Il tricolore e la Bibbia. Protestanti francesi a Napoli fra

Transcript

Il tricolore e la Bibbia. Protestanti francesi a Napoli fra
Marco Rovinello
Il tricolore e la Bibbia. Protestanti francesi a Napoli fra
Restaurazione e Unità
Napoli, protestanti e francesi: storie già note?
Come la letteratura ha ormai da qualche tempo confermato, a fare
della Napoli sette e ottocentesca “una testa immensa su di un corpo esile”, secondo la celebre metafora di Filangieri1, non contribuiscono solo i
considerevoli flussi migratori interni che corrono lungo l’asse periferiacentro, ma anche quelli che legano idealmente la capitale borbonica alle
altre sponde del Mediterraneo, agli angoli più remoti d’Europa e persino
al Nuovo mondo.
Tra le centinaia di migliaia di persone che affollano i vicoli della
città negli ultimi anni del XVIII secolo e nel sessantennio preunitario
vi sono infatti anche i membri delle numerose Nationes straniere che, a
volte da tempo immemore, hanno fatto del porto partenopeo la sede
delle loro attività commerciali e del regno napoletano la loro seconda
patria. Inglesi, svizzeri, olandesi, tedeschi e francesi, per non citare tutti
coloro che provengono dagli altri stati della Penisola, sono una presenza ormai familiare ai sudditi di Sua Maestà il re Borbone, soprattutto a
quelli che fanno dell’industria e del commercio la loro principale attività
professionale.
I contemporaneisti e, in misura largamente maggiore, i modernisti
hanno indagato a fondo le modalità con cui si estrinseca l’azione economica di questi soggetti, le sue conseguenze sullo sviluppo del Mezzogiorno, la sua capacità di influenzare le politiche economiche borboniche o
comunque di adattarsi al variare del quadro politico-economico interno
1
L’espressione di Filangieri è citata in Guido D’Agostino, Re, Viceré, rivolte. Profili e
vicende di storia napoletana, ESI, Napoli 1993, p. 59.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
13
09/06/2010, 16.06
14
Scrivere – MARCO ROVINELLO
ed internazionale senza mai perdere la propria centralità nel mercato meridionale2.
Più di recente, il focus degli studi sulla presenza straniera in Italia, ed in
particolare nel Mezzogiorno, si è spostato invece sul ruolo che le identità
nazionali e religiose hanno nel contribuire al successo – o all’insuccesso
– di quegli individui che scelgono di tentare la fortuna lontano da casa.
Ne è venuto fuori un quadro interessante che, pur nel diverso declinarsi
del modello generale, nel complesso suggerisce come ancora per buona
parte del XIX secolo la religione e l’appartenenza cetuale costituiscano
dei collanti molto più efficaci dell’afferenza nazionale, influenzando in
maniera decisiva l’agire sociale ed economico degli immigrati.
Lo dimostrano le storie dei valdesi in Piemonte e degli evangelici a Bergamo3, per non parlare di quelle minoranze che trovano asilo
in importanti città portuali come la Livorno granducale4 e la Trieste
2
Per l’età moderna cfr. Gigliola Pagano de Divitiis, Mercanti inglesi nell’Italia del Seicento.
Navi, traffici, egemonie, Marsilio, Venezia 1990; Ruggiero Romano, Il commercio franco-napoletano
nel secolo XVIII, in Id., a cura di, Napoli dal Viceregno al Regno, Einaudi, Torino 1976, pp. 67122; Patrick Chorley, Oil, Silk and Enlightenment. Economic Problems in XVIIIth century Naples,
Istituto italiano per gli studi storici, Napoli 1965. Per l’Ottocento si vedano Silvio de Majo,
L’industria protetta. Lanifici e cotonifici in Campania nell’Ottocento, Athena, Napoli 1989; John A.
Davis, Società e imprenditori nel Regno Borbonico (1815-1860), Laterza, Roma-Bari 1979; Luigi
De Rosa, Iniziativa e capitale straniero nell’industria metalmeccanica del Mezzogiorno 1840-1904,
Giannini, Napoli 1968.
3
Sui valdesi cfr. Paolo Cozzo et al., a cura di, Valdesi e protestanti a Torino (XVIII-XX
secolo), Silvio Zamorani Editore, Torino 2005; più centrato sulla componente protestante
della business community torinese Gian Paolo Romagnani, I valdesi nel 1848. Dall’emancipazione
alla scelta italiana, in Bruno Bellion et al., a cura di, Dalle valli all’Italia. I valdesi nel Risorgimento
(1848-1998), Claudiana, Torino 1998, pp. 71-101. Su Bergamo si vedano Cinzia Martignone, La comunità evangelica di Bergamo dal 1848 al 1880, in “Annali della Facoltà di Lettere e
Filosofia dell’Università di Milano”, 1996, IL , pp. 27-70; Id., La comunità evangelica di Bergamo
(1807-1848), in “Archivio Storico Lombardo”, 1994, n. 120, pp. 305-350.
4
Su Livorno si vedano Michela D’Angelo, Mercanti inglesi a Livorno 1573-1737. Alle
origini di una “British Factory”, Istituto di studi storici G. Salvemini, Messina 2004; Silvia
Marzagalli, Borghesia italiana e tedesca a confronto. I negozianti di Amburgo e Livorno agli inizi del
XIX secolo, in Marco Meriggi, Pierangelo Schiera, a cura di, Dalla città alla nazione. Borghesie
ottocentesche in Italia e in Germania, Il Mulino, Bologna 1993, pp. 65-85; Giangiacomo Panessa,
Le comunità greche a Livorno. Tra integrazione e chiusura nazionale, Belforte, Livorno 1991; David
G. Lo Romer, Merchants and Reform in Livorno 1814-1868, University of California, Berkeley
1987. Sul peculiare caso degli ebrei livornesi si sofferma invece il recente Carlotta Ferrara
degli Uberti, La nazione ebrea di Livorno dai privilegi all’emancipazione 1814-1860, Le Monnier,
Firenze 2007. Particolare è infine la vicenda degli arabi cattolici ripercorsa da Guido Belletti Ceccoli, Tra Toscana e Medioriente. La storia degli arabi cattolici a Livorno (sec. XVII-XX),
Editasca, Livorno 2008.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
14
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
15
austriaca5. D’altronde la notevole capacità della comune religione di cementare i gruppi di negozianti stranieri al di là delle appartenenze nazionali è una costante nelle nationes mercantili, tanto in età moderna quanto
all’indomani della Rivoluzione, anche in diverse altre piazze europee e del
Mediterraneo6.
Non stupisce dunque che, anche nel limitato caso di studio napoletano, quelli che per la letteratura degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta
sono semplicemente gli inglesi, il capitale tedesco e i “colonizzatori”7
svizzeri con le loro fabbriche, le agenzie e le navi, a partire dagli anni
Novanta diventino piuttosto la colonia britannica per lo più di credo
anglicano che Barbara Dawes tratteggia nella sua netta separazione dai
cattolici napoletani8, o la minoranza protestante studiata da Daniela
Luigia Caglioti: mercanti e imprenditori che partecipano attivamente
all’industrializzazione del Regno ed al suo faticoso ingresso nel mercato
mondializzato ridisegnato dalla ‘rivoluzione commerciale’, ma lo fanno
seguendo un percorso parallelo e sfruttando risorse in parte diverse da
quelle degli operatori locali, colleghi con cui i rapporti sono minimi e
5
Tra gli altri studi si vedano Pierpaolo Dorsi, Stranieri in patria. La parabola del gruppo
minoritario tedesco nella Trieste austriaca, in “Clio”, 2001, n. 37, pp. 5-58; e sulla minoranza
ebraica i contributi di Tullia Catalan, La comunità ebraica di Trieste (1781-1914). Politica, società e
cultura, Lint, Trieste 2000, e Lois C. Dubin, The Port Jews of Habsburg Trieste. Absolutist Politics
and Enlightenment Culture, Stanford University Press, Stanford 1999.
6
Dei molti esempi possibili mi limito a ricordare i cas di Bordeaux (Michel Espagne,
Bordeaux Baltique. La présence culturelle allemande à Bordeaux aux XVIIIe et XIXe siècles, Editions
du CNRS, Bordeaux 1991; Paul Butel, Les négociants allemands de Bordeaux dans la deuxième
moitié du XVIIIe siècle, in Jürgen Schneider, a cura di, Wirtschaftskräfte und Wirtschaftswege,
Klett-Cotta, Stuttgart 1978, pp. 589-613; Georges Dupeux, L’immigration britannique à Bordeaux au XIXe siècle et au début du XXe, in “Revue Historique de Bordeaux”, 1974, n. 23, pp.
233-241), Amburgo (Silvia Marzagalli, Città portuali e minoranze etniche. Amburgo, Bordeaux
e Livorno tra Sette e Ottocento, in “Archivi e Imprese”, 1997, n. 16, pp. 365-383), Salonicco
(Mark Mazower, Salonicco, la città dei fantasmi. Cristiani, mussulmani ed ebrei tra il 1430 e il 1950,
Garzanti, Milano 2007), Smirne (Marie-Carmen Smyrnelis, Une ville ottomane plurielle. Smyrne
aux XVIIIe et XIXe siècles, Editions Isis, Istanbul 2006; Id., Une société hors de soi. Identités et
relations sociales à Smyrne aux XVIIIe et XIXe siècles, Peeters, Leuven 2005; Oliver Jens Schmitt,
Levantins, Européens et jeux d’identité, in Marie-Carmen Smyrnelis, a cura di, Smyrne, la ville
oublié? 1830-1930, Autrement, Paris 2006, pp. 106-119) e Costantinopoli (Thomas David,
La colonie suisse de Constantinople 1850-1918, in Méropi Anastassiadou, Bernard Heyberger,
a cura di, Figures anonymes, figures d’élite. Pour une anatomie de l’Homo ottomanicus, Isis, Istambul
1999, pp. 177-212).
7
Riprendo l’espressione dal felice titolo del volume di Lorenzo Zichichi, Il colonialismo
felpato. Gli svizzeri alla conquista del Regno delle Due Sicilie (1800-1848), Sellerio, Palermo 1988.
8
Barbara Dawes, British merchants in Naples 1820-1880, ESI, Napoli 1991.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
15
09/06/2010, 16.06
16
Scrivere – MARCO ROVINELLO
spesso difficili, proprio perché percepiti come diversi in quanto cattolici,
più che in quanto alloglotti o sudditi di un altro sovrano9.
D’altro canto, diffidenza e indifferenza sono ampiamente ricambiate.
Ed è questo clima di sospetto costantemente alimentato dalla Chiesa cattolica che contribuisce, forse ancor più del radicato senso di superiorità
etico-morale di evangelici e anglicani, a produrre una forte reazione identitaria, soprattutto negli uomini d’affari provenienti dall’Europa centrale.
Si tratta di una risposta decisa e coerente, che trova espressione tanto nella sfera economica – dove i protestanti finiscono per costituire un gruppo
economico10 pressoché impermeabile a contributi estranei alla comunità e
dove le fabbriche dei vari Wenner, Züblin e Vonwiller divengono il principale teatro di un paternalismo esplicitamente esclusivo – quanto in quella
sociale, che si configura di generazione in generazione sempre più come
un microcosmo a sé stante, incentrato sulla Deutsche-französische evangelische Gemeinde in Neapel (Comunità evangelica franco-tedesca di Napoli)11.
Come altrove in Italia12, la Comunità rappresenta un punto di riferimento per una pluralità di denominazioni protestanti (dai riformati
sino ai luterani e agli zwingliani) e di nazionalità. Tuttavia al suo interno
prevalgono fedeli provenienti dai cantoni svizzeri, cui fanno da contorno
gruppi più limitati di soggetti tedeschi, danesi, olandesi, prussiani e francesi. E proprio i francesi costituiscono all’interno dell’universo protestante nel Mezzogiorno preunitario un caso di particolare interesse. In primo
luogo perché essi rappresentano in realtà una sorta di minoranza della
minoranza all’interno dell’insieme dei migranti francesi presenti a Napoli, la cui ampia maggioranza porta con sé nel Sud Italia la fede cattolica
9
Sulla minoranza protestante nel Mezzogiorno ottocentesco cfr. Daniela Luigia Caglioti, Vite parallele. Una minoranza protestante nell’Italia dell’Ottocento, Il Mulino, Bologna
2006.
10
Per una puntuale discussione del concetto si rimanda a Mark Granovetter, Rivisitare
Coase. I gruppi economici nell’economia, in Mauro Magatti, a cura di, Potere. Mercati. Gerarchie, Il
Mulino, Bologna 1995, pp. 75-122.
11
Sul carattere contrastivo e contestuale dell’identità riflettono ormai da qualche
tempo sia l’antropologia che la sociologia. Si vedano per esempio Francesco Remotti, Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari 2005; Ugo Fabietti, L’identità etnica, Carocci, Roma 2004;
Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Laterza, Roma-Bari 2003.
12
I casi meglio noti sono quelli di Bergamo, Milano e Torino. Su Bergamo rimando
ai già citati contributi di Cinzia Martignone che, più recentemente, si è anche occupata del
caso milanese: Cinzia Martignone, Imprenditori protestanti a Milano 1850-1900, Franco Angeli,
Milano 2001. Su Torino vedi invece Ivan Balbo, Torino oltre la crisi. Una “business community” tra Otto e Novecento, Il Mulino, Bologna 2007.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
16
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
17
prevalente nella madrepatria. Ciò consente di avere un cospicuo gruppo
di confronto costituito da quei compatrioti che protestanti non sono e di
poter dunque verificare quanto l’adesione ad una delle confessioni acattoliche influenzi in un senso piuttosto che in un altro gli stili di vita, le scelte
e le strategie di persone che per il resto hanno tanto in comune: la cittadinanza, la madrelingua, lo status socio-professionale e a volte finanche il
dipartimento di origine.
In secondo luogo perché, al contrario di molti tra i propri correligionari, i migranti di origine francese hanno alle spalle uno Stato forte e dalla
lunga tradizione nazionale. Questa peculiare condizione offre ai sudditi
del re di Francia un collante alternativo a quello religioso ed un ombrello
istituzionale sotto il quale porsi (il Consolato, la Legazione) più solidi di
quelli a disposizione degli immigrati provenienti da altri paesi. Non che
una rappresentanza diplomatica danese, prussiana o svizzera non esista
a Napoli. Al contrario, in più d’una occasione sono proprio consoli e
ambasciatori ad intervenire contro le vessazioni cui il governo borbonico
sottopone i loro compatrioti. Tuttavia, sia nel caso dei migranti di origine
tedesca sia, a maggior ragione, per gli svizzeri prima della nascita dello
stato federale elvetico nel 1848, si tratta spesso di istituzioni modellate
secondo le logiche dell’antico regime, gestite non da officiers professionisti della diplomazia ma da qualche illustre esponente della comunità
disposto – per interesse personale o per spirito di servizio – a fungere
da anello di congiunzione tra la madrepatria ed i propri connazionali
emigrati nel Regno. È verosimile dunque che, sia nel loro agire quotidiano
sia agli occhi dei migranti, consolati e legazioni non rappresentino emanazioni dirette dello stato di appartenenza, in grado di coagulare attorno a sé
e di dare concretezza istituzionale ad un’eventuale esigenza di autorappresentazione e di rivendicazione identitaria su base esclusivamente nazionale. Ed anche quando ciò accade, la loro capacità d’azione è assai limitata,
dal momento che alle loro spalle vi sono entità politiche sub-nazionali (la
Prussia, le decine di regni, ducati e principati della Confederazione germanica, ecc.) o etnicamente composite (la Confederazione elvetica) il cui
potere contrattuale nei confronti delle Due Sicilie appare molto modesto,
soprattutto se paragonato a quello su cui fanno conto i diplomatici di
grandi potenze come l’Inghilterra e la Francia13.
13
Un esempio eloquente della capacità di pressione della diplomazia inglese sul governo borbonico è rappresentato dalla nota questione degli zolfi siciliani, di cui si occupa
Vincenzo Giura, La questione degli zolfi siciliani 1838-1841, Librairie Droz, Genève 1973.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
17
09/06/2010, 16.06
18
Scrivere – MARCO ROVINELLO
Di conseguenza, studiare il caso dei francesi in questa prospettiva
equivale a chiedersi se la maggiore forza contrattuale dei propri consoli
possa produrre tra i migranti di credo riformato una solidarietà su base
nazionale più forte di quella religiosa a cui essi pure fanno ricorso, e alla
quale i loro correligionari di nazionalità diverse sembrano a maggior ragione affidarsi nelle molteplici circostanze in cui i networks che legano i
membri della comunità si mostrano in grado di supplire alle deficienze
delle rispettive rappresentanze diplomatiche e magari, in continuità con
pratiche assai diffuse in ancien régime14, aprire loro le porte di altri e più
influenti consolati.
Infine, un altro elemento fa del caso di studio scelto per questo contributo un’utile cartina di tornasole per comprendere le logiche sottese
alla costruzione di una minoranza protestante nella Napoli preunitaria; un
gruppo che, nel 1826, da rete informale di relazioni personali si trasforma
in comunità, si formalizza e si istituzionalizza in soggetto collettivo. In
quanto acattolici in un paese confessionale, tutti i migranti che gravitano
attorno alla Gemeinde non sono soltanto visti con diffidenza dalla popolazione locale, ma sono oggetto di gravi limitazioni sul piano giuridico, che
vanno dal divieto di esercitare il proprio culto al mancato riconoscimento
delle unioni matrimoniali non celebrate dinanzi ad un ministro di Santa
Romana Chiesa15. Tuttavia, la comune lotta antinapoleonica e l’assenza di
veri e propri conflitti armati tra il Regno ed i paesi da cui molti migranti
stranieri provengono lasciano che le discriminazioni avvengano appunto
lungo un asse che rimane squisitamente religioso per tutto il periodo
preunitario.
Per i francesi, invece, il discorso è in parte diverso. Espulsi già nel
1793 in quanto francesi, e come tali miscredenti giacobini, veicoli del contagio repubblicano e appartenenti ad uno stato divenuto nemico, costoro
sono nell’occhio del ciclone anche ventidue anni dopo, quando il ritorno
di Ferdinando sul trono del restaurato regno napoletano produce una
lunga caccia ai fiancheggiatori del passato regime, in particolare a quanti
con Giuseppe Murat condividono origine, idioma e verosimilmente idee
politiche. Si tratta di una persecuzione strisciante, portato di una guerra
14
Restando al caso napoletano, si veda Roberto Zaugg, Stranieri di antico regime. Dialettiche conflittuali e trasformazioni istituzionali nella Napoli del Settecento, Tesi di dottorato discussa
presso l’Istituto di Scienze Umane di Napoli (SUM), 2008.
15
Angelo Mercati, Raccolta di Concordati su Materie Ecclesiastiche tra la Santa Sede e le Autorità Civili, vol. 1, 1098-1914, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1954.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
18
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
19
dal fortissimo carico ideologico ormai vinta sui campi di battaglia europei
ma sentita dal Borbone come sempre in corso all’interno dei propri domini, ancora abitati da troppi “sediziosi novatori”. Questa ostilità silenziosa
ma forte continua ad influenzare profondamente – soprattutto nei primi
anni della Restaurazione – il rapporto tra gli esponenti del governo napoletano ed i francesi presenti nel Regno: più di quanto non accada per gli
altri stranieri, che pure possono alimentare sospetti per la loro contiguità
con il potere filonapoleonico, per aver prestato servizio nella pubblica
amministrazione o nell’esercito murattiano, per l’ampia rete di relazioni e
la mobilità geografica di quanti svolgono attività mercantili ad alto livello
o anche solo per il loro essere dichiaratamente di credo riformato.
Se, come ha scritto Gérard Noiriel, “les conflits armés, la violence
collective sont des facteurs déterminants pour la diffusion du sentiment
d’appartenance à la nation”16, in questi frangenti coloro che provengono
dalla Francia non sono protestanti francesi, ma francesi e protestanti; una
condizione che impone di fare i conti con l’intrecciarsi delle appartenenze e di confrontarsi con la loro identità nazionale con un’urgenza che i
correligionari sudditi prussiani, soggetti di un qualche granduca tedesco
o cittadini di un cantone svizzero non avranno mai, potendosi barricare
dietro quell’estraneità alla politica che a molti di loro basta per mettersi al
riparo dalle ire regie17.
Ci si chiede quindi quale ruolo possa giocare l’identità religiosa di
fronte alla minaccia di un’immediata espulsione apparentemente fondata su un criterio di selezione prevalentemente nazionale; in che modo i
singoli soggetti riformulino le proprie appartenenze in seno alla famiglia nazionale e a quella dei fratelli nella fede; se la tenace affermazione
identitaria di cui danno prova i luterani e i calvinisti mitteleuropei in
tutti i luoghi d’Italia ove essi operano, ed in particolare quelli presenti
nel Mezzogiorno studiati da Caglioti, resista anche agli attacchi che lo
Stato napoletano sferra ai loro correligionari francesi, non in quanto
insieme riconoscibile dall’esterno ma come singoli individui ‘eretici’;
o se il particolare stress cui sono sottoposti questi ultimi produca un
alterarsi della geometria dei rapporti e dei vincoli interni all’universo
16
Gérard Noiriel, État, nation et immigration, Gallimard, Paris 2001, p. 204.
Sull’isolamento e sull’autoesclusione dalla vita politica del Regno si veda Caglioti,
Vite parallele, cit. (in particolare cap. V). Ad una strategia simile ricorrono anche molti dei
membri della Nation française: cfr. Marco Rovinello, Cittadini senza Nazione. Migranti francesi a
Napoli (1793-1860), Mondadori Education, Milano-Firenze 2009 (in particolare cap. IV).
17
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
19
09/06/2010, 16.06
20
Scrivere – MARCO ROVINELLO
protestante, di cui pure essi continuano a far parte sia prima sia dopo lo
shock dell’espulsione.
L’ipotesi da cui muovono queste pagine è che l’identità religiosa rappresenti un collante molto più efficace dell’afferenza nazionale, anche per
i riformati francesi. Ed è questa autopercezione che determina la struttura
e la natura delle loro reti di relazioni personali e professionali, più di quanto non riescano a fare la comunanza nazionale o linguistica.
Sul piano più generale della quotidiana esperienza di estraneità al
contesto ospite e della conseguente costruzione di una socialità largamente interna all’universo protestante, il caso dei migranti transalpini
sembra dunque ribadire il valore di risorsa che l’appartenenza alla ristretta
ma coesa comunità degli acattolici assume nella dialettica con la società
napoletana e con le sue istituzioni, soprattutto nei momenti di crisi. Allo
stesso tempo, però, esso smorza almeno in parte l’opposizione tra insiders
e outsiders che la letteratura ha spesso visto come dicotomica, descrivendo le strategie di tutti questi gruppi – e soprattutto di quelli stanziati nel
Meridione – come marcatamente etnocentriche18, alternative a qualsiasi
forma di cooperazione integrata con gli indigeni e capaci di generare reti
relazionali e solidarietà talmente esclusive da rendere i protestanti una
minoranza “parallela”19.
Accompagnandosi ad un’appartenenza statuale capace di garantire
forme di sostegno istituzionale di un certo peso e ad un’identità etnico-
18
Intendo qui ‘etnocentrismo’ nell’accezione di “parzialità degli individui a favore del
proprio gruppo etnico e contro gli altri gruppi” (James G. Kellas, Nazionalismi ed etnie, Il
Mulino, Bologna 1993, p. 13).
19
Tutti gli studi che si sono occupati di minoranze etno-nazionali e religiose nell’Italia
preunitaria hanno insistito, seppur con intensità diversa secondo il contesto preso in esame,
sul ruolo decisivo giocato dalla diversità religiosa nel generare forme di autoesclusione
rispetto alla società ospite. E ciò sia in età moderna che contemporanea. A tal proposito,
oltre ai lavori già citati, si vedano: Cinzia Martignone, Identità etnica e comportamento economico.
Note sulla storia degli imprenditori evangelici a Bergamo nell’Ottocento, in Franco Bonelli, Maria
Rosaria Stabili, a cura di, Minoranze e culture imprenditoriali, Carocci, Roma 2000, pp. 85-120;
Luisa Rubini, Fiabe e mercanti in Sicilia. La raccolta di Laura Gonzenbach. La comunità di lingua
tedesca a Messina nell’800, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1998; Vincenzo Giura, Storie di
minoranze. Ebrei, greci, albanesi nel Regno di Napoli, ESI, Napoli 1984; Michela D’Angelo,
Comunità straniere a Messina tra XVIII e XIX secolo, Perna edizioni, Messina 1995. Per il
caso siciliano una conferma a contrario è peraltro fornita da Ida Fazio, Temporanee confusioni.
Matrimoni e modelli di successo nelle comunità estere a Messina nell’Ottocento, in “Quaderni Storici”,
2001, n. 107, pp. 475-516, in cui l’uso dei cosiddetti processetti matrimoniali per misurare il
grado di endogamia degli stranieri a Messina dimostra come i cattolici incontrino molte
meno difficoltà ad integrarsi dei loro compatrioti protestanti. Apparentemente simile negli
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
20
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
21
nazionale in grado di offrire chiavi di accesso alla società ospite fuori dalla
portata di germanofoni mitteleuropei e britannici anglofoni, il capitale
sociale istituito attorno alla comunanza religiosa finisce infatti per costituire nell’esperienza di molti francesi riformati una sorta di risorsa supplementare, che si giustappone alle altre a loro disposizione senza privarli
di quelle garantite dalla ‘francesità’ nella sua duplice accezione giuridica e
cultural-linguistica20.
Se nella quotidianità l’appartenenza ad una minoranza religiosa resta
il criterio principe sotteso ai processi di distinzione o di concorrenza che
strutturano la socialità di questi individui, ciò non preclude mai la possibilità di ricorrere ad altre forme d’identità e al capitale sociale connesso
ad ognuna di esse, sino a ridefinire – nei casi più estremi – i termini ed
il significato stesso di ‘appartenenza’ alla comunità nazionale e a quella
evangelica.
Si tratta di una ridefinizione che avviene all’interno di regole comportamentali meno rigide di quanto non si potrebbe pensare sulla scorta degli
studi su altre minoranze religiose, sia prima che il gruppo protestante si
istituzionalizzi in comunità sia dopo il 1826. Ed è verosimile che una certa
elasticità rispetto alla sbandierata chiusura dei protestanti nei confronti
dell’ambiente meridionale caratterizzi anche le scelte di svizzeri e tedeschi. Tuttavia, grazie ai canali di dialogo che la minore distanza culturale
con gli indigeni apre loro, è nelle esperienze dei francesi che questa elasti-
esiti, ma in realtà difficilmente comparabile con il modus operandi dei protestanti per la
peculiare natura e per la condizione giuridica della natio ebraica, è invece quanto una letteratura in costante crescita ha finora dimostrato a proposito del comportamento delle
élites ebraiche nell’Italia ottocentesca; a solo titolo d’esempio si vedano: Barbara Armani,
Il confine invisibile. L’élite ebraica di Firenze 1840-1914, Franco Angeli, Milano 2006; Mirella
Scardozzi, Minoranze imprenditoriali. La presenza ebraica nell’industria cotoniera del pisano, in
“Archivi e Imprese”, 1998, n. 17, pp. 33-58; Vincenzo Giura, La comunità israelitica di
Napoli, 1863-1945, ESI, Napoli 2002; Germano Maifreda, Gli ebrei e l’economia milanese.
L’Ottocento, Franco Angeli, Milano 2000.
20
Uso il termine “capitale sociale” nell’accezione suggerita da Bourdieu (Pierre Bourdieu, Le capital social, in «Actes de la Recherche en Sciences Sociales», 1980, n. 31, pp. 2-3),
ossia quale «ensemble des ressources actuelles ou potentielles qui sont liées à la possession
d’un réseau durable de relations plus ou moins institutionnalisées d’interconnessaince».
Dell’ampia letteratura, per lo più sociologica, che si è occupata di meglio definire questo
concetto mi limito a segnalare Margaret Levi, Social and Unsocial Capital, in “Politics and
Society”, 1996, n. 24, pp. 45-55; Alejandro Portes, Social Capital. Its Origins and Applications
in Modern Sociology, in “Annual Review of Sociology”, 1998, n. 24, pp. 1-24; Robert D.
Putnam, Capitale sociale e individualismo. Crisi e rinascita della cultura civica in America, Il Mulino,
Bologna 2004.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
21
09/06/2010, 16.06
22
Scrivere – MARCO ROVINELLO
cità conosce le espressioni forse più estreme o se non altro, a causa della
tensione antifrancese dei primi anni postnapoleonici, quelle più evidenti
sul piano documentario.
La storia dei protestanti francesi nella Napoli della prima metà
dell’Ottocento è dunque la storia di un’identità capace di cementare un
insieme di migranti a dispetto di divieti e restrizioni, capace di costruire
un ‘noi’ sovranazionale nel secolo che vedrà l’esplodere dei nazionalismi
e di garantire ai membri della minoranza quelle risorse materiali e – soprattutto – immateriali necessarie ad alimentare meccanismi di autoriconoscimento e legami di fedeltà reciproca. Ma è anche la storia di un ‘fare
gruppo’ elastico e mutevole, di soggetti che non subiscono passivamente
le conseguenze delle loro identità ascrittive, che non si lasciano etichettare in maniera definitiva anche quando sembrano esprimere una convinta
adesione alla comunità, e che al momento opportuno si dimostrano capaci di negoziare con gli altri membri dell’insieme e con gli estranei ad esso
i termini delle loro molteplici appartenenze, millantandole, negandole,
associandole o opponendole secondo quanto occorre loro per cavarsi
d’impaccio nei momenti più difficili della loro storia napoletana.
Tra separatezza e apertura: riformati ma francesi
Come la letteratura ha ormai dimostrato, Napoli è senza dubbio una
delle possibili tappe nel continuo peregrinare di mercanti e imprenditori
d’oltralpe21, ma mai nel XIX secolo costituisce la meta di migrazioni elitarie davvero significative per consistenza dei flussi o per la loro capacità di
autoalimentarsi secondo il modello delle cosiddette catene migratorie22. E
21
Sulle migrazioni d’élite che attraversano l’Europa tra Otto e Novecento cfr. Klaus
J. Bade, L’Europa in movimento. Le migrazioni dal Settecento a oggi, Laterza, Roma-Bari 2001
[2000].
22
La netta dicotomia tra ‘chain migration’ e ‘impersonally organized migration’, qui ripresa per la sua utilità ermeneutica, risulta in realtà ormai superata, sia per l’insostenibilità di
una concettualizzazione troppo schematica, sia perché nella pratica dell’esperienza migratoria catene e migrazioni atomistiche s’intrecciano anche all’interno di gruppi di piccole
dimensioni come quello dei francesi oggetto di questo studio. Dell’ampia bibliografia sulle
migrazioni net-dependent cfr. Jan Lucassen, Leo Lucassen, a cura di, Migration, Migration History, History. Old Paradigms And New Perspectives, Peter Lang, Bern 1997; Charles Tilly, Transplanted Networks, in Virginia Yans-McLaughlin, a cura di, Immigration reconsidered. History,
sociology, and politics, Oxford University Press, New York-Oxford 1990, pp. 79-95.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
22
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
23
ciò vale a maggior ragione per gli uomini d’affari di fede riformata. Magari attratti dalla prospettiva di conquistare un mercato vasto e pressoché
privo di concorrenza locale, e forse tentati anche dalle agevolazioni fiscali
offerte dal governo borbonico agli imprenditori stranieri disposti a contribuire con i propri capitali e il proprio ingegno al decollo industriale del
Regno, i businessmen acattolici devono però fare i conti con le difficoltà e
le restrizioni imposte alla loro attività professionale – oltre che alla loro
vita privata – dal carattere confessionale della monarchia borbonica e
delle sue leggi.
Uomini d’affari come i Vonwiller, i Wenner o gli Züblin giungono nel
Mezzogiorno in maniera sostanzialmente autonoma, frutto di
tante scelte individuali che si saldano e danno luogo, all’arrivo, alla
formazione di una piccola minoranza etnico-religiosa che nel corso del
tempo sviluppa un’identità forte e separata e i cui confini sono fissati,
almeno fino alla metà degli anni sessanta, non nella provenienza geografica ma nell’appartenenza religiosa23.
Ed anche la presenza di un piccolo nucleo di riformati di nazionalità
francese pare in una certa misura la conseguenza di migrazioni individuali
e di reti relazionali costruite a seguito dell’esperienza migratoria e non
preesistenti ad essa.
Un’altra parte della migrazione protestante proveniente dalla Francia
ha però caratteristiche antitetiche rispetto a quella dei correligionari mitteleuropei ed anche dei compatrioti di fede cattolica24: non solo perché
è possibile individuare con una certa nettezza una comune origine geografica degli immigrati e quindi circoscrivere una sorta di piccolo bacino
migratorio25, ma anche perché il viaggio verso Napoli assume in questi
23
Daniela Luigia Caglioti, Élites in movimento. L’emigrazione svizzero-tedesca a Napoli nell’Ottocento, in Angiolina Arru, Franco Ramella, a cura di, L’Italia delle migrazioni interne. Donne,
uomini, mobilità in età moderna e contemporanea, Donzelli, Roma 2003, p. 212.
24
Sul carattere atomistico e non lineare delle migrazioni francesi che toccano il Mezzogiorno cfr. Marco Rovinello, Roberto Zaugg, L’insostenibile linearità dell’essere. Cesure politiche
e percorsi migratori francesi a Napoli tra Sette e Ottocento, in Angiolina Arru et al., a cura di, Donne
e uomini migranti. Storie e geografie tra breve e lunga distanza, Donzelli, Roma 2008, pp. 323-347.
25
Sul dibattito relativo alle potenzialità e ai limiti del concetto di ‘bacino migratorio’
si vedano Michel Genty, Pierre Laborde, L’immigration dans les villes et les bourgs de deux pays
aquitains: Périgord, Pays Basque et sud-ouest des Landes. 1954-1962, Maison des sciences de
l’homme d’Aquitaine, Bordeaux 1977 ; Jean Pierre Poussou, Mobilité et migration, in Jacques
Dupâquier, a cura di, Histoire de la population française, vol. 2, PUF, Paris 1988, pp. 99-143.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
23
09/06/2010, 16.06
24
Scrivere – MARCO ROVINELLO
casi un evidente carattere network-mediated, che spesso poi si traduce in
forme di socialità etnocentrica una volta arrivati in città.
Certo, il numero assai modesto dei francesi riformati presenti a Napoli – appena una sessantina di persone – rende questi fenomeni difficilmente paragonabili alle catene migratorie individuate, per esempio, nei
flussi transoceanici di fine Ottocento o in quelli tutti interni al territorio
italiano sviluppatisi lungo l’asse sud-nord negli anni Sessanta e Settanta
del secolo successivo26. Tuttavia, non pare privo di significato il dato che
vuole quasi un terzo (32,1%) dei protestanti di nazionalità francese provenire da soli tre luoghi (Strasburgo, Mulhouse e Sélestat) e concentrare il
proprio arrivo a Napoli in periodi assai limitati: il 60,9% di loro giunge o
nel biennio 1806-07 o nel lasso di tempo compreso tra il 1817 ed il 182027,
mentre il restante 39,1% distribuisce l’approdo nella capitale borbonica
lungo i restanti quarant’anni che separano la dinastia dei Borbone dal
fatale scontro con Garibaldi. Peraltro, anche quando il momento dell’arrivo è differito nel tempo – ed a volte lo è anche di anni – spesso si tratta
comunque di forme di emigrazione connesse alla precedente presenza di
compatrioti nel luogo d’arrivo, quando non proprio di ricongiungimenti
familiari, come per esempio nel caso dei Berthaud28.
Sembra confermarlo la stessa distribuzione di costoro sul territorio
urbano. Se per i compatrioti cattolici né la ‘francesità’ né tanto meno
l’appartenenza a sottoinsiemi etno-regionali percepiti in patria come ‘diversi’ (bretoni, baschi, ecc.) riescono a generare forme d’insediamento in
qualche modo riconducibili a logiche etnocentriche29, nel caso dei prote-
26
Per rimanere al caso dell’emigrazione italiana verso le Americhe si vedano tra gli
altri Donna R. Gabaccia, Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, Einaudi, Torino 2003, e Piero Bevilacqua et al., a cura di, Storia dell’emigrazione italiana, 2 voll., Donzelli,
Roma 2002. Sui flussi che uniscono il Meridione e il Settentrione d’Italia nei decenni postbellici cfr. invece Enrico Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, Il
Mulino, Bologna 2002; e, in una prospettiva che integra l’approccio di genere con l’analisi
delle reti, il recente Anna Badino, Tutte a casa? Donne tra migrazione e lavoro nella Torino degli
anni Sessanta, Viella, Roma 2008.
27
Il dato è stato calcolato incrociando le informazioni anagrafiche ricavabili dagli atti
di stato civile della città di Napoli conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli [da ora
in poi ASN] con quelle registrate in Consulat Général de France à Naples [da ora in poi
CGFN], Registres d’immatriculation des français à Naples, voll. 1-3.
28
Ivi, vol. 1.
29
Sulla distribuzione degli immigrati francesi sul territorio urbano partenopeo cfr.
Rovinello, Cittadini senza Nazione, cit., in particolare pp. 79-89. Più sensibili al richiamo di
vicini della stessa nazionalità paiono invece gli svizzeri e gli inglesi, come si suggerisce in
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
24
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
25
stanti qualche accenno di una predilezione per i correligionari nella scelta
del domicilio traspare sia dalle carte del Consolato di Sua Maestà il re di
Francia sia in quelle della Comunità evangelica.
Certo, come altri grandi centri europei d’inizio Ottocento30, Napoli
è una metropoli densissima31. E quindi, forse ancor più che nella Parigi
descritta da Daniel Roche o nella Londra che fa da scenario a tanta letteratura sociale d’oltremanica, qui è pressoché impossibile dar vita a qualcosa
di almeno paragonabile ad una vera e propria ‘isola etnica’32.
Non bisogna solo fare i conti con una morfologia territoriale del tutto
peculiare, che pressa i 400.000 abitanti della capitale e gli ospiti stranieri
in un’area tutto sommato limitata, stretta tra il mare, le colline del Vomero e di Posillipo e le pendici del Vesuvio. Anche le caratteristiche del
mercato immobiliare partenopeo, con l’annuale scadenza dei contratti di
locazione il 4 maggio e l’uso assai diffuso di subaffittare gli appartamenti
o di dividerli tra più nuclei familiari, è un altro elemento che certo non
aiuta le eventuali spinte isolazioniste dei protestanti. E poi, in assenza di
una chiesa o comunque di un luogo di socialità riservata dal forte valore
Id., “Gente meccaniche” e identità nazionale. Artigiani, garzoni, militari e domestici svizzeri nella Napoli ottocentesca, in “Quaderni Storici”, 2006, n. 121, pp. 255-287, ed in Id., Essere straniero nella
Napoli del Decennio. Francesi, svizzeri e inglesi durante l’occupazione napoleonica, in Angelantonio
Spagnoletti, a cura di, Il governo della città, il governo nella città. Le città meridionali nel decennio
francese, Edipuglia, Bari 2009, pp. 185-216.
30
Si vedano tra gli altri i casi di Parigi (Daniel Roche, Il popolo di Parigi. Cultura popolare
e civiltà materiale alla vigilia della Rivoluzione, Il Mulino, Bologna 1986, in particolare cap. I) e di
Rouen (Jean Pierre Chaline, Les Bourgeois de Rouen. Une élite urbaine au XIXe siècle, Presses de
la Fondation Nationale des Sciences Politiques, Paris 1982, in particolare p. 163).
31
Sulla struttura urbanistica della Napoli ottocentesca cfr. Alfredo Buccaro, Istituzioni
e trasformazioni urbane nella Napoli dell’Ottocento, ESI, Napoli 1985; Paolo Macry, Borghesie, città
e Stato. Appunti e impressioni su Napoli, in “Quaderni Storici”, 1984, n. 56, pp. 339-384; Caudia
Petraccone, Napoli dal Cinquecento all’Ottocento. Studi di storia demografica e sociale, Guida, Napoli
1974, in particolare pp. 209-223.
32
Esempi compiuti di isola etnica sono in realtà più facilmente ritrovabili nelle
metropoli americane del XX secolo, favorite in tal senso da piante urbane regolari e dalla
tendenza ad aggregarsi di alcune comunità straniere massicciamente presenti negli Stati
Uniti, come quella cinese (cfr. Wei Li, Los Angeles’s Chinese “Ethnourb”. From Ethnic Service
Center to Global Economy Outpost, in “Urban Geography”, 1998, n. 19, pp. 502-517). Per una
riflessione sul rapporto tra spazi urbani e stranieri nelle città europee di età moderna e contemporanea cfr. invece Jacques Bottin, Donatella Calabi, a cura di, Les étrangers dans la ville.
Minorités et espace urbain du bas Moyen Âge à l’époque moderne, Maison de Sciences de l’Homme,
Paris 1999; Donatella Calabi, Paola Lanaro, La città italiana e i luoghi degli stranieri. XIV-XVIII
secolo, Laterza, Roma-Bari 1998.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
25
09/06/2010, 16.06
26
Scrivere – MARCO ROVINELLO
simbolico, attorno a cosa essi avrebbero potuto coagularsi? Si tratta evidentemente di obiezioni per nulla infondate, a cui si può aggiungere la
considerazione relativa al senso da attribuirsi ad una prossimità geografica
che potrebbe essere – e per i cattolici è senza dubbio – dettata in primo
luogo dal comune status socio-professionale e dall’agiatezza economica
di molti dei protestanti d’oltralpe censiti dalle nostre fonti, che impongono a banchieri e finanzieri di risiedere nelle limitate zone della ‘Napoli
bene’, rifuggendo al contrario le più ampie aree in cui si ammassa la popolazione meno abbiente. D’altronde, a Napoli come a Milano e a Bergamo, una solidarietà di ceto contribuisce in maniera decisiva a rafforzare i
legami nati in seno alla Comunità e forse, in qualche caso, ne costituisce
addirittura la premessa33.
Tuttavia, sebbene risiedere accanto a correligionari non significhi toutcourt voler evitare vicini di altra religione, né possa in alcun modo evitare
un quotidiano contatto con indigeni ed altri stranieri di fede cattolica, ciò
che si evince guardando la disposizione dei riformati francesi sulla cartina
della città di Napoli è che essi non disdegnano affatto questa possibilità,
ed in qualche caso la cercano esplicitamente, coagulandosi non tanto in
quanto francesi, bensì proprio in quanto acattolici. Nel 1845, per esempio, 17 dei 31 francesi iscritti alla Deutsche-französische evangelische Gemeinde risiedono nel raggio di pochissimi metri, in una zona della sezione San
Ferdinando che va dalla metà inferiore di via Speranzella, dove vivono la
famiglia Perret e gli Archinard, a vico San Mattia, dove trovano casa i loro
correligionari Barendson34.
Più o meno lo stesso si può dire per una rilevazione del 182335, in
cui ancora una volta i riformati si ritrovano per lo più gli uni vicini agli
altri, e per un’indagine sulla presenza di stranieri nella capitale datata 30
settembre 183136, capace di fotografare le scelte abitative dei membri
della Comunità da poco istituita e di restituire un analogo quadro di
33
Cfr. Martignone, Imprenditori protestanti a Milano, cit., p. 130, e Caglioti, Vite parallele,
cit., pp. 101.
34
Il dato si evince dai registri e dagli atti dello stato civile consolare relativi ai francesi
che compaiono nella Liste des Membres de la Communauté Evangélique allemande & française de
Naples au 1 janvier 1845, conservata presso l’Archivio della Comunità Evangelica di Napoli
[da ora in poi ACEN].
35
ASN, Prefettura di Polizia, Movimento stranieri, fascio [d’ora in poi f.] 2846, Stranieri di diverse nazioni che si trovano di aver fissati il domicilio a Napoli.
36
ASN, Prefettura di Polizia, Movimento stranieri, f. 2846, Esteri residenti in Napoli al
30 settembre 1831.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
26
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
27
convergenza attorno alle medesime strade. In entrambi i casi, peraltro, la
condivisione dello spazio urbano è un fatto al contempo infracomunitario
ed internazionale. Come all’interno della Gemeinde, infatti, la comunanza
religiosa abbatte le barriere nazionali e a volte persino quelle linguistiche,
come paiono suggerire la vicinanza tra la dimora di francofoni riformati
come i Beaux e quella del console prussiano d’origine boema Degen, la
condivisione dello stesso stabile tra gli svizzeri di area francofona Piot ed
alcuni membri della famiglia francese di madrelingua tedesca Im Thurn37,
e la più generale considerazione che l’allora console generale di Francia
affida ad un suo rapporto del 1821:
Hier M. Comte, négociant de Lyon, s’est adressé à moi dans le but
d’avoir un logement où se loger pour quelque mois. Il y a plusieurs
sujets français qui demandent des logements mais dans cette Capitale
les logements sont toujours fort difficiles à se procurer, surtout pour les
négociants qui ont à Naples une famille fort nombreuse et pour ceux
qui sont protestants et n’aiment pas bien vivre ensemble avec des nos
nationaux38.
Se al di là della sporadica testimonianza del conte de Bourcet resta più di un dubbio sul valore da attribuire alle scelte residenziali dei
riformati francesi, ciò nondimeno la dimensione prevalentemente etnico-religiosa delle loro reti di relazioni è confermata con ben altra forza
da due indicatori classici del livello d’integrazione degli stranieri in una
società ospite.
In primo luogo i matrimoni che, come nota Caglioti39, con i loro
costanti ed altissimi tassi di endogamia religiosa danno il senso della resistenza dei protestanti stranieri all’assimilazione nel contesto napoletano.
In un quadro generale delineato con estrema nettezza, il tratto specifico del comportamento dei francesi non è certo rappresentato da quel
37
Il domicilio si evince dai registri del Consolato francese (CGFN, Registres d’immatriculation des français à Naples, voll. 1-3) e dagli atti di stato civile consolari oggi raccolti
nel Volume dattiloscritto riassuntivo degli atti di Stato civile del Consolato e della Legazione francese
a Napoli per gli anni 1801-1886, disponibile in forma di dattiloscritto presso il Centre des
Archives diplomatiques de Nantes [da ora in poi CADN].
38
Archives du Ministère des Affaires Étrangères de France [da ora in poi MAEF],
Correspondance Consulaire et Commerciale, Naples, vol. 43, foll. 76-77, dispaccio del 13
maggio 1821.
39
Caglioti, Vite parallele, cit., in particolare pp. 148-171.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
27
09/06/2010, 16.06
28
Scrivere – MARCO ROVINELLO
complessivo 84,3% (43 su 51 matrimoni registrati) che opta per unioni
endogamiche sul piano religioso40, ma al massimo dalla loro maggiore
indifferenza nei confronti di unioni che aggiungano all’affinità di culto
quella linguistica (oltre un quarto sceglie di trascorrere la vita con qualcuno che è verosimile pensare di madrelingua non francese, in larghissima
parte italofoni e germanofoni41) e dalla minore propensione a tornare in
patria per trovare un/una partner e poi rientrare a Napoli (solo 3 casi, pari
ad appena il 5,8% del totale).
Così, mentre i compatrioti cattolici danno vita ad un considerevole
numero di unioni con indigeni e indigene42, le strategie matrimoniali dei
francesi protestanti somigliano in larghissima parte a quelle della famiglia
Im Thurn, mercanti di origine renana che, regolarmente immatricolati
in Consolato ed al contempo iscritti alla Deutsche-französische evangelische
Gemeinde sin dal 1827, tirano le fila di una rete parentale rigorosamente
separata da quella dei colleghi, con cui pure condividono interessi economici e luoghi di socialità43. In questo mercato matrimoniale parallelo, che
non a caso coincide in larga parte con quello cui attingono i correligionari
svizzeri e tedeschi, trovano alimento per tutto il sessantennio preunitario
strategie nuziali di conservazione identitaria che si tramandano senza
soluzione di continuità dai padri ai figli (il tasso di endogamia tra gli espo-
40
Intendo qui con ‘endogamici’ tutti i matrimoni contratti con fedeli di una qualsiasi delle diverse denominazioni protestanti (calvinisti, luterani, zwingliani, ecc.) e come
‘esogamici’ quelli con cattolici, mussulmani, ebrei e ortodossi. Il dato complessivo delle
unioni di riformati francesi è stato ottenuto sommando quelle celebrate presso la Gemeinde
e trascritte nei registri di matrimonio della Comunità a quelle riportate nello stato civile del
Consolato Generale di Francia a Napoli (Volume dattiloscritto riassuntivo degli atti di Stato civile
del Consolato e della Legazione francese a Napoli per gli anni 1801-1886, cit.). In questo modo,
però, sfuggono alla verifica le nozze avvenute fuori Napoli con protagonisti individui che
non vi abbiano fatto più ritorno o che siano tornati in città senza tuttavia registrarsi nuovamente presso i diplomatici transalpini.
41
Non potendo stabilire con assoluta certezza la lingua madre di questi individui, peraltro spesso poliglotti e abituati all’uso del francese quale lingua di comunicazione internazionale, si è scelto di considerare come madrelingua italiani coloro che risultano nati in uno
degli stati preunitari e madrelingua tedeschi coloro che provengono da regioni d’Europa a
maggioranza germanofona (Svizzera tedesca, Prussia, Confederazione germanica, ecc.).
42
Rovinello, Cittadini senza Nazione, cit., in particolare pp. 99-124.
43
Léonce sposa nel 1846 la milanese Émilie Muralt, la cui famiglia è iscritta alla Gemeinde, mentre Jean Conrad Albin porta all’altare la cugina Adélaïde Marianne Bernadette
Im Thurm, di quattordici anni più giovane ma di comprovata fede riformata. Cfr. CGFN,
Registres d’immatriculation des français à Naples, vol. 1; ASN, Atti di Stato civile, San
Giuseppe, Nati, vol. 2088.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
28
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
29
nenti della seconda generazione è pari all’83,4%, praticamente analogo
all’85,2% della prima), gli uni come gli altri indifferenti alla laica ‘religione
nazionale’ quanto sensibili al ricorrente richiamo all’unità comunitaria dei
pastori protestanti presenti in città44.
In secondo luogo, ed anche qui l’azione della componente francese
non fa che confermare il trend generale, il modesto numero delle richieste di naturalizzazione e delle conversioni. Se i francesi che abiurano la
fede protestante nel trentennio 1830-60 sono appena sei45, tra i quasi
500 migranti transalpini che in tutto il periodo considerato chiedono di
diventare sudditi del re Borbone i non cattolici sono appena otto e tutti
fanno domanda prima che il rescritto dell’11 settembre 1824 imponga
al naturalizzando il giuramento di fede cattolica46. Segno evidente che
la difficoltà nell’acquisire la cittadinanza regnicola non sta nella provenienza da un regno per lunghi tratti percepito dal governo borbonico
come ostile o nella necessità per il richiedente di rinnegare la propria
‘francesità’, quanto piuttosto nell’obbligo di rinunciare al proprio credo
religioso47.
Una maggiore apertura pare invece riscontrarsi in quei momenti di
socialità che il corpo diplomatico francese organizza per celebrare festività pubbliche o ricorrenze. In nome del comune milieu mercantile, nelle
sale del Consolato sembrano cadere le barriere interreligiose e si possono
intravedere i cordiali rapporti che paiono legare uomini d’affari cattolici
come i Degas e gli Achard con i loro colleghi riformati, ampiamente rappresentati nelle liste des individus notables da invitarsi a palazzo nelle occasioni che contano48. Queste feste, che di tanto in tanto rievocano la socia-
44
Cenni ai frequenti richiami dei pastori protestanti ad una stretta omogamia religiosa
sono in Caglioti, Vite parallele, cit., in particolare pp. 157-158.
45
Caglioti, Convertirsi per integrarsi? Immigranti protestanti stranieri a Napoli nell’Ottocento, in
Arru et al., a cura di, Donne e uomini migranti, cit., pp. 349-364.
46
Collezione delle Leggi e Decreti reali del Regno di Napoli, 1817: decreto del 17 dicembre 1817.
47
Le liste dei soggetti naturalizzati sono in ASN, Ministero di Grazia e Giustizia,
Naturalizzazioni, f. 1160; ed ASN, Collezione delle leggi e decreti originali, f. 87, decreto del
20 gennaio 1820. Com’è noto, la normativa che regola la naturalizzazione degli stranieri
a sudditi del Regno prevede, a partire dal 1824, l’obbligo di piena adesione alla religione
cattolica apostolica romana; cfr. Collezione delle Leggi e Decreti reali del Regno di Napoli, 1824:
decreto dell’11 settembre 1824.
48
Cfr. per esempio CADN, Postes diplomatiques et consulaires, Naples, Legation, vol. 49.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
29
09/06/2010, 16.06
30
Scrivere – MARCO ROVINELLO
lità tipica della Nation mercantile di antico regime con i suoi cosmopoliti
protagonisti (i banchieri svizzero-protestanti Meuricoffre e Falconnet, il
valdese Louis Reymond, i cattolici d’origine piemontese François Angleys
e Jean Pierre Raby, ecc.49), sono il sintomo di un reciproco riconoscimento in quanto membri della comunità degli affari e testimoniano, se non
altro, la necessità di mantenere contatti con i colleghi a prescindere dalla
loro identità nazionale e religiosa.
Eppure, sebbene indicative di una socialità che almeno sporadicamente varca i limiti del gruppo economico costituito attorno alla comune
alterità religiosa, nel complesso tali occasioni d’incontro non riescono a
scalfire la chiusura etnocentrica della componente protestante della minoranza francese e a tradursi in un’intensa collaborazione professionale
o in durature relazioni di natura amicale e sentimentale. Ne è prova, in
primo luogo, la pressoché totale assenza di partnerships commerciali tra
francesi cattolici e loro compatrioti protestanti50, a fronte delle molteplici
circostanze in cui questi ultimi preferiscono mettersi in affari da soli o
prendere parte a società in collaborazione con correligionari51. D’altro
canto, se nel lungo periodo la sproporzione tra legami forti e deboli si
rivelerà fatale ad alcune tra le più importanti imprese straniere nel Regno
49
Sulla presenza nel tardo Settecento di soggetti non francesi all’interno della Nation
française de Naples cfr. Zaugg, Stranieri di antico regime, cit., in particolare pp. 216-238.
50
È quanto emerge dallo spoglio delle seguenti serie archivistiche: ASN, Tribunale
di Commercio di Napoli, Atti di società depositati, ff. 302 e 1884; ASN, Tribunale di Commercio di
Napoli, Atti di Società, Registri dei verbali di trascrizione, ff. 1887, 1888,1889, 358, 515, 580, 642,
696, 758, 871 e 2533.
51
È estremamente difficile quantificare con precisione il numero delle società endogamiche cui prendono parte i francesi riformati. Ciò perché solo una parte minoritaria
di esse assume le forme giuridiche dell’accomandita o della società in nome collettivo, le
uniche per cui la legislazione napoletana imponga la registrazione presso il Tribunale di
Commercio (Codice per lo Regno delle Due Sicilie. Parte V «Leggi di eccezione per gli affari di Commercio», Stamperia Reale, Napoli 1819, libro I, titolo III, cap. I, artt. 34-37 e 47). Tuttavia, è
significativo che le uniche società registrate in cui siano presenti protestanti di nazionalità
francese risultino del tutto interne alla business community riformata, e che nelle Sentenze
del Tribunale di Commercio napoletano, a fronte di sei casi di associazione con indigeni
o italiani verosimilmente cattolici, risultano nel periodo preunitario almeno venticinque
diverse maisons in cui sono impegnati – nella gestione o come semplici accomandatari
– uomini d’affari d’origine francese o straniera di comprovata fede acattolica: cfr. ASN,
Tribunale di Commercio di Napoli, Sentenze, 1815 (ff. 100-111), 1825 (ff. 340-351), 1835
(ff. 564-575, tranne l’indisponibile f. 566 relativo al mese di marzo), 1845 (ff. 764-775) e
1855 (ff. 1089-1101).
52
Cfr. Caglioti, Vite parallele, cit., pp. 299-300.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
30
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
31
(in particolare i cotonifici Wenner52), almeno sino all’Unità questo è un
rischio che non si corre ed anzi, per quanto sia possibile intuire in assenza
di bilanci e corrispondenze di queste aziende, tanto le iniziative personali
condotte dai francesi riformati quanto le maisons cui sono associati reggono assai bene il mercato hanno una durata media superiore a quella
delle concorrenti locali e dei connazionali cattolici, sono inserite in reti
internazionali che non si limitano a connetterli alla madrepatria ma li
mettono in costante contatto con diversi operatori attivi nei grandi centri
del commercio e della finanza europei, ed al contempo costituiscono una
presenza pressoché fissa sia nelle guide commerciali della città di Napoli
che nei periodici rapporti consolari sulle attività economiche riconducibili
ai membri della colonia53.
A confermare ulteriormente la chiusura dell’insieme protestante,
anche in ambito più strettamente personale, giungono poi le vicende
di alcuni suoi membri ormai da tempo nel Mezzogiorno. Per esempio
quanto accade nel 1854 al negoziante cattolico Baylé che, nell’annunciare
il suo prossimo matrimonio con l’anglicana madame Clauson, trova la ferma opposizione di colleghi e responsabili consolari, pronti a ricordargli
con fermezza che una cosa è la semplice frequentazione di fedeli di altre
chiese per affari o per ludo, come può accadere nelle stanze del Consolato o anche in salotti e clubs, tutt’altra è invece stringere con loro legami
parentali54.
Al pari di quanto si registra già nel Settecento55, dunque, essere protestanti magari non sbarra del tutto la strada a forme di collaborazione
con l’élite mercantil-imprenditoriale cattolica, come accade nel caso della
53
A titolo di esempio si vedano Giuseppe Genatiempo, La Guida ossia libro d’indirizzi de’negozianti, commercianti, banchieri, professori, artisti, etc., Filippo Serafini, Napoli 1853, e
MAEF, Correspondance Consulaire et Commerciale, Naples, vol. 53, foll. 427-449, allegato
al dispaccio del 20 novembre 1853.
54
Ivi, vol. 54, fol. 117, dispaccio del 12 maggio 1854. Sulla socialità salottiera della
minoranza protestante cfr. Daniela Luigia Caglioti, Extraterritorialità, liberalismo e filantropia.
I salotti delle straniere a Napoli nell’Ottocento, in Maria Luisa Betri, Elena Brambilla, a cura di,
Salotti e ruolo femminile in Italia tra fine Seicento e primo Novecento, Marsilio, Venezia 2004, pp.
365-380.
55
Si ricordi tra le altre la nomina nel 1760 di Paul Liquier, esponente della nota dinastia mercantile ugonotta, a chargé d’affaires della Nazione francese a Napoli, in luogo del
titolare dell’ufficio consolare, monsieur Taitbout, assente dal Regno per diversi anni. Per un
approfondimento su questa significativa vicenda e più in generale sul rapporto tra identità
religiosa e assegnazione degli incarichi consolari nella Napoli del XVIII secolo si rimanda
a Zaugg, Stranieri di antico regime, cit., in particolare pp. 205-215.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
31
09/06/2010, 16.06
32
Scrivere – MARCO ROVINELLO
cartiera in cui collaborano il cattolico franco-piemontese Bernard Girard
ed il protestante svizzero Viollier56. Né rappresenta un fattore di discriminazione quando c’è da concedere incarichi di rappresentanza della
Nazione, come quelli che in tempi diversi vengono assegnati ad Antoine
Martin, viceconsole di Francia a Castellammare nel 182857, o al parigino
Pierre Joseph Pilavoine, stretto collaboratore del cancelliere Desjobert
nei primi anni Trenta e già “Secretaire du Chargé d’affaire de Hollande”58.
Tuttavia, nei momenti chiave della vita personale, l’appartenenza ad una
chiesa riformata rimane anche per i francesi un elemento identitario di
grande forza, capace di orientarne le principali scelte di vita secondo il
sistema valoriale che guida l’insieme protestante piuttosto che secondo
quello proprio della famiglia nazionale, cui pure essi formalmente dimostrano piena adesione attraverso la registrazione nelle liste consolari dei
sujets français stabiliti in città. E ciò accade anche prima che la minoranza
luterano-riformata si istituzionalizzi nella Comunità evangelica fondata in
casa Falconnet.
Una risorsa flessibile: ‘francesità’, identità religiosa e pluralità dei networks
Se dunque per tutto l’ultimo sessantennio preunitario la fede comune
costituisce il principale fattore di coesione per la minoranza protestante
nella sua quotidianità, indipendentemente dalla nazionalità e dalla denominazione degli individui, nei momenti di crisi il grado di formalizzazione del gruppo può costituire una variabile da tenere in debito conto nel
fissare l’appartenenza allo stesso, nell’uniformare i comportamenti e le
strategie dei singoli a quelli considerati dall’insieme come i più conformi
al sistema di valori condiviso.
Quando essere protestanti significa per lo più essere membri di
56
ASN, Tribunale di Commercio di Napoli, Atti di Società, Atti di società depositati,
f. 302, fol. 134.
57
MAEF, Correspondance Consulaire et Commerciale, vol. 46, foll. 323-324 e 325328, dispacci del 15 novembre 1828. La fede protestante di Martin è confermata dal battesimo che, il 17 luglio 1832, questi fa imporre alla neonata figlia Virginie Eloise Antoniette
presso la Gemeinde (ACEN, Registre des Mariages, atto n. 34 del 15 luglio 1832).
58
CGFN, Registres d’immatriculation des français à Naples, vol. 2. Il 3 maggio 1835
Pilavoine sposa presso la Deutsche-französische evangelische Gemeinde, di cui risulta membro
nel 1845, la concittadina Victoire Cardon (ACEN, Registre des Mariages, atto n. 42 del 3
maggio 1835).
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
32
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
33
una comunità istituzionalizzata, capace di esprimersi come soggetto
collettivo e di relazionarsi con le autorità locali in quanto tale, la letteratura presenta infatti il gruppo che ruota attorno alla Gemeinde come
graniticamente compatto, non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche
in quei delicati frangenti politici che il Regno attraversa nei suoi ultimi
quarant’anni di vita.
Tanto nel Quarantotto che al momento della definitiva caduta del
regime borbonico nel 1860, la voce della Comunità è – al di là di qualche
isolata nota dissonante – la voce della stragrande maggioranza dei suoi
membri, e tra questi anche di coloro che vantano una cittadinanza francese59. Ma cosa accade prima, quando luterani, zwingliani e protestanti di
altre denominazioni devono affrontare – senza poter ancora contare su
alcuno strumento istituzionale di matrice etnico-religiosa – i rivolgimenti
che l’onda lunga della Rivoluzione e delle imprese napoleoniche producono nel Mezzogiorno? Come agisce allora l’identità religiosa di costoro
nel ristrutturare le reti di relazione in funzione del mutato scenario normativo, oltre che politico? In che modo l’essere protestanti s’intreccia con
altre forme d’identità come quella nazionale o linguistica? E come, nello
specifico caso dei riformati francesi, questo essere ‘diversi’ non solo dagli
indigeni ma anche dai propri compatrioti di fede cattolica può incidere
nell’individuazione dei soggetti con cui fare gruppo? Infine, è possibile che
l’ingombrante etichetta identitaria apposta sui protestanti da una società
intrisa di cattolicesimo ed al contempo fieramente ostentata dagli stessi
migranti si trasformi, almeno in alcuni frangenti, nell’oggetto di un compromesso, se non addirittura in un flessibile strumento di contrattazione?
Se rinunciamo a volgere lo sguardo al periodo rivoluzionario60, il
momento in cui è possibile provare a dare una risposta a queste domande
coincide con i 3-4 anni immediatamente successivi alla fine dell’occupazione militare napoleonica: una fase di forte tensione tra il governo
59
Sulle prese di posizione dei protestanti nei concitati momenti del Quarantotto e del
1860 si vedano Daniela Luigia Caglioti, Minoranze e rivoluzione. I protestanti stranieri nel Mezzogiorno del 1848, in “Passato e Presente”, 2003, n. 59, pp. 37-61; e Id., Cambio di regime e libertà
di culto. La comunità protestante straniera a Napoli tra “garibaldimania” e brigantaggio (1860-1865),
in Paolo Macry, a cura di, Quando crolla lo Stato, Liguori, Napoli 2003, pp. 303-328.
60
Sull’espulsione del 1793 e sulle molteplici strategie negoziali adottate dai migranti
francesi di religione cattolica quanto riformata si rimanda a Roberto Zaugg, Guerra, rivoluzione, xenofobia. L’espulsione dei francesi dal Regno di Napoli (1793), in Franco Salvatori, a cura
di, Il Mediterraneo delle città. Scambi, confronti, culture, rappresentazioni, Viella, Roma 2008, pp.
299-322.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
33
09/06/2010, 16.06
34
Scrivere – MARCO ROVINELLO
borbonico e ciò che la Francia e i francesi rappresentano sullo scacchiere
geopolitico europeo e, soprattutto, nell’immaginario collettivo.
Dopo il suo ritorno dall’esilio siciliano, tra il 1815 e il 1817 Ferdinando inizia infatti un capillare repulisti in seno all’amministrazione regnicola.
A farne le spese sono in primo luogo i funzionari d’origine francese, la
cui vicinanza con il passato regime costituisce un marchio d’infamia che
è difficile scrollarsi di dosso.
Accomunate dall’esigenza di risultare convincenti agli occhi sospettosi
delle autorità locali, le strategie discorsive delle due anime della minoranza
transalpina – quella cattolica e quella riformata – appaiono però profondamente diverse. I cattolici sfruttano la comunanza linguistica e religiosa
per strappare al sovrano il riconoscimento della loro sostanziale (se non
formale) appartenenza al corpo della Nazione napoletana. I protestanti, ancora privi del sostegno di una formalizzata comunità di correligionari e con
una rappresentanza diplomatica caduta in disgrazia agli occhi dei Borbone,
sono invece costretti a riformulare la loro posizione all’interno delle reti di
relazioni in cui sono inseriti, in maniera da valorizzare quelle che possono
offrire loro un prezioso supporto e non rimanere prigionieri di quelle che
al momento risultano controproducenti. E, per farlo, non esitano a ricorrere ad un’altra risorsa identitaria, quella rappresentata dalla fede acattolica.
È il caso di monsieur Hoffmann che, originario di Strasburgo ma
suddito a tutti gli effetti dell’ormai restaurato Luigi XVIII, professa la
propria estraneità all’universo francese facendo riferimento – nella supplica inviata al monarca Borbone – non solo alla sua predilezione per la
lingua tedesca (“l’unica che il supplicante parlò sino da tenera età”) e alla
profonda avversione per le “perniciose idee rivoluzionarie di un popolo
incolto e violento”, ma anche al suo essere “fedele della Chiesa di Lutero
e di Calvino, come i fratelli Bonnet e Autran si pregiano di confermare
a V.M.”61. Lasciamo da parte cosa s’intenda per “Chiesa di Lutero e di
Calvino”, spia di quella percezione di somiglianza nella diversità che già
nel 1811 aveva prodotto un tentativo – poi abortito – di associazione tra
i fedeli delle diverse denominazioni acattoliche presenti in città62. Più interessante è qui riflettere sui nomi indicati da Hoffmann, che non paiono
per nulla scelti a caso all’interno dell’ampio novero di colleghi con cui il
negoziante francese ha quotidiani rapporti d’affari. Autori di una lettera
di referenze allegata al dossier, Louis Autran e Charles Bonnet non sono
61
62
ASN, Supremo Consiglio di Cancelleria, Espedienti, f. 45.
Caglioti, Vite parallele, cit., p. 100.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
34
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
35
solo due noti mercanti attivi sulla piazza di Napoli, capaci quindi di farsi
garanti della buona condotta politica e morale del richiedente; sono anche
personaggi influenti all’interno della rete che informalmente tiene insieme
i protestanti che fanno banca e commercio in città. Ed è probabilmente
anche grazie ai solidi rapporti con questa parte della business community
ed al forte valore identitario che questi conservano anche tra soggetti di
nazionalità diversa che l’ambasciata prussiana – da sempre sensibile alle
esigenze degli immigrati luterani e ben vista dalle autorità locali per il
ruolo centrale giocato dagli Hohenzollern nelle campagne antinapoleoniche – si affretta a scrivere una nota in cui dichiara tutti i membri della
famiglia Hoffmann sudditi di Federico Guglielmo III, in aperta contraddizione con la loro immatricolazione presso il Consolato Generale di
Francia in Napoli ed anche con quanto, un trentennio più avanti, lo stesso
Jacques Hoffmann dichiarerà al momento di costituire con il compatriota
cattolico Gazagne e lo svizzero protestante Basle la società in nome collettivo “Hoffmann, Gazagne & Basle”63.
L’identità religiosa e l’appartenenza a networks fondati sulla comune
fede riformata non servono però soltanto ad ottenere il riconoscimento
più o meno legittimo di una cittadinanza. Porre l’accento sul proprio
credo acattolico in luogo di un’appartenenza statuale scomoda, e farne la
leva per essere ammessi – magari momentaneamente – ad un’altra comunità nazionale, è solo uno dei modi in cui i francesi riescono a mettere a
frutto questa preziosa risorsa.
Prima che la nascita della Gemeinde dia maggiore evidenza esterna ai
legami informali che già stringono i membri della minoranza religiosa,
identificando più nettamente gli appartenenti all’insieme e rendendo
in qualche modo più difficile (ma mai impossibile) un uso strumentale
dell’identità religiosa, essa non manca occasionalmente di configurarsi
come “identità latente”64, e quindi come qualcosa che è possibile usare in
parallelo ad altre risorse identitarie e a volte persino occultare in favore di
immagini del sé capaci di mobilitare giri di amicizie diversi e più efficaci in
quella determinata circostanza65.
63
Cfr. CGFN, Registres d’immatriculation des français à Naples, vol. 2; e ASN, Tribunale di Commercio di Napoli, Atti di Società, Atti di società depositati, f. 758, foll. 62-64.
64
Riprendo qui la categoria suggerita da Noiriel, État, nation et immigration, cit., p.
205 segg.
65
Le sostanziali differenze legate alla peculiarità delle minoranze ebraiche e al diverso
contesto cronologico, geografico e giuridico in cui esse sono state per lo più analizzate dalla
storiografia, rendono difficilmente comparabili la figura del cosiddetto ‘cripto-giudeo’ e
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
35
09/06/2010, 16.06
36
Scrivere – MARCO ROVINELLO
Capita allora di trovare tra i protagonisti di questo triennio difficile
non solo riformati francesi che, in quanto protestanti, ottengono di non
essere più considerati francesi, ma anche protestanti francesi che fanno
della loro cittadinanza il salvacondotto per continuare a professare privatamente il proprio credo o – ed è il caso di Claude Perret – protestanti
francesi che, pur restando tali, risultano al contempo regnicoli di comprovata fede cattolica.
Perret proviene da Bourgoin, vicino a Lione, e al momento dei fatti
vanta una ultratrentennale presenza nel Regno. Superata la bufera del
1793 grazie al profondo rapporto con la città (che già all’epoca ha prodotto ben “due figli Napoletani Maggiori uno de quali è da molti anni
al servizio dello Stato, l’altro maritato con la figlia del fu G.ne Plonquer,
antico Sellajo di Sua Maestà”66), egli si ritrova nell’occhio del ciclone anche nel 1815, nonostante la naturalizzazione a suddito regnicolo ottenuta
proprio nel settembre di ventidue anni prima. È dunque costretto a presentare istanza per poter conservare il suo posto di “Primo professore
di lingua francese al Real Collegio della Marina”. Nel farlo, Perret sceglie
però una strategia argomentativa antitetica rispetto a quella di Hoffmann
e mobilita quindi i contatti che – pur essendo riformato – egli possiede
non nell’universo dei correligionari, bensì in quello cattolico. Il ‘noi’ che
Perret costruisce non è dunque quello dei connazionali o dei fratelli nella
fede, la cui vicinanza rappresenterebbe ora una controproducente ammissione di alterità, ma quello dei suoi nuovi compatrioti, pronti a perorare la
sua causa con dichiarazioni che mal si conciliano con una lettura della presenza protestante a Napoli quale manichea contrapposizione tra la rigida
chiusura etnocentrica della comunità e un’altrettanto rigorosa chiusura
discriminatoria della società ospite.
“Il signor Claudio Perret – scrive per esempio il responsabile del Real
Collegio della Marina – è un uomo di buona condotta, timorato di Dio
quella del protestante francese che qui si sta provando a delineare. Tuttavia, nell’affrontare
il complesso tema della costruzione e dell’uso dell’identità religiosa, la vasta bibliografia
sulle molteplici forme di nicodemismo registrate tra gli ebrei nell’Italia moderna e contemporanea può fornire diversi spunti di riflessione interessanti. Mi limito qui a segnalare i
contributi in tal senso contenuti nei due tomi del volume 11 degli Annali della Storia d’Italia
(Corrado Vivanti, a cura di, Gli ebrei in Italia, Einaudi, Torino 1996-1997), nonché il classico
studio di Carlo Ginzburg, Il nicodemismo. Simulazione e dissimulazione religiosa nell’Europa del
Cinquecento, Einaudi, Torino 1970.
66
ASN, Supremo Consiglio di Cancelleria, Espedienti, f. 45.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
36
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
37
ed attaccato all’Ordine pubblico”67. E poco importa se l’uomo “timorato
di Dio” di lì a qualche anno iscriverà se stesso e l’intera sua famiglia alla
Deutsche-französische Gemeinde, contribuendo con il proprio denaro anche
alle spese per il mantenimento del culto evangelico a Napoli68.
Sebbene per una via diversa da quella di altri connazionali e correligionari – quella di una sostanziale doppia fedeltà che mai pare aver
bisogno di un’almeno apparente forma di apostasia – Perret ottiene il permesso di restare nel Regno e perciò viene naturalizzato una seconda volta,
proprio mentre il suo nome campeggia (senza mai essere cancellato) sui
registri del Consolato francese69.
Certo, una condotta tanto spregiudicata è possibile in un frangente
particolare e non mette in discussione la predilezione per i correligionari
che Claude e i suoi eredi mostrano in tutto il resto della loro vita, tanto
nei rapporti personali quanto in quelli d’affari, associandosi con lo svizzero di confessione calvinista Jules Bonnet e trovando i rispettivi partner
all’interno del mercato matrimoniale comunitario.
Tuttavia, è proprio nell’eccezionalità della situazione che la risorsa
identitaria rappresentata dalla religione – centrale nella strategia discorsiva
di Hoffmann ed evidentemente sfruttata nella quotidianità anche dai Perret – viene messa per un attimo da parte, lasciando il passo a quella prossimità culturale e linguistica che la ‘francesità’ garantisce a questa parte
della minoranza protestante più di quanto non accada a tedeschi, svizzeri
germanofoni, nordeuropei e inglesi. Non si tratta dunque di rinunciare
ad una forma di capitale sociale per sostituirlo definitivamente con l’altra.
Semmai di alternare tutte le risorse identitarie e relazionali a disposizione
dei migranti: risorse che, nel caso dei riformati francesi, non sono soltanto quelle derivanti dall’appartenenza alla cosiddetta “internazionale protestante”70 cui ricorrono molti loro correligionari, o al contrario la capacità
d’integrazione garantita ai compatrioti cattolici dalla comunanza religiosa
e culturale con gli indigeni, ma le une e le altre.
67
Ibid.
Cfr. ACEN, Liste des Membres de la Communauté Evangélique allemande & française de
Naples au 1 janvier 1845; Ivi, Spese per il mantenimento del culto evangelico a Napoli per il periodo
5/8/1838-5/8/1839.
69
La naturalizzazione di Claude Perret (il cui cognome compare anche nella lectio
“Peret” ma coi medesimi dati anagrafici) risulta da ASN, Ministero di Grazia e Giustizia,
Naturalizzazioni, f. 1160; mentre la sua immatricolazione consolare trova conferma in
CGFN, Registres d’immatriculation des français à Naples, vol. 1.
70
Herbert Lüthy, La banque protestante en France, 2 voll., Sevpen, Paris 1959.
68
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
37
09/06/2010, 16.06
38
Scrivere – MARCO ROVINELLO
E che proprio l’appartenenza religiosa – effettiva o anche solo presunta – giochi un ruolo importante nel mischiare le già confuse carte delle
appartenenze nazionali, arricchendo la gamma delle opzioni a disposizione dei migranti francesi, è d’altronde dimostrato anche dalla vicenda
dell’imprenditore Louis Guillaume Cottrau.
Cottrau è parigino e di fede cattolica ma suo padre è originario di un
villaggio in Alsazia. Chiamato a giustificare la sua presenza a Napoli, nel
1815 egli scrive una lunga supplica in cui, accanto ai meriti di natura politica acquisiti combattendo “da granatiere civico fin dal 10 agosto 1792
per la difesa del Trono e della Costituzione” e servendo il Regno già prima dell’occupazione militare napoleonica, egli rivendica in particolare la
sua opera di zelante ufficiale pubblico a favore di tutta una serie di luoghi
di beneficenza legati alla Chiesa cattolica, che grazie al suo interessamento si son visti restituiti beni prima sequestrati dal governo murattiano71.
Insistere su questo, quando si vantano prove ben più convincenti del
proprio radicamento in città (ad esempio l’appartenenza a prestigiose
accademie e società come la Real Accademia Italiana, la Real Società di
Napoli, l’Accademia delle Belle Arti, ecc.), non è però la conseguenza di
una bizzarra strategia argomentativa, quanto piuttosto l’abile ed efficace
uso combinato di risorse differenti eppure complementari. Da una parte,
il ricorso alle influenti amicizie strette in loco grazie ad un’integrazione
senza dubbio favorita dal suo essere cattolico e di madrelingua francese:
come nel caso Perret, ad appoggiare la supplica troviamo infatti esclusivamente sudditi regnicoli, disposti a tratteggiare, con i toni tipici del
patriottismo di matrice lealista, l’esperienza napoletana di Cottrau come
un fulgido esempio di attaccamento alla città, alla dinastia borbonica e ai
valori che essa incarna. Dall’altra, sebbene la vendetta di Ferdinando non
assuma mai le caratteristiche della crociata antiprotestante, il richiamo
alla meccanica associazione tra la ‘germanicità’ di molti suoi conterranei
e la loro adesione alla Riforma, proposto per contrasto con la propria
ostentata cattolicità.
Per chi fosse stato educato “ai santi principi della Religione”, difendere “la caritatevole opera e li diritti” di Santa Romana Chiesa nel Mezzogiorno rappresenterebbe un merito di ben poco conto, afferma infatti
Cottrau. Ma per lui, che non a caso si dichiara “alsaziano” pur non essendolo se non d’origine, e che si dice “per lungo tempo vissuto privo de’
71
ASN, Supremo Consiglio di Cancelleria, Espedienti, f. 46.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
38
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
39
Santissimi Sagramenti [sic] a cagione della eretica sua famiglia”, l’iniziativa
assume il significato molto più forte di un netto smarcarsi da un gruppo
che si vuol dipingere – non senza forzature – come pericoloso drappello
di miscredenti per il solo fatto che molti dei suoi membri provengono da
certe zone d’Europa. È una costruzione identitaria giocata due volte a
contrario: in rottura con un passato rimarcato perché ne risalti la distanza,
il rinnegamento, e in opposizione ad una maggioranza ‘eretica’ di compaesani presenti in città, cui Cottrau non può far ricorso in positivo – ottenendone sostegno materiale o immateriale alla sua causa – e su cui egli
quindi applica un’etichetta diversa da quella che applica a sé nel tentativo
di sottolineare la sua prossimità all’universo partenopeo in rapporto alla
loro incolmabile distanza.
In altre parole, se per i membri della minoranza protestante la fede
comune si trasforma in una rete parallela capace di offrire loro un capitale
sociale ulteriore fatto di amicizie, solidarietà e altri benefici, la vicenda di
Cottrau ed altre simili che si incontrano nelle carte del Supremo Consiglio
di Cancelleria sembrano suggerire come essa possa rappresentare uno
strumento utile anche a coloro che non dispongono direttamente dell’accesso a questa risorsa, ma possono in qualche modo sfruttare i meccanismi dell’auto e dell’etero-identificazione religiosa a proprio vantaggio,
riuscendo a definirsi davanti alle autorità napoletane non tanto come
francesi cattolici, quanto come francesi non-protestanti.
Certo, è assai difficile dire in che misura questo ulteriore uso delle
risorse identitarie possa aver contribuito all’accoglimento della supplica
presentata da Cottrau72, soprattutto alla luce del lassismo con cui il governo delle Due Sicilie applica le intolleranti logiche della monarchia confessionale ai più graditi (ed utili) fra i suoi ospiti. Tuttavia appare innegabile
che l’identità religiosa costituisca almeno agli occhi di alcuni dei francesi
presenti nella Napoli della Restaurazione – ed in particolare di coloro
che professano un credo riformato – una risorsa dialettica e relazionale
da aggiungere a quelle derivanti dalla propria nazionalità e dalla propria
cittadinanza, un quid in più e non un qualcosa in meno rispetto sia ai
loro compatrioti cattolici sia a quella parte della comunità protestante
che trova più difficoltà ad entrare nelle reti di relazioni locali a causa della
maggiore distanza culturale dal contesto partenopeo.
72
ASN, Ministero di Grazia e Giustizia, Naturalizzazioni, f. 1160.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
39
09/06/2010, 16.06
40
Scrivere – MARCO ROVINELLO
Conclusioni
L’analisi dei comportamenti dei soggetti francesi di credo riformato
attivi nella Napoli del primo Ottocento suggerisce dunque alcune riflessioni, che s’intrecciano con quanto la letteratura ha già dimostrato sia a
proposito dell’agire marcatamente etnocentrico dei gruppi protestanti nel
Mezzogiorno ottocentesco, sia del prevalere nella minoranza francese di
legami esogamici sul piano nazionale ed al contempo rigidamente omogamici su quello cetuale.
Visti nel complesso della loro pluriennale permanenza in città, questi
individui paiono uniformarsi appieno al modello dell’altezzosa autosegregazione dei loro correligionari elvetici e tedeschi. Ne condividono le
scelte matrimoniali, il favore accordato a partnerships commerciali infracomunitarie, nonché la ritrosia a qualsiasi forma di naturalizzazione che
comporti l’abiura della fede protestante. A questo aggiungono una certa
propensione per strategie residenziali che prediligono la prossimità con
correligionari. In altre parole, nella loro quotidianità, i francesi riformati
sembrano percepirsi e comportarsi più come riformati che come francesi,
dal momento che tutti gli indicatori sono concordi nel segnalare la distanza che li separa dalla perfetta simbiosi con gli indigeni costruita dai loro
compatrioti cattolici.
L’essere in minoranza, almeno in alcune circostanze, non vuol però
dire essere minoranza. Se dall’analisi dell’intero periodo 1815-60 passiamo ad osservare alcuni momenti di grave crisi politica e istituzionale che il
Regno vive negli ultimi sessant’anni preunitari, allora l’identificazione tra
appartenenza al gruppo protestante e ricorso al capitale sociale proprio
della comunità come strumento di autosegregazione e di affermazione
identitaria si mostra insufficiente a rendere conto dei molteplici usi che i
migranti transalpini fanno di questa risorsa.
Gli esempi che abbiamo qui fornito, invero limitati alle vicende dei
primissimi anni della Restaurazione ma forse spia di atteggiamenti e fenomeni di più lunga durata, sembrano abbastanza chiari in tal senso. Essi
mostrano che le reti informali che legano i membri della comunità formano una maglia elastica, dalla geometria variabile, entro la quale i francesi
– e forse non solo loro – riescono a collocarsi perfettamente, senza per
questo rinunciare aprioristicamente a sfruttare i vantaggi che vengono
loro dalla prossimità linguistico-culturale con i napoletani. In altre parole,
nell’esperienza di queste persone, omogamia nelle scelte importanti (matrimoni, soci in affari, ecc.) non significa impossibilità o rifiuto assoluto
di contatti con gli indigeni, a loro volta evidentemente meno diffidenti
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
40
09/06/2010, 16.06
Il tricolore e la Bibbia
41
verso quanti stemperano la loro alterità religiosa con una “in-diglossia”73
interna all’universo romanzo e con una maggiore vicinanza alla cultura
partenopea. Si tratta verosimilmente di legami superficiali, ma pur sempre
in grado di creare un capitale sociale da alternare, sommare o intrecciare
a quello derivante dal loro essere fedeli di un’altra chiesa e membri di un
dato gruppo nazionale.
In questo senso, l’istituzionalizzazione della minoranza attraverso la
nascita di un soggetto collettivo come la Gemeinde rappresenta un momento importante ma non una cesura netta, sebbene essa contribuisca
ad alimentare anche tra i francesi forme di socialità parallela fondate sulla
loro autopercezione di alterità e ad uniformare all’azione dei suoi leader
quella molteplicità di strategie individuali che nei primi anni della Restaurazione i protestanti transalpini mettono in atto per far fronte alle discriminazioni praticate dal governo borbonico. Lo fa attraverso l’offerta di
servizi (l’assistenza, il culto, ecc.), la mediazione di personaggi autorevoli
e, più in generale, garantendo a molti anche tra i francesi tutti i vantaggi
derivanti dall’appartenenza ad un ente in grado di sostituire, integrare o
quanto meno sollecitare quelle forme di supporto e rappresentanza in
teoria prerogativa esclusiva delle rappresentanze diplomatiche. Tuttavia,
è difficile credere che – per i Perret, gli Hofmann e gli altri che hanno
al proprio arco al contempo le frecce della ‘francesità’ e dell’alterità
religiosa – la nascita di una gruppo formalizzato abbia significato la cristallizzazione dei propri networks infracomunitari e la necessità di uscire
del tutto da quelli costruiti al di fuori.
Certo, non siamo in grado di misurare la capacità coercitiva della sanzione sociale posta eventualmente in essere dalla Comunità nei confronti
di quei membri che si rendano protagonisti di comportamenti devianti.
E, sebbene essa sembri assai modesta a giudicare dai frustrati sfoghi dei
pastori e dall’assenza nelle carte della Gemeinde di documenti relativi a
espulsioni o condanne nei confronti di quanti compiono scelte esogamiche74, è probabile che la Comunità renda un po’ più difficile un uso spudoratamente strumentale dell’alterità su cui essa si fonda.
Ciò nonostante, se per qualche correligionario “aderire alla comunità
73
Sulla distinzione tra ‘in-diglossia’ e ‘out-diglossia’ cfr. Heinz Kloss, Types of Multilingual Communities. A Discussion of Ten Variables, in “Sociological Inquiry”, 1966, n. 36, pp.
135-145; Albert Verdoodt, The Differential Impact of Immigrant French Speakers on Indigenous
German Speakers. A Case Study in the Light of Two Theories, in “International Migration Review”, 1971, n. 5, pp. 138-146.
74
Questa assenza mi è stata segnalata da Gia Caglioti, che ringrazio non solo per
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
41
09/06/2010, 16.06
42
Scrivere – MARCO ROVINELLO
evangelica non significa solo scegliere un’identità tra le tante possibili ma
significa anche e soprattutto prediligerne una ‘antagonista’ e non negoziabile che consente al gruppo di definirsi per differenza e di delimitare
l’area delle relazioni possibili”75, per la componente francese che qui si è
provato a confrontare con le altre anime della Gemeinde ciò è vero sino ad
un certo punto, prima del 1826 e forse anche dopo. Lo è magari nella vita
quotidiana, quando una diffusa autopercezione di alterità ed i meccanismi
di solidarietà infracomunitaria strutturano la vita dei migranti transalpini
prevalentemente (ma non esclusivamente) attorno all’asse identitario della
comunanza religiosa. E non diversamente lo è nei frangenti in cui l’appartenenza all’internazionale famiglia protestante funge da salvacondotto
verso la ratifica di una cittadinanza altrimenti difficile da ottenere, configurandosi appunto come una risorsa preziosa. Lo è però molto di meno
quando questa identità oppositiva mostra i limiti di ogni legame esclusivo
e bonding76, come accade in particolare nel triennio 1815-17. In questo
caso i migranti d’origine francese non rinunciano alla propria identità
religiosa, ma la declinano in maniera diversa, ora smussando la sua carica contrastiva rispetto alla cattolicità della società ospite, ora facendovi
ricorso in parallelo ad altre risorse identitarie, ora utilizzando quella altrui
come elemento di differenziazione a contrario rispetto alla propria peculiare condizione.
Ne viene fuori un quadro articolato che, se da una parte conferma
quanto la letteratura ha già detto circa la forza che il collante religioso possiede tra i migranti di credo riformato presenti nella Napoli ottocentesca,
dall’altra sottolinea però come nel caso specifico dei francesi il capitale
sociale che ne deriva perda una parte della sua dimensione esclusiva ed
assuma – quanto meno in alcuni momenti di particolare tensione – le
fattezze di una risorsa flessibile, che i migranti intersecano abilmente con
le altre connesse alla loro ‘francesità’ culturale e giuridica, rinnovando al
contempo la loro afferenza alla comunità dei fedeli, a quella dei fratelli
nella Nazione ed a quella parte della società ospite disposta a interagire
con loro.
avermi fornito buona parte della documentazione utilizzata per questo saggio ma anche
per averlo discusso alla luce della sua lunga esperienza di ricerca nell’archivio della Deutschefranzösische evangelische Gemeinde in Neapel e, più in generale, delle sue competenze specifiche
su questo tema.
75
Caglioti, Vite parallele, cit., p. 109.
76
Per una definizione di legame bonding si veda Putnam, Capitale sociale e individualismo,
cit., in particolare pp. 20-23.
rivista Snodi LT2 rev-07.indd
42
09/06/2010, 16.06