Il reportage 2 - Peace Watch Switzerland
Transcript
Il reportage 2 - Peace Watch Switzerland
Il reportage lunedì 30 agosto 2010 Speciale Ritorno in Chiapas 2 Viaggio nelle terre dove la fragile pace tra comunità indigene zapatiste e governo messicano è messa a dura prova dalle mire delle società che intendono sfruttare le risorse e la bellezza dei luoghi di Lydia Lazar LAZAR La nostra terra non è in vendita Chiapas dell’entrata ufficiale, con la conseguenza che molti di loro, alla seconda richiesta di pagamento, fanno dietro-front. Come ha raccontato una giovane donna zapatista, persone del fronte opposto l’hanno già più volte colpita con pietre mentre passava il posto di blocco. Sono testimone di come, anche in questa zona, il conflitto – nonostante la tranquillità apparente – sia in corso e gior- nalmente presente, e per questo sono qui. Per fortuna, però, durante la mia permanenza nulla di grave è successo. Nella seconda comunità che mi appresto ad accompagnare, famiglie vicine al governo convivono pacificamente con famiglie che, seppur non zapatiste, difendono il diritto alla loro terra e rivendicano una riforma agraria. L’esercito ha “fatto visita” già due volte alla popolazione del villaggio con l’intento di dislocarla, ed è con fierezza che alcune donne del posto raccontano come, solo grazie alle parole, siano riuscite a far ripartire i militari dai loro campi dopo un mese di occupazione. Qui non sono i progetti turistici del governo a minacciare l’esistenza di una trentina di famiglie, bensì la possibile vendita della zona ad una compagnia estera per l’estrazione di oro (cfr. www.jor- nada.unam.mx/2008/07/07). Il nostro compito consiste nell’appoggiare gli uomini del villaggio durante la loro guardia all’entrata di quest’ultimo. Solo chi si è annunciato viene lasciato entrare. Mi impressiona la determinazione e la tranquillità con cui l’anziano del villaggio rifiuta l’entrata a due candidati del partito al governo, che sulle case avrebbero voluto appendere manifesti propagandistici. Nonostante l’assenza di scontri armati, fino ad oggi in Chiapas non si può parlare di una situazione di pace. Agli inizi di quest’anno, il governo messicano vi ha nuovamente aumentato la presenza dell’esercito, e questo benché gli indigeni abbiano, dal 1994, rivendicato i loro diritti sempre in modo pacifico. Le loro terre, comunque, rimangono invendibili. pubblica la situazione precaria delle comunità indigene contadine in Chiapas e rivendicare il riconoscimento dei loro diritti, tra i quali il diritto alla terra, all’educazione e alla salute. Anche grazie all’utilizzo di Internet per promulgare le loro rivendicazioni e all’appeal mediatico del sub-comandante Marcos, il movimento zapatista godette sin dagli inizi di un forte appoggio; sia in Messico che altrove nel mondo furono indotte proteste di massa per un cessate il fuoco. L’Accordo di San Andrés raggiunto tra zapatisti e autorità nel 1996, col quale il governo messicano si era impegnato a riconoscere l’autonomia delle comunità indigene a livello costituzionale, fu tuttavia respinto all’apice della popolarità del movimento nel 2000 da tutte le forze politiche in Parlamento. Lo smacco fu interpretato dagli zapatisti come un tradimento del governo. Nei due anni che seguirono, ritiratisi dalla scena pubblica e dal dialogo iniziato con governo e forze politiche, gli zapatisti diedero vita ad un sistema in cui una quarantina di comunità indigene zapatiste, raggruppate in cinque zone, si gestiscono da sole, mettendo in pratica l’autonomia e i diritti fino ad oggi negati loro dal governo. Gli aiuti statali sono rifiutati e ogni zona ha costituito un suo proprio sistema scolastico, sanitario e giuridico, in rispetto degli usi e costumi delle varie etnie rappresentate. Per proteggere le donne dalla violenza domestica e garantire la sopravvivenza delle famiglie, sul territorio zapatista vige altresì un severo divieto di consumare alcool. La scheda La mattina del 1º gennaio 1994... La mattina del 1° gennaio 1994, l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) – dopo un decennio di preparazione clandestina – occupò cinque centri nello Stato del Chiapas, nel sud del Messico. L’insurrezione di centinaia di contadini avvenne in maniera del tutto inaspettata e, non casualmente, in concomitanza con l’entrata in vigore dell’accordo Nafta (North American Free Trade Area), che dava nascita ad una zona di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico. Il governo messicano reagì con l’invio dell’esercito; gli scontri, durati vari giorni, causarono numerosi feriti e morti. Le ragioni dell’insurrezione sono da ricercare nelle condizioni di vita precarie dei contadini indigeni chiapanechi. Con la revisione dell’art. 27 della costituzione messicana nel 1992, infatti, era stato abolito l’istituto dell’ejido: le terre, che fino allora appartenevano alla comunità ed erano invendibili, poterono così essere privatizzate e vendute a ricchi proprietari di bestiame. I contadini, per sopravvivere, si ritrovarono costretti a lavorare una terra che non era più la loro ed accettare le condizioni spesso disumane imposte loro dai poderosi rancheros. Secondo il motto “Tutto per tutti, niente per noi”, gli zapatisti non insorsero col fine di impossessarsi del potere e trarre vantaggi economici da esso, bensì per rendere KEYSTONE Sono slogan forti, quelli che si leggono percorrendo in bus la strada che da San Cristobal de Las Casas porta a Palenque. Slogan che rispecchiano la determinazione di una comunità indigena della zona a non piegarsi alle modalità con cui è prevista la costruzione di una nuova “autopista” per la zona turistica di Palenque: un mega-progetto che prevede il passaggio della nuova strada in mezzo a diversi villaggi e campi, senza che la popolazione sia mai stata consultata. L’opposizione dei contadini al progetto e alle offerte pecuniarie del governo in cambio della loro partenza è cosi forte, che viene duramente combattuta da un gruppo paramilitare locale. Un anno fa circa, un attacco di quest’ultimo ha causato un morto e cinque feriti gravi. Benvenuti in Chiapas. Sono in viaggio, insieme ad altri quattro volontari europei, diretta verso una comunità nei pressi delle cascate di Agua Azul. Il Frayba, l’associazione partner di Pws, che da anni e per iniziativa del vescovo Samuel Ruiz (che fu iniziatore anche delle trattative di pace tra Ezln e governo nel 1994) appoggia, anche giuridicamente, svariate comunità indigene vittime di violazioni, ci ha chiesto di passarvi due settimane. Il nostro compito sarà quello di marcare presenza, osservare e stendere rapporti su episodi sospetti ed eventuali scontri. Al mio arrivo sono colpita dall’assordante stridio delle cicale e dalla bellezza del posto, immerso nella foresta sulla riva di un fiume azzurro. Ma l’apparenza inganna. Il balneario, proprietà di un ranchero che fuggì dopo la rivolta del 1994, è stato rioccupato qualche anno fa dagli zapatisti, che ne rivendicano il diritto secondo il principio “la terra appartiene a chi la lavora”. La rioccupazione della terra da parte di comunità indigene, che rispecchia il forte attaccamento delle etnie maya alla loro terra, è un fenomeno molto comune in Chiapas. Non sempre, tuttavia, è accettato dalle autorità, in quanto ostacolo alla realizzazione di progetti milionari. Nella regione di Palenque, ad esempio, è prevista la realizzazione di un progetto “ecoturistico” (Centro Integral Planeado Palenque, cfr. www.cocoso.chiapas.gob.mx) che tocca direttamente anche la comunità che mi ospita. Anche qui, la popolazione interessata non è mai stata consultata, né inclusa nella progettazione. Gli indigeni diventano così, sulle loro proprie terre che hanno lavorato da anni, un elemento scomodo, e svariate sono le strategie messe in atto dal governo affinché abbandonino la terra di propria volontà: blocchi stradali, intimidazioni, voli di perlustrazione a bassa quota, scissione delle comunità (ad es. sotto forma di appoggio finanziario alle famiglie pro-governo) e appoggio a gruppi paramilitari in attacchi alle comunità. Come ha denunciato anche Amnesty International in occasione della presentazione del suo rapporto annuale a San Cristobal il 13 giugno 2010 (cfr. www.jornada.unam.mx/2010/ 06/14), il dislocamento forzato di intere comunità e, di fatto, la negazione della loro identità, sta assumendo una portata sempre maggiore in Chiapas. Nella comunità in cui sono stata ospite, le famiglie pro-governo, con l’intento di privare gli zapatisti di entrate economiche, richiedono ai turisti ignari una tassa d’entrata al balneario ad un posto di blocco situato diversi metri prima laRegioneTicino Marcos e i suoi Gli osservatori svizzeri Peace Watch Switzerland (Pws) è un’associazione senza scopo di lucro, con sede a Zurigo, che sin dal 1993 prepara volontari per inviarli in Guatemala, Messico, Colombia e Palestina in funzione di osservatori della pace. La presenza di quest’ultimi si è rivelata essere una misura efficace al fine di promuovere e rafforzare la pace in zone di conflitto. Secondo il principio del “vedere ed essere visti”, da una parte si abbassa la soglia di intervento di forze armate (polizia, esercito, gruppi paramilitari) nei confronti della popolazione civile, e, dall’altra, viene offerto un appoggio morale alla parte più debole, dando un contributo indiretto affinché le parti in causa, invece che il confronto, si indirizzino verso il dialogo. L’invio di osservatori internazionali avviene unicamente in comunità non armate e che hanno espressamente auspicato la loro presenza. Durante le loro missioni, i volontari sono tenuti a comportarsi in maniera neutrale e a non immischiarsi in alcun modo nel conflitto in corso. I seminari di preparazione di Pws si svolgono sull’arco di diversi giorni e vertono sulla storia del paese e del conflitto in questione, sulla situazione attuale in loco, sulla cultura delle popolazioni indigene accompagnate, sulla funzione, sui diritti e i doveri dell’osservatore della pace. Al fine di poter continuare il suo impegno per la promozione della pace, Pws è alla costante ricerca di volontari. I prossimi seminari di preparazione sono previsti per l’autunno 2010.