L`assistenza al paziente affetto da demenza in ospedale
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L`assistenza al paziente affetto da demenza in ospedale
AGGIORNAMENTI L’assistenza al paziente affetto da demenza in ospedale: tre priorità per il nursing Ermellina Zanetti Gruppo di Ricerca Geriatrica Brescia, Società Italiana di Gerontologia e Geriatria La trasformazione dell’organizzazione degli ospedali avvenuta in questi ultimi anni in Italia ha avuto notevoli ricadute anche sull’organizzazione dell’assistenza infermieristica. La riduzione dei posti letto, che nell’ultimo quinquennio sono diminuiti del 18%, la contrazione della degenza media, la riorganizzazione in dipartimenti coinvolgono le equipe infermieristiche in cambiamenti importanti che si riflettono sulla qualità dell’assistenza (Padovan at al, 2006). In particolare, l’organizzazione dipartimentale attuata per favorire l’integrazione funzionale, l’interdisciplinarietà, la condivisione e l’ottimizzazione delle risorse richiede agli infermieri di dover e saper assistere gruppi non omogenei di pazienti in situazioni in cui il loro numero è giudicato insufficiente dalle organizzazioni e dagli interessati. L’invecchiamento della popolazione spedalizzata, la complessità e la gravità clinica dei pazienti oggi accolti negli ospedali sono fattori che contribuiscono a rendere sempre più necessaria e complessa l’assistenza. Si stima che afferisce ad un DEA ospedaliero la stessa proporzione di anziani che vive nello stesso territorio. Tra questi, la percentuale di coloro che vengono ricoverati aumenta progressivamente con l’età; gli anziani costituiscono il 60% dei ricoverati nei reparti di medicina e il 25% di quelli nei reparti chirurgici. Il 6% di tutti i ricoverati è affetto da demenza grave (Rozzini, 2005) La trasformazione degli ospedali, dovrà affrontare in modo prioritario la gestione del paziente anziano fragile e affetto da demenza ponendosi tra i quesiti primari quello dell’appropriatezza del ricovero ospedaliero. Le indicazioni e le opinioni degli operatori sino ad oggi fornite stanno nel range che va dal ricovero ad ogni costo (l’ospedale è il luogo della diagnosi e della cura per eccellenza a tutte le età), all’esatto opposto (per l’anziano il ricorso all’ospedale è spesso inutile, ovvero un dannoso accanimento). La scelta razionale non è ovviamente facile e richiede di commisurare il modello ideale (guidato da scelte di politica sanitaria) con la disponibilità reale (legata alla possibilità concreta di attuazione dei modelli). L’anziano affetto da demenza con patologia acuta è facilmente appropriato per quanto riguarda la maggior parte degli accessi e dei ricoveri ospedalieri. Un organismo vulnerabile, quale quello dell’anziano affetto da patologia cronica, a seguito di una patologia acuta, anche di modesta entità (ad esempio una virosi, un’infezione delle vie urinarie), va con elevata probabilità incontro ad un disequilibrio biomedico che, secondo i criteri comunemente adottati, ne rende appropriato l’accesso in ospedale. La frequenza respiratoria > 30/min, la temperatura corporea> 38°C per 5 giorni, lo squilibrio idroelettrolitico, acido-base e metabolico, i problemi neurologici acuti e/o rapidamente progressivi, le turbe respiratorie o circolatorie acute invalidanti, la perdita acuta della capacità di muovere una parte del corpo, che fanno parte dei criteri di ammissione appropriata, rendono indispensabile una stretta osservazione medica e infermieristica, e l’attivazione di procedure (ad es. il monitoraggio dei parametri vitali, il controllo dell’efficacia e/o degli effetti collaterali delle terapie, nonché la somministrazione e.v. da ripetersi), che rappresentano ulteriori criteri di ammissione appropriata (Shekelle, 1998). La ricerca dell’appropriatezza è il punto di partenza per la formazione continua, perché impone all’operatore un adeguamento della prassi al bisogno che si modifica e spesso corre di più della capacità di dare risposte (Brook,1986; Strumwasser, 1990; WassertheilSmoller, 1998), valorizza il lavoro di equipe (il fondamento per interventi non parcellari e quindi a maggiore probabilità di appropriatezza), l’approccio valutativo e la continuità terapeutica, cioè l’adozione di interventi assistenziali che rispondano ai bisogni di cura tenendo in considerazione la prognosi, la destinazione alla dimissione, le abilità di autocura del paziente e della sua famiglia. La formazione all’appropriatezza si fonda anche sulla capacità di rileggere le attività svolte, al fine di comprendere da un lato eventuali cambiamenti non controllati della prassi e dall’altra come i cambiamenti della prassi siano stati o meno seguiti da una modificazione dei risultati.. Può costituire interessante premessa allo sviluppo dei modelli organizzativi ad hoc la formazione degli infermieri e degli operatori di supporto rispetto a tre aspetti dell’assistenza al paziente affetto da demenza che, per la loro rilevanza e per l’impatto sulla prognosi e la qualità di vita del paziente e della sua famiglia, rappresentano tre priorità per il nursing: la valutazione del dolore, del fabbisogno nutrizionale e delle modificazioni del comportamento. La valutazione del dolore Il dolore è un fenomeno complesso, soggettivo e percettivo che presenta varie dimensioni (intensità, qualità, andamento nel tempo, impatto, significato personale), che sono vissute da ogni paziente in maniera diversa. Il dolore è stato definito dall'Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) come "un'esperienza spiacevole, sensoriale ed emotiva, associata ad un danno dell'organismo attuale o potenziale" (IASP,1979). Con l’età diversi fenomeni agiscono sui meccanismi del dolore (Ferrel,1996) ed in particolare il decadimento cognitivo rappresenta una grande sfida (Frisoni et al, 1999). In particolare la demenza di Alzheimer seguita dalla demenza Vascolare e dalla demenza Frontotemporale rappresentano le forme più studiate per la valutazione del dolore nel paziente con demenza. Nella Demenza di Alzheimer le aree somatico sensitive corticali sono preservate e questo spiega la capacità di percepire gli stimoli acuti dolorosi; mentre il coinvolgimento dell’amigdala, dei nuclei intralaminare dell’ippocampo e delle regioni setto-ippocampali potrebbe essere un meccanismo che sta alla base dell’incapacità di integrare il dolore nell’esperienza soggettiva, rendendo il dolore cronico meno percepibile perché ricco di una forte componente emotiva. Nella demenza vascolare le caratteristiche sembrano differenti, in relazione anche alle diverse lesioni; infatti diversi studi hanno dimostrato come vi sia un aumento della soglia dolorosa. Infine nella demenza frontotemporale si è evidenziata una netta riduzione della capacità di percezione del dolore (Scherder,2000; Scherder et al, 2003; Scherder et al,2005). La semeiotica classica definisce il dolore come un sintomo (non un segno), il più soggettivo tra i sintomi, il più influenzato -e quindi "sporcato", ingigantito o ridotto- da infinite variabili psichiche, personologiche, culturali, sociali, ambientali. La valutazione del dolore, quindi, si basa su due attori principali: il paziente che riferisce e il medico o l'infermiere che ascolta ed interviene. Tutto procede per il meglio quando colui che prova dolore è in grado di comunicarlo e colui che deve curare ha competenza sufficiente per raccogliere la richiesta di aiuto. Cosa succede quando uno dei due soggetti si indebolisce? In particolare, quando il paziente (il portatore del sintomo) non è in grado di ricordare un'esperienza, o di riferirla, o di concettualizzarla? Come si valuta la presenza e l'entità di un dolore nel paziente affetto da demenza? Nel paziente che non ha memoria il più soggettivo dei sintomi torna ad essere un segno, inducendo medici, infermieri e operatori ad individuare e cogliere i segni, che rappresentano l’unico elemento di percezione del dolore nel paziente anziano affetto da demenza. Tutti i pazienti affetti da demenza ammessi in una divisione ospedaliera per un problema medico acuto o riacutizzato o per un intervento chirurgico d’urgenza o d’elezione dovrebbero essere valutati in relazione alla presenza e all’intensità del dolore. La valutazione dovrebbe riguardare i seguenti tre ambiti (Cook et al 1999): 1. possibili cause di dolore in relazione all’evento acuto e alla situazione attuale 2. modalità abituali con le quali il paziente esprime dolore (informazioni ottenibili dai caregiver) 3. interventi utilizzati dai caregiver per gestire il dolore L’osservazione del paziente dovrebbe focalizzarsi sulle seguenti sei aree (Herr et al, 2006): 1. espressioni facciali 2. verbalizzazione 3. movimenti corporei 4. modificazioni delle relazioni interpersonali 5. modificazioni nelle abituali attività 6. modificazioni dello stato mentale. In letteratura sono state proposte scale di valutazione finalizzate alla valutazione della presenza e intensità del dolore nei soggetti affetti da decadimento cognitivo che dovrebbero essere comprese tra gli strumenti a disposizione per la valutazione dei pazienti (Scherder, 1997; Fisher Morris, 1997; Frisoni, 1999; Feldt, 2000). Nei pazienti con decadimento cognitivo più grave, per i quali gli strumenti di valutazione proposti sono di dubbia applicabilità (Pautex et al, 2006), la valutazione della presenza e delle possibili cause di dolore è affidata all’osservazione degli operatori: spesso un’agitazione improvvisa o un comportamento insolito possono rappresentare la modalità con cui il paziente cerca di comunicare la propria sofferenza. Rimane estremamente difficile in questi pazienti misurare l’intensità del dolore. Come già accennato, il dolore provoca frequentemente "confusione" associata a apatia o a disturbi comportamentali di tipo positivo, come agitazione, deliri, allucinazioni, insonnia (il termine per definire il tutto è "delirium"). In queste condizioni, è difficile avere la collaborazione del paziente e ottenere risposte utili, anche usufruendo delle scale proposte in letteratura che sfruttano le capacità percettive dei pazienti . La valutazione della presenza e intensità del dolore e del suo impatto sul singolo paziente rappresenta la premessa indispensabile al trattamento ed è fortemente raccomadata. La valutazione del fabbisogno nutrizionale In un setting per acuti il bisogno di alimentazione è spesso poco considerato: la routine ospedaliera che propone il cibo indipendentemente dalle abitudini e dai ritmi dei ricoverati, la necessità di esami che richiedono il digiuno, l’erronea convinzione che in pochi giorni di ricovero non si possano arrecare danni allo stato nutrizionale di un soggetto, sono tutti aspetti che contribuiscono a sottostimare il fabbisogno di nutrienti. In realtà molte situazioni che richiedono il ricovero in un setting per acuti si associano alla necessità di modificare la qualità e la quantità dei nutrienti nel breve o nel lungo periodo (Archibald, 2006) Le difficoltà a manifestare i propri bisogni e l’impairment cognitivo e funzionale associati alla demenza espongono il paziente ad un maggior rischio di non soddisfazione del proprio fabbisogno nutrizionale. Sono molte infatti le possibili cause che determinano in un soggeto affetto da demenza la difficoltà ad alimentarsi: aprassia, inversione del ritmo sonno veglia, presenza di rileventi disturbi del comportamento, disfagia. E’ dunque necessario, accanto alla valutazione clinica dei marker nutrizionali (valori di albumina e transferrina), la valutazione del fabbisogno di nutrienti, la valutazione infermieristica delle abitudini e delle abilità finalizzate all’assunzione di cibo. Interessante lo strumento proposto dal NHS Quality Improvement (Tabella 1), che propone una griglia di osservazione finalizzata a valutare gli aspetti che si associano ad una corretta alimentazione. Le informazioni ottenute mediante la compilazione della griglia di osservazione sono successivamente riassunte in una scheda utilizzata per indicare al personale di supporto l’intervento assistenziale necessario a garantire una corretta assunzione del cibo per ogni singolo paziente (Figura 1). La valutazione del fabbisogno nutrizionale e delle difficoltà ad alimentarsi rappresenta la premessa per la formazione finalizzata dei familiari ad una corretta preparazione e somminisrazione del cibo che riveste una particolare importanza nei soggetti che manifestano disfagia, complicanza frequente nelle fasi avanzate della malattia e che può esporre il paziente a ripetuti episodi di ab ingestis che spesso esitano in polmonite. La valutazione delle modificazioni del comportamento La prima preoccupazione degli infermieri che accolgono in un reparto per acuti un paziente affetto da demenza che manifesta distirbi del comportamento quali affacendamento, wandering , agitazione, aggressività è l’impatto che ciò avrà sull’organizzazione del reparto e sul tempo necessario all’assistenza (Cunningham, 2006) La preoccupazione è legittima, ma quando la stessa si traduce unicamente in un intervento contenitivo (fisico e/o farmacologico) l’assistenza si tramuta in mera custodia (Zanetti, 1998). Non è raro,inoltre, che di fronte all’ammissione di un anziano con diagnosi di demenza, lo si consideri indipendentemente dalla presenza o assenza di disturbi del comportamento, come una potenziale minaccia all’organizzazione. I disturbi del comportamento sono frequenti nei soggetti affetti da demenza e sono spesso esacerbati dall’esposizione ad eventi stressanti come già si è accennato, con profonde differenze tra soggetto e soggetto. L’esposizione allo stessa fonte di stress non necessariamente si traduce in aumento o comparsa del comportamento aberrante in soggetti diversi, anche con la medesima storia di malattia. E’ importante pertanto che la valutazione del paziente includa anche la storia dei disturbi del comportamento e le possibili, se note, situazioni scatenanti. I familiari, anche in questo caso sono una fonte preziosa di informazioni. La comparsa di un nuovo comportamento aberrante o l’aggravamento (per intensità o frequenza) dei soliti disturbi del comportamento potranno cosi essere interpretati come la spia di un problema sottostante. Annedottici casi clinici, discussi nella nostra equipe, riferiscono di gravi manifestazioni comportamentali in soggetti descritti dai familiari come tranquilli, che ad una più attenta valutazione sono stati ricondotti a sottostanti rilevanti problemi clinici, quali fratture, globo vescicale, fecalomi. In letteratura è stata proposta un’interessante procedura di analisi del comportamento definita ABC (Stokes, 2000) dall’acronimo di Antecedent (antecedenti) Behaviour (comportamento) e Consequences (conseguenze) che può essere utilizzata sia per conoscere la storia dei disturbi del comportamento, sia per valutare la comparsa di un nuovo disturbo e la sua evoluzione nel tempo (Tabella 2). La procedura non sostituisce l’utilizzo di strumenti finalizzati a valutare gravità e frequenza dei disturbi del comportamento (quali ad esempio la Cohen-Mansfield Agitation Inventory o il Neuropsychiatric Inventory), ma può essere utile al fine di descrivere la storia dei disturbi del comportamento e le loro caratteristiche e comprendere se la patologia acuta in atto, il conseguente ricovero hanno modificato il quadro dei disturbi del comportamento o ne hanno indotto la comparsa e se possono essere spia di problemi sottostanti e non riconosciuti. Conclusioni L’assistenza infermieristica, integrata con il piano di cure di tutto lo staff, è indispensabile per la qualità delle cure fornite ad un anziano affetto da demenza ricoverato in un setting per acuti. Sebbene ancora pochi siano gli studi di efficacia sugli interventi squisitamente assistenziali ai dementi, gli infermieri hanno oggi a disposizione una serie di evidenze relative alle loro competenze da coniugare e modulare con i bisogni peculiari del singolo paziente e della sua famiglia. Al proposito una nota autrice in ambito infermeristico, Vicki S.Conn, in un articolo pubblicato sulla rivista Journal of Gerontological Nursing afferma che le decisioni che riguardano l’assistenza agli anziani cronici devono fondarsi sul rispetto di tre elementi ugualmente importanti: le evidenze oggi disponibili, la valutazione clinica del singolo paziente e le sue scelte e/o quelle della sua famiglia (Conn., 2002). L’espressione prendersi cura, in inglese “to care”, ben riassume quanto suggerito dalla Conn e indica un modo più globale e centrato sull’individuo di curare la sofferenza. Nei confronti dei pazienti cronici agire “prendendosi cura” è un elemento importante: la malattia non è una parentesi nella vita di una persona e della sua famiglia, ma diviene la condizione con cui vivere ogni giorno. Le scelte cliniche e assistenziali (o le “non scelte) di medici e infermieri hanno conseguenze sulla vita dei pazienti che si affidano alle loro cure e sulle loro famiglie: di questo è bene essere consapevoli per affrontare l’impegnativo compito dell’assistenza con responsabilità e preparazione, rifuggendo da stereotipi e facili standardizzazioni. Bibliografia Archibald C Meeting the nutritional needs of patients with dementia in hospital.Nursing Standard. 2006; 20 (45): 41-45. Brook RH, Chassin MR, Fink A, et al. A method for the detailed assessment of the appropriateness of medical technologies. Int J Technol Assess Health Care 1986;2:53-63. Conn VS. et al. Evidence – Based Practice for gerontological Nursing Journal of Gerontological Nursing, 2002, 28(2), 45-52. Cook AK, Niven CA, Downs MG. Assessing the pain of people with cognitive impairment. Int J Geriatr Psychiatry. 1999 Jun;14(6):421-5. Review Cunningham C Understanding challenging behaviour in patients with dementia. Nursing Standard. 2006;20, 47, 42-45. Feldt Karen S; Improving Assessment and Treatment of Pain in Cognitively Impaired Nursing Home Residents Annals of Long-Term Care:Clinical Care and Aging 2000;8[9]:36-42 Ferrell BA. Pain in elderly. Seattle: IASP 1996. Fisher-Morris M, Gellatly A. The experience and expression of pain in Alzheimer patients. Age Ageing 1997;26:497-500. Frisoni GB, Fedi V, Geroldi C, Trabucchi M. Cognition and the perception of physical symptoms in the community-dwelling elderly. Behav Med 1999 Spring; 25 (1): 5-12. Herr K., Bjoro K., Decker S. Tools for the assessment of pain in nonverbal older adults with dementia: a state-of-the-science review. Journal of Pain and Sympton Management, 2006;31(2):170-192. 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Tabella 1 Scheda di osservazione del comportamento alimentare Nome________________________________________ Reparto_____________________ Siede a tavola si no Beve da solo si no Apre le confezioni si no Assume il cibo in sequenza appropriata si no Commenti: _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Utilizzo del coltello Riconosce si no Abile ad utilizzarlo si no Richiede aiuto si no Commenti: _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Fasi del processo di alimentazione Deve essere stimolato ad assumere il cibo si no Deve essere stimolato a masticare si no Deve essere stimolato a deglutire si no Commenti: _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Assunzione di liquidi Deve essere stimolato a bere Richiede assistenza Richiede ausili speciali si si si tazza bicchiere con beccuccio no no no Commenti: _______________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Cibi graditi:_______________________________________________________________ Cibi sgraditi:_______________________________________________________________ Adattato da: NHS Quality Improvement Scotland (2003) Food, Fluid and Nutritional Care in Hospitals. www.nhshealthquality.org/ (Last accessed: June 16 2009.) Tabella 2 Procedura di valutazione dei disturbi del comportamento: Antecedent Behaviour Consequences A B C Antecedenti Chi era presente subito prima la comparsa del disturbo? Quando si è manifestato? Dove si è manifestato? Che cosa stava facendo il paziente immediatamente prima che il comportamento si manifestasse? Comportamento Questo (quel) comportamento si manifesta(va) per la prima volta? Lo descriva nei particolari(se l’infermiere non è presente) Chi o cosa è (era) al centro del comportamento? Quanto a lungo è durato? Quale reazione ha causato tra i presenti? Conseguenze Quali sono (erano) le conseguenze per il paziente? Successivamente il paziente appariva più tranquillo o più agitato? Scheda per la registrazione nel tempo dei cambiamenti nel comportamento Data A B C Modificato da: Stokes G (2000) Challenging Behaviour in Dementia: A Person-centred Approach. Winslow Press, Oxfordshire.