Relazione agronomica

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Relazione agronomica
Dr. Daniele Menabeni Agronomo
Consulenze agricole ed ambientali
Studio preliminare circa gli aspetti faunistici e vegetazionali, per l’apertura
di una cava di inerti denominata Terra Rossa I, con un'estensione totale di
circa 64.658 mq. (6,47 ha circa), ubicata nel territorio del Comune di Laterina e
Progetto di ripristino vegetazionale e paesaggistico
Il presente studio preliminare ambientale è redatto ai sensi dell'articolo 20 (verifica di
assoggettabilità) e degli Allegati V e VI del Decreto Legislativo 16 gennaio 2008 n. 41 e degli
articoli 48 e 49 e dell'Allegato B3 della Legge Regionale 12 febbraio 2010 n. 102 ss.mm.ii.,
Cap.1 Analisi paesistica: aspetti paesaggistico-ambientali
Per l’analisi degli aspetti agronomici ed ecologici necessari alla formulazione del
documento per lo studio preliminare ambientale si è ritenuto opportuno studiare la
struttura del territorio e le correlazioni tra le varie unità paesaggistiche che lo
caratterizzano per un intorno significativo all’area di escavazione (di seguito “area di
cava”). La significatività si raggiunge quando si sono identificate tutte le unità di
paesaggio che si ripetono costantemente nell’intorno. Per trovare le unità paesaggistiche
atte a descrivere la zona e che siano rappresentative dell’area più vasta (di seguito “area di
studio”) si sono analizzati gli ecosistemi e le infrastrutture ricomprese nel raggio di 500m
dal centro dell'area di cava. Tale porzione presenta una serie di caratteristiche
paesaggistiche e di associazioni vegetazionali e faunistiche che si ripetono nelle aree
contermini per cui si può ritenere l’area significativa per il nostro studio e non si ritiene
necessario estendere lo studio ad una superficie maggiore. I dati utilizzati per
l’elaborazione della presente relazione sono il frutto dell’acquisizione di conoscenze
pregresse dei luoghi e derivanti da rilievi eseguiti specificatamente.
Di seguito vengono descritte le caratteristiche agronomiche ed ecologiche delle singole
1
Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante norme
in materia ambientale
2 Norme in materia di valutazione ambientale strategica (VAS), di valutazione di impatto ambientale (VIA)
e di valutazione di incidenza
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unità di paesaggistico-ambientali che compongono l'ecotessuto dell’area di studio:
a. coltivi organizzati in colture specializzate ( seminativi, prati, prati pascolo);
b. boschi cedui e/o avviati all’alto fusto, boschi riparali; prevalenza di specie quercine
caducifoglie su sempreverdi,
c. arbusteti organizzate in macchie o siepi in prossimità di boschi, campi coltivati o
sulle scarpate delle strade o delle zone di cava in ripristino;
d. alberature isolate o organizzate in filari lungo la viabilità secondaria;
e. nuclei edificati o case isolate sparse abitati o disabitati con resedi più o meno
risistemati;
f. strade bianche e viabilità poderale;
h. reticolo idraulico minore che nasce dagli impluvi naturali e confluisce in un sistema
torrentizio;
i. sistemazioni idrauliche-agrarie costituite da capofossi e rete scolante secondaria
confluente nel reticolo idraulico esistente;
j. infrastrutture lineari quali viabilità principale rappresentata da strade provinciali e
comunali e dall'autostrada A1;
k. Insediamenti produttivi;
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l. Colture arboree (vigneti);
1.1 Conclusioni
Dall’analisi paesistica si rileva che l’area di studio risulta ad essere inserita in un contesto
paesaggistico abbastanza uniforme dove ad attività agro-silvo-pastorali si affiancano
attività estrattive, infrastrutture ed insediamenti umani e che, ognuna per la sua parte,
hanno contribuito e contribuiscono a manipolare il paesaggio e la sua evoluzione. Ci
troviamo nei fatti di fronte ad un area che , anche nella sua componente naturale, è stata
fortemente manipolata e trasformata dall’attività antropica .
Accanto alle attività industriali, artigianali ed alle infrastrutture di servizio esiste ancora
un’utilizzazione del suolo agro-silvo-pastorale che caratterizza l’area; la stessa area dove
verrà realizzata la cava ha una parte di terreno utilizzata come seminativo più o meno
intensivo e per pascolo. Queste zone si estendono anche oltre l’area di cava dove si
riscontrano coltivazione di seminativi specializzati (grano, orzo, mais), prati, prati pascoli
per l’allevamento ovino, boschi trattati a ceduo a composizione quercina prevalente.
Dei 6,47 ha circa dell'area di cava, circa 3,66 ha sono ricoperti da bosco in parte utilizzato
come ceduo in parte in fase evolutiva verso l'alto fusto ed i restanti 2,81 ha circa sono
utilizzati come seminativo e/o a pascolo. Alla fine del periodo di coltivazione della cava il
ripristino dell’area vedrà una superficie boscata pari al 20% in più di quella eliminata, pari
a 4,39 ha circa, e la restante superficie tornerà ad essere utilizzata per le attività agricole.
Cap. 2 Aspetti vegetazionali
In questa parte vengono descritti in una prima parte gli aspetti fisionomico-paesaggistici
delle unità di paesaggio e la loro evoluzione potenziale e successivamente viene
caratterizzata l’area di cava utilizzando i suddetti descrittori.
Nell’area di studio, sono variamente rappresentate alcune formazioni e associazioni
vegetali tipiche dei luoghi, del paesaggio e del territorio circostante in cui si ripetono
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costantemente, come rappresentato nella specifica tavola della vegetazione a cui si
rimanda ogni più preciso e puntuale riferimento.
Il paesaggio così come si presenta è di completa derivazione antropica essendo intervenuti
in epoche passate forti interventi per l’ottenimento di terreno coltivabile. Siamo di fronte
ad un paesaggio che anche nelle formazioni boschive migliori da un punto di vista della
biodiversità, è di origine seminaturale. L’uomo con il suo intervento può determinare
l’evoluzione di tali ambienti verso forme sempre più naturali o mantenendo lo stato
attuale di utilizzazione.
Nell’area si riscontrano una serie di associazioni che contraddistinguono determinati usi
del suolo; tali associazioni sono variamente diffuse in tutto il territorio circostante che
come detto è fortemente antropizzato; come tali alcune di esse sono rappresentative di
habitat fortemente degradati con poche specie vegetali presenti anche in numero limitato
di esemplari non riconducibili ad alcuna associazione floristica, altri invece di habitat
parzialmente degradati o in via di ricostituzione ma con presenza di specie vegetali tipiche
e ancora ben rappresentato e infine formazioni più evolute con un elevata
caratterizzazione ecologica. Il rilevamento dell’uso del suolo è stato effettuato incrociando
la base cartografica con l’aerofotogrammetria con successiva verifica in campagna per
l’individuazione sul terreno dei confini fisici delle varie associazioni e dei principali
aspetti fisionomici. Le tipologie vegetali sono descritte in base, oltre che alla specie
dominante, a quelle secondarie nonché a quelle che caratterizzano le formazioni vegetali
che è stato possibile rilevare durante i controlli in campo:
2.1 Boschi misti mesofili; bosco prevalentemente misto e/o ceduo invecchiato avviato
all’alto fusto. Generalmente si tratta di boschi derivanti da cedui matricinati con
evoluzione a fustaia nelle porzioni più impervie. Generalmente querceti con presenza di
roverella, cerro, farnia con presenza di piccoli gruppi , o esemplari isolati di robinia. Fra le
specie dominanti si annoverano: olmo campestre (Ulmus minor) roverella (Quercus
pubescens), acero campestre (Acer campestre), carpino nero (Ostrya carpinifolia), acacia
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(Robinia pseudoacacia), ciliegio selvatico (Prunus avium), , orniello (Fraxinus ornus), fra le
specie secondarie si annoverano: biancospino (Crataegus monogyna), alloro (Laurus nobilis),
ligustro (Ligustrum volgare), berretta da prete (Euonymus europeus), pero selvatico (Pyrus
communis), melo selvatico (Pyrus malus), corniolo (Cornus mas), nocciolo (Corylus avellana),
edera (Hedera helix), vitalba (Clematis vitalba), erica (Erica scoparius), ginepro (Juniperus
communis), pungitopo (Ruscus aculeatus),ciclamini (Cyclamen persicum). Nelle zone boschive
al margine di scarpate o in posizioni termofile si rileva la presenza di ginepro, coronilla
(Coronilla emerus), cisto, ginestra odorosa (Spartium junceum), ginestra dei carbonai (Cytisus
scoparius). L’evoluzione di questi boschi è generalmente indotta dall’uomo verso il ceduo
matricinato nelle zone più accessibili e produttive o verso la fustaia in zone più impervie,
se lasciati all’evoluzione naturale si va verso un tipo di bosco a maggior biodiversità,
disetaneo, con forte caratterizzazione ecologica.
2.2 Bosco ceduo; tale formazione è presente nelle zone più facilmente accessibili per le
operazioni forestali e si compone prevalentemente da olmo campestre (Ulmus minor) e
dalla roverella (Quercus pubescens). La forma di governo di questi cedui è generalmente
effettuata con taglio raso con rilascio di matricine in numero di 60-70 per ettaro.
L’evoluzione di questi boschi è prettamente di natura antropica che consiste nel
mantenimento di questo tipo di formazione.
2.3 Boschi misti riparali: negli impluvi e nelle zone circostanti gli invasi si rinviene in
genere una formazione attribuibile al bosco misto ripariale con presenza di pioppo bianco
(Populus alba), pioppo nero (Populus nigra), ontano nero (Alnus glutinosa), salicone (Salix
caprea), salice comune (Salix alba), sambuco (Sambucus nigra) per quanto riguarda le specie
arboree ed arbustive e di carice (Carex spp), coda di cavallo (Equisetum), cannuccia di
palude (Phragmites australis), carici (Carex spp) e felci per le specie erbacee.
2.4 Arbusteti e pascoli arborati; Formazione presente come passaggio evolutivo da forme
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di coltivazione ormai abbandonate o in seguito a ricolonizzazione di terreni ripristinati
dopo escavazione. Come stadio definitivo su terreni marginali poco profondi; specie
dominanti: biancospino (Crataegus monogyna), ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius),
prugnolo (Prunus spinosa); ginestra odorosa (Spartium junceum), rosa canina (Rosa canina),
rovo (Rubus ulmifolius), sanguinello (Cornua sanguinea), berretta da prete (Euonymus
europeus), ligustro (Ligustrum vulgare), acero campestre (Acer campestre), olmo campestre
(Ulmus minor), roverella (Quercus pubescens), acacia (Robinia pseudoacacia); fra le specie
erbacee prevalenti: erba mazzolina (Dactylis glomerata), piantaggine (Plantago lanceolata),
festuca (Festuca pratensis) cardo campestre (Cirsium arvense), carota selvatica (Daucus
carota), cicoria (Cychorium intybus) , falsa gramigna (Agropyron repens). L’arbusteto si
insedia
su
terreno
abbandonato
dalle
coltivazioni
o
dal
pascolo
a
seguito
dell’insediamento di specie erbacee pioniere nella prima fase e si configura come stadio
intermedio verso l’insediamento del bosco misto prevalentemente di Quercus pubescens e
Acer campestre, dove le caratteristiche pedoclimatiche della stazione lo consentono. Il
passaggio verso questa forma avviene dai 3 ai 7 anni dall’abbandono dell’attività agricola.
2.5 Seminativi semplici asciutti ed irrigui; Seminativo puro dove si praticano colture
intensive (monocoltura specializzata) o variabili di anno in anno secondo il piano delle
rotazioni aziendali o in base a scelte dettate dagli orientamenti della PAC (Politica
Agricola Comunitaria) seminativi.
2.6 Prato/pascolo; prati pascoli nudi con varie gradazioni fino ad incolti produttivi;
presenza di specie erbacce polifite con prevalenza di leguminose e graminacee. Tra le
graminacee si annoverano specie come Festuca pratensis, Poa pratensis, Dactylis glomerata,
Agryporon repens, Lolium perenne, tra le leguminose in purezza e/o associate alle
graminacee abbiamo Medicago sativa, Vicia spp, Lotus corniculatus, Onobrychis viciifolia. Sono
presenti altre specie di altre famiglie in piccoli numeri. L’evoluzione di quest’ambiente è
legata alle attività umane in relazione al mantenimento o meno delle pratiche di
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allevamento di ovini.
2.7 Case sparse e piccoli nuclei rurali; si ha la presenza di alberature isolate o in piccoli
gruppi di specie autoctone o ornamentali; evoluzione indotta dall’uomo.
2.8 Strade bianche e viabilità secondaria poderale; rispetto all’impianto iniziale deducibile
dalla cartografia, allo stato attuale la zona si presenta fortemente alterata dall’attività di
escavazione con apertura di nuovi tratti e chiusura o cancellazione della preesistente. La
viabilità è delimitata a tratti da formazioni arbustive isolate o a siepe; evoluzione indotta
dalle attività umane.
2.9 Infrastrutture varie: linea ferroviaria lenta Firenze-Roma, SR69, Autostrada A1.
Cap. 3 Caratterizzazione dell’area di cava
L'area di cava occupa una parte di una collina che presenta una parte pianeggiante o
lievemente declive nella parte sommitale a quote che oscillano tra i 249 ed i 245 m mentre
i lati che degradano verso est e verso ovest si presentano a declività accentuata e sono
ricoperti da boschi misti. Il lato nord della collina scende verso la piana di Laterina con
pendenze meno accentuate, tanto che è attraversato da una strada a fondo naturale, e
presenta i terreni utilizzati sia per attività agricole che ricoperti da bosco.
Il suolo dell’area di cava si presenta abbastanza omogeneo in quanto si è evoluto su
sedimenti erosi e abbastanza uniformi riconducibili ai Limi di Latereto; si tratta di limi
argillosi e argilloso sabbiosi, organizzati in banchi massicci, pedogenizzati ed interessati
localmente da pedogenesi a pseudogley. I terreni generatisi da questi limi possono
presentare difficoltà di drenaggio che danno origine a ristagno d’acqua superficiale con
conseguente asfissia del terreno, per cui la loro utilizzazione agronomica si limita alle
colture erbacee sopratutto di cereali autunno vernini.
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Cap. 4 Aspetti faunistici
Il paesaggio oggetto di studio è composta da vari habitat con caratteristiche vegetazionali
differenti che fungono da rifugio e ambiente di riproduzione a molte specie animali, quali
mammiferi, uccelli, anfibi e rettili. Riguardo a queste si precisa che per desumere la
consistenza del patrimonio faunistico presente nell’area si è fatto ricorso agli studi
effettuati per il Piano Faunistico Provinciale ed a quelli per il monitoraggio della fauna
della Riserva Naturale “Valle dell’Inferno Bandella” oltre che, fin dove è stato possibile,
dal rilievo diretto delle tracce, delle fatte, per avvistamenti, per conoscenza della presenza
tradizionale nei luoghi. Anche in questo caso le unità di paesaggio così descritte si
ripetono variamente nel territorio circostante conservando una identica tessitura; sono
quindi rappresentative del quadro ambientale di studio. I diversi habitat rappresentati
determinano varie dinamiche di utilizzazione da parte della fauna indicando come i
boschi siano i luoghi utilizzati per la sosta, il riparo e la riproduzione e dai quali si sposta
in ambienti più idonei per la caccia quali, coltivi, prati-pascolo ed arbusteti. Di seguito
vengono descritti gli habitat rilevati con le rispettive presenze faunistiche. Per quanto
riguarda l’avifauna si fa riferimento allo specifico studio volto a monitorare l’andamento
delle popolazioni alle specie nidificanti e svernanti nella vicina RN di Valle dell’Inferno e
Bandella, censite nel biennio 2005-2006.
4.1 Seminativi semplici irrigui e asciutti
•
mammiferi ungulati: cinghiale e capriolo;
•
altri mammiferi: lepre, istrice, volpe, toporagno, arvicola, talpa ceca, chirotteri;
•
rettili: lucertola, ramarro;
•
uccelli: fagiano, storno, colombo, tortora, rondine, balestruccio, rondone, merlo,
pettirosso, passera d’Italia, cardellino, verzellino, cornacchia grigia, gazza, passera
scopaiola, passera d’Italia, verdone, saltimpalo, beccamoschino, picchio verde,
ballerina bianca, allodola, strillozzo;
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4.2 Prati, Pascoli, incolti produttivi
•
mammiferi ungulati: cinghiale e capriolo;
•
altri mammiferi: lepre, istrice, volpe, toporagno, arvicola, talpa ceca, chirotteri;
•
rettili: lucertola, ramarro;
•
uccelli: fagiano, storno, colombo, tortora, rondine, balestruccio, rondone, merlo,
pettirosso, passera d’Italia, cardellino, verzellino, cornacchia grigia, gazza, passera
scopaiola, passera d’Italia, verdone, saltimpalo, beccamoschino, picchio verde,
ballerina bianca, allodola, strillozzo;
4.3 Arbusteti e incolti cespugliati
•
mammiferi ungulati: cinghiale e capriolo;
•
altri mammiferi: lepre, istrice, volpe, toporagno, arvicola, chirotteri;
•
rettili: lucertola, ramarro, vipera; anfibi: rospo;
•
uccelli: fagiano, storno, merlo, pettirosso, passera d’Italia, cardellino, verzellino,
averla piccola, saltimpalo, sterpazzola, usignolo, succiacapre, scricciolo, canapino,
capinera, fringuello, cinciallegra, cinciarella, zigolo nero, occhiocotto;
4.4 Boschi cedui e misti, invecchiati e/o avviati all’alto fusto
•
mammiferi ungulati: cinghiale, capriolo;
•
altri mammiferi: lepre, istrice, volpe, ghiro, toporagno, arvicola, moscardino, riccio,
•
scoiattolo, donnola, faina;
•
rettili: lucertola, vipera, colubro;
•
anfibi: rospo;
•
uccelli: fagiano, colombo, tortora, merlo, pettirosso, passera d’Italia (margini),
cardellino, verzellino, cornacchia grigia (margini), ghiandaia, picchio muratore,
picchio rosso maggiore, picchio verde, upupa, torcicollo, capinera, luì piccolo,
codibugnolo, scricciolo, fringuello, usignolo, allocco, civetta, barbagianni, cuculo;
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4.5 Boschi riparali
•
mammiferi ungulati: cinghiale, capriolo;
•
altri mammiferi: lepre, istrice, volpe, ghiro, toporagno, arvicola, moscardino, riccio,
scoiattolo, donnola, faina;
•
rettili: lucertola, colubro; anfibi; rospo;
•
uccelli: fagiano, rondine (margini), balestruccio (margini), rondone (margini),
merlo, pettirosso, cardellino, verzellino, ghiandaia , picchio muratore, picchio
verde, upupa, cinciarella, cinciallegra, usignolo, allocco, civetta, cuculo;
4.6 Alberature isolate e resedi di fabbricati abitati e disabitati
•
mammiferi: istrice, riccio, toporagno, arvicola;
•
rettili: orbettino, lucertola, ramarro, vipera, colubro; anfibi: rospo;
•
uccelli: merlo, storno, rondine, balestruccio, tortora, pettirosso, passero, cardellino,
verzellino, capinera, upupa, cinciallegra, ballerina bianca, cornacchia grigia, gazza,
civetta, allocco;
4.8 Conclusioni
L’area territoriale registra una buona presenza di specie in termini quantitativi e
qualitativi, nonostante la marcata antropizzazione, l’attività agro-pastorale e le attività
legate agli insediamenti produttivi. In questo quadro si inserisce l’area oggetto di
escavazione che racchiude in sé anche le caratteristiche legate alle aree aperte e che quindi
funge da zona di alimentazione per numerose specie di uccelli e di mammiferi. Tra i
mammiferi è possibile inoltre la frequentazione da parte di specie di chirotteri che dai
margini dei boschi si spingono in zone aperte per la caccia. La presenza di erbe spontanee
con fioriture permette la presenza anche di numerosi insetti.
La buona biodiversità dell’area contermini dove sono presenti elementi di paesaggio simili
garantisce che l’impatto dell’attività estrattiva possa essere tamponata per il periodo di
coltivazione della cava (stimato in 6 anni)
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Le aree limitrofe intonse rappresentano un rifugio temporaneo come si è rilevato in altre
valutazioni in zone vicine, dimostrando in questo un adattamento da parte delle specie
animali alla presenza antropica. Tali habitat costituiscono un importante presidio
faunistico territoriale, in grado di garantire una nuova colonizzazione dell’area in specie
una volta che sarà ripristinata. Pertanto, da quanto esposto sopra, l’attività estrattiva di
progetto non inciderà oltremodo sulle popolazioni animali presenti nei vari habitat di cui è
formato il sistema ambientale preso come ambito di studio.
Per favorire la progressiva ricolonizzazione dell’area il progetto scavo e di ripristino, cui si
rimanda, prevede di operare per steps successivi aprendo nuovi fronti di scavo a seguito
del ripristino delle zone esaurite.
Cap. 5 Risistemazione post escavazione
5.1 Inquadramento climatico
Per arrivare a formulare un piano di rinverdimenti idoneo alla stazione per avere maggiori
garanzie in termini di attecchimento e di sviluppo è necessario conoscere una serie di dati
relativi al clima della regione oggetto di studio; sono ben note infatti le relazioni che
intercorrono tra clima vegetazione e suolo. Il bilancio idrico ed il tipo climatico dell’area
sono stati elaborati secondo il metodo THORNTHWAITE (1948). E’ stata presa in
considerazione la stazione di Montevarchi, abbastanza vicina all’area che offre la
possibilità di utilizzare sia i dati pluviometrici che quelli delle temperature.
Tab. 1 – Bilancio idrico climatico della stazione di Montevarchi (alt. 163m; dati
termopluviometrici del trentennio 1956-1985)
T= temperature medie mensili e annue;
P= precipitazioni medie mensili e annue;
PE= evapotraspirazione potenziale;
AE= evapotraspirazione reale;
D= deficit idrico (PE-AE);
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S= surplus idrico (eccesso di P rispetto a PE)
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Anno
T
4.7
6.4
9.1
12.5
16,8
20,3
23,2
22,6
19,2
14,3
9,5
5,8
13,7
P
70
73
71
68
80
65
25
47
72
108
110
88
877
PE
10
14
30
52
89
119
145
129
88
53
25
12
766
AE
10
14
30
52
89
113
105
86
78
53
25
12
667
D
0
0
0
0
0
6
40
43
10
0
0
0
99
S
60
59
41
16
0
0
0
0
0
0
0
34
210
Dal bilancio idrico (tab.1) sono stati ricavati gli indici climatici (figg.5.1 e 5.2, tab. 2) che
permettono di definire il “tipo di clima”, secondo il metodo di Thornthwaite
Indice di umidità globale: Im = (Ih-Ia) =100 x (S-D) / PE
Indice delle variazioni stagionali dell’umidità: per l’area in oggetto è espresso
dall’indice di aridità: Ia = (100 x D/PE)
Indice dell’efficienza termica (TE): è espresso dalla PE (Evapotraspirazione potenziale)
in cm.
Indice della concentrazione estiva dell’efficienza termica (CE): corrisponde alla PE%
dei tre mesi estivi.
Tabella 2 – Indici climatici e “tipo climatico” della Stazione di Montevarchi (163 m)
Im
la
PE in mm
CE (%)
Tipo
Climatico
14,5
12,5
766
51,3
C2 B’2 r b’4
Il clima dell’area, basato sulla stazione di Montevarchi, è espresso dalla formula: C2 B’2 r
b’4. Siamo in presenza di un clima da umido a subumido (classe C2: Im compreso tra 0 e
19,9), secondo mesodermico (B’2: indice di efficienza termica fra 71,3 e 85,5), con deficit
estivo moderato o nullo
( r compreso tra 0 e 16,7) e con concentrazione estiva dell’efficienza termica (b’4) fra 48.0 e
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51.9%, che esprime una tendenza in senso suboceanico.
Tale inquadramento climatico risulta ad essere importante per la valutazione e la scelta
delle specie da utilizzare nella fase di ripristino.
5.2 Aspetti generali del progetto di recupero
Gli obiettivi che ci si prefigge con il progetto di recupero sono essenzialmente protettivi ,
nel senso di consolidamento del terreno di riporto e controllo dell’erosione idrica
superficiale, scenici con il ristabilimento della continuità visiva con il contesto
paesaggistico ed ecologici ricostituendo una copertura vegetale formata da specie
autoctone in sintonia con il grado di biodiversità dell’ambiente. In particolare a
coltivazione conclusa, l’area si presenterà come una superficie pianeggiante (quota 219,5)
che si raccorda con i terreni circostanti non interessati dall’attività di escavazione.
5.3 Aspetti agronomici
La fase di ripristino della zone scavata prevederà come prima fase il rimodellamento delle
superfici in funzione delle esigenze del recupero. Per l’attuazione di questa fase è
consigliabile riporre in loco un idoneo strato di terreno di coltura in quantità e
caratteristiche adeguate. Detto intervento potrà essere realizzato con riporto dell’orizzonte
di lavorazione dell’attuale coltura opportunamente accantonato nella fase di scorticamento
iniziale, come indicato nel progetto di escavazione. Il riporto di terreno di tale tipo è
consigliabile in quanto la fase di rimodellamento è seguita da quella della pedogensi e cioè
la ricostituzione di uno strato di terreno idoneo alla coltivazione. La fertilità del suolo
dipende infatti dal giusto equilibrio tra la componente fisica (tessitura), chimica (sali
minerali), microbiologica (sostanza organica, funghi e batteri), dalla fauna terricola,
dall’aria e dall’acqua.
La ricolonizzazione vegetale di terreni derivanti da orizzonti pedologici profondi dove le
condizioni anaerobiche e riducenti determinano di fatto la loro sterilità biologica è molto
lunga. La componente microbiologica innesca delle reazioni biochimiche tali da rilasciare
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colloidi e sali minerali molto importanti per la realizzazione di stadi di strutturazione del
terreno e di nutrienti per le piante pioniere che si verranno ad insediare e/o a seminare.
Particolarmente adatte a questa prima fase sono le foraggere che svolgono un ruolo di
colonizzatrici e di miglioratrici del terreno. Da un lato con la grande massa di radici
contribuiscono ad esercitare una forte azione di consolidamento mentre con il rilascio di
abbondanti quantità di sostanza organica innescano tutti quei fenomeni precursori della
pedogenesi. Dalla morte e dalla decomposizione di queste prime essenze aumenterà nel
terreno la frazione umica e la presenza dei colloidi che determineranno dei miglioramenti
anche delle condizioni fisiche del terreno consentendo lo sviluppo di una macro e
microporosità che permetterà una migliore circolazione dell’aria e dell’acqua, aumentando
inoltre il potere igroscopico del suolo. Il miglioramento delle condizioni fisiche del suolo e
la presenza di sostanza organica disponibile permetterà lo sviluppo di microrganismi ed
entomofauna terricola che mineralizzando la frazione organica determinerà di fatto un
miglioramento anche della fertilità chimica e microbiologica che consentirà l’insediamento
di specie più esigenti dal punto di vista nutrizionale. Per questa serie di motivi si consiglia
di accantonare fuori dall’area di coltivazione della cava il terreno degli orizzonti
superficiali per poter poi innescare più rapidamente i processi pedogenetici.
L’altro aspetto di grande importanza è quello delle sistemazioni idrauliche agrarie. Il
terreno di riporto presenta una soluzione di continuità con gli orizzonti del fondo della
cava e non avendo, nelle prime fasi, sviluppato un cotico erboso tale da trattenere le
particelle di suolo, va incontro a fenomeni di erosione per ruscellamento o per
laminazione che potrebbero sfociare in fenomeni calanchivi; la conseguenza è di
un’asportazione dello strato più fertile di terreno con le sue componenti organiche,
minerali e microbiologiche e una vanificazione delle semine e delle piantumazione, che
avrà come effetto finale il ritardo della ricolonizzazione ed il riutilizzo a fini agro-forestali.
Per evitare occorrerà progettare e realizzare un sistema di scoline all’interno ed intorno
all’area dimensionate in base ai dati pluviometrici della zona che convoglino l’acqua verso
gli impluvi e nella rete idrica esistente. In particolare l'affossatura superficiale sarà
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realizzata nei versanti a maggior pendenza di traverso alle isoipse a distanza di 8- 10
metri. La loro apertura verrà fatta mediante trattore con aratro successivamente alla
semina delle essenze erbacee.
Il ripristino dell'area prevede due zone ben distinte: una parte dove si ricostituirà il bosco
ed un altra, limitatamente alle zone meno acclivi, dove si tenderà a ricostituire una fertilità
iniziale per poter essere riutilizzate come seminativo.
Il ripristino dell’area passerà attraverso le seguenti fasi:
A.
preparazione del terreno;
B.
semina di specie erbacee;
C.
piantumazione di specie arbustive ed arboree,
D.
cure colturali
I punti A e B valgono per il ripristino di tutta la superficie, mentre i punti C e D valgono
per l'impianto del bosco.
A. Preparazione del terreno
La preparazione del terreno passa attraverso un movimento terra per il modellamento
della superficie con il terreno risultante dall’escavazione. In relazione alla morfologia di
ripristino mostrata nella tavola specifica la pendenza media avrà valori variabili andando ,
nei versanti est ed ovest dal 20 al 40% mentre per il versante nord avremo valori dal 20%
nella parte più alta al 8% nella parte più bassa. I valori più alti consigliano di applicare
tecniche atte a prevenire fenomeni di ruscellamento che potrebbero vanificare gli
interventi di semina e di piantumazione nelle prime fasi del ripristino quando ancora il
terreno risulta incoerente e non sufficientemente trattenuto dalle radici. Le pendenze
inoltre saranno indirizzate verso gli impluvi presenti. Si realizzerà la rete scolante
principale con capofossi ai margini degli appezzamenti. Si provvederà alla distribuzione
di una concimazione di fondo organica o organo-minerale. Seguirà quindi una lavorazione
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superficiale del terreno con estirpatore o erpice che avrà come scopo quello di interrare il
fertilizzante e di ridurre l’eventuale zollosità presente che, data la natura del materiale,
non dovrebbe essere eccessiva. Prima della semina potrà essere effettuato un livellamento
del terreno per eliminate avvallamenti o piccole irregolarità. Si effettuerà quindi la semina
di essenze erbacee mediante tecniche di ingegneria naturalistica idonee che possono
andare dall’idrosemina o alla posa di biostuoia preseminata con successiva apposizioni di
sostanze pacciamanti. Visto l'applicazione con buoni risultati dell'idrosemina in altre
situazioni, anche su terreni più rocciosi, si propende per l'utilizzo di questa tecnica, di cui
si ricordano le principali caratteristiche.
L'idrosemina permette veicolando i semi mediante adesivanti una migliore permanenza
degli stessi sulla parte permettendo la germinazione di una buona quantità di piantine.
In particolare sarà utilizzata un tipo di idrosemina che comunemente in commercio viene
definita MULCH dove il miscuglio di sementi è integrato con legante in fibra ad alto
spessore totalmente biodegradabile, fertilizzante organico (da 150 a 250 mg), leganti (da
80 a 100 g mq), sostanze miglioratrici del terreno (argilla, torba, sabbia e cellulosa) e
sostanze fitoregolatrici da (1 a 5 g/mq), per la stimolazione dei processi di radicazione, e
lo sviluppo della microflora del suolo.
Si tratta quindi di un prodotto a base organica in grado di arricchire i terreni poveri e di
assorbire significative quantità di acqua.
L'efficacia del mulch dipende fortemente dalla quantità di fibre impiegate: maggiore è la
quantità di mulch utilizzato (in gr/mq di superficie trattata) maggiori saranno i benefici di
protezione e resistenza meccanica offerta ai processi erosivi. Le dosi sono variabili in
funzione della pendenza: all'aumentare dell'una aumenta anche l'altra. Le dosi medie
vanno da 250 gr/mq fino 350 gr/mq.
Dopo la semina si apriranno delle fossette di raccolta dell’acqua superficiale
indirizzandole verso i capofossi posti al margine dell'area. Data la natura del terreno non
si ritiene necessario effettuare un drenaggio tubolare ipodermico.
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B.
Semina di specie erbacee;
Per quanto attiene l’impiego di specie erbacee si consiglia di utilizzare un miscuglio
composto in ugual misura da graminacee e leguminose. Questo perché la differente
morfologia dell’apparato radicale (fascicolato e più superficiale nelle graminacee e
fittonante e più profondo delle leguminose) garantisce un effetto sinergico per il
consolidamento del franco di coltivazione. Le leguminose inoltre avvalendosi della
simbiosi azotofissatrice contribuiscono al miglioramento delle proprietà chimiche del
terreno e a portare il rapporto C/N del terreno verso valori ottimali per l’attività
microbica. Per avere lo sviluppo di un cotico erboso che copra rapidamente l’area è
opportuno utilizzare un miscuglio polifita in maniera da garantire la riuscita della semina.
Le specie che possono entrare nel miscuglio possono essere, in base alle condizioni
pedoclimatiche della stazione, le seguenti: Agropyron repens 10%, Alopecurus mysuroides 5%
Bromus erectus 10%, Poa pratensis 10%, Dactylis glomerata 10%, Bromus inermis 5%, Vicia
villosa 10%, Medicago lupolina (erba medica lupolina) 5%, Onobrychis vicifolia (lupinella) 10%,
Lotus corniculatus (ginestrino) 15%, Hedisarium coronarium (sulla) 10%.
Dopo la semina si apriranno delle fossette di raccolta dell’acqua superficiale
indirizzandole verso i capofossi posti al margine dell'area. Data la natura del terreno non
si ritiene necessario effettuare un drenaggio tubolare ipodermico.
A seguito della semina seguirà un periodo di riposo pari a 1-2 stagioni vegetative con
eventuale risemina laddove il primo intervento di inerbimento non sia riuscito.
A seguito di questo primo intervento , si potrà procedere al riutilizzo dei terreni per scopi
agricoli.
Dove invece dovrà essere ricostituito il bosco si opererà come segue.
C.
Piantumazione di specie arbustive ed arboree
La ricostituzione della copertura vegetale finale si ottiene mediante piantumazione di
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specie arboree ed arbustive. L’associazione vegetale che vogliamo ottenere alla fine del
ripristino è quella del bosco alto misto di caducifoglie , in quanto tale formazione
rappresenta la naturale evoluzione dei boschi della zona ed è presente nelle aree
contermini non interessate da escavazioni. In questa maniera si viene a ricreare quel
continuum preesistente. L’estensione di tale ambiente su tutta la superficie di cava,
sostituendo di fatto il bosco ceduo attuale, determinerà un sicuro effetto di miglioramento
ambientale. Il ripristino geomorfologico e la presenza per una o due stagioni di un cotico
erboso garantirà un miglioramento notevole della fertilità fisico-chimica e microbiologica
del terreno predisponendola all’impianto di specie arbustive e arboree. Per la
realizzazione dell’impianto si metteranno a dimora essenze arboree supportate da
arbustive in sesto adeguatamente fitto per arrivare rapidamente ad una copertura
soddisfacente del terreno. Come tipologia di specie si farà riferimento a quelle autoctone
presenti nelle zone limitrofe utilizzando postime preferibilmente di 2 anni che
garantiscono percentuali di attecchimento prossimi alla totalità in quanto non subiscono
stress da trapianto tipico delle piante più vecchie, hanno un costo inferiore e sono
facilmente posizionabili. Le piante dovranno essere poste a dimora con le protezioni
individuali (preferibilmente a shelters) di altezza di m.1.20 ancorate ad un tutore ligneo.
Lo shelter servirà come salvaguardia dall’azione di pascolamento del capriolo, della lepre
e dell’istrice ed inoltre crea un microclima favorevole allo sviluppo e impedisce che la
piantina sia soffocata dalle erbe spontanee.Come partenza si opererà utilizzando sesti
d’impianto in quadrato, 6 x 6 per le specie arboree e 3 x 3 per quelle arbustive. Per il
calcolo delle piante da mettere a dimora si rimanda allo schema allegato alla presente
(Fig. 1, cfr. Buresti, Mori 2001, modificato). Il bosco misto che si cercherà di ricreare avrà a
seconda della potenzialità effettiva del substrato un’evoluzione in senso rado o denso ma
l’elevata densità d’impianto di partenza pari a 277 alberi/ha e 1.100 arbusti/ha circa può
garantire una formazione potenzialmente densa.
L’associazione vegetale che vogliamo ottenere alla fine del ripristino è quella del bosco
alto misto di caducifoglie , in quanto tale formazione rappresenta la naturale evoluzione
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dei boschi della zona ed è presente nelle aree contermini non interessate da escavazioni.
Per quanto riguarda la composizione floristica, occorre incrociare i dati derivanti
dall’inquadramento climatico con le caratteristiche pedologiche. Intrecciando questi dati si
ottiene che la componente floristica può essere rappresentata da specie con esigenze
termofile. In ogni caso la vegetazione è quella tipica del bosco misto di caducifoglie con
dominanza di olmo campestre, in quanto presente nello stadio ante escavazione, e di
querce, in particolare di roverella (Quercus pubescens), con carpino nero
(Ostrya
carpinifolia), e orniello (Fraxinus ornus) quali specie principali e specie secondarie, acero
campestre (Acer campestre), ciliegio selvatico (Prunus avium), melo selvatico (Pirus minor),
pero selvatico (Pirus communis), corniolo (Cornus mas), sorbo domestico (Sorbus domestica),
biancospino (Crataegus monogyna), prugnolo (Prunus spinosa), Ginestra odorosa (Spartium
junceum), ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius), sanguinello (Cornus sanguinea) e ligustro
(Ligustrum vulgare).
Queste specie serviranno agli scopi ricordati in questo lavoro e cioè di :
1. protettivi del terreno passando da una copertura erbacea ad una arbustiva ed
arborea con presenza di essenze autoctone e pioniere che svolgeranno una duplice
funzione di consolidamento del terreno e di suo miglioramento;
2. prodromico per una ricolonizzazione naturale da parte delle specie spontanee
presenti nei margine dell'area di escavazione. Il vantaggio per quanto riguarda la
velocità dell'insediamento del bosco è proprio dato dal fatto che quest'area è
all'interno di una più vasta con diffusa copertura boschiva.
3. ricostituzione dell’effetto scenico con un ristabilimento della continuità visiva con il
contesto paesaggistico limitrofo ed ante escavazione;
4. ecologico in quanto il ripristino del soprassuolo forestale tornerà a funzionare da
area rifugio per varie specie animali di vari ordini (mammiferi, uccelli, insetti, ecc).
L’impianto di specie fruttifere favorirà la ricolonizzazione dell’area da parte
dell’avifauna.
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Il disegno della ricostituzione della zona boscata sarà ottenuto attraverso la realizzazione
di impianti misti ricorrendo alla consociazioni di specie diverse. In questo si terrà conto
dell’esposizione dei versanti modulando la scelta delle specie in relazione alle condizioni
microclimatiche. Le dimensioni dell'area permettono diversi schemi d’impianto (a gruppi,
a filari a singola pianta) che saranno adattati alle varie esigenze in fase operativa al fine di
garantire una distribuzione delle piante quanto più simile ad una situazione naturale.
Tutte le specie che verranno piantumate proverranno da vivai autorizzati alla riproduzioni
e dotati, dove richiesto, del certificato di provenienza.
D.
Cure colturali
Nell’effettuazione dell’impianto del soprassuolo arboreo e nelle opere che lo precedono
occorrerà mettere quanta più attenzione possibile per creare le migliori condizioni per il
rapido attecchimento delle piante. Se i lavori verranno effettuati a regola d’arte l’impiego
di tempo e di manodopera per le cure colturali sarà ridotto al massimo. Si prevede
comunque che, in caso di necessità, si ricorrerà ad effettuare il ripristino delle fallanze per
almeno i primi due anni dall’impianto per garantire la densità di partenza. Sempre per i
primi due anni dall’impianto delle specie arbustive ed arboree sarà necessario effettuare
almeno uno sfalcio delle erbe all’inizio dell’estate per impedire che entrino troppo in
competizione per l’acqua e che non finiscano per soffocarle. Si verrà a creare inoltre uno
strato di materiale organico pacciamante a protezione del terreno, diminuendo
l’evapotraspirazione potenziale.
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Cap. 6 Conclusioni
Il ripristino geomorfologico, idraulico e vegetazionale è volto a ricreare la situazione ante
escavazione con una zona boschiva , aumentata del 20% in superficie rispetto a quella
eliminata, nelle zone più declivi, ed una superficie che potrà essere restituita ai fini agricoli
nella restante parte. In entrambi i casi la sequenza delle varie fasi del ripristino sarà
finalizzato al miglioramento del substrato pedologico prima, con l’aumento della sostanza
organica e la catalizzazione di processi microbiologici, chimici e fisici atti a migliorare la
fertilità generale del suolo.
Successivamente, l’insediamento, lo sviluppo e l’evoluzione di un soprassuolo forestale
fungerà da sito importante per la sosta, nutrizione e riproduzione della fauna presente e
potenziale.
Il soprassuolo ricostituito sarà un bosco misto di latifoglie del tutto simile a quelli delle
aree limitrofe e che garantirà la conservazione e la protezione del suolo già dalle prime fasi
e che nel giro di 30-40 anni ricostituirà la continuità visiva ed ecologica con il contesto
paesaggistico- ambientale dell’area.
Montevarchi, 22 luglio 2011
Il progettista del ripristino vegetazionale e paesaggistico
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l'inserimento nel PAERP di un'area estrattiva in Località "Malafrasca" (Pergine
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INDICE
Cap.1
Analisi paesistica: aspetti paesaggistico-ambientali
Pag. 1
Cap. 2
Aspetti vegetazionali
Pag. 3
Cap. 3
Caratterizzazione dell’area di cava
Pag. 7
Cap. 4
Aspetti faunistici
Pag. 8
Cap.5
Risistemazione post escavazione
Pag. 11
Cap. 6
Conclusioni
Pag. 21
Bibliografia
Pag. 22
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