Arnaldo Pontis

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Arnaldo Pontis
Arnaldo Pontis
Chiamerò questa cosa pietà
il tuo cane,
nero segugio
bruciato dal sole
ti seguirà
fino alle porte delle trenta città
dalla forma di rettile antico
chiederai il mio veleno
e io ti rinnegherò
e chiamerò questa cosa
empietà
il tuo cane,
scuro d'indugio
ricoperto di sale,
ti aspetterà,
chino alla sorte
della tua crudeltà
solo al termine
solo al termine
dell'inutile attendere
il coro
solo al termine
davvero solo al termine
della cenere grigia del toro
solo al termine
davvero, solo al termine
di questa stupida guerra
di questo stupido gioco
solo al termine
davvero soltanto al termine
e tu piangerai
e io chiamerò questa cosa
viltà.
il tuo cane rosso rifugio
carne alle porte
armi sul trono
e membra risorte
avido e prono
fino alla morte
ti prenderà
col capo chino, chino alla corte
della tua avidità
e tu urlerai
e io chiamerò
questa cosa
civiltà
tu urlerai
e io se vorrò averti
ti avrò
come un lurido animale
a quattro zampe nel fango
ti avrò
nella melma screziata di sangue
ti avrò
e tu piangerai
mi supplicherai
e io chiamerò questa cosa
viltà
tu piangerai
e io sentirò
i miei nervi mutarsi in midollo
chiamerò questa cosa pietà.
Il cane delle stelle
Sono il tuo cane delle stelle
sono sempre solo e piango,
sono il tuo cane delle stelle
sono sempre solo e piango.
Il vento è sole e tempo e mi porta via
una pelliccia folta e sporca
trovo nel sangue la scelta
e la strada del ritorno.
sono il tuo cane delle stelle
sono sempre solo e stanco,
sulla strada nella notte,
che mi conduce al branco
sono sempre solo e stanco,
sono fatto di brace e fango.
Sono il tuo cane delle stelle
sono sempre solo e piango
sono il tuo cane delle stelle
sono sempre solo e piango
sono il tuo uomo nella luce
sono il solo che ti conduce
alla gloria e al rimpianto,
sono il tuo destino infranto,
ti sono sempre lontano
e ancora, assente, manco.
sono il tuo cane delle stelle
sono il tuo uomo amico,
il tuo amante nemico,
sono il tuo pianto antico,
sono sempre solo e franco
alla fine emergo, bianco
e come il punto alto di risalita
alla fine dell'apnea ti invito.
Corda Jena
All'intero trittico estatico,
di corpi sparsi intorno;
al cerchio iniziatico,
dell'andare ritorno.
Alle anse e le ansie
di questa era elettrostatica,
al turbinio di turbini e turbine,
di vortici e vertigini magnetiche.
All'immenso immerso
dell'animale acquatico,
al liquido sommerso
dell'anima meticcia.
All'odore di stallatico
dell'ironia posticcia.
Al bronzo antico e attico
di bestia malaticcia.
Alla bestemmia esplicita
di una bambina bionda,
nuda oscena immonda,
coinvolta nella recita,
travolta nella ronda
e il sangue ancora gronda.
All'ultima madre puttana
al suo stringere i denti,
per non sentirla strana,
nel prenderne la carne,
torrida corrente schiuma,
morso mascella cane,
al ruscello di bianca spuma
nascosto sotto la sottana.
Io brindo.
Disfatto all'alba bara
sottratto ai sensi vuoti,
attratto alla catena,
estratto in sorte rara.
Mi pesa una sorda tara
di arsura e piena pena
dei volti ancora ignoti
alla mia lorda schiena.
Io brindo ma la bevuta è vana.
E la corda attende, jena.