Il percorso dell`attesa nella famiglia allargata

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Il percorso dell`attesa nella famiglia allargata
Il percorso dell’attesa nella famiglia allargata
Laura Ebranati
Ente autorizzato Associazione Amici Trentini
1. Premessa
Prima di affrontare il tema specifico delle proposte dell’ente autorizzato
Associazione Amici Trentini durante l’attesa, rivolte alle famiglie di origine
delle coppie (nonni e zii), verrà descritto brevemente il più ampio contesto di
accompagnamento e sostegno in cui esse sono inserite.
L’ente offre infatti ai coniugi in attesa di adozione la possibilità di partecipare a un ciclo di incontri di attesa suddivisi in un arco temporale di circa 2
anni:
• attesa 1: conoscere il Paese;
• attesa 2: il vissuto dell’attesa;
• attesa 3: l’abbinamento;
• attesa 4: riflessioni e pensieri a partire dall’ascolto di un’esperienza
adottiva.
Quella che si andrà ad approfondire in questa sede è una riflessione su
quanto sia importante accompagnare, sostenere e preparare nel corso dell’attesa non solo le coppie, ma anche tutte le persone più significative che
fanno parte dell’ambito familiare esteso in cui verrà accolto il bambino.
Mentre i futuri genitori partecipano a numerosi corsi e colloqui, addentrandosi sempre di più nel fenomeno dell’adozione e mettendosi in gioco in prima
persona, ciò che arriva ai familiari spesso si limita alle informazioni e alle
conoscenze riportate dalle coppie.
L’associazione, nell’interrogarsi sul possibile ampliamento delle iniziative
nel periodo dell’attesa, ha reputato che fosse importante offrire ai membri
della famiglia allargata un momento e uno spazio tutto loro, in cui sentirsi i
protagonisti, pienamente partecipi e coinvolti rispetto alla futura accoglienza
del nipote adottivo. Uno spazio di confronto, supporto e riflessione in cui, in
presenza di operatori psicologi qualificati, nonni e zii potessero portare
domande, inquietudini, dubbi, eventuali stereotipi sull’adozione e tutto ciò
che, nel rapporto diretto con la coppia, fino a quel momento, poteva essere
rimasto inespresso o, a volte, addirittura inconfessato per timore di turbarne
la sensibilità o di essere fraintesi, rischiando di apparire non pienamente convinti della scelta di diventare nonni/zii adottivi.
A volte, inoltre, sono le coppie stesse a nutrire l’aspettativa che i propri
genitori, fratelli o sorelle diventino più attivi rispetto alla futura adozione. Una
nonna, ad esempio, durante un incontro, ha riportato la frase della figlia che
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ai suoi genitori avrebbe detto: «Come coppia abbiamo fatto tanto (corsi, colloqui, ecc.), ora fate qualcosa anche voi!».
L’incontro rivolto ai futuri nonni e/o familiari più prossimi è condotto da
due psicologhe dell’ente e, attraverso una metodologia basata su esercitazioni individuali/di coppia e la discussione in gruppo, propone i seguenti temi:
• le prime reazioni;
• l’immaginario sul bambino;
• le paure e gli interrogativi;
• come i familiari possono sostenere e accompagnare i genitori nella fase
dell’attesa;
• il coinvolgimento di nonni e zii nell’accoglienza del bambino e nelle
prime fasi della costruzione della nuova famiglia.
2. Le prime reazioni
Analizzando l’andamento degli incontri finora realizzati, si sono identificate alcune “categorie” legate alle prime reazioni che nonni e zii raccontano di
avere provato di fronte alla notizia del progetto adottivo.
Sorpresa/curiosità/desiderio di saperne di più
Una reazione simile a quella che si avverte di fronte a un evento inaspettato, ma riscoprendosi aperti all’approfondimento e alla conoscenza che permettono di passare da una dimensione di estraneità a una crescente familiarizzazione con la novità. L’adozione, quindi, può essere inizialmente percepita come qualcosa di molto lontano, spesso un argomento di cui si è sentito
parlare ma in cui non si è mai entrati, che però si sente di voler avvicinare e
fare proprio.
Gioia/sollievo
Una reazione tipica soprattutto nei familiari che hanno vissuto da vicino e
con forte empatia le difficoltà procreative della coppia e che sentono l’adozione una scelta naturale, considerandola l’opportunità di realizzare una genitorialità piena, appagante e autentica. «Finalmente!» è la parola che questi
nonni e zii spesso affermano di avere pensato o pronunciato di fronte alla notizia del progetto adottivo, dando l’idea di avere provato un senso di liberazione e la percezione di un nuovo inizio, oltre alla speranza che, dopo tanta sofferenza, la coppia possa finalmente coronare il proprio progetto familiare
attraverso l’adozione. In tal senso appare significativa la testimonianza di una
futura nonna che, riferendosi non solo alla condizione di infertilità della figlia
ma anche alla grave malattia che l’aveva colpita in passato, riuscendo fortu308
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natamente a guarire, sulla futura adozione ha detto: «Mia figlia e mio genero,
dopo tutto quello che hanno passato, hanno diritto ad avere un po’ di felicità!». In questo caso, quindi, l’arrivo di un bambino adottato non solo è vissuto con gioia ed entusiasmo, ma come un vero e proprio ritorno alla vita.
Preoccupazione/perplessità
Una reazione umana e comprensibile, ma soprattutto molto comune in chi
non conosce affatto o conosce solo marginalmente il fenomeno dell’adozione
(magari attraverso il sentito dire o i mezzi di comunicazione che tendono a
enfatizzarne le problematicità, portando spesso alla luce casi eccezionali). A
volte si tratta anche di un vissuto frequente in nonni/zii quando la coppia ha
già un figlio, soprattutto se è stato concepito naturalmente. L’arrivo di un fratello/sorella adottivo/a viene quindi immaginato con un po’ di timore, poiché
si focalizza l’attenzione su chi c’è già e sulle sue possibili reazioni di fronte alla
necessità di fare spazio a un altro bambino; si fantastica quindi sul rapporto
che si creerà tra fratelli e la preoccupazione più comune pare essere la possibile gelosia del primogenito nei confronti del nuovo arrivato. Quando ad accogliere un figlio in adozione non è solo una coppia ma bensì una famiglia che
ha già dei figli, il pensiero più frequente nei familiari sembra infatti quello di
riuscire a salvaguardare l’equilibrio e l’assetto già esistente, percependo l’adozione come un evento potenzialmente critico e destabilizzante.
Senso di responsabilità
Alcuni nonni, in particolare, hanno riportato di essersi sentiti assaliti da
questa sensazione nel momento in cui proprio/a figlio/a ha posto loro la
domanda: «Accoglierai e amerai il bambino che arriverà allo stesso modo in
cui ameresti un nipote biologico (o, nel caso in cui ci siano, ami gli altri tuoi i
nipoti )?». Un quesito diretto e a volte spiazzante, rispetto al quale i genitori
dei futuri adottandi raccontano di avere avvertito uno stato d’animo ambivalente: da una parte, il desiderio di rispondere in modo positivo, deciso e rassicurante, ma dall’altra, anche con la consapevolezza di non poter garantire su
un sentimento che si conoscerà solo nella misura in cui lo si vivrà. Sono significative le parole di un futuro nonno adottivo che si è incontrato in un’occasione: «Ai miei nipoti (naturali) voglio quasi più bene che ai miei figli! E magari al bambino che arriverà in adozione vorrò ancora più bene… quello che già
so è che ce la metterò tutta… ma come mi sentirò non lo posso sapere con certezza già oggi…». Un’altra futura nonna adottiva, già nonna naturale, ha invece affermato: «Diventare nonni è quasi una responsabilità più grande che non
come genitori, perché non sono i tuoi figli… e hai paura di sbagliare».
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Domande sulla propria adeguatezza
Proprio come avviene nei futuri genitori adottivi, che si chiedono più e più
volte se saranno in grado di seguire al meglio il proprio figlio, lo stesso avviene anche nei familiari più stretti, che si domandano: «Saremo all’altezza?». Si
tratta, infatti, di un’esperienza in cui le risorse e le capacità, nonché gli eventuali limiti, si scopriranno nel qui e ora e in itinere, come ha esplicitato bene
una nonna dicendo: «Nonni bisogna diventare per capire…».
3. L’immaginario
sul bambino
A partire dalle esperienza realizzate si possono sintetizzare alcuni comuni
scenari immaginari di nonni e zii nel prefigurarsi il bambino che arriverà in
famiglia.
Il bambino “poverino”, portatore di sofferenza
A volte c’è la tendenza, nei familiari delle future coppie adottive, a pensare
che un minore adottato sia portatore solo di ferite, carenze e deprivazioni che
andranno curate, correndo il rischio di assumere verso di lui un atteggiamento di compatimento e soprattutto differenziato rispetto a quello riservato agli
altri bambini, sia in generale che a quelli già presenti in famiglia. L’idea di
fondo è che «il bambino ha già sofferto tanto… quindi, con la sua adozione, gli
si dovrà risparmiare qualsiasi pena». Un punto di vista che, seppur comprensibile (non è altro che il frutto di come spesso i bambini adottati vengono presentati dai mezzi di comunicazione o immaginati nel pensiero comune) si ritiene fuorviante e pericoloso.
Il bambino “estraneo”, portatore di diversità
La frase pronunciata da un futuro nonno: «in fondo non sai mai che bambino
ti arriverà in casa…» dà un’idea di questo vissuto, in cui il bimbo è immaginato
come qualcuno che arriva da fuori ed entra in qualità di sconosciuto nella realtà
familiare, con le sue caratteristiche e la sua cultura, che a volte vengono anche
fantasticate come qualcosa di temibile che potrebbe mettere a repentaglio l’equilibrio familiare. In altri casi, invece, si riconosce, a priori, che il bambino, in
quanto estraneo – nel senso di non conosciuto – e straniero – nel senso di appartenere a un’altra cultura – è una consapevolezza importante su cui basarsi per
essere coscienti, fin dall’attesa, che ci sarà bisogno di tempo e gradualità per
superare un impatto iniziale; impatto che potrà essere anche molto forte, e
occorrerà quindi coltivare la reciproca conoscenza. Partire proprio dai concetti di
diversità e di estraneità è infatti l’elemento che richiama la necessità di creare
uno spazio di accoglienza i cui confini e le cui caratteristiche si definiranno solo
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nel momento in cui al bambino verrà data l’occasione di mostrarsi e affermarsi
per come realmente è, trovando la giusta collocazione nella sua nuova famiglia.
Il bambino “uguale” agli altri
Con questo concetto ci si riferisce ai membri della famiglia estesa che
hanno difficoltà a differenziare i bambini adottati dagli altri. Si pensi ad esempio a frasi comuni come: «In fondo tutti i bambini sono uguali…» oppure «Un
bambino è pur sempre un bambino…». Il pericolo sottostante, in questo caso,
è quello di banalizzare, semplificare e generalizzare in maniera eccessiva,
assumendo un atteggiamento che non riconosce le peculiarità e le attenzioni
specifiche di cui i bambini adottati possono avere bisogno.
Il bambino che “ti accetta”/ “ti rifiuta”
Alcuni nonni e zii, durante l’attesa, avvertono una preoccupazione rispetto
a quello che sarà il vissuto del bambino nel momento in cui entrerà a far parte
della famiglia. Le domande più comuni sono: «Gli piaceremo?», «Sarà contento di stare con noi?», «E se non vorrà stare qui con noi, cosa faremo?». Il tentativo, in questi casi, è quello di mettersi empaticamente nei panni del bambino, riconoscendogli anche la fatica che potrà provare nel confrontarsi con i
suoi nuovi riferimenti, inizialmente del tutto sconosciuti, dopo essersi dovuto
lasciare radicalmente alle spalle il suo mondo precedente. «All’inizio il bambino potrà avere anche delle difficoltà. Potrà pensare di noi: – Chissà che non mi
freghino anche questi! –. E se si mostrerà arrabbiato… gli diremo: – Questa è
casa tua. Noi ti teniamo anche se sei arrabbiato!», ha affermato in una occasione un futuro nonno adottivo. Il bimbo viene quindi immaginato come un
soggetto animato da vissuti e stati d’animo da rispettare e che può operare
attivamente una prima scelta di accettazione o di rifiuto nei confronti della
famiglia adottiva, con tutte le sue buone ragioni…
4. Le paure
e gli interrogativi
Tra le inquietudini e le domande più comuni che si rilevano durante gli
incontri con nonni e zii, le seguenti appaiono le più significative.
E se il bambino arriva troppo tardi?
Si tratta di una preoccupazione presente soprattutto nei nonni che, di fronte alla prospettiva di una lunga attesa e all’avanzamento progressivo della
propria età, temono che, quando arriverà il nipote, non avranno più le risorse
per occuparsene come vorrebbero, oppure, se sono già molto anziani e non
del tutto in salute, addirittura di non fare in tempo a conoscerlo.
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E se avrà avuto una storia troppo dolorosa/ “incancellabile”?
La paura di fondo è che il bagaglio di sofferenza che si porterà dietro il
bambino sia talmente traumatico e pesante da avere lasciato un’impronta
indelebile, che lo marchierà per sempre e potrà rendere difficile l’instaurarsi di
una relazione distesa e gratificante con i familiari. Gli adulti, infatti, spesso
hanno molta paura di entrare in contatto con il dolore dei bambini.
Come rapportarsi con questa storia?
Una domanda che spesso è comune anche negli aspiranti genitori adottivi
che, insieme a nonni e zii, si chiedono: «Come aiuteremo il bambino a portare
il proprio bagaglio esperienziale e a conviverci? Cosa fare? Ma soprattutto,
cosa dire?». Alla base si possono rilevare varie forme di insicurezza, timore e
imbarazzo, quando l’immaginario degli adulti si apre su situazioni in cui si
dovrà fare i conti con il passato del bambino, quale elemento estraneo, imprevedibile e spesso fantasticato negativamente. Non è infrequente, infatti, la
tendenza a pensare che tutto ciò che ha preceduto l’adozione abbia una connotazione di deprivazione e carenza, faticando invece a ipotizzare scenari in
cui il bambino possa avere anche avuto, nonostante l’abbandono, esperienze
gratificanti sotto il profilo della cura e delle relazioni affettive.
E come rapportarsi con la famiglia di origine?
Non solo rispetto alle figure dei genitori naturali, ma anche all’eventuale
presenza di zii/nonni che abbiano fatto parte, magari in misura affettivamente significativa, della vita del bambino prima della sua adozione.
Il bambino subirà delle discriminazioni nella nostra società?
Si tratta di una preoccupazione forte e molto comune, spesso basata sulla
consapevolezza di vivere in realtà che, piccole o grandi, possono essere ancora molto impreparate per accogliere le diverse forme di diversità e riconoscerle come una ricchezza. Questa inquietudine, in nonni e zii, sembra riferirsi più
all’aspetto culturale/somatico (con particolare riferimento alla visibilità della
differenza attraverso il colore della pelle) che non al fatto che il bambino sarà
differente per la sua condizione di figlio adottivo.
Occorre peraltro osservare che in questo scenario fatto di domande e
inquietudini, i nonni, in particolare, nelle occasioni in cui si sono incontrati,
hanno dimostrato di avere già in mente delle modalità di aggancio nella futura relazione con i nipoti. Alcuni di loro hanno infatti a disposizione quelle che
sono state definite alcune carte da giocarsi.
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Ci si riferisce, ad esempio, da un lato all’esperienza di quei nonni che
hanno vissuto, direttamente o indirettamente, il fenomeno dell’emigrazione in
altri Paesi, un elemento che può sicuramente favorire l’instaurarsi di un’empatia e una vicinanza emotiva al vissuto del bambino adottato; d’altra parte al
forte desiderio, manifestato da alcuni nonni durante gli incontri, di raccontare
e condividere la propria storia personale e familiare con il futuro nipote, trasmettendogli un’eredità umana ed esperienziale, che potrà anche stimolare e
favorire la narrazione del bambino sul proprio passato (partendo quindi, in un
certo senso, dalla storia dei nonni per farla incontrare con quella del nipote).
5. Come i familiari
possono sostenere
e accompagnare
i genitori nella fase
dell’attesa
Come può la famiglia allargata aiutare la coppia durante l’attesa? Ecco
alcune possibili risposte.
Dare l’idea e la dimostrazione che ci si sta preparando
Aderire alle iniziative promosse dall’associazione per la famiglia allargata e
la coppia in attesa, partecipare alle feste delle famiglie dove si possono incontrare genitori e figli, mettere da parte degli oggetti per quando arriverà il bambino, approfondire letture, visionare film... Queste sono solo alcune delle possibilità.
Cercare di non essere “pressanti”, rispettando le disponibilità e gli stati
d’animo della coppia nei vari momenti
Continuare a chiedere dell’adozione durante l’attesa, se da una parte è certamente segno di interesse, dall’altra a volte può essere più controproducente che utile. Il consiglio che viene dato a nonni e zii è quello di sfruttare in
modo sensibile la conoscenza che hanno dei propri figli/fratelli o sorelle, cercando di captare nelle diverse situazioni se è il caso o meno di affrontare l’argomento. Spesso, infatti, le coppie riferiscono di sentirsi molto pressate dalle
continue domande che ricevono all’esterno da parte di colleghi, conoscenti e
amici (che, con grande frequenza, chiedono: «Allora, ci sono novità?») generando, nei coniugi che devono far fronte a una lunga attesa, possibili vissuti di
impotenza, fastidio e frustrazione o la sensazione di essere “invasi” (quando
ad esempio la sollecitazione arriva in un momento in cui si ha tutt’altro che
voglia di parlarne…). Risulta significativa, a questo proposito, l’esperienza di
un futuro genitore adottivo che, non riuscendo più a sopportare l’interessamento quotidiano dei colleghi sull’andamento della sua pratica di adozione
(che, in quel periodo, sembrava essersi letteralmente paralizzata…) un bel
giorno ha comunicato a tutti che si sarebbe fatto crescere la barba finché non
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ci sarebbero state le tanto agognate novità, un’ottima strategia per mettere
tutti a tacere! Proprio alla luce di questi aspetti, è davvero importante che la
coppia in attesa possa percepire la propria famiglia di origine come uno spazio rispettoso, discreto e protetto, da cui farsi accompagnare e sostenere
anche in silenzio. Nella nostra esperienza, purtroppo, non sempre questo
avviene e a volte le coppie, di fronte alle continue richieste da parte dei familiari di aggiornamento sulla durata dell’attesa, rischiano di doversi far carico
dell’agitazione di genitori, fratelli/sorelle o parenti, in una situazione in cui già
è molto doversi occupare della propria ansia.
Sostenere la fiducia e le speranze dei futuri genitori e aiutarli a occuparsi
di se stessi, a non perdere di vista il loro benessere
A titolo di esempio, si cita il caso di una futura mamma adottiva che, in attesa di poter andare a prendere la sua bimba in India, a un certo punto, non ne
poteva talmente più, di dover attendere, che non aveva più voglia di fare
nulla… tutto le risultava faticoso… non aveva neanche più voglia di vedere gli
amici… e quando usciva di casa era solo e unicamente per acquistare qualcosa per la figlia. È stata proprio sua madre, la futura nonna, che, un giorno,
prendendola da parte e parlandole con delicatezza, le ha fatto capire che non
poteva andare avanti così, perché stava perdendo di vista se stessa, lasciandosi logorare dall’attesa. Il suggerimento pratico, ma molto significativo, che
questa mamma ha quindi dato alla figlia è stato: «Sarebbe proprio il caso che
ogni tanto uscissi di casa per comprare qualcosa anche per te!». Vivere ogni
giorno in funzione dell’attesa stava infatti privando questa futura mamma
delle energie di cui avrebbe avuto molto bisogno nel momento in cui sarebbe
finalmente andata a prendere la sua bambina.
6. Il coinvolgimento
di nonni e zii
nell’accoglienza
del bambino
e nelle prime fasi
della costruzione
della nuova famiglia
Su questo tema si è soliti lanciare a nonni e zii le seguenti sollecitazioni.
• Aiutare i familiari a esplorare le differenze tra l’essere nonni/zii biologici
e adottivi, focalizzando l’attenzione sulla necessità di rispettare il bambino e ponendosi verso di lui con sensibilità, delicatezza e gradualità,
nonché secondo i tempi e le modalità non prevedibili nello sviluppo della
relazione affettiva.
• Fare riflettere sulle modalità di relazione dei bambini che sono passati da
“tante mani diverse” e che perciò possono essere disponibili ad andare
con tutti, ma senza riconoscere ruoli o affetti speciali.
• Valorizzare i familiari come prezioso e determinante sostegno al nuovo
nucleo genitori-bambino, nel favorire, rispettare e proteggere la costru314
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zione del legame di attaccamento. Questo implica, per nonni/zii, il sapersi mettere da parte, sacrificando magari inizialmente il contatto diretto
con il bambino ma fornendo un aiuto, pratico o a livello di suggerimenti/consigli, che metta i genitori nella condizione di potersi focalizzare principalmente sulla relazione con il proprio figlio sentendosi supportati.
• Aiutare nonni/zii a familiarizzare con l’idea che il bambino arriva da un
altro mondo e che in principio potrà anche suscitare sentimenti di estraneità e il bisogno di capire/conoscere.
• Aiutare nonni/zii a rivedere lo schema del bimbo poverino che porta a
immaginarlo solo in termini di carenze e mancanze da colmare. Aiutarli a
vedere e a ricercare le risorse di questi bambini.
• Aiutare nonni/zii a immaginare come la storia, il passato e i ricordi che il
bambino conserva possano influire sulla costruzione dei legami o sulle
sue reazioni/richieste nei confronti dei diversi membri della famiglia.
In riferimento a quest’ultimo punto, che sembra particolarmente importante, si fa riferimento a varie esperienze di bambini che, nella misura in cui hanno
trovato in famiglia adottiva uno spazio di accoglienza e un riconoscimento
anche degli affetti, ormai persi, del loro passato, hanno vissuto il nuovo contesto di vita come un luogo in cui inserire simbolicamente, attraverso il ricordo e
il racconto, anche le persone più significative della famiglia di origine.
Ad esempio c’è stato un bambino che ha sempre raccontato ai suoi genitori adottivi di essere stato legatissimo ai nonni nepalesi prima del suo allontanamento dalla famiglia di origine e, a oggi, pur essendo molto affezionato
anche a quelli italiani, continua a narrare gli aneddoti della quotidianità connessi a queste figure del Nepal, che lo hanno amorevolmente seguito e accompagnato nel periodo della sua vita precedente all’inserimento in istituto. È con
estremo orgoglio, infatti, che egli afferma di avere ben otto nonni!
Altrettanto significativa appare la testimonianza di un bimbo adottato il
quale racconta che, il giorno in cui è stato portato in istituto, è stato il nonno
ad accompagnarlo e, prima di salutarlo, gli ha detto: «Tu sei un bambino speciale e molto intelligente e proprio per questo ti devo portare in questo luogo
dove avrai la possibilità di studiare e forse, un giorno, incontrerai anche una
nuova famiglia che ti verrà a prendere…». Penso che questo bimbo sia estremamente fortunato, poiché, nel momento in cui è stato lasciato, il distacco è
stato accompagnato da una spiegazione e da un significato che hanno conferito specialità alla sua persona, esplicitandogli la volontà di dargli un’occasione. Si tratta di un dono che egli si porterà dietro per sempre, l’eredità che un
nonno ha voluto lasciare al nipote da cui si è dovuto, senza dubbio dolorosamente, separare.
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Questo dovrebbe far riflettere su quei bambini che, invece, si ritrovano
abbandonati su una strada o in istituto senza preavviso né spiegazioni e che
forse, solo nel momento in cui vedono arrivare una mamma e un papà adottivi, realizzano per la prima volta che mai più nessuno della loro famiglia di origine li verrà a prendere. È significativa, a questo proposito, l’esperienza di una
bimba che era convinta di essere in istituto solo per un periodo con lo scopo
di studiare e che, quando le sono stati presentati i suoi nuovi genitori adottivi, ha capito come realmente stavano le cose, vivendo, dentro di sé, da una
parte l’improvviso lutto dell’abbandono e, dall’altra, la fatica di doversi aprire
a una nuova relazione che non era stata minimamente preannunciata né mentalizzata.
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