Tutti in fila per una vetrina a NY

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Tutti in fila per una vetrina a NY
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IMPRESA E TERRITORI
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Il Sole 24 Ore
21 AGOSTO 2014
La corsa dei brand italiani nella Grande Mela
Tutti in fila per una vetrina a NY
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Testo sommario???
Prima Gennaro Lombardi, ora Oscar Farinetti. Prima l'azienda familiare, ora la piccola
multinazionale. La lunga marcia del made in Italy negli Usa si può forse cogliere al
meglio partendo da qui, da Spring Street, nel cuore di quella che un tempo era Little
Italy, oggi ridotta ad un pugno di strade "assediate" da Chinatown.
Un secolo fa, nel 1905, il napoletano Gennaro Lombardi apriva in questa via la prima
pizzeria italiana di New York, portando oltreatlantico il proprio sapere artigianale e
aprendo la strada a centinaia di altre attività analoghe.
Oggi la pizzeria è ancora lì, con il forno originale a carbone, le tovaglie a quadri,
l'acqua Panna in tavola, i turisti che scrutano l'insegna storica. Ma da tempo non è più
questo il cuore dell'offerta italiana di cibo della Grande Mela. Spostandosi Uptown,
all'incrocio tra Broadway e Fifth Avenue, la ressa è già visibile alle 10, quando Eataly
apre i battenti. Ogni settimana un container di prodotti alimentari arriva dall'Italia per
rifornire il maxi-emporio tricolore (800 addetti, 75 milioni di ricavi, 100mila ingressi
a settimana), vetrina luccicante per un migliaio di piccoli e grandi produttori nazionali,
in molti casi incapaci di compiere da soli il "salto" oltreatlantico.
La scommessa italiana è in fondo questa, la volontà di sviluppare su scala globale i
propri brand adottando criteri organizzativi, logistici e commerciali comuni alle grandi
multinazionali senza perdere però di vista da un lato la "craftmanship", la capacità
artigianale; dall'altro quella ricerca del bello (o del buono, nel caso del cibo) che da
sempre caratterizza l'immagine italiana nel mondo. La forza dei nostri marchi è
evidente, anzitutto in termini "visivi", guardando le insegne delle grandi vie dello
shopping di Manhattan. Da Armani a Fendi, da Tod's a Geox, da Pomellato a Prada,
da Flexform a Technogym sono centinaia i monomarca italiani presenti a New York:
nessun altro paese, neppure la Francia, riesce ad avvicinarsi in termini di frequenza.
In alcuni casi, come in Madison Avenue o in Greene Street, a Soho, il colpo d'occhio è
quasi spiazzante, con marchi italiani di stile, lusso, calzature, mobili e design che si
susseguono quasi senza soluzione di continuità, offrendo al passante l'illusione di
trovarsi in via Montenapoleone a Milano, oppure in via dei Condotti a Roma.
In altri casi, come all'interno dell'Architects&Designers Building, le aziende italiane
hanno deciso di fare squadra cercando una localizzazione comune, un momento di
sintesi per offrire un ventaglio di offerte nel settore dei mobili, della rubinetteria, delle
cucine. Un trend di aperture che a dispetto degli affitti monstre (nell'ordine dei 5600mila dollari annui per uno spazio accettabile nelle vie dello shopping) non accenna
a fermarsi, come testimoniano le recenti "new entry", dalla novarese Sambonet a
Brooklyn al nuovo ristorante Academia Barilla a ridosso di Central Park, in entrambi i
casi con nuovi progetti di espansione alle luce dei primi risultati raggiunti. Scenario
analogo per i gelati di Grom, che dopo l'esperienza positiva a Greenwich Village e nel
Central Park prevede ben 10 nuovi punti vendita diretti nei prossimi due anni.
L'attrattività della Grande Mela è del resto crescente. Superata di slancio la crisi
innescata dalla caduta di Lehman Brothers, New York sta vivendo una fase quasi
frenetica dal punto di vista immobiliare, con centinaia di cantieri aperti, investimenti
residenziali arrivati al nuovo record storico di 7,3 miliardi di dollari annui, acquisti
che valgono in media 20mila dollari al metro quadro a Manhattan, interi quartieri,
come il Financial District o Chelsea, che vengono rilanciati dalle nuove infrastrutture
appena realizzate o in via di finalizzazione, come la Freedom Tower o la High Line,
121mila addetti diretti legati all'edilizia, cioè salari, dunque potere d'acquisto e
consumi. Manhattan garantisce inoltre un flusso di turisti elevato e ben distribuito nel
corso dell'anno, 11 milioni di persone in arrivo da tutto il mondo a cui si aggiungono
41 milioni di visitatori statunitensi, in grado nel complesso di generare una spesa che
sfiora i 40 miliardi di dollari all'anno dando lavoro a 340mila addetti. Il risultato, per
http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/print.php
Dodicesimo di una serie
Le precedenti puntate sono
state pubblicate sul Sole
24 Ore del : 22, 24 e 30
luglio; 5, 6, 12, 13, 14, 15,
19 e 20 agosto
02/09/2014
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chi ha una "vetrina" a New York, è quello di generare dunque una ricaduta
d'immagine che va ben oltre il mercato newyorchese o statunitense. Ma al di là
dell'immagine c'è poi il business diretto, generato sia dalla clientela normale che dai
numerosi miliardari che hanno fatto fortuna oltreatlantico. «Un imprenditore di Miami
– ci racconta Dario Snaidero, presidente di Snaidero Usa - ha voluto una cucina da
500mila dollari. Io però fingo che queste commesse "spot" non esistano, non è da lì
che arriva il business». E tuttavia anche questo è fieno in cascina, un contributo a
spingere l'export italiano di mobili oltre i 600 milioni di euro nel 2014, finalmente
oltre i livelli pre-crisi del 2008.
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