimon de Tolosa o Gavaudan.
Questa mancanza di interesse di Sordello per i trovatori che si compiacquero
del trobar clus o del trobar ric è confermata dallo studio della metrica: come vedremo,
il trovatore mantovano tolse lo schema metrico di qualche sua lirica (per quanto si
può congetturare dai dati che ora abbiamo) da Bertran de Born, da Guiraut de
Borneill, da Gaucelm Faidit, da Raimon de Miraval, da Raimbaut de Vaqueiras, da
Folquet de Marseilla, da Peire Cardenal, ma mai si servì come modelli delle liriche
ispirate al trobar ric o scritte in istile ermetico. Né indulse, come vedremo, alle rimas
caras. Tutt’al
Ad un sirventese di Peire Cardenal Sordello si ispira, come si è visto, per i suoi due sirventesi morali.
Un’immagine del sirventese morale Qui be·is membra (XXII) forse fu suggerita — come abbiamo accennato
— da un passo di un sirventese di Guiraut de Borneill. Qualche generica influenza inoltre le liriche di Guiraut
possono aver esercitato sulle liriche d’amore di Sordello.
535 È probabile che anche Bernart de Ventadorn abbia esercitato una qualche influenza sulle canzoni
sordelliane.
536 Cfr. però le riserve espresse in proposito a p. CXX.
537 La cobla con cui Sordello risponde all’attacco mossogli da Aimeric de Peguilhan risente evidentemente della
cobla di Aimeric.
538 Nell’inizio della canz. III si può forse avvertire, come parve al DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 83, n. 5), un’eco
dei v. 5-7 della canz. No·m fai chantar di Peire Guilhem de Luserna (P. C. 344, 4; cfr. l’ed. del BERTONI, I
trovatori d’Italia, p. 278), che il DE LOLLIS attribuiva, seguendo l’ed. del BARTSCH, a Peire Vidal.
539 Nel salut di Rambertino si avvertono infatti qua e là alcune espressioni (v. 7 con l’am senz cor galiador; v. 8
que·m penria per servidor che ricorrono anche nel salut di Sordello (v. 3 e 11). Inoltre è da tenere presente che,
come abbiamo rilevato, il salut del Buvalelli ha anch’esso la forma della canzone, del tutto eccezionale in
questo «genere» lirico. Cito dall’ed. del BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 238.
533
534
CXLV
più potremo trovare in lui un certo numero di rime «leonine»: ma tali rime, come è
noto, erano assai comuni, e spesso più risultato del caso che di una precisa ricerca da
parte del poeta.
8. LA METRICA DELLE LIRICHE
Ecco gli schemi metrici delle liriche di Sordello:
a) Canzoni
I. a’7 b7 a’7 b7 a’7 b7 a’7 b7; c7 c7
Cinque coblas singulars con ritornello (di due versi: c7 c7). MAUS, Peire Cardenals
Strophenbau in seinem Verhältniss zu dem anderer Trobadors, Marburg, 1884, p. 71 e seg., 104
n. 222540; DE LOLLIS, Vita e poesie di Sordello, p. 134 e seg. Di questo schema si citano
solo altri tre esempi simili, ma non identici (di cui uno posteriore, di Guiraut Riquier):
l’esempio più vicino è quello della lirica 70 di Peire Cardenal 541, ove però tutte le rime
sono maschili.
II. a10 b10 b10 a10 c10 c10 d’10 d’10
Cinque coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 2 v.)542. MAUS, p. 89 n. 44 e 116
n. 535, 20; DE LOLLIS, p. 132. Schema molto comune.
III. a10 b10 b10 a10 c10 c10 d10 d10
Cinque coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 2 v.). Schema identico al
precedente, salvo che le rime qui son tutte maschili.
IV. a8 b8 a8 b8 c’10 d10 d10 c’10
Quattro coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 111 n. 397, 4; DE LOLLIS, p.
133. Schema raro con questi tipi di versi.
ISTVÁN FRANK ha condotto a termine un rimaneggiamento e un aggiornamento del repertorio del MAUS,
intitolato Répertoire métrique de la poésie des troubadours. Il volume, secondo le informazioni che mi ha gentilmente
inviato il FRANK, è attualmente in corso di stampa.
541 I numeri con cui vengono designate in queste pagine le liriche dei trovatori sono quelli del Grundriss del
BARTSCH e della Bibliographie di PILLET e CARSTENS.
542 Ho rinunciato a indicare le tornadas con sbarrette verticali (come si sarebbe potuto fare, seguendo il metodo
adottato dall’ALMQVIST — che però usa sbarrette orizzontali, in conformità col tipo di schema da lui preferito
-— nella sua recente edizione di Guilhem Ademar, Uppsala, 1951, p. 76), per ragioni tipografiche e per
evitare confusione. Del resto è noto che le tornadas riproducono sempre fedelmente lo schema e le rime
dell’ultima cobla; sì che dal numero dei versi si può ricavare lo schema di ogni tornada.
540
CXLVI
V. a7 b’7 a7 b’7 c7 c7 d7 e8 d8 e8
Cinque coblas unissonans e la tornada (4 v). MAUS, p. 110 n. 374, 2 (errato); DE LOLLIS,
p. 136. Schema che non si trova altrove. Lo Zorzi ha uno schema non molto dissimile, che
è possibile sia dovuto a un’imitazione di Sordello.
VI. a7 b7 b7 a7 c8 c8 d10 d10
Cinque coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 89 n. 44 e 116 n. 535. Lo schema
non si trova altrove con questi tipi di versi, benché tale intreccio di rime sia comunissimo.
VII. a10 b10 b10 c’10 d10 d10 c’10 a10
Cinque coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 2 v.). MAUS, p. 124 n. 701; D E
LOLLIS, p. 133. Lo schema ricorre solo in questa canzone di Sordello e (del tutto identico)
nella lirica 36 di Gaucelm Faidit, che verisimilmente fu il modello a cui si ispirò, quanto al
metro, il trovatore mantovano.
VIII. a8 b8 b8 a8 c’8 c’8 d8 d8 e8 e8
Cinque coblas unissonans e la tornada (2 v.). MAUS, p. 117 n. 549, 4; DE LOLLIS, p. 133.
Schema abbastanza comune.
IX. a8 b8 b8 a8 c’7 c’7 d10 d10
Tre coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 2 v.)543. MAUS, p. 116 n. 535, 16; DE
LOLLIS, p. 133. Lo schema ricorre anche altrove, ma non molto frequentemente. Secondo il
DE LOLLIS Sordello trasse questo schema da Raimon de Miraval.
X. a10 b10 a10 b10 c10 c10 d10 d10
Cinque coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 62, 88 n. 27, 108 n. 359, 4; D E
LOLLIS, p. 134. È uno degli schemi più comuni.
XI. a10 b10 b10 c10 c4 d6 d4 c6 c4 d6 c4 e6 e4 c6
Cinque coblas unissonans e la tornada (8 v.). MAUS, p. 122 n. 666; DE LOLLIS, p. 137.
Di questo schema il MAUS non registra che questo esempio di Sordello.
XII. a7 b7 b7 a7 c’7 a7 c’7 d8 d10
Cinque coblas unissonans: e la tornada (5 v.). MAUS, p. 98 n. 503; DE LOLLIS, p. 134. Il
MAUS non registra che questo esempio.
La seconda tornada manca nell’ed. del DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 188); essa figurava però nell’ed.
diplomatica di F curata dallo STENGEL, Die provenzalische Blumenlese der Chigiana, col. 3.
543
CXLVII
b) Tenzoni e partimen
XIII. a8 a8 a8 a8 a8 b’7 a8 b’7
Quattro coblas singulars, senza tornadas. Ogni cobla è divisa in quattro sezioni di due
versi ciascuna; la rima b’ si ripete in tutte le coblas. MAUS, p. 21, 91 e 97 n. 22. Schema unico
con questi tipi di versi; qualche altro esempio con versi di altra specie.
XIV. a8 a8 a8 b8 b8 b8
Sei coblas doblas e doppia tornada (2 v. + 2 v.). MAUS, p. 98 n. 61, 2; DE LOLLIS, p.
131. Il MAUS cita solo altri due esempi di questo schema (Falco 1, Simon Doria 3).
XV. a’7 b7 a’7 b7 c7 c7 d7 d7 e7 e7
Sei coblas unissonans e doppia tornada (6 v. + 6 v.). MAUS, p. 109 n. 366, 2; D E
LOLLIS, p. 131. Schema raro; anzi usato solo da Uc de Saint Circ 25 con la rima femminile
al primo e al terzo verso.
XVI. a7 a7 a7 b’6 a7 b’6 c7 c7 c7 b’6 c7 b’6
Sei coblas unissonans e doppia tornada (6 v. + 6 v.). MAUS, p. 98 n. 56; DE LOLLIS, p.
134. Schema che non ricorre altrove, a quanto risulta dal Maus.
XVII. a’10 b10 b10 a’10 c10 c10 a’10 a’10
Sei coblas doblas e doppia tornada (4 v. + 4 v.). MAUS, p. 115 n. 510; DE LOLLIS, p.
131 e seg. Questo schema si trova, oltre che nella lirica 36 di Guiraut Riquier (unico
esempio citato dal MAUS, oltre a quello di Sordello), anche nel sirventese No·s pot sofrir,
attribuito dal cod. Sg (che solo lo conserva) a Guiraut de Borneill, e nella canzone francese
S’onkes nus hom por dure departie di Ugo di Berzé. Secondo P. MEYER Sordello imitò la
canzone di Ugo di Berzé544.
Cfr. MEYER, Des rapports de la poésie des trouvères avec celle des troubadours, p. 35 e segg. All’opinione del Meyer si
accostò il DE LOLLIS, il quale (Vita e poesie, p. 188) sostiene che il sirventese No·s pot sofrir non è di Guiraut de
Borneill, ma di un suo imitatore, ed è posteriore a Sordello: sì che il problema per lui è quello di determinare
se l’autore del sirventese abbia imitato Sordello o Ugo di Berzé. Ma il KOLSEN, anche dopo le obiezioni del
DE LOLLIS, ha mantenuto, nella sua ed. completa delle liriche del trovatore (Sämtliche Lieder des Trobadors
Giraut de Bornelh, p. 436 e seg.), l’attribuzione del sirventese a Guiraut, che è accettata anche dal PILLET e dal
CARSTENS (242, 52 a): e non par lecito dubitare (pur restando qualche incertezza) che la lirica sia di Guiraut.
Sicché può anche darsi che Sordello imitasse il sirv. No·s pot sofrir, tanto più che anche questa poesia ha le
stesse rime. La lirica di Ugo de Berzé si può vedere nella raccolta delle liriche del troviero francese curata da
C. ENGELCKE, Die Lieder des Hugues de Bregi, tesi dell’Univ. di Rostock, 1885. Su Ugo de Berzé cfr. anche G.
PARIS, Hugues de Berzé, in Romania, XVIII, 1889, p. 553 e segg.; F. LECOY, introduz. all’ed. della Bible au seigneur
de Berzé, Paris, 1938, e Sur la chronologie de Hugues de Berzé, in Romania, LXII, 1942-43, p. 243 e segg. Altra
544
CXLVIII
XVIII. a10 b10 b10 c10 c10 d10 d10
Sei coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 4 v.), MAUS, p. 122 n. 660, 2; DE LOLLIS,
p. 134. Schema di cui si hanno vari altri esempi (Peirol 21 ha le stesse rime e lo stesso
numero di stanze).
c) Sirventesi
XIX. a7 b’6 a7 b’6 a7 b’6 c3 c7 c3 c7 per le coblas 1, 2, [5], 6.
[a]7 b’6 a7 b’6 a7 b’6 a3 a7 a3 a7 per le coblas 3 e 4.
Sei coblas doblas (di cui la penultima è andata perduta). MAUS, p. 105 n. 261, 1; DE
LOLLIS, p. 128 e seg. Lo schema si ritrova, oltre che in questo sirventese, soltanto in
Raimbaut de Vaqueiras (lirica 12) e in Lanfranco Cigala (lirica 17): è probabile che Sordello
e il Cigala abbiano imitato indipendentemente Raimbaut de Vaqueiras (cfr. anche B ERTONI,
I trovatori d’Italia, p. 552).
XX. a8 b8 a8 b8 c’6 d8 d8 c’6 d8 d8
Cinque coblas unissonans e la tornada (5 v.). MAUS, p. 50 e seg., 89 n. 30, 111 n. 40; D E
LOLLIS, p. 129. Si hanno vari altri esempi che offrono anche identiche rime. Secondo il
MAUS, ibid., e l’APPEL, Provenzalische inedita, p. 134, n., l’invenzione di questo schema si deve
a Guiraut de Borneill (lir. 51).
XXI. a10 b10 b10 a10 c’10 d10 d10 c’10
Cinque coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 89 n. 45 e 119 n. 579, 3; D E
LOLLIS, p. 130. Schema abbastanza comune. È molto probabile che Sordello abbia imitato
Folquet de Marseilla (lir. 16), che ha le stesse rime.
XXII. a10 b10 b10 a10 a10 c10 c10
Cinque coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 4 v.). MAUS, p. 89 n. 34 e 113 n.
463; DE LOLLIS, p. 130 e seg. Di questo schema si hanno alcuni altri esempi. Sordello ebbe
a modello il sirv. Lo sabers d’est segle di Peire Cardenal (n. 34).
XXIII. a10 a10 b10 a10 a10 b10
Cinque coblas unissonans e la tornada (3 v.). MAUS, p. 99 n. 87, 4; DE LOLLIS, p. 129.
Schema abbastanza diffuso. Sordello imita, come si è visto, il sirv. Drogoman senher di Peire
Vidal (n. 18).
bibliografia nel Manuel bibliographique de la littérature française au moyen âge del BOSSUAT, Melun, 1951, p. 256. Cfr.
P. C., p. 214.
CXLIX
XXIV. a10 b10 a10 b10 c’10 d10 c’10 d10
Sei coblas unissonans senza tornada. MAUS, p. 110 n. 383, 3; DE LOLLIS, p. 129.
Schema di cui si ha qualche altro esempio; secondo il Maus (p. 90) Sordello imita il
sirventese Puois Ventadorns di Bertran de Born (n. 33). A questa opinione inclinano anche il
BERTONI e lo JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 298.
XXV. a12 a12 a12 a12 a12 a12 a12 a12
Cinque coblas singulars senza tornada. MAUS, p. 96 n. 12; DE LOLLIS, p. 129. È lo
stesso schema del planh in morte di Blacatz, che pare il più antico esempio di tale schema,
stando agli esempi citati dal Maus: infatti l’esempio di Bertran d’Alamanon è la nota
imitazione del planh per Blacatz, i due esempi di Peire Bremon Ricas Novas sono
l’imitazione del planh per Blacatz e il terzo sirventese contro Sordello (che riprende lo
schema del sirventese di cui stiamo occupandoci), e l’esempio di Uc de Saint Circ è il sirv.
Un sirventes vueill faire, composto, come è noto, tra l’agosto 1240 e l’aprile 1241 545.
d) Compianto
XXVI. Lo schema è identico a quello del n. XXV. Cinque coblas singulars e doppia
tornada (2 v. + 2 v.).
e) Liriche varie e frammenti
XXVII. a’10 a’10 a’10 b10 a’10 b10 a’10 b10
Cobla esparsa (senza tornada) MAUS, p. 98 n. 52; DE LOLLIS, p. 128. Il Maus cita altri
quattro esempi di questo schema.
XXVIII. a10 a10 a10 a10 a10 a10 a10 a10
Frammento (una intera cobla, preceduta dal primo verso della lirica). M AUS, p. 96 n.
12, 2; DE LOLLIS, p. 130. Di questo schema si ha qualche altro esempio.
XXIX. Schema identico al precedente. Tre coblas singulars e tornada (4 v.).
XXX. a’7 b5 b7 a’7 c7 c7 d10 d10
Scambio di coblas. MAUS, p. 116 n. 535, 17; DE LOLLIS, p. 128. Nel ms. al posto di
b5 si ha b6, ma credo che si possa accogliere
Cfr. ZINGARELLI, Intorno a due trovatori in Italia, Firenze, 1899, p. 1 e segg.; JEANROY, SALVERDA DE
GRAVE, Poésies de Uc de Saint Circ, p. 158 e seg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 153 e seg.;
UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXVIII. Sui componimenti provenzali in dodecasillabi cfr. SCHULTZGORA, Ueber den Liederstreit zwischen Sordel und Peire Bremon, p. 125 e segg.
545
l’emendamento proposto dal De Lollis546. Di questo schema abbiamo vari altri esempi.
XXXI. Schema identico a quello del n. XXIV. Scambio di coblas.
XXXII. a’12 a’12 a’12 a’12 a’12 a’12
Scambio di coblas. MAUS, p. 97, n. 17; DE LOLLIS, p. 130 (errato). Schema di cui si
hanno alcuni altri esempi.
XXXIII. a10 b10 b10 a10 a10 c’10 d10 d10 per la prima cobla.
a10 a10 b10 a10 d10 d10 per la seconda cobla.
La seconda cobla sembra funga da tornada, e ne riproduce tre rime, ma non è
costruita secondo lo schema regolare delle tornadas (che, come è noto, riproducono le rime
e l’ordine delle rime dell’ultima parte della cobla precedente)547. MAUS. p. 114 n. 480; DE
LOLLIS, p. 136. Lo schema non si trova altrove.
XXXIV. Schema eguale al n. IV, con cui ha anche identità di rime (D E LOLLIS, p.
135). Cobla (cobla esparsa o frammento?).
XXXV. Schema eguale a quello del n. XXX (D E LOLLIS, p. 130) Cobla (cobla esparsa
o frammento?).
XXXVI. a10 b10 b10 a10 c’10 c’10 d10 d10
Due coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 116 n. 535, 20; DE LOLLIS, p. 135.
Schema analogo a quello del n. II da cui differisce solo per la collocazione delle rime
femminili, e a quello del n. III, che ha tutte le rime maschili; e molto comune.
XXXVII. a6 b6 b6 a6 c6 d6 d6 e8 e8 f10 f10
Cobla (probabilmente non cobla esparsa, ma frammento di canzone). MAUS, p. 120 n.
599; DE LOLLIS, p. 136. Questa disposizione delle rime si trova solo nella lirica 72 di
Guiraut de Borneill, che evidentemente fu il modello a cui si ispirò qui Sordello, usando
però versi di diverso tipo (lo schema usato da Guiraut è: a7 b7 b7 a7 c5 d2 d3 e4 e7 f7 f7).
XXXVIII. a10 b’10 b’10 a10 a10 c10 d’10 d’10 c10 c10
Cobla e tornada (4 v.). MAUS, p. 44 e segg., 89 n. 39, 114 n. 428; DE LOLLIS, p. 136.
Schema non infrequente, che secondo il Maus fu inventato da Gaucelm Faidit.
XXXIX. a’10 b10 b10 a’10 c10 c10 a’10
Cobla e tornada (3 v.) (Probabilmente è un frammento). MAUS,
546
547
Tale emendamento è stato accolto anche da SHEPARD e CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 72.
Cfr. nota 520, p. CXXXIX.
CLI
p. 115 n. 509, 2; DE LOLLIS, p. 130. Di questo schema si ha un altro esempio solo in
Arnaut de Maroill (lir. 5), però con rime tutte femminili.
XL. a8 b8 b8 a8 c8 c8 d10 d10
Due coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 116 n. 535, ove son registrati
vari altri esempi.
XLI. a10 b10 a10 b10 c’10 d10 d10 c’10
Cobla con tornada (4 v.). MAUS, p. III n. 397, 3; DE LOLLIS, p. 135 e segg.
Schema assai frequente; Sordello ebbe molto probabilmente presente la lirica 14 di
Pons de Capdueil, che ha le stesse rime.
XLII. a’7 b7 a’7 b7 a’7 b7 b7 a’7 b7 b7
Cobla esparsa (senza tornada). MAUS, p. 104 n. 251; DE LOLLIS, p. 136 e segg.
Questo schema, secondo il De Lollis, fu usato per la prima volta da Gui d’Uisel nella
pastorella L’autre jorn cost’una via (n. 13), e da essa passò poi alle coblas, a cui venne
esclusivamente riservato. È riprodotto in varie coblas, sempre con le stesse rime.
Dagli schemi sopra riportati risulta che Sordello compone le sue canzoni
generalmente di cinque coblas548: hanno cinque coblas dieci canzoni sulle dodici che ci son
giunte intere (I, II, III, V, VI, VII, VIII, X, XI, XII). Una sola (la IV) ha quattro coblas, e
un’altra (la IX) tre. Undici canzoni (II-XII) hanno la tornada, che è doppia in quattro
casi (II, III, VII, IX); la canzone I è invece una canzone con ritornello.
Nei sirventesi troviamo come nelle canzoni una netta prevalenza delle liriche a
cinque coblas: cinque volte si trovano cinque coblas (XX, XXI, XXII, XXIII, XXV), e
solo due volte sei coblas (XIX e XXIV)549. Tre sirventesi sono senza tornada (XIX,
XXIV, XXV), tre con tornada semplice (XX, XXI, XXIII), uno con doppia tornada
(XXII). Al tipo più comune dei sirventesi si uniforma il compianto, che ha anch’esso
cinque coblas; ha però la doppia tornada.
Nelle tenzoni e nei partimens le coblas sono per lo più sei (cinque volte: XIV, XV,
XVI, XVII, XVIII); una sola volta (XIII) sono quatNei trovatori del periodo classico invece la canzone, pur avendo spesso cinque coblas, ne ha
frequentemente anche sei: cfr. JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 69.
549 Il sirventese contro Raimondo Berengario ha ora 5 coblas, perché una cobla è andata perduta: ma qui, come
è ovvio, non dobbiamo tener conto della lacuna.
548
CLII
tro. Nei componimenti di sei coblas abbiamo anche la doppia tornada; la tenzone di
quattro coblas non ha tornada: ma è da notare che in essa ogni cobla (di otto versi) è
divisa in quattro parti, perché il dialogo tra i due interlocutori avviene per tutto il
componimento attraverso battute di due versi ciascuna.
La lirica in cui Sordello rifiuta di partecipare alla crociata (XXIX) ha tre coblas
con tornada; due altri componimenti (XXXVI, XL) constano di due coblas con
tornada; e tre (XXXVIII, XXXIX, XLI) di una cobla con tornada550. Una forma
speciale ha il salutz (XXXIII), in cui la seconda cobla più breve non è una tornada
regolare. Tre sono gli scambi di coblas (XXX, XXXI, XXXII); cinque le coblas isolate,
di cui due (XXVII, XLII) sicuramente esparsas.
La cobla è costituita prevalentemente di 8 versi: ciò accade infatti 24 volte (II,
III, IV, VI, VII, IX, X, XIII, XVII, XXI, XXIV, XXV, XXVI, XXVII, XXVIII,
XXIX, XXX, XXXI, XXXIII, XXXIV, XXXV, XXXVI, XL, XLI). Subito dopo,
ma a notevole distanza, vengono le coblas di 10 versi, di cui si hanno 8 casi (I, V,
VIII, XV, XIX, XX, XXXVIII, XLII)551. Le coblas di altro tipo sono in numero
nettamente inferiore: le coblas di 6 versi si hanno solo in 3 liriche (XIV, XXIII,
XXXII), e le coblas di 7 versi pure solo in 3 liriche (XVIII, XXII, XXXIX); mentre di
coblas di 9, 11, 12, 14 versi si ha un unico esempio 552. Il che mostra che Sordello si
mantiene sostanzialmente vicino ai trovatori dell’epoca classica — presso i quali la
cobla ha di solito 8 o 9 versi553 — preferendo però, accanto alla cobla di 8 versi, per la
quale ha una particolare predilezione, la cobla di 10 versi, anziché quella di 9; e
mostra pure che in Sordello, come nei trovatori dell’epoca classica, c’è una certa
riluttanza ad usare coblas di più di 12 versi554. Anzi si può dire che nell’usare coblas di
A proposito delle tornadas mette conto notare che sono quasi sempre invii come accade nella lirica
provenzale meno antica: le tornadas che fanno semplicemente da epilogo alla lirica, riprendendone o
ripetendone alcuni motivi, secondo l’uso dei più antichi trovatori (J EANROY, La poésie lyrique des troubadours, p.
93, n. 3) si hanno soltanto in quattro poesie: VII (canzone), VIII (canzone), XXI (sirventese morale), XLI
(cobla con tornada).
551 Per la canz. I naturalmente si è considerato il ritornello come parte integrante della strofe.
552 Cobla di 9 versi: XII; cobla di 11 versi: XXXVII; cobla di 12 versi: XVI; cobla di 14 versi: XI.
553 Cfr. JEANROY, ibid., p. 72.
554 Le coblas di 12 versi e più sono assai rare presso i trovatori dell’epoca classica, ma diverranno più comuni in
seguito (ibid.).
550
CLIII
questo tipo il trovatore mantovano sia anche più moderato di alcuni trovatori dell’età
classica555.
Le coblas sono composte ora di versi di uno stesso tipo, ora di versi di differenti
specie. Vi è tuttavia un’evidente predilezione per le coblas composte di versi di un unico
tipo, che ricorrono in ben 27 liriche, ossia in più dei tre quinti delle liriche sordelliane che ci
sono giunte. Unicamente in versi decasillabi sono 19 componimenti: II, III, VI, X, XVII,
XVIII, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXVII, XXVIII, XXIX, XXXI, XXXIII, XXXVI,
XXXVIII, XXXIX, XLI. Unicamente in versi eptasillabi sono 3 componimenti: I, XV,
XLII; e altre tre sono in dodecasillabi: XXV, XXVI, XXXII. In due liriche (VIII, XIV) è
usato invece l’ottosillabo.
Gli altri 15 componimenti hanno versi variamente combinati fra loro. Tra le varie
combinazioni prevalgono quelle formate da decasillabi, ottosillabi e eptasillabi, che si
presentano complessivamente 8 volte; e ora risultano dalla riunione di due tipi di tali versi
(ottosillabi + decasillabi, 3 volte: IV, XXXIV, XL; ottosillabi + eptasillabi, una volta: XIII;
eptasillabi + ottosillabi, una volta: V) ora dalla riunione di tutti e tre (VI, IX, XII). Altre
volte si hanno combinazioni in cui compaiono anche esasillabi, pentasillabi, quadrisillabi e
trisillabi. Più spesso si trovano gli esasillabi, che sono usati 5 volte: una volta in unione con
gli eptasillabi (XVI), una volta con gli ottosillabi (XX), una volta cogli ottosillabi e i
decasillabi (XXXVII), una volta con eptasillabi e trisillabi (XIX), una volta con decasillabi e
quadrisillabi (XI). I pentasillabi compaiono due volte sole, combinati cogli eptasillabi e coi
decasillabi (XXX, XXXV). I quadrisillabi e i trisillabi compaiono una sola volta, con
esasillabi e decasillabi i primi (XI), con esasillabi ed eptasillabi i secondi (XIX).
C’è, come si vede, una certa varietà. Tra i versi prevale nettamente il decasillabo,
che compare 19 volte da solo, ed entra nella maggior parte delle combinazioni di vari tipi di
versi: e in questo Sordello si adegua all’uso trobadorico dei suoi tempi, allontanandosi dai
trovatori più antichi, in cui il decasillabo o non era usato, o era rarissimo 556. Si avverte una
certa cura nell’evitare la ripetizione degli stessi schemi557; ma non vi è in genere una ricerca
insistente di schemi rari o di schemi nuovi, benché tre schemi — stan-
Guiraut de Borneill ad es. ha anche, eccezionalmente, coblas di 18, 24 e 25 versi (cfr. JEANROY, La poésie
lyrique des troubadours, p. 72).
556 Cfr. ibid., p. 74.
557 Gli schemi ripetuti sono infatti soltanto cinque: XXVI (= XXV), XXIX (= XXVIII), XXXI (= XXIV),
XXXIV (= IV), XXXV (= XXX).
555
CLIV
do agli elenchi del Maus — siano unici in tutta la tradizione trobadorica (XI, XII,
XXXIV), e uno schema (usato due volte: XXV, XXVI) rappresenti una innovazione
rispetto alla tradizione precedente.
Quanto alle rime, prevalgono di gran lunga le rime maschili. Infatti 15 liriche
sono tutte in rime maschili: III, VI, X, XI, XIV, XVIII, XXII, XXIII, XXV, XXVI,
XXVIII, XXIX, XXXII, XXXVII, XL; e nelle altre le rime maschili sono quasi sempre
in maggioranza. C’è però per eccezione una lirica (XXXII) che ha versi esclusivamente
a uscita femminile; e in un’altra (XXVII) le rime femminili prevalgono (cinque contro
tre)558. È da notare che la rima femminile compare in tutti i tipi di versi usati da
Sordello, all’infuori che nei tre versi più brevi (pentasillabi, quadrisillabi e trisillabi).
Il numero delle rime nella cobla è generalmente vario. Prevalgono le
combinazioni di quattro rime, che si hanno in 21 componimenti: II, III, IV, VI, VII,
IX, X, XII, XVIII, XX, XXI, XXIV, XXX, XXXI, XXXIII, XXXIV, XXXV, XXXVI,
XXXVIII, XL, XLI. Le combinazioni di tre rime ricorrono 6 volte (I, XVI, XVII, XIX,
XXII, XXXIX); 5 volte si hanno combinazioni di due rime (XIII, XIV, XXIII, XXVII,
XLII), e altrettante volte coblas aventi una sola rima (XXV, XXVI, XXVIII, XXIX,
XXXII). Ancora meno frequenti le combinazioni di cinque rime (usate solo 4 volte: V,
VIII, XI, XV); mentre del tutto eccezionale è la cobla di sei rime, che si ha una volta sola
(XXXVII).
Le rime interne non compaiono in nessuna lirica. Vi è invece un esempio di rim
trencat (che si ha, come è noto, quando la rima è ottenuta troncando a metà una parola,
la cui prima parte è posta in fin di verso e l’altra metà al principio del verso seguente) al
v. 14 della canzone IX559.
Per quanto concerne la disposizione delle rime nella lirica è da notare che
prevalgono di gran lunga le coblas unissonans, che compaiono in 21 delle 29 liriche che a
questo proposito si debbono prendere in considerazione560: II, III, IV, V, VI, VII, VIII,
IX, X,
V’è anche una lirica in cui il numero dei versi a rima maschile è pari al numero dei versi in rima femminile
(XVII).
559 Su questa specie di rima, certo assai rara, ma di cui non manca qualche esempio anche presso i migliori
trovatori (ad es. Guiraut de Borneill) cfr. JEANROY, ibid., p. 73; e cfr. Las Leys d’Amors, ed. GATIEN-ARNOULT,
I, Toulouse, 1841, p. 52, 196, 278; e ed. J. ANGLADE, Toulouse-Paris, 1919-20, II, p. 51, 118 e 141.
560 Vanno esclusi naturalmente le coblas esparsas, gli scambi di cobbole e i frammenti.
558
CLV
XI, XII, XV, XVI, XVII, XX, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXXVI, XL. Le coblas
singulars si trovano in 5 poesie: I, XIII561, XXV, XXVI, XXIX. Le coblas doblas
ricorrono in 3 poesie (XIV, XVIII, XIX): ma è da avvertire che i primi due casi
sono una tenzone e un partimens.
Del tutto eccezionale è la rima isolata o rim estramp562: si trova soltanto nel v.
5 della lirica XXXVII, che è quasi certamente un frammento di canzone, sì che si
può supporre che tale rima ritornasse nelle coblas perdute563. Parimenti eccezionale è
la parola rima564, che ricorre due volte: nella canzone XII (ove si ha enansa al v. 5 di
ogni cobla), e nella lirica XXXVI (ove il primo verso di ognuna delle due coblas
termina con amor). Sordello, come si vede, non ama le complicazioni e gli artifici:
come è provato anche dal fatto che non vi è alcun esempio di coblas capcaudadas e di
coblas capfinidas565.
Non si nota alcuna ricercatezza nella qualità delle rime. Mancano esempi di
rimas caras: solo nel sirventese Non pueis mudar (XIX) si nota talora qualche rima
meno comune566. Vi sono alquanti esempi di rime leonine perfette e di rime
consonanti legali567: I, v. 3, 5 gensa: agensa; ibid., v. 17, 19 cossenta: senta; ibidem, v. 25,
27 tenha: retenha; ibidem, v. 33, 35, 39 traire: retraire: estraire; III, v. 17, 20 pensamen: men;
ibid., v. 42, 44, traire: estraire; V, v. 25, 26 turmenz: menz; ibid., v. 32, 34 aire: repaire;
VII, v. 26, 27 cortes: es; X, v. 2, 4 repren: pren; ibid., v. 7, 8 garai: ai; XVII, v. 9, 15 fadia:
dia; XIX, v. 1. 3, 5 es: espres: es; XXII, v. 8, 11 prezatz: mesprezatz; XXIII, v. 27, 30 au:
enclau; XXIV, v. 5, 7 aia: retraia; XXV, v. 9, 12 tals: Espitals; XXVI, v. 1,
In questa poesia però la rima b’ rimane costante in tutte le cobbole. Cfr. JEANROY, La poésie lyrique des
troubadours, II, p. 76 e seg.
562 Cfr. ibid., p. 77 e segg.
563 Non credo che si debba considerare un caso di rim estramp la rima in -ia (c’ dello schema) del salut (XXXIII,
v. 6), la quale non ritorna più nella strofe più breve che segue, che, come si è detto, ha la funzione di una
tornada pur non avendone la struttura: infatti è difficile pensare che la lirica avesse altre coblas, ora perdute
(basta, mi sembra, una rapida lettura del breve componimento per convincersene).
564 Cfr. ibid., p. 79.
565 Cfr. ibid., p. 80 e segg.
566 Cfr. specialmente le rime in -uc delle coblas 3 e 4.
567 Cfr. Las Leys, ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 158 e segg. Le «rubriche» riguardanti queste rime, insieme ad
alquante altre, mancano, come è noto, nel codice pubblicato dall’ANGLADE (II, p. 5 e 99) a causa della perdita
delle carte 94-99.
561
CLVI
2, 5 so: razo: sospeisso; ibid., v. 34, 39, 40 te: chapte: soste; XXXVII, v. 6, 7 revei: vei. Ma
parecchi di essi sono certo fortuiti; e altrettanto è da dirsi dei casi di rime leonine
semplici, anch’essi non molto frequenti 568.
Vi è qualche esempio di rime derivative 569: II, v. 6, 7 grasitz: grazida; ibid., v.
13, 15, 19 guitz: guida: gidar; ibid., v. 30, 32 feritz: ferida; ibid., v. 36, 39 partentz: partida;
III, v. 5, 7 chan: chantar; ibid., v. 35, 40 guezerdon: geserdonar; X, v. 22, 23 amatz: amarai;
XII, v. 7, 9 onransa: honratz; XXXVI, v. 14, 15 auzia: auzir; XXXV, v. 3, 6 don: donar;
XXXIX, v. 5, 6 lauzor: lauzador. E vi è pure qualche esempio di rime equivoche 570:
III, v. 15, 24 amar («amare » e «amaro»); V, v. 35, 36 genz («gentile» e «genti»); X, v.
12, 18 gen («gente» e «gentile»); XI, v. 3, 58 esfortz (sostantivo e verbo); ibid., v. 8, 53
enans (avverbio e verbo); XXIII, v. 6, 18 clau («chiave» e «chiodo»); XXVI, v. 1, 4 so
(«suono» e «sono»); XXXVII, v. 8, 9 ve («vede» e «viene»). Si tratta però, come si
vede, di casi assai sporadici, e che non rivelano alcuna ricerca di tali preziosità
stilistiche.
Anche la allitterazione non è ricercata: se ne trovano due casi, che non sono
forse fortuiti, nei versi 8 e 53 del sirventese Non pueis mudar (XIX), che è uno dei
rarissimi componimenti in cui si può avvertire qualche lieve traccia di artifici formali.
La cesura nei dodecasillabi ha luogo regolarmente dopo la sesta sillaba
accentata, sì da dividere il verso in due parti; è in prevalenza maschile, ma vi sono
anche 21 casi su 96 di cesura femminile 571. Nel decasillabo — il verso preferito da
Sordello — molto spesso la cesura è posta dopo la quarta sillaba accentata,
conformemente alla consuetudine codificata poi dalle Leys d’Amors572. Vi sono però
alquanti casi della cosiddetta «cesura lirica», in cui la quarta sil-
Basti citare, senza indugiarci a dare un elenco completo: XII, v. 41, 43, s’ enansa : benanansa; XVII, v. 2, 3,
sazo : razo; ivi, v. 23, 24, entendre : atendre; ivi, v. 28, 32, entendre : estendre; XXI, v. 5, 8, s’ atura : escriptura; ivi, v.
29, 32, fraitura : natura; XXII, v. 9, 10, membramen : vivamen. Cfr. Las Leys, ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 160
(anche questa «rubrica» manca nel codice pubblicato dall’ANGLADE).
569 Cfr. Leys, ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 184; ed. ANGLADE, II, p. 112 e segg.; J EANROY, La poésie lyrique des
troubadours, II, p. 90.
570 Cfr. Leys, ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 188; ed. ANGLADE, II, p. 115 e seg.; JEANROY, ibid.
571 Cfr. i versi 1, 3, 4, 9, 12, 21, 22, 29, 37, 40 del n. XXV; e 6, 10, 14, 15, 19, 20, 24, 27, 31, 33, 36 del n.
XXVI. Nel n. XXXII non si nota alcuna cesura femminile.
572 Ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 114; ed. ANGLADE, p. 68 e seg.
568
CLVII
laba, finale di parola, è disaccentata573, e casi in cui la cesura ha luogo dopo la quinta
sillaba atona, la quale viene elisa davanti alla vocale iniziale dalla parola seguente o
dà luogo alla sinalefe574. Accettando la lezione del ms. H (l’unico che ci abbia
tramandato la lirica), vi sarebbe anche un caso — peraltro assai discusso — della
cosiddetta «cesura epica», che si ha, come è noto, quando la cesura cade dopo la
quinta sillaba atona, ma questa non viene computata tra le dieci sillabe costituenti il
verso575. Nell’ottosillabo è frequente la cesura dopo la quarta sillaba accentata, in
modo che il verso ne risulta diviso in due parti eguali 576.
Per ciò che riguarda lo iato, lasciando da parte i casi in cui lo iato è permesso
dalle Leys d’Amors (ossia nell’incontro tra un dittongo e una vocale, tra due vocali
avvicinate dall’elisione di una vocale atona che le separava, o tra una vocale iniziale e
alcune parole di uso assai comune, come qui, si, ni, ecc.)577 ci limiteremo a segnalare i
casi che non entrano fra quelli tollerati dalle Leys, che si pos-
Di questa cesura si possono distinguere due casi: 1) versi in cui la pausa si trova dopo la quarta sillaba e
non è trasferibile dopo la sesta sillaba (II, v. 12, 41; III, v. 5, 43; X, v. 23; XVIII, v. 1, 43; XXI, v. 12; XXII, v.
1, 9; XXIV, v. 9; XXVII, v. 2; XXVIII, v. 9; XXIX, v. 1; XXXI, v. 10; XXXVI, v. 4; 2) versi in cui la pausa
può essere collocata dopo la sesta sillaba (accentata) (II, v. 2, 40; III, v. 45; VII, v. 27; X, v. 14; XII, v. 45;
XVII, v. 4, 5, 49; XVIII, v. 46; XXI, v. 6, 14, 16, 28; XXII, v. 4, 24, 36; XXIII, v. 19; XXIV, v. 24, 42, 43;
XXVII, v. 4; XXVIII, v. 5; XXIX, v. 2, 3, 5, 26; XXXI, v. 6; XXXIX, v. 1, 8; XLI, v. 11). La cesura dopo la
sesta sillaba non è giudicata corretta dalle Leys (ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 116; ed. ANGLADE, p. 69).
574 Cfr. VII, v. 18; XVIII, v. 3; XXIII, v. 3; XXIV, v. 11, 19, 22; XXIX, v. 21. Un caso in cui la quinta sillaba
verrebbe computata tra le dieci sillabe del v. si avrebbe secondo il DE LOLLIS al v. 22 del n. XXII. Ma cfr. la
n. al verso.
575 Si tratta del v. 6 del n. XXVII. Il MUSSAFIA propone però (Zur Kritik und Interpretation romanischer Texte, p. 1)
di emendare il verso eliminando il qe, cosicché le cesura epica verrebbe a mancare, e si avrebbe un verso con
la quarta sillaba disaccentata e possibilità di cesura dopo la sesta sillaba (cfr. nota 573, n. 2); e la sua correzione
incontrò il favore anche dello SCHULTZ-GORA (rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 245). Ed è un emendamento che
si può anche accettare, benché si debba osservare che qualche raro caso di «cesura epica» si ha anche nelle
liriche composte da trovatori di origine provenzale: uno, ad es., è nella canzone Non pot esser di Guilhem
Ademar (ed. ALMQVIST, n. VII, v. 7, p. 130).
576 Si veda: IV, v. 1, 2, 4, 17, 19, 20, 26, 27, 28; VIII, v. 1, 4, 5, 7, 9, 12, 19, 21, 22, 24, 29, 32, 34, 37, 38, 41,
50, 51, 52; XII, v. 17, 44; XIV, v. 7, 8, 9, 11, 20, 24, 31, 33, 39, 40; XX, v. 6, 1, 26, 29, 36, 40, 44, 50, 52, 54;
XXVII, v. 8.
577 Cfr. Leys, ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 24 e segg.; ed. ANGLADE, II, p. 37 e segg.
573
CLVIII
sono ridurre ai seguenti: 1) iato tra due parole di cui la prima termina con la vocale
con cui l’altra si inizia: IV, v. 8 entendre e; VII, v. 24 Ni ylh; ibid., v. 30 fresca, ab; XII, v.
22 ve el; XXI, v. 6 Tolosa al; XXII, v. 6 viura ab; XXV, v. 26 pe e; XXVII, v. 4 espada
ab; XXXVII, v. 11 ve, e578; 2) iato nell’incontro di due dittonghi: I, v. 1, 11, 21, 31, 41,
51 miey huelh; IV, v. 6 farai hueymais; ibid., v. 12 siey huelh; VII, v. 20 plai, aucire; XVII,
v. 33 cuy ay; XXVI, v. 3 luy ai; XXXI, v. 2 fai eissamen; ibid., v. 16 estei aisso; XXXIII,
v. 14 cui eu; XXXVII, v. 4 Sui eu579; 3) iato all’incontro di due vocali diverse: III, v. 6
Aultresi es; V, v. 8 tro al; ibid., 13 Qe anc; XVII, v. 18 be ans; ibid., v. 50 jutge, amicx;
XVIII, v. 29 vida es; ibid., v. 46 Ranbauda, on; XXI, n. 39 fora ops; XXII, v. 7 aissi enan;
ibid., v. 30 gra en; ibid., v. 31 Tro als; XXIV, v. 2 tebe ancse; XXV, v. 35 fara elh; XXX,
v. 13 ve a; XXXI, 10 Meraveilla, en580. È da osservare però che iati di questo tipo si
incontrano anche presso non pochi altri trovatori581.
L’elisione avviene normalmente secondo l’uso comune della poesia
trobadorica; e non occorrono citazioni582. Altrettanto è da dirsi della sinalefe 583.
Interessante è però notare che talora la sinalefe ha luogo anche tra vocali tra le quali
cade la cesura (che però è sempre, in questi casi, femminile): III, v. 14 dopna, a; ibid.,
v. 32 dopna e; VII, v. 18 lonha, e; VIII, v. 5 corteza e; XXIV, v. 11 ausaria ad; ibid., v. 19
penre, et; ibid., v. 22 renda e; XXIX, v. 21 passa e.
Per quanto riguarda l’aferesi, non vi sono da segnalare, come sicuri, che due
casi del comunissimo ‘n per en (l’ama, ’n Bertran,
È da notare però che in alcuni di questi casi lo iato è addolcito dall’esistenza di una pausa nel verso in
coincidenza con l’incontro delle due vocali (in VII, 30 e XXXVII, 11 al punto dell’incontro vi è una pausa
segnata modernamente con la virgola; in XXII, 6 tra le due vocali cade la cesura): cfr. C. A PPEL, Bernart von
Ventadorn, Halle a. S., 1915, p. CXVII e seg.; ALMQVIST, Poésies du troubadour Guilhem Adémar, p. 82 e seg.
579 Anche qui si noti che in VII, 20 lo iato è addolcito dalla pausa richiesta dal senso (espressa modernamente
dalla virgola) e che in XXXI, 16 è facilitato dalla cesura.
580 Si notino anche qui XVII, 50, XVIII, 46 e XXXI, 10 ove lo iato è facilitato dalla pausa richiesta dal senso,
segnata dalla virgola.
581 Cfr. per es. per Bernart de Ventadorn APPEL, ibid., e per Guilhem Ademar l’ed. cit. dell’ALMQIST, ibid.
582 Si veda del resto la ricca esemplificazione che dà il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 143.
583 Cfr. ibid., p. 144.
578
CLIX
XVIII, v. 16; a ’n Peire, XXXIX, v. 1) già registrati dal De Lollis; ma accanto ad essi
mette forse conto di ricordare che potrebbero esser spiegate con un’aferesi — se
non si vogliono attribuire a sviste dei copisti, dato che le due liriche ci son
conservate da un solo manoscritto, o non si vogliono considerare «italianismi» — le
lezioni co stai di XXI, 10 e e spaven di XXIX, 24584.
9. LA TRADIZIONE MANOSCRITTA.
CRITERI SEGUITI IN QUESTA EDIZIONE
Le liriche di Sordello sono conservate nei seguenti manoscritti (trascurando,
s’intende, quei codici che sono una evidente e ben nota copia di canzonieri
conservati)585:
A (Roma, Biblioteca Vaticana, Vatic. lat. 5232) [scritto in Italia] 586: 5 liriche:
XI (c. 125 d - 126 a-b), XXVI (c. 126 b-c), XV (c. 183 b-c), XXIII (c. 209 a-b),
XXIV (c. 209 b-d).
C (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 856, già 7226): 10 liriche: II (c.
263 b-d); IV (c. 263 d); VIII (c. 264 a-b); XII (c. 264 b-c); XXV (c. 264 c-d, 265 a);
VII (c. 265 a-b); *I (c. 265 b-c); XXVI (c. 265 c-d, 266 a); XVI (c. 389 a-c); XVII (c.
390 b-d).
D (Modena, Biblioteca Estense, α, R, 4, 4) [di mano italiana]: 4 liriche: XI (c.
84 b-c); XXIII (c. 140 a-b); XXIV (c. 140 c-d); XV (c. 148 a-b).
Da [parte di D derivata dal Liber Alberici]: 1 lirica: XXVI (c. 178 d - 179 a).
Dc [parte di D contenente il florilegio di Ferrarino da FerSulla questione cfr. quanto è detto più oltre, nel paragrafo dedicato alla lingua.
Tali sono ad es., come è noto, il ms. AG. XIV. 49 della Bibl. Braidense di Milano (detto Aa dallo JEANROY
e Ab dal BERTONI) copia di A dovuta a mano italiana del sec. XVI; d (Modena, Bibl. Estense, legato insieme
al ms. D), copia di K eseguita nel sec. XVI; g 2 (Bologna, Bibl. Universitaria, 1290) copia di M, ecc. Ho
indicato in nota, per i manoscritti di cui esistono, le edizioni diplomatiche. Sui manoscritti citati non ho
creduto opportuno, per brevità, dare ampie notizie: rimando per questo alle seguenti opere: B ERTONI, I
trovatori d’Italia, p. 185 e segg.; A. JEANROY, Bibliographie sommaire des chansonniers provençaux, Paris, 1916;
PILLET-CARSTENS, Bibliographie der Troubadours, p. X e segg.; C. BRUNEL, Bibliographie des manuscrits littéraires en
ancien provençal, Paris, 1935. Ho registrato per ogni manoscritto le liriche nell’ordine in cui sono trascritte nel
codice. I componimenti che si trovano solo in un codice sono contrassegnati da un asterisco.
586 Ed. diplom. di A. PAKSCHER e C. DE LOLLIS, Il canzoniere provenzale A, in Studi di filologia romanza, III, 1891,
p. 1 e segg.
584
585
CLX
rara]587: 9 liriche, in parte frammentarie: II (solo i v. 1-8; c. 258 c); III (solo i v. 1, 1724, 33-40; c. 258 c); XXXIX (c. 258 c-d); XXXVII (c. 258 d); XXXI (c. 258 d);
*XXVIII (c. 258 d); XXVI (solo i v. 31-32; c. 258 d); XIV (solo i v. 35-36; c. 258 d);
XV (solo i v. 29-30; c. 259 b).
E (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 1749, già 7698): 2 liriche: XIV
(p. 224); XV (p. 224-225).
F (Roma, Biblioteca Chigiana L. IV. 106, già 2348; ora alla Bibl. Vaticana) [di
mano italiana]588: 13 liriche, in parte frammentarie: XVII (solo i v. 53-56; c. 9 r.) 589;
IV (solo i v. 1, 9-16; c. 9 v.); *IX (c. 9 v. - 10 r. v.); V (v. 1-10, 21-30; c. 10 v.);
XXXVII (c. 10 v. - 11 r.); XXXVIII (c. 11 r.); XXXIX (c. 11 r.); II (solo i v. 1-8, 3340; c. 11 r. v.); XXXI (c. 11 v. - 12 r.); *XXXIV (c. 12 r.); *XXXV (c. 12 r.); *XXIX
(c. 12 r. v.); XXII (v. 1,15-28; c. 12v. - 13r.).
G (Milano, Biblioteca Ambrosiana, R 71 sup. [copiato in Italia; forse di
amanuense italiano]590: 1 lirica: XV (c. 95)591.
H (Roma, Biblioteca Vaticana, Vat. lat. 3207 [di mano italiana]592: 7
componimenti di cui uno frammentario: XXVI (c. 3 a-b); V (c. 3 b-c); *X (c. 4 c-d);
*XXXIII (c. 43 a); *XXXVI (c. 50 a-b); IV (solo i v. 9-16, 33-36; c. 50 b); XXVII (c.
55 d).
I (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 854, già 7225) [di mano italiana]:
10 liriche (una delle quali data due volte): XI (e. 123 b-c); II (c. 123 c-d); III (c. 123 d
- 124 a); *XLII (c. 124 a); *XLI (c. 124 a-b); XV (c. 157 c-d); XVIII (c. 160 b); XXII
(c. 188 c); XXIV (c. 188 c-d); XXVI (c. 188 d - 189 a); XXII (c. 199 a-b).
K (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 12473, già Vat.
Ed. diplom.: TEULIÉ-ROSSI, L’anthologie provençale de maître Ferrari de Ferrare, in Annales du Midi, XIII, 1901, e
XIV, 1902.
588 Ed. diplom. di STENGEL, Die provenzalische Blumenlese der Chigiana.
589 La mutilazione di questa lirica è dovuta però alla perdita della c. 8 del codice; la lacuna si può colmare
ricorrendo a Fa (Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2981, p. 1), a F b (Milano, Biblioteca Ambrosiana, D 465 inf.
n. 25, c. 222) e al ms. 990 della Biblioteca Palatina di Parma, che sono, come è noto, copie (due dirette e una
indiretta) di F. Lo STENGEL nella sua ed. diplomatica (ibid., col. 1a-1b) colma la lacuna ricorrendo a Fa.
590 Ed. diplom. di G. BERTONI, Il canzoniere provenzale della Biblioteca Ambrosiana, Dresden, 1912 (tra le
pubblicazioni della «Gesellschaft für romanische Literatur», Bd. XXVIII).
591 Il ms. contiene anche a c. 131-140 l’Ensenhamen d’onor.
592 Ed. diplom. di GAUCHAT e KEHRLI, II canzoniere provenzale H, p. 341 e segg.
587
CLXI
lat 3204) [di mano italiana]: 8 liriche (una delle quali data due volte): XI (c. 109 b-c); II
(c. 109 c-d); III (c. 109 d); XV (c. 143 c-d); XVIII (c. 146 b-c); XXII (c. 174 a-b); XXIV
(c. 174 b); XXVI (c. 174 c); XXII (c. 184 d).
M (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 12474, già Vat. lat. 3794) [di mano
italiana]: 4 liriche: II (c. 163 d - 164 a-b); *XIX (c. 246 d - 247 a-b); XIV (c. 255 a-c);
XVII (c. 256 d - 257 a-c).
N (New York, Pierpont Morgan Library, n. 819, già nella biblioteca di T. FitzRoy Fenwick a Cheltenham, n. 8335) [di mano italiana] 593: 2 liriche: XIV (c. 278 [già
275] a-c); XV (291 [già 288] c-d, 292 [già 289] a).
O (Roma, Biblioteca Vaticana, Vat. lat. 3208) [di mano italiana]594: 1 lirica: XIV
(p. LXXXIV).
P (Firenze, Biblioteca Laurenziana, Pl. XLI, cod. 42) [di mano italiana] 595: 3
liriche: *XXX (c. 55 b); XXXVIII (c. 59 d - 60 a); *XXXII (c. 65 a).
Q (Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2909) [di mano italiana] 596: 1 lirica: XV (c. 47
b-c).
R (Paris, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 22543, già La Vallière 14): 8 liriche:
XXVI (c. 21 b-c); XXV (c. 23 a-b); VII (c. 23 b); VIII (c. 36 b-c); XII (c. 36 c); II (c. 60
a-b); *XL (c. 142 b); XVIII (c. 143 b).
S (Oxford, Bodleian Library, Douce 269) [di mano italiana]597: 1 lirica: XXVI (c.
219).
T (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 15211, già suppl. franç. 683 e
anteriorm. 1091) [di mano italiana]: 6 liriche: *XX (c. 217 r. - 218 r.); XXII (c. 218 r. v.);
*XXI (c. 219 r. v.); VII (c. 222 r. v.); VIII (c. 223 r. v.); IV (solo i v. 9-16; c. 280 r.).
a’ (Modena, Biblioteca Estense, fondo Campori γ, N. 8, 4;
C. F. BÜHLER, The ‘Phillipps Manuscript’ of Provençal Poetry now ‘Ms. 819’ of the Pierpont Morgan Library, in
Speculum, XXII, 1947, p. 68 e segg.
594 Ed. diplom. di C. DE LOLLIS, Il canzoniere provenzale O, in Memorie della R. Accademia dei Lincei, S. IV, vol. II,
1886, p. 4 e segg.
595 Ed. diplom. di STENGEL, Die provenzalische Liederhändschrift Cod. 42 der Laurenzianischen Bibliothek in Florenz,
XLIX, p. 59 e segg., 283 e segg., e L, p. 241 e segg.
596 Ed. diplom. di G. BERTONI, Il canzoniere provenzale della Riccardiana nº. 2909, Dresden, 1905 (nelle
pubblicazioni della «Gesellschaft für romanische Literatur», Bd. VIII).
597 Ed. diplom. di P. W. SHEPARD, The Oxford Provençal Chansonnier, Princetown-Paris, 1927 (ElliottMonographs, n. 21).
593
CLXII
11, 12, 13)598: 4 liriche: *VI (p. 380); XXVI (p. 380-382); *XIII (p. 539); XIV (p. 59394).
e (Roma, Biblioteca Vaticana, Barber. 3965, già XLV. 59): 1 lirica: II (c. 122124).
f (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 12472): 1 lirica: VII (c. 24 r.).
Come si vede da questo elenco, il codice che a prima vista parrebbe più ricco di
liriche sordelliane è F (13 componimenti); ma in realtà in esso quattro liriche date
altrove per intero sono riportate solo parzialmente599. I codici più ricchi di liriche
interamente conservate risultano quindi C e I (10 liriche), a cui seguono, accanto a F, K
(8 liriche), R (8 liriche), e quindi — con un numero minore di poesie — H, T, A, D-Da,
Dc, M, a’, P. Su questi manoscritti, di varia importanza, ma che tutti recano all’edizione
contributi più o meno notevoli, perché anche manoscritti generalmente secondari come
M e P ci conservano, come si è visto, componimenti di cui non è restata traccia altrove,
è principalmente fondata la ricostruzione della raccolta delle liriche di Sordello.
Manoscritti veramente secondari, che recano solo scarsi o marginali contributi
all’edizione delle liriche del trovatore mantovano sono invece E, G (prescindendo,
naturalmente, dall’Ensenhamen d’onor), N, O, Q, S, e, f.
Delle 42 liriche che la tradizione manoscritta ci ha conservato 21, e precisamente
quelle contrassegnate coi numeri I, VI, IX, X, XIII, XVI, XIX, XX, XXI, XXVII,
XXVIII, XXIX, XXX, XXXII, XXXIII, XXXIV, XXXV, XXXVI, XL, XLI, XLII, ci
sono state tramandate da un solo codice600. Per queste ho riprodotto fedelmente la
lezione del manoscritto anche nei particolari grafici, introducendo però tutti quegli
emendamenti che mi sono parsi necessari a sanare i passi manifestamente corrotti
(sempre, naturalmente, riportando nell’apparato la lezione data dal codice).
Per le 8 liriche, che sono state conservate da due soli mano-
Ed. diplom. di G. BERTONI, Il canzoniere provenzale di Bernart Amoros (Complemento Campori), Friburgo, 1911.
Naturalmente, non è da considerare frammentaria la lirica XVII, conservata parzialmente solo a causa della
perdita della c. 8 e ricostruibile mediante le copie cinquecentesche di F.
600 Non tenendo conto, s’intende, delle copie di codici conservati, che non hanno alcuna importanza per la
ricostruzione del testo.
598
599
CLXIII
scritti601, e cioè per le liriche contrassegnate dai numeri V, XII, XXIII, XXV, XXXI,
XXXVII, XXXVIII, XXXIX, si è scelto come manoscritto di base quello in cui il
componimento è conservato intero (come è accaduto per la canzone V, di cui F ci serba
soltanto frammenti, ed è stato necessario quindi seguire H), o quello che risultava
manifestamente più corretto (come è accaduto per la lirica XXXVIII, dove F è stato
preposto a P, e per la XXXI, ove D c è stato preposto a F), o — nel caso in cui nessuno dei
due codici spiccasse a proposito del componimento in questione per particolare correttezza
— quello che nel complesso si può considerare più autorevole e usa un sistema ortografico
più coerente (come a proposito di XXV e XII, dove si è preferito C a R, di XXIII, dove si è
preferito A a D, e di XXXVII, dove D c è stato preferito a F). Come è ovvio, la lezione del
manoscritto di base è stata abbandonata per far posto a quella dell’altro manoscritto o a un
emendamento nel caso in cui apparisse guasta o meno soddisfacente.
Per le rimanenti liriche (II, III, IV, VII, VIII, XI, XIV, XV, XVII, XVIII, XXII,
XXIV, XXVI), che sono state tramandate da tre o più manoscritti, la ricostruzione del testo
si fonda in primo luogo sullo studio dei rapporti — relativamente a ogni singola lirica —
tra i vari manoscritti, dei quali è stata data una classificazione, riassunta nel consueto
stemma: studio che ha confermato in gran parte i risultati delle ricerche già compiute dal
De Lollis602.
Tuttavia, per quanto riguarda la grafia, salvo particolari ragioni, si sono seguiti per
lo più, anche nell’intento di ottenere una certa uniformità, A, C e I. Come è ovvio, saranno
date indicazioni particolari a proposito di ogni lirica.
Nella stesura dell’apparato critico si è tenuta una via di mezzo tra l’apparato
essenziale, seguito dal De Lollis nel suo libro, e adottato dalla maggior parte degli editori di
testi provenzali, e l’apparato integrale, cioè così minuto da registrare anche le più piccole
particolarità esclusivamente grafiche dei vari manoscritti, preferito dal Bertoni nel suo
volume sui Trovatori d’Italia e da parecchi altri studiosi, specialmente in questi ultimi anni.
Quest’ultimo certo rappresenta sempre la soluzione migliore, perché attraverso di esso lo
studioso ha modo di seguire anche le minime differenze tra i manoscritti; e d’altra parte è
evidente che anche le differenze grafiche, talvolta anche quelle che apparentemente sono
più insignificanti,
601
602
Escludendo anche qui le copie di cui alla nota precedente.
Vita e poesie, p. 117 e segg.
CLXIV
concorrono a documentare l’affinità o le divergenze tra i manoscritti. Tuttavia un
apparato così costituito ha anche lo svantaggio di essere molto ampio e di appesantire
notevolmente il volume, specialmente nel caso in cui esso sia già, come questo libro, di
mole assai notevole, e di disperdere — se non si ricorre, come anche si è fatto, al
sistema del doppio apparato603 — le varianti significative entro la massa delle varianti di
scarso rilievo. Perciò io ho accolto nell’apparato di questa edizione non solo, come è
ovvio, tutte le varianti essenziali, ma anche varianti di minor conto, e anche piccole
oscillazioni fonetiche che il De Lollis ha trascurato, come quelle tra -it, -ich, -ch, -g da -ct(dreit, dreich, drech, dreg), tra o, uo-ue da o breve accentato (loc, luoc, luec), e tra e e ie da e
breve accentato (eu, ieu), o come il mantenimento o la soppressione del n mobile (no e
non), e simili. Ho però lasciato generalmente da parte le divergenze puramente grafiche
(cfr. in proposito le avvertenze premesse all’ed. dei testi)604.
Quanto all’ordinamento delle liriche, ho ritenuto assolutamente necessario
modificare quello del De Lollis, contro il quale furono rivolte non poche critiche 605, e
che è assai insoddisfacente. Non potendosi però giungere a un ordinamento
cronologico, per l’impossibilità di fissare con una certa sicurezza, sia pure in modo
approssimativo, la data di molti componimenti, e sembrandomi d’altra parte non solo
del tutto estrinseco, ma anche scarsamente orientativo, anche se comodo, un
ordinamento generale puramente alfabetico (cioè secondo l’ordine alfabetico degli incipit
delle varie liriche), mi sono deciso per un ordinamento misto, fondato prevalentemente
su un raggruppamento per «generi» e sui dati cronologici sicuramente accertati, che mi è
parso avere se non altro il merito di permettere agli studiosi un rapido orientamento e
una facile ricerca delle liriche interessanti le loro indagini.
Ho posto quindi dapprima le 12 canzoni che ci son giunte intere, in ordine
alfabetico, non essendo possibile giungere ad una datazione precisa di esse, ed essendo
d’altra parte assai incerte le iden-
Basti ricordare, a mo’ d’esempio, l’ed. delle Poesie di Peire Raimon de Tolosa curata da A. CAVALIERE, Firenze,
1935, e la recentissima ed. delle poesie di Guilhem Ademar dovuta a ALMQVIST, già citata.
604 S’intende che, come ho avvertito nella Premessa, tutti i manoscritti sono stati da me ricollazionati per intero
o direttamente o su fotografie.
605 Cfr. ad es. quanto scrive l’APPEL nella sua recensione al volume del DE LOLLIS, col. 228.
603
CLXV
tificazioni delle dame cantate dal trovatore mantovano (anche a proposito di Guida di
Rodez abbiam dovuto constatare quanto siamo lontani dalla certezza circa il numero
delle liriche a lei indirizzate). Alle canzoni ho fatto seguire in altre due sezioni le tenzoni
e i partimens, quasi tutti di argomento amoroso, ponendo prima in ciascuna sezione i
componimenti anteriori alla partenza dall’Italia (XIII e XV) e poi i componimenti scritti
oltralpe. Quindi ho posto i sirventesi, distinti per chiarezza in tre gruppi (politici, morali
e personali), adottando per il secondo gruppo, per il quale mancano dati cronologici,
l’ordine alfabetico, e per gli altri due l’ordine cronologico: il che mi ha permesso anche
di mantenere strettamente uniti e di presentare, come mi è parso necessario, nell’ordine
in cui furono composti — che sarebbe stato inevitabilmente spezzato adottando un
ordinamento generale alfabetico — i tre sirventesi contro Peire Bremon Ricas Novas.
Nella sezione quinta ho collocato l’unico planh composto da Sordello, il celebre planh
per la morte di Blacatz. Infine, nella sezione sesta (l’ultima dedicata alle liriche, poiché la
successiva è riservata all’Ensenhamen d’onor, che logicamente doveva stare a sé) ho
raccolto le liriche minori e i frammenti, cercando di disporli in modo che fossero
agevolmente rintracciabili dagli studiosi e tenendo anche conto, nei limiti del possibile,
della cronologia: così ho posto prima la cobbola giovanile contro Figeira, poi le due
liriche scritte rispettivamente per l’avvento di Carlo d’Angiò sul trono provenzale e per
la crociata del 1248; quindi i tre scambi di cobbole, e il salut; e da ultimo, in ordine
alfabetico, il gruppo delle 9 rimanenti brevi liriche (in parte sicuramente coblas esparsas, in
parte probabilmente frammenti di componimenti più ampi in parte perduti, conservati
per lo più da F e Dc, qualcuno anche da H, I e P) per le quali è impossibile arrivare a
una datazione sufficientemente precisa.
Per comodità, e soprattutto in vista delle citazioni che occorrerà di fare dei
componimenti sordelliani, le poesie sono state numerate progressivamente con cifre
romane, indipendentemente dalle sezioni in cui sono suddivise. A rendere più facili e
rapide le ricerche degli studiosi si sono aggiunti all’indice generale delle rime secondo
questo nuovo ordinamento, che porta l’indicazione delle pagine di questa edizione, un
indice alfabetico generale degli incipit, pure con l’indicazione della pagina, e una tavola di
concordanza, che, avendo per base i numeri della Bibliographie di A. Pillet e H. Carstens,
indica i numeri corrispondenti di questa edizione e di quella del De Lollis.
CLXVI
10. L’«ENSENHAMENS D’ONOR»
Ci resta da esaminare il poemetto didattico di Sordello, che è intitolato,
nll’explicit dell’unico manoscritto che ce lo ha conservato, l’Ambrosiano R. 71 sup.
(G) Documentum honoris, ma che più probabilmente sarà da intitolarsi Ensenhamens
d’onor, poiché così lo chiama l’autore stesso nei versi di chiusa:
Fag ai l’ensegnamen d’onor,
q’ aissi·l devon gran e menor
apellar...
S’eu ai en mon ensegnamen
mostrat re, que plaz’ a la gen...
(v. 1283 e segg.)
(v. 1297 e segg.)
Probabilmente il titolo Documentum honoris si deve al copista, che tradusse in
latino (lingua adoperata spesso, tradizionalmente, negli explicit) il titolo provenzale.
II poemetto è assegnato esplicitamente a Sordello nel manoscritto, e non vi è
ragione di dubitare di tale attribuzione, anche perché vi sono evidenti concordanze,
sia nei concetti, sia nelle espressioni, tra quest’opera e le liriche sordelliane 606, e
perché il componimento è dedicato a una dama designata col senhal di N’ Agradiva607,
che, come sappiamo, è usato da Sordello per Guida di Rodez.
La dedica a N’ Agradiva ci rende certi che l’opera venne composta da Sordello
durante la sua dimora in Provenza: è però assai difficile arrivare a fissare con qualche
buon fondamento una data più precisa. Lo Schultz-Gora608 congetturava che l’opera
fosse stata composta tra il 1240 e il 1250; il De Lollis 609 inclinava a credere che la
composizione di essa dovesse «aggirarsi intorno al 1240»; lo Jeanroy la collocava
«verso il 1250»610; il Fabre pen-
Ad es. i v. 371-372 dell’Ensenhamen (mas bon en fai esser cargatz | cor om en viu totz temps onratz) sembrano
corrispondere ai v. 11-12 del secondo sirventese morale (XXII), dove il pregio è considerato come un fascio,
di cui è caricato l’uomo virtuoso; l’elogio della mesura e il biasimo della desmesura dei v. 373-394 dell’Ensenhamen
si ritrovano nei v. 33-40 del primo sirventese morale (XXI); il biasimo delle ricchezze accompagnate dalla
malvagità, che si trova ai v. 439 e segg. del poemetto è pure un motivo comune dei due sirventesi morali; e
l’affermazione che l’innamorato deve amare soprattutto l’onore della sua donna, che ricorre nei v. 1099 e
segg. dell’Ensenhamen, ripete manifestamente le idee espresse in molti passi delle liriche d’amore, e
specialmente della canz. V, v. 21 e segg. Per altri confronti si vedano le note al poemetto.
607 Si vedano i v. 1300 e segg.
608 Rec. allo studio Le poesie inedite di Sordello del PALAZZI, in Zeitschrift f. rom. Phil., Xll, 1888, p. 271.
609 Vita e poesie, p. 87.
610 Histoire sommaire de la poésie occitane, p. 83.
606
CLXVII
sava, fondandosi peraltro su ragioni non del tutto convincenti) che fosse opportuno
scendere a qualche anno dopo il 1250, e precisamente al periodo 1252-1257611. Il
Parducci, dal canto suo, senza però corredare di alcuna prova la sua affermazione,
ha sostenuto che il poemetto venne scritto dal trovatore negli ultimi anni della sua
vita, nella seconda metà del sec. XIII 612. Ma si tratta sempre di congetture. Sembra
tuttavia che il poemetto di Sordello sia anteriore a quello su Los VII gautz de Nostra
Dona di Gui Folqueys (il futuro papa Clemente IV), poiché i v. 1-22 del poemetto di
Gui sembrano una diretta imitazione dell’inizio dell’Ensenhamen del trovatore
mantovano613. E se Gui Folqueys compose il suo poemetto, come pensò il Fabre 614,
negli anni 1257-59, quando fu vescovo
Guida de Rodez, baronne de Posquières, p. 343 e segg.
Nel vol. Costumi ornati. Studi sugli insegnamenti di cortigiania medievali, Bologna, 1927, p. 44.
613 Ecco i versi che ci interessano del poemetto di Gui Folqueys, che trascrivo dell’edizione datane dal
SUCHIER, Denkmäler provenzalischer Literatur und Sprache, Halle, 1883, I, p. 272 e segg.:
Escrig trop, et aisi es vers,
que de Dieu ven totz bos sabers
e no val tan argen ni aurs
co sabers, qu’ es us ric thezaurs,
ab que gen sia despendutz.
Car qui pro n’ a e n’esta mutz,
no·s pot esdir de cobezeza;
e sel que·l despen en vaneza
non es larcx, ans es degalhiers,
per que·s tanh c’ om lo men estiers.
E car l’hom l’a e·l ten de Dieu,
dretz es c’ om li ‘n serva so fieu
e que despenda son saber
en luy amar, en luy temer,
en lui lauzar, en lui servir,
en lui onrar et obezir.
Et yeu, sitot m’en ai petit,
sai que del pauc l’ ai mal servit,
e no m’es lunhs razonamens,
car cascus del mai o del mens
li deu servir segon que n’ a,
et es forfaitz si non o fa.
Si confrontino con i v. 1-13 dell’Ensenhamen di Sordello, per cui rimando all’edizione (n. XLIII di questo
volume). Del SUCHIER si tengano presenti anche le note, p. 542 e segg.: a p. 542 si trovano anche notizie sulla
vita di Gui Folqueys.
614 Guida de Rodez, baronne de Posquières, p. 344.
611
612
CLXVIII
di Puy615, è verisimile che la data dell’Ensenhamen di Sordello non possa esser portata
oltre il 1257. E può darsi che si debba risalire a qualche tempo prima.
Quando Sordello compose il suo poemetto, già alcuni «insegnamenti» erano
stati composti. Nella seconda metà del sec. XII, e forse negli ultimi anni di essa, se si
accoglie la data proposta dallo Jeanroy616, era stato composto l’«insegnamento» più
antico, l’«insegnamento della dama» di Garin lo Brun (El termini d’estiu), in 650 senari
rimati a due a due, conclusi da un bioc (la parola domna); e non molto tempo dopo,
verso il 1200617, Arnaut Guillem de Marsan aveva pensato ad ammaestrare anche
l’uomo di nobile lignaggio, componendo il suo «insegnamento del cavaliere» (Qui
comte vol aprendre) in 628 senari rimati a due a due, conclusi anch’essi da un bioc (la
parola Amen). Qualche tempo dopo, se si accetta la data ultimamente proposta dallo
Jeanroy, o press’a poco alla stessa epoca, se si tien fede alla data comunemente nota
riguardo all’attività di questo trovatore618, Arnaut de Maroill raccolse in un poemetto
(Razos es e mesura) di 364 senari rimati a due a due, conclusi da un bioc (ancora la
parola dona), una serie di consigli sul modo di vivere nobilmente e lodevolmente,
ricordando in fine i pregi degli ecclesiastici, dei borghesi, dei cavalieri e delle
dame619.
Il FABRE, ibid., p. 345, pensa anzi che Gui Folqueys abbia potuto conoscere Sordello e prender visione del
suo Ensenhamen (che doveva essere allora, sempre secondo il Fabre, o composto o in composizione) nel 1256,
epoca in cui fece un’inchiesta sull’amministrazione del siniscalco di Provenza per ordine di Luigi IX.
616 Histoire sommaire de la littérature occitane, p. 83.
617 È la data dello JEANROY (ibid.). Secondo il PARDUCCI, Costumi ornati, p. 58, l’insegnamento di Arnaut
Guillem de Marsan sarebbe press’a poco contemporaneo a quello di Garin. Cfr. anche R. LEJEUNE, La date de
l’«Ensenhamen» d’Arnaut Guilhem de Marsan, in Studi medievali, n. s., XII, 1939, p. 160 e segg., secondo la quale
l’ensenhamens di Arnaut sarebbe il più antico di tutti, e andrebbe collocato tra il 1170 e il 1180.
618 Nell’Histoire sommaire de la littérature occitane, che è del 1945, lo JEANROY afferma che l’ensenhamen di Arnaut
fu composto «vers 1220» (p. 83). Ma comunemente l’attività del trovatore viene assegnata all’ultimo quarto
del sec. XII: e del resto lo stesso JEANROY nell’opera citata, in un altro punto (p. 43), osserva che il trovatore
fiorì «vers 1180-1200» (nella Poésie lyrique des troubadors, I, p. 338 «dernier tiers du XIIe siècle»).
619 Sulla serie degli ensenhamens provenzali, oltre alle pagine ad essi dedicate in opere generali sulla letteratura
provenzale, come quelle del BARTSCH, Grundriss, p. 44 e segg.; del RESTORI, Letteratura provenzale, Milano,
1891, p. 144 e segg.; dello STIMMING, Provenzalische Literatur, nel Grundriss del GRÖBER, Strassburg, 1897, II, 2,
p. 43 e seg., 48 e segg.; dell’ANGLADE, Histoire sommaire de la littérature méridionale au moyen âge, Paris, 1921, p.
178 e segg.; e dello JEANROY, Histoire sommaire de la littérature occitane, p. 81 e segg.; si vedano: W. BOHS, Abril
issi’ e mays intrava. Lehrgedicht von Raimon Vidal von Bezaudun, in Romanische Forschungen, XV, 1903, p. 204 e segg.
(allo studio del poemetto didattico di R. V. è premesso un cenno generale sugli ensenhamens); J. BATHE, Der
Begriff des provenzalischen ‘Ensenhamen’, in Archiv f. das Studium d. n. Spr. u. Liter., CXIII, 1904, p. 394 e segg., e Die
moralischen Ensenhamens im Altprovenzalischen, Marburg, 1906; PARDUCCI, Costumi ornati, (capitoli I e II). Sugli
ensenhamens riguardanti la dama cfr. anche A. A. HENTSCH, De la littérature didactique du moyen âge s’adressant
spécialement aux femmes, Cahors, 1903.
615
CLXIX
Questi «insegnamenti», che costituivano ormai una tradizione, furono certo
tenuti presenti da Sordello. Ma egli seppe tuttavia raggiungere una certa originalità.
Garin lo Brun si era rivolto esclusivamente alla dama, e aveva indirizzato i suoi
precetti particolarmente ad insegnare alla dama le doti più esteriori, dando
soprattutto minute norme sulla vita quotidiana e accennando solo brevemente alla
vita morale: la maggior parte dei precetti riguarda infatti le operazioni che la dama
deve compiere al mattino al levarsi di letto, la cura del corpo e delle vesti, le ancelle,
il contegno in chiesa e in casa, il contegno con gli ospiti; e solo la parte centrale del
poemetto tratta, sommariamente, dei pregi che a una dama si convengono (orgoglio,
gaiezza e cortesia) 620. Arnaut Guillem de Marsan aveva fatto qualcosa di simile:
rivolgendosi al cavaliere, egli aveva trattato soprattutto, premettendovi un elenco di
esempi di valenti «amatori», da Paride a Tristano e a re Artù, delle cure che il
cavaliere — per meritare amore — deve avere delle sue vesti e della sua persona
(persino scendendo ad ammonimenti particolari riguardanti i capelli, i baffi e la
barba), degli scudieri da tenere, del modo di ricevere gli ospiti e di trattarli a tavola,
del modo di tener corte, dei giochi, dei cavalli e dei ronzini, e del combattere nei
tornei621.
Da questi due ensenhamens Sordello è assai lontano. Egli mira soprattutto a dar
precetti sulla vita morale: e per questo appare assai vicino ad Arnaut de Maroill, che
si propone di mostrare come si deve contenere colui che vuole ottenere buona
lode622, e espone
Sull’ensenhamen di Garin lo Brun cfr. specialmente l’ampia analisi e l’illustrazione, accompagnate da una
traduzione (corredata di copiose note), che ne ha dato il PARDUCCI, Costumi ornati, p. 21 e segg., 219 e segg.
621 Cfr. l’analisi, l’illustrazione e la traduzione del PARDUCCI, ibid., p. 24 e segg., 251 e segg.
622 Egli afferma infatti in principio dei suo ensenhamen (v. 36-38):
mostrarai
com se deu captener
qui vol bon laus aver
(cfr. l’ed. del MAHN, Werke, I, p. 177).
620
CLXX
ai suoi lettori una serie di precetti morali 623, aggiungendo poi una rassegna dei diversi
pregi di cui possono essere adorni i cavalieri e le dame, i borghesi e i chierici. Anzi io
ritengo che si possa formulare l’ipotesi che proprio a questo poemetto di Arnaut de
Maroill si sia ispirato Sordello nel comporre l’Ensenhamen d’onor. Oltre alla
fondamentale analogia di contenuto, mi sembra infatti che vi siano tra le due opere
precise rispondenze in vari punti. Se il paragone tra il sapere non comunicato ad
alcuno e i tesori tenuti nascosti, con cui Sordello inizia il suo poemetto, può derivare
da altra fonte (benché si possa anche qui formulare l’ipotesi che l’idea sia venuta a
Sordello proprio dal testo di Arnaut de Maroill)624, mi
I principali sono: onorare e temere Dio; osservare come agiscono i buoni e i malvagi, per imparare a
seguire i primi e ad evitare i vizi dei secondi; vendicare le onte e contraccambiare i benefici ricevuti; essere
umili verso i buoni e ergulhos verso i malvagi; cercare soprattutto la prodezza (che non viene dal lignaggio, ma
dal cuore), e insieme ad essa sabers, sens, largueza e poders, che sono i fondamenti del pregio.
624 Il paragone tra il sapere non comunicato e il tesoro nascosto e le due idee su cui esso si fonda, quella
dell’inutilità del tesoro nascosto e quella dell’inanità del sapere non comunicato, sono assai comuni nella
poesia provenzale. Il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 295 e seg.) ha rilevato che il paragone si trova nella canzone
S’eu agues di Bernart d’Auriac (P. C. 57, 4) e nei poemetti didattici di Gui Folqueys su Los VII gautz de Nostra
Dona e di Daude de Pradas sulle quattro virtù cardinali; che l’idea della inutilità del tesoro nascosto compare
nel sirventese En aqest gai sonet di Peire Guilhem de Luserna (P. C. 344, 3) e nel sirventese De sirventes di
Bertran del Pojet (P. C. 87, 2); e che l’idea della vanità del sapere non comunicato ricorre nell’ensenhamen di
Arnaut de Maroill e in quel prologo di un poema didattico perduto che è conservato dal canzoniere R e fu
fatto conoscere da P. MEYER (Mélanges de littérature provençale. V. Prologue d’un poème inconnu, in Romania, I, 1872,
p. 114 e segg.). Ora, delle tre liriche sopra citate solo quella di Peire Guilhem de Luserna è sicuramente
anteriore all’ensenhamen sordelliano; ma essa presenta l’idea in modo assai diverso («Car l’avers non a valenza |
mas q’om en trai sa guirenza | e qar hom se·n pot far grazir»: v. 25 e segg., ed. B ERTONI, I Trovatori d’Italia, p.
272), e mi sembra difficile che sia stata il punto di partenza dei versi di Sordello. Dei quattro poemetti
didattici bisogna mettere senz’altro da parte quello di Gui Folqueys, quasi certamente, come si è detto,
posteriore all’ensenhamen di Sordello, e quello di Daude de Pradas, in cui ricorrono espressioni assai lontane da
quelle usate dal trovatore di Goito («Et un proverbi dizon tug, | que sens rescost non porta frug. | Et avers
cant esta resclaus | non ret a nueill ni lag ni aus»: v. 115 e segg., ed. di A. STICKNEY, The Romance of Daude de
Pradas on the Four Cardinal Virtues, Firenze, 1879, p. 20). Molto vicini al testo di Sordello sembrano invece i v.
67-70 del prologo del poema perduto pubblicato dal Meyer («Car trestotz sabers es perdutz | qu[e s’] estay
ades escondutz, | e selh es ades pus valens | qu’es ensenhatz cominalmenz»): ma lascia qualche dubbio il
fatto che questi versi si trovano in un contesto che non offre alcuna corrispondenza con il prologo
dell’Ensenhamen d’onor, ad eccezione dei v. 9-10 («Car sabers creys pretz e lauzors | on pus es auzitz per
pluzors»). Sicché resta sempre la possibilità che Sordello abbia avuto l’idea di inserire il paragone nel suo
prologo dall’ensenhamen di Arnaut, che comincia con questi versi: «Razos es e mezura, | mentr’ om el segle
dura, | que aprenda chascus | de sels que sabon plus. | Ja·l sens de Salamon, | ni·l saber de Platon, | ni
l’engeinz de Virgili, | d’Omer ni de Porfili, | ni dels autres doctors | qu’avetz auzitz plusors, | no fora res
presatz | s’agues estat selatz». Naturalmente anche con questa ipotesi non si può escludere l’influenza di altri
ricordi e di altre letture. Si tratta però sempre di ipotesi: e non si può escludere che la fonte sia da cercare
altrove.
623
CLXXI
sembra che possano ritenersi suggeriti da Arnaut de Maroill altri elementi del
prologo, come le espressioni in cui Sordello accenna ai limiti della sua cultura e al
suo proposito di trattare il tema secondo le sue modeste forze625. E anche la chiusa,
in cui Sordello
Afferma infatti Arnaut (v. 13 e segg.; ed. MEYER, p. 176):
Per qu’ ieu soy en cossire
com pogues far ni dire
tal re que·m fos honors,
e grazit pels melhors.
Mas negus non entenda
qu’ieu aquest fais mi prenda
que l’encrim de folhor,
ni·m tengna per doctor.
De saber no·m fenh ges,
mas de so qu’ai apres,
escotan e vezen,
demandan et auzen;
car nulhs non a doctrina
ses autrui disciplina.
Mos sabers non es grans,
mas qu’en tira·l talans
d’aprendre e d’auzir
so qu’om degues grazir.
Que eys lo mieu apenre
si nulhs es de mi menre
de sen ni de sciensa.
Segon la conoissensa
qu’ieu ai ni sent ni sai,
del segle mostrarai
com se deu captener
qui vol bon laus aver.
Si confronti coi v. 13 e segg. del poemetto di Sordello. È da notare che le introduzioni dei poemetti di Garin
lo Brun e di Arnaut Guillem de Marsan sono del tutto diverse.
625
CLXXII
fa l’elogio di N’ Agradiva ed esprime il suo amore per lei sembra suggerita da quella
del poemetto di Arnaut, che canta anch’essa la donna, con espressioni di
ammirazione e di devozione626. Anche in qualche particolare precetto sembra di
risentire l’eco dell’ensenhamen di Arnaut: il primo precetto, ad es., in Sordello è quello
di amare e temere Dio, come in Arnaut 627; e in ambedue i poemetti si trova (benché
certo si possa a rigore pensare a un’idea diffusa nella società del tempo, che, dato
l’argomento, i due poeti dovevano, anche indipendentemente l’uno dall’altro,
includere nelle
Si v. i versi 350 e segg. (ibid., p. 183 e seg.):
Ab sol que Dieus me guar
ma dona doss’ e cara
que·m capdela e·m gara
de tot autre cossir,
mas de lieys obezir.
Dona pros e valens,
corteza et avinens,
s’en ren ai conoissensa,
la vostra sovinensa,
que m’es cor et escrima
la·m dona e la m’ aprima
per que ieu de totz mos bes
vos ren laus e merces,
e·us o grazisc ades,
car m’es del cor pus pres,
dona!
L’ensenhamens di Garin lo Brun finisce anch’esso con parole rivolte alla donna; ma non si tratta di espressioni
d’amore e di ammirazione, bensì di una serie di consigli come quelli rivolti alla donna precedentemente (tutto
il poemetto, come è noto, è una serie di precetti a una dama). L’ensenhamens di Arnaut Guillem de Marsan
termina, come si è detto, con una rassegna di dame conquistate dal cavaliere da cui si immaginano dati i
precetti raccolti nel poemetto.
627 Si confrontino ad es. i v. 37-52 di Sordello con i v. 54-62 di Arnaut (ibid., p. 177):
Qui vol corteza vida
demenar ni grazida,
ab ferm cor e segur,
per tal que son pretz dur,
sapcha Dieu retener
et onrar e temer;
car pretz ni cortesia
ses Dieu non cre que sia.
626
CLXXIII
loro opere) l’affermazione che la prodezza nasce dal cuore e non dalla nobiltà dei
natali628.
Pur tenendo presente (se si accetta l’ipotesi che mi è sembrato di poter
formulare) il poemetto di Arnaut de Maroill, Sordello dette al suo ensenhamen una
fisionomia originale. Non solo, infatti, rielaborò e trasformò, come si può vedere dai
raffronti precedentemente istituiti, gli spunti derivati da Arnaut, ma diede anche alla
sua trattazione una ampiezza assai maggiore, inserendo nel suo poemetto molti
precetti che in Arnaut non apparivano629, e aggiungendovi alla fine630 una vasta
sezione di precetti dedicati alle dame, che non trova alcun riscontro nell’ensenhamen
di Arnaut631.
Certo molte delle considerazioni e molti dei precetti che Sordello accoglie nel
suo ensenhamen erano assai comuni nella poesia provenzale di ispirazione
moraleggiante, da Marcabru a Peire Cardenal; ma non mancano nemmeno
osservazioni e sviluppi che non rientrano in tutto nel solco della tradizione, e spesso
la materia è
Si confrontino i v. 635 e segg. di Sordello con i v. 145 e segg. di Arnaut (ed. cit., p. 179):
E si dirai als gais
de proeza don nais.
Ges no nais ni comensa
segon autra naissensa,
qu’ins el cor, so sapchatz,
la noiris voluntatz.
Er no·us sia veiaire
s’ el filhs fo de bon paire, ...
629 Rimando per brevità al minuto sommario dell’ensenhamen sordelliano che ho premesso, per orientamento
dei lettori, alle note al testo (XLIII); e all’accenno del contenuto del poemetto di Arnaut dato alla n. 623.
630 V. 1071-1244.
631 Forse in questi precetti rivolti alla dama, in cui si tratta principalmente del come contenersi nell’amore, si
potrebbe scorgere un’influenza dell’anonimo poemetto comunemente designato col titolo di Cour d’amour, in
ottonari rimati a due a due, del principio del sec. XIII (cfr. l’ed. di L. CONSTANS, in Revue des langues romanes,
XX, 1881, p. 157 e segg.): ma si tratta, se mai, di un ricordo molto lontano, perché il tema è svolto in modo
diversissimo: fra l’altro, in Sordello non vi è alcuna traccia di quell’allegorismo che domina per tanta parte la
struttura della Cour d’amour, e mancano completamente quei precetti sul modo di abbigliarsi a cui l’anonimo
autore della Cour d’amour si compiace di dedicare una lunga serie di versi. D’altra parte, la concezione
dell’amore a cui si ispira l’ensenhamens sordelliano è quella che abbiamo trovato nelle canzoni e nei partimens del
trovatore di Goito, caratterizzata da quella idealizzazione dell’amore che avvicina Sordello al Montanhagol,
mentre nella Cour d’amour non mancano momenti in cui affiorano desideri sensuali.
628
CLXXIV
esposta in modo assai vivace, pur nel consueto tono discorsivo che è proprio dei
poemetti didattici. E per questo motivo, nonché per l’ampiezza del disegno, a me
sembra che abbia, se non in tutto, almeno in parte ragione lo Schultz-Gora632, il
quale dava all’Ensenhamen d’onor sordelliano un posto segnalato tra gli ensenhamens
provenzali, e penso che vada in parte riveduto il giudizio molto limitativo del De
Lollis633, benché certo, come vedremo, abbia ragione il De Lollis nel ritenere contro
lo Schultz-Gora che il poemetto non abbia contribuito a suggerire a Dante la sua
grandiosa raffigurazione di Sordello nell’antipurgatorio.
Forse l’Ensenhamens d’onor non aggiunse molto alla fama del trovatore
mantovano, che dovette trarre alimento soprattutto dalle sue liriche — prima fra
tutte il planh in morte di Blacatz —; ma è probabile che anch’esso abbia avuto una
certa diffusione634, e abbia contribuito a consolidare e a rafforzare la fama che
Sordello aveva saputo conquistarsi in terra occitanica 635.
Quanto alla metrica il poemetto di Sordello differisce dagli ensenhamens di
Garin lo Brun, di Arnaut Guillem de Marsan e di Arnaut de Maroill, che sono in
senari rimati a due a due, essendo scritto, come il poemetto sulle quattro virtù
cardinali di Daude de Pradas e l’anonima Cour d’amour, in ottonari, rimati anch’essi a
coppie secondo la tradizione della poesia didattica e narrativa. La serie degli ottonari,
che sono complessivamente 1326, è chiusa da un quadrisillabo a uscita femminile.
La cesura per lo più cade dopo la quarta sillaba; e nei casi, molto frequenti, in cui
proprio sulla quarta sillaba cade il primo dei due accenti principali del verso,
l’ottonario risulta diviso in due parti eguali. Non mancano tuttavia casi in cui il
primo accento cade sulla terza sillaba o sulla quinta, che possono, se non sono finali
di parola, esser seguite da una sillaba atona.
Predominano le rime maschili, che ricorrono in 520 coppie di versi, mentre le
coppie a rima femminile sono solo 143. In genere,
Rec. allo studio del PALAZZI, p. 270.
Vita e poesie, p. 88 e seg.
634 Il fatto che l’Ensenhamen d’onor compaia in un solo manoscritto può far pensare che l’opera non fosse
largamente divulgata, ma non ci obbliga a ritenere che essa fosse quasi dimenticata. Del resto, è noto che
anche il poemetto di Daude de Pradas sulle quattro virtù cardinali e il Romans de mondana vida di Folquet de
Lunel sono conservati da un solo manoscritto (P. C. p. III e 124).
635 Del resto, come si è visto, il poemetto di Sordello fu molto probabilmente imitato da Gui Folqueys.
632
633
CLXXV
come accade nelle liriche, non abbiamo alcuna ricerca di raffinatezze formali, che non
erano d’altra parte d’uso nella poesia didattica. Si notano però anche qui, tuttavia, varie
rime leonine perfette e consonanti legali, probabilmente, nella maggior parte dei casi,
non volutamente ricercate: v. 5-6 aurs: tesaurs; v. 33-34 pres: repres; v. 47-48 empara:
desempara; v. 153-154 torna: destorna; v. 271-272 reprenda: prenda; v. 323-324 descubrir: cubrir;
v. 423-424 aia: essaia; v. 573-574 ausa: causa; v. 605-606 descargar: cargar; v. 613-614 forsan:
esforsan; v. 643-644 ara: cara; v. 700-701 met: entramet; v. 701-702 mesura: desmesura; v. 715716 folla: affolla; v. 769-770 conosser: desconosser; v. 779-780 plai: desplai; v. 789-790 prenda:
emprenda; v. 861-862 creire: mescreire; v. 933-934 desplazer: plazer; v. 937-938 pacha:
desempacha; v. 941-942 leumen: men; v. 955-956 arma: desarma; v. 967-968 promet: met; v.
1009-1010 corda: descorda; v. 1049-1050 onran: desonran; v. 1095-1096 adreig: dreig; v. 11031104 prendre: aprendre; v. 1143-1144 azaut: desazaut; v. 1145-1146 adautada: desazautada; v.
1147-1148 endreg: dreg; v. 1149-1150 adauta: desazauta; v. 1191-1192 desplazer: plazer; v.
1207-1208 vers: revers; v. 1317-1318 azauta: auta. Vi sono anche alquante rime leonine
semplici, in gran parte certo casuali: v. 11-12 razo: sazo; v. 19-20 diversas: aversas; v. 37-38
entendre: contendre; v. 67-68 pendra: prendra; v. 377-378 estiers: entiers, ecc.; v. 927-928
desastrucs: malastrucs; v. 963-964 entendre: atendre; v. 1171-1172 talenz: valenz; v. 1175-1176
sazo: razo, ecc.
Rare le rime equivoche: v. 147-148 forza («forza» e «sforza»); v. 263-264 part
(sostantivo e verbo); v. 331-332 azauta (aggettivo e verbo); v. 1213-1214 garda
(sostantivo e verbo); v. 1237-1238 fi («fino» e «fine»). Esempi di mot tornat (artificio che
consisteva, come è noto, nell’usare a breve distanza parecchie voci aventi lo stesso
tema) si hanno ai v. 1048 e segg. (ripetiz. di onrar e voci) e ai v. 1143 e segg. (ripetiz. di
azautar e voci affini). Un esempio di allitterazione certamente voluta ricorre al v. 1230.
Ai v. 409-413 si nota la ripetizione della medesima parola all’inizio del verso.
Trattandosi di un componimento conservato soltanto in un codice, si è
naturalmente riprodotta fedelmente la lezione del manoscritto, anche nelle particolarità
grafiche, salvo che nei casi in cui si imponeva una correzione: in questi casi, come è
ovvio, la lezione del codice è stata sempre registrata nell’apparato. Anche per questo
poemetto ho ricollazionato interamente il manoscritto. Ho creduto opportuno
eliminare dall’apparato i continui richiami che fa il De Lollis
CLXXVI
all’edizione del Palazzi636, conservando — nelle note — soltanto quelli che hanno
ancora qualche interesse.
11. OSSERVAZIONI SULLA LINGUA
La lingua usata da Sordello nelle sue poesie è, come è stato osservato dal
Bertoni637, il provenzale illustre comune, quale si era venuto formando per opera dei
migliori trovatori. E il poeta mantovano sa usar tale lingua invero con singolare
perizia e molta correttezza, tanto che il Bertoni638 non esita a giudicarlo il più
esperto nella lingua provenzale dei trovatori italiani.
Del tutto eccezionali e di non grande rilievo infatti in Sordello sono le vere e
proprie scorrettezze e i decisi italianismi: si può citare come scorrettezza la
mancanza dell’articolo davanti al pronome possessivo mieus nel partimen con
Guilhem Montanhagol (XVI, v. 68) che, nonostante che sia invero singolare in
Sordello, sembra sicura, perché non è possibile correggere il passo ammettendo una
enclisi di lo con una parola (don) terminante per n stabile639. E si possono ricordare,
come italianismi, la mancanza di e prostetico in scorjatz (XIX, v. 60) — caso del tutto
sicuro, perché l’aggiunta dell’e- prostetico allungherebbe il verso, contrariamente allo
schema metrico — e forse anche in spaven (XXIX, v. 24) e in stai (XXI, v. 10) — casi
dubbi, perché si potrebbero spiegare anche altrimenti 640; — e la voce verbale golei, da
cfr. con l’antico italiano goliare, goleare, golare641.
Nella memoria Le poesie inedite di Sordello, apparsa negli Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, s. VI,
t. V, 1886-1887, p. 1452 e segg.
637 I Trovatori d’Italia, p. 165.
638 Ibid., p. 164.
639 Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 288; COULET, Le troubadour Guilhem Montanhagol, p. 174; BERTONI, I
Trovatori d’Italia, p. 164.
640 Le due forme potrebbero anche essere spiegate come errori dovuti ai copisti, essendo i due componimenti
conservati in un solo manoscritto, e mancando quindi il controllo di altri codici; e l’errore è facile ad
ammettersi per spaven, dato che precede e, e non difficile ad ammettersi nemmeno per stai, considerato che
proprio al verso seguente (nonché naturalmente altrove) ricorre la forma corretta estai. Si potrebbe però
pensare anche a casi di aferesi; e l’aferesi potrebbe essere particolarmente giustificata nel caso di stai, dato che,
precedendo o, si avrebbe un incontro di vocali assai duro in sinalefe (anche il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 141,
dopo aver messo innanzi la possibilità che si tratti di un italianismo aggiunge «a meno che non vi si voglia
sentire quasi un assorbimento dell’e- da parte dell’-o che precede»).
641 Di goliare nel senso di «desiderare» si hanno esempi nei nostri lirici del sec. XIII: cfr. Gallo da Pisa, canz. In
alta donna, v. 14, «ch’i’ ho ciò ch’e’ golia» (Rimatori siculo-toscani del Dugento, serie I, Pistoiesi, Lucchesi, Pisani a cura
636
CLXXVII
Questo è tutto ciò che si può indicare con sicurezza. Altre volte, più che di
scorrettezze e di italianismi, si tratta di costrutti rari, o evitati dalla comune lingua
trobadorica, ma documentati in territorio provenzale, o di forme sospette, che
potrebbero anche imputarsi ai copisti. È questo il caso della voce fau, 3a pers. plur.
dell’indicativo pres. di faire, in luogo di fan (I, 1, 11, 21 ecc.), esempio, del tutto
isolato, di quelle terze persone plurali in -au che ricorrono frequentemente, in alcuni
presenti indicativi (faire, anar, aver, estar) e nei futuri, in documenti e in poemetti di
argomento morale
di G. ZACCAGNINI e A. PARDUCCI, Bari, 1915, p. 135); e Bonagiunta da Lucca, canz. Fin amor mi conforta, v.
30, «Per innamoramento di donna che golia» (ibid., p. 55). C’è anche un esempio di infinito sostantivato, con
senso affine a «golena», nelle Favole d’Esopo volgarizzate per uno da Siena, ed. a cura di O. TARGIONI-TOZZETTI e
G. T. GARGANI, Firenze, 1864, p. 145: «e tanto li pare dolce il goliare, che non se ne sa fuori il becco
isfangare». Sulla voce, oltre al Tommaseo-Bellini, cfr. REW, 3910; Battisti-Alessio, D.E.I., p. 1841; Prati,
Vocabolario etimologico ital., p. 505 (gola). Goleare ricorre presso Guido dalle Colonne, canz. La mia vita è sì forte, v.
24, «ch’io l’ho sì fortemente goleato» (cfr. l’ed. del cod. Vat. 3793 a cura di F. EGIDI, S. SATTA e G. B. FESTA,
col titolo Il libro de varie romanze volgare, Roma, 1901-1906, p. 74; cfr. la precedente ed. D’ANCONACOMPARETTI, I, Bologna, I, 1878, p. 447); e presso Uggeri Apugliese, Umile sono ed orgoglioso, v. 13-14, «Umile
sono quando la veo | e orgolglioso che goleo | quella per chui mi deleo» (MONACI, Crestom., p. 209). Golare
nel senso di «allegrarsi» ricorre nella canz. Sì come ‘l pescio di Leonardo del Guallacca, v. 20, «sì che mai non par
gola» (Rimatori siculo-toscani, p. 139); e nel senso di «desiderare» in un passo della Tavola ritonda citato dal
TOMMASEO-BELLINI, «golava d’avere un figliuolo del suo corpo» (però nell’ed. POLIDORI, I, p. 48, condotta
forse su altro ms., si legge: «e avea in sé gulosia d’avere uno figliuolo...»), e nel l. X cap. 21 della cronaca di
Matteo Villani (ed. di TRIESTE, 1858, II, p. 337) «non curarono li comandamenti de’ loro signori, golando il
soldo di messer Bernabò». Sulla voce cfr., oltre il T OMMASEO-BELLINI, il D.E.I., p. 1839 (gola2). Va tolto
dagli esempi della voce il verso di Guittone d’Arezzo citato dal TOMMASEO-BELLINI, perché in quel passo
(canz. O cari frati miei, v. 47) si deve leggere, come ha mostrato l’EGIDI nella sua ed. critica (Bari, 1940, p. 85)
«ma non galea alcun tanto, né mira», ove «galeare» vale «ingannare» (cfr. il glossario). È da ricordare che un
altro esempio di golejar si trova al v. 2664 delle Poésies religieuses provençales et françaises du manuscrit extravag. 268 de
Wolfenbüttel, pubblicate da E. LEVY, Paris, 1897, p. 112 («Dal fel nos gart, que tant fort nos goleia»). Questo
esempio non ci porta però, neppur esso, nell’area provenzale vera e propria, perché queste poesie provenzali
sembrano, secondo l’opinione di LEVY (p. 9), e anche secondo l’attento esame del BERTONI, I Trovatori
d’Italia, p. 177 e segg., essere opera di un italiano del Nord. Cfr. LEVY, S. W., IV, 144 e K. STICHEL, Beiträge
zur Lexicographie des altprovenzalischen Verbums, Marburg, 1890 («Ausgaben u. Abhandlungen» dello Stengel,
LXXXVI), p. 60. Il BERTONI, ibid., p. 164, annovera fra i sicuri italianismi di Sordello anche la voce engrestara
(XXX, 4); ma l’illustre romanista cadde qui in una curiosa svista, perché la parola si trova nella cobbola
indirizzata da Aimeric de Peguilhan a Sordello, e va messa quindi — poiché non si può pensare che questo sia
uno scambio di cobbole «fictif» composto tutto da Sordello — sul conto di Aimeric e non su quello del
trovatore mantovano. Il DE LOLLIS (Vita e poesie), pur notando l’italianismo a p. 249, si era ben guardato dal
registrarlo tra gli italianismi sordelliani a p. 141.
CLXXVIII
e religioso, ma che erano evitate dai trovatori, benché spuntino qua e là in alcuni
canzonieri, e specialmente in C: può darsi appunto che la nostra forma sia dovuta al
copista di C, manoscritto che è il solo a conservarci la canzone in cui tale forma
ricorre642. Anche l’isolato gascuna della lirica XXXVI, v. 6, è probabilmente dovuto al
copista di H o del suo antigrafo, poiché in molti altri passi ricorre la normale forma
chascun o quascun, -a643; d’altra parte si tratta di forma non ignota al provenzale 644. E
al copista si può supporre che appartenga l’italianismo (dato che si debba
considerarlo tale) galta per gauta (XXVII, v. 6) 645. Quanto al cong. dignas della lirica
XXXIII, v. 5, non credo che si debba considerare, come ritiene il De Lollis 646, un
italianismo, ma piuttosto un indicativo usato per eccezione in rima invece del
congiuntivo, cosa che accade, seppur molto raramente, anche presso i trovatori
dell’età classica 647. E se è certo inconsueto nella lingua trobadorica l’isco usato come
prima persona singol. dell’indic. pres. di eissir nella canzone V, v. 36 — forma che è
necessario mantenere per la misura del verso — è stato osservato che tali forme in -o
non sono ignote a testi provenzali antichi 648; sicché anche qui è lecito concludere
Su queste terze pers. plurali in -au cfr. P. MEYER, Les troisièmes personnes du pluriel en provençal, in Romania, IX,
1879, p. 193; G. BERTONI, Sur quelques formes de la «Vie de Sainte Enimie», in Annales du Midi, XXV, 1913, p. 64
e segg., e I trovatori d’Italia, p. 165; CRESCINI, Manuale, p. 112. Cfr. gli esempi tratti da antiche carte provenzali
cit. da C. BRUNEL, Le plus anciennes chartes en langue provençale, Paris, 1926, p. XLI, XLII, XLVII e relativo
Supplément, Paris, 1952, p. XIV, XXIX, XXX. Esempi di fau sono registrati nei glossari di questi due preziosi
volumi, rispettivamente a p. 470 e a p. 242.
643 Cfr. ad es. III, 20; XXVI, 44; XLIII, 384, ecc.
644 La forma gascu si trova infatti in Flamenca (ed. di P. MEYER, Paris, 1865, p. XXXII) [non ho a mia
disposizione la nuova ed. del 1901].
645 DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 141 e 248 e seg.; B ERTONI, I trovatori d’Italia, p. 164; e cfr. la nota al testo.
646 DE LOLLIS, ibid., p. 141.
647 C. CHABANEAU, Notes sur divers textes, in Revue des langues romanes, XXXII, 1838, p. 203, 205, 207; BERTONI,
ibid., p. 164.
648 Cfr. la nota di C. C HABANEAU al v. 1314 delle Poésies religieuses provençales et françaises edite dal LEVY, p. 131,
che tratta delle prime pers. sing. dell’indic. in -iu (delle quali si ha un esempio anche nella canz. Escur prim
chantar di Lanfranco Cigala, v. 60: cfr. BERTONI, ibid., p. 318), e la nota dello stesso studioso al Livre des
privilèges de Manosque: cartulaire municipal latin-provençal (1169-1315) edito dall’ISNARD, Digne, 1894, che rileva
nelle carte di questo volume numerose prime pers. sing. in -o. Cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 292; CRESCINI,
Manuale, p. 108 e seg.
642
CLXXIX
che Sordello ha adottato, probabilmente per ragioni metriche, e forse anche (se si
vuole) per un ricordo dell’uso italiano 649, una forma rara, che pare non trovare
riscontro nell’uso trobadorico650. Altra particolarità interessante è la riduzione di -ca
a ja (inv. di -ga) che si trova nella canz. IX (v. 5 amija, v. 6 destrija, v. 13 abrija ecc.), e
che risale sicuramente a Sordello, perché è richiesta dalla rima, come mostrano i v.
13-15. È un tratto limosino651, accanto al quale si può mettere forse l’uso di lo·i
invece di lo·li (ossia la sostituzione dell’avverbio di luogo al pronome personale di 3ª
persona), che si riscontra nella lirica XVIII, v. 19 e nell’Ensenhamen d’onor (XLIII), v.
831652.
Una forma guascone sembrerebbe essere il deu (1a persona sing.
dell’indicativo pres.) della canzone III, v. 1 e 7, secondo il testo del De Lollis: ma si
tratta nel v. 1 di una forma ricostruita dal De Lollis — i codici infatti danno dou (IK)
o dei (Dc) — ed è legittimo il sospetto che la lezione vera sia quella di D c, e che il dou
di questo verso, certamente errato, e il deu del v. 7 siano dovuti a una svista del
copista dell’antigrafo di IK o di un codice ad esso anteriore; sì che io non ho
creduto opportuno accoglierlo nel testo 653. Comunque è lecito ammettere come cosa
probabile, accettando una ipotesi del Bertoni654, che Sordello, «dati i suoi viaggi per
la
Così sostiene il BERTONI, I trovatori d'Italia, p. 164.
Un altro presente indicativo di tale tipo si potrebbe ravvisare nella lirica XLII, v. 8, se si accetta l’opinione
del LEVY, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 257. Ma il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 203) e il MUSSAFIA (Zur Kritik
und Interpretaiion romanischer Texte, p. 18) intendono diversamente.
651 Il fenomeno è nel limosino moderno, e probabilmente si trovava già nel limosino antico: cfr. D E LOLLIS,
ibid., p. 284; C. CHABANEAU, Grammaire limousine, Paris, 1876, p. 62, n. 2; BERTONI, ibid., p. 165; CRESCINI,
Manuale, p. 26.
652 Cfr. CHABANEAU, ibid., p. 179; STIMMING, Bertran de Born, p. 245 (n. al v. 23 del n. VII); DIEZ, Grammatik
der romanischen Sprachen, Bonn, 1882, p. 802; A. VON ELSNER, Ueber Form und Verwendung des Personal -Pronomen
im Altprovenz., Kiel, 1886, p. 48, 51; W. BONHARDT, Das Personal-Pronomen im Altprovenz., Marburg, 1888, p. 42
e segg.; BERTONI, ibid., p. 165; CRESCINI, ibid., p. 83.
653 Cfr. BERTONI, ibid., p. 165.
654 Ibid.
649
650
CLXXX
Provenza, abbia accettato, in piccola misura, alcuni tratti di questo o di quel dialetto
provenzale», pur attenendosi generalmente, come si e detto, all’uso trobadorico
comune.
CLXXXI
III
LA «FORTUNA» DI SORDELLO FINO AL SECOLO XIX
1. SORDELLO NEI SEC. XIII E XIV. IL SORDELLO DANTESCO
Sordello godette di larga fama tra i suoi contemporanei, e venne considerato
uno dei più insigni trovatori dell’età sua. Abbiamo visto come fosse in relazione con
molti trovatori del tempo655, e come il suo compianto in morte di Blacatz venisse
imitato da due dei più noti trovatori d’oltralpe, Peire Bremon Ricas Novas e Bertran
d’Alamanon656, e il prologo dell’Ensenhamen d’onor suggerisse — se si accetta questa
ipotesi, che ha molte probabilità di coglier nel segno — a Gui Folqueys qualche
particolare del prologo del suo poemetto Los VII gautz de Nostra Dona 657. Si può
aggiungere che Blacasset parodiò scherzosamente e argutamente 658 la seconda cobla
della canzone sordelliana Bel m’es (n. IV di questa ed.), diffusasi insieme con la
tornada in forma di cobla esparsa; che Paulet de Marseilla 659 si compiacque anch’egli di
riprendere un’immagine di questa cobla, la quale dovette evidentemente avere una
grande diffusione; che un certo Bernart e Guigo de Cabanas imitarono nella
struttura stronca e nelle rime 660 la lirica XXXIV, come ritiene il De Lollis 661, oppure
— come si potrebbe anche pensare — la
Cfr. p. LXXI e segg., LXXXIV e seg., XCIV e seg.
Cfr. p. LXXI.
657 Cfr. p. CLXVII e seg.
658 Nella cobla con tornada Per cinc en podetz demandar (P.C. 96, 9; ed. KLEIN, p. 15): cfr. SCHULTZ-GORA, Die
Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 207; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 24. Cfr. anche la
nota introduttiva alla canz. IV, p. 21.
659 Nella canzone Si tot no·m fatz (P. C. 319, 8; ed. LEVY, p. 272).
660 Nel partimen Ar parra si sabetz triar (P. C. 52, 1, e 197, 1 a).
661 Vita e poesie, p. 86.
655
656
CLXXXII
canzone IV, che ha anch’essa tale schema metrico e tali rime. Né Sordello cessò di
essere assunto come modello dai trovatori provenzali dopo la sua morte: infatti
Folquet de Lunel e Bernart d’Auriac in due loro sirventesi 662 ripresero ancora una
volta lo schema metrico delle liriche sordelliane IV e XXXIV; mentre vari altri
trovatori, tra cui Guiraut Riquier, ricalcarono nello schema metrico e nelle rime la
canzone Aitant ses plus (n. II di questa ediz.)663.
Attesta la fama del trovatore mantovano anche il fatto che le sue liriche
furono accolte nella maggior parte dei canzonieri, e che i suoi più famosi
componimenti si ritrovano in un numero assai notevole di manoscritti. Ed è pure
testimonianza della popolarità di cui godettero alcune liriche di Sordello la
diffusione di varie strofe di esse come coblas esparsas664. Il De Lollis ritiene665 che
anche l’attribuzione al trovatore mantovano del motet francese Non sai que je die
comprovi che Sordello era assai noto come poeta morale.
Non mancarono a Sordello gli imitatori nemmeno in Italia: infatti Chiaro
Davanzati fece una lunga parafrasi della lirica Del cavaler (n. XXXVI di questa ed.) in
una sua canzone666. E in Italia certo la memoria di lui rimase particolarmente viva,
specialmente nella Marca Trevigiana, che era stata teatro delle sue più
Sono i sirventesi Al bo rei quier (P. C. 154, 1) e En Guillem Fabre (P.C. 57, 2).
I trovatori sono: Guiraut Riquier, nel partimen Ara s’esfors (P. C. 248, 14); Austor de Segret, nel sirv. No sai
qui·m so (P. C. 41, 1); Bertran Carbonel, nelle coblas Deus fetz Adam e Hostes, ab gaug (P. C. 82, 37 e 56); Guillem
Anelier, nei sirv. El nom de Deu (P. C. 204, 3); Olivier del Tempie, nel canto di crociata Estat aurai (P. C. 312,
1); Raimon Gaucelm de Beziers, nel canto di crociata Ab grans trebalhs (P. C. 401, 1); Raimon Menudet, nel
compianto Ab grans dolors (P. C. 405, 1); anonimo, nella cobla Amors es us amoros pensamens (P. C. 461, 18). Il DE
LOLLIS (Vita e poesie, p. 86) afferma che «otto trovatori della fine del sec. XIII, tra i quali il fecondo Guiraut
Riquier, si accordarono nell’ammirare una delle più solenni canzoni d’amore» di Sordello; ma in realtà
qualcuna di queste liriche potrebbe essere stata costruita non direttamente sul modello sordelliano, ma su una
delle altre liriche della serie. Per me è evidente ad es. che le liriche di Raimon Gaucelm de Beziers e di Raimon
Menudet son modellate l’una sull’altra: almeno una di esse quindi risale alla poesia di Sordello solo
indirettamente. Il primo a notare che queste liriche hanno per modello la canzone sordelliana fu l’A PPEL,
Provenzalische Inedita, p. 14, n.
664 Cfr. p. CXI e seg.; cfr. anche DE LOLLIS, ibid., p. 86.
665 Ibid., p. 87.
666 Si vedano le note alla lirica. Cfr. anche quanto si dice più oltre di una probabile imitazione dantesca nella
Vita nuova. Per i rapporti tra la lirica di Sordello e il «dolce stil novo» cfr. p. CXIX e segg.
662
663
CLXXXIII
clamorose e romanzesche vicende giovanili, e dove la sua memoria doveva vivere
più tenacemente che altrove perché andava unita al ricordo dei San Bonifacio e dei
Da Romano, e particolarmente di questi ultimi, intorno ai quali correvano tra il
popolo, come è noto, numerosi racconti, raccolti anche da narratori e da cronisti. È
assai significativo a questo proposito il fatto che Rolandino inserisca il suo ricordo
di Sordello nel passo della sua cronaca in cui ricorda le vicende di Cunizza da
Romano. In Italia, e principalmente sui ricordi della vita giovanile del trovatore,
furono composte verisimilmente anche le due vidas provenzali, che narrano molti
particolari intorno alla vita del trovatore in Italia e sono assai povere di notizie e
assai vaghe sulle vicende di lui oltre le Alpi667.
La fama di Sordello tuttavia non sarebbe stata superiore a quella di altri
trovatori di gran nome e non sarebbe stata così luminosa e diffusa, se Dante non
avesse trasfigurato e sublimato la figura del trovatore mantovano nella Divina
Commedia. Su questo episodio dantesco molto si è disputato, sia per stabilire la
posizione di Sordello nell’antipurgatorio, sia per indagare l’intima genesi
dell’episodio e il segreto processo attraverso il quale Dante giunse alla sua
trasfigurazione poetica della figura del trovatore di Goito, sia per cogliere e definire i
motivi lirici e il valore poetico di queste pagine dantesche: ma non mi è concesso
soffermarmi a lungo, in questa sede, su tali problemi 668. Mi limiterò ad osservare
che, a mio giudizio, sia la fierezza del Sordello dantesco, sia la rassegna dei principi
della valletta sono state suggerite a Dante, come molti han pensato, dal celeberrimo
planh in morte di Blacatz, ove il trovatore di Goito appare in veste di fiero e
magnanimo censore dei principi contemporanei: lirica ben nota a Dante, come
sembra, fin dalla sua giovinezza, se è vero che — come si è voluto sostenere669 —
nel primo
A meno che non si voglia credere, col PANVINI, composta in Italia solo la prima vida: cfr. p. LII.
Mi ero proposto inizialmente di dare assai maggiore ampiezza a questa rassegna della «fortuna» del
trovatore mantovano; ma ho dovuto restringermi a pochi e rapidi cenni, per non accrescere eccessivamente la
mole di questo volume.
669 L’idea che Dante si ricordasse qui del planh di Sordello era già nel P ERTICARI, Della difesa di Dante, cap.
XXI, nella Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca di V. Monti, Milano, 1829, vol. II, parte
II, p. 171; e venne ripresa dal D’ANCONA, nella sua 2ª ed. della Vita nuova, p. 27 e p. 32 e seg.; cfr. DE
LOLLIS, Vita e poesie, p. 92. Lo SCHERILLO, Alcuni capitoli della biografia di Dante, Torino, 1896, p. 227 e segg.
667
668
CLXXXIV
sonetto della Vita nuova (A ciascun’alma presa e gentil core) vi è una lontana
reminiscenza, nel motivo del cuore dato in pasto alla donna, del compianto
sordelliano. La riprova decisiva è data, a mio giudizio, anche se si deve riconoscere
che l’ispirazione della rassegna dantesca è in fondo diversa 670, dall’evidente
parallelismo che vi è tra la rassegna dei principi della valletta dell’antipurgatorio e la
serie dei sovrani e signori a cui Sordello rivolge i suoi rimproveri671. Ma non si può
del tutto escludere che a formare nella mente di Dante un’alta immagine di Sordello
potesse contribuire, in via subordinata, anche qualche passo dei sirventesi contro
Peire Bremon Ricas Novas e dei sirventesi morali672, che Dante probabilmente
conobbe, e forse anche qualche passo dell’Ensenhamen d’onor, di cui pare di scorgere
in un passo dell’Inferno un’eco sicura 673. E
pur richiamando soprattutto il planh per la morte di Blacatz e un passo della canz. IV (v. 9 e segg.) di Sordello,
si limita a notare, prudentemente, che «l’immaginazione dantesca ha senza dubbio rapporto da questo lato
con la poesia occitanica». E in verità Dante potrebbe aver attinto il motivo diffusissimo del «cuore mangiato»
non al planh di Sordello, ma ad altre fonti.
670 ZINGARELLI, La vita, i tempi e le opere di Dante, p. 1054.
671 In ambedue le rassegne è osservato rigorosamente l’ordine gerarchico, in quanto vi compare per primo un
imperatore, e ad esso tengono dietro i re, riserbandosi l’ultimo posto per i signori o il signore di minor conto;
e nell’una e nell’altra i personaggi elencati (non tenendo conto di quelli che Sordello ricorda nell’episodio
dantesco censurando i principi della valletta) sono otto. Può esser ricordato, benché abbia certo minor valore,
anche il fatto che il re Enrico III d’Inghilterra ricompare in ambedue le rassegne, e che altri principi sono figli
o parenti o eredi dei principi ricordati nel planh: cfr. MERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 21;
CRESCINI, rec. al vol. del MERKEL, in Giorn. stor. d. lett. it., XVII, p. 127; DE LOLLIS, ibid., p. 92; D’ANCONA, Il
canto VII del Purgatorio, p. 25. Per alcuni riscontri più minuti, riguardanti frasi ed espressioni, cfr. D’OVIDIO,
Studii sulla Divina Commedia, p. 13 e seg. Sostennero che la ispirazione del Sordello dantesco risale al planh,
oltre al TOMMASEO, al MONACI, al MERKEL, al CASINI e al POLETTO, citati dal DE LOLLIS, ibid., p. 92, n. 3, a
cui rimando, il DE LOLLIS, ibid., e il D’ANCONA, ibid.; e l’opinione è largamente accolta anche da recenti
commentatori danteschi: cfr. ad es. CASINI-BARBI, n. a VII, 46; PORENA, Purgat., p. 71; MOMIGLIANO, n. a
VI, 74; PROVENZAL, n. a VI, 61. Il D’OVIDIO, in un articolo pubblicato sul Corriere di Napoli, 18-19 aprile
1892, indica come punti di partenza dell’episodio dantesco soltanto il planh; ma nella postilla aggiunta
all’articolo ristampandolo in volume (cfr. ibid., I, p. 12 e segg.), ammette che Dante si ispirò anche ad altre
liriche.
672 Cfr. PARODI, Il Sordello di Dante, IV, p. 193 e segg.; CRESCINI, Sordello, p. 31 e seg.
673 Si cfr. i v. 901 e segg. con Inf., III, v. 34 e segg.: riscontro indicato dal TORRACA, Sul «Sordello» di C. De
Lollis, p. 42, e dal GUARNERIO, rec. al vol. del DE LOLLIs, p. 397, e giudicato «abbastanza concludente» anche
dal PARODI, ibid., p. 193. Il GUARNERIO addita anche in Par., VI, 131-132 una reminiscenza dei v. 855 e seg.
dell’Ensenhamen; ma a parer mio è un riscontro meno convincente.
CLXXXV
nemmeno è da ritenersi cosa improbabile che Dante abbia avuto notizie su Sordello
anche dalla tradizione orale, che forse poté raccogliere a Firenze, dove, come si è
visto674, visse Cunizza negli ultimi suoi anni 675, e nelle corti dell’Italia settentrionale,
da lui visitate durante l’esilio, e che erano state teatro delle avventure giovanili del
trovatore mantovano: e che egli sentisse parlare di Sordello e della sua eloquenza
sembra sicuramente attestato dal noto passo del De vulgari eloquentia676.
L’altissima celebrazione dantesca dette alla figura di Sordello un rilievo
eccezionale e assicurò alla fama del trovatore di Goito, associandola a quella della
Divina Commedia, una risonanza vastissima, e fu certo il punto di partenza della
posteriore leggenda sordelliana. La leggenda non nasce però tra i commentatori di
Dante, che danno su Sordello notizie assai vaghe. Il più antico dei commentatori,
Jacopo della Lana, si limita a notare che Sordello fu «di Mantova», e fu «uomo di
corte e dicitore in lingua provenzale» 677; il commento anonimo comunemente
designato col nome di Ottimo dice soltanto che Sordello fu mantovano e uomo di
corte678; mentre
Cfr. p. XCII.
E non è escluso che, come pensano alcuni, fra cui lo ZINGARELLI, La vita, i tempi, e le opere di Dante, I, p.
133, Dante giovinetto conoscesse personalmente Cunizza in casa Cavalcanti.
676 Cfr. UGOLINI, La poesia provenzale e l'Italia, p. XXXVIII; cfr. anche ZINGARELLI, ibid., II, p. 1052. Ritengono che il Sordello dantesco sia stato ispirato principalmente al planh per la morte di Blacatz, pur non
escludendo la possibilità di altre fonti di ispirazione, il GUARNERIO, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 398; il
PARODI, Il Sordello di Dante, p. 193 e seg.; il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 42 e seg., e A proposito di
«Sordello», p. 307; il CRESCINI, Sordello, p. 32 e segg., e A proposito di Sordello, p. 61 e seg.; il NOVATI, Il canto VI
del Purgatorio, p. 28 e seg., 34 e seg.; e, fra i commentatori, ROSSI, commento al Purgatorio, p. 75 e seg., 91 e
segg.; SCARTAZZINI-VANDELLI, nota a Purg., VII, 40-42; PIETROBONO, nota a Purg., VI, 58-59. Cfr. anche
ZINGARELLI, ibid., I, p. 155 e II, p. 1054, che però sembra dare al planh minore importanza. Sull’importanza
della tradizione orale cfr. soprattutto (oltre, beninteso, allo ZINGARELLI e all’UGOLINI) TORRACA, Sul
«Sordello» di C. De Lollis; NOVATI, ibid.; PARODI, ibid. Il CRESCINI, A proposito di Sordello, p. 59 e seg. afferma
che la leggenda di Sordello, esposta dall’Aliprandi, era già sorta prima di Dante, benché soprattutto Dante
abbia contribuito a darle alimento e sviluppo. Cfr. ciò che si dice più oltre della cronaca aliprandina.
677 Commedia di Dante degli Allagherii col comento di JACOPO DELLA LANA, per cura di LUCIANO SCARABELLI,
II, Bologna, 1866, p. 68.
678 L’ottimo commento alla Divina Commedia, testo inedito d’un contemporaneo di Dante citato dagli Accademici della Crusca
[a cura di A. TORRI], II, Pisa, 1828, p. 72 e 79.
674
675
CLXXXVI
Pietro Alighieri dice ancor meno, poiché ricorda soltanto che Sordello, a cui dà
l’epiteto di dominus, fu mantovano. Benvenuto da Imola, come abbiam visto 679, dice
qualcosa di più: dà a Sordello, ricordato come «civis mantuanus», il titolo di «miles»,
dice che secondo alcuni fu un uomo di corte (curialis), che visse al tempo di Ezzelino
da Romano, e aggiunge il curioso aneddoto sugli amori tra Sordello e Cunizza,
accennando anche di aver udito dire che Sordello scrisse un’opera (che confessa
però di non aver mai visto) intitolata Thesaurus thesaurorum680, da identificarsi con
ogni probabilità con l’Ensenhamen d’onor681. Francesco da Buti ricorda anch’egli, dopo
aver detto che Sordello fu mantovano e fu «omo savio», il Tesoro dei tesori come opera
composta dallo scrittore, affermando (forse per una confusione col planh, di cui non
doveva aver notizia, o doveva avere una conoscenza molto vaga) che in questo libro
Dante trovava nominati i signori da lui ricordati nella valletta: osservazione erronea,
ma interessante, perché mostra che Francesco da Buti intuisce, sia pure in modo
assai impreciso, il rapporto esistente tra l’episodio dantesco e le poesie di Sordello 682.
L’anonimo fiorentino ricorda che Sordello — detto, come al solito, «da Mantova»
— «fu buono dicitore in rima et huomo d’assai», e che «usò gran tempo» nella corte
di Ezzelino da Romano683; aggiungendo, come già abbiamo ricordato, l’aneddoto
circa gli amori tra Sordello e Cunizza, in una forma assai simile a quella in cui lo
riporta Benvenuto da Imola684.
Cfr. p. XXXV, n. 115.
«audio, quod fecit librum, qui intitulatur Thesaurus thesaurorum, quem nunquam vidi» (ed. LACAITA, III, p.
178).
681 Circa l’identificazione del Thesaurus thesaurorum coll’Ensenhamen d’onor cfr. PALAZZI, Le poesie inedite di
Sordello, p. 1457; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 87. Il nome Tesoro dei tesori fu forse suggerito dai primi versi del
poemetto, in cui ricorre il paragone tra il tesoro nascosto e il senno non comunicato ad altri, non senza
l’influsso della consuetudine assai diffusa nel medioevo di designare col titolo di Tesoro le opere didattiche di
qualche mole e che radunassero nelle loro pagine insegnamenti di varia natura.
682 Commento di Francesco da Buti sopra la Divina Commedia di Dante Alighieri, pubbl. per cura di C. GIANNINI,
Pisa, 1860, II, p. 130 e seg., e 161. Cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 92 e seg., e 100.
683 Commento alla Divina Commedia d’anonimo fiorentino del sec. XIV, a cura di P. FANFANI, II, Bologna, p. 105.
684 Cfr. p. XXXVI, n. 119.
679
680
CLXXXVII
2. LA LEGGENDA SORDELLIANA NELL’ALIPRANDI E NEL
PLATINA. SORDELLO NEI SEC. XV E XVI
In Benvenuto e nell’anonimo fiorentino non abbiamo che un aneddoto. La vera
e propria leggenda sordelliana compare per la prima volta nell’Aliprandina, ossia nella
cronaca rimata di Mantova di Bonamente Aliprandi, gentiluomo mantovano legato alla
corte dei Gonzaga, terminata intorno al 1415 685. L’Aliprandi racconta prolissamente le
vicende di Sordello in ben undici capitoli del secondo libro della sua opera686. Della
prima giovinezza di Sordello Bonamente poco sa dirci: si limita a notare che Sordello
apparteneva alla nobile e cospicua famiglia dei Visconti da Godio, che dimorava a
Mantova, e che nella giovinezza si dedicò con passione agli studi, tanto da comporre un
libro chiamato Thesaurus thesaurorum, che gli diede molta fama687. Ma in seguito il
racconto diventa più particolareggiato. Dopo il venticinquesimo anno di età Sordello
lascia gli studi e si dedica alle armi e agli esercizi cavallereschi, e dimostra in giostre e
tornei tale bravura, che diviene grandemente famoso non solo in Italia, ma anche in
Francia e in Germania; sì che i più rinomati cavalieri del tempo vogliono misurarsi con
lui. Il re di Francia manda a Mantova un suo cavaliere, Galvano, ad invitarlo alla sua
corte; e il prode mantovano accetta l’invito, promettendo di recarsi presto a Parigi, e
intanto gli manda come suoi prigionieri due prodi cavalieri (Lionello, pugliese, e
Corrado, tedesco), che erano andati a sfidarlo e, vinti, avevano dovuto arrenderglisi.
Intanto anche Ezzelino da Romano lo invita alla sua corte a Verona; donde poi
Sordello passa a Padova insieme con Ezzelino, per invito di Alberico da Romano. A
Padova Beatrice, sorella di Ezzelino e di Alberico, si innamora di Sordello, così
follemente che manda a chiamare, di notte, il cavaliere mantovano, confessandogli la
sua passione e chiedendogli di prenderla come sua sposa. Sordello però rifiuta,
dichiarando che non vuole fare oltraggio a Ezzelino e Alberico, che certo non
acconsentirebbero a quelle nozze; quindi, dichiarando di volersi recare in Francia, torna
a
Infatti l’ultimo capitolo dell’opera (l. II, cap. 85) narra gli avvenimenti dell’anno 1414: cfr. B. ALIPRANDI,
Aliprandina, sive Chronicon mantuarum, ed. dal MURATORI, Antiquitates italicae medii aevi, Milano, 1741, V, col.
1239 e segg.; cfr. col. 1063.
686 ALIPRANDI, Aliprandina, col. 1113-1155.
687 Quest’opera è citata di nuovo alla fine della narrazione delle vicende di Sordello (col. 1155), ove l’Aliprandi
dice che secondo alcuni il libro venne composto quando Sordello lasciò, dopo i quarant’anni, l’esercizio delle
armi.
685
CLXXXVIII
Mantova. Se non che Beatrice, spinta dal suo amore, si reca anch’essa a Mantova, travestita
da uomo, in compagnia della balia e del marito di lei, in casa di Pietro Avogadro, amico di
Ezzelino, e lo supplica di interporsi nella questione e di pregare i suoi fratelli di accordarle
per marito Sordello. Sordello però, dopo un colloquio coll’Avogadro, torna a Padova per
spiegare ad Ezzelino e ad Alberico il proprio atteggiamento, e a chiarire che egli non ha
alcuna colpa della fuga di Beatrice. Alla fine, per i consigli e le preghiere dell’Avogadro,
dato anche che Beatrice minaccia di togliersi la vita, Ezzelino ed Alberico acconsentono alle
nozze, che sono celebrate con grandi feste. Dopo alquanto tempo Sordello, secondo la
promessa, si reca in Francia; a Troyes vince in un torneo un altro cavaliere che ha voluto
misurarsi con lui, e, fattolo prigioniero, si reca a Parigi, ove ha grandi accoglienze. Viene
indetto in suo onore un torneo, a cui accorrono cavalieri da ogni parte, anche dalla
Borgogna e dall’Inghilterra. Sordello trionfa su tutti gli avversari e ottiene l’onore del
torneo; e successivamente vince altri tre cavalieri (due inglesi e un borgognone) che
avevano osato sfidarlo. Per il suo grande valore è fatto cavaliere dallo stesso re, il quale
vorrebbe trattenerlo alla sua corte, con grandi promesse; ma Sordello, desideroso di
ritornare in patria, rivalica le Alpi, ed è accolto con molti onori da Ezzelino e da Alberico; e
si stabilisce a Mantova, ove è considerato il cittadino più illustre. Delle vicende successive
di Sordello l’Aliprandi fa menzione molto alla lesta. In poche terzine Bonamente ci informa
del desiderio di Ezzelino di occupare Mantova, e del suo tentativo di indurre Sordello a
dargli la città, riuscito vano, perché il prode mantovano si oppone e difende la libertà della
patria, e della morte di Ezzelino; indi accenna sommariamente alla vita di Sordello negli
ultimi anni688 e alla sua morte, avvenuta a ottant’anni.
Tale è nel prolisso e scolorito racconto dell’Aliprandi la leggenda sordelliana, nella
quale, come si vede, l’attività letteraria di Sordello è quasi completamente dimenticata689. Ma
donde trasse Bonamente tale racconto? La narrazione aliprandina si rivela indubbiamente
legata alla celebrazione che Dante fa di Sordello, sia perché sembra
Interessante è ricordare che l’Aliprandi qui nota che Sordello fino a quarant’anni continuò a dedicarsi agli
esercizi cavallereschi, non rifiutando il combattimento a chiunque glielo chiedesse, e che sostenne in tal
modo, sempre con successo, ben ventitré duelli: particolare, quest’ultimo, che sarà largamente ripetuto da
coloro che in seguito racconteranno le vicende leggendarie del trovatore.
689 L’unico ricordo dell’attività letteraria di Sordello è l’accenno già ricordato agli studi giovanili e al Tesoro de’
tesori.
688
CLXXXIX
evidentemente ispirata al sesto canto del Purgatorio l’esaltazione dell’amor patrio di
Sordello e delle sue virtù civili, che lo fanno primeggiare tra i cittadini della sua
Mantova, sia perché sembra risalire ai versi di Dante qualche particolare della
narrazione690: e che l’Aliprandi nello scrivere le sue stentate e talora goffe terzine avesse
in mente la Divina Commedia è del resto evidente dal fatto che egli stesso si compiace di
ricordare che di Sordello Dante fa menzione nei «capitoli» sesto, settimo e ottavo del
Purgatorio691. Qualche particolare è attinto anche ai commenti danteschi: infatti il vago e
impreciso ricordo del Thesaurus thesaurorum, inserito, come si è visto, due volte nella
narrazione, e la seconda volta proprio subito dopo la citazione dei canti danteschi,
sembra derivato da Benvenuto da Imola o da Francesco da Buti. Da Benvenuto o
anche da una delle biografie provenzali, direttamente o indirettamente, può essere stato
attinto, come pensa il De Lollis692, anche il dato fondamentale del racconto, cioè
l’amore di una sorella di Ezzelino per Sordello; e dalla vida più ampia, direttamente o
indirettamente, può esser derivata la menzione di Goito come patria di Sordello 693, e la
lode di «buon cantatore e sonatore» che compare nelle terzine conclusive della
narrazione694. Il De Lollis ritiene che, su queste basi, il racconto sia stato messo insieme
dall’Aliprandi, che si sarebbe studiato di «impastare un fantoccio dalle sembianze
storiche, le cui linee armonizzassero con quelle del personaggio dantesco» 695. Si può
peraltro fare anche l’ipotesi che l’Aliprandi abbia attinto, almeno per gran parte del suo
racconto, a una tradizione orale locale, o a qualche fonte scritta: e di quest’ultima
opinione è appunto il Novati, il quale ritiene che probabilmente l’Aliprandi, che nelle
altre parti della sua cronaca — com’egli afferma — «non ha fatto altro che trascrivere,
parafrasandoli, i libri che aveva alle mani», attingesse a una fonte letteraria, in cui il
racconto della vita di Sordello doveva svolgersi press’a poco
Ad es. l’epiteto di «buono» che viene dato a Sordello (col. 1155 «E gran lamento ciascun si facia | Del
buon Sordello...»; cfr. Purg., VII, v. 52), e il paragone tra il prode cavaliere mantovano e il leone, più volte
ripetuto (col. 1143 «Sordel tra gli altri uno leone pare», «E Sordello perseguendo li andava | Come lione
quando è furioso»; cfr. anche col. 1144 e 1145; e cfr. Purg., VI, v. 66).
691 Col. 1155.
692 DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 102.
693 Nei commentatori di Dante, come si è visto, come patria di Sordello è sempre ricordata Mantova, né si fa
alcun ricordo di Goito.
694 ALIPRANDI, Aliprandina, col. 1155.
695 DE LOLLIS, ibid., p. 102.
690
CXC
nello stesso modo696. È difficile giungere su questo punto a una conclusione sicura,
per mancanza di dati. Certo è però che la cronaca rimata dell’Aliprandi è il punto di
partenza della diffusione della leggenda di Sordello, che dalle sue scialbe terzine
passò negli altri storici mantovani e ottenne larghissima diffusione.
All’Aliprandi attinge largamente il Platina nella sua Historia urbis Mantuae 697, in
cui per molte pagine racconta minutamente le vicende di Sordello seguendo passo
passo l’Aliprandina, solo limitandosi a rielaborare e a rifare il racconto in forma
elegante, rivestendolo della sua solenne prosa latina, in cui si sente l’eco della prosa
di Tito Livio. Qua e là però il dotto umanista introduce varie innovazioni, delle quali
alcune sono di scarso rilievo, come il fissare al 1181 l’anno di nascita di Sordello 698,
o il designare col nome di Rogerius il re di Puglia che l’Aliprandi aveva lasciato
anonimo, o il collocare all’anno 1251 l’inizio dell’assedio di Mantova tentato da
Ezzelino699, ma altre hanno una notevole ampiezza e una singolare importanza.
Mentre infatti l’Aliprandi discorre dell’assedio di Mantova tentato da Ezzelino e
delle altre guerre combattute nella Marca e in Lombardia contro i Da Romano prima
di narrare la vita di Sordello e senza fare per nulla ricordo del trovatore, e accenna
poi nel racconto della vita di Sordello al tentativo di Ezzelino su Mantova
sbrigandosela con poche parole, il Platina (evidentemente rielaborando e ampliando
i dati che gli forniva l’Aliprandina, come si potrebbe provare con minuti riscontri)
racconta una sola volta, assai ampiamente, dopo aver narrato il ritorno di Sordello
dalla Francia e il suo stabilirsi a Mantova con Beatrice, le vicende dell’assedio di
Mantova da parte di Ezzelino e della guerra successiva tra Ezzelino e la lega
costituitasi contro di lui, conclusasi
NOVATI, II canto VI del Purgatorio, p. 53 e seg.; e cfr. p. 34 e seg. Il Novati formula anche l’ipotesi che della
vita di Sordello parlasse quel quidam liber in lingua franzizina che l’ALIPRANDI aveva nella sua piccola biblioteca.
697 Cfr. PLATINA, Historia Urbis Mantuae..., ed. dal MURATORI, Rerum Italicorum Scriptores, XX, col. 679 e segg.,
che ho tenuto presente. Precedentemente era stata edita da PIETRO LAMBECIO, con annotazioni riportate
anche dal Muratori (Vienna, 1675).
698 Forse desumendolo, come pensa il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 103, dall’ALIPRANDI, che cominciò a parlare
di Sordello dopo un avvenimento collocato nell’anno 1206, e pone al venticinquesimo anno di vita del
trovatore l’inizio delle sue eroiche prove di bravura cavalleresca.
699 L’ALIPRANDI cita questo assedio riferendolo all’anno 1256 nel capitolo relativo alle vicende dei Da
Romano (Aliprandina, col. 1111), e lo ricorda una seconda volta senza indicazione dell’anno verso la fine del
racconto della vita di Sordello (col. 1155).
696
CXCI
con la battaglia di Cassano d’Adda e la morte del «tiranno», e fa intervenire in tutti
questi avvenimenti, in primo piano, Sordello, attribuendogli il merito del saggio
rafforzamento delle mura di Mantova al diffondersi della notizia dei preparativi di
guerra e di conquista fatti da Ezzelino 700, narrando come rifiutasse solennemente —
leggendo la lettera inviatagli pubblicamente, davanti ai magistrati e al popolo — l’invito
rivoltogli da Ezzelino a tradire i Mantovani in cambio della signoria sulla città, e come
divenisse uno dei capi dell’esercito mantovano e lo guidasse con animosa energia contro
le truppe di Ezzelino701, facendogli pronunciare più oltre, davanti al popolo ormai
stanco dei disagi del lungo assedio e incline in parte alla resa, una solenne e vigorosa
orazione, con la quale infiamma i cittadini alla resistenza, divenendo in tal modo il
salvatore della città, poiché poco dopo Ezzelino è costretto a togliere l’assedio per la
defezione di Padova702, e facendolo infine combattere con grande valore nelle prime file
insieme a Buoso da Dovara nella battaglia di Cassano d’Adda, cosa che lo fa
considerare uno dei principali artefici della vittoria, tanto che Martino della Torre dopo
la battaglia lo loda grandemente703. Come si vede, la figura di Sordello risalta nelle
pagine del Platina ancora di più che nel racconto dell’Aliprandi, poiché appare ancor più
eroica e magnanima: infatti Sordello non è più soltanto un cavaliere di eccezionale
prodezza e di grande saggezza, quale appare nell’Aliprandi (ove la lotta in difesa della
patria è ricordata solo di sfuggita), ma un eroico difensore e salvatore della patria.
Anche qui, naturalmente, l’attività letteraria del trovatore è relegata nell’ombra 704.
Il racconto del Platina dette maggiore autorità e diffusione alla leggenda
sordelliana, e le vicende esposte dal dotto umanista trovarono accoglienza fra gli storici
posteriori705 come fatti accertati
PLATINA, Historia Urbis Mantuae, ed. MURATORI, col. 692. Tralascio, per brevità, di citare il passo.
Ibid., col. 699.
702 Ibid., col. 701.
703 Ibid., col. 705 e seg.
704 Anche il PLATINA, come l’ALIPRANDI, si accontenta di ricordare, in principio della sua narrazione (ibid.,
col. 680), che Sordello attese nella giovinezza agli studi, acquistando grande dottrina, e che compose il
Thesaurus thesaurorum. Più avanti però (col. 692) il Platina torna ad accennare a studi letterari tralasciati da
Sordello per dedicarsi alla difesa di Mantova dalle minacce di Ezzelino. Anche il PLATINA, evidentemente
attingendo all’ALIPRANDI, afferma che Sordello «canere fidibus optime norat» (cfr. n. 689).
705 Non però tra i commentatori di Dante: infatti il LANDINO ignora il racconto dell’ALIPRANDI e del
PLATINA, e dice soltanto che Sordello fu mantovano «et huomo molto studioso et inuestigatore di qualunque
per alchuno tempo fussi stato di doctrina o d’ingegno o di consiglio excellente»; e aggiunge che scrisse un
volume «el quale intitulò Thesor de’ thesori di simil cose» (La Comedia di Dante col comento di Christophoro Landino,
Firenze, 1481, n. a Purg., VI, v. 74).
700
701
CXCII
e ormai di dominio comune. Dal Platina attinse 706 Raffaele da Volterra, che nei suoi
Commentarii urbani707 ricorda la grande prodezza di Sordello nelle armi, il suo
matrimonio con la sorella di Ezzelino (di cui si tace il nome), grandemente
innamorata di lui708, e il magnanimo rifiuto che egli fece delle proposte di Ezzelino,
il quale lo aveva invitato a tradire la patria. Nel riassumere il racconto del Platina il
Volaterrano introduce però una data che mancava nel suo modello, poiché scrive
che Sordello primeggiava in Mantova nel 1220; e nell’accennare a tale autorità e
prestigio di Sordello usa una espressione equivoca 709, che poteva far pensare che il
prode mantovano fosse veramente il signore della città710: il che fece appunto sì che
da molti scrittori successivi Sordello venisse presentato come il vero e proprio
signore di Mantova. Infatti Mario Equicola, nella sua Cronica di Mantua, afferma che
il Volaterrano scrive «ne li MCCXX Sordello esser il primo et prencipe in
Mantova»711. Accanto al Volaterrano l’Equicola cita anche l’Aliprandi, e riassume le
gesta da lui attribuite a Sordello, aggiungendovi, senza indicar la fonte della notizia,
che Sordello ampliò i confini di Mantova acquistando Casalmaggiore. Però nel
Sordello dell’Equicola torna ad aver rilievo l’attività letteraria e poetica: infatti, dopo
aver ricordato i versi con cui Dante descrive l’incontro tra Virgilio e Sordello nel
Purgatorio, l’Equicola afferma, sulla scorta dei commentatori di Dante, e in
particolare di Benvenuto da Imola, che Sordello scrisse anche «un libro intitulato
Thesoro de’ thesori» e fu «bel dicitore in lengua provenzale»; e cita per esteso, dandone
a fronte la traduzione italiana, la tenzone tra Sordello e Peire Guilhem de Tolosa 712.
Incominciava
Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 103, che dimostra la dipendenza del Volaterrano dal PLATINA con alcuni
persuasivi riscontri.
707 Comentariorum urbanorum... octo et triginta libri, Parigi, 1511, c. XXXI v.
708 Il Volaterrano ricorda a questo proposito anche il viaggio a Mantova della donna innamorata («cum clam
incognita Mantuam usque veniret...»).
709 «Sordellus Mantuae princeps habebatur».
710 L’espressione, come nota il DE LOLLIS, ibid., p. 103, è un infelice rifacimento di una frase del PLATINA
(«tantum opibus et patentia valuit, ut longe princeps inter optimates haberetur»: Historia Urbis Mantuae, col.
681).
711 Chronica di Mantua, Mantova, 1521, c. 38 v.
712 Anche nel Libro de natura de Amore (Venezia, 1561, p. 336) l’EQUICOLA ricorda Sordello come uno dei poeti
italiani che rimarono in provenzale. Sugli studi provenzali dell’Equicola cfr. S. D EBENEDETTI, Gli studi
provenzali in Italia nel Cinquecento, Torino, 1911, principalm. alle p. 26 e seg., 107, 192 e seg., 219 e segg. (per
altri rimandi cfr. l’indice dei nomi) e Tre secoli di studi provenzali, p. 148 e segg.
706
CXCIII
a riapparire, dietro le deformazioni leggendarie, il vero volto di Sordello; che del
resto si andava svelando in quel tempo anche ad altri appassionati cultori di studi
provenzali, come il Bembo713, Giammaria Barbieri714, Angelo Colocci, Lodovico
Beccadelli, Piero del Nero, Lodovico Castelvetro 715, che studiarono direttamente i
canzonieri trobadorici.
Ma i più, mantovani e non mantovani, si accontentavano — esclusi sempre,
al solito, i commentatori di Dante716 —, di ripetere, talora con variazioni più o meno
notevoli, la leggenda ormai tradizionale. La ripeteva Giovanni Battista Fulgosio, che
in un capitolo
Sugli studi provenzali del BEMBO basti rimandare a DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel
Cinquecento, principalm. alle p. 24 e seg., 89 e seg., 161 e segg., 211 e segg. (per altri rimandi cfr. l’indice dei
nomi) e Tre secoli di studi provenzali, p. 148 e segg. Nelle Prose della volgar lingua il BEMBO cita Sordello tra i poeti
italiani che poetarono in lingua provenzale (ed. di C. DIONISOTTI-CASALONE, Torino, 1931, p. 13).
714 Nella sua opera incompiuta pubblicata nel 1790 a Modena dal TIRABOSCHI col titolo Dell’origine della poesia
rimata il BARBIERI ricorda varie volte Sordello, riportando anche vari passi delle sue liriche (p. 118 e seg., 120,
147, 148). Il Barbieri però accoglie anche notizie attinte alla cronaca dell’ALIPRANDI, che cita espressamente,
come l’affermazione che il poeta fu «de’ Vesconti di Goito», e l’accenno alla vittoria riportata alla corte di
Francia contro due inglesi e un borgognone. Sugli studi provenzali del Barbieri cfr. A. MUSSAFIA, Ueber die
provenzalischen Liederhandschriften des Giovanni Maria Barbieri, in Sitzungsber. d. k. Akad. d. Wiss. di Vienna,
LXXVI, 1874, p. 201 e segg.; DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, principalm. alle p. 30 e
seg., 91 e seg., 229 e segg. (per altri rimandi cfr. l’indice dei nomi) e Tre secoli di studi provenzali, p. 151 e segg.;
V. DE BARTHOLOMAEIS, Le carte di Giovanni Maria Barbieri nell’Archiginnasio di Bologna, Bologna, 1927.
715 Su questi e altri provenzalisti cinquecenteschi basti rimandare alle pagine ad essi consacrate dal
DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento (cfr. l’indice dei nomi), e Tre secoli di studi provenzali, p.
146 e segg.
716 In essi infatti non vi è traccia della leggenda narrata dall’ALIPRANDI e dal PLATINA. Alessandro
VELLUTELLO si limita ad accennare al Tesoro de’ tesori, e ricordare che Dante fa menzione di Sordello nel De
vulgari eloquentia, dicendo che fu «buon compositore di rime volgari e di tanta eloquentia che non solamente
ne’ poemi ma in ogni modo che parlasse abbandonò il lombardo volgar de la sua patria» (La Comedia di Dante
Alighieri con la nova expositione di ALESSANDRO VELLUTELLO, Venezia, 1544, n. a Purg., VI, 59). E il DANIELLO
ricorda soltanto che Sordello fu «letterato e buon compositore in rima», come Dante afferma nel De vulgari
eloquentia (Dante con l’espositione di M. BERNARDINO DANIELLO da Lucca, Venezia, 1568, p. 272).
713
CXCIV
della sua raccolta di detti e fatti memorabili esalta, ispirandosi all’Aliprandi, il valore
guerriero di Sordello, vincitore in ventitré duelli, e in un altro ricorda Sordello come
illustre esempio di continenza, per aver resistito all’amore, alle preghiere e anche alle
minacce di Beatrice sorella di Ezzelino 717, E ad essa si ispirava certo Teofilo Folengo
nel presentarci nel Baldus Sordello come un ricco e potente barone, «princeps Goiti»,
famoso per la sua bravura cavalleresca e per le sue vittorie nei tornei 718 e
nell’assegnargli, con estrosa invenzione, la parte di protettore e di educatore di
Baldo719. Leandro Alberti720, richiamandosi a Raffaele Volaterrano e all’Equicola, fa
di Sordello «de i Visconti da Goito» un principe di Mantova, facendo durare la sua
signoria dal 1220 al 1274721, e ricorda l’eroica difesa di Mantova contro gli assalti di
Ezzelino; e alla narrazione dell’Aliprandi attinge il Gionta le notizie riguardanti
Sordello da lui inserite nel Fioretto delle croniche di Mantova722. Né si libera dai dati della
leggenda Ludovico Domenichi, che, ispirandosi all’Aliprandi o al Platina, ricorda i
ventitré duelli vinti da Sordello, e accenna in modo particolare al combattimento da
lui sostenuto in Parigi contro due cavalieri inglesi e un cavaliere borgognone,
giudicando il prode mantovano superiore ai più celebri eroi romani 723.
La leggenda tradizionale non si trova invece nelle Vies des plus celebres et anciens
poëtes provensaux di Jean de Nostredame724, il quale non manca di qualche buona
informazione intorno al trova-
Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 104, n. 1.
L. II, v. 65 e segg. (cfr. T. FOLENGO, Maccheronee, ed. curata da A. LUZIO, Bari, 1911, I, p. 67).
719 L. III, v. 440 e segg.; l. IV, v. 153 e segg. e 513 e segg. (ibid., p. 93 e seg., 103 e 113 e seg.). Sordello è
ricordato nel Baldus anche nel l. V, v. 60 e segg., 118 (ibid., p. 116 e 118).
720 Descrittione di tutta Italia, Bologna, 1550, c. 361 v.
721 A questo anno è fissata la morte di Sordello; ed è probabile, come osserva il D E LOLLIS, ibid., p. 104, che
tale notizia sia desunta per induzione dal racconto dell’EQUICOLA.
722 Verona, 1577.
723 L. DOMENICHI, Historia varia, Venezia, 1563, p. 242; cfr. DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel
Cinquecento, p. 206.
724 Uscite a Lione nel 1575; nello stesso anno ne uscì, sempre a Lione, una traduzione italiana dovuta a
Giovanni GIUDICI. La vita di Sordello è a p. 153 e segg. (dell’ed. francese). Cfr. la nuova ed. curata da C.
CHABANEAU e J. ANGLADE, Paris, 1913, p. 93 e segg. Sul NOSTREDAME, oltre all’introduzione dell’ANGLADE
all’ed. citata, cfr. anche: DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, p. 197 e segg., e Tre secoli di
studi provenzali, p. 157 e segg. Sulla traduzione del GIUDICI cfr. inoltre: A. ARUCH, Le biografie provenzali di Jehan
de Nostredame e la loro prima traduzione italiana, in Studi medievali, IV, 1912-13, p. 193 e segg.
717
718
CXCV
tore (da lui lodato come superiore a tutti gli altri «poeti genovesi e toscani» che
scrissero in provenzale), perché ricorda il soggiorno di lui alla corte di Provenza
presso Raimondo Berengario 725, afferma che compose canzoni e sirventesi, e tra
questi ultimi ricorda particolarmente il planh in morte di Blacatz, di cui riferisce
ampiamente il contenuto; ma registra anche non poche notizie erronee, in quanto fa
accogliere Sordello a corte dal conte di Provenza (detto, si noti, agli ultimi giorni
della sua vita) quando aveva appena quindici anni, assegna il planh in morte di
Blacatz al tempo dei Vespri siciliani 726, e attribuisce al trovatore un trattato in prosa
provenzale intitolato Lou progres e avansament dels Reys d’Arragon en la comtat de Provensa
e una versione provenzale di una Summa juris727.
3. SORDELLO DAL SEC. XVII AL SEC. XIX
Nel sec. XVII la leggenda sordelliana trova ancora larga diffusione. Il
Donesmondi infatti, ispirandosi probabilmente all’Alberti, fa Sordello —
appartenente, secondo lui, alla famiglia Visconti — signore di Mantova dal 1220 al
1274728; e Alessandro Zilioli lo dice «rettore e capitano generale» di Mantova,
ripetendo fedelmente le favole tradizionali 729. Qualche riserva avanza, è vero, a
proposito della leggenda Antonio Possevino junior, il quale, dopo aver riassunto il
racconto dell’Aliprandi relativo all’amore di Beatrice da Romano per Sordello fino
alla conclusione delle nozze (sostituendo
Può darsi (ma è cosa tutt’altro che sicura) che tale notizia sia stata attinta alla vida più ampia, che
probabilmente era compresa in uno dei canzonieri utilizzati dal NOSTREDAME, e cioè nel «chansonnier de
Sault», strettamente apparentato, come è noto (cfr. ANGLADE, nell’introduzione all’ed. cit. delle Vies, p. 63 e
segg., 122 e e segg.; JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 8), col canzoniere di Bernart Amoros,
antigrafo di a. Sulla questione cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 108; ANGLADE, ibid., p. 330.
726 E non si può pensare che si tratti di un errore cronologico riguardante i Vespri, perché i Vespri sono
esplicitamente assegnati al 1281. L’errore è nato da una falsa interpretazione dei v. 37-40 del planh.
727 Sulla vita di Sordello del NOSTREDAME rimando al DE LOLLIS, ibid., p. 108, n. 1, che dà altri rimandi
bibliografici.
728 Dell’istoria ecclesiastica di Mantova, Mantova, 1613, parte I, p. 272 e seg., 395; cfr. anche la Cronologia d’alcune
cose più notabili di Mantova, 1616, p. 6, unità alla 2ª parte Dell’istoria ecclesiastica.
729 Nell’Opera de’ poeti, inedita, citata dal CRESCIMBENI, Istoria della volgar poesia, Venezia, 1730, II, p. 106, n. III.
725
CXCVI
però a Pietro Avogadro un Luigi Castelbarco), nota che «del fatto non vi è alcun
certo documento»730; ma tale modesto merito del Possevino è molto diminuito dal
fatto che egli accetta senza dubbio alcuno altre favole aliprandine 731, e vi aggiunge,
stranamente, nuove notizie non meno infondate di quelle fornite dalla leggenda da
tempo divulgata 732. E Scipione Maffei nei suoi Annali di Mantova733 riprende le
notizie dell’Aliprandi, del Platina e del Possevino, cercando di conciliarle tra loro, e
facendo di conseguenza nascere Sordello nel 1194, ponendo l’inizio delle sue gesta
gloriose nel 1223 e facendolo morire nel 1274, in modo da far durare la sua vita
esattamente ottant’anni, come aveva affermato l’Aliprandi.
Accanto ai ripetitori o ai poco felici rimanipolatori della leggenda, il Seicento
ha però anche letterati che, come il Tassoni 734, l’Ubaldini735, il Redi736, continuando
la tradizione dei provenzalisti del Cinquecento, studiano direttamente i testi
provenzali e conoscono più da vicino il trovatore, di cui citano le liriche, tenendosi
lontano dalle favole.
E intanto avanza seri dubbi sulla leggenda, fuori d’Italia, Pietro Lambecio,
nelle note alla sua edizione della Historia urbis Mantuae del Platina737, il quale riferisce
bensì, accanto alle notizie
Gonzaga, Mantova, 1628, p. 161 e segg.
Cfr. ad es. ibid., p. 145.
732 Infatti il POSSEVINO sostiene che Sordello già prima del 1200 godeva di grande autorità in Mantova, tanto
da essere scelto dai suoi concittadini per importanti missioni: infatti già nel 1199 egli si sarebbe recato a
Padova insieme con Corrado Gonzaga per sopire alcuni contrasti sorti tra Mantova e i padovani (ibid., p. 144).
Durante la minorità di Federico II poi Sordello sarebbe stato in contrasto con i Gonzaga, poiché avrebbe
parteggiato per Ottone di Brunswick, mentre questi ultimi sarebbero stati fautori di Filippo di Svevia! (ibid., p.
148). Per altri particolari cfr. S. F ERRARI, Sordello, in Atti e Memorie della r. Accademia Virgiliana di Mantova,
Mantova, 1887, p. 313 e segg.; DE LOLLIS, ibid., p. 105 e seg.
733 Tortona, 1675, p. 569 e segg.
734 Considerazioni sopra le rime del Petrarca, Milano, 1609, p. 36, 93, 132 e altrove. Sul TASSONI provenzalista basti
rimandare a DEBENEDETTI, Tre secoli di studi provenzali, p. 162 e segg.
735 Nella Tavola che accompagna la sua edizione dei Documenti d’Amore di FRANCESCO DA BARBERINO, Roma,
1640, s. aude, forfatto, i, ritrare. Sugli studi provenzali delI’UBALDINI cfr. DEBENEDETTI, Tre secoli di studi
provenzali, p. 164 e segg.
736 Bacco in Toscana con le annotazioni, Napoli, 1687, p. 121, nota al v. «Sonetti e Cantici». Sugli studi provenzali
del REDI cfr. DEBENEDETTI, Tre secoli di studi provenzali, p. 167 e segg.
737 Pubblicata a Vienna nel 1675. Le note del LAMBECIO alla Historia del PLATINA sono state riprodotte anche
dal MURATORI nella sua edizione dell’Historia, già ricordata, compresa nel R. I. S.
730
731
CXCVII
date dai commentatori di Dante (Benvenuto, il Landino e il Vellutello), quelle
riferite dal Volaterrano, dall’Equicola, dall’Alberti e dal Possevino, ma fa notare che i
commentatori di Dante non conoscono Sordello che come letterato, e che la
cronaca del monaco di Santa Giustina di Padova narrando le vicende di Mantova
non solo ignora del tutto la signoria di Sordello sulla città, ma di Sordello non cita
mai neppure il nome.
Nel sec. XVIII gli studi sordelliani incominciano a fare qualche notevole
progresso. Il Crescimbeni, se cita, nella sua Istoria della volgar poesia, le notizie date
dalla leggenda, ricavandole dallo Zilioli, non nasconde di aver qualche dubbio su di
esse (benché avverta che esse sono confermate anche dall’Agnelli e dal Platina), e
riferisce anche ciò che narra, intorno a Sordello, la vida provenzale più breve
(conosciuta nel ms. K); inoltre mostra di conoscere per consultazione diretta un
certo numero di liriche del trovatore738. Anche il Fontanini739 utilizza una vida
provenzale (che è questa volta la più ampia, conosciuta nel ms. A), benché poi non
abbia scrupolo di mescolare ai dati da essa fornitigli le notizie che gli davano il
Platina e il Nostredame740. Analoghe considerazioni si debbono fare a proposito del
Quadrio, che attinge largamente per i suoi cenni biografici 741 alla vida più breve
(conosciuta nel ms. K), pur sforzandosi di conciliarne i dati con la leggenda
tradizionale742. E alla leggenda dà un grave colpo il Muratori nella prefazione alla sua
edi-
Istoria della volgar poesia, I, p. 336; II, p. 106 e segg.; III, p. 44. Le liriche sordelliane che il CRESCIMBENI
mostra di conoscere sono quelle contenute nei codici H, K, O e g, allora tutti conservati nella Biblioteca
Vaticana, e quelle contenute nel ms. P, anche allora conservato a Firenze nella Libreria di S. Lorenzo. Ai
manoscritti provenzali vaticani rimanda anche il BASTERO, citando Sordello nell’Elenco dei poeti provenzali dell’età
d’oro incluso nella Crusca provenzale (Roma, 1724, p. 94) come autore di «canzoni, tenzoni, cobbole e vari
sirventesi» (tra i quali ricorda particolarmente il planh in morte di Blacatz). Sugli studi provenzali del BASTERO
cfr. DEBENEDETTI, Tre secoli di studi provenzali, p. 170 e segg.
739 Della eloquenza italiana, Venezia, 1735, p. 40 e 60.
740 Le Vies del NOSTREDAME ebbero una notevole diffusione nel Settecento, nella traduzione fattane dal
CRESCIMBENI. Nella seconda edizione uscita a Roma nel 1722, la vita di Sordello è a p. 114 e segg. La prima
edizione uscì a Roma nel 1710.
741 Della storia e della ragione d’ogni poesia, Milano, 1741, II, p. 130.
742 Narra infatti che Sordello, ritornato dalla Provenza, assunse, col titolo di rettore e di capitano generale, il
governo di Mantova, e ripete che Sordello nacque nel 1184 e morì «vecchissimo e pieno di gloria» circa nel
1280.
738
CXCVIII
zione dell’Aliprandina, nella quale chiama lepida figmenta le narrazioni del cronista
mantovano (detto Romanensium fabularum aemulator) intorno a Virgilio e a Sordello 743.
Un colpo ancora più grave riceveva la leggenda nella seconda metà del
secolo, ad opera del Tiraboschi, che nella sua Storia della letteratura italiana744 mette
ampiamente in rilievo gli anacronismi e le contraddizioni della narrazione
dell’Aliprandi, del Platina, del Volaterrano e dei loro ripetitori, e mostra
l’inconsistenza e l’inverisimiglianza della leggenda, respingendola recisamente.
Anche il Verci745 giudica favolosi i raccolti dell’Aliprandi, del Platina, e di coloro che
si compiacquero di seguire le loro orme; e il Bettinelli 746, benché mantovano, si
attiene in tutto alle conclusioni del Tiraboschi, che cita espressamente come colui
«che ha messa in luce la verità dopo le tenebre sparse da tanti» 747.
Anche negli storici mantovani della seconda metà del secolo si avvertono, in
generale, tendenze innovatrici, e una sfiducia sempre più accentuata della leggenda,
che porta a ricercare più sicure fonti di informazione: infatti, se i partecipanti al
concorso bandito nel 1773 dall’Accademia Virgiliana di Mantova per un «elogio» di
Sordello ripresero senz’altro, come era prevedibile, la narrazione leggendaria
tradizionale, arricchendola di innovazioni e di aggiunte personali del tutto
fantastiche748, il Visi749 dubita di quasi tutte le notizie tramandate intorno a Sordello
dalla tradizione mantovana, e G. B. d’Arco750, se ancora si compiace di
rappresentare Sordello come il valoroso difensore di Mantova contro Ezzelino, e se,
attingendo al Nostredame751, attribuisce al trovatore un trattato politico
Antiquitates itaticae medii evi, V, col. 1064.
Modena, 1788 (2ª ediz.), IV, p. 373 e segg.
745 Storia degli Ecelini, I, p. 118 e segg.; cfr. F ERRARI, Sordello, p. 304, n. 1.
746 Il risorgimento d’Italia negli studi, nelle arti e ne’ costumi dopo il Mille, parte 2ª, Venezia, 1781, p. 80 e seg.; Delle
lettere ed arti mantovane, in Opere, 2ª ed., XI, Venezia, 1800, Discorso I, p. 23 e 90, nota B.
747 Delle lettere ed arti mantovane, p. 90 nota B.
748 Su questo punto rimando per brevità alle osservazioni di FERRARI, ibid., p. 300 e seg., 303, e del DE
LOLLIS, Vita e poesie, p. 107.
749 Nella sua Storia civile ed ecclesiastica di Mantova, inedita nell’archivio Gonzaga, t. III; cfr. FERRARI, ibid., p. 303
e seg.; DE LOLLIS, ibid., p. 107.
750 Sordello, Cremona, 1783. Il VERCI, Storia degli Ecelini, I, p. 119, conobbe e citò questo saggio quando era
ancora manoscritto. Cfr. FERRARI, ibid., p. 303 e seg.; DE LOLLIS, ibid., p. 107.
751 Cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 108.
743
744
CXCIX
e la traduzione in lingua provenzale di una Summa juris latina, nonché la traduzione
provenzale delle opere di Cesare e di Curzio, intravvede l’inverisimiglianza delle
avventure romanzesche attribuite a Sordello dalla leggenda; mentre Girolamo
Codè752 intraprende nuove ricerche intorno al trovatore, prendendo ad esaminare le
biografie e le liriche conservate nei codici vaticani.
Intanto in Francia usciva l’Histoire littéraire des troubadours del Millot —
condotta, come è noto, sulle note e sulle trascrizioni del Lacurne de Sainte-Palaye —
nella quale753 lo studioso francese, lasciando da parte la leggenda, — che egli, non
potendo conciliarla con i dati delle vidas, riferiva a un personaggio diverso dal
trovatore754 — ricostruiva la vita di Sordello sulla testimonianza delle biografie
provenzali, e discorreva assai ampiamente e con buona informazione (nonostante
qualche inesattezza) delle liriche del poeta, inserendo nella trattazione numerose
traduzioni.
Oramai Sordello, lasciato il travestimento leggendario, che pure aveva servito
a irradiarlo, attraverso i secoli, di una luce gloriosa, andava a poco a poco rivelando
il suo vero volto. Un altro decisivo progresso nella conoscenza dell’opera e della
personalità del trovatore si compiva negli anni 1818-1820, col Raynouard, il quale
pubblicò nei tomi III-V del Choix des poésies originales des troubadours nove liriche del
poeta e la vida più breve755. Circa nello stesso tempo il Perticari, nel suo scritto Della
difesa di Dante756 trattò di Sordello trascurando del tutto la leggenda, e riportando per
la biografia la vida più ampia, attinta ad A, con la traduzione a fronte, aggiungendovi,
come saggio della sua poesia e come testimonianza
Cfr. DE LOLLIS, ibid.
Nel vol. II, Paris, 1774, p. 79 e segg.; cfr. anche il vol. I, Paris, 1744, p. 452 e segg., ove si discorre del planh
in morte di Blacatz, dandone anche la traduzione.
754 Ibid., II, p. 80 e seg.: «Mais ne pouvant les appliquer à notre poëte, nous présumons qu’ils regardent un
guerrier de même nom, et peut-être de famille differente». Tale idea sarà ripresa dall’É MÉRIC-DAVID, Histoire
littéraire de la France, XIX, p. 451, il quale si rassegna addirittura «all’esistenza sincrona di tre diversi Sordelli»
(cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 112).
755 Cfr. t. III, Paris, 1818, p. 441 e segg.; t. IV, Paris, 1819, p. 33 e segg., 67 e seg., 329 e seg.; t. V, Paris, 1820,
p. 267, 444 e seg. Anche il ROCHEGUDE, Le Parnasse occitanien, Toulouse, 1819, p. 145 e segg., pubblicò la vida
più breve e il planh in morte di Blacatz.
756 Compreso nel 2º tomo (parte 2ª) della Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca del
MONTI, p. 169. (La prima edizione è del 1820).
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CC
«del suo grande e ardito cuore», il planh in morte di Blacatz; tratto da A e da H
(anch’esso accompagnato dalla traduzione). E poco dopo il Foscolo, nel suo saggio
dedicato al trovatore757, illustrò ampiamente la figura di Sordello riportando
anch’egli nel testo originale e traducendo il planh in morte di Blacatz — senza
dimenticare peraltro di ricordare i versi d’amore, per i quali rimanda al Tiraboschi e
al Raynouard —, e rimettendosi per le notizie biografiche alla vida provenzale più
ampia, che riportò tradotta (attingendo probabilmente al Perticari); e, se ricordò,
fondandosi principalmente sul Platina, la leggenda sordelliana, dichiarò apertamente
che essa non è che un tessuto di romanzesche invenzioni.
A sette anni dal saggio foscoliano usciva a Zwickau il noto volume di
Federico Diez, Leben und Werke der Troubadours, in cui era dedicato a Sordello uno dei
trentacinque ampi saggi consacrati ai trovatori di maggior rilievo 758: un saggio
condotto con metodo rigoroso, in cui la figura del trovatore era magistralmente
illuminata, e che può dirsi anche oggi notevole, anche se, naturalmente, le indagini
degli studiosi più recenti hanno permesso di correggere, di ampliare, di approfondire
il ritratto vigoroso tracciato dallo studioso tedesco. Col saggio del Diez comincia, si
può dire, una nuova fase degli studi sordelliani. Ma da questo punto non mette più
conto seguire minutamente la storia degli studi intorno a Sordello, come si è fatto
fin qui, indagando punto per punto i progressi che dal Diez in poi si sono fatti nella
conoscenza della vita e dell’opera del trovatore, e annotando le sopravvivenze tenaci
della leggenda in alcuni studiosi attardati su posizioni sorpassate759: saremmo infatti
costretti molte volte a ripeterci, poiché i più notevoli degli studi più recenti sono
ricordati in questa introduzione e nelle note che accompagnano i testi. D’altra parte
tutti gli studi che sono stati pubblicati intorno a Sordello dal Diez ad oggi (compresi
parecchi scritti di scarso valore, ma utili a documentare la straordinaria fioritura di
studi che si è avuta intorno a Sordello nel sec. XIX
Sordello, apparso in inglese nel New Monthly Magazine del 1822: cfr. la traduzione italiana di C. UGONI nei
Saggi di critica storico-letteraria, I, Firenze, 1859, p. 287 e segg.
758 P. 465 e segg. (nella seconda ed., Leipzig, 1882, p. 375 e segg.).
759 Cfr. ad es. la memoria letta all’Accademia Virgiliana di Mantova nel 1877 da C ARLO CAPPELLINI (Atti e
Memorie della R. Accademia Virgiliana di Mantova, biennio 1877-78, p. 79 e segg.) il quale, pur rifiutando
moltissimi dati della leggenda, torna a presentare Sordello come reggitore di Mantova e difensore della patria
contro Ezzelino (cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 110).
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CCI
e nel nostro secolo, soprattutto per l’interesse destato dal Sordello dantesco) sono
stati registrati nella bibliografia posta in fondo al volume, ove potranno agevolmente
essere rintracciati.
Mette conto però di ricordare che nell’Ottocento, diffusosi col movimento
romantico il gusto delle rievocazioni storiche medievali, alcuni scrittori fecero di
Sordello il protagonista delle loro opere letterarie. Due di esse uscirono in Italia: la
più antica è un mediocrissimo romanzo storico di Angelo Collini 760, che riprende
largamente la leggenda mantovana, intessendone, con molte invenzioni nuove
mescolate a dati tratti dalle biografie provenzali, ormai divulgate, una narrazione tra
sentimentale e patriottica, condotta in modo tutt’altro che felice 761; l’altra è una
tragedia giovanile di Pietro Cossa762, costruita ancora sugli schemi del teatro
romantico, e anch’essa di valore assai modesto 763. Più interessante e più notevole è
invece il poema giovanile (risale al 1840) di Robert Browning, il quale, pur
attribuendo a Sordello vicende in gran parte del tutto fantastiche, ha saputo dar vivo
rilievo alla figura del trovatore, trasfigurandola in modo personalissimo. Nonostante
l’oscurità dello stile (quest’opera è, per concorde giudizio di tutti i critici, il più
oscuro dei poemi del grande lirico inglese), vi sono nel Sordello del Browning pagine
assai belle e suggestive764.
Tanto la tragedia del Cossa quanto il poema del Browning sono ispirati a
Dante765: il che mostra ancora una volta quanto strettaSordello, Mantova, 1847.
Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 109.
762 Sordello, tragedia, Milano, 1872; ristampata a Milano, 1876.
763 Su quest’opera, oltre all’accenno di F ERRARI, Sordello, p. 328, cfr. A. ROYER, Histoire universelle du theâtre, VI,
Paris, 1878, p. 255 e seg.; C. TREVISANI, Gli autori drammatici contemporanei. I. Pietro Cossa, Roma, 1885, p. 10 e
segg.; YORICK (P. COCCOLUTO FERRIGNI), La morte di una musa, Firenze, 1885, p. 171 e segg.; J. DE BLASI,
Pietro Cossa e la tragedia italiana, Firenze, 1911, p. 14 e seg.
764 Sul Sordello del BROWNING (oltre, naturalmente, alle opere generali intorno al poeta, per le quali mi limito
a rimandare alle copiose bibliografie date da M. PRAZ, Storia della letteratura inglese, Firenze, 1937, p. 341 e da A.
ZANCO, Storia della letteratura inglese, II, Torino, 1947, p. 694 e segg.) si cfr.: A. J. Whyte, introduzione all’ed. del
Sordello di BROWNING, London, 1913; F. OLIVERO, Sul «Sordello» di Robert Browning, in Giornale dantesco, XXII,
1914, p. 49 e segg.; E. SHANKS, Sordello, in Dizionario letterario Bompiani, VI, 1948, p. 872; a cui si deve
aggiungere lo studio di H. BOUCHER, La jeunesse de Browning et le poème de Sordello, Genève, 1930, che mi duole
di non aver potuto consultare.
765 Per la derivazione del poema del BROWNING da Dante cfr. WHYTE, ibid., p. 1 e seg.; OLIVERO, ibid., p. 50.
Che il COSSA traesse l’ispirazione del suo Sordello dalla lettura della Divina Commedia è affermato dall’autore
stesso nella nota lettera a Siegfried Samosch: cfr. A. F RANCHETTI, Pietro Cossa, in Nuova Antologia, n. s., vol.
XXX (LX della raccolta), 1 dicembre 1881, p. 374.
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mente la fama di Sordello sia legata ai canti del Purgatorio dedicati al trovatore
mantovano, che hanno reso più alta la fama di Sordello unendola alla fama e alla
gloria di Dante766.
Avverto che in questo capitolo dedicato alla «fortuna» di Sordello e agli studi sul trovatore ho dovuto
procedere assai rapidamente, per non occupare un eccessivo numero di pagine. Qualche altro particolare si
potrà trovare nel saggio già citato di F ERRARI, Sordello, p. 300 e segg., e nel volume del DE LOLLIS, Vita e
poesie, p. 90 e segg. Su qualche punto mi riprometto di ritornare con più agio in altra sede.
766
AVVERTENZE
Nel testo delle poesie le parentesi quadre indicano, come è d’uso, le lettere e
le parole che mancano nei mss. e che sono state aggiunte per correggere evidenti
errori dei copisti o per colmare lacune.
Come ho notato nell’Introduzione, sono state escluse dall’apparato le varianti
puramente grafiche, come le oscillazioni tra le grafie nh, gn, ign, ngn, tra lh, ll e ill, tra y
e i (lieys, lieis), tra qu, q e c (quan; qan, can; que, qe), tra s e z (chans, chanz; bausia, bauzia),
tra c e s (aucis, ausis), tra x e s (doncx, doncs), tra j e g (jen, gen), tra z e tz finali (esfortz,
esforz). Qualche eccezione è stata fatta in casi particolari.
Tutte le varianti non meramente grafiche, anche minime, sono state registrate
(cfr. l’Introduzione, p. CLXIV).
Per necessità tipografiche ho dovuto nell’apparato, in genere, sciogliere le
abbreviazioni. Ho però preferito indicare l’esistenza dell’abbreviazione in alcuni casi
in cui la soluzione di essa poteva dare adito a diverse interpretazioni (come, ad es.,
nel caso del trattino sovrapposto a una vocale per indicare la consonante nasale
seguente). Si è fatta un’eccezione anche per la nota tironiana usata ad indicare l’et,
che è stata indicata con la cifra 7.
Le traduzioni mirano unicamente a chiarire il testo provenzale, che ho
cercato di rendere più letteralmente che fosse possibile, rinunciando deliberatamente
ad ogni ricerca di eleganza. Ho contrassegnato con parentesi quadre le parole che,
qua e là, ho creduto opportuno aggiungere. Nei pochi casi in cui ho creduto
indispensabile allontanarmi da una versione letterale, ho posto la versione letterale in
nota.