fuoco sacro e segni di fertilita¡ in sant`antonio abate a varese

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fuoco sacro e segni di fertilita¡ in sant`antonio abate a varese
cultura
e storia
E
FUOCO SACRO
Á
E SEGNI DI FERTILITA
IN SANT'ANTONIO ABATE
A VARESE
lemento simbolico per eccellenza, il fuoco conserva, fin dalle origini, una doppia valenza di significati: di volta in volta, esso puoÁ essere messo in rapporto con le
forze del bene o del male. Frutto proibito rubato agli deÁi e offerto agli uomini da Prometeo 1
che per questo viene dannato, il fuoco puoÁ essere portatore per l'uomo di grandi benefici
come di grandi sciagure. Naturale, quindi, che
fin dall'antichitaÁ l'uomo abbia sentito il bisogno
di avere qualcuno che presiedesse al corretto
uso del fuoco. Ancora presso gli antichi romani
il mantenimento del fuoco era affidato alle pure
mani delle vestali che ne assicuravano la conservazione, consacrando la propria esistenza
alla dea Vesta 2.
In epoca cristiana la simbologia relativa al
fuoco, presente nella liturgia del fuoco e nella
liturgia del cero della Settimana santa 3, viene
potenziata e rifunzionalizzata con l'introduzione di nuove figure che presiedono ad essa. Tra
queste spicca quella di sant'Antonio abate 4,
protettore del fuoco e al contempo santo terapeutico invocato per lenire le malattie della pelle, con particolare riguardo al fuoco sacro, giaÁ
noto agli egizi, ai greci e ai romani 5. Ma le
potenzialitaÁ terapeutiche di questo santo non
si fermano alla semplice cura del corpo: ad
esso infatti ancor oggi si rivolgono gli amanti
(quasi si trattasse di un santo sensale) per lenire
le piaghe provocate dal fuoco d'amore.
Il 16 gennaio, vigilia della festa di sant'Antonio abate, vede i giovani di Varese gettare nel
faloÁ piccoli biglietti sui quali eÁ scritto il nome
dell'amato o dell'amata; il gesto eÁ preceduto da
una curiosa ritualitaÁ che prevede, tra l'altro, la
sosta nella chiesa della Motta 6 per l'accensione
di una candela e la raccomandazione al santo.
Probabilmente, a questi gesti rituali in passato
se ne aggiungeva un altro: il grado di usura di
alcune parti lignee del coro potrebbe infatti
testimoniare l'usanza dei partecipanti al rito di
toccare in modo beneaugurale determinati elementi delle decorazioni.
Tra queste spiccano grappoli di frutta e verdura, composti da mele, melograni, mele cotoLOMBARDIA NORD-OVEST
Sant'Antonio abate, popolare figura
dalle proprietaÁ taumaturgiche,
eÁ anche considerato protettore del fuoco,
elemento purificatore e propiziatorio
della fertilitaÁ nelle ritualitaÁ piuÁ antiche.
A Varese, che ne celebra la festivitaÁ
con un grande faloÁ in piazza della Motta,
la chiesa di Sant'Antonio conserva
un bellissimo coro ligneo di inizio
Seicento nelle cui decorazioni fitomorfe
e antropomorfe coesistono simbologie
sacre e profane.
Battista Saiu
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In queste pagine e alle seguenti:
Particolari delle decorazioni del coro ligneo in Sant'Antonio
Abate a Varese: amorini, maschere grottesche e maschere
leonine (foto di Mario Falchi e Battista Saiu).
Prometeo figlio di Giapeto e Climene, fratello di Atlante,
di Menezio, di Epimeteo, uno dei Titani. Prometeo, secondo una tradizione, plasmoÁ il primo uomo con il fango,
animandolo con il fuoco che rapõÁ a Zeus. Anche per
questo venne condannato dal dio a essere incatenato a
una rupe sul Caucaso, dove un avvoltoio gli divorava il
fegato che rinasceva continuamente, cosõÁ che il supplizio
fosse eterno. Eschilo, Prometeo incatenato, traduzione
di E. Mandruzzato, in Essere o non essere: i piuÁ grandi
monologhi teatrali di tutti i tempi, a cura di L. Lunari,
Milano, 1998: ``E chi prima di me scoprõÁ i doni nascosti
della terra, il bronzo, il ferro, l'argento e l'oro? Nessuno,
lo so bene, a dire onesto. Sappilo in breve: tutto cioÁ che
gli uomini conoscono, proviene da Prometeo''.
2
I Parsi, mercanti indiani, residenti prevalentemente nella zona di Bombay, conservano accesa una fiamma primordiale, oggetto del loro culto. G. Widengren, Religione
dell'Iran Antico, in Le CiviltaÁ dell'Oriente, a cura di G.
Tucci, vol. III, Roma, 1958, pp. 548-562.
3
A partire dalla fine del Cinquecento, nella diocesi ambrosiana, viene sostituito l'ostensorio antico, costituito da
un calice con lunetta reggi-ostia, protetto da un cilindro di
vetro, con quello solare a raggiera attualmente in uso.
Viene percioÁ potenziata la simbologia del sole/divinitaÁ
per porre argine all'attacco della Riforma protestante,
affermando, anche nell'introduzione di segni mitici, il
dogma della transustanziazione. Nel Messale tridentino,
e cosõÁ nel Messale romano, sono presenti, nel preconio
della veglia pasquale, la liturgia del fuoco e la liturgia del
cero, con espliciti riferimenti al fuoco e al sole. La richiesta della luce viene fatta con la chiesa totalmente al buio
e avvolta in un silenzio carico di attesa. L'officiante eleva
con voce possente l'invocazione Lumen christi a cui segue un Amen liberatorio, mentre vengono accese le candele che i fedeli tengono in mano. Solo alla fine della
terza invocazione e con tutte le candele accese, anche
la chiesa s'illumina.
4
Antonio nacque a Coma, l'odierna Qemans, nel Medio
Egitto, nel 250 o nel 251 d.C., da una ricca famiglia
terriera. Alla morte dei genitori, vendette i suoi beni e
diede il ricavato ai poveri. Si ritiroÁ quindi nel deserto,
cibandosi solo di pane e acqua. Unico suo vestito il cili-
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cio, una stuoia per giaciglio e una pietra per cuscino.
Viene rappresentato con il maialino al fianco in memoria
delle numerose tentazioni cui il demonio lo sottopose.
5
Dizionario dei santi venerati in Sardegna, a cura di A.
Vargiu, Cagliari, 1993, p. 31: ``Il bastone a forma di T, tau
dei greci, il cosiddetto bastone di Sant'Antonio: era la
croce, il simbolo della croce. Per gli egiziani era un simbolo attribuito agli deÁi''.
6
N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Bologna
19527, p. 992: motta dal latino volgare movita, ``rupe staccata dal monte''; C. Ghiotti, Vocabolario scolastico italiano-francese, Torino, 1898, p. 1340: motte, ``monticello,
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altura, poggetto''; A.A. Settia, Castelli e villaggi dell'Italia
padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII
secolo, Napoli, 1984, pp. 256, 294. La `motta' eÁ una fortificazione medievale: ``casi simili [...] si riscontrano infatti
in Francia allorche si impone il castello a motta''. ``Allestimento di recinti attorno a corti di etaÁ carolingia, rafforzati
in seguito dall'erezione di una motta''; ``appare assai probabile che nell'Italia settentrionale una parte rilevante
delle fortezze sorgesse `accanto', piuttosto che `intorno'
ai centri di interesse economico ed abitativo che si volevano difendere come appunto eÁ stato piuÁ volte osservato
per l'area dell'attuale Lombardia''.
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gne, cipolle, cipollotti, fichi, limoni, pere, pigne, carciofi e uva che, nel loro sorprendente
alternarsi tra le pareti sacre, rinviano ad alcune
rappresentazioni pittoriche coeve di Giuseppe
Arcimboldo 7. Simbolo di prosperitaÁ, immortalitaÁ e sessualitaÁ, nel mondo classico, la frutta
eredita anche nel cristianesimo le valenze simboliche che ritroviamo pienamente espresse
nell'articolata cornice vegetale, che scandisce
gli scranni del coro di Sant'Antonio della Motta. La curiosa presenza di amorini, che mostrano il ventre nudo, simbolo degli appetiti carnali, eÁ controbilanciata dalle foglie di acanto che,
nella simbologia cristiana, secondo quanto sostiene Jean Chevalier 8, rappresentano il peccato
e la sua punizione.
Ricchissimo di significati eÁ il `giardino ligneo'
che costituisce la decorazione del coro: ogni
Giuseppe Arcimboldo (1527-1593), nato a Milano, attivo in Austria e anche in Boemia, proveniva da una distinta famiglia milanese nella cui tradizione spiccano
molti arcivescovi della cittaÁ ambrosiana. Giuseppe eÁ documentato per la prima volta nel 1549, quando lavorava
col padre per la cattedrale di Milano. Nel 1558 fu pagato
per disegnare le `tappezzerie' della cattedrale di Como.
Nel 1562 lavoroÁ a Vienna per rimpiazzare Seinsenegger
come ritrattista per la corte degli Asburgo. Raggiunse la
fama per i suoi ritratti compositi di teste fatte con varietaÁ
di oggetti naturali (frutta, fiori, animali), e artificiali (libri,
stoviglie, oggetti d'uso comune). Paralleli curiosi si pos-
sono cogliere tra le opere dell'Arcimboldo e le coeve
realizzazioni lignee in Sant'Antonio Abate di Varese:
identico uso di frutti ± anche esotici e di reperimento
difficile nel raffinato pittore di corte ±, piuÁ quotidiani quelli
realizzati dalle maestranze della scuola varesina. Limoni,
carciofi e melanzane compaiono nelle tele delle stagioni
di Arcimboldo come sugli scranni di Varese, riproducendo in forme nuove quello stesso tripudio della natura
riscontrabile in molte espressioni classiche, nonostante
i tentativi di contenimento attuati dalla Controriforma.
8
Si veda J. Chevalier, Dictionnaire des symboles, Paris,
1969.
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miccanti, colte nell'atto del leccare la punta del
naso, orecchie asinine e nasi schiacciati, adunchi o eccessivamente pronunciati, denti esageratamente sporgenti. Tutto l'impianto decorativo del coro pare essere percorso da un movimento, da un fremito istintuale, quasi che le
maschere che lo compongono fossero colte in
un momento di trasformazione: le orecchie cosõÁ
pronunciate richiamano l'immagine della Metamorfosi cui eÁ sottoposto il Lucio di Apuleio,
trasformato suo malgrado in asino 10. Natural-
frutto pare scelto con attenzione per racchiudere potenti simboli di fertilitaÁ: dalla mela cotogna, cibo delle spose e sacra a Venere, alla cipolla, potente contro le malefiche influenze lunari; dal fico, simbolo di fertilitaÁ, vita, prosperitaÁ e pace, al limone che, nel cristianesimo,
rappresenta fedeltaÁ in amore. La pera indica
buona salute e speranza e il melograno eterna
feconditaÁ, fertilitaÁ, abbondanza. Alla pigna eÁ attribuito il segno della fertilitaÁ e indica la forza
creativa maschile, la feconditaÁ e la buona fortuna. L'uva rimanda ancora alla fertilitaÁ e, in quanto vino, simboleggia orgia e vigore giovanile. La
mela, frutto della tentazione, viene a indicare la
fertilitaÁ, l'amore e la gioia, in antitesi alla molteplicitaÁ del melograno che pur mantiene i segni
dell'eterna fedeltaÁ e feconditaÁ 9.
Spettacolare eÁ la teoria di maschere che fanno da reggipiede agli amorini che si disvelano:
visi con le lingue oscenamente ostentate e amLOMBARDIA NORD-OVEST
9
J.C. Cooper, Dizionario dei simboli, Padova, 1987, pp.
13, 41, 78, 95, 103, 116, 119, 125, 155, 160, 162, 180,
181, 222, 233, 312, 319.
10
Lucio Apuleio, Metamorfosi (Metamorphoseon XI), denominato a volte l'Asino d'oro (Asinus aureus), certamente il capolavoro di Apuleio. Asino d'oro eÁ il titolo
con cui per la prima volta lo indicoÁ sant'Agostino nel
De Civitate Dei; ma non si eÁ certi se l'aggettivo aureus
sia stato coniato in riferimento alle doti eccezionali del-
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mente il riferimento all'asino non pare casuale:
l'animale, sacro a Priapo 11, eÁ portatore di un
forte messaggio di feconditaÁ. Le maschere di
Sant'Antonio della Motta su cui si innestano
le orecchie asinine rinviano a un mondo carnevalesco, che scaturisce con i fuochi di fine anno,
coincidenti proprio con la festivitaÁ di sant'Antonio abate 12.
Questa una delle letture possibili della presenza di una cosõÁ peculiare commistione tra sa-
cro e profano, commistione nella quale elementi precristiani trovano spazio e legittimazione
all'interno di una sorta di `sacra rappresentazione' che rimanda ad antichi riti di propiziazione.
Infine, le numerose e fra loro molto simili
maschere leonine che fanno da capitello alle
colonne e scandiscono l'ordine degli scranni
sembrano rimandare ancora al sole evocato
dal faloÁ acceso nella piazza del sagrato il 16
gennaio, la vigilia della festa.
l'asino oppure alla qualitaÁ artistica del romanzo, oppure
ancora al valore di edificazione morale insito nella storia
del protagonista. ApuleÂe, Les MeÂtamorphoses (texte eÂtabli par D.S. Robertson et traduit par P. Vallette), Paris,
1972, tome I, livre III, p. 24: ``Iam facies enormis et os
prolixum et nares hiantes et labiae pendulae; sic et aures
inmodicis horripilant auctibus. Nec ullum miserae reformationis uideo solacium, nisi quod mihi iam nequeunti
tenere Photidem natura crescebat''. ``Poi eccomi con una
faccia enorme, una bocca allungata, le narici spalancate,
le labbra penzoloni, mentre smisuratamente pelose mi
erano cresciute le orecchie. Nulla in quell'orribile metamorfosi di cui potessi per qualche verso compiacermi, se
non per il mio arnese diventato grossissimo, ma proprio
quando, ormai, non potevo piuÁ tener Fotide tra le mie
braccia''.
11
Priapo, figlio di Dioniso e Afrodite e fratello di Cupido.
Secondo altre fonti il padre era Ermes e sua madre una
Naiade. I romani lo identificarono con l'antico dio latino
Mutino che presiedeva alla fertilitaÁ.
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Si veda C. Gaignebet - J.D. Lajoux, Art profane et religion populaire au moyen aÃge, Paris, 1985.
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