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Market Report
ECONOMIA
&MERCATO
Attualità: TUTTO CUORE
PREVENZIONE, STILI DI VITA:
Non è troppo tardi per averne cura
RICERCA, LE NUOVE REGOLE:
Tutti i successi recenti della ricerca:
Il miracolo italiano chiamato GISSI
(Gruppo italiano per lo studio della
sopravvivenza all’infarto) che ha
rivoluzionato la terapia dell’infarto
What’s On
CARDIOCHIRURGIA,
le ultimissime tecniche:
un cuore high tech con le
ultimissime tecniche, anche
la più devastante delle chirurgie diventa soft
ATTUALITÀ - PERSONAGGI - TRENDS
CUORE/Prevenzione, stili di vita
Non è troppo tardi
per averne cura
Migliorare lo stile di vita è fondamentale a qualsiasi età, come muoversi
un po’ di più, mangiare correttamente, smettere di fumare, in sostanza,
sono tutti comportamenti mirati a ridurre il rischio di malattie
cardiovascolari. Sono tanti gli studi scientifici che lo dimostrano
ampiamente e recentemente è stato scritto un libro dai più noti
cardiologi mondiali, nel quale sono indicate le linee guida da seguire
I primi esseri umani apparsi sulla Terra, 2 milioni e
mezzo di anni fà, praticavano una vita nomade e
l’attività fisica occupava gran parte del loro tempo.
«Negli ultimi 100 anni, che equivalgono allo
0,004% della nostra storia, l’umanità ha raggiunto livelli di sedentarietà e comodità senza precedenti nell’evoluzione. Il corpo umano, però, conserva nella memoria quel 99,996% di storia dell’umanità in cui era costretto a correre per sopravvivere» scrive Valentin Fuster, cardiologo catalano
di fama internazionale, e Presidente dell’American
Heart Association. Nel sistema cardiovascolare
l’esercizio fisico alza il livello di colesterolo buono
(Hdl), riduce i valori dei trigliceridi, aiuta a ridurre la
pressione, contrasta l’obesità, favorisce l’attività
dell’insulina e riduce il rischio di diabete. «Il
50enne che fa attività fisica in modo assiduo ha
una aspettativa di vita decisamente superiore a
quella di un sedentario» dice Fuster. Il corpo
umano è progettato, infatti, per muoversi: siamo
nati per correre. E i benefici nel prevenire infarti ed
eventi cerebrovascolari sono solo una parte dei
vantaggi che ne derivano. L’esercizio fisico fa bene
al sistema nervoso perché stimola la produzione
nel cervello di endorfine con azione euforizzante e
antidoto contro stress e depressione, e può ridurre
il rischio di cancro. «In Europa occidentale il 47%
di morti fra le donne e il 39% tra gli uomini sono
dovuti a malattie di cuore o arterie: più di quelle
causate da tutti i tipi di cancro messi insieme»
ricorda Fuster. «Forse oggi la cosa più coerente che
un cardiologo possa fare è dedicarsi alla prevenzione, spiegare quali misure sono efficaci e quali no,
come perdere peso e non riprenderlo, come smettere di fumare e non ricominciare, quanta verità
c’è nell’idea comune che il vino faccia bene al
cuore: fare luce sui dubbi di fronte ai quali le persone si sentono confuse a causa del continuo
mescolarsi di messaggi talora poco scientifici». E
cita un’indagine sullo stato delle arterie di 760 persone tra 15 e 34 anni (rappresentative della popolazione complessiva) morte per cause accidentali,
che mostra come nei paesi occidentali siamo tutti
«malati» senza saperlo. Pur essendo così giovani,
uno su tre aveva un eccesso di colesterolo cattivo
(Ldl), uno su sei era iperteso, uno su sette obeso,
uno su 25 aveva una qualche forma di diabete.
Giocavano a baseball o a basket, conducevano
una vita normale, ma erano inconsapevoli delle
condizioni delle loro arterie. «L’ignoranza sembra
minacciare il mondo occidentale» avverte il cardiologo. Mentre crescono le conoscenze sulla genetica dell’infarto, su come le variazioni di certi geni
modificano la risposta ai farmaci e altre siano associate all’aumento nel sangue della lipoproteina A
legata all’infarto, studi della Società europea di
cardiologia evidenziano come lo stato della prevenzione cardiovascolare sia lungi dall’essere ottimale. Una ricerca pubblicata in questi giorni dall’Oms dice che nel 2010 circa 400 mila americani
si prevede moriranno di malattie cardiovascolari.
«Almeno la metà dei decessi si potrebbe evitare se
le persone mangiassero in modo corretto, non
fumassero e avessero uno stile di vita più sano»
afferma l’inglese Simon Capewell dell’Università di
Liverpool, coautore dello studio sui fattori di rischio
cardiaco. «Allo stile di vita si può ascrivere la salute di milioni di persone» sostiene Shanthi Mendis,
coordinatore del Chronic diseases prevention and
management all’Oms. «Nel mondo 1 miliardo di
adulti è sovrappeso, e se non si corre ai ripari la
cifra è destinata a superare il miliardo e mezzo nel
2015». Sebbene i nemici del cuore, dal colesterolo
elevato ai chili di troppo, siano stati da tempo individuati, le patologie cardiache sono in crescita.
Da studi internazionali come l’Interheart al rapporto Oms 2008 sui determinanti sociali delle malattie
(coordinato da quello che può essere considerato il
più importante epidemiologo cardiovascolare vivente, l’inglese Michael Marmot), alle linee guida delle
società scientifiche europee e americane, l’accordo
è completo: stili di vita e di alimentazione sono centrali nel controllo del rischio cardiovascolare.
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IL MONDO
DEL LABORATORIO
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What’s On
ATTUALITÀ
«Più sensibili ai messaggi che invitano a modificare lo stile di vita sono le classi più abbienti: sono
più consapevoli del proprio stato di salute, si informano e hanno una visione prospettica della propria vita» afferma Marco Bobbio, cardiologo.
«Occorre poi uno sforzo a livello collettivo e individuale per abbandonare abitudini insalubri, senza
indurre una sensazione di pericolo incombente.
In genere è più semplice e comodo prendere una
pillola: mangio lo stesso, mi concedo qualcosa in
più, tanto poi prendo la pastiglia anticolesterolo».
I dati della Federfarma e l’ultimo rapporto dell’Aifa sull’uso dei farmaci in Italia sembrano dargli
ragione. Per contrastare i problemi cardiovascolari si comprano medicinali per oltre 4 miliardi e
mezzo di euro in un anno: per l’esattezza 3 miliardi 700 milioni da gennaio a ottobre 2009. Statine, antiipertensivi, anticoagulanti, antiaritmici
sono fra le categorie più prescritte e rappresentano il 36,5 per cento della spesa convenzionata;
era il 27,4 per cento nel 2007. Sul fatto che terapie come le statine siano sempre prescritte in
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IL MONDO
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Prevenzione, Stili di vita
modo appropriato gli esperti nutrono dubbi.
«Studi epidemiologici della Società europea di
cardiologia si propongono nei prossimi anni di
monitorare l’andamento delle malattie cardiovascolari più frequenti, l’appropriatezza delle cure e
l’opportunità di utilizzo di procedure come gli
stent» spiega Aldo Maggioni, direttore del Centro
studi dell’Anmco (Associazione nazionale medici
cardiologi ospedalieri). Di solito chi ha già avuto
un infarto ha maggiore consapevolezza dei rischi
che può correre se non cambia stile di vita. «Se
una persona sta bene, ma ha comportamenti a
rischio, è meno motivata al cambiamento» dice
Pantaleo Giannuzzi, responsabile del dipartimento di cardiologia riabilitativa alla Fondazione Maugeri di Pavia. «Inoltre un’informazione adeguata
esige una continuità fra cardiologi e medicina di
base e richiede più tempo di una prescrizione».
Chi sta bene è anche meno attento a eventuali
segnali. Tende a sottostimarli. È così per le aritmie
considerate benigne che vengono dopo il pranzo
o nell’iperteso e portano alla fibrillazione atriale.
Non si dà peso al cuore che galoppa o perde un
colpo, o ad altri sintomi, dal fiato corto alla stanchezza fisica dopo un piccolo sforzo. Un contributo complementare e importante ad approfondire
perché le tante conoscenze non si traducono
ancora pienamente in benefici nella vita reale
viene da una iniziativa coordinata da Attilio Maseri, presidente della Fondazione ‘Per il tuo cuore’
onlus creata dall’Anmco. «Correggendo i classici
fattori di rischio si riesce a dimezzare la percentuale di eventi, ma non a evitarli all’altra metà che
magari ha risposto alle strategie preventive»
afferma Maseri. «Grazie alla rete di oltre 700 cardiologie distribuite sul territorio nazionale, l’Anmco focalizzerà la ricerca clinica sul capire come
ci si possa ammalare nonostante si attui l’attuale
prevenzione ottimale, oppure come si possa
restare sani pur avendo fattori di rischio». Nuovi
filoni di ricerca che forse porteranno a interventi
più mirati, ma che non diminuiscono la necessità
di continuare a diffondere la cultura della prevenzione. Le ultime linee guida della Società europea
di cardiologia evidenziano che cosa fare per prevenire eventi cardiaci.
Ma vanno calate nella realtà. E tradotte in un linguaggio che possa essere interpretato e adottato
dalla gente. «questo occorre costruire una più
diffusa conoscenza e ampliare la consapevolezza
perché la prevenzione da capitolo della medicina
possa diventare un comportamento normale nella
vita delle persone» conclude Gianni Tognoni che
dirige il Consorzio Negri-Sud ed è autore di studi
epidemiologici che hanno cambiato la storia dell’infarto. «La prevenzione non è una ricetta che si
può prescrivere, confidando che si realizzi. È una
vera e propria ricerca di linguaggio di comunicazione tra medici non farmacodipendenti e persone da accompagnare, in modo non autoritario,
per molto tempo». E il libro di Fuster è un esperimento concreto di questa ricerca di linguaggio.
Comportamenti corretti,
suggerimenti da seguire
E’ sempre consigliabile bere con moderazione
1 o 2 bicchieri di vino rosso al giorno, ai pasti,
perché riduce del 25% il rischio cardiovascolare
e nelle persone già ammalate diminuisce nella
stessa percentuale il tasso di mortalità. Il vino
ha effetto anticoagulante ed è un antinfiammatorio, in grado di aumentare i livelli di colesterolo buoino (Hdl) ed è un vasodilatatore che
aiuta a controllare la pressione. Importantissimo è smettere totalmente di fumare poiché il
fumo aumenta il rischio di coaguli nel sangue
quindi il pericolo di embolia e infarto. Ecco
perché quando si smette di fumare il rischio di
eventi cardiovascolari si riduce nel giro di
poche settimane. Se i danni del tabacco sono
immediati, i benefici del rinunciare alle sigarette sono altrettanto rapidi.
What’s On
ATTUALITÀ
RICERCA/Le nuove regole
I successi della ricerca
Il ‘miracolo italiano’ GISSI,
una rete ‘collaborativa’ di
medici che ha rivoluzionato
la terapia dell'infarto, da 25
anni all’opera, oggi è il fiore
all’occhiello della ricerca
cardiologia italiana.
Ma le scoperte vanno
avanti come, per esempio,
la cellula superstaminale
in grado di ‘autoriparaci’
il cuore e il colesterolo
‘buono’ riprodotto in
laboratorio
Il Gissi ha rappresentato una sorta di rivoluzione
copernicana per il metodo da usare negli studi clinici: oggi si chiama ‘ricerca collaborativa’ ed è quasi la
regola, ma anni fa, coinvolgere migliaia di pazienti in
una sperimentazione pareva impossibile. I ‘pionieri’
di allora si accorsero che la soluzione per riuscirci, a
volerla cercare, era a portata di mano: bastava sfruttare le potenzialità del Servizio Sanitario Nazionale e
mettersi a lavorare insieme, creando una rete fra le
unità coronariche dell'Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Anmco) sparse per l' Italia.
«Decidemmo di disegnare uno studio rigoroso e
chiaro per rispondere a una domanda semplice in
tema di infarto: è possibile ridurre la mortalità provando a riaprire le coronarie in fase precoce con un
farmaco che scioglie il trombo?», racconta Gianni
Tognoni. «In appena un anno e mezzo riuscimmo a
coinvolgere 12.000 pazienti da 200 unità coronariche, trovando la risposta che cercavamo e avvalorandola con la forza dei grandi numeri. Il risultato scientifico fu straordinario e ancora oggi, dove non si può
intervenire con l' angioplastica primaria, la trombolisi è la prima cura dell' infarto. Ma forse conta ancor
di più aver aperto la strada a un nuovo modo di fare
ricerca: indipendente, su larga scala, per rispondere
ai bisogni reali di pazienti reali». Oggi, il Gissi, che
secondo molti ha segnato un ‘prima e dopo’ in cardiologia, ha fatto scuola e viene imitato anche all'
estero. Perché studiare i pazienti ‘veri’, che arrivano
negli ospedali, offre vantaggi impagabili. Per esempio, fa sì che le ricadute pratiche siano immediate:
«Di solito occorrono almeno 12-18 mesi perché le
scoperte della ricerca arrivino in clinica», specifica
Tognoni. «Nel nostro caso è bastato meno di un
anno». «I medici ospedalieri sono diventati protagonisti della ricerca e si sono formati nel farla, tutti allo
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IL MONDO
DEL LABORATORIO
stesso modo», aggiunge il presidente Anmco, Salvatore Pirelli. «Nella pratica significa che gli italiani trovano oggi lo stesso trattamento da Bolzano a Caltanissetta». Il tutto a costo (quasi) zero grazie all' italica arte di arrangiarsi e all' entusiasmo dei medici, che
di fatto hanno lavorato a titolo volontario con
pochissimi finanziamenti. Dopo il primo studio, il
Gissi ha realizzato altri 5 progetti diventati pietre
miliari della cardiologia e il futuro riserverà senza
dubbio, tante altre ‘conquiste’ scientifiche. Altrettanto importante è stato l’avvento della cellula ‘superstaminale’, primo passo verso l’obiettivo di ottenere
un’autorigenerazione dell’organo vitale, nel cuore
esistono infatti, negli atri e all’apice, cellule staminali capaci di rigenerare quelle usurate. Autore della
scoperta è stato Piero Anversa, ‘cervello’ emigrato
negli Usa da molti anni, ora all’università di Harvard,
a Boston. Su questo fronte arriva oggi una ‘superscoperta’: è stata identificata in cellule embrionali in
laboratorio la staminale primordiale, da cui si riproducono i tre tipi principali di cellule cardiache: le
muscolari striate (funzione di pompa), le endoteliali
(rivestimento interno dei vasi) e le muscolari lisce
(ruolo di sostegno e continuità). Questa cellula originaria, presente in una certa fase della vita nel grembo materno è stato scoperta, prima in cellule di topo,
poi in embrionali umane dall’équipe di Kenneth
Chien del Massachusetts General Hospital di Boston
grazie ad un proteina che soltanto lei possiede, detta
islet 1 (la rivista Nature le ha dedicato la copertina).
Un bellissimo risultato di ricerca di base, ma in pratica che cosa cambia? Per permettere l’identificazione
nell’insieme delle altre cellule embrionali, queste cellule sono state manipolate con traccianti capaci di
legarsi al loro Dna per renderle fluorescenti. Si tratta
di cellule ‘ingegnerizzate’, alterate nel loro patrimonio genetico, in qualche modo artificiali. «In sostanza, inutilizzabili per eventuali ricerche sui malati commenta, lapidario, Philippe Menasché, il cardiochirurgo dell`ospedale Georges Pompidou di Parigi
divenuto famoso nel 2000 per essere stato il primo a
tentare su un uomo l’iniezione nel cuore di cellule
staminali originate da un frammento di muscolo
della coscia, strategia che si è dimostrata, però,
infruttuosa - . E una bella scoperta di cui, non sappiamo che cosa fare. Almeno per ora». E’ scettico
anche Eduardo Marbàn; direttore del Ce- dars-Sinai
Heart institute di Los Angeles, autore di esperimenti
in cui, dopo aver asportato un frammento di tessuto
cardiaco, le cellule estratte vengono coltivate e reiniettate nel cuore del paziente. «Nel processo di sviluppo del tessuto cardiaco in laboratorio che noi stiamo sviluppando con attenzione, la proteina islet 1
non sembra giocare un ruolo importante» dice, scettico. Tutta invidia per una scoperta che può cambiare la geografia delle cure per l’infarto? Secondo Giulio Pompilio, responsabile della ricerca di terapia rigenerativa dell’istituto cardiologico Monzino di Milano,
invece, si tratta di una scoperta è eccezionale.
Ricerca/Le nuove regole
Colesterolo ‘artificiale’ per ripulire le arterie: il futuro è già cominciato
nei laboratori americani. I ricercatori della University of California a Los
Angeles (Ucla) e della Northwestern University a Chicago hanno creato
nanoparticelle, formate da un nucleo di oro e ricoperte da grassi e proteine, che funzionano proprio come il colesterolo Hdl, quello cosiddetto «buono»: sono capaci di captare i grassi presenti nelle placche aterosclerotiche delle arterie e di trasportarli nel fegato, dove vengono metabolizzati ed eliminati. Contrastare l'accumulo di grassi nella placca significa impedire che quest' ultima si ingrossi e finisca per ridurre a poco a
poco il calibro delle arterie, impedendo il flusso di sangue. O, peggio
ancora, dia origine a trombi che chiudono completamente il vaso provocando infarti e ictus. «Il cuore d' oro delle nanoparticelle - ha commentato Andre Nel della Ucla - non solo serve come scheletro cui
agganciare le stesse molecole che sono presenti sulle Hdl naturali, ma
può anche essere visualizzato con tecniche di imaging per seguirne il
percorso nell' organismo». Per ora gli effetti si sono visti in provetta e
negli animali da esperimento, ma secondo Gregory Lanza della Washington University a St. Louis, questo «turbo-colesterolo» potrebbe diventare parte integrante della terapia anti-aterosclerosi, insieme alla dieta
e ai farmaci e rivoluzionare la cardiologia, qualora se ne sarà dimostrata la sicurezza. Sarà infatti indispensabile escludere eventuali effetti collaterali conseguenti ad accumulo di queste nanoparticelle (la loro
dimensione si aggira fra 1 e 100 milionesimi di millimetro) nell' organismo. Torniamo adesso al presente e al significato del colesterolo come
fattore di rischio cardiovascolare alla luce delle nuove ricerche presentate qui a Orlando al meeting annuale dell' American Heart Association,
una delle più importanti associazioni di cardiologi americani. «L' Hdl -
Il colesterolo ‘buono’
si costruisce
in laboratorio
spiega Alberto Margonato, cardiologo all' Ospedale San Raffaele di
Milano - rimane, nella triade colesterolo totale-colesterolo Ldl (quello
cattivo)-colesterolo Hdl, il più importante: aumentare di un milligrammo l' Hdl significa ridurre il rischio cardiovascolare del 3 per cento, ridurre l' Ldl di un milligrammo significa abbassarlo dell' uno per cento».
Naturalmente il colesterolo non è l'unico fattore che predispone alle
malattie cardiovascolari e va incastonato nel profilo di rischio globale
che, di fattori, ne prende in considerazione nove: oltre al colesterolo, il
fumo, l'ipertensione, il diabete, il sovrappeso, l'alcool, lo scarso consumo di frutta e verdura, l'assenza di attività fisica, fattori psico-sociali. Ma
ritorniamo al colesterolo: quando ci si deve preoccupare di fronte a un
esame del sangue? «Il colesterolo totale - continua Margonato - dovrebbe rimanere al di sotto di 185 (mg per millilitro) e le Ldl sotto i 160, se
non ci sono altri fattori di rischio, altrimenti questi valori vanno ridotti
ancora di più. Le Hdl, quanto più sono alte, tanto meglio è: comunque
sempre sopra i 35 per gli uomini e i 40 per le donne».
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/ What’s On
ATTUALITÀ
Le nuove tecniche cardiochirurgiche
Un cuore high tech
Sonde che penetrano fino al muscolo per sostituire le valvole difettose. By pass effettuati con microincisioni
sulla coscia. Interventi mini invasivi per rimettere in funzione il ciclo vascolare.
Nella foto:
Anche la più devastante delle chirurgie, oggi diventa soft
Intervento di cardiochirurgia a cuore aperto
Un intervento a cuore aperto. È il simbolo della
medicina invasiva. Della chirurgia dura dalle conseguenze lunghe. Come lunghi sono l'anestesia prevista e il decorso postoperatorio. Tutti inevitabili controeffetti di interventi salvavita, quelli che hanno
ridotto in maniera più che significativa la mortalità
da malattie cardiovascolari: la sostituzione della valvola aortica e di quella mitrale, il by-pass. Tutti quegli interventi che permettono ai cardiochirurghi di
riparare un cuore malconcio, spesso fino a farlo funzionare di nuovo, al meglio, per anni e anni. Interventi a cuore aperto, insomma. Che potrebbero presto essere solo un residuo della medicina hard del
XX secolo, e lasciare spazio all'hi-tech pulito e rapido promesso dai chirurghi che progettano le sale del
terzo millennio. Prendiamo, ad esempio, la classica
sostituzione della valvola aortica del cuore: significa
un intervento difficile, una degenza lunga, il rischio
di pesanti complicazioni, anche mortali. Necessita di
un fisico forte, ancorché provato dalla malattia cardiaca, e per questo per alcuni anziani non è indicato. A cambiare le carte in tavola è stato, nel 2002, il
cardiologo francese Alain Cribier che ha aperto una
nuova strada: portare la nuova valvola nel cuore grazie ad una lunga sonda che giunge fino al muscolo
cardiaco salendo dall'arteria femorale; oppure, in
alternativa, fare un piccolo taglietto sul torace, una
piccola apertura sulla punta del cuore e da lì, all'interno del ventricolo sinistro, agire direttamente sulla
valvola malata. L'intervento mini invasivo prevede di
arrivare così fino al ventricolo sinistro, dilatare la valvola naturale e al suo interno immettere una protesi, costituita da una rete metallica rivestita all'interno da lembi di pericardio (il tessuto che avvolge il
cuore) bovino. Si tratta di una vera e propria sostituzione perché all'interno della vavola malata si inserisce la nuova valvola funzionante. Tutta la procedura
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IL MONDO
DEL LABORATORIO
viene controllata con l'ecografia transesofagea e i
tradizionali raggi X. La tecnica limita i danni dell'intervento tradizionale, accorcia i tempi di recupero
del paziente e gli assicura una buona qualità di vita.
C'è solo un punto da non sottovalutare: non si
conosce ancora la durata nel tempo di questo trattamento. Oggi, oltre 2 mila persone in Europa si
sono sottoposte a questo intervento. E anche in Italia la pratica si è ormai diffusa in diversi centri. "Questa tecnica sta rivoluzionando la cardiochirurgia,
perché evita il ricorso alla circolazione extracorporea
(il sangue viene deviato in una macchina che fa le
funzioni del cuore e del polmone)", spiega Paolo
Biglioli, direttore scientifico dell'Istituto Cardiologico
Monzino di Milano: "Noi abbiamo già fatto 114
interventi di questo tipo in persone anziane, con
risultati soddisfacenti, anche perché disponiamo
della cosiddetta ‘sala ibrida’, ovvero che può essere
impiegata sia per interventi chirurgici tradizionali sia
per trattamenti come l'angioplastica. Di solito sala
operatoria e per emodinamica sono separate".
Quindi la tecnica di Cribier funziona, però è molto
costosa, e per questo motivo, almeno in Italia, viene
riservata ai casi per i quali la tecnica tradizionale non
è possibile, per esempio, per gli anziani che non
potrebbero essere trattati chirurgicamente con l'intervento tradizionale. "Le linee-guida regionali della
Lombardia prevedono l'indicazione per questo
approccio mini invasivo solo per i pazienti che
hanno un rischio di mortalità del 20 per cento o
superiore con la tradizionale operazione", afferma
Biglioli. Se per la valvola aortica questo intervento è
ormai realtà, una nuova rivoluzione mini invasiva si
annuncia per la sostituzione della valvola mitrale,
quella che collega l'atrio sinistro con il ventricolo
sottostante: un altro intervento di cardiochirurgia
molto diffuso e salvavita. Secondo quanto emerso al
recente Congresso della Società Italiana di Cardiologia Invasiva, sono già 36 i pazienti italiani ad altissimo rischio trattati con un metodo innovativo - lo
stesso che ha curato il cuore di Elizabeth Taylor - che
utilizza speciali 'microancore' che aderiscono alle
pareti valvolari e vengono azionate per sostituire la
mitrale. L'insufficienza della valvola mitrale riguarda
complessivamente circa 300 mila italiani, soprattutto donne. Nel 10 per cento dei pazienti è necessario
riparare la valvola per evitare che si sviluppi un’insufficienza cardiaca grave che, dopo un periodo di
tempo più o meno lungo, porta alla morte. In questi malati la valvola mitrale ha i lembi troppo mobili
e instabili. La nuova tecnica prevede l'uso di microclip che fissano le falde della valvola con una sorta
di piccola ancora, riducendone la mobilità. Si fa
inserendo un catetere nei vasi, poi una volta nel
cuore si pratica un forellino fra atrio destro e sinistro
e da qui si introduce questa sorta di graffetta multipla, che poi viene fatta passare attraverso la valvola
mitrale per ancorarne i lembi. La procedura avviene
con il cuore che batte normalmente e tutto si risolve in appena due giorni di ricovero, con una riduzione netta del periodo di recupero postoperatorio e
un basso tasso di complicanze. La sostituzione della
valvola mitralica un tempo era un'operazione lunga
e cruenta, ed è un altro esempio di come molte procedure che una volta richiedevano l'intervento cardiochirurgico possano essere praticate oggi attraverso accessi vascolari, come avviene per le angioplastiche coronariche o l'impianto di protesi valvolari.
Nella cardiochirurgia moderna la tradizionale apertura dello sterno non è più sempre necessaria. Basti
pensare che la valvola mitrale si può sostituire con
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aneurismi dell'aorta ascendente possono essere
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