Oggi il maestro sono io

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Oggi il maestro sono io
Indice
Prologo
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Tre giorni al disastro
11
Amici e nemici
21
Due giorni al disastro
29
Un giorno al disastro
39
Il disastro
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Il mio primo giorno di supplenza
53
La mia prima ora di lezione
61
La mia seconda ora di lezione
73
La mia ultima mezzora di lezione
83
Mi hanno arrestato
87
La fine ingloriosa della mia carriera di maestro
91
Le spiegazioni di Orrico
93
Apri gli occhi!
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Un giorno
al disastro
E siamo arrivati al tragico giorno in cui il maestro
Dante mi sospende.
Prima c’è stata la maestra Eleonora che ci ha parlato di rettili, anfibi e di un certo bel tipo che si
chiamava Darwin e diceva che discendiamo dalle
scimmie…
«Tranne Enrichetta che discende dai conigli!» ho
detto io a voce alta.
Tutti si sono messi a ridere, Enrichetta si è messa
a piangere e la maestra Eleonora ha fatto star zitti
tutti esclamando: «Fingerò di non aver sentito, Gigi,
altrimenti dovrei dire che in questa classe c’è qualcuno che discende dagli asini».
Tutti ridacchiavano, io mi sentivo le orecchie in
fiamme e sarei andato da Enrichetta a darle una
sberla, perché è lei la causa di tutti i miei guai.
Tornando al signor Darwin, quando disse che
siamo tutti figli delle scimmie volevano metterlo in
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prigione e gli dicevano: «Figlio della scimmia sarai
tu, cara la mia bertuccia!». Ma poi si scoprì che
aveva ragione e allora tutti a dire: «L’avevo detto io
che aveva ragione!», anche se non era vero, e si sono
viste scene commoventi di gente che raggiungeva la
foresta di corsa per riabbracciare le nonne scimmie
perdute.
«Vero, maestra?» ho chiesto.
«Non è andata esattamente così» mi ha corretto la
maestra Eleonora. «È giusto dire che la razza umana e le scimmie hanno un antenato in comune, un
vecchio nonno, e che alcuni dei figli dei figli dei figli
di questo nonno si sono evoluti in scimmie, mentre
altri hanno dato origine ai primi uomini.»
Fa lo stesso, quello che interessa a me è sapere
che laggiù, in Africa, c’è una grande famiglia che
mi aspetta.
Poi è suonata la ricreazione. Come al solito ci
siamo riversati fuori dall’aula come un fiume in piena. Il bidello era alla finestra che fumava e gli ho
urlato: «Ehi Krantz, dammi una sigaretta!». Krantz
ha ringhiato senza nemmeno voltarsi e noi siamo
scappati scoppiando a ridere.
Ne stavo parlando con Paolo durante la ricreazione, di andare in Africa.
«Così scopriamo da chi hai preso quelle orecchie
a sventola» gli ho detto, ma lui non ha gradito.
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«Questo non dovevi dirlo, Gigi Carta! Ora la tua
faccia farà conoscenza con il mio pugno!», e si è
messo a rincorrermi. Mentre scappavo, ho visto Enrichetta venire verso di me tutta sorridente. Mi sono
fermato di scatto e Paolo ha sbattuto il naso contro
la mia testa ed è caduto, ma io guardavo Enrichetta
e non facevo caso a lui.
«Che vuoi?» le ho chiesto.
«Sono venuta in missione di pace» mi ha risposto
lei. «Dopo tutto, fratello e sorella devono andare
d’accordo e volersi bene.»
«Fratello e sorella? Che cavolo stai dicendo, bestia?»
«Non dirmi che ancora non sai niente! Povero
Gigi, questo per te sarà uno shock!»
«Ma di che parli, sei impazzita?»
«Shock? Interessante! Conosco un amico di famiglia che potrebbe dargli un inquadramento nosologico» si è intromesso Paolo, massaggiandosi il naso.
Io l’ho guardato strabuzzando gli occhi: cos’ha detto
che potrebbe darmi, il suo amico?
«Sarà meglio che ci lasci soli, Paolo» ha detto Enrichetta.
E perché? Non sapevo che fare. Paolo è il mio migliore amico, sì, però… se Enrichetta aveva scoperto
qualche mio segreto, preferivo che non lo sapesse
nessun altro, neanche Paolo, che ha la bocca più
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grande di tutta la scuola. Di Enrichetta mi sarei occupato poi, le avrei fatto bere qualche intruglio che
le avrebbe fatto perdere la memoria. Però mandare
via Paolo si è rivelato più difficile del previsto.
«Perché devo andarmene? Se ti è capitata una
sventura, io voglio essere il primo a saperlo!»
«Vattene, Paolo! Sono affari miei e non voglio
che li ascolti!»
«Gigi, i dolori è meglio condividerli piuttosto che
tenersi tutto dentro. Un amico dei miei genitori
una volta era talmente depresso che si è rivolto a
uno psicanalista junghiano, e allora i suoi vicini di
casa...»
«Ti ho detto di andartene! Te ne vai o no?»
E siccome non si muoveva gli ho dato una spintarella, così, tanto per incoraggiarlo. Paolo è caduto
e ha detto, mentre stava ancora a terra: «Gigi Carta,
sono dolente di informarti che da questo momento
in poi non siamo più amici!».
Lo dice tutte le volte, ma poi se ne dimentica.
Quindi non mi sono preoccupato e mi sono rivolto
a Enrichetta: «Allora, ti decidi a parlare? Hai scoperto un mio segreto? Parla, quanto vuoi per tenere
la bocca chiusa?».
Enrichetta ha fatto un suono con la bocca come
se avesse ingoiato una manciata di biglie, doveva
essere un risolino.
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«Ma quale segreto! Gigi, possibile che non ti sia
accorto di nulla? Sei proprio un bambino!»
«Perché, tu cosa sei?»
Enrichetta si è lisciata i codini con sufficienza, si
è messa una mano sul fianco, ha assunto una posa
scomoda e storta con una gamba piegata e l’altra
dritta e ha detto: «Io sono grande!».
Non ce l’ho più fatta. Le sono saltato al collo,
lei è fuggita in classe e io l’ho rincorsa urlando: «E
allora dimmelo senza fare tante storie. Dimmelo!
Dimmelooo!».
Enrichetta ha fatto una T con le mani e ha gridato: «Time out!».
Mi sono fermato. Sono uno che rispetta le regole,
io.
«Va bene, parla» le ho ordinato.
«Ora te lo dico, Gigi Carta, ma dubito che riusciremo ad andare d’accordo come fratello e sorella, anzi litigheremo come fratellastri! Sì, hai capito
bene: mia madre si è fidanzata con tuo padre e forse
andremo tutti a stare da lui.»
La testa ha cominciato a girarmi. Ma cosa stava dicendo quella lì? È vero, papà e mamma sono
separati, ma mi sembrava che andassero d’accordo
ed ero sicuro che prima o poi saremmo di nuovo
andati ad abitare insieme. Non potevo credere che
papà volesse un’altra moglie.
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«Non è vero, non ti credo, bugiarda!» ho gridato.
Poi la campanella di fine ricreazione ha suonato ed
è entrato il maestro Dante.
«Bambini, a posto!» ha detto con la sua voce calma. Tutti sono andati al loro posto. Io no.
«Gigi, vuoi sederti?» mi ha chiesto, abbastanza
gentilmente. Io però ero troppo arrabbiato.
«No!» ho urlato.
«Non vuoi sederti?» ha chiesto di nuovo il maestro, sempre calmo e gentile.
«Ho detto di no! Non mi siedo, io odio questa
scuola, sono tutti bugiardi, me ne vado, voglio andarmene e non tornare mai più!»
Ero tutto rosso e le goccioline di sudore mi scendevano lungo il collo. Mi sentivo un drago pronto
a sputare fuoco, odiavo tutti! Ma il maestro Dante
non si è lasciato impressionare e ha detto, sedendosi
alla cattedra e cominciando a scrivere sul registro:
«Vuoi lasciare la scuola, Gigi? Forse non è una cattiva idea. Ci lascerai per qualche giorno. Il tempo
di meditare sul tuo comportamento e di chiederti
se veramente pensi quello che hai detto».
Intorno a me sentivo i miei compagni bisbigliare
spaventati: «Lo sospende! Lo sospende!».
Allora ho cominciato a spaventarmi anch’io. Non
volevo essere sospeso. Cosa avrebbero detto i miei
genitori? Questa volta una bella punizione non me
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l’avrebbe tolta nessuno! Sarebbero stati capaci di
non farmi più giocare con i videogiochi. Dovevo
fare qualcosa. Mi venne un’idea.
«Adesso però siediti, Gigi» ha detto il maestro.
Ma io, invece di sedermi, sono caduto a terra, svenuto. Così impara!
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«Ora te lo dico, Gigi Carta, ma dubito che riusciremo
ad andare d’accordo come fratellastri:
mia madre si è fidanzata con tuo padre!»
Il disastro
Non so cosa farò da grande: è un problema che
hanno tutti quelli che sanno fare bene troppe cose.
Potrei fare lo scienziato… in scienze sono bravissimo, anche se la maestra Eleonora non mi apprezza.
Oppure il poeta… avete visto tutti che trionfo la
mia prima poesia! Però, quando capitano cose del
genere, mi convinco che la mia abilità più spiccata sia recitare: sono un attore fenomenale. Tutte le
volte che fingo di star male per non andare a scuola, fingo così bene che poi mi sento male davvero.
È capitato così anche stavolta. Voi di sicuro avrete
pensato: ecco Gigi che finge di svenire. E invece no,
era tutto vero! È bastato che desiderassi svenire, che
ci pensassi intensamente, per cadere lungo disteso
davanti alla cattedra. E ora eccomi qui, sdraiato al
buio. Mi sento anche un po’ dolorante, devo essermi fatto male cadendo. Sicuramente sono in infermeria. Perché non hanno chiamato i miei genitori?
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Ora mi alzo e cerco l’interruttore. Ahia! Ho sbattuto contro qualcosa… Ma quanto è grande questo
lettino? E dov’è il muro? L’interruttore della luce
di solito sta attaccato al muro, ma se il muro non
si trova è un bel problema! E va bene, mi arrendo.
«C’è nessuno?» grido, e mi spavento: che voce
grossa mi è venuta! Devo essermi raffreddato. Chiamo di nuovo con la mia voce strana, ma nessuno
risponde. Comincio a pensare che siano andati via
tutti e mi abbiano lasciato qui da solo. Ma come
possono aver fatto una cosa simile?
«C’è nessuno? Aiuto! Aiuto, sono rinchiuso qui
dentro al buio!»
Un momento… sento dei passi per le scale! Era
ora! I passi si avvicinano, sono proprio qui dietro…
La porta si apre e… Click! Luce! Per un attimo resto
abbagliato, poi metto a fuoco: che posto è questo?
Chi è questo signore? Non l’ho mai visto a scuola.
«Signor Gigi, si sente bene? L’ho sentita chiamare
aiuto.»
«Non trovavo la luce. Ma tu chi sei?»
«Ma sono Orrico, signor Gigi. Sempre al suo servizio.»
«Al mio servizio? Ma se nemmeno ti conosco!»
«Ha ragione, signor Gigi, a volte si vive fianco a
fianco per anni eppure non si può dire di conoscersi
veramente. Dormito bene?»
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Mentre parla, questo signore scosta le tende,
solleva le persiane e nella stanza entra la luce del
giorno. Che strana faccenda: io in infermeria non
ci sono mai stato, però l’ho sbirciata da fuori e non
mi pare abbia un aspetto simile. Questa sembra più
la camera da letto di un appartamento. E questo signore, anche lui è strano. Ha i capelli tutti bianchi,
è molto elegante e dice di essere al mio servizio. E
continua a chiamarmi «signor Gigi»!
«Fammi capire… Orrico, giusto? Tu non sei un
bidello, vero?»
«Signor Gigi, lei ha sempre voglia di scherzare! Le
porto la colazione in camera o preferisce prenderla
in sala da pranzo?»
La colazione? Ma che ore sono? Non ci capisco
niente, non so dove mi trovo e poi… e poi mi sento
strano… Guardo in basso e…
«Aahh! Orrico!»
«Sì, signor Gigi?»
«La mia mano, guarda: è enorme!»
«È uguale all’altra, signore.»
«È vero! Mi si sono gonfiate tutt’e due! Orrico, fa’
qualcosa! Sei un medico? Che cos’ho, sono grave?»
Ben mi sta, così imparo a fingere di star male!
Guarda qui: mi sto trasformando in un mostro. E
quello se ne sta lì beato e tranquillo come se non
fosse successo nulla.
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«Orrico, per carità, muoviti, chiama un’ambulanza, non vedi che sono grave?»
Ma Orrico si abbassa per osservarmi da vicino e
poi, impassibile, mi ignora. Apre un armadio, prende degli abiti e li posa sul letto: un paio di calzoni,
una camicia, una giacca e una cravatta. Somigliano
ai vestiti di papà.
«Signore, devo insistere. Sono quasi le otto. Se
non si alza, farà tardi a scuola.»
«A scuola?» Questa è bella! Io credevo che ci fossimo già, a scuola. «Ma dove siamo, Orrico?»
«A casa sua, naturalmente.»
«Casa mia? Neanche per sogno! Qui non siamo
né da mamma né da papà.»
«Certo, signor Gigi, infatti qui siamo a casa sua.
E ora le consiglio di alzarsi e prepararsi.»
«Cosa? Ma non posso andare a scuola con queste
mani gigantesche!»
«Sono appropriate alla sua statura e alla sua età,
signore. A quarant’anni non vorrà certo avere le
mani di un bambino.»
E mentre dice questo, Orrico mi tira per le braccia e mi fa mettere in piedi. Cavolo, sono più alto
di lui! O lui è molto basso o io… Un momento:
quarant’anni? Un dubbio atroce mi assale. Mi avvicino allo specchio.
«Aaaaaaaarghhh!» urlo con tutte le mie forze.
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Orrico accorre.
«Signor Gigi, che succede, si sente male di nuovo?»
«La mia faccia! Il mio corpo! Guardami, Orrico:
sono vecchio!»
Orrico aggrotta le sopracciglia: «Non direi, signor
Gigi, lei è nel fiore degli anni».
«Ma cosa dici? Ho le rughe, ho i peli dappertutto
e sono così grosso. Ti sembro un fiore?»
«Lasci perdere queste sciocchezze» mi dice Orrico
mentre mi aggiro nervoso per la stanza «e si prepari,
presto! Non vorrà far tardi al suo primo giorno di
supplenza!».
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