Il madrigale: quando la musica si accoppia alla poesia

Transcript

Il madrigale: quando la musica si accoppia alla poesia
PERCORSI DIDATTICI
Il madrigale: quando la musica
si accoppia alla poesia
Paolo Fabbri
V
enezia, 1544. Nel suo Dialogo
della musica – lì stampato in quell’anno – il frate fiorentino Antonfrancesco Doni immaginò gli svaghi
di una brigata di amici: una congrega di
fantasia ma del tutto verosimile, concepita non solo a imitazione di Boccaccio,
ma a somiglianza di quanto realmente si
faceva, a Firenze come nella Serenissima.
Il Dialogo si apre con gli interlocutori che
rifiatano dopo aver ballato.
Michele: Da poi che i piaceri del danzare
ci sono in istanchezza ritornati, è bene
che ci posiamo, e si diamo a qualche
altro diletto piacevole, che quiete ci apporti e dalle noie sostenute ci sollievi.
[…]
Grullone: Vorrei, signori miei, per passare il rimanente di questo giorno con
uguale piacere, che facessimo altro essercizio così sedendo, come novellare,
giocare o cantare, e come più v’aggrada.
Michele: Il novellare non mi pare al proposito, per esser cosa più tosto da femine
o fanciulli.
Grullone: Per dar materia bene spesso
d’alterarsi, il giocare mi garba.
Oste: Et io danno il gioco in tutto, ma
non così le novelle. Pur, per non parere
che vogliamo rubbare o imitare il Boccaccio, se vi governarete a modo mio
cantaremo e novelleremo a un tempo
[…].
Bargo (alias Bartolomeo Gotifredi).
Grullone propone di dedicarlo alla
donna della quale avevano parlato poco
prima, di cui Bargo è infelicemente innamorato. Quest’ultimo distribuisce
poi le parti («Grullone, pigliate il vostro
basso, Michele l’alto e l’Oste il canto»),
riservandosi quella del tenore.
La scena delinea una situazione tipica di
certi ambienti italiani di pieno Cinquecento: il gusto di far musica assieme
per puro diletto, il desiderio di coniugare il canto a espressioni di poesia alta,
il piacere – fisico e intellettuale – che si
alimenta nella realizzazione di trame
sonore complesse, in cui più voci (po-
lifonia) s’intrecciano realizzando un
tessuto continuamente screziato. Cose
simili si ascoltavano in chiesa, in latino,
nelle occasioni liturgiche festive. In ambito profano, una veste sonora di tale
ricchezza – ma in versione più “facile” –
la si poteva trovare applicata a chansons francesi: un repertorio internazionale, originato in terre francofone ma
ormai diffuso dalle Fiandre alle corti
italiane, da Parigi alle città tedesche. All’epoca in cui scriveva Doni, da un paio
di decenni erano però sempre più frequenti i testi in volgare italiano rivestiti in polifonia di quel tipo: anzi, perfino più ambiziosa.
«Faccisi musica», esorta poco dopo Michele. Ci si accorda su quello che viene
definito un madrigale a 4 voci («Donna,
per acquetar vostro desire»): musica del
compositore Claudio Veggio, versi che
si fingono di uno degli interlocutori, Gerrit Van Honthorst, Concerto (1626-30), Dublino, National Gallery of Ireland.
54
Nuova Secondaria - n. 5 2014 - Anno XXXI
PERCORSI DIDATTICI
Gerrit van Honthorst, Concerto,
particolare (1626-30),
Roma, Galleria Borghese.
Metamorfosi e sdoppiamenti
Il fenomeno è documentato da composizioni raccolte in manoscritti redatti
verosimilmente in area fiorentina negli
anni ’20 del Cinquecento. Quei brani
erano opera di musicisti prevalentemente franco-fiamminghi presenti in
loco (per esempio, del maestro di cappella del Battistero, il francese Philippe
Verdelot), oppure d’ambiente romano,
ecclesiastici che erano cantori presso la
cappella papale: tutti compositori abituati a maneggiare le tecniche polifoniche della musica liturgica, ma anche in
dimestichezza con la loro versione light
propria della chanson.
Nel presentare a stampa (a Venezia,
presso Ottaviano Petrucci) una scelta di
versi di Petrarca – poeta ormai in piena
Nuova Secondaria - n. 5 2014 - Anno XXXI
canonizzazione letteraria – intonati polifonicamente a 4 voci, nel 1520 Bernardo Pisano intitolò genericamente
Musica quei suoi pezzi. Dieci anni dopo,
una miscellanea di brani analoghi stampata a Roma nel 1530 (e lì ristampata
nel 1533) porterà l’intestazione Madrigali de diversi musici. Libro primo de la
Serena. I canti melodiosi di quella ipotetica Sirena erano dunque definiti con
un termine – madrigale – che teoria e
pratica del volgare letterario italiano
avevano impiegato già nel Trecento, ma
che da tempo era entrato in un cono
d’ombra.
La scelta si dimostrò quanto mai felice.
Da allora in poi, sarà quello il termine
che connotò stabilmente il nuovo genere musicale, ben diverso dalle precedenti intonazioni di versi in volgare
(frottole, laudi, canti carnevaleschi che
fossero), e che riapparirà sistematicamente sui frontespizi delle centinaia e
centinaia di raccolte a stampa: quasi
2000 quelle attualmente censite, nel secolo dal 1550 al 1650, concentrate per la
maggior parte nei decenni che vanno
dal 1560 al 1620 (quelli in cui il fiume
del madrigale musicale ebbe la sua massima portata).
Fu una metamorfosi vera e propria: un
termine letterariamente obsoleto, esangue, rinasceva in ambito musicale per
indicare un genere che si proponeva di
miscelare l’alta poesia in volgare italiano con le sofisticate tecniche della
polifonia. Venne coinvolto qualsiasi
tipo di morfologia poetica elevata: sonetti, canzoni, ottave, ballate, terzine,
episodi in versi sciolti e – da un certo
punto in poi – anche madrigali, cioè
quei flash lirici o galanti, spesso arguti,
che si consumano nel giro breve di una
decina di endecasillabi e/o settenari
non legati da schemi prevedibili di
rime, in voga nel pieno e secondo Cinquecento. Insomma, dopo la meta-
morfosi, uno sdoppiamento: il termine
“madrigale” designa in musica un genere di polifonia vocale che intona uno
spettro di morfologie letterarie tra le
quali si annovera anche il madrigale
(letterario).
Lirica d’arte in veste nobile
Impossibile non leggere questi sviluppi
entro il quadro di più generali tendenze
del coevo clima culturale italiano, che
vedeva il prepotente emergere del volgare come strumento linguistico anche
colto, e il suo sostituirsi al latino: negli
atti amministrativi ma ancor più nelle
esperienze d’arte. Certo, era un volgare
passato attraverso processi di raffinamento, secondo codici linguistici e stilistici messi a fuoco da Pietro Bembo
nelle Prose della volgar lingua (avviate
nel 1502, pubblicate a Venezia nel
1525). Non occorreva immaginare
astratte costruzioni di laboratorio, dato
che erano disponibili aurei modelli cui
uniformarsi. Come lingua, il toscano
letterario del Trecento; come concrete
realizzazioni, le opere dei suoi campioni: Petrarca, Boccaccio, Dante.
Per una poesia alta in volgare, una veste
musicale altrettanto elevata. E questa
non poteva che essere la polifonia, con
le sue regole e sottigliezze tecniche, ben
diversa dal repertorio frottolistico in
voga suppergiù tra il 1480 e il 1520,
d’abito magari accattivante quanto a
melodia, ma contrappuntisticamente
spoglio. Per quanto trattate anche in
polifonia, nelle frottole la loro natura
originaria di poesia intonata estemporaneamente si avvertiva: nell’egemonia
della voce superiore, nel sostegno di un
contrappunto essenziale e spesso solo
realizzato da strumenti, nel procedere
per strofe applicando le medesime formule musicali a versi differenti.
Niente di tutto questo nel madrigale
musicale, che richiedeva tutte le voci
55
senza di contemporanei (Torquato
Tasso e Battista Guarini, per dire) si fa
più rilevante nei decennî finali del Cinquecento, indice di evoluzioni del gusto
che vedevano insidiare primati fin lì indiscussi. A partire dal nuovo secolo la situazione è ribaltata in favore della contemporaneità, con l’irrompere di nuove
esperienze: Marino e il marinismo (invece di Petrarca e il petrarchismo),
Chiabrera e la lirica anacreontica.
Anima e corpo
Quale fosse, per il compositore di madrigali musicali, il rapporto tra versi e
musica, lo delinea come meglio non si
potrebbe Marc’Antonio Mazzone nella
lettera di dedica del suo Primo libro de’
madrigali a quattro voci (1569): «il
corpo della musica son le note, e le parole son l’anima, e sì come l’anima per
esser più degna del corpo deve da
quello esser seguita ed imitata, così anco
le note devono seguire ed imitare le paValentin de
role». Entra più nel dettaglio un comBoulogne,
Concerto
positore e teorico come Giuseppe Zar(1622-25),
lino (Istitutioni harmoniche, Venezia
Parigi, Louvre.
1558: si cita dall’edizione 1573):
effettivamente cantate, nessuna egemo- bienti, climi culturali, contingenze o –
nia di una sulle altre, contrappunto ela- perché no – a volontà d’autore, questo
borato, niente modularità strofica.
bisognerà valutarlo caso per caso.
Ad ogni modo, la hit parade dei poeti
Le scelte poetiche
(quelli identificati, che sono solo una
Maneggiando intenzionalmente testi porzione della massa di quelli intonati)
d’arte, e proponendosi di potenziarne vede dominare Petrarca e il suo Canzoper via musicale i contenuti espressivi, il niere fino agli anni ’90 del Cinquecento:
madrigale è un campo privilegiato per un Classico metatemporale, seguito da
verificare scelte, inclinazioni e prefe- autori di più recente canonizzazione
renze letterarie. Anzi, uno dei primi (l’Ariosto del Furioso, grande serbatoio
compiti che gli studiosi si sono posti è di ottave; Sannazaro e la sua Arcadia;
stato – ed è tuttora – individuare gli au- Bembo lirico), affiancati dagli autori
tori dei versi intonati: per ovvie ragioni contemporanei più in voga (Luigi Casdi maggior conoscenza, ma soprattutto sola, i cui 364 Madrigali letterari usciin quanto rivelatori di gusti e tendenze. rono a Venezia nel 1544). Senza dimenChe poi si tratti di “scelte” da ascrivere a ticare i tanti autori non individuati,
commissioni, obblighi di servizio, am- verosimilmente perlopiù coevi. La pre-
56
la musica fatta sopra parole, non è fatta
altro se non per esprimere il concetto et
le passioni et gli effetti di quelle con l’armonia; et se le parole parleranno di modestia, nella compositione si procederà
modestamente, et non infuriato; et
d’alegrezza, non si facci la musica mesta;
e se di mestitia, non si componga allegra; et quando saranno d’asprezza, non
si farà dolce; et quando soave, non s’accompagni in altro modo, perché pareranno difformi dal suo concetto, et
quando di velocità, non sarà pigro et
lento: et quando di star fermo, non si
correrà; et quando dimostreranno di andare insieme, si farà che tutte le parti si
congiugneranno […].
Li compositori moderni hanno per costume (il che non è da biasimare) che
quando le parole dinotano cose gravi,
basse, profunde, discesa, timore, pianti,
lagrime et altre cose simili, fanno contiNuova Secondaria - n. 5 2014 - Anno XXXI
PERCORSI DIDATTICI
nuare alquanto le loro modulationi nel
grave, e quando significano altezza, acutezza, ascesa, allegrezza, riso et altre simili cose, le fanno modulare nell’acuto.
Un esempio lo può fornire l’attacco di
un celeberrimo sonetto petrarchesco,
«Solo e pensoso i più deserti campi / vo
misurando a passi tardi e lenti», intonato da un non meno famoso compositore come Luca Marenzio e compreso
nel suo Nono libro di madrigali a cinque
voci (1599). Mentre 4 voci ingaggiano
un serrato contrappunto presentando
sfasate, una dopo l’altra, un medesimo
motivo che discende vivacemente per
salti, la voce superiore sale sistematicamente di semitono in semitono, con
implacabile e uniforme lentezza: sola,
appunto, e «misurando a passi tardi e
lenti» tutto lo spazio sonoro di sua
competenza.
Regole ed eccezioni
Un campo fecondo di significazione era
quello della dialettica tra regole ed eccezioni, tra normale aspettativa e inopinato disorientamento introdotto per
dare risalto a un punto nevralgico della
poesia. Lo dice bene Adriano Banchieri
(Conclusioni nel suono dell’organo, Bologna 1609), rilevando come il rispetto
delle leggi compositive fosse opportuno
per la musica strumentale, ma meno
obbligante in quella vocale, nel caso il
testo lo suggerisse: «Insomma la musica
deve osservarsi con gli buoni precetti
senza parole, come sono toccate, recercari e quando le parole nelle compositioni non ricerchino inosservanza, la
quale inosservanza devesi usare per
imitare la parola».
Certo, così si socchiudeva la porta all’arbitrio e alla discrezionalità individuale. In pieno Cinquecento, per esempio, Cipriano de Rore fu maestro di
deroghe prontamente ricondotte alla
norma. Ma negli anni successivi, i madrigali del fanatico musicofilo Carlo
Gesualdo principe di Venosa sono un
accumulo di eccezioni che offuscano
la regola, un piatto così speziato che il
peperoncino tende a coprire il sapore
della vivanda. Per altro verso, ciò che
era raffinata escogitazione per qualcuno (Claudio Monteverdi e la cerchia
della corte gonzaghesca per cui lavorava, tra Cinque e Seicento), ad altri
suonava come intollerabile abuso (il
compositore e teorico bolognese padre
Giovanni Maria Artusi, che attaccò
pubblicamente quelle che considerava
astruserie).
L’Italia musicalmente unita,
potenza artistica europea
lungo tutta la Penisola. Alla Venezia di
Adriano Willaert, Rore, Monteverdi,
possono fare da contrappeso geografico i reami spagnoli di Napoli (con
Jean de Macque, Rocco Rodio, Scipione
Dentice, Montella, Gesualdo) e della Sicilia (Gian Domenico Martoretta, Pietro Vinci, Antonio Il Verso, Pietro Maria Marsolo). In mezzo, le corti degli
Este a Ferrara (con Luzzasco Luzzaschi)
e dei Gonzaga a Mantova (con Wert e
Monteverdi), la Roma delle corti nobiliari e cardinalizie (con Marenzio): per
non dire di decine di altri centri urbani, grandi e piccoli. Per la prima
volta, un genere di musica vocale in lingua italiana unificava idealmente tutta
la Penisola.
Ma il madrigale è stato anche il primo
genere di musica italiana a godere di
ampia rinomanza europea e avere una
sua precisa identificabilità: il punto
d’avvio di un primato che poi l’opera in
musica rafforzerà e consoliderà su scala
ancora maggiore. Forse cominciò lì a
prender corpo lo stereotipo dell’italiano
sentimentale: prima che melodrammatico, nella raffinata estroversione dell’espressività madrigalesca.
Paolo Fabbri
Università di Ferrara
Diffuso in aree sociali e su livelli plurimi, nel giro di pochi decennî il fenomeno “madrigale” s’irradiò in pratica
BIBLIOGRAFIA
L. Bianconi, Il Cinquecento e il Seicento, in Letteratura italiana, VI (Teatro, musica, tradizione dei classici), Einaudi, Torino 1986, pp. 319363.
L. Bianconi, Il Seicento [1982], Storia della musica, IV, EDT, Torino 19912.
A. Einstein, The Italian Madrigal, Princeton University Press, Princeton 1949.
P. Fabbri - M.C. Bertieri (a cura di), Musica e società. Dall’Alto Medioevo al 1640, McGraw-Hill, Milano 2012 (Capitoli V e VII).
P. Fabbri (a cura di), Il madrigale tra Cinque e Seicento, Il Mulino, Bologna 1988.
I. Fenlon - J. Haar, L’invenzione del madrigale italiano, Einaudi, Torino 1992.
J. Kerman, The Elizabethan Madrigal, American Musicological Society, New York 1962.
E. Vogel - A. Einstein - F. Lesure - C. Sartori, Bibliografia della musica italiana vocale profana pubblicata dal 1500 al 1700, StaderiniMinkoff, Pomezia-Genève 1977.
Nuova Secondaria - n. 5 2014 - Anno XXXI
57