lo specchio scuro - Circolo del cinema di Bellinzona

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lo specchio scuro - Circolo del cinema di Bellinzona
LO SPECCHIO SCURO
Un viaggio nel noir hollywoodiano
gennaio – febbraio 2006
in collaborazione con LAB 80 Bergamo
Circolo del cinema Locarno
Cinema Morettina
ven. 13 gennaio, 20.30
THE BIG SLEEP
Il grande sonno
Howard Hawks, 1946
ven. 20 gennaio, 20.30
DOUBLE INDEMNITY
La fiamma del peccato
Billy Wilder, 1944
ven. 27 gennaio, 20.30
THE WOMAN IN THE WINDOW
La donna del ritratto
Fritz Lang, 1944
lun. 30 gennaio, 20.30
THE MALTESE FALCON
Il mistero del falco
John Huston, 1941
ven. 3 febbraio, 20.30
THE SPIRAL STAIRCASE
La scala a chiocciola
Robert Siodmak, 1946
ven. 10 febbraio, 20.30
OUT OF THE PAST
Le catene della colpa
Jacques Tourneur, 1947
ven. 17 febbraio, 20.30
DARK PASSAGE
La fuga
Delmer Daves, 1947
ven. 24 febbraio, 20.30
TOUCH OF EVIL
L’infernale Quinlan
Orson Welles, 1958
Circolo del cinema Bellinzona
Cinema Forum 1+2
mar. 17 gennaio, 20.30
THE BIG SLEEP
Il grande sonno
Howard Hawks, 1946
mar. 24 gennaio, 20.30
DOUBLE INDEMNITY
La fiamma del peccato
Billy Wilder, 1944
sab. 28 gennaio, 18.00
THE WOMAN IN THE WINDOW
La donna del ritratto
Fritz Lang, 1944
mar. 31 gennaio, 20.30
THE MALTESE FALCON
Il mistero del falco
John Huston, 1941
sab. 4 febbraio, 18.00
THE SPIRAL STAIRCASE
La scala a chiocciola
Robert Siodmak, 1946
mar. 7 febbraio, 20.30
CRISS CROSS
Doppio gioco
Robert Siodmak, 1949
sab. 11 febbraio, 18.00
OUT OF THE PAST
Le catene della colpa
Jacques Tourneur, 1947
mar. 14 febbraio, 20.30
DARK PASSAGE
La fuga
Delmer Daves, 1947
mar. 21 febbraio, 20.30
TOUCH OF EVIL
L’infernale Quinlan
Orson Welles, 1958
LuganoCinema 93
Cinema Iride
gio. 19 gennaio, 20.30
THE BIG SLEEP
Il grande sonno
Howard Hawks, 1946
gio. 26 gennaio, 20.30
DOUBLE INDEMNITY
La fiamma del peccato
Billy Wilder, 1944
gio. 2 febbraio, 20.30
THE WOMAN IN THE WINDOW
La donna del ritratto
Fritz Lang, 1944
gio. 9 febbraio, 20.30
THE SPIRAL STAIRCASE
La scala a chiocciola
Robert Siodmak, 1946
mar. 14 febbraio, 20.30
OUT OF THE PAST
Le catene della colpa
Jacques Tourneur, 1947
gio. 16 febbraio, 20.30
DARK PASSAGE
La fuga
Delmer Daves, 1947
gio. 23 febbraio, 20.30
THE MALTESE FALCON
Il mistero del falco
John Huston, 1941
Entrata: fr. 10.- / 8.- / 6.-
EPIGONI DEL NOIR, DAGLI ANNI ’70 AD OGGI
Circolo del cinema Bellinzona / Commissione culturale del Comune di
Arbedo-Castione
Centro civico Arbedo
lun. 23 gennaio, 20.30
THE LONG GOODBYE
Il lungo addio
Robert Altman, 1973
lun. 30 gennaio, 20.30
BLACK WIDOW
La vedova nera
Bob Rafelson, 1987
lun. 6 febbraio, 20.30
L.A. CONFIDENTIAL
Curtis Hanson, 1997
lun. 13 febbraio, 20.30
MYSTIC RIVER
Clint Eastwood, 2003
Entrata: fr. 8.- / 6.-
L’anno scorso fu la commedia “sofisticata” degli anni ’30-’40. Quest’anno, continuando la
rilettura dei principali generi cinematografici della grande stagione di Hollywood e grazie
una volta ancora alla preziosa collaborazione della Lab 80 di Bergamo, è la volta del noir.
Probabilmente il genere più caratteristico dell’immediato secondo dopoguerra, quello che
più di ogni altro ha mostrato la capacità di riflettere il malessere della moderna società
metropolitana, il noir ha saputo affascinare e inquietare lo spettatore del tempo e
mantiene intatto ancora oggi il suo potere ammaliante. Derivato dalla tradizione letteraria
dell’hard- boiled, rappresentata ai più alti livelli da scrittori come Dashiel Hammett e
Raymond Chandler, che lavorarono anche a Hollywood come sceneggiatori, il noir diventa
il veicolo principale di uno sguardo molto critico sull’America grazie al contributo di molti
registi europei immigrati in California, sensibilmente attenti a registrare il degrado e le
insicurezze della società americana negli anni del secondo conflitto mondiale e in quelli
immediatamente successivi. La profonda solitudine dei protagonisti, la violenza latente
pronta ad esplodere inaspettata, il cinismo e la perfidia di molte bellissime donne fatali, la
poco rassicurante ambientazione notturna urbana concorrono a creare un’atmosfera
perennemente minacciosa, dove l’individuo cerca disperatamente e senza successo di
sottrarsi al peso della fatalità, a un passato che incombe e condiziona le sue scelte.
Le trame contano poco e spesso sono talmente complicate che lo spettatore si perde nel
tentativo di ricostruirle. Contano invece le atmosfere, che sono sempre sospette anche
quando sono familiari, perché rese sinistre dalla fotografia contrastata, dall’illuminazione
espressionistica, dalla composizione dell’inquadratura, come ha ben messo in evidenza
Michael Wood nel suo bel libro sul cinema americano (1), o come le rievocano Higham e
Greenberg nel loro Hollywood in the Forties: “Una strada buia nelle prime ore del mattino,
spruzzata da un acquazzone improvviso. I lampioni formano aureole nelle tenebre. In un
appartamento, illuminato a intermittenza dal lampeggiare di un’insegna al neon sull’altro
lato della strada, un uomo aspetta di uccidere o di essere ucciso… Lampade a stelo
illuminano un tappeto di pelo versando un ventaglio di luce sul viso di un cadavere; stanze
per gli interrogatori ingombre di poliziotti nervosi, il testimone in mezzo a loro sotto un
riflettore; tacchi che ticchettano a mezzanotte sulle banchine della sotterranea o della
sopraelevata; auto che corrono su strade strette come canyon, con visi angosciati dietro il
parabrezza rigato dalla pioggia… un mondo dove è sempre notte, sempre nebbioso o
piovoso, riempito dagli spari e dai singhiozzi, dove gli uomini portano cappelli con la tesa
abbassata e le donne incombono in pelliccia, con la pistola infilata nel fondo di una
tasca…”(2).
Per la critica è sempre stato molto difficile definire i confini del noir: si tratta di un genere
vero e proprio o piuttosto di un movimento o di uno stile? A confondere le carte ha
contribuito anche la tardiva denominazione di questi film particolari, concepiti dai loro
autori, a seconda dei casi, come gangster film, o polizieschi, o thriller, o altro ancora: è
infatti solo a partire dal 1955 che il termine “noir” si impone, introdotto da due critici
francesi che lo presero a prestito dalla “Série Noire”, una collana di gialli americani hardboiled (3).
Comunque sia, i film presentati in questa rassegna sono i più grandi capolavori del noir,
firmati dai migliori autori che circolavano ad Hollywood negli anni Quaranta (Fritz Lang,
Billy Wilder, Howard Hawks, Robert Siodmack…) e resi immortali dalle superlative
interpretazioni di attori come Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Robert Mitchum…: 8 film
realizzati tra il 1941 e il 1949 e poi, ciliegina sulla torta, il grandioso Touch of Evil
(L’infernale Quinlan) del decennio successivo, di e con Orson Welles.
Per completare lo sguardo su questo genere, ci è parso utile proporre anche qualche film
dei decenni successivi, a dimostrazione del fascino irresistibile che il noir ha esercitato e
esercita tuttora anche dopo il suo periodo di massimo splendore. Grazie alla
collaborazione con la Commissione culturale del Comune, saranno quindi proiettati in dvd
al Centro civico di Arbedo quattro epigoni del noir realizzati dagli anni Settanta ad oggi: da
The Long Goodbye di Robert Altman (1973), “splendido canto funebre di un personaggio e
di un genere” (4), a Mystic River di Clint Eastwood (2003), che eleva il genere ai livelli
della tragedia shakespeariana.
Michele Dell’Ambrogio
Circolo del cinema Bellinzona
1)
2)
3)
4)
Michael Wood, L’America e il cinema, Milano, Garzanti, 1979.
Charles Highman e Joel Greenberg, Hollywood in the Forties, New York 1968.
R. Borde e E. Chaumeton, Panorama du film noir américain, Paris 1955.
Il Mereghetti. Dizionario dei film 2004, Milano, Baldini & Castoldi, 2003.
THE MALTESE FALCON
Il mistero del falco
John Huston, 1941
Sceneggiatura: John Huston, dal romanzo omonimo di Dashiel Hammett; fotografia: Arthur Edeson;
montaggio: Thomas Richards; musica: Adolph Deutsch; interpreti: Humphrey Bogart, Mary Astor, Peter Lorre,
Sidney Greenstreet, Ward Bond, Elisha Cook jr., Jerome Cowan, Barton McLane; produzione: Hal B. Wallis e
Henri Blande per Warner Bros/First National Picture.
35mm, bianco e nero, v.o. st. f/t, 100’
Una misteriosa cliente (Astor) si rivolge a Sam Spade (Bogart) per ritrovare una preziosissima
statuetta antica, raffigurante un falcone, a cui è interessato anche il gangster Joel Cairo (Lorre):
dopo complicate vicende, Spade scoprirà che è un falso e che la donna l’ha raggirato per ottenere
un’ingente somma di denaro.
Grande esordio di Huston con un B-movie destinato al mito. Tratto dall’omonimo romanzo di
Dashiel Hammett e sceneggiato dal regista, Il mistero del falco è ufficialmente ritenuto il capostipite
del cinema noir. La sostituzione di Gorge Raft con Humphrey Bogart, voluta da Huston, fu la carta
vincente dell’intera operazione, comunque curata in ogni dettaglio (straordinarie le caratterizzazioni
di Lorre e Greenstreet, d’ora in poi coppia fissa del noir; indimenticabile la Astor; suggestivo il
senso di claustrofobia creato dalle riprese quasi esclusivamente in interni e dalle luci oblique di
Arthur Edeson). Private eye duro e malinconico, ma più fortunato del collega Marlowe, lo Spade di
Bogart passa alla leggenda oscurando del tutto i colleghi delle versioni precedenti, Ricardo Cortez
in Il falcone maltese di Roy Del Ruth (1931) e Warren William in Satan Met a Lady di William
Mieterle (1936). Esiste anche una versione colonizzata al computer. È il primo film sonoro di
Greenstreet. Cammeo per Walter Huston, padre del regista, nel ruolo del capitano Jacobi.
DOUBLE INDEMNITY
La fiamma del peccato
Billy Wilder, 1944
Sceneggiatura: Billy Wilder, Raymond Chandler, dal romanzo omonimo di James Cain; fotografia: John F.
Seitz; montaggio: Doane Harrison; musica: Miklos Rózsa; interpreti: Fred McMurray, Barbara Stanwick,
Edward G. Robinson, Jean Heather, Byron Barr, Tom Powers, Porter Hall, Fortunio Bonanova; produzione:
Paramount.
35mm, bianco e nero, v.o. st. it., 107’
“Non ho avuto i soldi e non ho avuto la donna”, recita in un incipit indimenticabile la voce
fuoricampo dell’assicuratore Walter Neff (McMurray) che, travolto dalla passione per una sua
cliente, Phyllis Dietrichson (Stanwick), diventa suo complice nell’assassinio del marito, ma viene
smascherato dal collega Barton Keyes (Robinson), meticoloso e pedante responsabile dell’ufficio
contenziosi.
Tratto dal romanzo omonimo di James C. Cain (sceneggiato dal regista e da Raymond Chandler,
qui alla sua prima esperienza per il cinema), è uno dei migliori esempi di film noir, dove “la fatalità
sostituisce la suspense nella ricerca del colpevole” (la confessione iniziale non lascia dubbi sullo
sviluppo del film, strutturato con un lungo flashback) e dove la protagonista - indimenticabile con la
sua catenella alla caviglia - incarna perfettamente i tratti fondamentali della femmina fatale
(charme fisico, perversità morale, cupidigia, meschineria, ferocia). Lo svelamento del finale,
comunque, non toglie tensione al film, perché lo scontro (tipicamente wilderiano) tra due
intelligenze, quella puntigliosa di Keyes e quella criminale dei due amanti, reintroduce nella
struttura narrativa la suspense del film poliziesco. Il film doveva concludersi con il processo e
l’esecuzione nella camera a gas di Neff, ma queste scene furono tolte dal montaggio definitivo
(senza danneggiare la struttura drammatica dell’opera) poco prima dell’uscita ufficiale.
THE WOMAN IN THE WINDOW
La donna del ritratto
Fritz Lang, 1944
Sceneggiatura: Nunnally Johnson, dal racconto Once off Guard di J.H. Wallis; fotografia: Milton Krasner;
montaggio: Marjorie Johnson; musica: Arthur Lang, Hugo Friedhofer; interpreti: Edward G. Robinson, Joan
Bennett, Dan Duryea, Raymond Massey, Edmund Breon, Thomas Jackson, Dorothy Peterson; produzione:
Nunnally Johnson per International Picture.
35mm, bianco e nero, v.o. st. it., 95’
Mentre moglie e figli sono in vacanza, un professore di criminologia (Robinson) conosce una bella
ragazza (Bennett) e precipita in un incubo pieno di misteri e delitti.
Dal romanzo Once off Guard di J.H. Wallis (sceneggiato da NUnnally Johnson, qui anche
produttore) un noir avvincente che ripropone il tema più caro al regista: il sottile confine tra
innocenza e colpevolezza, raccontato con una narrazione minuziosamente realistica ma sviluppato
con un andamento potentemente onirico. Uno dei migliori ritratti del grigiore borghese e di quello
che potrebbe nascondere dietro la sua faccia rispettosa. Il finale a sorpresa, spesso criticato (ma
girato magistralmente con un’unica inquadratura, grazie a dei vestiti che si staccavano e che
potevano essere tolti a Robinson durante i pochi secondi in cui la macchina da presa era fissa sul
suo primo piano) è stato difeso da Lang come “l’unico in grado di rendere plausibile l’intera storia”.
THE BIG SLEEP
Il grande sonno
Howard Hawks, 1946
Sceneggiatura: William Faulkner, Leigh Brackett e Jules Furthman, dal’omonimo romanzo di Raymond
Chandler; fotografia: Sidney Hickox; montaggio: Christian Niby; musica: Max Steiner; interpreti: Humphrey
Bogart, Lauren Bacall, John Ridgely, Martha Vickers, Dorothy Malone, Peggy Knudsen, Elisha Cook jr.,
Charles Waldron, Regis Toomey; produzione: Howard Hawks.
35mm, bianco e nero, v.o. st. f/t, 114’
Il detective Philip Marlowe (Bogart) è assunto dal generale Sternwood (Waldron) per scoprire chi
ricatta la figlia minore Carmen (Vickers) con foto compromettenti: ma il caso è più complesso, e
viene coinvolta anche la figlia maggiore (Bacall, all’epoca fidanzata di Bogart), il cui marito è
scomparso nel nulla e che si innamora del detective.
Dal romanzo omonimo di Raymond Chandler, un classico del noir dove Hawks costruisce
un’atmosfera morbosa di complotto e seduzione che non ha uguali nella storia del genere, mentre
Bogart ci lascia la più memorabile delle incarnazioni di Marlowe, “in perpetuo disequilibrio tra il suo
idealismo morale e il suo realismo di uomo d’azione”. L’unico difetto del film è che la trama è così
complicata che gli stessi interpreti si lamentarono di non capire di cosa si trattasse, ma è un difetto
che finisce per trasformare Il grande sonno in un film di momenti e di personaggi destinati a
rimanere nella memoria dello spettatore: Memorabili i dialoghi di William Faulkner e Leigh Brackett
(Marlowe: “Così tante pistole in giro per la città e così pochi cervelli!”) e notevoli la fotografia di
Sidney Hickox e la colonna sonora di Max Steiner. Lo stesso romanzo ha ispirato Marlowe indaga
di Michael Winner (1978).
THE SPIRAL STAIRCASE
La scala a chiocciola
Robert Siodmak, 1946
Sceneggiatura: Mel Dinelli, Robert Siodmak, dal romanzo Some Must Watch di Ethel Lina White; fotografia:
Nicholas Musuraca; effetti speciali: Verbon L. Walzer; montaggio: Harry Marker, Harry Gerstad, Robert
Siodmak; musica Roy Webb; interpreti: Dorothy McGuire, Gorge Brent, Ethel Barrymore, Kent Smith, Ronda
Fleming, Gordon Oliver, Elsa Lanchester, Sara Allgood, Rhys Williams, James Bell, Charles Wagenhein,
Ellen Corby, Richard Tyler, Erville Alderson; produzione: David O’Selznick per RKO Pictures.
35mm, bianco e nero, v.it., 83’
All’inizio del secolo, una tranquilla cittadina del New England è è funestata da una catena di delitti
contro giovani donne affatte da menomazioni fisiche. A casa del professor Warren (Brent), la
governante muta Helen (McGuire) ha ragione di temere per la propria vita.
Siodmak immagina un serial killer a metà tra i personaggi di Poe e i mostri dell’espressionismo
tedesco, ma storicamente cresciuto nell’epoca nazista. Dialoghi ridotti al minimo, contrasti
chiaroscurali, deformazioni ottiche (l’allucinazione dell’assassino, che vede Helen senza bocca, o il
primissimo piano del suo occhio che riflette la vittima), oggetti usati in modo simbolico: la regia
punta sull’evidenza visiva, rielaborando suggestioni letterarie e psicoanalitiche in un incubo
sfaccettato che continua a lasciare meravigliati. Sceneggiatura di Mel Dinelli da un romanzo di
Ethel Lina White. Dorothy McGuire non fa rimpiangere Ingrid Bergman, per la quale era stata
pensata la parte. Rifatto (purtroppo) nel 1975 da Peter Collinson come Delitto in silenzio.
OUT OF THE PAST
Le catene della colpa
Jacques Tourneur, 1947
Sceneggiatura: Geoffrey Homes (Daniel Maiwaring), dal suo romanzo Build My Gallows High; fotografia:
Nicholas Musuraca; montaggio: Samuel E. Beetley; musica: Roy Webb; interpreti: Robert Mitchum, Jane
Greer, Kirk Douglas, Ronda Fleming, Richard Webb, Steve Brodie; produzione: Warren Duff, Robert Sparks
per RKO.
35mm, bianco e nero, v.it., 97’
Un detective privato che si è ritirato in un paesino di provincia (Mitchum) scopre di non poter
sfuggire al proprio passato quando un ex datore di lavoro (Douglas) e la sua ex amante (Greer),
moglie di costui, lo irretiscono in una trappola fatale.
Uno dei più alti esempi di noir anni Quaranta, dramma dell’ossessione e della predestinazione, nel
quale un tragico fatalismo sottolinea l’impotenza dell’individuo a liberarsi dall’influenza perversa e
avvelenata che il passato ha sul presente. Ognuno dà il meglio di sé, e l’acme è raggiunto nella
scena in cui Mitchum aspetta la dark lady in un bar messicano: non accade nulla, ma c’è tutto il
senso del film. Sceneggiatura di Daniel Maiwaring (L’invasione degli ultracorpi) tratta dal proprio
romanzo Build My Gallows High (pubblicato però con lo pseudonimo di Geoffrey Homes), fotografia
di Nicholas Musuraca (Il bacio della pantera), regia del francese più hollywoodiano dell’epoca.
Anche in versione colonizzata. Il remake del 1984, Due vite in gioco, è senza confronto. Mario
Sesti, per la Rai, ha restaurato l’edizione distribuita nei cinema italiani, introducendo alcune scene
tagliate. Conosciuto anche col titolo La banda degli implacabili.
DARK PASSAGE
La fuga
Delmer Daves, 1947
Sceneggiatura: Delmer Daves, dal romanzo omonimo di Davud Goodis; fotografia: Sidney Hickox; effetti
speciali: H.F. Koenenkamp; montaggio: David Weisbart; musica: Franz Waxman e Max Steiner; interpreti:
Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Agnes Moorehead, Tom D’Andrea, Bruce Bennett, Clifton Young, Douglas
Kennedy, Rory Mallinson, Houseley Stevenson, Tom Fadden; produzione: Jerry Wald per Warner Bros.
35mm, bianco e nero, v.o. st. it., 106’
Condannato per l’omicidio della moglie, Vincent Parry (Bogart) evade dal carcere e trova aiuto in
Irene Jansen (Bacall), il cui padre è morto innocente in prigione per un’accusa analoga. Dopo aver
scoperto che l’amica di Irene ha avuto un ruolo decisivo nel processo e che anche il suo migliore
amico è stato ucciso, Parry si sottopone a una maschera facciale e va alla ricerca dei due
assassini.
Un film noir tanto originale da sfiorare il paradosso: la storia è ai limiti della verosimiglianza e la
messinscena è magistrale nell’utilizzare gli stilemi del genere per creare soluzioni inedite. L’happy
end, indimenticabile e unico nell’universo cupo del noir, è il punto di arrivo di una fuga idealista che
impegna non solo Parry/Bogey ma anche la macchina da presa, in soggettiva per più di metà film
(allo scopo di favorire l’identificazione con il protagonista e al tempo stesso non mostrarne la
fisionomia prima dell’operazione facciale) e sempre tesa a scandagliare i bassifondi urbani per
scoprirvi una possibile via d’uscita nascosta. Questa scommessa registica (vinta da Daves grazie
alla propria capacità di trasgredire le regole di Hollywood e al romanzo di David Goodis da cui ha
tratto il film e che segue fedelmente) non doveva essere neppure realizzata: Jack Warner aveva
infatti accantonato il progetto sostenendo che la soggettiva prolungata avrebbe sacrificato del tutto
Bogart e dunque il successo dell’operazione (l’attore si vede in faccia al 64’, su una durata di 106’);
solo dopo che la Mgm fece uscire Una donna nel lago di Robert Montgomery, costruito su un
procedimento identico (Daves ne aveva parlato al regista), il produttore acconsentì alla
realizzazione della Fuga, molto più riuscito e radicale del suo emulo.
CRISS CROSS
Doppio gioco
Robert Siodmak, 1949
Sceneggiatura: Daniel Fuchs, Robert Siodmak, da un romanzo di Don Tracy; fotografia: Frank Planer;
montaggio: Ted J. Kent; musica: Miklos Rozsa, Esy Morales Phantasy; interpreti: Burt Lancaster, Yvonne De
Carlo, Dan Duryea, Steve McNally, Richard Long, Tom Pedi, Percy Helton, Alan Napier, Griff Barnett, Edna
M. Holland, Meg Randall, Joan Miller, John Doucette, Mark Krah, James O’Rear, Tony Curtis; produzione:
Universal-International.
35mm, bianco e nero, v.it., 87’
Un uomo (Lancaster), ancora innamorato della ex moglie (De Carlo), pur di riconquistarla si unisce
alla banda del nuovo marito di lei (Duryea). Pensa di fare il doppio gioco, ma finirà male.
Dal romanzo di Don Tracy (sceneggiato da Daniel Fuchs), un film cupo e disperato che, puntando
più sull’analisi psicologica che sull’azione, racconta “l’inesorabile avvilimento di un uomo debole e
passionale” attraverso alcuni dei temi forti di Siodmak: l’amore ossessivo, la violenza fredda e
precisa, l’inesorabile fatalismo che schiaccia l’uomo (magistrale l’uso del flashback per sottolineare
il peso asfissiante del passato, che toglie al presente ogni possibilità di riscatto e di speranza.
Debutto di Tony Curtis nella porticina del gigolò.
TOUCH OF EVIL
L’infernale Quinlan
Orson Welles, 1958
Sceneggiatura: Orson Welles, libero adattamento dal romanzo Badge of Evil di With Masterson; fotografia:
Russell Metty; montaggio: Virgil W. Vogel, Aaron Stell; musica: Henry Mancini; interpreti: Orson Welles,
Charlton Heston, Janet Leigh, Marlene Dietrich, Joseph Callaia, Akim Tamiroff, Valentin de Vargas, Ray
Collins, Mort Mills, Mercedes McCambridge, Victor Millan, Joseph Cotten, Zsa-Zsa Gabor; produzione: Albert
Zugsmith per la Universal.
35mm, bianco e nero, v.o. st. f/t, 93’
Mentre si trovano in viaggio di nozze vicino alla frontiera con gli Usa, un poliziotto messicano,
Vargas (Heston), e sua moglie Susan (Leigh) assistono a un attentato contro il più ricco esponente
della zona. Vargas decide di indagare sul caso, ma deve vedersela con il capitano Quinlan
(Welles), di tutt’altra scuola: tanto il primo è razionale e alla ricerca della prova logica, quanto il
secondo si fa guidare dall’istinto e non esita a fabbricare prove come supporto alle sue intuizioni.
Da un banale intreccio poliziesco, tratto dal romanzo Contro tutti di With Masterson e già
sceneggiato da Paul Monash per una produzione di serie B, un’opera monumentale e ricca di
fascino nonostante le manomissioni finali , che segna il ritorno di Welles a Hollywood dopo la
parentesi europea. Chiamato dalla Universal per assicurarsi la partecipazione di Charlton Heston,
Welles rielabora velocemente la sceneggiatura senza leggere il romanzo, mette a punto un conflitto
drammaturgico ambiguo e geniale, e si cuce su misura un personaggio titanico, malato di
assolutismo, riprovevole eppure dotato di un fiuto infallibile. A Welles interessa “non tanto la
grandezza del male, quanto l’innocenza nel peccato” e così all’ambiguità morale fa riscontro
un’analoga ambiguità estetica, giocata su una violenta deformazione dello spazio (grandangolo con
lente a focale corta, profondità di campo esasperata) e su una velocità “doppia” (del montaggio, con
vorticosi piani sequenza – tra cui il più celebre è quello che apre il film – e dei personaggi all’interno
delle singole inquadrature). Noir sadico, dalle ascendenze kafkiane, capolavoro del cinema
wellesiano, L’infernale Quinlan circola normalmente in una versione che contiene un quarto d’ora di
immagini spurie… ed è priva di parecchie sequenze dirette da Welles…
THE LONG GOODBYE
Il lungo addio
Robert Altman, 1973
Sceneggiatura: Leigh Brackett, dal romanzo omonimo di Raymond Chandler; fotografia: Vilmos Zsigmond;
montaggio: Lou Lombardo; musica: John T. Williams; interpreti: Elliot Gould, Nina van Pallandt, Sterling
Hayden, Mark Rydell, Henry Gibson, David Arkin, Jim Bouton, Warren Berlinger, Jo Ann Brody, Steve Coit,
Jack Knight, Pepe Callahan, Vince Calmieri, Pancho Cordoba, Enrique Lucero; produzione: Lion’s Gate.
Dvd, colore, v.it., 112’
Il detective Philip Marlowe (Gould), per aiutare un amico accusato di uxoricidio (Bouton), scopre i
tradimenti e i sotterfugi della ricca borghesia di Malibu.
Splendido canto funebre di un personaggio e di un genere, privo di suspense in senso tradizionale,
ma percorso da una sottile inquietudine che via via si trasforma in autentica tensione. Altman (con
la collaborazione dello sceneggiatore Leigh Brackett) rilegge il romanzo omonimo di Raymond
Chandler “aggiornandolo” con rispetto e intelligenza: Marlowe (di cui Gould dà un’interpretazione
perfetta, scanzonata e crepuscolare) diventa “un antieroe superato dagli avvenimenti che non
riesce mai a controllare”, ma che saprà riscattarsi nella scena finale con una scelta di morale che è
una coerentissima risposta all’involuzione della società. Stupefacente la fotografia di Vilmos
Zsigmond e indimenticabile lo scrittore hemingwayano interpretato da Sterling Hayden. Piccole parti
per Arnold Schwarzenegger (che si vede mentre si esercita nel body building) e David Carradine (in
prigione). La canzone The Long Goodbye è di J.T. Williams e J. Mercer.
BLACK WIDOW
La vedova nera
Bob Rafelson, 1987
Sceneggiatura: Ronald Bass; fotografia: Conrad L. Hall; montaggio: John Bloom; musica: Michael Small;
interpreti: Theresa Russell, Debra Winger, Sami Frey, Denis Hopper, Nicol Williamson, Diane Ladd, Terry
O’Quinn, Mary Woronov; produzione: Laurence Mark, Harold Schneider per 20th Century Fox.
Dvd, colore, v.it., 103’
Un’agente federale (Winger) s’insospettisce di fronte a tente morti “naturali” di ultracinquantenni
ricchissimi: scopre che le giovani vedove sono un’unica, diabolica persona (Russell) – e quasi ne
viene sedotta.
Uno dei migliori noir del decennio sceneggiato da Ronald Bass: portando alle estreme
conseguenze le regole del genere, Rafelson fa dell’assassina e della poliziotta due figure speculari,
due parti scisse della femminilità che per un attimo si attraggono irresistibilmente. Stile secco,
montaggio serrato, splendida fotografia (Conrad Hall)… Ottimo il cast. David Mamet compare tra i
colleghi della Ginger impegnati in una partita di poker. Non c’entrano niente ma sono molto belle le
immagini vulcaniche delle Hawaii.
L.A. CONFIDENTIAL
Curtis Hanson, 1997
Sceneggiatura: Brian Helgeland, Curtis Hanson, dal romanzo omonimo di James Ellroy; fotografia: Dante
Spinotti; montaggio: Peter Honess; musica: Jerry Goldsmith; interpreti: Kevin Spacey, Russel Crowe, Guy
Pearce, James Cromwell, Kim Basinger, Danny De Vito, David Strathairn, Ron Rifkin, Matt McCoy, Paul
Guilfoyle, Paolo Seganti, Graham Beckel, Darrell Sandeen, Amer Smith; produzione: Arnon Milchan, Curtis
Hanson, Michael Nathanson per Monarchy Enterprises B.V./Regency Enterprises.
Dvd, colore, v.it., 136’
Nella Los Angeles degli anni Cinquanta tre poliziotti – il duro dal cuore tenero Bud White (Crowe),
l’idealista e ambizioso Edmund Exley (Pearce), il corrotto e cinico Jack Vincennes (Spacey) –
cercano riscatto in un mondo marcio, indagando sull’omicidio di un poliziotto e di altre cinque
persone in un bar notturno. A reggere le fila c’è un miliardario (Strathairn) che ha un giro di
prostitute sosia di dive del cinema: a cominciare da Lynn Bracken (Basinger), sosia di Veronica
Lake, di cui si innamorano White ed Exley.
Hanson, cosceneggiatore con Brian Helgeland, non tradisce il cupo romanticismo del romanzo di
Ellroy, anche se ne prende solo i personaggi e, nella seconda metà, inventa una storia diversa. Un
noir col respiro di una saga, duro e romantico, con una singolare aria fuori dal tempo, e per fortuna
senza ammiccamenti cinofili o ironici. Senza dire nulla di nuovo, ammettiamolo, e quindi un po’
sopravvalutato: ma tanto di cappello a un affresco d’epoca così convincente (che usa al meglio le
schegge del firmamento hollywoodiano, come nell’episodio con Lana Turner e Johnny Stompanato)
e a un senso del racconto così solido e avvincente. Ottimi cast, fotografia (Dante Spinotti) e musica
(Jerry Goldsmith). Oscar alla sceneggiatura non originale e all’attrice non protagonista (Basinger).
MYSTIC RIVER
Clint Eastwood, 2003
Sceneggiatura: Brian Helgeland, da un romanzo di Tennis Lehane; fotografia: Tom Stern; montaggio: Joel
Cox; musica: Clint Eastwood; interpreti: Sean Penn, Tim Robbins, Kevin Bacon, Laurence Fishburne, Marcia
Gay Harden, Laura Linney, Kevin Chapman, Adam Nelson, Jonathan Togo, Cayden Boyd, Charlie
Broderick, Ken Cheeseman; produzione: Clint Eastwood, Judie Hoyt, Robert Lorenz per Malpaso
Productions/Villane Roadshow Pictures/Npv Entertainment/Warner Bros.
Dvd, colore, v.it., 137’
In un quartiere popolare di Boston, tre ragazzini (Jimmy, Sean e Dave) giocano nella strada. Uno
dei tre, Dave, viene rapito da due pedofili e resterà loro prigioniero per alcuni giorni. Venticinque
anni dopo, Jimmy (Penn) è diventato il ras del quartiere, Sean (Bacon) è un poliziotto e Dave ha
sposato una cugina di Jimmy.
La figlia di Jimmy, Katie, viene trovata uccisa in un parco. Sean indaga, ma Jimmy conduce una
sua inchiesta personale e finisce per sospettare di Dave…
La violenza è per Eastwood un fattore, una componente della vita sociale che non è possibile né
realistico pensare di estirpare. Mystic River ci mostra questa tremenda verità in maniera
stringente, inequivocabile.
Film cupo, non soltanto per ciò che racconta, ma anche per il come (il lavoro sullo spazio, sul
montaggio e sulla fotografia, che mostra una particolare predilezione per la penombra e l’oscurità).
Rifacendosi agli stilemi del noir, Eastwood lavora con la consapevolezza dichiarata di creare una
“tragedia americana”, interrogandosi sul senso del male, del dolore, della sofferenza. Ma si tratta di
una tragedia senza catarsi, una tragedia che non porta alla liberazione, ma piuttosto implode sul
finale nella sfilata del Columbus Day.
Le schede sui film (sinossi e giudizio critico) sono tratte da Il Mereghetti. Dizionario dei film 2004, Milano,
Baldini & Castoldi, 2003. Per Mystic River (non ancora inserito del dizionario), si è fatto ricorso ad alcuni
articoli apparsi in “Cineforum”, 430, dicembre 2003. Per le schede tecniche ci si è basati per lo più su F. Di
Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. I film, Roma, Editori Riuniti, 1994, o su altre fonti
specifiche.
Per l’ottenimento delle copie dei film si ringraziano, oltre alla LAB 80 di Bergamo, la Cineteca Griffith
di Genova e la Columbus Film di Zurigo.