Una decisione nel Dhamma752

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Una decisione nel Dhamma752
Una decisione nel
Dhamma
di S.N. Goenka
Una storia autobiografica
Shiri Yad Kumar Siddhi è nepalese. Lui e altri
membri della sua famiglia, così come alcuni suoi
amici presero parte ai primi corsi Vipassana
realizzati a Bodhgaya e, successivamente, mi
chiesero di andare a condurre un corso in Nepal, a
Birganj o a Kathmandu. Anch’io desideravo
realizzare un corso in Nepal, sia per insegnare il
Dhamma sia per altre ragioni: sentivo una forte
attrazione per le salubri vibrazioni delle montagne
dell’Himalaya, così congeniali alla meditazione.
Inoltre c’era un’altra più grande attrazione: è in
Nepal che nacque il Budda, quest’uomo
straordinariamente grande che riscoprì la tecnica
Vipassana e aprì il cammino della liberazione a
tante persone.
Però, come cittadino del Myanmar non potevo
andare in Nepal, il mio Governo avendomi
concesso un passaporto valido per viaggiare solo
in India.
Così, nel settembre del 1972 condussi un corso
a Raxaul, che si trova sul lato indiano della
frontiera indio-nepalese, al quale parteciparono
nepalesi provenienti da Birganj (situata proprio
sull’altro lato della frontiera) e da Kathmandu.
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Inoltre, molte persone di Birganj furono
autorizzate ad ascoltare i discorsi della sera.
Dopo questo corso, la gente di Birganj
insisteva molto perché andassi a dare un corso
nella città dicendo che vi erano strutture migliori
per ospitarlo e che avrebbe attirato un gran
numero di persone. Io esposi ancora le ragioni
della mia difficoltà ad andare.
Loro sostenevano che essendo di origine
indiana, non avrei avuto nessuna difficoltà ad
attraversare la frontiera se avessi indossato un
dhoti kurta (il tipico abito indiano costituito di
tunica lunga e pantalone ndt). “Indiani e nepalesi
possono attraversare liberamente la frontiera senza
bisogno del visto”.
Ma questa soluzione era per me inaccettabile.
Un nobile esempio
Avevo il nobile esempio del mio maestro
Sayagyi U Ba Khin che desiderava tornare in
India per ripagare a quel paese il debito di
gratitudine per essere stato il luogo di origine
della Vipassana ma che aveva perso questa
meravigliosa tecnica. Egli chiese un passaporto al
Governo di Myanmar ma questi lo rifiutò in
ragione della sua politica restrittiva. Avrebbe
potuto ottenere un passaporto solo per lavorare
all’estero o per lasciare definitivamente il paese.
Ero presente e ricordo bene quando il
Segretario di Gabinetto del Governo venne da
Sayagyi al Centro di Meditazione, inviato dal
Ministro dell’Interno. Come altri membri del
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Governo, era allievo di U Ba Khin e tutti avevano
grande rispetto per lui, ma in quel momento era
per loro impossibile aiutarlo. Il Segretario propose
a Sayagyi di farsi rilasciare un contratto di lavoro
temporaneo da uno dei suoi studenti indiani, col
quale avrebbe ottenuto un passaporto; ma si
sarebbe trattato di un contratto fittizio e questa
soluzione era inaccettabile per Sayagyi.
Come avrebbe potuto insegnare il puro
Dhamma se lui per primo avesse agito contro sila
(la moralità ndt). Come potrebbe crescere così il
Dhamma? Dunque, neanch’io potevo accettare la
proposta della gente di Birganj e nemmeno potevo
dichiararmi indiano di fronte alle autorità di
frontiera nepalesi.
Le varie proposte
Allora, un industriale nepalese molto ricco che
aveva partecipato al corso e che aveva molte
influenze nel Governo, suggerì che avrei potuto
entrare nel paese viaggiando con lui nella sua
auto. Gli ufficiali dell’immigrazione non
avrebbero nemmeno chiesto se ero indiano o no, e
così non avrei dovuto dire bugie. Ma come
accettare quest’altra proposta? Un sotterfugio
resta un sotterfugio. Così, non potevo andare in
Nepal e continuai a dare i corsi solo in India.
Il tempo passava e migliaia di studenti
venivano in India per i corsi Vipassana e mi
chiedevano di andare a darne nei loro paesi perché
potessero assistervi familiari, amici e tanti altri
che non potevano venire in India. Erano convinti
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che anche in occidente una tecnica così
scientifica, razionale, non settaria e focalizzata sui
risultati qual’è la Vipassana, sarebbe stata
accettata.
Ero d’accordo con loro. Anche il mio maestro
era sicuro che la Vipassana si sarebbe diffusa
dall’India in tutto il mondo. Ma come, se non
andando a dare corsi in altri paesi? Così decisi di
chiedere all’ambasciata del Myanmar di estendere
la validità del mio passaporto ad altri paesi.
L’ambasciatore
e
gli
altri
ufficiali
dell’ambasciata mi conoscevano bene e volevano
davvero aiutarmi ma non erano autorizzati ad
approvare la mia richiesta. Così trasmisero la mia
domanda al Ministero degli Affari Esteri in
Yangon. La richiesta fu respinta sempre in ragione
della politica restrittiva del Governo.
Allora presentai una petizione spiegando
dettagliatamente perché, nell’interesse di tante
persone in difficoltà nel mondo, era necessario
che potessi viaggiare all’estero per insegnare
Vipassana. Ma l’ambasciata si rifiutò di
trasmettere la mia petizione perché erano sicuri
che non sarebbe stata accettata. Continuai dunque
a dare i miei corsi in India.
Passò altro tempo e le richieste dall’estero
aumentavano. Scrissi allora al mio amico U Thi
Han a Yangon. Fu molto entusiasta dell’interesse
degli occidentali per il Dhamma e riteneva che
davvero dovessi andare a dare corsi in quei paesi.
Era stato grazie a U Thi Han che avevo
ottenuto il passaporto per venire in India e
occuparmi di mia madre che soffriva di una
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malattia mentale. Era stato Ministro degli Esteri
del Myanmar e ora era in pensione. Mi suggerì di
presentare la mia petizione al Primo Ministro, il
Colonnello Maung Maung Kha e si offrì di
sostenere la mia richiesta.
Il Colonnello Maung Maung Kha era un mio
buon amico, avevamo fatto parte insieme di un
paio di delegazioni commerciali del Governo di
Myanmar in India, Unione Sovietica e altri paesi
del blocco comunista. Ci conoscevamo già prima
ma in quelle occasioni divenimmo più intimi.
Quando il Governo rivoluzionario prese il
potere in Myanmar, lui divenne segretario del
Ministero dell’Industria e in seguito Primo
Ministro. Speravo dunque che avrebbe accettato la
mia richiesta e aggiunsi anche una lettera
personale. Ma non ebbi mai risposta da lui.
Nonostante volesse contribuire a diffondere il
Dhamma, sembrava anche lui incapace di
emendare la rigida politica del Governo e non
poté aiutarmi.
Molti anni dopo, nel 1990, quando ritornai in
Myanmar invitato dal Governo, U Maung Maung
Kha non era più Primo Ministro e fu il primo dei
miei amici a venirmi a visitare nella casa di mio
figlio U Shwe. Espresse grande gioia e le sue
felicitazioni per il successo dei miei corsi anche se
non aveva potuto aiutarmi quando era Primo
Ministro.
Anche gli studenti nepalesi ricominciarono a
sollecitarmi, sempre con gli stessi argomenti.
Perfino un alto ufficiale nepalese mi assicurò
che si sarebbe occupato di farmi viaggiare in
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Nepal senza problemi. Ma ancora una volta non
potevo accettare quel tipo di propositi.
La scelta morale
Ero convinto che avrei potuto viaggiare in altri
paesi solo quando il Governo del Myanmar me lo
avesse permesso, per quanto nobile la mia causa
potesse essere o per quante assicurazioni
potessero darmi quelle persone.
Non era solo una questione di difficoltà
politiche e legali ma una responsabilità morale.
Non potevo andare a insegnare il puro Dhamma
appoggiandomi su un’azione illegale.
Oggi, quando ripenso al passato, sento una
grande soddisfazione per la mia decisione presa
nel Dhamma. Se avessi rotto le regole, ignorato
gli aspetti morali e fossi andato in Nepal, la
purezza di servire il Dhamma con rettitudine ne
sarebbe stata macchiata. E questo mi avrebbe
perseguitato per tutta la vita.
Quando i tempi maturarono, potei visitare il
Nepal per insegnare il Dhamma senza sotterfugi.
Per questo quella decisione fu giusta, fu una
decisione nel Dhamma.
Tratto da Vipassana Newsletter India
Tradotto da Carlo di Chiara
Revisionato
da
BibliotecaVipassana,
maggio 2016
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