Il percorso dell`attesa nella famiglia allargata
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Il percorso dell`attesa nella famiglia allargata
Il percorso dell’attesa nella famiglia allargata Laura Ebranati Ente autorizzato Associazione Amici Trentini 1. Premessa Prima di affrontare il tema specifico delle proposte dell’ente autorizzato Associazione Amici Trentini durante l’attesa, rivolte alle famiglie di origine delle coppie (nonni e zii), verrà descritto brevemente il più ampio contesto di accompagnamento e sostegno in cui esse sono inserite. L’ente offre infatti ai coniugi in attesa di adozione la possibilità di partecipare a un ciclo di incontri di attesa suddivisi in un arco temporale di circa 2 anni: • attesa 1: conoscere il Paese; • attesa 2: il vissuto dell’attesa; • attesa 3: l’abbinamento; • attesa 4: riflessioni e pensieri a partire dall’ascolto di un’esperienza adottiva. Quella che si andrà ad approfondire in questa sede è una riflessione su quanto sia importante accompagnare, sostenere e preparare nel corso dell’attesa non solo le coppie, ma anche tutte le persone più significative che fanno parte dell’ambito familiare esteso in cui verrà accolto il bambino. Mentre i futuri genitori partecipano a numerosi corsi e colloqui, addentrandosi sempre di più nel fenomeno dell’adozione e mettendosi in gioco in prima persona, ciò che arriva ai familiari spesso si limita alle informazioni e alle conoscenze riportate dalle coppie. L’associazione, nell’interrogarsi sul possibile ampliamento delle iniziative nel periodo dell’attesa, ha reputato che fosse importante offrire ai membri della famiglia allargata un momento e uno spazio tutto loro, in cui sentirsi i protagonisti, pienamente partecipi e coinvolti rispetto alla futura accoglienza del nipote adottivo. Uno spazio di confronto, supporto e riflessione in cui, in presenza di operatori psicologi qualificati, nonni e zii potessero portare domande, inquietudini, dubbi, eventuali stereotipi sull’adozione e tutto ciò che, nel rapporto diretto con la coppia, fino a quel momento, poteva essere rimasto inespresso o, a volte, addirittura inconfessato per timore di turbarne la sensibilità o di essere fraintesi, rischiando di apparire non pienamente convinti della scelta di diventare nonni/zii adottivi. A volte, inoltre, sono le coppie stesse a nutrire l’aspettativa che i propri genitori, fratelli o sorelle diventino più attivi rispetto alla futura adozione. Una nonna, ad esempio, durante un incontro, ha riportato la frase della figlia che 307 PARTE QUARTA. UNA COMUNITÀ DI PRATICHE E DI PENSIERO NEI TEMPI DELL’ATTESA CONTRIBUTI DEGLI ENTI AUTORIZZATI NEI SEMINARI DI APPROFONDIMENTO ai suoi genitori avrebbe detto: «Come coppia abbiamo fatto tanto (corsi, colloqui, ecc.), ora fate qualcosa anche voi!». L’incontro rivolto ai futuri nonni e/o familiari più prossimi è condotto da due psicologhe dell’ente e, attraverso una metodologia basata su esercitazioni individuali/di coppia e la discussione in gruppo, propone i seguenti temi: • le prime reazioni; • l’immaginario sul bambino; • le paure e gli interrogativi; • come i familiari possono sostenere e accompagnare i genitori nella fase dell’attesa; • il coinvolgimento di nonni e zii nell’accoglienza del bambino e nelle prime fasi della costruzione della nuova famiglia. 2. Le prime reazioni Analizzando l’andamento degli incontri finora realizzati, si sono identificate alcune “categorie” legate alle prime reazioni che nonni e zii raccontano di avere provato di fronte alla notizia del progetto adottivo. Sorpresa/curiosità/desiderio di saperne di più Una reazione simile a quella che si avverte di fronte a un evento inaspettato, ma riscoprendosi aperti all’approfondimento e alla conoscenza che permettono di passare da una dimensione di estraneità a una crescente familiarizzazione con la novità. L’adozione, quindi, può essere inizialmente percepita come qualcosa di molto lontano, spesso un argomento di cui si è sentito parlare ma in cui non si è mai entrati, che però si sente di voler avvicinare e fare proprio. Gioia/sollievo Una reazione tipica soprattutto nei familiari che hanno vissuto da vicino e con forte empatia le difficoltà procreative della coppia e che sentono l’adozione una scelta naturale, considerandola l’opportunità di realizzare una genitorialità piena, appagante e autentica. «Finalmente!» è la parola che questi nonni e zii spesso affermano di avere pensato o pronunciato di fronte alla notizia del progetto adottivo, dando l’idea di avere provato un senso di liberazione e la percezione di un nuovo inizio, oltre alla speranza che, dopo tanta sofferenza, la coppia possa finalmente coronare il proprio progetto familiare attraverso l’adozione. In tal senso appare significativa la testimonianza di una futura nonna che, riferendosi non solo alla condizione di infertilità della figlia ma anche alla grave malattia che l’aveva colpita in passato, riuscendo fortu308 IL PERCORSO DELL’ATTESA NELLA FAMIGLIA ALLARGATA natamente a guarire, sulla futura adozione ha detto: «Mia figlia e mio genero, dopo tutto quello che hanno passato, hanno diritto ad avere un po’ di felicità!». In questo caso, quindi, l’arrivo di un bambino adottato non solo è vissuto con gioia ed entusiasmo, ma come un vero e proprio ritorno alla vita. Preoccupazione/perplessità Una reazione umana e comprensibile, ma soprattutto molto comune in chi non conosce affatto o conosce solo marginalmente il fenomeno dell’adozione (magari attraverso il sentito dire o i mezzi di comunicazione che tendono a enfatizzarne le problematicità, portando spesso alla luce casi eccezionali). A volte si tratta anche di un vissuto frequente in nonni/zii quando la coppia ha già un figlio, soprattutto se è stato concepito naturalmente. L’arrivo di un fratello/sorella adottivo/a viene quindi immaginato con un po’ di timore, poiché si focalizza l’attenzione su chi c’è già e sulle sue possibili reazioni di fronte alla necessità di fare spazio a un altro bambino; si fantastica quindi sul rapporto che si creerà tra fratelli e la preoccupazione più comune pare essere la possibile gelosia del primogenito nei confronti del nuovo arrivato. Quando ad accogliere un figlio in adozione non è solo una coppia ma bensì una famiglia che ha già dei figli, il pensiero più frequente nei familiari sembra infatti quello di riuscire a salvaguardare l’equilibrio e l’assetto già esistente, percependo l’adozione come un evento potenzialmente critico e destabilizzante. Senso di responsabilità Alcuni nonni, in particolare, hanno riportato di essersi sentiti assaliti da questa sensazione nel momento in cui proprio/a figlio/a ha posto loro la domanda: «Accoglierai e amerai il bambino che arriverà allo stesso modo in cui ameresti un nipote biologico (o, nel caso in cui ci siano, ami gli altri tuoi i nipoti )?». Un quesito diretto e a volte spiazzante, rispetto al quale i genitori dei futuri adottandi raccontano di avere avvertito uno stato d’animo ambivalente: da una parte, il desiderio di rispondere in modo positivo, deciso e rassicurante, ma dall’altra, anche con la consapevolezza di non poter garantire su un sentimento che si conoscerà solo nella misura in cui lo si vivrà. Sono significative le parole di un futuro nonno adottivo che si è incontrato in un’occasione: «Ai miei nipoti (naturali) voglio quasi più bene che ai miei figli! E magari al bambino che arriverà in adozione vorrò ancora più bene… quello che già so è che ce la metterò tutta… ma come mi sentirò non lo posso sapere con certezza già oggi…». Un’altra futura nonna adottiva, già nonna naturale, ha invece affermato: «Diventare nonni è quasi una responsabilità più grande che non come genitori, perché non sono i tuoi figli… e hai paura di sbagliare». 309 PARTE QUARTA. UNA COMUNITÀ DI PRATICHE E DI PENSIERO NEI TEMPI DELL’ATTESA CONTRIBUTI DEGLI ENTI AUTORIZZATI NEI SEMINARI DI APPROFONDIMENTO Domande sulla propria adeguatezza Proprio come avviene nei futuri genitori adottivi, che si chiedono più e più volte se saranno in grado di seguire al meglio il proprio figlio, lo stesso avviene anche nei familiari più stretti, che si domandano: «Saremo all’altezza?». Si tratta, infatti, di un’esperienza in cui le risorse e le capacità, nonché gli eventuali limiti, si scopriranno nel qui e ora e in itinere, come ha esplicitato bene una nonna dicendo: «Nonni bisogna diventare per capire…». 3. L’immaginario sul bambino A partire dalle esperienza realizzate si possono sintetizzare alcuni comuni scenari immaginari di nonni e zii nel prefigurarsi il bambino che arriverà in famiglia. Il bambino “poverino”, portatore di sofferenza A volte c’è la tendenza, nei familiari delle future coppie adottive, a pensare che un minore adottato sia portatore solo di ferite, carenze e deprivazioni che andranno curate, correndo il rischio di assumere verso di lui un atteggiamento di compatimento e soprattutto differenziato rispetto a quello riservato agli altri bambini, sia in generale che a quelli già presenti in famiglia. L’idea di fondo è che «il bambino ha già sofferto tanto… quindi, con la sua adozione, gli si dovrà risparmiare qualsiasi pena». Un punto di vista che, seppur comprensibile (non è altro che il frutto di come spesso i bambini adottati vengono presentati dai mezzi di comunicazione o immaginati nel pensiero comune) si ritiene fuorviante e pericoloso. Il bambino “estraneo”, portatore di diversità La frase pronunciata da un futuro nonno: «in fondo non sai mai che bambino ti arriverà in casa…» dà un’idea di questo vissuto, in cui il bimbo è immaginato come qualcuno che arriva da fuori ed entra in qualità di sconosciuto nella realtà familiare, con le sue caratteristiche e la sua cultura, che a volte vengono anche fantasticate come qualcosa di temibile che potrebbe mettere a repentaglio l’equilibrio familiare. In altri casi, invece, si riconosce, a priori, che il bambino, in quanto estraneo – nel senso di non conosciuto – e straniero – nel senso di appartenere a un’altra cultura – è una consapevolezza importante su cui basarsi per essere coscienti, fin dall’attesa, che ci sarà bisogno di tempo e gradualità per superare un impatto iniziale; impatto che potrà essere anche molto forte, e occorrerà quindi coltivare la reciproca conoscenza. Partire proprio dai concetti di diversità e di estraneità è infatti l’elemento che richiama la necessità di creare uno spazio di accoglienza i cui confini e le cui caratteristiche si definiranno solo 310 IL PERCORSO DELL’ATTESA NELLA FAMIGLIA ALLARGATA nel momento in cui al bambino verrà data l’occasione di mostrarsi e affermarsi per come realmente è, trovando la giusta collocazione nella sua nuova famiglia. Il bambino “uguale” agli altri Con questo concetto ci si riferisce ai membri della famiglia estesa che hanno difficoltà a differenziare i bambini adottati dagli altri. Si pensi ad esempio a frasi comuni come: «In fondo tutti i bambini sono uguali…» oppure «Un bambino è pur sempre un bambino…». Il pericolo sottostante, in questo caso, è quello di banalizzare, semplificare e generalizzare in maniera eccessiva, assumendo un atteggiamento che non riconosce le peculiarità e le attenzioni specifiche di cui i bambini adottati possono avere bisogno. Il bambino che “ti accetta”/ “ti rifiuta” Alcuni nonni e zii, durante l’attesa, avvertono una preoccupazione rispetto a quello che sarà il vissuto del bambino nel momento in cui entrerà a far parte della famiglia. Le domande più comuni sono: «Gli piaceremo?», «Sarà contento di stare con noi?», «E se non vorrà stare qui con noi, cosa faremo?». Il tentativo, in questi casi, è quello di mettersi empaticamente nei panni del bambino, riconoscendogli anche la fatica che potrà provare nel confrontarsi con i suoi nuovi riferimenti, inizialmente del tutto sconosciuti, dopo essersi dovuto lasciare radicalmente alle spalle il suo mondo precedente. «All’inizio il bambino potrà avere anche delle difficoltà. Potrà pensare di noi: – Chissà che non mi freghino anche questi! –. E se si mostrerà arrabbiato… gli diremo: – Questa è casa tua. Noi ti teniamo anche se sei arrabbiato!», ha affermato in una occasione un futuro nonno adottivo. Il bimbo viene quindi immaginato come un soggetto animato da vissuti e stati d’animo da rispettare e che può operare attivamente una prima scelta di accettazione o di rifiuto nei confronti della famiglia adottiva, con tutte le sue buone ragioni… 4. Le paure e gli interrogativi Tra le inquietudini e le domande più comuni che si rilevano durante gli incontri con nonni e zii, le seguenti appaiono le più significative. E se il bambino arriva troppo tardi? Si tratta di una preoccupazione presente soprattutto nei nonni che, di fronte alla prospettiva di una lunga attesa e all’avanzamento progressivo della propria età, temono che, quando arriverà il nipote, non avranno più le risorse per occuparsene come vorrebbero, oppure, se sono già molto anziani e non del tutto in salute, addirittura di non fare in tempo a conoscerlo. 311 PARTE QUARTA. UNA COMUNITÀ DI PRATICHE E DI PENSIERO NEI TEMPI DELL’ATTESA CONTRIBUTI DEGLI ENTI AUTORIZZATI NEI SEMINARI DI APPROFONDIMENTO E se avrà avuto una storia troppo dolorosa/ “incancellabile”? La paura di fondo è che il bagaglio di sofferenza che si porterà dietro il bambino sia talmente traumatico e pesante da avere lasciato un’impronta indelebile, che lo marchierà per sempre e potrà rendere difficile l’instaurarsi di una relazione distesa e gratificante con i familiari. Gli adulti, infatti, spesso hanno molta paura di entrare in contatto con il dolore dei bambini. Come rapportarsi con questa storia? Una domanda che spesso è comune anche negli aspiranti genitori adottivi che, insieme a nonni e zii, si chiedono: «Come aiuteremo il bambino a portare il proprio bagaglio esperienziale e a conviverci? Cosa fare? Ma soprattutto, cosa dire?». Alla base si possono rilevare varie forme di insicurezza, timore e imbarazzo, quando l’immaginario degli adulti si apre su situazioni in cui si dovrà fare i conti con il passato del bambino, quale elemento estraneo, imprevedibile e spesso fantasticato negativamente. Non è infrequente, infatti, la tendenza a pensare che tutto ciò che ha preceduto l’adozione abbia una connotazione di deprivazione e carenza, faticando invece a ipotizzare scenari in cui il bambino possa avere anche avuto, nonostante l’abbandono, esperienze gratificanti sotto il profilo della cura e delle relazioni affettive. E come rapportarsi con la famiglia di origine? Non solo rispetto alle figure dei genitori naturali, ma anche all’eventuale presenza di zii/nonni che abbiano fatto parte, magari in misura affettivamente significativa, della vita del bambino prima della sua adozione. Il bambino subirà delle discriminazioni nella nostra società? Si tratta di una preoccupazione forte e molto comune, spesso basata sulla consapevolezza di vivere in realtà che, piccole o grandi, possono essere ancora molto impreparate per accogliere le diverse forme di diversità e riconoscerle come una ricchezza. Questa inquietudine, in nonni e zii, sembra riferirsi più all’aspetto culturale/somatico (con particolare riferimento alla visibilità della differenza attraverso il colore della pelle) che non al fatto che il bambino sarà differente per la sua condizione di figlio adottivo. Occorre peraltro osservare che in questo scenario fatto di domande e inquietudini, i nonni, in particolare, nelle occasioni in cui si sono incontrati, hanno dimostrato di avere già in mente delle modalità di aggancio nella futura relazione con i nipoti. Alcuni di loro hanno infatti a disposizione quelle che sono state definite alcune carte da giocarsi. 312 IL PERCORSO DELL’ATTESA NELLA FAMIGLIA ALLARGATA Ci si riferisce, ad esempio, da un lato all’esperienza di quei nonni che hanno vissuto, direttamente o indirettamente, il fenomeno dell’emigrazione in altri Paesi, un elemento che può sicuramente favorire l’instaurarsi di un’empatia e una vicinanza emotiva al vissuto del bambino adottato; d’altra parte al forte desiderio, manifestato da alcuni nonni durante gli incontri, di raccontare e condividere la propria storia personale e familiare con il futuro nipote, trasmettendogli un’eredità umana ed esperienziale, che potrà anche stimolare e favorire la narrazione del bambino sul proprio passato (partendo quindi, in un certo senso, dalla storia dei nonni per farla incontrare con quella del nipote). 5. Come i familiari possono sostenere e accompagnare i genitori nella fase dell’attesa Come può la famiglia allargata aiutare la coppia durante l’attesa? Ecco alcune possibili risposte. Dare l’idea e la dimostrazione che ci si sta preparando Aderire alle iniziative promosse dall’associazione per la famiglia allargata e la coppia in attesa, partecipare alle feste delle famiglie dove si possono incontrare genitori e figli, mettere da parte degli oggetti per quando arriverà il bambino, approfondire letture, visionare film... Queste sono solo alcune delle possibilità. Cercare di non essere “pressanti”, rispettando le disponibilità e gli stati d’animo della coppia nei vari momenti Continuare a chiedere dell’adozione durante l’attesa, se da una parte è certamente segno di interesse, dall’altra a volte può essere più controproducente che utile. Il consiglio che viene dato a nonni e zii è quello di sfruttare in modo sensibile la conoscenza che hanno dei propri figli/fratelli o sorelle, cercando di captare nelle diverse situazioni se è il caso o meno di affrontare l’argomento. Spesso, infatti, le coppie riferiscono di sentirsi molto pressate dalle continue domande che ricevono all’esterno da parte di colleghi, conoscenti e amici (che, con grande frequenza, chiedono: «Allora, ci sono novità?») generando, nei coniugi che devono far fronte a una lunga attesa, possibili vissuti di impotenza, fastidio e frustrazione o la sensazione di essere “invasi” (quando ad esempio la sollecitazione arriva in un momento in cui si ha tutt’altro che voglia di parlarne…). Risulta significativa, a questo proposito, l’esperienza di un futuro genitore adottivo che, non riuscendo più a sopportare l’interessamento quotidiano dei colleghi sull’andamento della sua pratica di adozione (che, in quel periodo, sembrava essersi letteralmente paralizzata…) un bel giorno ha comunicato a tutti che si sarebbe fatto crescere la barba finché non 313 PARTE QUARTA. UNA COMUNITÀ DI PRATICHE E DI PENSIERO NEI TEMPI DELL’ATTESA CONTRIBUTI DEGLI ENTI AUTORIZZATI NEI SEMINARI DI APPROFONDIMENTO ci sarebbero state le tanto agognate novità, un’ottima strategia per mettere tutti a tacere! Proprio alla luce di questi aspetti, è davvero importante che la coppia in attesa possa percepire la propria famiglia di origine come uno spazio rispettoso, discreto e protetto, da cui farsi accompagnare e sostenere anche in silenzio. Nella nostra esperienza, purtroppo, non sempre questo avviene e a volte le coppie, di fronte alle continue richieste da parte dei familiari di aggiornamento sulla durata dell’attesa, rischiano di doversi far carico dell’agitazione di genitori, fratelli/sorelle o parenti, in una situazione in cui già è molto doversi occupare della propria ansia. Sostenere la fiducia e le speranze dei futuri genitori e aiutarli a occuparsi di se stessi, a non perdere di vista il loro benessere A titolo di esempio, si cita il caso di una futura mamma adottiva che, in attesa di poter andare a prendere la sua bimba in India, a un certo punto, non ne poteva talmente più, di dover attendere, che non aveva più voglia di fare nulla… tutto le risultava faticoso… non aveva neanche più voglia di vedere gli amici… e quando usciva di casa era solo e unicamente per acquistare qualcosa per la figlia. È stata proprio sua madre, la futura nonna, che, un giorno, prendendola da parte e parlandole con delicatezza, le ha fatto capire che non poteva andare avanti così, perché stava perdendo di vista se stessa, lasciandosi logorare dall’attesa. Il suggerimento pratico, ma molto significativo, che questa mamma ha quindi dato alla figlia è stato: «Sarebbe proprio il caso che ogni tanto uscissi di casa per comprare qualcosa anche per te!». Vivere ogni giorno in funzione dell’attesa stava infatti privando questa futura mamma delle energie di cui avrebbe avuto molto bisogno nel momento in cui sarebbe finalmente andata a prendere la sua bambina. 6. Il coinvolgimento di nonni e zii nell’accoglienza del bambino e nelle prime fasi della costruzione della nuova famiglia Su questo tema si è soliti lanciare a nonni e zii le seguenti sollecitazioni. • Aiutare i familiari a esplorare le differenze tra l’essere nonni/zii biologici e adottivi, focalizzando l’attenzione sulla necessità di rispettare il bambino e ponendosi verso di lui con sensibilità, delicatezza e gradualità, nonché secondo i tempi e le modalità non prevedibili nello sviluppo della relazione affettiva. • Fare riflettere sulle modalità di relazione dei bambini che sono passati da “tante mani diverse” e che perciò possono essere disponibili ad andare con tutti, ma senza riconoscere ruoli o affetti speciali. • Valorizzare i familiari come prezioso e determinante sostegno al nuovo nucleo genitori-bambino, nel favorire, rispettare e proteggere la costru314 IL PERCORSO DELL’ATTESA NELLA FAMIGLIA ALLARGATA zione del legame di attaccamento. Questo implica, per nonni/zii, il sapersi mettere da parte, sacrificando magari inizialmente il contatto diretto con il bambino ma fornendo un aiuto, pratico o a livello di suggerimenti/consigli, che metta i genitori nella condizione di potersi focalizzare principalmente sulla relazione con il proprio figlio sentendosi supportati. • Aiutare nonni/zii a familiarizzare con l’idea che il bambino arriva da un altro mondo e che in principio potrà anche suscitare sentimenti di estraneità e il bisogno di capire/conoscere. • Aiutare nonni/zii a rivedere lo schema del bimbo poverino che porta a immaginarlo solo in termini di carenze e mancanze da colmare. Aiutarli a vedere e a ricercare le risorse di questi bambini. • Aiutare nonni/zii a immaginare come la storia, il passato e i ricordi che il bambino conserva possano influire sulla costruzione dei legami o sulle sue reazioni/richieste nei confronti dei diversi membri della famiglia. In riferimento a quest’ultimo punto, che sembra particolarmente importante, si fa riferimento a varie esperienze di bambini che, nella misura in cui hanno trovato in famiglia adottiva uno spazio di accoglienza e un riconoscimento anche degli affetti, ormai persi, del loro passato, hanno vissuto il nuovo contesto di vita come un luogo in cui inserire simbolicamente, attraverso il ricordo e il racconto, anche le persone più significative della famiglia di origine. Ad esempio c’è stato un bambino che ha sempre raccontato ai suoi genitori adottivi di essere stato legatissimo ai nonni nepalesi prima del suo allontanamento dalla famiglia di origine e, a oggi, pur essendo molto affezionato anche a quelli italiani, continua a narrare gli aneddoti della quotidianità connessi a queste figure del Nepal, che lo hanno amorevolmente seguito e accompagnato nel periodo della sua vita precedente all’inserimento in istituto. È con estremo orgoglio, infatti, che egli afferma di avere ben otto nonni! Altrettanto significativa appare la testimonianza di un bimbo adottato il quale racconta che, il giorno in cui è stato portato in istituto, è stato il nonno ad accompagnarlo e, prima di salutarlo, gli ha detto: «Tu sei un bambino speciale e molto intelligente e proprio per questo ti devo portare in questo luogo dove avrai la possibilità di studiare e forse, un giorno, incontrerai anche una nuova famiglia che ti verrà a prendere…». Penso che questo bimbo sia estremamente fortunato, poiché, nel momento in cui è stato lasciato, il distacco è stato accompagnato da una spiegazione e da un significato che hanno conferito specialità alla sua persona, esplicitandogli la volontà di dargli un’occasione. Si tratta di un dono che egli si porterà dietro per sempre, l’eredità che un nonno ha voluto lasciare al nipote da cui si è dovuto, senza dubbio dolorosamente, separare. 315 PARTE QUARTA. UNA COMUNITÀ DI PRATICHE E DI PENSIERO NEI TEMPI DELL’ATTESA CONTRIBUTI DEGLI ENTI AUTORIZZATI NEI SEMINARI DI APPROFONDIMENTO Questo dovrebbe far riflettere su quei bambini che, invece, si ritrovano abbandonati su una strada o in istituto senza preavviso né spiegazioni e che forse, solo nel momento in cui vedono arrivare una mamma e un papà adottivi, realizzano per la prima volta che mai più nessuno della loro famiglia di origine li verrà a prendere. È significativa, a questo proposito, l’esperienza di una bimba che era convinta di essere in istituto solo per un periodo con lo scopo di studiare e che, quando le sono stati presentati i suoi nuovi genitori adottivi, ha capito come realmente stavano le cose, vivendo, dentro di sé, da una parte l’improvviso lutto dell’abbandono e, dall’altra, la fatica di doversi aprire a una nuova relazione che non era stata minimamente preannunciata né mentalizzata. 316