Trama del film Il concerto:

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Trama del film Il concerto:
La recensione di un film in sito dedicato all’ EDA (Educazione degli adulti), va da sé, sollecita “competenze non formali e informali”; significa che alla molteplicità dei punti di vista, nel commentare un film, si unisce la molteplicità dei vissuti. Il pretesto di attualità per la recensione è il film Concerto del regista rumeno (naturalizzato francese) Radu Michaileanu ma l’intenzione è un omaggio al ruolo della musica nel film, in lettura comparata con altri film in cui la musica è protagonista, o prepotentemente occupa la parte finale del film. E ci chiederemo anche quale ruolo spetta all’artista in un contesto politico malato? Cercare lo scontro frontale o combatterlo implicitamente sollevando gli animi della gente dalla dolorosa contingenza? E quale ruolo spetta a una persona retta in un contesto politico malato?
Il romanzo del drammaturgo inglese Ronald Harwood, Taking Sides, del 1995, è ispirato alla vita di Wilhelm Furtwangler, controverso direttore d’orchestra della filarmonica di Berlino, durante il periodo nazista. Il testo fu trasformato,nel 2001, in una sceneggiatura e poi in un film diretto dal regista István Szabó. Taking Sides è anche il titolo del film, che vuol dire prendere posizione. Ambientato nella zona di Berlino occupata dagli americani nel 1946, il film verte sull’accusa a W. Furtwängler di aver servito il regime nazista. W. Furtwängler possedeva una tecnica unica di direzione d’orchestra; riteneva che la musica sinfonica fosse una creazione della natura che poteva essere trasferita solo soggettivamente in musica. Per questo motivo, compositori come Beethoven, Brahms and Bruckner erano così centrali nel suo repertorio; li riteneva forze della natura. Egli desiderava invece che il tempo fosse interiorizzato dai musicisti e per questo non amava l’approccio di Toscanini al repertorio tedesco; lo definiva un “battitore di tempo”. La gestualità del Nostro aveva apparentemente poca relazione con il ritmo della musica. In un video è stata registrata la conduzione di Furtwängler della Nona Sinfonia di Beethoven del giorno 19 aprile 1942, in occasione del compleanno di Adolf Hitler. Nella parte finale della sinfonia è dato vedere come Furtwängler abbia scatti tremendi mentre guida l’ orchestra e il coro, nel grido conclusivo "Götterfunken, Götterfunken!" ( Scintille divine)
Wilhelm Furtwangler, dunque uno dei più interessanti e apprezzati direttori d’orchestra degli anni Trenta, dopo la Guerra fu oggetto di una indagine nel programma alleato di denazificazione della Germania. Nella Berlino bombardata dell’immediato dopo guerra, venne dato incarico di verificare, senza scrupoli, la condotta di Wilhelm Furtwangler, ad un ufficiale americano, il maggiore Steve Arnold. Gli toccò di investigare un mondo del quale ignorava tutto; venne a scoprire che Wilhelm Furtwangler aveva operato per proteggere gli orchestrali ebrei della 1
filarmonica da lui diretta, che molti erano i tedeschi che profondamente rispettavano in lui il difensore del loro retaggio musicale. W. Furtwangler, un semidio per alcuni tedeschi, rimaneva un mentitore per il maggiore Arnold,, lo reputava sostanzialmente un fiancheggiatore del partito nazista. Uno scontro tra due mondi, due ideologie. Mentre molti colleghi del Maestro avevano scelto l’esilio per manifestare la loro opposizione al regime, e per mostrarsi solidali con gli artisti ebrei per i quali l’espatrio era una costrizione, W. Furtwängler era sempre rimasto in Germania, continuando ad esibirsi. E’ pur vero che si sottraeva alle esibizioni per il regime e che solo con l’inganno fu costretto a suonare per il compleanno di Hitler del 1942, ma il maggiore Steve Arnold restava il quesito: “Perchè non te ne sei andato dalla Germania quando Hitler ha preso il potere?”
Nel corso del processo di denazificazione, W. Furtwängler sostenne; “Sapevo che la Germania stava attraversando una crisi terribile, mi sentivo responsabile per la musica tedesca; ritenni mio compito di sopravvivere a questa crisi perchè era mia facoltà farlo. La preoccupazione che la mia arte fosse abusata, per attività di propaganda, doveva cedere alla più grande preoccupazione di preservare la musica tedesca, quella musica offerta al popolo tedesco dai suoi propri musicisti. Queste persone, i compatrioti di Bach, Beethoven, Mozart e Schubert dovevano continuare a vivere sotto il controllo di un regime, ossessionato dalla guerra totale. Nessuno che non sia vissuto qui in prima persona, in quei giorni, è in grado di giudicare come stessero le cose” (citazione tradotta da J. Ardoin in The Furtwängler Record). Per alcuni si tratta di una tesi autoassolutoria, si trattava pur sempre di musiche eseguite mentre tanti morivano nei Lager. Il Maestro professava la separazione tra arte e politica; ma all’artista è concesso di vivere una opposizione intellettuale estraniata dalla realtà ? Perché W. Furtwängler non lasciò la Germania? Davvero egli poteva ritenere che “una sola esecuzione di un grande capolavoro era una negazione dello spirito di Auschwitz e Buchenwald? “
Nella comunità musicale ebraica degli Stati Uniti, il violinista Yehudi Menuhin fu tra coloro che manifestavano una opinione positiva di W. Furtwängler; pur essendosi rifiutato di suonare con lui nel 1933, ne divenne, dopo una personale indagine, un difensore e dal 1940 suonò e incise con lui.
Nel 1949, W. Furtwängler accettò di dirigere la Chicago Symphony Orchestra, ma il contratto fu rescisso a causa della pressione di importanti musicisti quali Vladimir Horowitz e Arthur Rubinstein. Una scontro tra due opposti sordi fondamentalismi? Il New York Times riportò il 2
parere di Horowitz che si dichiarava “disposto a perdonare i pesci piccoli che non avevano alternativa e dovettero restare e lavorare in Germania, ma W. Furtwängler si era trovato fuori dal paese in molteplici occasioni e avrebbe potuto scegliere di restare all’estero”. W. Furtwängler fu commemorato con un francobollo di Berlino Ovest nel 1955. Herbert von Karajan, che apprezzava la grande lezione di Furtwangler, era stato invece regolarmente iscritto al partito nazista ma subito assolto dall’opinione pubblica. Un anno dopo la produzione di Taking Sides, esce il film Il pianista, il testo ancora una volta è tratto da uno scritto di Ronald Harwood. il regista invece è Roman Polanski .La storia ha profonde connessioni con la vicenda del regista, sfuggito al ghetto di Varsavia da bambino dopo la morte di sua madre. .
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Anche questo film, in cui è sovrana la musica di Frederic Chopin, è ispirato alla vicenda biografica di un musicista: l’ ebreo polacco Władysław Szpilman.
W. Szpilman, famoso pianista della radio di Varsavia, vide il proprio mondo crollare con lo scoppio della seconda guerra mondiale e l’invasione della Polonia, il primo settembre del 1939.
Dopo che la stazione radio venne bombardata dai nazisti, Szpilman, tornato a casa , apprende che il Regno Unito e la Francia hanno dichiarato guerra alla Germania nazista; ne gioisce con la sua famiglia e si augura che la guerra abbia presto fine. E invece le truppe delle SS occupano Varsavia, le condizioni di vita per gli ebrei si faranno gradualmente insostenibili. Limitazioni della disponibilità economia delle famiglie, obbligo di indossare un segno di riconoscimento, quindi l’obbligo di domicilio, dal 1940, nel Ghetto di Varsavia dove affrontarono fame, persecuzione, umiliazione delle SS e presenza costante di morte, tortura, stenti
La famiglia del musicista sarà condotta al campo di stermino di Treblinka. Szpilman riesce a salvarsi all’ultimo momento grazie ad un membro della polizia ebraica del ghetto. Lontano dalla famiglia e dalle persone care, Szpilman cerca di sopravvivere come lavoratore forzato, partecipa alla resistenza del ghetto dove introduce segretamente armi, rischiando di essere colto in azione. Due amici non ebrei della stazione radio lo aiutano in seguito a nascondersi ed a passare da un nascondiglio all’altro. Nel 1943 sarà testimone della rivolta del ghetto e della triste sorte degli insorti, nel suo secondo nascondiglio, presso un ospedale militare, rischierà di morire per malnutrizione. Nell’agosto del 1944, la città di Varsavia è spopolata a rasa al suolo. L’esercito sovietico si avvicina; Spilman è completamente solo. In un edificio che sta ancora in piedi cerca disperatamente del cibo e mentre cerca di aprire un scatola di sottaceti la sua presenza è scovata da un capitano dell’esercito regolare tedesco, Wilm Hosenfeld. In un teso colloquio Hosenfeld scopre che Szpilman è un pianista e gli chiede di suonare il grande piano che il destino vuole si trovi ancora nell’edificio. Nonostante le deprivazioni patite, Szpilman, ridotto a un’ombra del pianista elegante che era stato, esegue la ballata in sol minore di Chopin. Il capitano Hosenfeld , da quel giorno, non solo proteggerà, con il suo silenzio, il nascondiglio di Szpilman nell’attico dell’edificio, ma tornerà a portare del cibo, salvandogli in tal modo la vita. In uno dei loro incontri, Hosenfeld chiede a Szpilman quale fosse il suo nome e rileva che è ben adatto ad un pianista chiamarsi così. Szpilman è infatti la forma polacca del termine tedesco Spielmann, che vuol dire "uomo che suona ". Il giorno del loro congedo Hosenfeld promette di ascoltarlo alla radio polacca e gli regala il suo cappotto dell’uniforme della Wehrmacht. 4
Il cappotto sarà quasi fatale a Szpilman quando le truppe polacche, che avanzano tra le rovine di Varsavia, lo scambiano per un tedesco mentre il capitano forse non riuscì mai ad ascoltarli in radio.
Dopo qualche settimana entra a Varsavia l’Armata Rossa. Anche in questo film la parti si invertono; ora sono gli ufficiali tedeschi ad essere prigionieri in un campo di concentramento, vigilati da soldati sovietici. L’Ufficiale tedesco Hosenfeld è tra loro e chiede ad ex prigionieri polacchi, che passano accanto alla recinzione del campo in cui è prigioniero, se conoscono ilpianista Szpilman. “Che lo contattino perché lui possa essere liberato”. Szpilman, che è tornato a suonare alla radio di Varsavia giunge sul sito di cui è stato informato, ma è troppo tardi, tutti i prigionieri sono stati deportati dai sovietici. Nella scena finale del film, uno Szpilman trionfante esegue la Grand Polonaise brillante di Chopin, in una sala gremita. I titoli di coda rivelano che Szpilman ha continuato a vivere a Varsavia dove è morto nel 2000 mentre Hosenfeld è deceduto nel 1952 in un campo sovietico per prigionieri di guerra.
La musica è fondamentale anche in questo film; il primo brano all’inizio del film è il “Notturno in re minore lento con grande espressione”; nella casa abbandonata dove Szpilman, ha appena scoperto un luogo dove nascondersi, risuona “Al chiaro di Luna” di Beethoven. Al pianoforte, al piano di sotto, c’è l’ufficiale Hosenfeld. La composizione tedesca si contrappone alla successiva scelta polacca di Szpilman, che eseguirà un brano del polacco Chopin. (Il brano suonato da Szpilmann è una versione abbreviata, l’intera esecuzione dura circa 10 minuti). Come nel film precedente, la musica interpreta una identità nazionale, in vicendevole rispetto, e fa dialogare i due “nemici”, anzi abbatte la reciproca diffidenza. Il violoncello che si ascolta nel mezzo del film, suonato dalla polacca Dorota, attiva nella resistenza, è il preludio della Suite n.1 di Bach; a sottolineare un capolavoro universale, una partitura senza limiti di geografia, di politica, di schieramenti. Taking Sides e Il Pianista ci raccontano di Maestri che hanno scelto di interpretare la musica del loro Paese perché essa, la musica, possa vivificare lo spirito di chi deve sfidare la barbarie e tornare a vivere dopo. Il film Il concerto ci porta in un alto periodo storico e su un fronte diverso. Ma ancora una volta, con vissuti opposti, altri musicisti sono chiamati a scegliere, valori universali e, al tempo stesso, la tradizione autentica e alta del loro Paese. 5
Per avvicinarci al prossimo film citiamo, dalle incisioni del 1938, di W. Furtwängler alla direzione della filarmonica di Berlino, una memorabile versione della la Sesta Sinfonia, detta Patetica, e sarà Pëtr Il'ič Čajkovskij che ci porterà infatti nel nuovo recente film di Radu Michaileanu, l'autore di Train de Vie, una commedia grottesca e liberatoria prodotta in Francia nel 2009, uscita in Italia il 5/02/2010. Dobbiamo qui brevemente ricordare l’inaudita censura del “decadente Čajkovskij”, nel clima ormai dimenticato e apparentemente lontanissimo della vecchia Urss. Čajkovskij ci apparirà ora, nel film, liberatorio.
“All'epoca di Brežnev, Andreï Filipov è il più grande direttore d'orchestra dell'Unione Sovietica e dirige la celebre Orchestra del Bolshoi. Viene licenziato all'apice della gloria quando si rifiuta di separarsi dai suoi musicisti ebrei, tra cui il suo migliore amico Sacha. Trent'anni dopo lavora ancora al Bolchoi, ma come uomo delle pulizie e aiuta la moglie a movimentare ( a pagamento) finte manifestazioni d'orgoglio ex­comunista. Una sera Andreï si trattiene fino a tardi per tirare a lustro l'ufficio del direttore e trova casualmente un fax indirizzato alla direzione del Bolshoi: è del Théâtre du Châtelet che invita l'orchestra ufficiale a suonare a Parigi. All'improvviso, Andreï ha un'idea folle: riunire i suoi vecchi amici musicisti, che come lui vivono facendo umili lavori, e portarli a Parigi, spacciandoli per l'orchestra del Bolshoi Andreï decide di riscattarsi dalle umiliazioni con l'inganno, accettando l'ingaggio al posto dell'orchestra ufficiale. Riunisce così i vecchi compagni di concerto” ( così una recensione del film). 6
http://it.wikipedia.org/wiki/P%C3%ABtr_Il'i%C4%8D_%C4%8Cajkovskij
Nella scena madre e finale del concerto, l’orchestra, che contro ogni verosimiglianza non si è riunita per la prova generale, esegue il Concerto per violino in re maggiore di Čajkovskij che appunto dà il titolo al film. Il regista intervistato ha detto del film: “E’ la ricerca miracolosa dell’ultima armonia che la gente trova in sé e che il solista trova con l’orchestra, l’armonia umana che tutte le società cercano o disequilibrano, si perde troppo velocemente. Occorre trovare una sintesi tra quello che siamo e quello che diveniamo”
Ci lasceremo guidare dalla vicenda biografica del regista, per comprendere il messaggio di questo ultimo film. Il regista Radu Mihaileanu,un rumeno che vive in Francia, “ha confezionato commedie acute e divertenti, grottesche e tragicomiche seguendo l'ironia e la cultura yiddish, il realismo storico e, più in generale, la positività interculturale”. “Melodrammatico dall'anima satirica, trasforma temi generali come il comunismo o l'antisemitismo in qualcosa di vivo in pellicole dal tocco personale, esplosive e polemiche a livello emotivo e brillante. Limpido e delicato, il suo cinema cerca di abbattere i difficili muri dei pregiudizi, della lotta di classe e delle antiche diatribe storiche.”
Figlio di un giornalista comunista di religione ebraica, si trasferisce in Francia nel 1980, scappando così dalla dittatura rumena di Ceausescu e iscrivendosi all'Istituto Cinematografico IDHEC. Dopo aver firmato il cortometraggio Les quatre saisons (1980), dopo qualche esperienza come aiuto regista, viene notato dal regista italiano Marco Ferreri che lo assume come suo assistente per film come I Love You (1986) e Come sono buoni i bianchi (1988), ma anche come sceneggiatore per il film tv Il banchetto di Platone (1989) con Irene Papas. Nel 1993, decide di dirigere il suo primo lungometraggio Tradire (1993), anche se il suo più grande capolavoro sarà Train de vie – Un treno per vivere (1998) storia di un piccolo villaggio ebraico dell'Europa dell'Est, che viene progressivamente invasa dai nazisti. Gli abitanti del villaggio tentano invano di scappare dai campi di concentramento travestendosi da nazisti e da deportati, passando le linee belliche. Nel 2002, Radu Mihaileanu firma il film tv Ricchezza nazionale e, a seguire, Vai e vivrai (2005), e Il concerto (2009).
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Il padre del regista si chiamava Mordechai Buchman, cambiò nome per sopravvivere e si trasformò, nel nome, nel più rumeno dei rumeni. Radu invece ha mentito di andare in vacanza in Israele per lasciare la Romania; “ogni piccola impostura è la grande impostura, la piccola storia sta dentro la grande storia. Il razzismo ha destabilizzato la promessa di felicità di gradi sistemi ideologici.. Le creature devono cercare la loro felicità nella piccola impostura, contro la grande” Su Il concerto , il regista Radu Mihaileanu ha detto: “Il mio è un film decisamente emozionale. Credo che la sua anima sia molto radicata nella cultura e nel modo di vivere dell’Est slavo, in particolare, che spesso si spinge fino agli estremi. A livello politico questo ha provocato dei disastri, è innegabile, ma a livello culturale invece è stato assolutamente produttivo. Come il mio Paese e la mia cultura d’appartenenza, anche “Il concerto” non ha paura dell’emozione.” Il film ambientato durante l’oppressione e la dittatura russa sui paesi dell’Europa dell’Est. Come si pone il regista nei confronti di quel regime e di quel periodo storico? ( da una intervista riportata da Adriano Ercolani )
“Ovviamente fino al mio trasferimento in Francia, ho subito la dittatura di Ceausescu in Romania e più in generale la prepotenza politica russa. Questo però non ha minimamente influito nei confronti della mia grande ammirazione per la cultura russa, cinema compreso. Penso ad esempio che Andrei Tarkovsky sia uno dei quattro/cinque più grandi cineasti della storia del cinema. Per quanto riguarda “Il concerto” ero emozionato all’idea di lavorare con alcuni tra i più grandi interpreti del cinema sovietico, e devo dire che sia la fase di riprese, che il risultato finale mi hanno entusiasmato.” Quale è l’elemento principale che lega questo suo ultimo film al precedente successo di Train de vie? “Credo che sia la volontà insopprimibile di affermare la propria umanità, la propria dignità anche muovendosi ai confini della menzogna. Io la chiamo “la piccola impostura”, un meccanismo narrativo che avevo adoperato anche nell’altro film, e che mi dà modo di esprimere questo messaggio per me fondamentale.” La qualità primaria del film Il concerto, è quella di poggiarsi su un impianto decisamente “classico” nella storia e nella scansione del ritmo narrativo: l’idea di partenza è quella ampiamente sfruttata dello scambio di identità, che Mihaileanu elabora secondo le più riconoscibili possibilità comiche che lo spunto offre da decenni al cinema di genere. Visivamente “ Il concerto” è un film confezionato con eleganza, e letteralmente decolla nella sequenza finale; dell’esibizione tanto 8
attesa dai personaggi, grazie inarrivabile di Čajkovskij. In quest’ultima, grandiosa sequenza infatti il cineasta sprigiona la sua visione di cinema più libera e viscerale, costruendo una sintesi vorticosa e bellissima di immagini e musica. Di primi piani e di sguardi, di tensioni che cedono al potere delle note, percepiamo ”l’impegno” dell’artista e il suo impossibile essere “neutrale”. Negli sguardi dei musicisti che cercano la guida, nel gesto del direttore d’orchestra, Andreï Filipov, mentre dirige il concerto parigino, si superano le generazioni e il Gulag, la menzogna e il tradimento, la censura e le umiliazioni. C’ è riscatto e verità; c’è l’Arte. 9