Il lavoro atipico e le sue ripercussioni sulle strategie

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di Sonia Bertolini e Paola Maria Torrioni1
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(Bozza, si prega di non citare)
1. La letteratura e le ipotesi della ricerca
Dei pregi e difetti della flessibilità molto si è discusso nel dibattito sociologico ma solo
negli ultimi anni le trasformazioni lavorative sono state analizzate in connessione a quelle
inerenti la famiglia. In particolare la relazione tra flessibilizzazione del mercato del lavoro
e la formazione della famiglia nel nostro Paese è stata analizzata in due direzioni. Da una
parte è stato enfatizzato il ruolo della famiglia nella protezione dei percorsi di lavoro
instabili, in mancanza di un adeguato sostegno istituzionale (Reyneri, 2007, 2009; Fullin,
2005; Semenza, 2004; Addabbo, 2005; Migliavacca, 2002; Zucchetti, 2005, Saraceno,
2005). In questo senso si può dire che in Italia la famiglia e la rete delle solidarietà
parentali sostituisce il Welfare State.
Dall’altra è stato messo in evidenza il fatto che i percorsi di lavoro instabili possono
ritardare la formazione di una nuova famiglia tra i giovani. Per questi ultimi, infatti, una
delle conseguenze di rimanere intrappolati in percorsi di lavoro atipici è la posticipazioni di
importanti decisioni della propria vita privata e familiare (Rizza, 2002, Bertolini, 2006).
Studi comparativi hanno enfatizzato il ruolo centrale che il lavoro svolge nello strutturare i
corsi di vita dei giovani (Blossfeld 1995; Mayer, 1997; Galland, 2001; Heinz, 2001;
Schizzerotto, 2002, Scherer, 2004) e in particolare hanno messo in evidenza il fatto che i
giovani adulti che lavorano con forme contrattuali instabili tendono a posticipare importanti
decisioni della loro vita familiare, sebbene la lunghezza della posticipazione dipende dal
contesto istituzionale (Blossfeld e al, 2005, Reyneri, 2005, 2009).
1
Sonia Bertolini ha redatto i paragrafi 2.1, 2.2, 4; Paola Maria Torrioni ha redatto i paragrafi 2.3, 2.4, 3.
Introduzione e conclusioni sono frutto del lavoro comune delle due autrici.
2
L’impossibilità di programmare la propria carriera lavorativa in un’ottica di lungo periodo
e l’esposizione all’incertezza economica può indurre a non volersi impegnare in progetti di
lungo periodo o rischiosi ma a mantenere un atteggiamento di tipo “open-end”
garantendosi sempre una via di uscita.
Inoltre, l’effetto della precarietà lavorativa sulla transizione alla vita adulta e la formazione
della famiglia può variare in funzione della classe sociale e del livello di istruzione. Questo
aspetto è stato meno esplorato dalle ricerche.
Il genere, inoltre, può condizionare o meno l’uscita dalla famiglia di origine. In generale:
“dove il modello male breadwinner è predominante, sarà più importante per gli uomini
rispetto alle donne stabilizzare al loro situazione attraverso un lavoro sicuro” (Blossfeld et
al, 2005, p.19).
Studi italiani mostrano che in Italia l’atteggiamento delle giovani donne verso la precarietà
varia a seconda che si tratti delle prime esperienze di lavoro o di momenti successivi
(Bassanini and Donati, 2001; Semenza, 2004, Rizza, 2003, Bertolini, 2006).
In Italia l’età del matrimonio si è abbassata per entrambi i generi tra il 1930 e il 1970, ma è
cominciata a crescere nel periodo successivo ed il processo è ancora in corso tuttora
[Saraceno, Naldini 2007, Pisati 2002]. Questo trend si ritrova in molti Paesi dell’Europa
Occidentale, con differenti tempi e modi. Diversi autori argomentano che la flessibilità del
lavoro sia uno dei i fattori che negli ultimi quindici anni ha inciso in questa trasformazione:
“La sottoscrizione di un impegno a lungo termine come il matrimonio o la transizione alla
genitorialità richiede una qualche stabilità e una base economica sicura” [p. 10]. Questo
tipo di evidenza empirica è stato riscontrato in diversi Paesi europei: in Spagna [Golsch
2003]; in Italia [Bernardi e Nazio 2005; Bratti et al., 2004], ma anche in Gran Bretagna,
dove il lavoro flessibile esiste fin dagli anni ’70 [Golsch 2001; Del Bono 2002].
Fondamentale, inoltre, è il tema delle protezioni nei percorsi di lavoro instabili, dove la
letteratura ha enfatizzato il ruolo della famiglia e allo stesso tempo la mancanza di un
sostegno istituzionale (Reyneri, 2002, Fullin, 2005; Migliavacca, 2002; Zucchetti, 2005;
Addabbo, 2005; Semenza, 2004).
Proprio questo aspetto risulta centrale. Infatti tutti i paesi europei hanno affrontato la
transizione verso forme contrattuali atipiche ma l’impatto della flessibilità sulle carriere
lavorative si è dimostrato profondamente diverso a seconda del sistema di protezione che
gli Stati sono stati in grado di offrire ai lavoratori per affrontare dai rischi di un mercato del
3
lavoro instabile. Uno degli esempi virtuosi è rappresentato dalla flexicurity danese, un
modello di mercato del lavoro nel quale a una notevole flessibilità in materia di assunzioni
e licenziamenti si accompagna un altrettanto estesa sicurezza per coloro che si trovano ad
essere disoccupati, grazie alla presenza di ammortizzatori sociali e a un efficace sistema di
formazione che facilita le transizioni da un lavoro ad un altro. Diverso è il caso dell’Italia
in cui la mancanza di interventi di welfare volti a sostenere i lavoratori ‘atipici’ nei
momenti di transizione tra un lavoro e l’altro trasforma la flessibilità in precarietà e
vulnerabilità (Fullin, 2005). I lavoratori atipici hanno un basso livello di protezione sociale,
per esempio non hanno diritto al sussidio di disoccupazione tra un contratto e l’altro2.
Partendo da queste evidenze empiriche, la finalità di questo saggio è quella di evidenziare
le connessioni tra la flessibilizzazione del mercato del lavoro e l’uscita dalla famiglia di
origine, in diversi contesti istituzionali. Intendiamo analizzare (Hp1) in che modo la
situazione contrattuale influenzi la transizione alla vita adulta e in particolare la decisione
di lasciare la famiglia di origine dei giovani e dei giovani adulti in diversi contesti
istituzionali. In particolare faremo una comparazione tra il contesto italiano e quello
francese. Si tratta, infatti, di due contesti nazionali che appartengono a due diversi sistemi
di Welfare State, la Francia
al modello conservatore-corporativo, l’Italia al modello
mediterraneo delle solidarietà parentali, ma che hanno subito un processo simile di
flessibilizzazione del mercato del lavoro ai margini. Si tratta di due Paesi che culturalmente
mettono al centro la famiglia, ma con modalità molto differenti a partire dal modo di fare
famiglia, per arrivare al tipo di politiche per la famiglia. Sono, inoltre, caratterizzate da una
diversa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, tra le più elevate in Europa
specialmente dopo la nascita dei figli in Francia e all’opposto tra le più basse, in Italia.
Inoltre, ci chiederemo se l’effetto della precarietà lavorativa sulla transizione alla vita
adulta e la formazione della famiglia può variare in funzione del (Hp2) livello di istruzione
e della classe sociale e (Hp3) del genere.
Nei due Paesi i giovani hanno reagito in maniera molto differente alla flessibilizzazione del
mercato del lavoro. In Francia i giovani hanno fatto sentire la propria voce scendendo in
piazza contro le contract “Premier embauche”; in Italia le reazioni sono state sporadiche, o
2
In particolare, per le forme coordinate, le co.co.co. e le co.pro, fino al 1 gennaio 2007 si aveva diritto in caso
di malattia a una sospensione del contratto fino a 90 giorni, e un’indennità ridotta, e in caso di maternità una
sospensione fino a 5 mesi all’80% dello stipendio. Solo dal 1 gennaio 2007 tali categorie si ha diritto a
un’indennità giornaliera in caso di malattia, ma per periodi ed importi limitati, da allora è prevista la maternità
anticipata.
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del tutto assenti. Ci chiederemo allora se esiste una correlazione tra la diversa reazione alla
flessibilizzazione del mercato lavorativo, la maggiore o minore autonomia e l’età e i modi
dell’uscita dalla famiglia di origine (Hp 4).Per testare le ipotesi si è scelto di utilizzare
fonti empiriche di diverso tipo: in primo luogo l’analisi secondaria effettuata sui dati della
rilevazione Europea sulle Forze lavoro (Eu Labour Force Survey 2005) inerenti Francia e
Italia è servita per descrivere le relazioni esistenti tra lavoro flessibile e scelte familiari e
per chiarire l’impatto esercitato dalla precarietà lavorativa sulla propensione a lasciare
l’abitazione dei genitori. I modelli di regressione logistica stimati sono inoltre serviti per
chiarire il ruolo delle variabili di background nel processo di transizione all’autonomia
abitatitiva (cfr..§ 3).
In secondo luogo gli approfondimenti qualitativi ci hanno consentito di entrare nel merito
dei meccanismi fini delle relazioni e di capire la logica sottostante le scelte dei giovani
francesi e italiani (cfr.§4).
Il contributo è inoltre strutturato in una prima parte (cfr.§2) dedicata alla ricostruzione del
contesto istituzionale inerente le politiche sociali a sostegno del lavoro e della famiglia con
un particolare approfondimento sulla trasformazione, da un lato, del mercato del lavoro e,
dall’altro, dei modi di fare famiglia.
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2. Il contesto istituzionale
2.1 Welfare state e politiche per il lavoro
Il processo di flessibilizzazione del mercato del lavoro è presente in tutta Europa, ma il
modo in cui è stato implementato ed ha impattato sulla vita degli individui dipende molto
dal sistema di Welfare state in cui è stato inserito (Blossfeld e al., 2005). I due paesi che
abbiamo preso in considerazione per le nostre analisi fanno parte di due diversi sistemi di
Welfare. Il caso italiano appartiene (Esping-Andersen, 1999) al sistema chiamato “Familyoriented”, in cui vi è un’enfasi ideologica sulla protezione della famiglia e lo stato tende a
delegare la protezione contro la disoccupazione alla famiglia.
La Francia, benché sia di difficile collocazione, da molti studiosi viene fatta rientrare
all’interno di un Welfare conservativo (Blossfeld et al. 2005) che tende a proteggere coloro
che escono dal mercato del lavoro per qualche motivo, ma a differenza di tale modello, che
prevede fa un sistema male breadwinner, promuove la partecipazione delle donne al
mercato del lavoro e la conciliazione tra famiglia e lavoro.
In conformità con la classificazione apportata da Esping-Andersen (1999), lo Stato Sociale
francese risponde al modello continentale o corporativo caratterizzato da una forte
connessione tra la posizione del soggetto sul mercato del lavoro e il diritto ai benefici
statali. Lo stato di benessere sociale francese,inoltre, presenta molte affinità col modello
universale o socialdemocratico caratterizzante i Paesi Scandinavi in virtù del volume di
investimenti destinati alle politiche e ai servizi pubblici e all’estensione dell’intervento
statale. Tuttavia, si differenzia da questo per due ordini di ragioni. Il modello di Welfare
scandinavo si finanzia attraverso il pagamento delle imposte configurando un modello di
solidarietà verticale e generale, garantita dall’efficienza redistributiva del sistema fiscale;
inoltre, si attiva per rispondere ai bisogni dell’intera cittadinanza. Il sistema francese
delinea, invece, un modello di solidarietà orizzontale e intergenerazionale come esito dello
schema “as you pay as you go”. Il lato oscuro di questo meccanismo di assicurazione
sociale consiste nell’inadeguata protezione per coloro che hanno una debole connessione
con il mercato del lavoro, in primis giovani-donne-lavoratori anziani; nonostante, la
creazione di istituti di ultima istanza attivati per assicurare un reddito minimo contro il
rischio di estrema povertà, tra i quali si citano gli “aiuti sociali” (aide sociale) e il “salario
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minimo interprofessionale di crescita” (Salaire Minimum Interprofessionnel de Croissance,
SMIC).
Per quanto riguarda la protezione sociale in caso di perdita o mancanza di lavoro, è
possibile distinguere tra Stati che prevedono sussidi di tipo assicurativo, in generale legati
all’ammontare del contributo versato durante il periodo di lavoro, e quelli di tipo
assistenziale, previsti per chi si trova in uno stato di bisogno (Reyneri, 2011). Il sistema di
protezione de reddito può essere classificato come più o meno generoso sulla base del tasso
di rimpiazzo e della durata. Francia e Italia si collocano sui due poli opposti: la prima
rientra tra i più generosi, la seconda è la meno generosa d’Europa.
In Italia, infatti, non vi è un sistema universalistico di protezione del reddito per chi ha
perso il lavoro, ma più sistemi su base categoriale, settoriale ecc.. E’ prevista, infatti,
un’indennità ordinaria di disoccupazione, estesa a 8 mesi al 60% dell’ultimo reddito;
un’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti per i lavoratori stagionali, e l’indennità di
mobilità e la Cassa integrazione guadagni. Tuttavia, le ultime due si applicano solo ad
alcuni settori e solo per imprese medio-grandi. Inoltre, riuscire ad avere tutti i requisiti
richiesti non è semplice. In particolare, i lavoratori atipici sono per la maggior parte esclusi
dal sistema della protezione del reddito (Berton, Richiardi e Sacchi 2009), che era stato
pensato per i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e non è mai stato riformato.
Il Welfare State francese dispone di un complesso e sviluppato sistema di protezione
sociale costituito da un insieme di regimi legali tra i quali: il regime generale, il regime di
disoccupazione che offrono un copertura alla maggior parte dei lavoratori subordinati e ad
altre categorie (ad esempio, gli studenti possono beneficiare di particolari sussidi al pari dei
lavoratori dipendenti). Il regime generale è finanziato principalmente (quasi per l’80%) dai
contributi e dalle contribuzioni la cui base di calcolo sono le retribuzioni. In particolare, si
basa su un sistema di assicurazione obbligatoria (integrabile con un’assicurazione privata)
legata all’esercizio di un’attività professionale e la quota prelevata sul reddito da guadagno
conferisce il diritto -acquisito attraverso il lavoro- al godimento delle prestazioni
previdenziali. Sussistono diversificati programmi di protezione per i lavoratori dipendenti
ma una più estesa copertura è riconosciuta agli occupati della pubblica amministrazione.
In generale si può sostenere che il diritto al sussidio dipenda dal tipo di contratto e dalla
durata dell’ultimo impiego; le persone più soggette all’instabilità dell’impiego sono le
meno protette; l’evoluzione dei sussidi ha accentuato le disuguaglianze (Cerc, 2004). Tanto
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per dare un’idea, in Francia esistono ben 5 tipi di sussidi: l’aide au retour à l’emploi (ARE),
che è un regime assicurativo, l’allocation de solidarité spécifique (ASS), l’allocation
d’insertion (AI), l’allocation équivalent retraite (AER) et enfin le revenu minimum
d’insertion (RMI). Gli ultimi quattro sono finanziati dalla collettività pubblica.
Tab.1 - Regole generali per l’applicazione del sussidio di disoccupazione per contratti a tempo
indeterminato e determinato
Durée d’affiliation
d’indemnisation
182 jours (soit 6 mois) ou 910 heures de
travail au cours des 22 derniers moisa
Age
Durée maximale
Indifférent
7 mois
Indifférent
50 ans
57 ansb
23 mois
36 mois
42 mois
426 jours (14 mois) ou 2123 heures de
travail au cours des 24 derniers mois
821 jours (27 mois) ou 4 095 heures d
travail au cours des 36 derniers mois
Fonte: CERC; 2004.
Entrambi i mercati del lavoro sono caratterizzati da elevati livelli di disoccupazione
giovanile, che superano la media europea.
Permane elevato il tasso di disoccupazione dei giovani francesi, che dal primo semestre del
2006 alla fine del 2008, subisce una leggera flessione di 0,6 punti percentuali che tende a
ridurre la distanza con curva dei valori della disoccupazione dell’Europa dei 16.
Fig. 1 - Tasso di disoccupazione giovanile: confrontoFrancia- Eurozona
8
Desta particolare attenzione il tasso di disoccupazione under 25 pronunciato in tutti gli stati
europei ed extra. In particolare nel 2009 si rileva un incremento sia in Italia che in Francia.
Tab.2- Giovani con meno di 25 anni in cerca di un’occupazione.
Fonte: Eurostat, Newsrelease Euroindicators, 2008
Sia per l’Italia che per la Francia il tipo di mercato del lavoro è caratterizzato da una “Close
employment relationships” [Regini, 2000], con procedure centralizzate per la negoziazione
dei salari . Inoltre, sono due mercati del lavoro caratterizzati da problemi di disoccupazione
di lunga durata, difficoltà di accesso al mercato del lavoro da parte dei giovani, bassa
mobilità occupazionale, precarietà che si concentra su gruppi specifici, come i giovani e le
donne, capitale umano non così importante come in Welfare liberali [Mills and Blossfeld,
2005].
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2.2 Il processo di flessibilizzazione del mercato del lavoro
In entrambi i Paesi è stata praticata una flessibilizzazione ai margini, anche se l’Italia in tal
senso è un caso estremo e se i tempi con cui è stata realizzata sono diversi: in Francia il
processo è cominciato negli anni ’80, in Italia alla fine degli anni ’90.
In Italia vi è stata una tardiva e rapida introduzione di forme di lavoro flessibili, attraverso
due Leggi tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000 (Legge Treu 1997, introduce il
lavoro interinale e le collaborazioni cooordinate e continuative, forma di lavoro semiindipendente; Legge 30/2003, che introduce una quarantina di nuove forme contrattuali a
termine e prevede la Riforma dei Centri per l’Impiego) senza un’adeguata riforma del
sistema di Welfare State. Questo ha prodotto una forte segmentazione del mercato tra
‘outsiders’ e ‘insiders’ (Regini, 2000): i lavoratori assunti a tempo indeterminato,
specialmente nelle grandi imprese, spesso possono usufruire di un elevato livello di
protezioni sociali, come la protezione per la malattia o il sussidio di disoccupazione in caso
di periodi di non lavoro; mentre è previsto solo un basso livello di protezione sociale per i
lavoratori flessibili, per esempio non hanno diritto al sussidio di disoccupazione tra un
contratto e l’altro o ai periodi di assenza retribuiti in caso di malattia.
Le forme di lavoro introdotte dagli anni ’90 in avanti contengono, inoltre, una minore tutela
in caso di eventi che impediscono temporaneamente di lavorare e che sono probabili nella
vita di un soggetto, come la malattia e, per le donne, la maternità.
Per le forme subordinate a tempo determinato si attuano le stesse tutele del lavoratore
dipendente nel periodo di lavoro. Tuttavia, quando si applicano contratti molto brevi,
Contini (2002) stima che la durata media di una missione di lavoro interinale sia di un
mese, è difficile che il lavoratore possa usufruire delle protezioni sociali. I lavoratori/trici
che lavorano con queste forme contrattuali sono, inoltre, soggetti a periodi di inattività in
cui le tutele vengono sospese e, tra queste, quella della maternità. Una lavoratrice che entri
in maternità nel passaggio tra un contratto e un altro non gode di alcuna forma di tutela.
La protezione è, inoltre, bassa non solo a livello di reddito, ma anche per quello che
riguarda la garanzia del posto di lavoro (Saraceno, 2002, 2005). Occorre tener presente che
nel lavoro atipico è sempre in gioco uno scambio tra aspettative e impegni ridondanti, cioè
oltre i termini contrattuali, tra datore di lavoro e lavoratore (Bertolini 2002, 2005): una
maternità potrebbe anche significare un mancato rinnovo del contratto o la sua mancata
trasformazione in tempo indeterminato.
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Un altro punto da sottolineare è che molte delle politiche per la conciliazione di questi
ultimi anni non si applicano alle lavoratrici atipiche. Per esempio la Legge 53 del 2000 sui
congedi parentali non include i lavoratori atipici, paradossalmente proprio in un momento
in cui sta aumentando il numero di donne che, come vedremo, in età fertile lavora con le
nuove forme contrattuali.
Infine, molti dei servizi per la conciliazione aziendale si applicano solo per i lavoratori
dipendenti, come avviene, per esempio, per i nidi aziendali.
Possiamo dire che i cambiamenti del mercato del lavoro escludono di fatto una larga quota
di giovani, in particolare donne, dalle politiche più innovative per la conciliazione
(Saraceno, 2003).
Infine, il caso Italiano si caratterizza per uno scarso sviluppo di politiche attive del lavoro,
sia per quello che riguarda la facilitazione di un rapido incontro tra domanda e offerta di
lavoro, sia per la formazione continua. Si tratta di misure per la maggior parte o non
previste, o previste solo sulla carta, come la Riforma dei Centri per l’Impiego, che però non
ha mai completamente funzionato.
In Francia il processo di flessibilizzazione è cominciato prima. A partire dagli anni ’80
appaiono due nuovi gruppi di lavoratori “ai margini” (Boissonnat J., 1995): il primo
formato dai lavoratori dipendenti a tempo determinato (CDD), dagli stagionali e dagli
interinali; il secondo formato dai collaboratori esterni all’impresa, sotto la formula di
“prestataires de services o sous traitants o indipendenti. Possiamo dunque notare che
similmente a quanto è avvenuto in Italia, se è formata anche la fascia di lavoratori semiindipendenti, anche se in Francia formalmente non è stato introdotto un contratto da
Co.Co.Co. La diversità nel processo di flessibilizzazione tra Francia e Italia è prima di tutto
nei tempi; già nel 1994, quando in Italia ancora si dibatteva sulla possibilità di una legge in
tal senso, in Francia l’INSEE concludeva il suo rapporto dicendo: “ Il modello di impiego
dipendente a durata indeterminata, a tempo pieno, in un dato mestiere, che si era imposto
progressivamente a partire dall’inizio del secolo, perde il suo aspetto normativo. Le forme
di lavoro temporanee si sviluppano, i passaggi dall’impiego alla disoccupazione e la
mobilità nell’impiego aumentano (INSEE; 1994)
Nel mercato del lavoro francese vi è una forte segmentazione per genere, come in Italia, e,
a differenza del nostro Paese, per titolo di studio: chi studia è più protetto contro la
disoccupazione e la precarietà, mentre in Italia avere un alto titolo di studio non protegge
11
dall’ingresso in forme contrattuali a termine (Reyneri, 2011, Bertolini, 2005), ma aiuta in
un secondo momento a fare la transizione verso il lavoro stabile (Barbieri, Scherer, 2010)
Dalla fine degli anni ’80, inoltre, la Francia ha cercato di introdurre politiche per diminuire
la disoccupazione giovanile, specie per i bassi titoli di studio. Ha promosso il prepensionamento, ha introdotto il “vocational training” sistema in cui si alterna lo studio
dello teoria a momenti di training sul lavoro, ha concesso sgravi fiscali alle imprese per
l’assunzione di giovani e ha introdotto la possibilità di prevedere salari più bassi per i
giovani (Kieffer et al, 2005). Nel 1997 ha introdotto il contratto “Emplois-jeunes, contratti
che durano 5 anni e in cui è previsto il training sul posto di lavoro. In tal senso,
contrariamente a quanto è avvenuto in Italia, sono state sviluppate moltissime politiche
attive del lavoro nelle formule di sussidi diretti e incentivi alla formazione del capitale
umano, e la stipulazione di nuovi contratti di lavoro (Pochard, 1996): “ A metà degli anni
’90, la Francia destinava oltre il 3% del PIL in programmi di stabilizzazione del mercato
del lavoro, percentuale superiore alla media dei Paesi OECD ma inferiore alla spesa
sostenuta in Germania, Olanda e Stati scandinavi. Circa l’1,3% era usato per la promozione
di politiche attive e parallelamente cresceva anche il numero dei destinatari: giovani e
anziani ad alto rischio di disoccupazione.” (Grelet, Vallet, Zdrojevski, 2007)
Il lavoro temporaneo, a tempo determinato o interinale, è da decenni previsto dalla
giurisprudenza francese che in merito legifera in modo puntuale concedendo il ricorso in
risposta a temporanei fabbisogni di manodopera non prevedibili dai piani industriali, quindi
nei soli casi di aumento straordinario di lavoro e/o di assenza di lavoratori, e ammessi solo
in settori esplicitati dalla legge.
Il principale strumento di conciliazione tra flessibilità e sicurezza coincide con la stipula di
Contratti a Durata Determinata (CDD) che rappresentano delle deroghe al tradizionale
Contratto di Durata Indeterminata (CDI) mantenendo, tuttavia, rigide regole e limitazioni
d’uso. La ratio di una severa regolamentazione dei CDD da parte del legislatore lungimirante- riflette la preoccupazione contro gli eventuali abusi di una prolungata
reiterazione della contrattazione a termine, pertanto risulta che eras riservato a specifici
settori di impiego espressamente previsti dalla legge, di durata non superiore ai 18 mesi e
rinnovabili una sola volta. Non è legalmente ammessa la sostituzione di una contratto a
termine scaduto con un altro: la nuova stipula è consentita solo dopo il decorso di un
periodo pari ad almeno alla durata del contratto precedente.
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All’inizio degli anni ’90, sono state individuate tre macro-tipologie di intervento pubblico
alle quali corrispondevano in modo quasi speculare nuovi contratti di lavoro temporaneo (a
tempo determinato o interinale) al fine di contenere la disoccupazione: la creazione di posti
di lavoro nel settore pubblico; la promozione di corsi di formazione e qualificazione nel
settore privato, la riduzione del costo del lavoro nel settore privato.
La creazione di posti di lavoro nel settore pubblico si è configurata come un tipico
intervento di matrice Keynesiana nel quale lo Stato-datore di lavoro tenta di assorbire la
disoccupazione stipulando contratti di lavoro di solidarietà, Contrat Emploi-Solidarietè
(CES3), legalmente validi fino al 2005:
La promozione di corsi di formazione e di qualificazione professionale nel settore privato
sono rispettivamente incentivate dal contratto di apprendistato e dal contratto di
qualificazione. Il contratto di apprendistato, Contrat d’Apprentissage (CDA4), valido
ancora oggi, è destinato a giovani tra i 15 e 16 anni; Il contratto di qualificazione, Contrat
de Qualification (CDQ),esistente dal 1984 al 2004, era diretto a giovani poco qualificati a
disoccupati di lungo periodo con l’obiettivo di fornire l’acquisizione di competenze
professionali direttamente sul campo di lavoro (“on-the-job training programs”) attraverso
programmi specifici della durata massima di 24 mesi. Anche in quest’ultimo caso, lo stato
francese contribuiva al salario minimo mentre il datore di lavoro era esonerato per un
periodo circoscritto al versamento dei contributi alla Sicurezza Sociale.
L’ultima tipologia di intervento pubblico è orientata a sostenere la domanda di lavoro da
parte delle imprese private garantendo loro, la partecipazione statale all’integrazione del
salario minimo oltre a riduzioni fiscali sul costo della manodopera e ulteriori agevolazioni
fiscali in caso di assunzione, a tempo determinato o indeterminata, di lavoratori
scarsamente qualificati.
Come osserva la sociologa Florance Lefresne nel saggio “Les jeunes et l’Emploi”:
3
Diretti a giovani poco qualificati e a disoccupati di lungo periodo, a tempo part-time con un monte ore
prossimo alle 20 ore settimanali, di durata superiore ai 3 e inferiore ai 12 mesi, rinnovabile per 3 volte
consecutive e sottoscrivibile nei settori pubblico-amministrativo e negli enti No-profit. I lavoratori in possesso
di tale contratto ricevevano un sussidio statale in base alla paga minima oraria e nel 1996, il 62% delle donne e
l’84% di persone a basso titolo di studio era interessata dal contratto di lavoro di solidarietà.
4
Prevede sia l’assunzione part-time nell’impresa sia l’impiego part-time in centri pubblici di formazione
generale e specifica, la durata complessiva varia da 1 a 3 anni a seconda del tempo necessario per conseguire il
diploma nazionale. Ai giovani lavoratori-scolari viene riconosciuto una retribuzione corrispondente ad una
frazione del livello minimo salariale. Nell’arco di circa un decennio il numero di apprendisti è aumenta da
294000 (1995) a 362000 (2003), inoltre, la maggioranza di loro sono giovani di sesso maschile.
13
“La maggior parte delle politiche per l’impiego destinate ai giovani si fondano (e si
fondavano) su una perversa deduzione secondo cui la scarsa esperienza lavorativa associata
ad una scarsa formazione scolastica sono indici di bassa produttività e, alle quali deve
corrispondere l’equivalente del minimo salariale. […] Hanno (le elite politiche, i sindacati
e le imprese) così proposto delle forme di lavoro specifiche destinate ad accelerare il
processo di inserimento dei giovani abbassando il costo del lavoro in cambio di
un’esperienza professionale o formazione.”(Lefresne Florance, 2003)
Un’altra riforma del mercato del lavoro è stata tentata dal Governo tra il 2005 e il 2007.
Essa prevedeva l’introduzione del (Contratto di Primo Impiego) Contrat de Première
Embauche (CPE) e del (Contratto di Nuovo Impiego) Contrat de Nouvelle Embauche
(CNE). Entrambe le tipologie mirano alla proliferazione di nuovi rapporti di lavoro in
deroga e in sostituzione del tradizionale contratto a tempo indeterminato (CDI), inoltre, si
differenziano dai contratti a tempo determinato (CDD) perché nei loro statuti eludono le
limitazioni della contrattazione a termine e le tutele contro immotivati licenziamenti.
In particolare il Contrat de Première Embauche era rivolto alle imprese con più di 20
dipendenti, a giovani di età inferiore ai 26 anni ma soprattutto era normato il licenziamento
senza giusta causa o giustificato motivazione durante il “periodo di consolidamento
dell’impiego” pari ai primi due anni di contratto. Le forti sollevazioni popolari, gli scontri
di piazza e i prolungati scioperi generali hanno favorito il ritiro dei CPE nella primavera del
2006.
Il Contrat de Nouvelle Embauche, tuttora vigente, trasla il concetto di precarietà,
normalmente riferito ai contratti a durata determinata, ai contratti a tempo indeterminato.
La prima applicazione ha interessato il comparto dell’edilizia in cui il lavoratore è assunto
a tempo indeterminato fino al completamento dell’opera. I nuovi contratti di lavoro
decretano il passaggio dal diritto del Lavoro al diritto all’impiego, o meglio agli Impieghi.
Infine, è bene sottolineare che contrariamente alle scelte degli altri politici europei che
hanno stanziato programmi di ridimensionamento del volume delle sovvenzioni in
corrispondenza della congiuntura economica negativa, dal 2000 la politica francese ha
destinato ingenti investimenti a sostegno della spesa sociale, e in particolar modo nel 2007
sono ulteriormente incrementati i fondi pubblici a beneficio della protezione sociale (in
percentuale del Prodotto Interno Lordo), La percentuale del Pil francese destinata alla
14
protezione sociale supera anche quella prevista dal governo svedese, che da sempre si
contraddistingue per massicci investimenti alla spesa pubblica.
Fig.2- SPESA TOTALE DELLA PROTEZIONE SOCIALE IN %PIL”
Fonte: Fondazione iFRAP, “Spesa di Protezione Sociale: la Francia
campione d’Europa”, 2009.
2.3 Quanti sono i lavoratori temporanei?
Il panorama europeo del lavoro temporaneo è estremamente eterogeneo con un’incidenza
del fenomeno che ha un range di variazione ampio e soggetto a modifiche nel tempo.
Secondo la ricostruzione di Avola ( 2009) la quota di lavoratori temporanei è cresciuta
costantemente negli ultimi quindici anni: era il 10,6% con l’Europa ancora a dodici mentre
nel 2006 era il 14,4%.
Se consideriamo i dati Eurostat 2008 sulle Forse Lavoro in Europa, si confermano tendenze
già in atto da tempo.: in primo luogo si individuano tre cluster di paesi, quelli in cui il
lavoro temporaneo è meno diffuso - sotto o intorno al 10% ( considerando sia uomini che
donne) –; quelli in cui i lavoratori temporanei sono una percentuale consistente tra il 13 e il
17%; e un terzo cluster di paesi in cui i lavoratori a tempo determinato rappresentano una
quota significative, da un quinto a un terzo del totale degli occupati; in secondo luogo si
15
conferma una differente presenza di uomini e donne nel lavoro temporaneo con le seconde
mediamente più coinvolte in contratti a tempo determinato; in terzo luogo le differenze tra
uomini e donne nei vari paesi sono variabili, da pochi punti percentuali (Portogallo) a dieci
o più ( Finlandia e Cipro).
Se consideriamo l’Italia, il periodo vero e proprio della flessibilizzazione del mercato
occupazionale è tra il 1996-2006. La crescita dei lavoratori temporanei è continuata in
modo costante fino al 2000 per poi rallentare fino al 2004 e riprendere a crescere dal 2006
fino al 20085. Un elemento che si può sottolineare è che l’Italia si colloca tra quei Paesi in
cui la differenza tra uomini e donne è di un certo rilievo anche se non elevatissima ( 5%).
Da un punto di vista puramente descrittivo non sembrano esserci particolari diversità
nell’intensità con cui è diffuso il lavoro temporaneo in Italia rispetto agli altri paesi europei.
Ma allora dove sono le differenze?
Uno dei primi motivi che hanno giustificato la diffusione di contratti di lavoro a tempo
determinato è stata la necessità di garantire alle giovani generazioni punti di accesso al
mercato del lavoro. Questo dovrebbe inoltre consentire di raggiungere in tempi più rapide
una indipendenza economica e quindi favorire il raggiungimento di un’autonomia abitativa
e consentire la formazione di una nuova famiglia.
E’ noto infatti che negli ultimi decenni è in atto, in tutti i Paesi Occidentali, e in modo
particolarmente intenso in Italia, un sempre più lento passaggio dei giovani all’età adulta.
Molte scelte cruciali, quali l’ingresso nel mondo del lavoro, l’uscita dalla famiglia
d’origine, la creazione di una nuova famiglia, sono posticipate e in qualche caso anche
evitate (Cavalli e Galland, 1996; Ongaro, 2001).
A differenza di quanto è accaduto nei paesi del centro e nord Europa, dove si sono diffusi
modelli di formazione di nuove famiglie basati sulla convivenza more uxorio, in Italia (e in
altre aree del sud Europa) la progressiva posticipazione del primo matrimonio (e della
nascita del primo figlio), il mantenimento del sincronismo tra prima indipendenza
residenziale e primo matrimonio e il persistere della sequenza matrimonio - primo figlio,
hanno favorito l’allungamento del tempo di permanenza dei giovani nella famiglia
d’origine.
Il 2009 segna una nuova flessione ma questo molto probabilmente è da collegare con la crisi economica che
ha investito il mercato globale negli ultimi due anni.
16
Tab.3 – Percentuale di occupati temporanei sul totale degli occupati dipendenti nell’UEAnno 2008 ( media)
UOMINI ( MEDIA
DONNE ( MEDIA
PAESE
2008)
2008)
Spain
27,4
30,8
Poland
23,2
24,6
Portugal
20,7
23,1
Cyprus
8,3
22,0
Finland
9,0
18,7
Netherlands
12,6
15,9
10,1
15,4
Italy
Sweden
10,0
15,4
Slovenia
10,3
15,2
France
10,2
13,5
European Union (27
11,1
13,2
countries)
Greece
9,3
13,2
Germany (including former
GDR from 1991)
9,9
10,6
Norway
4,8
10,2
Belgium
5,3
8,8
Denmark
4,7
7,9
Ireland
5,0
7,3
Hungary
8,2
6,7
Czech Republic
4,0
6,7
Austria
4,0
5,7
Malta
2,8
5,5
Luxembourg
3,9
5,3
United Kingdom
3,4
4,7
Bulgaria
5,0
3,7
Slovakia
3,8
3,7
Latria
4,4
1,8
Estonia
4,4
nd
Lithuania
2,2
1,5
Romania
1,1
1,0
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat
Si tratta di una fase che emerge dai nuovi processi di espansione della scolarizzazione e dal
conseguente affermarsi di un periodo ampio di “moratoria psico-sociale”, in cui è lecito
sperimentare ruoli diversi senza attuare scelte definitive, fase dunque caratterizzata insieme
da maggiore libertà e maggiore incertezza. Una sorta di nuovo ‘limbo’ che sembra essere in
Italia un effetto congiunto di fattori culturali e condizioni strutturali, non ultima la rigidità
17
del mercato del lavoro italiano ( Saraceno, 2004; Naldini, 2006a, 2006b)- (Sgritta 2002;
Allegra 2002; Zanatta 2003; Barbagli et al 2003, Cavalli, 2007)6
L’istituzione di forme contrattuali temporanee e flessibili può essere uno strumento utile
per contrastare quegli effetti negativi di una permanenza in famiglia che non sono tanto
frutto di una scelta quanto necessaria conseguenza della mancanza di opportunità
lavorative.
In effetti una parte del meccanismo ha funzionato: il 30% dell’occupazione creata negli
ultimi 20 anni è a termine e la percentuale di lavoratori temporanei sull’occupazione alle
dipendenze è cresciuta dal 9% a quasi il 15%, ma con notevoli differenze nazionali”(Reyneri,
2009, p. 9). Alcuni autori sottolineano che questo non significa che il lavoro di lunga tenuta è
scomparso. Dal 1992 al 2002 la percentuale che svolge lo stesso lavoro da almeno 10 anni è
stabile o aumenta di poco (Reyneri, 2009). Quello che forse è cambiato maggiormente è che
in Europa il lavoro temporaneo è diventato per i giovani il principale canale di accesso al
mercato del lavoro (OECD, 2008).
L’Inchiesta Lavoro del 2002 commissionata dall’INSEE , rilevava che il tasso di giovani
con meno di 30 anni titolari di un contratto temporaneo è pari al 21% (13% ha un contratto
a tempo determinato -CDD - mentre il restante 8% ha contratti interinali –CTT-)
rappresentando la metà del totale dei lavoratori precari. La stessa ricerca riporta come sul
totale dei salariati con contratti a tempo determinato solo 1su 3 ottiene un contratto a tempo
indeterminato l’anno successivo e non necessariamente presso la stessa azienda. Secondo
gli esperti, questa transizione riflette il “modello della lista d’attesa” secondo il quale i
lavoratori impiegati per più di un anno con contratti a termine, intervallati anche da periodi
di disoccupazione, hanno meno possibilità di ottenere l’anno successivo un contratto a
tempo indeterminato.
Il tasso di transizione annuale dal Contrat à Durée Determinée verso il Contrat à Durée
Indéterminés conosce il suo punto negativo nel 1993 (29%), si rialza dal 1995
raggiungendo l’apice in corrispondenza della favorevole congiuntura economica del
biennio 1998-2000 per poi orientarsi al ribasso dal 2001.
6
Questi aspetti verranno ripresi e approfonditi nel terzo paragrafo.
18
Fig.3- TASSO DI TRANSIZIONE ANNUALE TRA CDD E CDI.”
Champ: salariés du secteur privè, hors contrats aidès.
Fonte: Insee, Inchiesta Lavoro dal 1989 al 2002.
Per quanto concerne le donne, anche il mercato francese si caratterizza per forme di
segregazione orizzontale e verticale di genere, ne risulta che la costruzione delle carriere
professionali femminili è più incerta ed esposta a forme di assunzioni precaria che
penalizzano la fase di avvio.
2.4 Modi di fare famiglia e politiche familiari7
Nell’analisi delle convergenze e divergenze tra Italia e Francia per ciò che concerne
l’impatto del lavoro atipico sulle scelte familiari un punto cruciale è rappresentato dalle
politiche sociali introdotte a sostegno delle famiglie.
Gli interventi in tema di politiche sociali familiari introdotti negli ultimi decenni riflettono le
profonde trasformazioni avvenute dei modi di fare famiglia. Secondo Gauthier (2002) fin
dagli anni Settanta i decisori politici in materia di politiche sociali si sono dovuti confrontare
con quattro cambiamenti principali. In primo luogo il cambiamento demografico avvenuto
nella struttura familiare e nelle dinamiche familiari a seguito del declino e della
7
La letteratura sulle politiche sociali in Europa è ormai molto ampia. Non è obiettivo di queste pagine fornire
una panoramica esaustiva del dibattito in corso ma piuttosto sintetizzare lementi di convergenza e divergenza
tra i due paesi. Per approfondimenti su volumi specificatamente dedicati alla tematica cfr. Saraceno, 2003;
Naldini, 2006; Saraceno e Naldini, 2011, in corso di stampa.
19
posticipazione delle scelte risproduttive, dell’aumento dell’instabilità coniugale, della
diffusione di forme familiari ‘atipiche’ – famiglie monoparentali o ricostituite , delle nascite
fuori dal matrimonio e della crescente destandardizzazione dei corsi di vita (Coleman, 1996;
Sardon, 2000; Shanahan, 2000).
Tali cambiamenti, do ordine demografico, sociale e culturale,
sono avvenuti in tutti i Paesi industrializzati sebbene con ampiezza e impatto differente
hanno segnato una delle trasformazioni più significative per i regimi di Welfare basati fino
agli anni Settanta su un modello di malebread winner.
Un secondo cambiamento comune a tutti i paesi europei riguarda le trasformazioni del
contesto economico e dei bilanci dei governi. Le recessioni economiche ch esi sono
susseguite, gli alti livelli di disoccupazione e la trasformazione dle mercato del lavoro nella
direzione dell’instabilità, come indicato anche nei paragrafi precedenti, hanno aumentato
secondo Gauthier la vulnerabilità delle famiglie in tutti i paesi industrializzati (Vleminckx
and Smeeding, 2001). Questo, dal punto di vista degli interventi a sostegno delle famiglie,
ha significato l’inserimento d aparte die diversi governi di forme di protezione adatte per
contrastare il rischio di povertà e ha favorito l’introduzione di programmi di intervento
sottoposti alla prova die mezzi. Nel campo delle politiche sociali per la famiglia questo ha
significato l’introduzione di forme, più o meno generose di sostegno al reddito, come ad
s Working Families'
esempio complement familial francese introdotto nel 1977 e il Britain'
Tax Credit introdotto nel 1999.
Un terzo elemento comune a tutti i paesi è connesso con l’affermazione dle mercato comune
europeo e l’aumento dell’importanza della dimensione sociale all’interno della Unione
Europea. L’adozione delle direttive comunitarie da parte di ciascun Paese avrebbe avuto
secondo Gauthier un effetto anche nelle politiche sociali nazionali. Ad esempio la direttiva
sul congedo genitoriale del 1996 è stata seguita dall’adozione di politiche ad essa connesse
in quei paesi che mancavano di tale copertura.
Infine il quarto elemento di convergenza è rappresentato dalla globalizzazione dei mercati
economici, considerata uno dei principali antagonisti del Welfare State.
La globalizzazione dei mercati diminuisce la competitività degli interventi a sostengo del
benessere dei cittadini a causa degli alti costi che generalmente essi hanno. Il desiderio di
20
rimanere economicamente competitivi e la paura del ‘social dumping’ può,infatti, orientare i
governi a riconsiderare e ridurre gli interventi in termini di protezione sociale e benessere8.
A fronte di tali convergenze, potremmo dire strutturali, quali peculiarità dimostrano di avere
Francia e Italia ?
Se è vero che entrambi i paesi hanno attraversato la grande fase di trasformazione
demografica economica e culturale che ha attraversato la second ametà del Novecento e
inciso sulle struttura familiari e sui corsi di vita individuali, gli effetti che tali transizioni
hanno avuto sulle configurazionie famigliari e sulle scelte dei singoli sono piuttosto
differenti.
Possiamo fare qualche esempio.
In primo luogo sia Francia che Italia hanno dovuto affrontare un profondo e marcato declino
della fertilità. Addirittura la Francia è stata, insieme alla Svezia uno dei primi Paesi europei
a risentire, a fine Ottocento, di questa inversione di tendenza nelle scelte riproduttive.
Solo però in Italia questo processo si sta dimostrando difficilmente reversibile come
dimostra il grafico successivo.
Fig.4- Tassi di fertilità in Italia e Francia: numero di figli per donna ( 15-49 anni)
Fonte: Dati dal 1970 al 2003: OECD Factbook 2006: Economic, Environmental and Social
Statistics; dal 2004 Dati Eurostat.
8
Non mancano tuttavia visioni contrarie: una forza lavoro protetta dai rischi del mercato può secondo alcuni
autori rivelarsi in realtà un fattore di rilancio economico (Flynn, 1996).
21
Secondo Gauthier, l’atteggiamento della Francia verso al situazione demografica e il ruolo
che il governo deve avere nell’affrontarla è decisamente peculiare. In primo luogo, a
differenza di altri paesi, la Francia percepisce come una reale necessità gli interventi volti a
sostegno della natalità. In secondo luogo il governo francese ha sempre visto gli interventi
nella sfera demografica come una sua specifica responsabilità: rimuovere ciò che ostacola le
scelte riproduttive di uomini e donne è visto come un dovere del governo. Terzo elemento il
governo francese non percepisce gli interventi pronatalisti come un’indebita incursione nelal
libertà di scelta dell’individuo ma piuttosto come un potenziamento della libertà di scelta
stessa in quanto questo interventi possono aiutare gli individui a realizzare le proprie
aspettative riproduttive [Gauthier, 1996, p.139].
Questo retaggio culturale e istituzionale ha avuto un peso fortissimo nell’orientare le
politiche di intervento per la famiglia. La Francia insieme al Belgio è tra i pochi paesi ad
aver sviluppato un’esplicita politica sociale per la famiglia. Il sistema coerente di politiche
sviluppato in Francia ha saputo coniugare finalità diversa: sostegno alla natalità, sostegno al
costo dei figli e parità tra i sessi [ Saraceno e Naldini, 2007; p.251].
Tutto questo è stato possibile grazie a un buon mix di trasferimenti monetari, sia in forma
diretta che attraverso il sistema fiscale, e servizi per l’infanzia , scelte che hanno contribuito
a sostenere il doppio ruolo delle donne in termini di madre e lavoratrice (Cfr. Fig.XXX).
Fig. 5 - Spesa pubblica per la famiglia in termini di trasferimenti monetari diretti,
trattamenti fiscali e servizi.
Fonte: OECD, 2006
22
I servizi e le politiche per la cura sono pensati in modo specifico per sostenere tanto
l’occupazione femminile quanto la natalità e sono di natura diversa: ad esempio il congedo
genitoriale di natura familiare è molto lungo, fino a 36 mesi (incluso il congedo
obbligatorio) e fino al terzo anno di vita del bambino. L’indennità prevista per viene però
pagata per tutti i 36 mesi solo dal secondo figlio in poi [Saraceno e Naldini, 2007; pag. 265].
Inoltre anche i servizi per la prima infanzia (0-2 anni), scarsi in tutta Europa, la Francia
mostra di essere tra i pochi Paesi in grado di fornire una forma di copertura.
Dalla ricerca comparata di Gornik, Meuyers, Ross (1997) sull’impatto delle politiche
pubbliche sulle madri lavoratrici la Francia risulta tra i paesi con i i migliori servizi per i
bambini dai tra anni in su. Inoltre per i genitori lavoratori esistono altre forme di
riconoscimento della cura: una delle principali è la possibilità di avere agevolazioni fiscali.
I genitori che ragioni diverse non possono avvalersi dei servi per l’infanzia e decidono di
rivolgersi ad una assistente maternelle agreé possono richidere l’AFEAMA (Aide à la
famille pour l’emploi d’une assistente maternelle agreé) [Naldini, 2006; Kieffer e al., 2005].
Fig. 6- Corpertura offerta dai servizi per l’infanzia 0-6 anni ( %)
Fonte: De Henau et al. (2006)
23
Secondo diversi autori ( Jensen, Sineu, 1998; Naldini, 2006) inoltre la Francia presenta
un’altra peculiarità interessante: le politiche e i servizi per la cura sono stati integrati e
pensati insieme alle politiche occupazionali. Il sostegno ai servizi di prossimità ( così
vengono chiamati in francia i servizi alla persona) è diventato una soluzione di policy per
creare posti di lavoro, anche se gli interventi in termini di sostegno fiscale per l’acquisto sul
mercato dei servizi di cura sembra privilegiare le classi medio alte e le donne più istruite.
Gli effetti positivi di questi interventi sulla possibilità delle donne di conciliare famiglia e
impegni lavorati sembrano essere confermati dai tassi di occupazione femminili, alti anche
quando ci sono figli nell’household.
Fig.7- Donne occupate ( 20-49 anni) a seconda del numero dei figli
Infine non va dimenticata la presenza di un modello culturale di formazione della famiglia
che contempla diversi scenari possibili tra i quali l’ingresso in coppia non formalizzato dal
matrimonio. In Francia le convivenze more uxorio rappresentano un percorso alternativo di
ingresso in coppia scelto in particolare dai più giovani: secondo i dati Eurostat del 2004 più
del 40% delle coppie di età compresa tra i 16-29 anni era costituita da unioni consensuali.
Non si tratta peraltro solo di un riconoscimento informale: dal 1999 infatti con
l’introduzione dei Pacs ( Pacte civil de solidarité) lo stato riconosce alcuni diritti alla coppia
convivente.
L’Italia si colloca invece su un versante opposto, quello del non intervento. Insieme ad altri
paesi dell’area mediterranea il nostro paese è caratterizzato dalla mancanza di politiche
24
esplicite e coerenti e dalla estrema frammentarietà della politica sociale. I trasferimenti
monetari destinati alle famiglie con figli sono attribuiti mediante una logica selettiva e,
rispetto ad altri paesi europei risultano poco generosi [Saraceno e Naldini, 2007; vedi anche
fig.5]. Se poi di tiene conto del fatto che i servizi per la prima infanzia (0-2 anni) sono poco
potenziati nel nostro paese ( cfr. Fig.6), che non esistono forme strutturate di sostengo alla
cura al di fuori dei servizi di cura di tipo collettivo, che i trattamenti fiscali per le famiglie
con figli sono sostanzialmente marginali, lo scenario che, paradossalmente, emerge è quello
di un paese che sta invecchiando ma che è poco orientato al sostegno della maternità e della
paternità, concepita più come una scelta privata che come una questione di interesse
pubblico.
Alcuni autori hanno spiegato questo ritardo nello sviluppo del welfare italiano ( e più in
generale di quello dei paesi del sud europeo) come il risultato di diversi fattori: la tendenza a
preferire i trasferimenti monetari ai servizi e a proteggere chi entra nel mercato del lavoro;il
ruolo e il peso della Chiesa Cattolica nelle scelte che riguardano tutti i cittadini; e il ricordo
ancora vivido delle politiche pro-nataliste sviluppate durante il fascismo che per molto
tempo hanno portato i decisori politici a ritenere le questioni inerenti la famiglia ( sposarsi,
aver figli, ecc.) come qualcosa che appartiene alla sfera privata dei cittadini [Ferrera, 1996,
2006; Gauhtier, 1996; Naldini, 2003; Saraceno 2003] .
Infine non bisogna dimenticare che il modello di famiglia che è stato finora sostenuto dai
decisori politici è quello delle solidarietà familiari e parentali che prevede un sistemafamglia sostenuto dalle solidarietà e obbligazioni familiari e intergenerazionali lungo tutto il
corso di vita e che percepisce i compiti legati alla cura spettino in via prioritaria alla
famiglia [Naldini, 2003]. Questo ha significato e significa per le donne italiane grandi
difficoltà a conciliare il loro doppio ruolo di madri e lavoratrici (come appare anche da
fig.7). In un panorama poco family-friendly è opportuno tuttavia segnalare i cambiamenti
significativi che comunque anche nel nostro paese indicano che un cambiamento di rotta è
possibile: in primo luogo il nostro paese è ai primi posti nelel graduatorie che verificano la
copertura per i servizi previsti per i bambini dai 3 anni in poi. In secondo luogo un
intervento legislativo che ha segnato un cambiamento importante è stata la Legge 53/2000
sui congedi di maternità e genitoriale che mette al centro sia la questione della conciliazione
tra responsabilità familiari e lavorative e quella del riequilibrio tra responsabilità di cura di
uomini e donne.
25
3. Più precari e meno autonomi? L’impatto della flessibilità lavorativa sull’uscita
dalla famiglia di origine per i giovani francesi e italiani: un’analisi quantitativa
Per mettere a fuoco le differenze tra Italia e Francia per ciò che concerne la relazione tra
tipo di contratto di lavoro e uscita dalla famiglia d’origine, si è scelto di utilizzare la
rilevazione continua sulle forze lavoro (EU Labour Force Survey), effettuata annualmente
su tutti i paesi europei con cadenza trimestrale. Si tratta di una delle poche indagini europee
in grado di fornire dati realmente confrontabili tra loro poiché le informazioni contenute
nella rilevazione sono strutturate in modo da essere indipendenti dalle cornici legislative e
politiche di ciascun paese. Un secondo elemento da considerare è la grande l’ampiezza dei
campioni coinvolti che permettono di effettuare analisi anche piuttosto dettagliate su
popolazioni specifiche (Eurostat, 2010).
Nell’analisi qui presentata si è utilizzata la rilevazione del 2005 per poter monitorare
l’impatto della condizione lavorativa sulle scelte familiari in un periodo relativamente
‘calmo’ dal punto di vista economico, prima quindi della grande bolla finanziaria del 20082009 che ha messo in crisi le economie mondiali. Nello stesso tempo però partire dal 2005
significa confrontare i paesi quando le più significative trasformazioni del mercato del
lavoro nella direzione della flessibilizzazione lavorativa sono già avvenute.
Diverse sono state le scelte necessarie nel corso dell’analisi. In primo luogo è stato
necessario definire le coorti di età rispetto alle quali valutare condizione occupazionale e
situazione familiare. La scelta finale è frutto di un compromesso tra le diverse realtà
territoriali, differenti in particolare per ciò che riguarda le transizioni familiari.
Diverse ricerche infatti hanno messo in evidenza la presenza in Europa di molteplici
modelli di transizione alla vita adulta rispetto ai quali l’uscita della famiglia rappresenta
una fase importante (Billari, 2001; Ongaro, 2001; Iacovu, 2002, Saraceno, Olagnero,
Torrioni, 2005; Kotowska, Matysiak e Styrc, 2010).
I dati di recenti ricerche empiriche indicano, infatti, la presenza di almeno di modelli di
uscita dalla famiglia d’origine: un modello di uscita precoce dalla famiglia (earliest-early”
pattern) particolarmente diffuso nei paesi del Nord Europa in cui l’uscita da casa avviene
intorno ai vent’anni, è piuttosto standardizzate nei tempi e avviene attraverso forme diverse
di transizione familiare (in coppia, da soli, in coabitazione con amici). Il secondo modello
(latest-late” pattern) è invece più diffuso nel sud dell’Europa e prevede un’uscita
26
posticipata nel tempo, con molta eterogeneità nei tempi e generalmente prevede come
modalità di uscita standard l’ingresso in coppia (fondata in prevalenza sul matrimonio).
LA fig.8 riporta i dati per quindici paesi europei (Old Europe) inerenti la situazione
familiare dei giovani europei tra i 18 e i 34 anni (cfr. anche Saraceno, Olagnero, Torrioni,
2005).
Fig. 8- Situazione familiare dei giovani europei tr ai 18 e i 34 anni
Fig.8a
8b
Fig.8c
Fonte: Nostre elaborazioni su dati EQLS, 2003
27
La presenza dei due modelli sembra essere confermata: nel primo modello diffuso in
particolare nei Paesi del Nord Europa, in Germania Austria, Germania, Belgio, Francia e
UK una quota consistente di giovani fino ai 34 anni vive fuori dalla casa dei genitori, in
coppia ma anche da solo. Il secondo modello sembra invece prevalere nei paesi del Sud
europeo (Spagna e Italia in particolare) in quanto più del 50% del campione, in particolare
di ragazzi, vive ancora nella casa dei genitori.
In generale i giovani italiani e francesi affrontano il percorso di uscita dalla famiglia in
tempi differenti e attraverso modalità diverse come dimostrano anche i dati della tab.1
relativi a diverse indagini europee che consentono di rilevare le età alla transizione.
Tab.4
In tutti i paesi europei si è assistito quindi alla trasformazione della giovinezza in un’età di
sperimentazione e esplorazione, permeata da pluralità di opzioni e reversibilità delle scelte.
Nei comportamenti effettivi emergono tuttavia notevoli differenze tra i giovani europei. Se
per quelli del Nord Europa il processo di decoabitazione (cioè di uscita dalla famiglia di
origine) avviene precocemente, per i giovani dell’area mediterranea, in particolare per quelli
italiani, è sempre più netta e preoccupante la posticipazione di questa scelta. I giovani
dell’area continentale (Francia, Belgio e Germania) si collocano, invece, in mezzo ai due
opposti: per molti di essi la decoabitazione assume un significato temporaneo e reversibile
(Cicchelli e Galland, 2009). Rispetto alla prolungata permanenza nella famiglia di origine,
28
contano sia fattori di tipo culturale come ad esempio, il processo di individualizzazione, la
trasformazione dei rapporti tra le generazioni in senso democratico, sia gli elementi
istituzionali e strutturali legati alle trasformazioni del mercato del lavoro, soprattutto in quei
paesi come il nostro in cui gli interventi di welfare sono di tipo residuale (Ricucci e
Torrioni, 2006; Cicchelli e Galland, 2009; Torrioni, 2010). Alcuni studi sulle disuguaglianze
sociali indicano che l’appartenenza generazionale si è configurata come causa di un generale
peggioramento (relativo) delle condizioni di vita, dovuto alle maggiori difficoltà, incontrate
nelle coorti nate a partire dalla fine degli anni Sessanta, nell’assunzione dei ruoli adulti, nel
trovare il primo lavoro, entrare in rapporti di impiego garantiti e protetti e nel fare carriera
(Schizzerotto, 2002).
L’Italia è uno dei Paesi in cui i giovani lasciano più tardi la famiglia di origine. Questo
comportamento è sicuramente frutto di fattori culturali di lungo periodo (Zuanna, 2001;
Saraceno, 2004), o del fatto che i giovani scelgono meno frequentemente ti formare una
coppia attraverso la convivenza (Billari et al., 2002; Nazio e Blossfeld, 2003), ma come
vedremo, per alcuni gruppi sociali può anche essere una precisa strategia per ottenere
posizioni lavorative migliori (Reyneri, 2007, Fullin, 2005) e come una strategia della classe
media (Barbera, Negri, Zanetti, 2008). In italia titolo di studio e classe sociale sono
fortemente correlate.
Inoltre, anche fattori di tipo culturale possono incidere sul ritardo alla transizione alla vita
adulta [Livi Bacci 1997; Sgritta 2002]. Dalla Zuanna [2001] and Saraceno [2004], per
esempio, argomentano che i legami forti e l’aiuto reciproco tra genitori e figli
contribuiscono a rimandare l’uscita di casa e la fecondità. Inoltre, nel Sud d’Europa il tardo
raggiungimento dell’autonomia abitativa potrebbe essere legato al fatto che i giovani
scelgono meno frequentemente l’uscita di casa attraverso la modalità della convivenza, che
in effetti è meno diffusa rispetto ad altri paesi europei [Billari et al., 2002; Nazio &
Blossfeld 2003].
Secondo Bernardi [2000], inoltre, nel nostro Paese la decisione di creare una nuova
famiglia o avere un figlio è legata anche all’ottenimento di uno status socio-economico
simili a quello della famiglia di origine che un mercato del lavoro rigido fa protrarre nel
tempo [Schizzerotto and Lucchini 2002, Bertolini, Luciano, Naldini 2007]. Sembra inoltre,
che avere il primo lavoro non influisca per le donne sulla decisione di sposarsi, mentre per
gli uomini è vero l’opposto [Pisati 2002].
29
A fronte di questi riscontri empirici ormai consolidati da indagini diverse la scelta è stata
quella di concentrare l’attenzione sulla coorte 20-39 anni, range che permette di cogliere
sia la precoce uscita dei giovani francesi sia di rilevare la lunga permanenza dei giovani
italiani.
I dati relativi alla Francia
I dati della EU-LFS2005 inerenti la Francia confermano quanto già noto per quanto
riguarda l’uscita dalla famiglia: nella fascia di interesse la maggior parte dei giovani
ha già effettuato la transizione9. Tab.5- Condizione familiare per genere; % di riga
(20-39 anni)
Situazione familiare
EU-LBS2005
FRANCIA
20-39 ANNI
genere
Uomini
Donne
Totale
Uscito/a dalla
Vive nella
famiglia di
famiglia
origine
d’origine
Totale
N
30388
9978
40366
%
75,3%
24,7%
100,0%
N
35737
7017
42754
%
83,6%
16,4%
100,0%
N
66125
16995
83120
%
79,6%
20,4%
100,0%
2
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005Note : = 880.70 ;
p=0.000 ; PHI= - 0.103 ; Ntot=86829; per la condizione familiare non sono state
considerate le situazioni in cui i soggetti risultavano vivere con il partner nella famiglia
d’origine, i casi in cui oltre al partner e i genitori vi erano nell’household altri membri
aggregati e i casi in cui la situazione abitativa non è un’abitazione privata ma un’istituzione
(convitto, ospedale, istituzioni religiose, ecc.).
E’ inoltre confermata l’uscita precoce delle ragazze rispetto ai ragazzi, anche se il gap di
genere tra i giovani francesi è piùttosto contenuto.
Tra colo che hanno già fatto la transizione di uscita dalla famiglia la quota maggioritaria
(76%) vive in coppia, nella metà dei casi si tratta di unioni di fatto10.
Informazioni interessanti si possono ottenere combinando i dati inerenti la condizione
occupazionale con la situazione famigliare. Un primo dato riguarda i tassi di occupazione:
più di sei giovani francesi su dieci sono coinvolti in un’attività lavorativa pagata al
9
Per approfondimenti tecnici sulla costruzione del campione, l’ampiezza complessiva e le diverse rilevazioni
cfr. EUROSTAT, 2006; 2010.
10
I dati LBS non consentono di distinguere tra soggetti separati divorziati o vedovi.
30
momento della rilevazione11. La tab.6 inoltre mostra una relazione significativa tra
situazione occupazionale e condizione familiare: nel campione francese ad uscire dalla
famiglia non sono solo gli occupati ma anche le persone inattive, gruppo costituito per lo
più da donne che vivono in coppia e svolgono lavoro famigliare non pagato o che non
stanno cercando lavoro.
Anche i giovani che al momento della rilevazione non sono occupati (ma che stanno
cercando lavoro e si sono attivati per farlo) nella maggior parte dei casi vivono fuori dalla
famiglia di origine. L’unica situazione in cui prevale la permanenza all’interno della
famiglia di origine è quella di chi è in formazione (compresi coloro che hanno avuto
esperienze di lavoro non pagato come stage o tirocini).
Tab.6- Situazione familiare per condizione professionale; % di riga
EU-LBS2005
FRANCIA
20-39 ANNI
Condizione
Occupati
Situazione familiare
Uscito/a dalla famiglia
Vive nella famiglia
di origine
d’origine
Totale
N
49964
8334
58298
%
85,7%
14,3%
100,0%
Non occupati N
5500
2533
8033
%
68,5%
31,5%
100,0%
N
2340
4483
6823
%
34,3%
65,7%
100,0%
N
8321
1645
9966
%
83,5%
16,5%
100,0%
N
66125
16995
83120
%
79,6%
20,4%
100,0%
occupazionale
Studenti o
persone in
formazione
Inattivi
Totale
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005
Note : 2= 10649,915 ; p=0.000 ; PHI= 0.358 ; Ntot=86829; per la condizione familiare cfr. nota tab.2; per la condizione
professionale le persone inattive sono coloro che non hanno lavorato nella settimana di riferimento, non stanno cercando
lavoro e non sono disponibili a iniziare in tempi brevi una attività lavorativa (persone coinvolte in compiti familiari non
pagati, disabili, persone ritirate dal lavoro).
11
Ai fini della rilevazione sono considerati ‘occupati’ coloro che nella settimana di riferimento hanno lavorato
per ottenere un pagamento o un profitto dal lavoro svolto. L’esperienza lavorativa può essere stata anche molto
breve. Per maggiori dettagli cfr. EUROSTAT, 2006; 2010. Vi sono differenze nei tassi di occupazione di
uomini e donne: tra i primi risulta occupato il 76% mentre si trova nella stessa situazione il 62% delle giovani
donne. Vi è una quota maggiore di donne inattive (18% vs 6%) generalmente coinvolta in obbligazioni
familiari non retribuite. Più del 90% degli occupati è costituito da lavoratori dipendenti.
31
In generale sembra prevalere un orientamento dei giovani francesi a lasciare la famiglia
quando si è deciso che non si proseguono gli studi, a prescindere in parte dal proprio status
occupazionale.
Per approfondire il discorso inerente il rapporto tra flessibilizzazione del lavoro e scelte
familiari può essere opportuno verificare se il tipo di contratto di lavoro può influenzare o
meno la transizione. Si è visto che più di otto giovani occupati su dieci sono fuori dalla
famiglia di origine. Possiamo chiederci se l’essere o meno in questa situazione tra chi
lavora è in relazione con la persistenza nel tempo del rapporto lavorativo.
Tab.7 - Situazione familiare per condizione professionale (tipo di contratto); % di
riga
Situazione famigliare
EU-LBS2005
FRANCIA
20-39 ANNI
Uomini
Situazione
Contratto di lavoro a
occupazionale
tempo indeterminato
Contratto di lavoro a
termine
Totale
Donne
Uscito/a dalla
Vive nella
famiglia di
famiglia
origine
d’origine
Totale
N
20618
3216
23834
%
86,5%
13,5%
100,0%
N
2956
1843
4799
%
61,6%
38,4%
100,0%
N
23574
5059
28633
%
82,3%
17,7%
100,0%
Situazione
Contratto di lavoro a
N
19043
1637
20680
occupazionale
tempo indeterminato
%
92,1%
7,9%
100,0%
Contratto di lavoro a
N
3808
1249
5057
termine
%
75,3%
24,7%
100,0%
N
22851
2886
25737
%
88,8%
11,2%
100,0%
Totale
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005
(uomini)= 1704,047 ; p=0.000 ; PHI= 0.244 ; 2 (donne)= 1149,522 ; p=0.000 ; PHI= 0.211;
Ntot=86829; Nvalidi=54370; ; per la condizione familiare cfr. nota tab.2; per la condizione
professionale nella condizione di lavoro a termine comprende coloro che hanno un contratto di formazione,
coloro che non sono riusciti a trovare un lavoro a tempo indeterminato, chi non sta cercando un contratto a
tempo indeterminato.e coloro che non forniscono ragioni di tale situazione lavorativa.
Note :
2
32
I dati segnalano un effetto significativo della forma contrattuale sulla permanenza all’interno
della famiglia: tra i lavorotori precari più di un terzo degli uomini e circa un quarto delle
donne risulta essere ancora nella famiglia di origine. Il trend di uscita precoce delle ragazze
rispetto ai ragazzi sembra essere confermato anche tenendo conto della temporaneità del
lavoro.
La durata dei lavoro temporanei è piuttosto variabile: più della metà del campione (56%)
indica una durata del rapporto di collaborazione che non supera i 6 mesi mentre solo il 10%
dei giovani intervistati indica rapporti contrattuali di durata superiore ai due anni.
Non è solo la forma contrattuale che può influenzare la permanenza in famiglia.
Decidere di investire nella formazione, in particolare quella universitaria, può essere uno dei
motivi che rallentano l’uscita. Un secondo motivo che può incidere sull’uscita è legato alla
possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro. Il tempo necessario può essere piuttosto
differente per soggetti diplomati o laureati: in particolare questi ultimi possono preferire
prolungare la permanenza nella casa dei genitori nell’attesa di trovare un lavoro confacente
al titolo di studio conseguito.
Quale relazione emerge da dait francesi?
I dati relativi all’ultimo titolo di studio conseguito, ad esempio, indicano un numero
consistente di giovani francesi laureati (33%). Se però guardiamo alla posizione famigliare
tenendo conto del titolo di studio, notiamo che sono coloro che hanno conseguito un titolo
elevato ad essere con maggiori probabilità fuori dalla famiglia d’origine. Sia tra le donne
che tra gli uomini la percentuale di giovani laureati che vive in famiglia è decisamente
bassa: rispettivamente 15% e 19%.
Si tratta di giovani che nella maggior parte dei casi vivono in coppia (64% delle donne; 59%
degli uomini) anche se una quota consistente (più del 20% ) vive da solo. Laurea e
formazione post laurea sembrano garantire più degli altri titolo di studio un ingresso nel
mondo del lavoro: più del 70% delle laureate e quasi l’80% dei laureati ha un lavoro. Il
gruppo delle laureate presenta inoltre la quota minore di persone inattive, meno del 10%
mentre tra le donne diplomate è il 16% e tra le donne senza titolo di studio o con basso titolo
di studio, il 37%.
33
Tab.8- Situazione familiare per genere e titolo di studio; % di riga
Situazione famigliare
EU-LBS2005
FRANCIA
20-39 ANNI
Uomini Titolo di
studio
ISCED 0_2
Nessun titolo o scuola
Uscito/a dalla
Vive nella
famiglia di
famiglia
origine
d’origine
Totale
N
6524
2426
8950
%
72,9%
27,1%
100,0%
N
13963
5197
19160
%
72,9%
27,1%
100,0%
N
9887
2319
12206
%
81,0%
19,0%
100,0%
N
30374
9942
40316
%
75,3%
24,7%
100,0%
dell’obbligo
ISCED 3_4
Diploma di scuola
superiore formazione post
diploma
ISCED 5_6
Laurea e formazione post
laurea
Totale
Donne
Titolo di
ISCED 0_2
N
7455
1150
8605
studio
Nessun titolo o scuola
%
86,6%
13,4%
100,0%
ISCED 3_4
N
15125
3598
18723
Diploma di scuola
%
80,8%
19,2%
100,0%
ISCED 5_6
N
13134
2260
15394
Laurea e formazione post
%
85,3%
14,7%
100,0%
N
35714
7008
42722
%
83,6%
16,4%
100,0%
dell’obbligo
superiore formazione post
diploma
laurea
Totale
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005
Note : 2 (uomini)= 302,001 ; p=0.000 ; PHI= 0.087 ; 2 (donne)= 199,345 ; p=0.000 ;
PHI= 0.068; Ntot=86829; per la condizione familiare cfr. nota tab.2; il titolo di studio
è stato rilevato chiedendo ai soggetti di indicare il più alto livello educativo o di
formazione completato con successo
34
Se ragioniamo infine sulla relazione tra titolo di studio, contratto di lavoro e condizione
familiare, l’impatto della precarietà lavorativa sull’autonomia abitativa risulta maggiormente
evidente: per i giovani con diveri titoli di studio il contratto a termine significa una
permanenza maggiore in famiglia, questo vale in particolare per i giovani diplomati o con
una formazione post-diploma.
Tab.9- Situazione familiare per titolo di studio e condizione occupazionale; % di riga
Situazione famigliare
EU-LBS2005
FRANCIA
20-39 ANNI
ISCED 0_2
Situazione
Nessun titolo o occupazionale
scuola
Uscito/a
Contratto di lavoro a
tempo indeterminato
Contratto di lavoro a
dell’obbligo
termine
Totale
dalla
Uscito/a dalla
famiglia di
famiglia di
origine
origine
Totale
N
6607
1007
7614
%
86,8%
13,2%
100,0%
N
1518
514
2032
%
74,7%
25,3%
100,0%
N
8125
1521
9646
%
84,2%
15,8%
100,0%
ISCED 3_4
Situazione
Contratto di lavoro a
N
17614
2640
20254
Diploma di
occupazionale
tempo indeterminato
%
87,0%
13,0%
100,0%
Contratto di lavoro a
N
2991
1687
4678
termine
%
63,9%
36,1%
100,0%
N
20605
4327
24932
%
82,6%
17,4%
100,0%
scuola superiore
formazione post
diploma
Totale
ISCED 5_6
Situazione
Contratto di lavoro a
N
15440
1205
16645
Laurea e
occupazionale
tempo indeterminato
%
92,8%
7,2%
100,0%
Contratto di lavoro a
N
2255
890
3145
termine
%
71,7%
28,3%
100,0%
N
17695
2095
19790
%
89,4%
10,6%
100,0%
formazione post
laurea
Totale
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005
Note : 2 (ISCED 0-2)=175, 922; p=0.000 ; PHI=;0,135 ; 2 (ISCED 3-4)=1405, 010; p=0.000 ;
PHI=0,235; 2 (ISCED 5-6)=1239,398; p=0.000 ; PHI=0,250; Ntot=86829 ; Nvalidi=54368
35
I parametri stimati dal modello di regressione offrono ulteriori elementi per approfondire gli
effetti della precarietà lavorativa.
I parametri stimati ‘ ’(odds ratio) ci consentono di definire l’effetto netto esercitato dalla
condizione contrattuale sulla probabilità di uscire di casa al netto dagli effetti esercitati dalle
altre variabili di background. Il parametro exp( ) ci fornisce invece la stima dell’intensità
con il quale agisce la condizione contrattuale. Da dati emerge un chiaro effetto negativo
della forma contrattuale sulla propensione all’uscita: a parità di condizioni avere un
contratto a tempo determinato abbassa di circa il 50% la propensione die giovani francesi a
uscire dalla famiglia di origine. Bisogna ricordare però che la regressione logistica non
consente di calcolare l’effetto causale della variabile di interesse in modo univoco. Esistono
tanti effetti causali quante sono le possibili combinazioni di valori delle variabili di controllo
incluse nel modello.
Tab.10_ Modello di regressione logistica per la stima della
probabilità di aver fatto la transizione di uscita dalla famiglia
di origine; FRANCIA
Var. dip. Aver fatto la transizione
B
Sig.
Exp(B)
-,687
,000
,503
età_20_24
-3,122
,000
,044
età _25_29
-1,654
,000
,191
a età _30_34
-,569
,000
,566
Donna
,636
,000
1,888
Altra nazionalità
,544
,000
1,723
High School
,153
,000
1,165
University degree
,532
,000
1,702
2,951
,000
19,120
Lavoro temporaneo
(cat.rif. lavoro permanente)
Cat rif. Età 35-39
Cat.rifi. Primary
Costante
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005
Nota. N(validi) =54359 ; Riepilogo modello : -2LL=34399,312; R2 Cox e
Snell=0,180; R2= Nagelkerke=0,319.
36
Possiamo quindi provare a effettuare qualche simulazione per capire come varia l’impatto
della condizione contrattuale.
Se ad esempio un ragazzo francese trai 30 e i 34 anni con basso titolo di studio e occupato a
tempo indeterminato si trovasse invece in una situazione di precarietà lavorativa con
contratto a termine, la propensione all’uscita si abbasserebbe di circa il 7%12. Se avesse tra
i 25 e i 29 anni la propensione subirebbe una flessione del 13% se confrontato con un
coetaneo con contratto di lavoro permanente, del 20% se confrontato con un altro
lavoratore precario tra i 30 e i 34 anni e del 26% se confrontato con un giovane tra i 30 e i
34 anni con lavoro permanente. Nella fascia più giovane (20-24) l’effetto della precarietà
lavorativa aumenta l’intensità: la probabilità di uscita diminuisce del 16% passando da
coetanei occupati a tempo indeterminato a precari; diminuisce del 35 % se il confronto è
con i precari della classe 25-29 e del 60% se il confronto è con i lavoratori stabili tra i 30 e i
34 anni.
Se invece si trattasse di una ragazza francese tra 20-24 anni con basso titolo di studio e
contratto a termine le sue probabilità di uscita rispetto a un coetaneo nelle stesse condizione
sarebbero superiori (+14%)13. Analogamente
la propensione aumenterebbe
se fosse
diplomata (+20%) o laureata (+29%).
Di per sé la condizione contrattuale precaria può rallentare l’uscita dalla famiglia d’origine
ma l’intensità dell’impatto dipende anche dagli altri fattori: dal genere, dall’età, dal titolo di
studio. Questi risultati sembrano corroborare l’esigenza di interventi a sostegno dei rischi
dell’instabilità lavorativa che non possono essere omogenei ma tenere conto delle
caratteristiche della popolazione coinvolta. Ad esempio nel campione francese la precarietà
lavorativa può incidere sulle possibilità di autonomia abitativa in particolare dei soggetti
più giovani giovani con basso titolo di studio.
12
Per effettuare i calcoli si è fatto riferimento alla seguante formula:
Nel primo caso presentato ad esempio i valori sono i seguenti=
π
i
= Λ (η i ) =
exp( η i ) .
1 + exp( η i )
ηi =2,951+(-0,569)=2,382(corrisponde
al
valore della probabilità (odds ratio) di un ragazzo francese, tra i 30-34 anni con basso titolo di studio e
occupato a tempo indeterminato. Effettuando le opportune sostituzioni nella formula si ottiene il valore 0,915.
13
Seguendo la formula i valori sono i seguenti 0, 612 (odds ratio corrispondente alla situazione di ragazza
francese trai 20 e 24 anni con basso titolo di studio e occupata a tempo indeterminato) 0,442 (odds ratio
corrispondente alla situazione di ragazza francese trai 20 e 24 anni con basso titolo di studio e occupata a
tempo determinato); 0,649 (odds ratio corrispondente alla situazione di ragazza francese trai 20 e 24 anni con
titolo di studio intermedio e occupata a tempo determinato); 0,730 (odds ratio corrispondente alla situazione di
ragazza francese trai 20 e 24 anni con titolo di studio alto e occupata a tempo determinato)
37
I dati relativi all’Italia
Le rilevazioni EU_LFS del 2005 inerenti l’Italia indicano la presenza di un percorso di
uscita dei giovani dalla famiglia più lento rispetto alla Francia: nella fascia di età 20-39
anni la metà del campione vive insieme ai genitori mentre nel campione francese la
medesima situazione riguardava poco più di un quinto dei giovani. Si rileva inoltre una
marcata differenza di genere in quanto le ragazze tendono a uscire prima dei coetanei
maschi, generalmente perché si sposano oppure perché – più raramente rispetto alle
francesi – vanno a convivere. Nel campione sulle forze lavoro circa la metà delle giovani
donne ( 47%) è coniugata; tale condizione riguarda invece circa un terzo degli uomini.
Poco diffusa è la scelta di andare a vivere da soli che riguarda circa il 7% del campione. Si
tratta di una situazione famigliare più frequente tra chi ha avuto un rapporto di coppia che è
terminato con divorzio separazione o con il decesso del coniuge.
Tab.11- Condizione familiare per genere; % di riga (20-39 anni)
Situazione familiare
EU-LBS2005
ITALIA
20-39 ANNI
genere
Uomini
Donne
Totale
Uscito/a dalla
Vive nella
famiglia di
famiglia
origine
d’origine
Totale
N
35741
47705
83446
%
42,8%
57,2%
100,0%
N
48432
36320
84752
%
57,1%
42,9%
100,0%
N
84173
84025
168198
%
50,0%
50,0%
100,0%
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005
Note : 2= 3446.140 ; p=0.000 ; PHI= - 0.143 ; Ntot=175814; Nvalidi:168198; per la
condizione familiare non sono state considerate le situazioni in cui i soggetti
risultavano vivere con il partner nella famiglia d’origine, i casi in cui oltre al partner
e i genitori vi erano nell’household altri membri aggregati e i casi in cui la situazione
abitativa non è un’abitazione privata ma un’istituzione (convitto, ospedale, istituzioni
religiose, ecc.).
Da queste prime analisi risulta confermata la differenza sostanziale nei modelli di uscita tra
i due Paesi: se prendiamo in considerazione le diverse classi di età in cui si può suddividere
38
il nostro campione (cfr. Fig.1) il gap tra giovani italiani e francesi è netto ed evidente in
ciascuna di esse e tende a contrarsi solo nella classe dei più adulti (35-39 anni).
Fig.8- Giovani italiani e francesi che vivono in famiglia, distinzione per genere
e classi di età
Fonte: Nostre elaborazioni su European Labour Force Survey, 2005
Note :Nvalidi Italia:168198; Nvalidi Francia=83038. Le classi di età sono quelle
presenti nel dataset. Si tratta del livello più fine di disaggregazione per età in quanto i
dati LFS diffusi non consentono ulteriori specificazioni ma al massimo classi più
ampie.
Si tratta di differenze territoriali che sono il portato di fattori molto differenti e compositi
di cui è però opportuno tenere conto nel confronto tra i due Paesi.
Può essere interessante a questo punto esplorare la situazione familiare tenendo conto della
condizione professionale dei giovani. Sei giovani su dieci sono inseriti in un percorso
lavorativo, il 15% è disoccupato mentre il restante 22% è equamente diviso tra coloro che
sono ancora in formazione e persone inattive. LE opportunità di essere nel mercato del
lavoro non sono però le stesse per ragazze e ragazzi: circa la metà del campione femminile
(50,6%) partecipa al mercato del lavoro mentre la quota degli occupati tra i ragazzi supera
il 70%. La grande differenza è legata senza dubbio alla maggiore presenza di giovani donne
39
inattive ( 20% vs. 3,1% del campione maschile)e solo in minore misura a una quota
leggermente più alta di donne disoccupate in cerca di lavoro ( 16% vs 14% dei ragazzi) e di
studentesse ( 13% vs. 11%).
Tab.12- Situazione familiare per condizione professionale; % di riga
Situazione familiare
EU-LBS2005
ITALIA
20-39 ANNI
Condizione
Occupati
dalla
Vive nella
famiglia di
famiglia
origine
d’origine
Totale
N
59371
44274
103645
%
57,3%
42,7%
100,0%
N
8414
16452
24866
%
33,8%
66,2%
100,0%
Studenti o persone in N
797
19354
20151
%
4,0%
96,0%
100,0%
N
15591
3945
19536
%
79,8%
20,2%
100,0%
N
84173
84025
168198
%
50,0%
50,0%
100,0%
occupazionale
Non occupati
formazione
Inattivi
Totale
Uscito/a
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005
Note : 2= 28828,858 ; p=0.000 ; PHI= 0.414 ; Ntot=175814; per la
condizione familiare cfr. nota tab.2; per la condizione professionale le persone
inattive sono coloro che non hanno lavorato nella settimana di riferimento,
non stanno cercando lavoro e non sono disponibili a iniziare in tempi brevi
una attività lavorativa (persone coinvolte in compiti familiari non pagati,
disabili, persone ritirate dal lavoro).
La situazione occupazionale incide in maniera differente sulla situazione famigliare: In
primo luogo l’essere studente e l’essere non occupato sono le due condizioni che più delle
altre risultano incidere sulla permanenza in famiglia. Due forme di dipendenza diverse ma
che trovano come unica soluzione abitativa quella familiare.
In secondo luogo solo le persone che risultano inattive ( nella maggioranza dei casi donne)
sono con maggiori probabilità fuori dalla casa dei genitori. In particolare per le ragazze
40
italiane che non lavorano sembra prevalere il modello tradizionale dell’uscita attraverso il
matrimonio.
Infine i lavoratori e le lavoratrici si trovano a metà dei due poli con una quota maggioritaria
che è uscita ma più del 40% che pur avendo raggiunto l’autonomia economica non ha
effettuato la transizione. Possiamo imputare questa prolungata permanenza dei giovani
italiani che lavorano al tipo di contratto? In parte sì, si potrebbe rispondere guardando i dati
della tab.13:
Tab.13 - Situazione familiare per condizione professionale (tipo di contratto); % di
riga
Situazione famigliare
EU-LBS2005
ITALIA
20-39 ANNI
Uomini Situazione
occupazionale
Contratto di
Uscito/a dalla
Vive nella
famiglia di
famiglia
origine
d’origine
Totale
N
21460
17286
38746
%
55,4%
44,6%
100,0%
N
1997
4752
6749
%
29,6%
70,4%
100,0%
N
23457
22038
45495
%
51,6%
48,4%
100,0%
Contratto di
N
18682
10131
28813
lavoro a tempo
%
64,8%
35,2%
100,0%
Contratto di
N
3499
4003
7502
lavoro a termine
%
46,6%
53,4%
100,0%
N
22181
14134
36315
%
61,1%
38,9%
100,0%
lavoro a tempo
indeterminato
Contratto di
lavoro a termine
Totale
Donne Situazione
occupazionale
indeterminato
Totale
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005
Note : 2 (uomini)= 1531,499 ; p=0.000 ; PHI= 0.183 ; 2 (donne)= 829,178 ; p=0.000 ;
PHI= 0.151; Nvalidi=81810; per la condizione familiare cfr. nota tab.2; per la
condizione professionale nella condizione di lavoro a termine comprende coloro che
hanno un contratto di formazione, coloro che non sono riusciti a trovare un lavoro a
tempo indeterminato, chi non sta cercando un contratto a tempo indeterminato.e coloro
che non forniscono ragioni di tale situazione lavorativa.
41
E’ indubbio che vi è una tendenza generale alla posticipazione dell’uscita che si mantiene
anche quando il lavoro è a tempo indeterminato ma la precarietà lavorativa incide molto su
questa tendenza rallentando ulteriormente i tempi di uscita e il conseguimento
dell’autonomia: tra i ragazzi con contratti a termine ben sette su dieci vivono con i genitori,
tra le ragazze la metà si trova nella stessa situazione familiare.
A differenza di quanto accade in Francia, i giovani italiani laureati tendono a rimanere a
lungo in famiglia (cfr.tab.14).
Tab.14- Situazione familiare per genere e titolo di studio; % di riga
Situazione famigliare
EU-LBS2005
ITALIA
20-39 ANNI
Uomini
Titolo di
ISCED 0_2
studio
Nessun titolo o scuola
Uscito/a dalla
Vive nella
famiglia di
famiglia
origine
d’origine
Totale
N
17114
14961
32075
%
53,4%
46,6%
100,0%
N
14995
27671
42666
%
35,1%
64,9%
100,0%
N
3632
5073
8705
%
41,7%
58,3%
100,0%
N
35741
47705
83446
%
42,8%
57,2%
100,0%
dell’obbligo
ISCED 3_4
Diploma di scuola superiore
formazione post diploma
ISCED 5_6
Laurea e formazione post laurea
Totale
Donne
Titolo di
ISCED 0_2
N
19423
6663
26086
studio
Nessun titolo o scuola
%
74,5%
25,5%
100,0%
ISCED 3_4
N
22619
23236
45855
Diploma di scuola superiore
%
49,3%
50,7%
100,0%
ISCED 5_6
N
6390
6421
12811
Laurea e formazione post laurea
%
49,9%
50,1%
100,0%
N
48432
36320
84752
%
57,1%
42,9%
100,0%
dell’obbligo
formazione post diploma
Totale
2
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005Note : (uomini)= 302,001 ;
p=0.000 ; PHI= 0.087 ; 2 (donne)= 199,345 ; p=0.000 ; PHI= 0.068; Ntot=63544; NValidi=60257;
per la condizione familiare cfr. nota tab.2;
42
Questo potrebbe essere spiegato da vari meccanismi: il fatto ad esempio che nel nostro Paese
la decisione di creare una nuova famiglia o avere un figlio è legata anche all’ottenimento di
uno status socio-economico simile a quello della famiglia di origine [Bernardi, 2000], in
secondo luogo dalla presenz adi un mercato del lavoro rigido che fa protrarre nel tempo
queste transizioni [Schizzerotto and Lucchini 2002, Bertolini, Luciano, Naldini 2007].
Sembra inoltre, che avere il primo lavoro non influisca per le donne sulla decisione di
sposarsi, mentre per gli uomini è vero l’opposto [Pisati 2002].
Tab.15- Situazione familiare per titolo di studio e condizione occupazionale; % di riga
Situazione famigliare
EU-LBS2005
ITALIA
20-39 ANNI
ISCED 0_2
Situazione
Nessun titolo o occupazionale
scuola
Uscito/a
Contratto di lavoro a
tempo indeterminato
Contratto di lavoro a
dell’obbligo
termine
Totale
Uscito/a dalla
dalla
famiglia di
famiglia di
origine
origine
8543
Totale
N
14962
23505
%
63,7%
N
2242
%
53,2%
46,8% 100,0%
N
17204
10512
%
62,1%
37,9% 100,0%
36,3% 100,0%
1969
4211
27716
ISCED 3_4
Situazione
Contratto di lavoro a
N
20246
16060
Diploma di
occupazionale
tempo indeterminato
%
55,8%
44,2% 100,0%
Contratto di lavoro a
N
2208
termine
%
29,9%
70,1% 100,0%
N
22454
21229
%
51,4%
48,6% 100,0%
scuola superiore
formazione post
diploma
Totale
ISCED 5_6
Situazione
Contratto di lavoro a
N
4934
Laurea e
occupazionale
tempo indeterminato
%
63,7%
Contratto di lavoro a
N
1046
termine
%
39,3%
N
5980
formazione post
laurea
Totale
5169
2814
36306
7377
43683
7748
36,3% 100,0%
1617
2663
60,7% 100,0%
4431
10411
%
57,4%
42,6% 100,0%
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005
Note : 2 (ISCED 0-2)=164, 481; p=0.000 ; PHI=;0,077 ; 2 (ISCED 3-4)=1638,066 p=0.000 ; PHI=0,194;
2
(ISCED 5-6)=482,724; p=0.000 ; PHI=0,215; Ntot=175814 ; Nvalidi=81810
43
In parte queste spiegazioni sembrano suffragate dai dati riportati in tab.15: sei laureati su
dieci tendono a rimandare l’uscita se hanno un contratto a termine. L’impatto della
precarietà è anche forte per i diplomati mentre sembra avere un peso meno intenso tra coloro
che hanno un basso titolo si studio.
LA tab.16 riporta le stime del modello di regressione con il quale abbiamo cercato di tenere
sotto controllo l’effetto delle variabili di baskground e di isolare l’impatto della condizione
contrattuale sull’uscita di casa.
Per quanto riguarda i giovani italiani la temporaneità lavorativa ha come per i giovani
francesi un effetto negativo sulla probabilità di aver fatto la transizione fuori dalla casa dei
genitori ( quindi avere un lavor temporaneo abbassa la propensione a uscire dalla famiglia di
origine di circa il 35%. Come già ricordato però la regressione logistica non consente di
calcolare l’effetto causale della variabile di interesse in modo univoco. Esistono tanti effetti
causali quante sono le possibili combinazioni di valori delle variabili di controllo incluse nel
modello.
Tab.16_ Modello di regressione logistica per la stima della
probabilità di aver fatto la transizione di uscita dalla famiglia
di origine
Exp( )
Sig.
Lavoro temporaneo
(cat.rif. lavoro
permanente)
-,427
,000
,653
età_20_24
-4,517
,000
,011
età _25_29
-2,636
,000
,072
età _30_34
Cat rif. Età 35-39
-1,127
,000
,324
Donna
,635
,000
1,887
Altra nazionalità
1,649
,000
5,202
High School
-,354
,000
,702
University degree
Cat.rif. Primary
-,614
,000
,541
Costante
1,768
,000
5,862
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Labour Force Survey, 2005
Nota. N(validi) = 81758 ; Riepilogo modello : -2LL=78171,282; R2 Cox e
Snell=0,341; R2= Nagelkerke=0,457.
44
Ad esempio: la probabilità di essere fuori casa di un ragazzo italiano tra i 30-34 anni con
titolo di studio basso occupato a tempi indeterminato è pari a 0,655 (exp ). Se la sua
condizione occupazionale fosse invece quella di lavoratore a tempo determinato la
probabilità di essere fuori dalla casa die genitori sarebbe pari a 0,553 con un effetto netto di
abbassamento della propensione pari al 10%14.
Ma se invece avesse tra i 25 e i 29 anni la probabilità di essere fuori casa rispetto a un
ragazzo trai 30 e i 34 anni diminuirebbe, di più del 30%, se entrambi precari, e più del 40%
se si passa anche da una situazione contrattualmente sicura a una precaria.
Se invece si trattasse di una ragazza italiana tra i 30e i 34 anni con basso titolo di studio
l’effetto negativo della condizione contrattuale precaria sulla propensione all’uscita, a parità
di altre condizioni, sarebbe dell’8% rispetto alle ragazze occupate a tempo indeterminato15.
Se questa ragazza fosse laureata la sua probabilità di essere fuori casa si abbasserebbe di un
ulteriore 6%. A parità però di contratto ( a tempo determinato) e di titolo di studio (alto) le
ragazze hanno circa il 15% di probabilità in più dei ragazzi di essere fuori casa.
14
Per effettuare i calcoli si è fatto riferimento alla seguante formula:
Nel primo caso presentato ad esempio i valori sono i seguenti=
π
i
= Λ (η i ) =
exp( η i ) .
1 + exp( η i )
ηi =1,768+(-1,127)=0,641
(corrisponde al
valore della probabilità (odds ratio) di un ragazzo italiano, trai 30-34 anni con basso titolo di studio e occupato
a tempo indeterminato. Effettuando le opportune sostituzioni nella formula si ottiene il valore 0,655.
15
Applicando le formule i valori finali sono 0,782 (ragazza italiana tra i 30 e 34 anni con basso titolo di studio
e occupata a tempo indeterminato) e 0,700 (ragazza italiana tra i 30 e 34 anni con basso titolo di studio e
occupata a tempo determinato); 0,660 (ragazza italiana tra i 30 e 34 anni con alto titolo di studio e occupata a
tempo indeterminato); 0,558 (ragazza italiana tra i 30 e 34 anni con alto titolo di studio e occupata a tempo
determinato)
45
4. Spiegare le scelte: i risultati delle ricerche qualitative
Le analisi quantitative rilevano che in entrambi i paesi vi è un effetto della forma
contrattuale sull’uscita dalla famiglia di origine: tendono ad uscire di casa maggiormente i
giovani che hanno forme contrattuali stabili. Tuttavia i francesi escono di casa prima,
vivono di più da soli e sono meno dipendenti dai genitori, rispetto agli italiani. Inoltre, le
donne escono prima degli uomini in entrambi i Paesi
Differente è invece l’effetto del titolo di studio. Mentre in Italia chi studia posticipa l’uscita
della famiglia di origine, anche a parità di forma contrattuale, in Francia In generale sembra
prevalere un orientamento dei giovani francesi a lasciare la famiglia quando si è deciso che
non si proseguono gli studi, a prescindere in parte dal proprio status occupazionale, mentre
chi studia meno rimane di più in casa. Come mai queste differenze? Vediamo se le ricerche
qualitative ci possono aiutare ad individuare i meccanismi.
Per esplorare tale ipotesi considereremo i risultati di due16 indagini svolte sul territorio
italiano17 (Bertolini, 2006, 2011). Per le lavoratrici a bassi titoli di studio18, che spesso
provengono da famiglie di classe sociale bassa o medio-bassa il lavoro è principalmente
una necessità economica. Non hanno specifiche finalità di carriera, la loro maggiore
preoccupazione è procurare per loro e/o per la famiglia un reddito. Le loro carriere sono
frammentate e incoerenti, infatti passano da un contratto di lavoro a termine ad un altro,
maturando esperienze lavorative molto diverse tra di loro, ma che comportano sempre
l’utilizzo e lo sviluppo di competenze medio-basse. Il risultato è un profilo professionale
eterogeneo e poco appetibile per poter costituire una reale opportunità per il mercato del
lavoro.
La loro principale difficoltà è trovare un lavoro e in questo quadro l’instabilità contrattuale
è percepita come un ulteriore ostacolo da superare.
Per queste donne la famiglia non costituisce una possibile fonte di protezione sociale ed
economica. Se vivono con la famiglia di origine nella maggior parte dei casi i genitori non
hanno le risorse per mantenerle. Anche la protezione del partner con un lavoro stabile
diventa una risorsa scarsa. Infatti, è più difficile che i loro compagni/mariti abbiano
16
Si tratta di due indagini svolte sul territorio della Provincia di Torino i risultati delle quali sono contenuti
nei reports: Bertolini, Di Pierro, Richiardi (2007), e Bertolini S., Cappellato V.,Parpaglione S., Rossi G.,
Fortunato (2008). Sono state finanziate dalla Fondazione CRT e dalla Provincia di Torino.
17
Sono stati realizzati 6 focus groups e 50 interviste sui temi del lavoro a giovani donne e uomini sotto i
trent’anni e tra i 30 e i 40 anni.
18
Medie inferiori o superiori senza altri corsi di formazione.
46
raggiunto un’occupazione protetta, perché anche loro rischiano di essere instabili. Gli
impieghi a bassa qualifica, ma garantiti e a tempo indeterminato che avevano permesso alla
generazione dei loro genitori di andare avanti con uno solo stipendio solo in famiglia, non
si trovano più. In secondo luogo, anche se il loro partner ha un lavoro protetto, quasi mai ha
anche uno stipendio che può garantire a tutta la famiglia di sostenere le spese:
Paradossalmente, quindi, in questa fascia di popolazione più debole per capitale economico
e umano, anche la protezione della famiglia diventa una risorsa scarsa.
Un’altra differenza riguarda il fatto che secondo questo gruppo di donne la transizione alla
vita adulta deve avvenire significativamente prima rispetto alle donne con elevati titoli di
studio. Molte di queste donne scelgono di lasciare la famiglia di origine anche se sono
instabili, anche se preferirebbero un lavoro stabile.
Molto diverso è il profilo di chi possiede un titolo di studio elevato. Si tratta di lavoratrici
per le quali il lavoro costituisce una parte rilevante della definizione della propria identità.
Un risultato inaspettato è che maggior parte delle donne di questo gruppo sta perseguendo
l’obiettivo di ottenere un lavoro che reputa “ideale”, consono al proprio percorso educativo,
e per questo è disponibile a anche a lavorare con forme contrattuali instabili. Il lavoro
desiderato spesso non è facile da raggiungere e per questo motivo, alcune di loro hanno
intrapreso percorsi lavorativi tortuosi e hanno adottato strategie multiple. Per esempio
alternano lavoro e formazione, oppure svolgono due lavori insieme, uno di solito poco
retribuito ma che corrisponde alla proprie aspirazioni, e un altro per integrare il reddito.
Tendenzialmente il ricorso all’aiuto della famiglia di origine è considerato dai giovani
“normale”, soprattutto se provengono dal ceto medio. La percezione può, però, cambiare
all’aumentare dell’età, quando la propria situazione lavorativa e reditale continua ad essere
precaria. Vi è, allora, il rischio che l’aiuto dei genitori non si profili più come transitorio e
si inizi a percepire tale situazione come esplicativa di un proprio fallimento umano e
professionale. A questo vissuto si accompagna la consapevolezza di stare contribuendo ad
un graduale depauperamento delle risorse accumulate dai propri genitori. Per alcune di loro
avere un partner con un lavoro stabile costituisce una possibilità di maggiore scelta nella
sfera lavorativa. Tale funzione di protezione è stata richiamata esplicitamente dalle donne
sposate.
Si tratta di donne orientate anche alla famiglia, oltre al lavoro, di cui si vogliono occupare
personalmente. La maggioranza di loro pensa che debba essere principalmente la donna a
47
doversi (ma anche a volersi) occupare delle faccende domestiche e soprattutto dei figli.
Dunque, sono giovani per le quali il reale problema non è più la scelta lavoro o famiglia,
ma come conciliare i due aspetti.
Per queste donne 30 anni è la soglia critica per la transizione alla vita adulta, età molto
differente rispetto alle loro coetanee a basso titolo di studio:
Una ricerca19 qualitativa su un gruppo di donne omogeneo per titolo di studio e settore di
occupazione, ma che sono in parte “tipiche” e in parte atipiche” mostra molto bene
l’impatto della forma contrattuale sulle decisioni di transizione alla vita adulta. Nell’analisi
(Bertolini, 2006) sono state ricostruite, attraverso l’approccio dei corsi di vita, le carriere
lavorative, economiche e familiari delle partecipanti. I risultati principali mostrano che le
loro traiettorie20 non sono così casuali, ma le transizioni avvengono in momenti/età ben
prestabilite.
Inoltre, le carriere sono differenti per le lavoratrici tipiche e per quelle atipiche. A parità di
età e di titolo di studio, il fattore che più gioca nell’influenzare le scelte finanziarie
(acquisto casa, investimenti in pensioni integrative…) e di vita familiare (uscita dalla
famiglia di origine, matrimonio, convivenza, primo figlio…) non è tanto il territorio di
appartenenza, ma la forma contrattuale: le lavoratrici atipiche sono sistematicamente in
ritardo di qualche anno nell’affrontare le tappe della vita privata rispetto alle tipiche.
Il modo in cui soggettivamente vengono vissuti i mutamenti tra uno stato e l’altro è molto
simile tra le lavoratrici tipiche e tra le atipiche e varia in funzione dell’età: Una regolarità
rilevata tra le lavoratrici atipiche che hanno preso parte al corso è la correlazione tra età
anagrafica/anzianità lavorativa, l’atteggiamento verso il lavoro e il numero di committenti.
La soddisfazione diminuisce al crescere dell’età, mentre si cerca di aumentare il numero di
committenti per proteggersi dall’instabilità lavorativa.
19
I risultati si basano su “La formazione on-line per lo sviluppo delle capacità manageriale delle donne.
Donne on-line” realizzato dal CIRSde in collaborazione con Poliedra e Studio Staff, finanziato dal Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali. Adriana Luciano e Chiara Saraceno lo hanno promosso e coordinato
scientificamente
20
Campione costituito da 50 giovani donne con un’età compresa tra il 25 anni e i 40, con titoli di studio
medio-elevati, per lo più laurea o specializzazione post-laurea, in discipline umanistiche, residenti a Torino e
a Napoli. Si tratta di donne che lavorano nel settore dei servizi alle imprese (formazione come coordinatrici,
docenti e tutors, scrittura progetti europei, consulenze organizzative alle imprese ecc…).. I due terzi hanno
attualmente forme contrattuali atipiche, co.co.co. o co.pro. e un terzo sono lavoratrici tipiche a tempo
indeterminato. Le diverse carriere sono state ricostruite attraverso la riorganizzazione dei dati in una griglia di
lettura sul modello utilizzato dalle ricerche sui corso di vita. Per una trattazione di questi modelli si veda
Olagnero, 2005, cap.7.
48
La strategia di protezione dall’incertezza lavorativa che alcune corsiste meno giovani
consigliano alle altre è la costruzione di una professionalità rivendibile sul mercato. In tal
senso è necessario fare scelte molto consapevoli sia rispetto a quali lavori accettare, sia di
investimento nella propria formazione:
Instabilità lavorativa, inoltre, significa incertezza sulla continuità di reddito. Per i co.co.co.
e i co.pro. a questo problema si somma quello dell’irregolarità delle retribuzioni: spesso
infatti essi vengono pagati in un’unica soluzione a fine contratto, mentre il contesto
istituzionale in cui vivono è organizzato per scadenze mensili.
In mancanza di protezioni di tipo istituzionale e nell’impossibilità di accedere agli
strumenti classici di finanziamento, come i credito, le lavoratrici atipiche attivano delle
strategie di protezione individuali. Esse sono essenzialmente di due tipi: primo il risparmio
precauzionale; secondo il ricorso all’aiuto della famiglia di origine. Il primo consiste
nell’accumulare denaro per paura di eventuali periodi in cui non si avranno entrate, senza
né spenderlo, né investirlo.
Talvolta il risparmio precauzionale può essere eccessivo rispetto alla reale possibilità di
rimanere “senza soldi” per un certo periodo. Tuttavia, la situazione di incertezza reddituale
che deriva sia dalla mancanza di garanzia di continuità lavorativa, sia dai possibili ritardi di
pagamenti, molto spesso blocca l’azione di queste lavoratrici, che procrastinano le loro
scelte di investimento. Tra queste anche quella della pensione integrativa, anche se, come
abbiamo visto, si tratterebbe dei soggetti che avrebbero maggiormente necessità di
attivarne una. La ricerca a questo proposito ha mostrato che solo quando i 40 anni si
avvicinano, le lavoratrici atipiche acquisiscono una vera consapevolezza della propria
posizione lavorativa e mettono in atto ulteriori strategie di protezione contro il rischio
presente e futuro: fanno investimenti finanziari, stipulano forme di previdenza integrativa o
ci stanno pensando. Inoltre, qualcuno tra loro ha contrattato un fido con la banca per far
fronte ai ritardi di pagamento.
Ricorrere all’aiuto della famiglia di origine in caso di necessità finanziarie è considerato
“normale” dalla maggior parte delle partecipanti al corso:
Parallelamente si rimandano le scelte di vita familiare. Sotto i 30 anni le lavoratrici atipiche
tendono a vivere con la famiglia di origine nella maggior parte dei casi o a dividere la casa
con degli amici. A 30 anni vanno a vivere da sole e cominciano a preoccuparsi per
l’incertezza della sua condizione contrattuale. Oltre i 35 anni sono sposate o conviventi e
49
stanno pensando di avere un figlio o lo hanno già avuto. Hanno forte difficoltà a conciliare
la vita privata con quella lavorativa.
Le lavoratrici dipendenti del corso, che possono contare su una regolarità e continuità di
reddito, sono in anticipo in confronto alle loro colleghe atipiche: nessuna di loro vive
ancora con la famiglia di origine, si sposano o vanno a convivere con qualche anno di
anticipo, fanno figli leggermente prima, investono in pensioni integrative quando sono più
giovani.
Cosa succede, invece, in Francia?
Una ricerca di Galland (2001) mette in evidenza come in Francia sono i figli degli operai a
rimanere più a lungo presso la famiglia di origine, rispetto ai figli di alti strati sociali. Essi
motivano più spesso la convivenza con i propri genitori per motivi di ordine economico,
oppure restano con i propri genitori perché: “Non si è mai posto il problema”. Inoltre,
l’uscita di casa dei figli delle classe medio-alte è legato ad uno specifico desiderio di
indipendenza.
La classe operaia, invece, similmente a quello che avviene in Italia per i bassi titoli di
studio, esce di più attraverso il matrimonio e l’uscita di casa coincide con l’inizio della
propria vita professionale
Galland (2001) analizzando l’effetto della precarietà lavorativa sulle altre carriere sostiene
che l’instabilità occupazionale può avere un effetto sospensivo o creativo. Per i figli di
operai la stabilità occupazionale è la vera condizione dell’indipendenza, e in situazioni di
precarietà lavorativa è come se l’intero processo venisse differito, creando un effetto
sospensivo. Invece, per i figli della classe media, la precarietà ha un effetto di differimento,
per metà imposto e per metà scelto. Lasciano presto la famiglia, anche se non hanno un
lavoro stabile ma ne rimangono in parte a carico, e in parte utilizzano i sussidi, e vivono
una nuova adolescenza. L’instabilità in questo caso ha un effetto creativo. I giovani
borghesi, infatti, lasciano presto la famiglia di origine, restandone però in parte a carico
fino ad un’età avanzata che coincide con l’accesso definitivo alla professione e poi al
matrimonio. Prendono così le distanze dalla famiglia di origine, ma senza rinunciare
occasionalmente al loro appoggio e senza mantenere una dipendenza familiare costrittiva,
aprendosi alla sperimentazione di forme di convivenze e di lavori. La precarietà viene
gestita in maniera attiva, assomiglia più ad un cogliere le occasioni, una sorta di
50
navigazione a vista che corrisponde meno al tentativo ostinato di inserimento sociale, tipico
dei figli delle classi più basse, che assegnano maggiore importanza alla stabilità lavorativa.
Conclusioni
Le analisi quantitative rilevano che in entrambi i paesi vi è un effetto della forma
contrattuale sull’uscita dalla famiglia di origine: tendono ad uscire di casa maggiormente i
giovani che hanno forme contrattuali stabili. Tuttavia i francesi escono di casa prima,
vivono di più da soli e sono meno dipendenti dai genitori, rispetto agli italiani. Inoltre, le
donne escono prima degli uomini in entrambi i Paesi
Differente è invece l’effetto del titolo di studio. Mentre in Italia chi studia posticipa l’uscita
della famiglia di origine, anche a parità di forma contrattuale, in Francia In generale sembra
prevalere un orientamento dei giovani francesi a lasciare la famiglia quando si è deciso che
non si proseguono gli studi, a prescindere in parte dal proprio status occupazionale, mentre
chi studia meno rimane di più in casa. Come mai queste differenze?
Dunque l’effetto forma contrattuale è presente in entrambi i Paesi, ma chi studia esce di più
e prima di casa. Perché? Le lavoratrici atipiche della seconda ricerca sono di classe media,
ma hanno comportamenti in parte differenti dai loro colleghi francesi: per esempio
tendenzialmente rimangono a lungo in famiglia e vivono meno l’instabilità lavorativa come
una scelta. Le loro testimonianze mostrano che in alcuni casi il lavoro precario e il ricorso
al sostegno della famiglia di origine rallenta le loro carriere familiari, imponendo loro di
dover rimandare di qualche anno una transizione desiderata. A volte voler investire in una
carriera come quella economica e lavorativa impedisce di poter conciliare la situazione con
un investimento nella carriera familiare. Per esempio le lavoratrici pluricommitenti con più
di 30 anni sono soddisfatte del lavoro e di quanto guadagnano, ma non hanno il tempo né le
energie di investire nella formazione di una nuova famiglia.
Dunque, in Italia la precarietà e la difficoltà a conciliare le diverse carriere è vissuta con
maggiore preoccupazione rispetto ad altri paesi, anche dai figli delle classi medie.
Sicuramente influisce il nostro sistema di Welfare: se in altri stati d’Europa i giovani-adulti
riescono ad anticipare alcuni passaggi è perché sono più protetti. Esistono maggiori
indennità e protezioni nei passaggi da un lavoro e l’altro, che sostengono nel momento di
non lavoro. Le lavoratrici atipiche in Italia sono più dipendenti dalle logiche di de-
51
mercificazione e de-familizzazione che Naldini (2006) individua nel suo saggio in questo
volume. Il sistema di Welfare (Mayer, 1997, Heinz, 2001) e delle èpolitiche sociali e del
lavoro, che abbiamo illustrato nel primo paragrafo, cambia radicalmente la prospettiva
entro la quale gli individui prendono le decisioni e rende conciliabili le diverse transizioni.
A questo proposito la mancata riforma del Welfare State in Italia e il basso utilizzo di
politiche attive del lavoro rende difficile per i giovani, anche figli delle classi medioelevate, l’uscita dalla famiglia di origine, impedendo quel periodo di sperimentazione di
nuove convivenze e atteggiamento attivo verso la il lavoro che ha un effetto creativo per i
giovani francesi. Inoltre, il ruolo della famiglia è diverso: nel caso italiano è sostanziale, in
quello francese è una rete di protezione in caso di caduta.
In entrambi i Paesi emerge l’importanza di una stabilità lavorativa per le classi più basse.
52
Bibliografia
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BARBERA F., BERTOLINI S., DANCELLI M., FERRAGUTTI P. (a cura di) (2005), Flessibilità del
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